Strumento compensativo per eccellenza, è davvero sempre così efficace? A chi serve davvero creare una mappa concettuale? Meglio cartacee o con software appositi? Proviamo a conoscere meglio questa strategia didattica per comprenderne le reali potenzialità.
Quando si parla di mappe concettuali abbiamo tutti un’idea in merito e magari ci tornano alla memoria schemi di diversi tipi su colorati libri scolastici, spesso con parole da inserire o linee da tracciare.

La mappa cognitiva rientra però nelle strategie logico-visive, ovvero quelle modalità di apprendimento che permettono all’alunno di comprendere ed elaborare le informazioni ricevute dall’insegnante. Si tratta quindi non di una modalità di presentazione dei contenuti (ad esempio alternativa al libro di testo) ma di una vera e propria strategia di elaborazione delle informazioni.

Proprio per questo motivo è importante che la mappa diventi uno strumento proposto spesso dall’insegnante, poiché è importante che i bambini sviluppino le competenze che stanno alla base della costruzione della mappa, che è tutt’altro che semplice!

Non è infatti immediata la comprensione di una mappa, né semplice la sua costruzione, soprattutto perché ciò che accomuna tutti i tipi di mappe (concettuali e mentali) è che ci sono delle regole formalizzate nella composizione. Perciò è importante allenare i prerequisiti logici fin dai primi anni della scuola primaria, per potenziare nei bambini quelle abilità che li renderanno autonomi nella costruzione di una mappa cognitiva. La mappa è infatti una rappresentazione grafica composta da alcuni elementi (le parole chiave, la disposizione delle parole nello spazio, i collegamenti tra le parole ) ed è importante che gli alunni imparino a riconoscerli e utilizzarli in modo funzionale. Le principali difficoltà che i bambini (soprattutto con difficoltà cognitive) possono incontrare sono relative soprattutto alla comprensione del significato dei simboli (ad esempio la direzione di una freccia), l’identificazione delle parole chiave e la rappresentazione “visiva” del pensiero, ovvero la disposizione degli elementi nello spazio.

Ma quali sono tra le differenze tra le mappe cognitive? Le mappe mentali, definite negli anni Sessanta da Tony Buzan, presentano un modello a raggiera, adatto per le attività di associazione di idee: da un’idea centrale si diramano i collegamenti principali che vengono individuati per associazione di idee chiave. Questo tipo di mappe è particolarmente utile sia in fase di riconoscimento delle idee sia fase di recupero, ad esempio per una verifica.

La mappa concettuale è invece la rappresentazione grafica di una rete di concetti, dove si evidenziano soprattutto i legami , le articolazioni e le concatenazioni logiche tra loro. Si tratta quindi una struttura complessa, in cui tutte le relazioni tra i nodi devono essere esplicitate mediante parole-legame. Se ne deduce che una mappa è personalissima di chi l’ha prodotta poiché è la rappresentazione visiva della logica che collega i concetti.

Ecco perché, soprattutto per i ragazzi BES è importante che la mappa sia autoprodotta , in quanto diventa uno strumento di organizzazione e formalizzazione delle conoscenze, sia in fase di apprendimento che di ripasso. Ma le mappe sono strumenti dedicati a tutti gli alunni, soprattutto se costruite insieme in classe , perché permettono di far emergere il pensiero logico e le strategie logico-visive; diventano inoltre un ottimo supporto alla spiegazione orale e un valido strumento per la memorizzazione delle informazioni. Ovviamente per i ragazzi con Disturbi Specifici dell’Apprendimento diventano fondamentali perché favoriscono l’organizzazione logica ed evidenziano i collegamenti tra i contenuti, mettendo ordine, ad esempio, in vista dell’esposizione durante l’interrogazione. La mappa inoltre favorisce la memoria visiva e la comprensione del testo, minimizzando invece i “punti deboli” del ragazzo, come le difficoltà di lettura, la disorganizzazione, la stanchezza nell’attenzione.

Data la complessità di base nella costruzione di una mappa concettuale, è opportuno che i ragazzi DSA utilizzino il computer per la sua realizzazione, poiché aiuta nell’organizzazione dello spazio, facilitando lettura e scrittura. I programmi per la costruzione di mappe concettuali permettono di conservare la regolarità di forme e colori e facilitano a gestire il livello gerarchico tra i nodi. Adesso le proposte di software per la realizzazione di mappe concettuali è davvero molto ampia e utilizzabile da molte piattaforme: vi sono software acquistabili magari in combinazione ad altri programmi di scrittura o sintesi vocali e installabili su pc, siti internet che permettono la creazione e l’esportazione delle mappe in vari formati, app gratuite per tablet… livelli di complessità differente per rispondere a tutte le esigenze scolastiche e non solo! Per avere qualche suggerimento sui programmi da utilizzare potete consultare il nostro catalogo on line distinto in Hardware e Software e App per mobile.

In questi giorni si è sentito spesso parlare della Classe Capovolta, la metodologia didattica che utilizza abitualmente video e spiegazioni da svolgere a casa. La “Flipped Classroom” è nata inizialmente proprio per gli alunni che non potevano frequentare costantemente le lezioni, ad esempio per malattia, ma per la sua impostazione e le proposte inclusive e cooperative che vengono svolte in classe ha ricevuto negli anni un consenso sempre maggiore.

In Italia l’approccio della classe capovolta ha suscitato velocemente interesse e sostegno e nel 2014 è nata l’associazione non profit Flipnet, che ha arricchito l’originale approccio Flipped Learning fondato da Jon Bergmann e Aaron Sams di nuovi strumenti e idee.

Ma di cosa si tratta? Partiamo dalle parole di Maurizio Maglioni, che nel suo libro Capovolgiamo la scuola (2018) spiega “Oggi noi proponiamo di usare il tempo in classe, liberato dalla lezione frontale e dalle interrogazioni, per fare apprendimento cooperativo, webquest, autovalutazione e molto altro ancora” (p. 34).

L’italiano Metodo Flipnet parte quindi dal “capovolgimento” della struttura classica dei tempi a scuola: la lezione si ascolta a casa, attraverso filmati e videolezioni preparate dagli insegnanti, per lasciare spazio, a scuola, a esercitazioni e lavori di gruppo. Questo “liberare” tempo prezioso durante la lezione in presenza a scuola è un aspetto particolarmente caro ai sostenitori di questo approccio, che propongono attività di apprendimento cooperativo in classe al posto di spiegazioni ed interrogazioni.

Ma come può avvenire tutto questo e per tutte le materie? E’ quello che si chiedono in tanti. Attraverso un buon uso corretto delle tecnologie, innanzitutto. Ogni docente carica il materiale sulla sua pagina web di cui i ragazzi possono fruire a casa, dove si svolge il momento formativo. A scuola il tempo viene utilizzato per lavori di gruppo o a coppie su “compiti autentici”, attività complesse, realistiche, stimolanti, per risolvere problemi di vita reale, casi di studio, creare interviste, tutorial e storytelling. Una didattica capovolta proprio per la gestione capovolta del tempo, in quanto incredibilmente il tempo a scuola si libera da lunghe spiegazioni per lasciar spazio ad attività creative e motivanti. E per la valutazione? Gli insegnanti non portano a casa lunghi compiti in classe da correggere, ma valutano il lavoro durante il suo svolgimento attraverso segnalazioni e suggerimenti contestuali all’attività che si sta svolgendo.

Il ruolo del docente è molto diverso quindi: non un veicolo del sapere ma una guida, un allenatore che aiuta gli studenti ad apprendere, in modo che possano usare al meglio i loro tempi e i loro sforzi.

Si tratta quindi di un approccio innovativo sotto tutti i punti di vista, che richiede un’ottima preparazione da parte degli insegnanti che non possono improvvisarsi fautori della metodologia. In questo periodo storico di didattica a distanza molto, quindi, possiamo imparare dall’approccio capovolto e dalle risorse tecnologiche che quotidianamente utilizza, non per improvvisarci docenti capovolti ma per avvicinarci a un metodo didattico che sta ottenendo ottimi risultati dal punto di vista del rendimento scolastico oltre che della motivazione, inclusione e collaborazione tra pari.

Ad esempio un’osservazione unanime dei docenti è stata la grande disponibilità alla peer education da parte dei ragazzi, che davanti a proposte di lavoro in gruppo con obiettivi chiari e tempi delimitati erano già in grado di creare interdipendenza positiva. Di questo ne beneficia l’inclusione in classe perché ogni ragazzo ha occasione di sperimentare in autonomia le sue capacità di rapportarsi con gli altri.

Il tempo prezioso che il docente dedica a stare con i ragazzi durante il lavoro a scuola ha permesso di comprendere l’importanza della comunicazione con i ragazzi e tra i ragazzi stessi all’interno dei gruppi. Per questo la Flipnet ha accolto i principi della Comunicazione Empatica di Marshall Rosenberg, formando i docenti a questo tipo di proposta.

Insomma, la Classe Capovolta come un’interessante metodologia educativa che si è arricchita di suggestioni e strumenti per offrire una proposta organica e completa. Quindi, perché no?

Prendendo spunto dall’esperienza del progetto Care Passport di cui l’APIC Torino sottopone a chiunque sia interessato un piccolo tesserino, dalle dimensioni di una carta di credito, il quale una volta stampato (su carta, cartoncino o su carta adesiva) e compilato, può tornare molto utile ai sanitari che in condizioni di emergenza potrebbero essere nella necessità di prendersi cura di persone portatrici di apparecchi acustici e/o impianti cocleari.

CocleareApic

 

Il tesserino una volta compilato con i dati che si ritengono fondamentali per la propria tranquillità, può essere inserito nel proprio portafogli assieme alla tessera sanitaria, o altro documento. Lo stesso, se stampato su carta adesiva può anche essere incollato sul retro del proprio smartphone, sulla custodia di un qualsiasi documento di riconoscimento o perché no, direttamente sul portadocumenti.
L’associazione, appena sarà possibile, si impegna a stampare un certo numero di copie su carta autoadesiva, in modo da poter avviare la distribuzione ai propri soci.
Scarica il tesserino

È consuetudine parlare di emozioni e apprendimento come fattori strettamente connessi, così come sostenere che le emozioni vanno a “interferire” con il rendimento scolastico dei bambini. È sotto gli occhi di molti insegnanti che se un bambino è tranquillo e sereno affronta una verifica con meno agitazione, così come se un argomento è vicino alla realtà dei bambini è più facile che venga imparato senza difficoltà. Ma in che modo ciò è possibile?

Per spiegare questo innegabile legame tra stato emotivo e apprendimento ci vengono in aiuto le neuroscienze, che hanno definito ormai con chiarezza quali circuiti neuronali affrontano le informazioni per essere apprese ed entrare nella nostra memoria a lungo termine.

Tutte le nozioni che vengono spiegate in classe, così come tutte le informazioni sensoriali che percepiamo dal mondo attraversano una serie di “filtri” che risiedono in alcune strutture più “primitive” del nostro cervello: l’amigdala e l’ippocampo. Tali strutture “valutano” il significato dell’informazione che arriva e se essa può essere considerata importante e tale da poter accedere alla memoria a lungo termine e alla corteccia cerebrale, parte più evoluta del nostro cervello, dove risiedono processi cognitivi superiori come l’attenzione, il problem solving, la pianificazione.

Il primo “filtro” che attraversa l’informazione risiede proprio nell’amigdala ed è una selezione di tipo “emotivo” possiamo dire: se l’informazione arriva da un contesto emotivo sfavorevole non attraversa il primo filtro perciò non arriva al cervello più evoluto. L’amigdala quindi funziona come una prima “stazione di scambio”, importantissima da attraversare per giungere ai processi di elaborazione superiori. Se caliamo questo primo importante elemento in una situazione di apprendimento, come potrebbe essere il contesto scolastico, se ne deduce che un fattore di paura e di ansia associato all’informazione blocca il percorso di quest’ultima che non arriverà quindi alla corteccia cerebrale sede dei processi cognitivi superiori. Successivamente l’ippocampo effettuerà un’ulteriore selezione, “lasciando passare” solo le informazioni che hanno un significato per il soggetto: tutto ciò che al contrario non è ritenuto significativo e importante viene dimenticato. Nell’ippocampo le informazioni devono inoltre trovare un appiglio per essere mantenute, ovvero un collegamento con quelle pregresse a cui si aggiungono.

Queste evidenze neuroscientifiche hanno alcune ricadute pratiche importanti, come si può immaginare. Il fatto che lo stato emotivo in qualche modo permetta o blocchi l’acquisizione dell’informazione implica che il clima emotivo che si respira in classe sia il primo indispensabile elemento da considerare per un apprendimento sereno e fruttuoso. Situazioni di disagio, ansia, preoccupazione e paura generate magari da un rapporto conflittuale con l’insegnante possono ostacolare il vero e proprio processo di apprendimento, così come un rapporto di fiducia e stima possono favorirlo. Ma per un apprendimento solido e duraturo ciò non basta ancora, poiché le informazioni non sono tutte uguali per il nostro cervello. Solo quelle ritenute significative e dotate di senso e interesse riescono a giungere alla memoria a lungo termine. Non possiamo pretendere che le lezioni abbiamo tutte lo stesso interesse per i ragazzi, ma possiamo utilizzare diverse strategie affinché lo raggiungano, ad esempio cercando direttamente con loro stessi il valore e il significato di quei contenuti. Occorre non sottovalutare il momento iniziale della lezione, poiché per accogliere nuovi contenuti il nostro cervello deve richiamare alla memoria elementi simili a cui ancorarli, altrimenti la loro significatività verrà a mancare. Ben vengano organizzatori anticipati, brainstorming, video o qualunque altro elemento ci permette di accogliere nuove informazioni e tenere alta l’attenzione dei nostri strumenti.

È innegabile quindi che è importantissimo conoscere questi elementi per progettare una lezione di qualità, che possa trovare terreno fertile per essere compresa e memorizzata e rimanere così nella nostra memoria per lunghissimo tempo.

In questo periodo di intensa Didattica a Distanza, si scoprono dialoghi tra mamme e docenti basate su nomi variegati di piattaforme digitali, metodi di invio file, gestione di videochiamate. Il rischio (o desiderio?) di aggiungere un nuovo format o nuovi metodi di trasmissioni di informazioni è quotidiano, così come lo è lo smarrimento tra miriadi di modalità di gestione e invio di compiti agli insegnanti.

Non è stato facile essere catapultati in questa dimensione, ai più sconosciuta, di una nuova modalità di didattica, né per gli insegnanti, né per gli studenti, che non sono comunque stati abituati a gestirla, almeno “prima” dell’emergenza. Gli scettici rispetto alla qualità ed efficacia di tali proposte sono molti, tuttavia possiamo chiederci cosa può portarci di buono tutto questo, o cosa, almeno, può rimanere simile alla nostra consueta e rassicurante didattica tradizionale in questo mondo tecnologico a distanza.

In un editoriale de “Il Sole 24 ore” del 9 marzo 2020, Daniela Lucangeli, psicologa dello sviluppo, prorettrice dell’Università di Padova, scrive che quello che sta attraversando la scuola è un passaggio epocale perché “È la prima volta che non sono i ragazzi ad andare a scuola, ma è la scuola che va ai ragazzi”. Può sembrare una riflessione banale, tuttavia non lo è nel suo significato più profondo, ovvero quello relativo alla relazione con gli insegnanti. Le risorse tecnologiche in questo caso permettono agli allievi di mantenere un dialogo e una relazione con gli insegnanti, vero fulcro di qualsiasi modalità di apprendimento. Non una tecnologia asettica e sostitutiva di un rapporto, ma una vera mediatrice che permette il mantenimento del rapporto stesso. Vista da questo punto di vista la didattica a distanza mantiene quelle caratteristiche emotive e affettive tipiche dell’apprendimento, ma addirittura con una marcia in più: la percezione di una vicinanza dell’adulto, ricercata e desiderata dall’adulto stesso. Il fatto che l’insegnante ricerchi metodi e modalità per entrare nella quotidianità dei ragazzi e mantenere quel rapporto formativo ed educativo che lo contraddistingue permette agli studenti di approcciarsi alla didattica con emozioni positive, di fiducia e speranza, che connoteranno per sempre quelle lezioni. E le emozioni sono insite nell’apprendimento, non esterne ad esso, perciò il clima emotivo della lezione è importantissimo per permettere il consolidamento e mantenimento della lezione stessa.

Didattica a distanza promossa a pieni voti per il suo valore educativo, ma non solo. Questo tipo di modalità permette al docente di “guidare” il processo di apprendimento, che il ragazzo gestisce poi in autonomia. Una competenza che porterà con sé al di là dell’emergenza e che potrà mettere a frutto nei diversi ambiti di apprendimento in cui si troverà ad essere inserito.

 

Fra le molte iniziative culturali sorte nel contesto dell’emergenza epidemica da Covid-19 segnaliamo la magnifica possibilità di registrarsi direttamente da casa al circuito delle Biblioteche civiche torinesi e di consultare in notevole catalogo di libri online (oltre 19.600 e-book, 1.075 audiolibri, musica, quotidiani e periodici)

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Aggiornato al 14-4-2020

E’ passato più di un mese ormai dalla chiusura della scuola e la didattica a distanza è stata avviata ormai in tutti gli istituti, di ogni ordine e grado. Ma come sta andando quella che è sembrata una sfida enorme per la scuola italiana?

Iniziamo dai dati riportati nell’editoriale de “Il Sole 24 ore” del 9 marzo 2020 che prende in analisi l’attuazione del Piano nazionale scuola digitale avviato dalla Buona Scuola del 2015. Il numero di istituti che comunicano online con le famiglie (attraverso, ad esempio, il registro elettronico) è passato dal 50 al 97%; al tempo stesso le aule dotate di LIM o di schermi digitali sono attualmente il 91% mentre quelle dotate di connettività arrivano al 93% (contro il 35% di 5 anni fa). Un ottimo equipaggiamento tecnologico e informatico che fa ben sperare quindi, sebbene il tallone d’Achille sia stato riscontrato nel livello di formazione che il corpo docente italiano ha raggiunto: solo il 47% si è infatti formato nell’uso degli strumenti digitali.

Il Ministero dell’Istruzione non è però rimasto a guardare, ma ha supportato in vari modi i nostri docenti per poter affrontare la sfida didattica di questo periodo. Con la circolare del 6 marzo ha interpellato tutti gli esperti formatisi negli anni scorsi, soprattutto i referenti del Piano nazionale scuola digitale (Pnsd) attivi presso gli Uffici Scolastici Regionali, che così possono supportare (da remoto) le iniziative dei singoli istituti.

Ovviamente non è tutto facile e le potenzialità del registro elettronico e delle classi virtuali non sempre vengono sfruttate al massimo delle loro possibilità. Purtroppo per i bambini più piccoli non è immediato un utilizzo massiccio della tecnologia, in quanto magari non hanno potuto sviluppare ancora delle valide competenze digitali, pertanto è indispensabile la presenza dell’adulto accanto a loro che possa aiutarli e indirizzarli. Inoltre la disponibilità di una connessione in banda larga o ultra-larga, sufficientemente veloce per permettere, ad esempio, l’uso di soluzioni cloud per la didattica e l’uso di contenuti di apprendimento, è un requisito quasi indispensabile per un accesso agevole a questo tipo di didattica.

Le risorse a cui gli insegnanti possono attingere sono comunque numerose, a partire dalla pagina web del MIUR dedicata alla didattica a distanza e ai numerosi corsi di formazione gratuiti e videotutorial di cui gli insegnanti possono usufruire per indicazioni sul funzionamento delle diverse piattaforme, ad esempio quelli validissimi proposti da Indire.

Sono moltissime le esperienze di buone pratiche instaurate da diversi istituti, che hanno cercato di venire incontro alle diverse esigenze delle famiglie, a partire dal prestito d’uso gratuito di tablet di proprietà della scuola, ma non solo. Lo stimolo al mantenimento del contatto visivo degli insegnanti con i propri alunni è un input che è stato suggerito dal Ministero stesso, affinché la didattica a distanza non sia solo un invio di compiti ed esercitazioni, ed accolto volentieri da moltissimi insegnanti anche della scuola dell’infanzia, che hanno trovato modalità e risorse adatte alle loro esigenze.

Insomma, i presupposti per continuare un percorso di qualità ci sono tutti e chissà che con l’occasione si possano migliorare le competenze informatiche e ci si possa affacciare a nuove risorse didattiche da proporre, come quella ad esempio di contenuti multimediali. A questo proposito è bene ricordare anche la pagina di Rai Scuola “Scuola 2020”, con un ampio ventaglio di approfondimenti multimediali a disposizione dei docenti. E da lunedì 23 marzo Rai Scuola propone ogni giorno, attraverso i propri siti e canali social, Scuola@Casa News: un contributo quotidiano con informazioni, consigli, segnalazioni di appuntamenti on-line, risorse e contenuti utili a scuole, insegnanti, studenti e famiglie per facilitare il lavoro di didattica a distanza nell’emergenza coronavirus.

Gli occhiali speciali sono un dispositivo che non permettono di riacquistare la vista, ma lasciano intravedere sagome di volti e di oggetti, sono studi innovativi pionieristici, ma non si tratta di una soluzione praticabile a breve termine.

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