Il nostro cane Max (FabuLIS)

Gli animali domestici sono, per tanti padroni e padroncini, autentici membri della famiglia. Con loro si condividono rituali, viaggi, esperienze, emozioni e così, quando muoiono, lasciano un vuoto grande e un segno indelebile. Proprio questa parabola esistenziale, tanto familiare a chiunque abbia posseduto e amato un cane o un gatto, trova posto tra le pagine de Il nostro cane Max.

Il libro scritto da Alessandra Bocchetti omaggia e ripercorre la vita del cane Max all’interno della famiglia che lo ha accolto quando era ancora piccolissimo e brutto. L’autrice racconta in particolar modo il rapporto speciale e unico che il cane instaura con i diversi membri della famiglia, dando un assaggio delle piccole gioie che, dal primo all’ultimo giorno, la sua presenza ha regalato. Fino a che la vecchiaia lo porta via, senza che tuttavia il suo ricordo svanisca. Tutt’altro: nel cielo, nelle rocce e persino nella forma di un’isola Max torna a far visita ai suoi padroncini, nel nome di un legame intenso e sempre vivo.

Lineare e senza arzigogolate capriole narrative, Il nostro cane Max si presenta come un omaggio personalissimo a un cagnolino realmente esistito che suscita simpatia e affetto. Piacevole da leggere e commuovente nel finale, il libro fa parte di una doppia collana. La versione originale è stata inserita, infatti, all’interno della Minizoom di cui il libro condivide tutte le apprezzabili caratteristiche di alta leggibilità: font specifica, spaziatura, maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra e carta color crema. Una seconda versione, che va ad affiancarsi alla precedente e che ne mantiene tutte le caratteristiche sopracitate, è stata invece di recente messa a punto da Biancoenero e inserita nella nuovissima collana Fabulis.

In questa nuova versione, inserita all’interno della collana Fabulis, ogni doppia pagina del volume di Alessandra Bocchetti e Martina Tonello presenta sulla sinistra un QRcode grazie al quale accedere a un video che ne racconta il testo in Lingua dei Segni Italiana. L’illustrazione figura, come una sorta di sfondo,  anche alle spalle dell’interprete, facilitando  così l’associazione tra i due supporti. Nella parte destra di ogni doppia pagina, inoltre, possono essere presenti altri QRcode contraddistinti da un bordo di colore differente. Questi attivano la traduzione in LIS delle parole meno comuni o di più difficile comprensione, all’interno di video che, così come i precedenti, non presentano audio.

La collana Fabulis è frutto di un progetto estremamente significativo e apprezzabile, per più di una ragione. In primo luogo perché sfrutta in maniera semplice ma efficace la sinergia tra cartaceo e digitale. Grazie al basico riconoscimento di un QRcode, che rinvia a un video caricato su Vimeo, il lettore ha infatti la possibilità di fruire di una modalità narrativa e comunicativa supplementare che mal si accorderebbe con l’inserimento sulla pagina, senza dover per questo rinunciare al valore del rapporto con la fisicità del volume. L’espediente del QRcode, inoltre, è molto poco invasivo e questo fa sì che la pagina risulti praticamente identica a quella della versione originale del libro. Il lettore si trova perciò tra le mani un volume bello e curato come l’originale ma più accessibile.

La corrispondenza puntuale tra testo in italiano sulla pagina e video in LIS non solo favorisce l’appropriazione e il pieno godimento del racconto da parte dei bambini sordi segnanti ma facilita anche la costruzione di un ponte tra le due lingue che questi lettori si trovano a fronteggiare nella vita quotidiana. Il nostro cane Max, così come gli altri volumi che compongono la collana Fabulis,  costituisce, cioè, una bellissima proposta di narrativa che merita e chiama il libero gusto e il gratuito piacere della lettura, rivelandosi però anche un prezioso e valido strumento di sostegno all’apprendimento.

Da ultimo, non va trascurato il processo che ha portato alla nascita della collana. Il coinvolgimento, insieme a Biancoenero, dell’ENS (Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza dei Sordi) e di Huawei (azienda privata già sensibile al tema e attiva sul campo grazie al progetto Storysign), mette in luce l’importanza e la validità di progetti che fanno leva sull’integrazione di competenze specifiche e complementari così da offrire ai lettori prodotti di qualità tanto dal punto di vista dell’accessibilità quanto da quello letterario.

Le allacciature

I telai delle allacciature sono un supporto di ispirazione montessoriana che consente al bambino, soprattutto in età da asilo nido o scuola dell’infanzia, di allenare abilità manuali fondamentali e migliorare la propria autonomia in attività quotidiane come quelle legate alla vestizione.

Elia Falliti si è ispirata a questo supporto per confezionare un libro tattile che invita a sperimentare i diversi tipi di allacciature, supportando questa pratica giocosa con un testo minimale che aiuta a contestualizzarla. L’autrice non si limita, infatti, a offrire una sequenza di bottoni, fiocchi, alamari e fibbie, trasferendo di fatto sulla pagina i telai, ma associa ogni tipo di allacciatura a un oggetto di uso quotidiano in cui il bambino potrà ritrovarla. Così, per esempio, introducendo i bottoni dice: “Mi abbottono il grembiule per non sporcarmi con la pittura”. Si tratta, dunque, di testi essenziali e di stampo prettamente descrittivo, che risultano estremamente fruibili anche in caso di disabilità diverse da quella visiva e che contribuiscono a dare una cornice minimamente narrativa alla successione di pagine, evidenziando l’impiego quotidiano degli oggetti citati.

Realizzate in stoffa pesante, che ne agevolano la sfogliatura, le doppie pagine de Le allacciature presentano nella parte sinistra il testo in nero, stampato in maiuscolo, e in Braille. Entrambi sono collocati su placchette plastificate, robustamente cucite alla pagina. Nella parte destra si trova invece l’allacciatura vera e propria con cui il bambino può mettersi alla prova. Le allacciature sono in totale otto (bottoni, fiocchi, alamari, lacci, velcro, cerniera, automatici, fibbie) e riflettono gradi di complessità diversi.

Il libro, edito dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, assume in definitiva una forma ibrida, a cavallo tra l’album tattile illustrato e il volume di attività. E proprio questa collocazione a scavalco ne costituisce forse la qualità più significativa, poiché da un lato offre un supporto interattivo alla narrazione e dall’altro sostiene l’esercizio delle operazioni di allacciatura con la forza delle parole e delle situazioni da queste evocate. Non solo: proprio perché il volume nasce con un’esplicita predisposizione pratica, le pagine sono tenute insieme da tre anelli apribili, risultando perciò staccabili e impiegabili anche singolarmente o in una forma diversa da quella del libro da sfogliare. Questo aspetto è, dal canto suo, tutt’altro che trascurabile perché facilita la fruizione del libro da parte di bambini con difficoltà motorie o di bambini che prediligono l’introduzione di un solo elemento da esplorare alla volta. Essa permette, inoltre, di impiegare il libro in molti modi e situazioni diversi, per esempio dividendo le pagine tra più bambini, consentendone l’esplorazione in contemporanea.

La casa di notte

Siamo proprio sicuri che il momento in cui scende la sera sia il più tranquillo della giornata, quello in cui di fatto tutti dormono e poco accade? Il libro di Joub e Nicoby sembrerebbe mostrarci l’esatto contrario. Pur essendo apparentemente molto ordinaria e abitata da una famiglia poco numerosa, La casa di notte che ci offrono è tutt’altro che silenziosa, immobile e quieta. C’è chi fa amicizia, chi si ama, chi rubacchia, chi esplora, chi scappa e chi festeggia.

Perché ogni casa nasconde qualche segreto, più o meno noto a chi vi risiede: ospiti imprevisti come mostri buffi o topolini ma anche azioni segrete e intime che si consumano a porte chiuse. Ecco allora che il lettore de La casa di notte, tutto può permettersi salvo che di pisolare: c’è tanto da scoprire, seguire, intuire, tra queste pagine senza parole.

Del tutto privo di testo, La casa di notte presenta un’architettura narrativa intrigante che poggia su un efficace contrasto tra regolarità e imprevisto. Ogni pagina vanta, infatti, una partitura regolarissima a sei riquadri e inquadrature ricorrenti che fotografano in maniera sempre identica alcuni interni (più un esterno) della casa. All’interno di quelle cornici stabili, però, succede di tutto e proprio questo scarto tra ciò che è fisso e ciò che cambia, si anima e succede, dà vita a una lettura dinamicissima e appassionante, in cui anche i personaggi apparentemente più collaterali portano guizzi narrativi spassosi (imperdibili, in particolare, gli uccellini insaziabili che vivono sul tetto).

Il gioco di inquadrature ricorrenti che caratterizza il volume predispone un’intelaiatura fissa con cui il lettore può familiarizzare e che le lo aiuta a orientarsi. I fitti fili che legano ciò che accade nelle diverse stanze danno però vita a una narrazione tutt’altro che banale che richiede dal canto suo un lettore abbastanza scaltro, capace di muoversi tra situazioni distinte (per quanto intrecciate), tra personaggi diversi e tra avvenimenti che richiedono alcune inferenze.

È permesso?

Non c’è forse gioco infantile più replicato e al contempo più moltiforme del progettare e costruire un rifugio. Cuscini, lenzuola, mobili e qualunque supporto capiti a tiro può contribuire a dare forma a tane e fortini in cui nascondersi, stipare proviste, condividere segreti e inventare avventure. Alzi la mano chi non l’ha mai sperimentato! Ecco allora che il libro di Elena Rossini e Irene Penazzi – È permesso? – che a questa comune pratica ludica è dedicato diventa per il lettore occasione di riconoscimento e spunto per nuovi allestimenti. Non solo: tra le pagine di questo libro in cui c’è tanto da guardare e poco da leggere, si trova una fitta trama di relazioni familiari e amicali che danno vita a micro-narrazioni e dettagli da trovare. È dunque un libro quasi senza parole, È permesso?, un simil-wimmelbuch e un libro che ha qualcosa del gioco: un libro decisamente ibrido, dunque, che come tale prometta ampia libertà di movimento e molteplici possibilità di esplorazione.

Protagonisti sono, in prima battuta, cinque bambini di età e stature diverse, che si dirigono con fare deciso verso il salotto. In un attimo – il tempo di un voltar di pagina – la stanza viene ripresa con un’inquadratura più ampia e presto invasa da mollette, lenzuola, scatole, sedie rovesciate a giocattoli. Il gioco è partito! Da lì in avanti il fortino appare allestito e il lettore ha modo di immaginare cosa vi accada all’interno solo da sparuti dettagli – una teiera, un ciuccio, biscotti, fogli e pennelli – che spuntano da sotto le lenzuola appese. In parallelo sopraggiungono nuovi potenziali ospiti che educatamente chiedono di poter entrare. Come una sorta di parola d’ordine votata alla gentilezza, l’È permesso? fa via via crescere l’accampamento e le attività in esso custodite. Sono le ultime due doppie pagine, che si aprono come una sorta di sipario, a rivelare il pullulare di giochi, chiacchiere, scherzi e lavori che nel rifugio hanno trovato posto. I dettagli spuntati qua e là nel corso della lettura trovano allora nuovo senso e invitano a ripercorrere da capo le pagine affollate per riconoscere e ricollocare i personaggi, metterli in relazione e ricostruire ciò che per buona parte del libro è rimasto celato nel fortino.

Dinamicissimo, autentico e predisposto a soddisfare molteplici letture consecutive, È permesso? dà spazio a un disordine creativo che profuma di famiglia vera. Tra quelle scope che diventano puntelli, quei tappeti che ospitano picnic informali e quei divani che si fanno, all’occorrenza, letto, supporto o parco-giochi, il lettore può muoversi senza un ordine predefinito, cogliendo dettagli disseminati con perizia dalle autrici. Là dove la confusione (ricercata) della pagina non crei insofferenza e dove l’avanti e indietro tra le pagine per mettere a posto i tasselli non costituisca un ostacolo al godimento della lettura, È permesso? offre una storia per immagini (ché di fatto le poche e ricorrenti parole sono praticamente accessorie) in cui il lettore può prendersi il tempo di sostare, in cui è chiamato a fare ipotesi (chi sono questi personaggi e che tipo di relazione li lega? Perché il bambino con la tshirt della montagna toglie una molletta? Cosa pensa il gatto di tutto questo trafficare tra tappeti e coperte?…) e in cui, in definitiva, il gioco simbolico che ispira la narrazioni si fa cornice di nuove imprevedibili invenzioni che trovano forma e parole proprio grazie a chi legge.

Trucas

Se c’è un personaggio capace di incarnare il richiamo irresistibile dell’arte, quello è senza dubbio Trucas, mostriciattolo alto un dito o poco più creato dall’artista messicano Juan Gedovius. Impossibile non provare un moto di tenerezza verso questa creatura verde dal naso importante, i piedoni lunghi, i capelli arruffati e le orecchie a punta. Il suo viso ispira subito simpatia, per non parlare poi delle sue disavventure. Il fatto è che Trucas trova nel colore e nel segno grafico una forma di espressione trascinante e così, che sulla sua strada si trovi una matita o della tempera, poco importa: quello che Trucas farà sarà farne un uso smodato, impiastricciando senza ritegno sé stesso e tutto ciò che lo circonda.

Lo conosciamo proprio così, tubetti alla mano, che corre dopo aver lasciato delle tracce variopinte. Ma subito una mano grande e minacciosa gli impone un bagno nel mastello. Neanche il tempo di asciugarsi e Trucas si lancia alla ricerca di nuovi stimoli artistici. Peccato che quella che sembra una matita piazzata lì per aspettarlo si rivela essere la coda di un drago sputafuoco. Poco male, messa in salvo la pelle, Trucas scopre presto che anche delle zampe fuligginose possono lasciare il segno!

Incontenibile e irriverente, Trucas è il protagonista di un libro senza parole portato in Italia da Logos. Le sue avventure iniziano e finiscono nei risguardi, parte a pieno titolo del racconto, e fanno della pagina un oggetto con cui giocare. Anche grazie a queste trovate metanarrative, il racconto per immagine strizza l’occhio di continuo al lettore e assume delle sfumature di senso tutt’altro che banali. Contraddistinte da un ampio ed efficace uso dello sfondo bianco, le pagine di Juan Gedovius non cedono ai fronzoli, rendendo sempre molto chiaro il focus del racconto. I passaggi da una scena all’altra sono dal canto loro sempre piuttosto chiari, anche grazie a una resa molto eloquente delle espressioni del protagonista. Ne risulta un volume, oltre che divertente e accattivante, anche molto accessibile.

La matita

La matita di Hyeeun Kim è un libro senza parole in cui immaginazione e riflessione vanno a braccetto. Il libro si apre infatti con una matita che viene temperata e i cui trucioli fanno crescere una rigogliosa foresta: uno spazio accogliente e affascinante in cui la biodiversità può trovare casa. Specie diverse di animali e piante convivono in uno spirito di armonia ben espresso dal delicato concerto cromatico messo a punto dall’autrice.

Pochi colori e pochi tratti danno forma, infatti, a un bosco ricco e quasi ipnotico, su cui posare e far vagabondare piacevolmente lo sguardo. Quando però le chiome si scuotono e i volatili iniziano a fuggire si intuisce che qualcosa sta accadendo. In rapida successione i tronchi cadono, i camion sgasano, le fabbriche triturano. Ed ecco che gli spessi tronchi diventano oggetti al servizio dell’uomo: matite, per esempio, con cui una bambina paziente ridisegna un futuro possibile.

Grazie a una struttura circolare e a un sottile gioco di richiami interni, questo volume pubblicato da Terre di Mezzo fa di un oggetto semplice come una matita colorata il fulcro intorno al quale può ruotare una storia evocativa in cui fantasia e realtà si rincorrono senza posa. Il tratto essenziale di Hyeeun Kim è capace di dar vita a una straordinaria ricchezza visiva in cui perdersi e da cui lasciarsi ispirare. È un tratto un po’ magico, il suo, che inventa connessioni tra piani del reale differenti e che fa dell’assenza di parole la chiave per interrogare, pungolare e deliziare il lettore.

Braille

Michela Tonelli e Antonella Veracchi, le due anime di E.T. – Editoria tattile, ci hanno abituati a lavori di grandissima raffinatezza in cui l’esplorazione tattile non è mai solo un modo per conoscere e riconoscere le cose ma anche e soprattutto un valore aggiunto per trasformare la pagina in un’esperienza che tocchi corde profonde.

In Braille, le due autrici giocano sull’apparente neutralità del codice che dà il titolo al volume. Lo fanno immaginando a occhi chiusi cosa potrebbero evocare i punti in rilievo disposti in vario modo sulla pagina. Davvero non sono altro che una traccia aliena per qualcuno e un alfabeto per qualcun altro? A seguire i loro spunti si direbbe decisamente di no. Ecco, infatti, che a sfogliare ed esplorare le pagine di Braille, quei puntini così immobili e quasi impercettibili schiudono al lettore le porte di campi dorati e cieli burrascosi, alte montagne e sinfonie travolgenti.

Come di consueto, le pagine confezionate a mano dalle autrici sono ispirate a un principio di essenzialità. Ecco allora che oltre ai punti che ricordano la pioggia e i chicchi, le stelle, la neve e le note musicali, non troviamo che semplici tracce di contesto come nuvole di ovatta, vette di carta o papaveri di tessuto. Ogni quadro è inoltre offerto a chi legge in grande libertà. Le uniche parole che si trovano nel libro sono infatti poste in prima pagina, come una sorta di breve introduzione al lavoro che ne illustra il senso. L’effetto di un’esplorazione così proposta è suggestivo e straniante, senz’altro non immediato ma davvero capace di spalancare possibilità immaginative nuove e inattese.

Coco e Mosca

Edizioni Arka ha portato in Italia un delizioso progetto editoriale di origine francese. Mini bulles, qui diventato Le nuvolette, è una collana di libri fumetti senza parole per bambini. I volumi che la compongono si caratterizzano, cioè, per un tipo di racconto estremamente fruibile nella misura in cui l’accessibilità legata alla narrazione per immagini si somma a quella dettata dalla partitura regolare delle vignette.

La collana si rivolge idealmente a un pubblico di età prescolare come intuibile dai personaggi e dal tipo di vicende narrate, dalla predilezione per il codice iconico e dall’attenzione a rendere i passaggi da una vignetta all’altra particolarmente chiari ed evidenti. In questo senso, i diversi autori che hanno collaborato a questa collana hanno dato a vita a storie facili da seguire nel loro sviluppo grazie a sequenze che lasciano pochi vuoti narrativi e dunque accompagnano il lettore passo passo. L’idea che sta alla base della collana è, non a caso, che i volumi che la compongono possano prima di tutto essere letti in autonomia dai bambini, senza che debba necessariamente essere un adulto a guidarli (cosa che, in ogni caso, è sempre possibile e offre una diversa possibilità di lettura).

In Coco e mosca di Mathis, uno dei primi due titoli pubblicati all’interno de Le Nuvolette, il protagonista è un piccolo lupo fortemente motivato a usare tutti i pezzi della sua scatola di costruzioni per realizzare una torre altissima. Se i primi piani del progetto non gli creano particolari problemi, da un certo punto in poi il lupetto deve trovare degli stratagemmi per arrivare più in alto. Una scaletta? Non basta. L’aiuto dell’amica cicogna? Non pervenuto. L’uso di una pinza? Apprezzabile nella teoria, fallimentare nella pratica. La frustrazione di Coco cresce e come se non bastasse una mosca continua a tormentarlo, poggiandosi sulla costruzione e compromettendone il già precario equilibrio. Ne nasce un’accanita caccia all’insetto che non darà gli esiti sperati. Ma questo non è necessariamente un male…

Contraddistinto da una grafica pulita, da figure con contorni netti e tratti buffi, da situazioni divertenti e da espressioni estremamente eloquenti, Coco e la mosca propone un racconto per immagini molto lineare e agevole da interpretare. Laddove necessario, l’autore inserisce anche dei balloons il cui contenuto è però a sua volta iconico e privo di parole. Davvero una proposta interessante per prime letture autonome senza parole, accessibili ma non prive di una certa raffinatezza compositiva.

La voce delle cose

La voce delle cose è un libro particolare perché dedica alla disabilità una doppia attenzione. Firmato dall’autrice francese Cécile Bidault ed edito in Italia da Comicout, il volume racconta la storia di una bambina sorda e lo fa attraverso una sorta di fumetto silenzioso in cui le vignette si susseguono facendo uso di pochissime parole. Si tratta dunque di un libro (quasi) accessibile e che al contempo che fa della disabilità oggetto di narrazione.

Costruito in quattro tempi – le quattro stagioni che compongono un anno – il volume è ambientato in un tempo non troppo lontano ed eppure molto diverso da quello presente, soprattutto nel vissuto di chi, come la protagonista, sperimenta una difficoltà di tipo uditivo.  In Francia, dove il libro nasce, la LSF (Langue dei Signes Française) è stata vietata, infatti, fino alla metà degli anni ’70 e La voce delle cose racconta precisamente il disagio, le difficoltà e l’inutile frustrazione che tale scelta ha portato con sé.

La piccola protagonista del volume sperimenta sulla sua pelle non solo lo straniamento di vivere in un mondo indecrifrabile, ben rappresentato da balloons vuoti o contenenti segni incomprensibili, ma anche la mortificazione di sentirsi chiamata ad apprendere una lingua che sente non appartenerle. Per questo, quando si trasferisce con i genitori (udenti) in una nuova casa in campagna e trova un vecchio manuale di segni usati dai sub, il suo approccio alla vita cambia. Il mondo esplorato, sognato e visto assume, infatti, nuovi contorni nel momento in cui può essere detto in una maniera per lei significativa. Di fatto è come se per la prima volta quel mondo iniziasse davvero a esistere. Lo notiamo all’interno delle dinamiche familiari ma anche nei momenti di intima solitudine e nel gioco con il nuovo amico che accompagna la bambina in avventurose esplorazioni. Ma curiosamente il mondo subacqueo si intreccia a quello della bambina lungo tutto il racconto, quando i discorsi non uditi e dunque compresi assumono le sembianze di pesci sfuggenti e trasformano l’ambiente in una sorta di acquario. Così, quando sul finale delle forti piogge provocano un allagamento imprevisto, tutto sembra tenersi e tornare, in una sorta di cerchio metaforico di grande impatto.

Delicato nel fratto e fortissimo nei contenuti, La voce delle cose non fa sconti e non tema di rappresentare gli aspetti più scomodi della disabilità. Lo fa mescolando abilmente dimensione reale e dimensione onirica, quella che facilmente può farsi salvifica quando il quotidiano impone vincoli troppo stretti.

Zuppa di coccole

Zuppa di coccole è il primo libro cartonato in simboli edito da Homeless book. Ha pagine spesse, testi minimi e illustrazioni essenziali: tutte caratteristiche che lo rendono particolarmente adatto alla lettura condivisa con un pubblico di lettori piccoli e piccolissimi.

La formula che lo contraddistingue, già felicemente sperimentata dall’editore faentino, mescola un forte aggancio alla realtà a un leggero tocco narrativo, agevolando il coinvolgimento e la piena appropriazione anche da parte di quei bambini che faticano maggiormente ad allontanarsi dal piano pratico e a seguire trame più o meno complesse. Il libro invita infatti a scoprire cosa bolla nel pentolone, passa in rassegna una serie di appetitosi ingredienti, serve immaginariamente il risultato al lettore e gli suggerisce di concludere il pasto con una calda camomilla e le coccole di mamma. Ben ancorato alla dimensione di un fare concreto, quotidiano e familiare, il libro trasforma lo spunto pratico in un’occasione per rafforzare la relazione attraverso una lettura piacevole.

A questo scopo concorrono in particolare i testi di Daniela Casotti composti con una certa attenzione alla rima e alla musicalità e le suggestive illustrazioni di Piki realizzate in forma di timbro. Minimali – nei dettagli e nel cromatismo -, queste ultime si accompagnano a testi parimenti asciutti dando vita a una pagina pulita, piacevole e comunicativamente efficace. Dal canto loro, i testi (in font maiuscolo) si caratterizzano per strutture sintattiche lineari ed essenziali e vengono supportati visivamente da simboli WLS riquadrati, di dimensione adeguata, in numero ridotto (non più di cinque per pagina) e dotati di qualificatori di numero.

Ne risulta un libro agevole da seguire e dotato di una certa armonia compositiva che ne facilita senz’altro la condivisione anche con potenziali lettori che non necessitino di accorgimenti speciali.

Lumaca, dove sei?

Inaugurata nel 2023 con il racconto illustrato Il cappello, la curatissima collana Doppio Passo di Biancoenero cresce ora con altri due titoli firmati dallo stesso Tomi Ungerer: Scarpa, dove sei? (prima pubblicato da Salani) e Lumaca, dove sei?.

Si tratta di due libri (quasi) senza parole che presentano un impianto analogo: una successione di immagini in cui compare un elemento grafico ricorrente, declinato di volta in volta in maniera diversa. Il titolo è di fatto un invito a trovarlo, una sorta di istruzione minima rispetto all’interpretazione del volume. Così, per esempio, in Lumaca, dove sei? Il lettore è portato a ricercare la caratteristica forma a chiocciola nei contesti più disparati – in montagna, in mezzo alle onde, nel mezzo del salotto e vi dicendo – dove questa si fa trombone o trombetta, proboscide, filo di fumo o cappello da giullare. Si crea così una sorta di fil rouge sottile e impalpabile che lega le figure attraverso la dinamica del gioco e della sorpresa. L’autore è, infatti, maestro nel dare forma a situazioni impreviste e imprevedibili che regalano guizzi immaginativi e spunti narrativi stimolanti per chi legge. Basti pensare al maiale munito di cappellino da festa che tiene ombrello e tromba in equilibrio su una palla o alla facoltosa signora che piroetta sul ghiaccio a bordo di una slitta.

Il risultato è un libro di immagini che stimola la lettura visiva e che genera diletto, soprattutto se condiviso. La riconoscibilità della forma ricorrente, la pulizia grafica delle pagine, l’assenza di dettagli o sfondi superflui e l’autonomia di ciascuna doppia pagina lo rendono inoltre estremamente accessibile anche per chi fatichi a orientarsi all’interno di figure o narrazioni troppo ricche.

Il valzer delle foglie

Chi l’ha detto che l’autunno debba essere per forza la stagione della malinconia e dell’attesa di un tempo in cui la natura si ferma e si congela? Il vento e la caduta delle foglie che caratterizzano questi mesi possono accendere infatti la più vorticosa delle danze, creando sagome, figure, percorsi e giravolte in cui tuffarsi senza ritegno alcuno. Sulla scia delle foglie che si staccano dai rami, si balla, si esplora, si vortica, si naviga… parola dei sei scoiattoli che fanno capolino dalla loro tana in un tronco e si lasciano trasportare dall’irresistibile ritmo autunnale. Tra una capriola e una piroetta, uno di loro si accorge però che una foglia non è caduta. Ecco allora che in quattro e quattr’otto una squadra di soccorso si mette all’opera per far scendere in totale sicurezza quella che diventerà il simbolo di una stagione da conservare, letteralmente e metaforicamente. Sarà più dolce, allora, svegliarsi dal torpore invernale e scoprire che la ciclicità della natura può essere qualcosa di straordinariamente emozionante…

Contraddistinto da un tratto delicato e dinamico, Il valzer delle foglie riesce a dare voce, con pochi tratti schizzati, a una grande espressività che non solo concorre a coinvolgere sensibilmente il lettore ma lo aiuta a procedere con maggiore agio nel lavoro di lettura visiva. Qui l’attenzione ai dettagli si fa determinante: dalla posizione di una zampa, dalla forma degli occhi  o dalla linea della bocca è possibile comprendere cosa pensano e cosa stanno facendo i protagonisti, seguendo un racconto che appare dal canto suo molto lineare e privo di critici salti narrativi. Il valzer delle foglie porta la firma di Oleksandr Shatokhin, artista ucraino che nel 2022 ha partecipato al Silent Book Contest promosso da Carthusia ed è risultato finalista. Il suo libro senza parole mescola con apprezzabile equilibrio grazia e brio, invitando il lettore a guardare alla natura, anche nei suoi momenti apparentemente meno vitali, con occhi nuovi.

L’ultima isola

I silent book di Ji Hyeon Lee portati in Italia da Orecchio acerbo ci hanno abituati a racconti in cui reale e surreale convivono con grande naturalezza, in cui l’assenza di parole moltiplica le suggestioni che si levano dalle pagine e in cui alcuni nodi problematici della contemporaneità trovano spazio in una critica pacata ma incisiva. Così accade, per esempio, che la frenesia caciarona che anima la folla ne La piscina o l’avanzare corrucciato e miope degli adulti ne La porta vengano a galla in tutta la loro stonatura e in netto contrasto con mondi ben più abitabili in cui si muovono solitamente dei protagonisti bambini.

Ne L’ultima isola i bambini non ci sono e la critica si fa più marcata, ma il tratto gentile a matita, l’uso significativo e miratissimo del colore e le incursioni del fantastico rendono evidente la firma dell’autrice coreana. In questo suo terzo albo di sole figure, il lettore entra pian piano in confidenza con l’abitante di un’isola presumibilmente deserta, un uomo mansueto che vive in grande sintonia con l’ambiente naturale che lo circonda. Lo vediamo pescare con la sua piccola rete, raccogliere frutti, condividere pasti e momenti di festa con le altre creature – animali dalle forme bislacche – che popolano l’isola.

Man mano che si avanza nella lettura, però, la vita sul posto si fa meno idilliaca: il livello dell’acqua inizia a salire, con conseguenze nefaste su cose, animali e persone, all’orizzonte si staglia sempre più minaccioso un denso fumo nero e la furia del mare si fa incontenibile. A nulla valgono i tentativi si tamponare la situazione, trasformando per esempio la capanna in una palafitta. La natura sfidata e spremuta in alcune parti del mondo presenta indifferentemente il suo conto a tutti i suoi abitanti. E così, anche il protagonista della storia è costretto a fuggire a bordo della sua fragile barchetta. Il suo approdo reca con sé un piccolo colpo di scena che, come una secchiata d’acqua in viso, risveglia improvvisamente il lettore dal ruolo di spettatore per catapultarlo in un presente da cui nessuno può tirarsi fuori e far finta di non essere coinvolto.

Senza rinunciare al suo tocco magico, Ji Hyeon Lee ci mette di fronte a una realtà drammaticamente vera, una realtà in cui i cambiamenti climatici si fanno sempre più evidenti e pressanti nella loro urgenza e con tutte le conseguenze, non ultima la necessità di migrare di migliaia di persone. Quella realtà che da tempo ormai bussa ostinatamente alle nostre porte ma da cui incoscientemente tendiamo a sottrarci, come se di fatto non ci riguardasse in via diretta, trova nella capacità immaginativa dell’autrice una via potente per arrivare a un pubblico trasversale, toccandolo sul vivo e nel profondo. In questo senso l’assenza di parole risulta particolarmente efficace nella misura in cui veicola contenuti stratificati e complessi che lettori diversi possono modellare sul proprio grado di conoscenza e interpretazione del reale. L’ultima isola si presenta così, non solo come un racconto godibilissimo e toccante ma anche uno strumento estremamente accessibile a partire dal quale muoversi nel presente.

Come vorrei…

Privo di coda e dotato di ali piccolissime, il kiwi è un tipo di uccello totalmente inadatto al volo. Incapacità però non significa disinteresse e proprio da questo spunto prende le mosse il silent book Come vorrei… Qui il pennuto protagonista guarda con fare sognante uno stormo di uccelli migratori e decide di provare a sua volta a cimentarsi con il volo. A nulla valgono però i suoi tentativi, neanche quando sono supportati da piume posticce trovate a terra. Lo sconforto si fa allora grande.

Per fortuna il kiwi non è solo. Il libro ce lo presenta, infatti, a bordo di uno strampalato trabiccolo condiviso con un lemure che non soltanto è molto affettuoso ma anche molto ingegnoso. Ecco allora che calcoli e cacciaviti alla mano, il kiwi riesce finalmente a coronare il suo sogno.

Ideato e illustrato da Francesca Pirrone, autrice e illustratrice versatile che si è cimentata anche con la realizzazione di libri tattili, Come vorrei… è un libro senza parole che presenta una trama semplice e lineare, ben scandita da riquadri netti e narrata attraverso figure essenziali nella scelta dei dettagli e dei colori impiegati. Il libro edito da La Margherita presenta infatti pagine pulite tutte giocate sui toni di rosso, grigio e giallino, la cui delicatezza pastello rispecchia quella del racconto.

Qui spiccano due soli personaggi con pochi elementi di contorno e pochi particolari ben studiati, funzionali alla comprensione dell’accaduto, come per esempio la zigrinatura del becco del kiwi o la comparsa del bernoccolo sulla sua testa dopo i primi tentativi di volo. La narrazione, seppur priva di parole, procede dunque in maniera piuttosto chiara e agevole da seguire, non richiedendo al lettore inferenze particolarmente complesse.

Il ninja innamorato

L’amore ha tante forme, tanti modi di esprimersi, tante direzioni. Così, per esempio, il ninja protagonista del libro di Ale Puro, vincitore del Silent Book Contest 2023, si innamora della luna – in particolare quando non è né piena né nuova – e sfrutta la sua invidiabile agilità per avvicinarsi a lei il più possibile, financo a conquistarla. Il suo è un vero e proprio colpo di fulmine: la nota nel cielo mentre saltella di tetto in tetto e da lì in avanti non fa che pensare a lei, nelle situazioni più disparate. La ammira, la sogna, cerca in diversi modi, alcuni davvero molto buffi, di raggiungerla. Il lieto fine è dietro l’angolo e porta letteralmente il sorriso, non solo sul volto del lettore…

Semplice e contraddistinto da alcuni guizzi surreali, Il ninja innamorato è un libro senza parole caratterizzato da forme minime e poco rifinite, colori pieni e giochi cromatici che aiutano a seguire l’avanzare del racconto. Sulle tavole a predominanza scura – il nero e il blu dei ninja e della notte la fanno, infatti, da padroni – spiccano, per esempio, il rosso del palloncino con cui il protagonista cerca di alzarsi nel cielo o l’arancione della zuppa in cui scorge la sagoma adorata. E il giallo, chiaramente, della luna tanto amata.  Lo sviluppo del racconto è lineare e questo, unito all’assenza di dettagli confusivi o superflui, gioca a favore della fruibilità del volume anche in caso di difficoltà di lettura visiva e interpretazione.

Le puzzole Agata e Romeo e il primo giorno di scuola

Pepe è un cane furbo e vivace e ha uno zaino magico che porta sempre con sé. Nel suo zaino c’è un libro di storie da cui trae piccoli racconti, uno per ogni volume che lo vede protagonista.

In Le puzzole Agata e Romeo e il primo giorno di scuola, per esempio, leggiamo di Pepe che aiuta le puzzole Agata e Romeo ad affrontare in maniera serena l’inizio dell’avventura scolastica e a superare il timore di essere isolate dai compagni a causa del loro odore. La storia delle due puzzole, così come le altre che compongono la collana dedicata al cane Pepe, è evidentemente molto breve, lineare e piacevole, seppur priva di veri e propri guizzi narrativi: caratteristiche che in parte rispondono a un preciso intento, quello di offrire racconti il più possibile fruibili anche da parte di bambini con disabilità uditiva.

Le storie di Pepe sono state confezionate, infatti, con un’attenzione particolare alle difficoltà di lettura dei bambini sordi: difficoltà legate soprattutto al riconoscimento e all’attribuzione di significato a componenti del testo come preposizioni, pronomi, congiunzioni e articoli. Le puzzole Agata e Romeo e il primo giorno di scuola dedica particolare attenzione agli articoli. Il volume privilegia, infatti, frasi – per esempio in forma di elenco – che ne contengano diversi. Difficili da percepire a livello labiale ma anche da riempire di senso poiché prive di un referente concreto, queste particelle del testo tendono infatti a essere trascurate dal giovane lettore sordo, compromettendone l’effettiva comprensione del testo oltre che il piacere della lettura.

Alla luce di queste constatazioni, gli articoli non vengono solo ampiamente usati nel testo ma anche valorizzati dal punto di vista grafico, grazie a caratteri più grandi e colorati che invitano implicitamente il lettore a non trascurarli. Il volume tiene inoltre conto della difficoltà sperimentata da molti bambini sordi nell’interpretare le espressioni idiomatiche come “vuotare il sacco” o “tagliare la corda”. Entrambe le espressioni vengono perciò inserite nella narrazione e al protagonista Pepe che le pronuncia viene affidato il compito di spiegarle in maniera semplice. In questa cornice, l’aggiunta di giochi-esercizi posta al fondo dei volumi e normalmente discutibile nell’ambito della produzione per l’infanzia che voglia essere veramente libera da una certa pesantezza didattica, risultano funzionali a favorire una reale appropriazione del testo.

Sempre nella medesima ottica, i volumi valorizzano il ruolo che le figure possono avere nel sostenere la comprensione del testo, dedicando per esempio grande attenzione alle espressioni del viso dei personaggi o la puntuale correlazione con ciò che dicono le parole. Allo stesso modo essi rendono evidente l’attribuzione dei dialoghi attraverso un semplice ma ingegnoso espediente. A fianco di ogni battuta compare, infatti, l’icona del personaggio che in quel momento sta parlando: in questo modo il testo non viene gravato e la fluidità di lettura e comprensione ne guadagna. Si tratta in generale di accorgimenti minimi ma significativi, che predispongono un terreno di lettura amichevole e abbordabile non solo per i bambini sordi per cui sono specificamente progettati ma anche per tanti altri bambini che ne condividono le difficoltà pur manifestando altri disturbi o disabilità.

La collana de Le storie di pepe e del suo zaino magico è nata per intuizione dell’autrice Paola Secchi, particolarmente sensibile rispetto alla questione del diritto alla lettura di bambini con disabilità uditiva, ed è cresciuta grazie al coraggio della casa editrice Astragalo, decisa a rispondere a un bisogno poco noto ma molto delicato e importante, e al confronto con Francesca Volpato e Carmela Bertone dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, specializzate nello studio del rapporto tra apprendimento linguistico e sordità. La collana lavora concretamente in un’ottica inclusiva anche grazie alle illustrazioni accattivanti dal tratto fumettistico firmate da Simona Capovilla, con la supervisione grafica di Bruno Testa.

Spread the signs

Spread the signs è il dizionario di lingue dei segni con oltre 200 000 segni. Contiene le traduzioni in oltre 20 lingue diverse. Attraverso questa applicazione è possibile visualizzare tramite piccoli video la traduzione in LIS di ciò che viene scritto nella barra di ricerca.

 

 

AUD-1

AUD-1 è l’evoluzione moderna di un apparecchio acustico, divenendo ora un software di ascolto assistito. Progettato da scienziati dell’udito, AUD -1 funziona tramite l’elaborazione del suono dal microfono per poi riprodurlo in cuffia in tempo reale. Il trattamento è progettato per migliorare la chiarezza del suono e regolare il volume del rumore circostante. L’utente potrà provare diverse impostazioni per scoprire quale si adatta meglio alle proprie esigenze. L’app permette anche di controllare il volume dei suoni in generale e di variare la soglia di rifiuto di suoni di sottofondo. Inoltre le impostazioni possono essere regolate in modo indipendente per ciascun orecchio. Insomma, una moderna tecnologia al servizio delle difficoltà di ascolto che possono incontrarsi nella quotidianità.

Cercasi gamba!

C’è una sedia in mezzo al nulla. Come sia finita lì non si sa ma in fondo non ha nemmeno tanta importanza. Quel che si sa è che a quella sedia manca una gamba. Non che la cosa la renda meno sedia ma chi passa da quelle parti è portato a pensare che possa farle comodo un supporto supplementare. Ecco allora che le cose più disparate, dalle baguette agli ombrelli, dai palloni alle trombe, vengono sistemate a mo’ di protesi là dove la gamba davanti a destra non c’è. Ma le baguette sono facile preda di topini affamati, gli ombrelli attraggono avventori sorpresi dalla pioggia, i palloni volano via e le trombe sono fatte per essere suonate. Morale: una dopo l’altra, le gambe posticce vengono tolte e poi rimpiazzate. Fino a quando la situazione sembra tornare al punto di partenza. È solo un’impressione, però. Ché a ben guardare, anche nel nulla qualcosa si muove e la soluzione più duratura può richiedere attesa e pazienza ma offrire in cambio solidità e bellezza.

Delizioso, divertente e capace di aprire riflessioni interessanti attraverso la metafora della sedia a cui manca un pezzo, Cercasi gamba è un libro senza parole anche estremamente accessibile. Le sue ampie pagine di formato quadrato – come caratteristico dei volumi della collana Silent Book di Carthusia – accolgono infatti un’inquadratura fissa in cui la sedia protagonista è rappresentata in primo piano. Non vi sono elementi di contorno che possono creare confusione o distrarre il lettore. Gli unici dettagli che circondano il soggetto principale sono le poche ed essenziali linee delle montagne sullo sfondo che contestualizzano il racconto e quelle che scandiscono il tempo o delineano agenti atmosferici funzionali alla narrazione.

Quest’ultima si fonda inoltre su di una struttura iterata in quattro tempi (e due doppie pagine) che agevola l’aggancio e la comprensione: un personaggio si accorge che manca la gamba – mette un oggetto che funga da supporto – l’oggetto viene rimosso da qualcun altro – il problema iniziale si ripropone, e via da capo. Da ultimo, il volume si caratterizza per uno stile minimale in cui i pochi oggetti sulla scena vengono rappresentati con pochi tratti significativi attraverso i quali risulta più agevole interpretare sentimenti e azioni. Il risultato è un racconto per immagini molto eloquente che si presta tanto a letture individuali quanto a letture ad alta voce.

Opera dell’autrice torinese Irene Frigo, Cercasi gamba è uno dei libri finalisti del Silent Book Contest 2022. All’interno della medesima edizione del premio ha inoltre vinto la sezione Junior, ossia è stato preferito tra gli altri finalisti da una giuria di bambini della scuola primaria.

Look book

Come è possibile che nessuno lo pubblichi da noi?, ci si chiede spesso a proposito di libri stranieri bellissimi e intramontabili che circolano tra gli addetti ai lavori o che si ammirano in fiera. Straordinario, traversale e accattivante, Look Book di Tana Hoban è esattamente uno di questi libri. Per questo motivo, è grandissima la riconoscenza verso Camelozampa che finalmente lo ha portato in Italia.

Con questo titolo, che è stato pubblicato per la prima volta più di 25 anni fa e che è uno dei più famosi e diffusi libri fotografici per bambini (e non), l’editore padovano inaugura una promettente collana interamente dedicata agli albi fotografici: una categoria di libri ancora troppo poco diffusa sui nostri scaffali e al contempo estremamente apprezzata dai bambini, piccoli e noi. La riconoscibilità delle immagini e la possibilità di giocarci su attraverso un uso più o meno ingegnoso delle inquadrature e delle sequenze rende infatti i libri fotografici particolarmente appetibili.

Look Book, in particolare, unisce questi aspetti a un semplice espediente cartografico che crea un coinvolgente dinamica ludica. Grazie a un piccolo foro tondo, il libro invita dapprima a osservare il dettaglio di un’immagine fotografica. Solo in un secondo momento, fatte le dovute ipotesi su cosa possa rappresentare e voltata la pagina, egli ha modo di vedere la fotografia integrale da cui il dettaglio è stato tratto. Ma non è tutto, voltando ancora la pagina, si allarga ulteriormente l’inquadratura della fotografia o cambia la sua angolatura così che il lettore possa coglierne il soggetto in un contesto più ampio. Attraverso micro-sequenze composte da 3 pagine ciascuna, il volume di Tana Hoban riesce così a giocare sull’indizio, sul riconoscimento, sulla sorpresa, sullo sguardo che si amplia. Queste pagine così pulite e così ben congegnate offrono così l’occasione di guardare e di vedere, trasformando cavoli, girasoli, struzzi e bretzel in soggetti davvero intriganti e fuori dall’ordinario.

Semplice e raffinato come solo i buoni libri sanno essere, Look Book è un libro prezioso anche dal punto di vista dell’accessibilità. L’assenza di parole, la pulizia grafica, la brevità delle singole sequenze, il ricorso a un medium aderente al reale come quello fotografico, la scelta di soggetti noti o facilmente riconoscibili, la dinamica ludica e l’aumento progressivo dei dettagli cui prestare attenzione costituiscono, infatti, elementi chiave per facilitare la piena fruizione del volume e dei suoi contenuti anche da parte di bambini che fatichino a confrontarsi con la parola scritta, con pagine confuse o affollate, con immagini troppo astratte o con narrazioni troppo lunghe. Ecco allora che attraverso pagine forate e immagini che catturano lo sguardo, un solo libro come Look Book ha la capacità di intercettare bambini con abilità diverse, offrendo loro un’occasione di lettura visiva appagante, curata e particolarmente coinvolgente.

This is not a book

Viaggiare, divertirti, nutrirti, metterti nei panni di un esploratore, di un campione di tennis o di un famoso pianista …. Sono tante le cose che un libro di qualità ti permette di fare. Vero è che se quel libro nasce dal genio irriverente di Jean Jullien è probabile che tutte quelle cose tu possa fare non solo metaforicamente ma letteralmente. Provare per credere!

In un libro come This is not a book, infatti, le pagine rinunciano a raccontare una storia lineare per trasformarsi in una successione di oggetti e contesti con i quali il lettore può interagire. Giocando sul confine segnato dalla rilegatura tra le pagine, sul movimento che consente al volume di essere sfogliato e sulla possibilità di variare l’angolo formato da ogni doppia pagina, il libro diventa, infatti, di volta in volta un computer, una cassetta degli attrezzi, un frigo o – perché no? – una tenda da campeggio. A ogni doppia pagina, dunque, si apre una nuova sorprendente possibilità e così il lettore può scrivere un’email picchiettando su tasti disegnati, afferrare uno spuntino, fingere di suonare una sinfonia o, ancora, far applaudire le pagine.

Come intuibile dal titolo, il libro è inglese ma essendo del tutto privo di parole e facilmente reperibile online,                 l’origine non costituisce un ostacolo. Il libro di Jean Jullien merita, anzi, di essere cercato e proposto perché offre un raro mix di ingredienti capaci di incentivare e sostenere il rapporto con il libro anche laddove siano presenti difficoltà di lettura: la sorpresa, la dimensione ludica, l’assenza di parole e l’autonomia di ogni doppia pagina predispongono un terreno felice per incontrare il libro in una veste inattesa, coinvolgente e del tutto svincolata dalla performance. Da non sottovalutare, infine, la delizia dell’impertinenza: le linee essenziali che d’emblée trasformano la pagina in un paio di chiappette faranno cedere anche i non-lettori più diffidenti (almeno quanto faranno risvegliare l’indignazione di qualche adulto)!

Vieni con me

Pigiama, coperte, medicine sul comodino: tutti gli indizi in prima pagina lasciano intendere che una mattina non proprio entusiasmante attenda il protagonista di Vieni con me. Il sorriso della bambina che entra dalla porta della sua stanza con una pila di fogli e colori cambia però le carte in tavola. Con sé tiene anche un palloncino. Che piani avrà mai in mente? Gonfiarlo, chiaramente! Fino a farlo diventare grandissimo e trasformare il letto in una sorta di rudimentale mongolfiera. Ché disegnare, certo, aiuta ad ammazzare il tempo ma trasformare i disegni in viaggi avventurosi è tutta un’altra faccenda!

Qualche tratto colorato sul foglio ed ecco, infatti, che stormi di uccelli variopinti circondano il letto e lo accompagnano tra le nuvole. Da lì si ammira un panorama incantevole, anche di notte. Ma non c’è tempo da perdere, sono tanti i luoghi ancora da visitare. Capre di montagna, pinguini, piovre giganti e pesci prendono rapidamente forma sui fogli e guidano il letto magico tra vette innevate, foreste tropicali e abissi animati. Serve forse una pausa. Che strada prendere ora? Basta seguire le frecce sul foglio e immaginare nuove straordinarie destinazioni….

Con i suoi disegni ad acquerello che spalancano atmosfere incantate, Linde Faan ci regala un libro senza parole in cui il desiderio di evasione la fa da padrone e in cui i colori intensi sono un invito irresistibile ad accodarsi alla coppia di viaggiatori. L’escursione è dal canto suo lineare e segue uno schema iterato che facilita la previsione e la comprensione di quel che accadrà. L’autrice è inoltre brava a delineare con pochissimi e sottili tratti a matita posizioni, movimenti ed espressioni del volto dei protagonisti che favoriscono l’immedesimazione e la partecipazione del lettore, anche laddove la lettura visiva non sia così allenata.

Attraverso pagine ricchissime e silenziose e un’idea di fondo nota ma sempre potente come quella del disegno che spalanca possibilità inventive, Vieni con me celebra il potere dell’immaginazione e in particolar modo dell’immaginazione condivisa. Non è solo il fatto di poter viaggiare con la fantasia, infatti, a cambiare di segno il tempo e l’umore del protagonista quanto anche e soprattutto il fatto di poterlo fare con una compagna affettuosa e vicina come la ragazzina che gli porta sorridente fogli, palloncino e pennarelli. Ché in due, si sa, le idee si alimentano, spiccano il volo e arrivano più lontano di quanto mai potrebbe accadere in piena solitudine.

Gli animali selvaggi

Si potrebbe pensare che Gli animali selvaggi sia un comune libro dedicato ad animali esotici. E invece no, il libro di François Delebecque, così come gli altri che fanno parte della stessa serie edita in Francia da Les Grandes Personnes e portati in Italia dall’Ippocampo, è decisamente molto di più. Qui il bambino non si limita infatti a trovare leoni, tigri, struzzi e babbuini disegnati ma ha l’occasione di conoscere e riconoscere questi animali da vicino, da diverse prospettive e in un crescendo di complessità che asseconda le sue abilità cognitive.

Come lo fa? Attraverso una scelta stilistica orientata alla pulizia e all’essenzialità (grandi sfondi bianchi su cui si stagliano silhouette nere), una particolare attenzione al tema della somiglianza e della varietà (animali della stessa famiglia sono affini ma non identici così come lo stesso animale può avere aspetti differenti a seconda dalla prospettiva e dal contesto in cui lo si guarda), e un impianto a finestrelle che invita all’interazione, al gioco e al confronto tra differenti forme di rappresentazione.

Ogni doppia pagina  presenta 4-5 finestrelle – una più grande sulla sinistra e altre 3-4 più piccole sulla destra – su cui figura la sagoma nera del soggetto. Ben distinguibile anche in caso di ipovisione, questa illustra l’animale mettendone in evidenza i tratti più pertinenti. I soggetti sono perlopiù rappresentati di profilo nella pagina di sinistra, così da risultare più riconoscibili al primo impatto, mentre sono spesso proposti di fronte, a figura non intera o a gruppi nella pagina di destra: aspetto, questo, che invita il lettore a cimentarsi con operazione di riconoscimento via via più articolate e sfidanti.  Le sagome, dal canto loro, non sono disegnate a caso ma ricalcano esattamente la fotografia dell’animale nascosta sotto la finestrella. Tra il sotto e il sopra di quest’ultima si viene così a creare un gioco di richiami e rimandi che non solo diverte ma supporta efficacemente l’acquisizione di dimestichezza con forme di rappresentazione più e meno realistiche. Un’ultima doppia pagina, infine, ripropone sempre in forma di finestrella tutti gli animali incontrati dal lettore all’interno del libro, offrendogli un’ulteriore occasione di scoperta, gioco e conferma delle abilità fin lì messe alla prova.

Versatile e intrigante, Gli animali selvaggi si presta a essere utilizzato in molti modi diversi, rispettando e stimolando le diverse abilità dei diversi lettori. Rispetto ad altri volumi della collana, come quello dedicato agli animali della fattoria, questo spinge la curiosità del lettore un poco più in là, andando a fotografare animali esotici più e meno noti – dal leone al suricate, dal babbuino al fenicottero – con cui i bambini hanno con tutta probabilità avuto meno possibilità di interfacciarsi nella realtà.

Lingua dei Segni Italiana – Piccolo Vocabolario bebè e genitori

Pratici, spendibili, accattivanti: i libretti dedicati alla Lingua del Segni Italiana da poco pubblicati da Logos sono strumenti di cui davvero si sentiva la mancanza. Progettati in un’ottica squisitamente inclusiva, si presentano come manuali snelli e di facile uso e si rivolgono a un pubblico ampio, tutt’altro che limitato ai bambini sordi o ai loro familiari. Il progetto da cui prendono le mosse – SegniAmo Bimbi – promuove, infatti, la diffusione della LIS tra i bambini udenti più e oltre che tra i bambini sordi, forte dell’idea che la conoscenza della Lingua dei Segni può riservare benefici importanti non solo in termini di superamento di barriere comunicative e culturali ma anche di supporto all’apprendimento della lingua vocale. Per tutti.

I libri ad oggi pubblicati da Logos in questa direzione sono due: Piccolo vocabolario bebè e genitori e Alfabeto manuale.

Piccolo vocabolario bebè e genitori raccoglie circa 120 segni divisi per argomento e scelti tra quelli che più facilmente possono toccare la quotidianità di un bambino e, dunque, risultare utili nella comunicazione in famiglia. Troviamo, per esempio, segni inerenti alla famiglia, al cibo, al corpo, alla natura o ai sentimenti. Di ogni segno viene offerta la rappresentazione grafica, resa con il suo stile inconfondibile da Roger Olmos, e la corrispettiva parola. Ogni doppia pagina si presenta, perciò, molto pulita ed essenziale, con un efficace sfondo bianco su cui si stagliano al massimo quattro segni. In alto compare inoltre sempre un QR code che in maniera molto pratica consente di visualizzare gli stessi segni in formato video: una modalità, questa, che ne valorizza l’aspetto dinamico e ne chiarisce al meglio la modalità di esecuzione.

Il volume, come indicato dal titolo stesso, nasce per facilitare la comunicazione tra genitori e bebè, quando questi ancora non padroneggiano la parola. In questo senso Piccolo vocabolario bebè e genitori si avvicina, per intento, al programma Baby Signs il quale sfrutta però allo stesso fine sia segni tratti dalla LIS sia segni altri. Occorre tuttavia precisare che molti dei segni inclusi all’interno del volume di Logos sono assolutamente spendibili anche molto più avanti, per esempio in età prescolare o durante la scuola primaria. In questo senso, se è vero che il titolo scelto concorre a sottolineare l’utilità dell’uso della LIS con i bambini piccolissimi, speriamo non disincentivi la scoperta e l’impiego del volume con e da parte di bambini più grandi.

La forza di volumi come Piccolo vocabolario bebè e genitori e Alfabeto manuale risiede, invece, in almeno tre qualità. La prima è fare della LIS uno strumento trasversale che possa esprimere le proprie potenzialità ben al di là dell’ambito della disabilità uditiva. La seconda è coinvolgere a questo fine un illustratore del calibro e della bravura di Roger Olmos, grazie al quale il confine tra rappresentazione grafica del segno e illustrazione espressiva diventa molto labile. La terza, infine, è sfruttare in maniera intelligente ed efficace la sinergia tra cartaceo e digitale, sfruttando le potenzialità di quest’ultimo non per inserire inconsistenti orpelli ma per apportare un significativo valore aggiunto.

Lingua dei segni italiana – Alfabeto manuale

Pratici, spendibili, accattivanti: i libretti dedicati alla Lingua del Segni Italiana da poco pubblicati da Logos sono strumenti di cui davvero si sentiva la mancanza. Progettati in un’ottica squisitamente inclusiva, si presentano come manuali snelli e di facile uso e si rivolgono a un pubblico ampio, tutt’altro che limitato ai bambini sordi o ai loro familiari. Il progetto da cui prendono le mosse – SegniAmo Bimbi – promuove, infatti, la diffusione della LIS tra i bambini udenti più e oltre che tra i bambini sordi, forte dell’idea che la conoscenza della Lingua dei Segni può riservare benefici importanti non solo in termini di superamento di barriere comunicative e culturali ma anche di supporto all’apprendimento della lingua vocale. Per tutti.

I libri ad oggi pubblicati da Logos in questa direzione sono due: Piccolo vocabolario bebè e genitori e Alfabeto manuale.

Alfabeto manuale si propone di accompagnare i bambini, sordi ma anche e soprattutto udenti, alla scoperta della dattilologia, ossia della rappresentazione delle lettere attraverso specifiche configurazioni delle mani. Si tratta, nello specifico, di uno strumento impiegato dalle persone sorde per rendere comprensibili delle nuove parole o per esprimere nomi propri a cui non corrisponde un segno specifico. Agli occhi di un udente, l’alfabeto manuale può ricordare l’alfabeto muto usato nei giochi infantili e proprio valorizzando un analogo approccio ludico e piacevole viene proposto in questo libro. L’alfabeto manuale può, infatti, risultare utilissimo a chiunque per inviare messaggi segreti, per comunicare senza farsi sentire o per farsi capire in condizioni di caos e inquinamento acustico: tutte forme di scambio e interazione che possono peraltro coinvolgere anche bambini sordi in una dinamica assolutamente paritaria. È proprio quando uno strumento messo a punto per una disabilità trova il modo di uscire dai confini ristretti di quest’ultima per diventare patrimonio di tutti che possiamo a tutti gli effetti parlare di inclusione.

Come in una sorta di alfabetiere, ogni pagina di Alfabeto manuale è dedicata a una diversa lettera. Quest’ultima viene riportata in minuscolo e in maiuscolo, viene associata al nome di un animale di cui è iniziale (scritto a sua volta in stampatello minuscolo e in corsivo) e viene soprattutto resa attraverso la configurazione manuale corrispondente, vera protagonista della pagina. La peculiarità del volume risiede senz’altro nel tocco artistico aggiunto da Roger Olmos, a cui è affidata la rappresentazione della configurazione di ogni lettera e l’illustrazione dell’animale di cui è iniziale. Non solo perché questo rende molto attraente la pagina, invitando a scoprirne e sperimentarne il contenuto, ma anche perché crea un’interazione tra mano e animale (per esempio, il koala appare come abbracciato al polso, il collo del fenicottero si insinua tra le dita mentre l’iguana si arrampica agile sul dorso) che favorisce la memorizzazione. Su ogni pagina compare inoltre sempre un QR code che in maniera molto pratica consente di visualizzare in formato video i segni relativi agli animali rappresentati così come la loro indicazione tramite alfabeto manuale: un formato, questo, che valorizza l’aspetto dinamico dei segni e ne chiarisce al meglio la modalità di esecuzione.

La forza di volumi come Piccolo vocabolario bebè e genitori e Alfabeto manuale risiede in almeno tre qualità. La prima è fare della LIS uno strumento trasversale che possa esprimere le proprie potenzialità ben al di là dell’ambito della disabilità uditiva. La seconda è coinvolgere a questo fine un illustratore del calibro e della bravura di Roger Olmos, grazie al quale il confine tra rappresentazione grafica del segno e illustrazione espressiva diventa molto labile. La terza, infine, è sfruttare in maniera intelligente ed efficace la sinergia tra cartaceo e digitale, sfruttando le potenzialità di quest’ultimo non per inserire inconsistenti orpelli ma per apportare un significativo valore aggiunto.

Le quattro stagioni

Ali Mitgutsch è considerato un maestro, se non addirittura l’inventore, dei cosiddetti libri-affresco (o wimmelbucher), ossia quei libri senza parole che racchiudono in ogni doppia pagina un mondo brulicante di personaggi impegnati in varie azioni, più o meno collegate tra di loro. Si tratta di libri attraenti e stimolanti, che invitano lo sguardo a sostare sulla pagina e ad avventurarsi in sfiziose esplorazioni. In questo modo, seguendo percorsi liberi e non prestabiliti, il lettore ha la possibilità di scovare dettagli divertenti e inattesi, di immaginare e intrecciare piccole narrazioni, di riconoscere azioni note e scoprirne di sconosciute. In altre parole, di perdersi e di ritrovarsi.

I libri-affresco dell’autore tedesco, in particolare, si caratterizzano per la presenza di personaggi dalle fattezze poco rifinite ma estremamente espressive, resi significativi non tanto dal loro aspetto fisico (tant’è che molti si assomigliano e potrebbero tranquillamente essere confusi tra loro) ma dalla mimica del volto, dalle posizioni assunte e dalle azioni in cui sono coinvolti. Tutti resi con pochi, pochissimi tratti. Le sue tavole sono poi contraddistinte da un’umanità vivace ed estremamente variegata, composta da bambini, adulti ed anziani, lavoratori e persone che oziano, tipi seriosi e monelli. La monelleria, a onor del vero, ha sempre un posto di rilievo, tra furti di fiori e frutti, gavettoni e bagni notturni. Tutelato anche dall’affollamento delle pagine e dallo stile poco dettagliato, l’autore non teme da lasciare spazio al corpo in tutte le sue forme, anche quella priva di vesti, sicché non mancano quasi mai personaggi che fanno pipì di nascosto o che per ragioni varie sfoggiano al vento le loro nudità. Inutile dire quanto questo aspetto susciti divertimento e soddisfazione, quando scovato nel pullulare dell’illustrazione.

Ne Le 4 stagioni, troviamo inquadrato un grande parco in cui, di giorno e di notte, d’estate come d’inverno, accadono innumerevoli cose. In funzione della stagione, del clima e del paesaggio che si genera, c’è chi gioca, chi costruisce, chi vende, chi sorveglia, chi rema, chi pattina… La stessa cornice accoglie così un brulicare di attività che seguono lo sviluppo dell’anno rendendo la scena sempre nuova e sorprendente. Abilissimo è, infatti, l’autore nel cogliere e valorizzare gli spunti narrativi offerti dalle diverse stagioni, come i bambini che costruiscono coroncine di fiori in primavera, i signori che fanno ginnastica a torso nudo in estate, gli ombrelli che volano via in autunno o il malcapitato che cade nel lago ghiacciato in inverno.

Il libro-affresco di Ali Mitgutsch potrebbe essere idealmente affiancato, per tema e per tipo di composizione a I libri delle stagioni di Susanne Rotraut Berner. Rispetto a questi ultimi presenta, però, una struttura meno articolata e complessa perché ogni doppia pagina fa in qualche modo storia a sé. L’inquadratura sembra spostarsi ora di poco, ora di molto, predisponendo scenari coerenti e riconoscibili, ma ciò che accade nella pagina precedente non è rilevante per capire, interpretare e apprezzare ciò che accade in quella successiva. Se questo aspetto concorre a ridurre la complessità della costruzione narrativa e dell’avventura ermeneutica a cui questa può dare luogo, contribuisce d’altra parte a rendere la lettura più accessibile anche a chi manifesti maggior difficoltà a padroneggiare storie lunghe che si sviluppano su più pagine. Esaurendosi nello spazio di una stagione, la micro-avventure messe su carta da Ali Mitgutsch risultano così godibilissime nella loro individualità e istantaneità, permettendo al lettore di immaginare ciò che c’è prima e ciò che c’è dopo in grande libertà.

Sector 7

Una gita sull’Empire State Building promette una vista spettacolare e imbattibile di New York. Certo, a patto che non ci sia una nebbia da tagliarsi col coltello, altrimenti non resta che accontentarsi di un vago e indistinto biancore. Anche il quel caso, però, non è detto che la gita sia destinata al fallimento. Può capitare, per esempio, che una nuvola burlona ti rubi sciarpa e cappello e che in cambio ti offra un set 100% cumulonembo: un modo come un altro per sancire una nuova amicizia e dare avvio a un’avventura incredibile. È proprio così, infatti, che il bambino protagonista di Sector 7, trasportato dal suo amico vaporoso, arriva in un misterioso edificio sospeso nel cielo e invisibile dalla Terra. Da qui, come fosse una grande stazione centrale, partono e arrivano tutti i tipi di nube. annunciati da appositi e riconoscibili tabelloni. Ma qui le nubi vengono anche studiate, progettate e formate con scrupoloso rigore da un team di serissime persone. Vietato sgarrare e variare di forma: come mai si potrebbero accettare nuvole con sembianze di pesce, di polpo o persino di medusa? Eppure le nuvole sono stufe di avere tutte la stessa sagoma. Così, grazie all’aiuto del bambino, mettono in atto una protesta sorprendente che trova la sua cornice migliore proprio nel cielo di Manhattan!

Da qualunque parte lo si guardi, Sector 7 porta la firma inconfondibile di David Wiesner. Il tratto minuzioso, la scansione rigorosa dei passaggi, l’uso narrativo delle cornici e degli spazi bianchi, l’incontro fertile tra realtà e immaginazione e la costruzione di una storia che chiede di essere raccontata con una logica e una struttura squisitamente visive sono, infatti, aspetti caratteristici della produzione dell’autore americano, che ritroviamo per esempio anche in Martedì o in Flutti. Quella che qui viene offerta al lettore è cioè un’autentica, profonda e complessa esperienza di lettura che non ha assolutamente nulla da invidiare a quella che potrebbe offrire un racconto scritto. Ci sono infatti una trama articolata, dialoghi impliciti da svelare, dettagli da cogliere e mettere in relazione e atmosfere di ampio respiro da esplorare in tutta la loro raffinata coerenza.

Ecco allora che, messi di fronte a un’avventura per immagini di tale respiro, anche lettori poco attratti dal testo scritto o contraddistinti da disabilità o disturbi che ostacolano la lettura pur non coinvolgendo la dimensione cognitiva, possono sentirsi fortemente motivati, apprezzati e sollecitati in un’esperienza che non è sterile esercizio ma fonte di appagante piacere. Sempre dal punto di vista dell’accessibilità, un libro come Sector 7 vanta un’altra caratteristica non trascurabile, ossia la capacità di mettere sulla pagina tutti gli elementi che occorrono a chi legge per avanzare e interpretare il racconto. Per come sono costruite e collegate tra loro, le illustrazioni accompagnano, infatti, la lettura senza lasciarla in sospeso, sposando così la ricchezza della rappresentazione a un’apprezzabile evidenza narrativa.

Orsi in salita

AAA, osservatori incalliti cercasi. Astenersi soffritori di vertigini! C’è tanto da scrutare e altrettanto da salire, infatti, tra le pagine pullulanti di Corinne Zanette. Qui, orsi, galletti, maiali e un’ampia gamma di altre deliziose bestiole si gode una giornata di sole ad alta quota. Si parte da un’altezza base, quella dei tetti più bassi, e da lì si sale, si sale, si sale, tra campanili, ruote panoramiche, gru, elicotteri e cime innevate. Girando pagina, è come se la telecamera che inquadra la scena si elevasse di qualche metro. Ciò che si trova nella parte bassa della pagina scompare dunque in quella successiva, mentre ciò che si trova nella parte in alto scende in fondo. E così via, alla pagina seguente. Come l’inquadratura, anche il tempo non è immobile e così a ogni sfogliatura ritroviamo buona parte dei personaggi che popolano la pagina precedente, intenti a proseguire o concludere l’azione che già li vedeva protagonisti. Chi si stava facendo la doccia si asciuga, chi faceva stretching inizia la coreografia, chi saliva in seggiovia si avvia con gli sci o con lo slittino e via dicendo.

L’architettura narrativa su cui poggia Orsi in salita è a tutti gli effetti mirabolante e mostra una straordinaria coerenza di fondo. C’è coerenza in ciò che fa il singolo personaggio e c’è coerenza nell’intreccio tra le azioni che vedono protagonisti personaggi diversi. Così Gianni canaglia, l’elefante dispettoso, appare intento a disturbare e giocare brutti tiri ad altri animali dall’inizio alla fine del libro. O Gulliver, il maiale osservatore, trova sempre nuove postazioni da cui guardarsi intorno con il suo binocolo. Ogni doppia pagina riunisce così da due a tre decine di personaggi – quadrupede più, bipede meno – intenti a fare cose. Qualcuno compare dalla prima all’ultima pagina, qualcuno scompare e riappare, qualcuno sopraggiunge a un certo punto: come uno spazio aperto, le pagine di Corinne Zanette accolgono così un viavai interminabile che si fa costante motivo di sorpresa e solletico decifrativo.

Dinamicissime, brulicanti e letteralmente zeppe di dettagli, queste sono in realtà del tutto prive di decorazioni accessorie. Tutti i numerosi particolari presenti sono, infatti, funzionali alla narrazione e questo, unito al tratto pulito dell’autrice, rende l’esplorazione particolarmente piacevole, ancorché non banale. Aggirarsi tra i tetti e le cime di Orsi in salita implica infatti una caccia ininterrotta a minuzie significative, uno sforzo di riconoscimento e memoria, di figure e luoghi, che il continuo slittamento di spazio e di tempo segnato dal voltare di pagina e la relativa somiglianza tra diversi protagonisti rendono particolarmente sfidante. Ecco allora che lettori non ancora o non del tutto a loro agio di fronte alla parola scritta, ma le cui facoltà cognitive risultino integre, possono trovare nel libro di Corinne Zanette uno spazio estremamente stimolante in cui cimentarsi con la lettura visiva.

L’orso antennista, i due conigli innamorati, il cane menestrello, la lumachina Lia – minuscola ma sempre presente-, il volatile postino non tanto pratico, la famiglia Fracasso con piccoli tremendi e mamma sull’orlo di una crisi di nervi: l’universo formicolante di Orsi in salita è popolato da decine di personaggi, contraddistinti da ruoli sociali, personalità, passioni e attività ben definiti e precisi, che si sviluppano di pagina in pagina con grande inventiva e profusione dei dettagli. Puntellato di guizzi inventivi particolarmente riusciti, il libro di Corinne Zanette si fa così apprezzare per il piacere dalla scoperta e del ritrovamento, per il gusto delle attività quotidiane riviste in chiave animale, per la moltiplicazione delle azioni e delle relazioni che si intrecciano e per il tocco surreale che anima l’intero racconto.

La forma in-forma

Quintessenza del libro-gioco accessibile, La forma in-forma è un libro di stoffa che si può srotolare, leggere, esplorare, smontare (in parte) e usare per inventare personaggi e storie. Ideato da Federica Mammoliti e pubblicato da E.T. – Editoria tattile, il libro si presenta all’interno di una scatola di cartone all’interno della quale è custodito un leporello di stoffa dalle pagine quadrate e dai rassicuranti colori verde pastello e beige che richiamano immediatamente la natura. E naturalissimo, in effetti, è l’istinto di scoperta che questo libro solletica e soddisfa, mettendo il lettore nella condizione di conoscere le forme più essenziali che popolano il nostro mondo e farsi ispirare da essere per immaginare le cose più disparate.

Ecco allora che un lato del libro dedica ogni pagina a una forma – cerchio, quadrato, triangolo, semicerchio, rettangolo, spirale – proponendo di ciascuna la parola corrispondente in nero e in Braille e la forma da toccare in feltro bianco (più un pezzo di corda per la spirale). Ma non è tutto: sorpresa! Ogni forma si rivela in realtà essere una tasca che contiene elementi in gomma crepla nera che riproducono la forma in cui sono contenuti, semplicemente più in piccolo.

Per scoprire a cosa servono tali elementi occorre girare il libro: il retro, infatti, offre una sorta di tavola in feltro su cui è possibile attaccarli per comporre forme più articolate e riprodurre in maniera stilizzata oggetti e personaggi che possono diventare i protagonisti di innumerevoli storie. Accanto alle pagine con le figure, il libro presenta un breve testo in nero e in braille a uso principalmente dei genitori, che illustra come si possano utilizzare le forme.

Essenzialità è senz’altro la parola chiave e la chiave di valore di un libro come La forma in-forma. La grafica pulita, le forme elementari, i materiali semplici, e le parole indispensabili aprono infatti a uno spazio immaginativo insaturo in cui muoversi con agio a piacere. Uno spazio oltretutto molto accessibile, non solo per chi ha una disabilità visiva o non ha nessun tipo di disabilità, ma anche per chi sperimenta difficoltà diverse: motorie, cognitive e comunicative, per esempio. Le forme sono infatti abbastanza spesse e pratiche da maneggiare, la (pressoché) assenza di testo a uso del giovane lettore non pone alcun vincolo di tipo decifrativo, la dinamica ludica sottesa al volume incentiva la scoperta e il coinvolgimento e la semplicità delle forme consente a ciascuno di combinarle secondo il suo grado di abilità. Il lavoro di Federica Mazzoleni appare, in questo senso davvero ben studiato e ampiamente spendibile, sia in un’ottica squisitamente conoscitiva (pensiamo per esempio a un percorso scolastico) o immaginativa sia un’ottica che combini e contamini le due in maniera felicemente fruttuosa.

A spasso per la città

A spasso per la città è il primo volume senza parole pubblicato da Storie Cucite. La casa editrice milanese, da tempo impegnata a promuovere l’accessibilità della lettura soprattutto attraverso la pubblicazione di libri in simboli (ma più di recente anche di libri ad alta leggibilità), sperimenta così un’ulteriore modalità narrativa capace di arrivare a lettori con esigenza e abilità diverse.

Nel libro a firma di Cristina Lanotte seguiamo una giovane artista in cerca di ispirazione. Pennelli e taccuino alla mano, la ragazza percorre le vie della città, si sofferma ad ammirarne gli scorci, coglie dettagli nascosti e fa scorta di visi che trasferisce poi su carta. Pullulante e viva, la città è una superba fonte di incontri e stimoli che possono stimolare l’estro e la creatività. Palazzi colorati, volti baffuti, postini sorridenti, timidi innamorati e avventori da bar: l’occhio accorto si lascia attirare dai particolari più disparati e, lesta, l’artista segue su due ruote il percorso che questi invisibilmente tracciano.

Sulla sua scia, il lettore di immagini non decifra una storia articolata ma se ne va a sua volta a zonzo tra le vie, lasciandosi trasportare dal medesimo spirito curioso che muove la protagonista, cogliendo dettagli che possono contenere in nuce microstorie cittadine e provando a riconoscere negli disegni su taccuino e su tela, cose e persone incontrati tra le pagine. In questo senso la continuità tra lo stile dell’autrice e quello della protagonista, entrambi votati alla valorizzazione del colore allo schizzo di pochi ma significativi tratti, crea un’intrigante comunicazione tra il fuori e il dentro, contribuendo a proiettare il lettore all’interno della storia.

La città che dorme

Cosa succede quando sulla città cala la notte? Persone, oggetti e animali si fermano e riposano. C’è un mondo, però, che si anima proprio quando il cielo si fa buio: è il mondo dei sogni dei bambini, che fa tesoro del sonno per dare vita ad avventure imprevedibili.

La città che dorme si presenta come una sorta di fotografia della città notturna, in cui ogni elemento tace e il silenzio regna. Come una lunga ripresa fuori e dentro le case, il libro mette in evidenza l’atmosfera taciturna e rilassata che con il buio avvolge ogni cosa. Lo fa con frasi brevissime composte da soggetto e verbo, facendo ricorso a un’ampia gamma di sinonimi della parola dormire. In questo modo risalta maggiormente l’elemento di stacco finale, ossia il riferimento a quel mondo dei sogni che appare invece in piena attività.

Dall’andamento piano, nella trama così come nei testi e nelle figure, il libro risulta di lettura agevole anche in caso di difficoltà cognitive e comunicative. Le immagini si contraddistinguono infatti per inquadrature ordinarie e per la scarsa presenza di dettagli minuziosi. Il testo, dal canto suo, risulta supportato visivamente dall’uso dei simboli WLS, impiegati secondo il modello inbook e resi particolarmente evidenti dal contrasto con lo sfondo scuro delle illustrazioni.

Di chi è il nido?

Di chi è il nido? è un racconto di gentilezza e accoglienza, che fa dell’inclusione il suo perno. Protagonista è una cinciallegra solare e generosa che un giorno decide di costruire un nido in cui chiunque possa sentirsi benvenuto. La sua impresa, portata avanti con entusiasmo contagioso, viene supportata da un’ampia gamma di amici, ciascuno motivato a fare la propria parte. Così, per esempio, il sole aggiunge raggi calorosi, la lucciola illumina lo spazio quando cala la notte e il gatto offre un po’ di pelo caldo e morbido, rendendo quello del nido un progetto partecipato e come tale ancora più bello.

Contraddistinto da un testo in rima semplice e supportato visivamente dai simboli della CAA, Di chi è il nido? propone una storia di agevole comprensione anche in caso difficoltà comunicative. Le illustrazioni che accompagnano il testo, ponendosi sempre nella pagina a fianco ad esso così da facilitarne la distinzione, presentano linee essenziali e fanno leva sulla combinazione di tre soli colori (rosso, nero e bianco) per rendere immediatamente evidente il soggetto ma non appaiono, dal canto loro, particolarmente raffinate e accattivanti.

Tu sei

Tu sei è letteralmente un libro più unico che raro. Non solo perché vanta una raffinatezza e una bellezza minimalista che lasciano incantati ma anche e soprattutto perché può contemporaneamente dirsi un libro tattile, un libro in simboli e un libro in lingua dei segni.

Composto da eleganti pagine in velluto nero, rilegate in modo da restare agevolmente aperte a 180°, il libro di Michela Tonella e Antonella Veracchi (le due anime di E.T. Editoria tattile) è progettato in maniera ingegnosa, tale da consentire al singolo lettore (o, più facilmente, al mediatore che è con lui), di scegliere il codice a lui più congeniale. Se il testo in nero è infatti cucito sulla pagina, le sue traduzioni in LIS, Braille e simboli WLS sono rese disponibili su pratici cartoncini, contenuti in apposite taschine al fondo del libro e applicabili di volta in volta sulle pagine corrispondenti. Queste ultime contengono infatti dei piccoli tagli in cui i cartoncini possono essere agevolmente inseriti e da cui, altrettanto agevolmente possono essere sfilati. Oltre a risultare molto pratico per adattare la lettura alle esigenze del singolo lettore, questo sistema si presta perfettamente a far sperimentare a un gruppo classe le diverse e spesso sconosciute modalità di lettura che l’editoria ci offre. In questo senso la forza di Tu sei sta anche nella capacità di trasformare un limite oggettivo – quello di far stare sulla pagina molti codici diversi e piuttosto ingombranti – in una possibilità di ricchezza e creatività.

Dedicato al tema delle relazioni, qui rappresentate attraverso la metafora delle costellazioni, Tu sei presenta testi in versi, brevi e ricercati, e illustrazioni essenzialissime realizzate con un semplice filo bianco e sobri bottoncini del medesimo colore. Di grande effetto per il contrasto con le pagine scure, fili e bottoni vanno a illustrare stelle e costellazioni in una maniera suggestiva e perfettamente percepibile al tatto. Qui, così come in Ombra, le due autrici si cimentano con un soggetto potenzialmente ostico per il lettore non vedente, che può percepire le stelle solo attraverso il racconto di chi vede, trovando la maniera di renderlo esperibile e intellegibile.

Il risultato è un libro da accarezzare, sognare, con cui riflettere e da condividere. Un libro che apre a interrogativi e confronti, che tiene insieme la poesia e la scienza, e che mette in luce la bellezza della diversità tanto nella forma quanto nel contenuto.

Guarda bene

Quando anche la compagnia di un cagnolino non riesce a scuotere la voglia di giocare, la noia di un bambino si può fare grande, quasi insopportabile. È proprio quello, però, il momento in cui qualcosa di speciale può accadere. Il momento in cui la curiosità vola e la fantasia si accende.

Così accade al protagonista di Guarda bene. Attratto da una coccinella che gli passa per caso accanto, questi decide infatti di seguirla e osservarla per bene. Che sorpresa per lui quando, scostando i fili d’erba su cui l’insetto si è posato, scopre un pullulare di creature fantastiche, di verde tinte, con l’espressione furba e il cappello punta. Come piccoli elfi dei prati, gli esserini fanno il bagno nelle pozzanghere, mangiano bacche, si arrampicano tra le foglie e cavalcano le coccinelle.

Grandi sono il diletto e la meraviglia del protagonista al loro fianco, soprattutto perché come per magia si ritrova rimpicciolito fino alla loro taglia e può dunque condividerne avventure e segreti davvero da vicino. E grande, soprattutto, è la sua voglia di continuare a esplorare. Così, giusto il tempo di congedarsi dai nuovi amici ed eccolo pronto a tuffarsi tra le onde. C’è un paguro sulla spiaggia, premessa irresistibile di nuove minuscole avventure sottomarine…

Contraddistinto da una grande delicatezza di toni e di sguardo, Guarda bene procede per sole immagini senza far uso di alcuna parola. Questo aspetto, oltre a non compromettere la narrazione che fila liscia con naturalezza, valorizza la sospensione tra dimensione reale e dimensione fantastica che caratterizza il racconto. È una magia quella che tocca il bambino o è la sua fantasia a trasformare ciò che vede? L’autrice volutamente non ce lo dice e le sue illustrazioni così suggestive invitano silenziosamente il lettore a dare la sua personale interpretazione.

La mia giornata

Impara l’arte e mettila da parte! Questo ha senza dubbio fatto la squadra di Puntidivista, progettando e realizzando i quiet book della sua collana senza parole. L’ultimo finora pubblicato – La mia giornata – presenta infatti caratteristiche analoghe al primo – Oggi divento (2018) – ma vanta al contempo alcune migliorie che lo rendono particolarmente apprezzabile e funzionale.

Entrambi i volumi si caratterizzano per pagine in feltro su cui sono attaccati (e da cui si possono staccare e riattaccare) con il velcro tanti elementi, anch’essi fustellati in feltro. Grazie a tali elementi, i protagonisti del volume, a loro volta staccabili e realizzati nel medesimo materiale, possono assumere differenti ruoli e fare cose diverse: in Oggi divento, per esempio, essi vestono i panni e dispongono degli strumenti tipici di vari mestieri mentre in La mia giornata interagiscono con gli oggetti caratteristici dei differenti ambienti che scandiscono le ore del giorno.

Qui, dunque, il bambino – che può essere maschio o femmina a seconda dei capelli che il lettore sceglie di applicargli – può lavarsi in bagno, vestirsi di fronte all’armadio, studiare e scrivere a scuola, muoversi in auto, fare acquisti in negozio, giocare al parco e prepararsi per andare a letto.  Il plus rispetto ai volumi più vecchi è rappresentato dalla presenza di elementi di contesto (il lavandino, il letto, la scrivania…) che agevolano la costruzione di scene narrativamente funzionali. Da non sottovalutare, poi, dal punto di vista pratico, la presenza di una semplice ma comoda custodia in stoffa che permette di riporre il libro dopo l’uso senza rischiare che i pezzi cadano e si smarriscano.

Contraddistinto da sagome molto essenziali ma ben riconoscibili e combinabili, La mia giornata costituisce un supporto molto funzionale e adattabile alle esigenze del singolo bambino, che siano di tipo pratico, come per esempio familiarizzare con una routine quotidiana o con la successione temporale, o che siano di tipo squisitamente narrativo. A partire dagli elementi offerti sulla pagina, infatti, è possibile costruire quadri o sequenze narrative più o meno complesse con cui inventare, divertirsi, giocare.

Ma quando arriva?

Chi l’ha detto che il tempo dell’attesa debba essere per forza immobile e noioso? Basta sapere cosa farci!  A inventare mondi e creature, osservando e lasciandosi ispirare da ciò che ci circonda e ci accade intorno, i minuti passano, per esempio, in un lampo. Così, alla fermata di un bus, possono presentarsi draghi e lucertoloni, possono affollarsi aerei ed elicotteri e ci si può immergere in mondi sottomarini. Mentre gli adulti sembrano subire passivamente il tempo trascorso sotto la pensilina, la bambina protagonista di Ma quando arriva? si gode a pieno il qui e ora, perché capace di trasformarlo in molti altrove.

Il tratto di Violeta Gomez è volutamente impreciso, talvolta abbozzato. Privi di contorni davvero netti e di dettagli minuziosi, i suoi personaggi parlano piuttosto con i colori e le posture, rivelando in pochi tratti lo stato d’animo che li pervade. La cifra espressionistica dell’autrice concorre d’altro canto a valorizzare la sovrapposizione tra dimensione reale e dimensione fantastica che caratterizza il volume e che muove la narrazione. Le inferenze richieste al lettore per distinguere i due piani e riconoscere come si intreccino non sono né minime né scontate: per questo il libro si rivolge in particolar modo a quei lettori che trovino stimolante e non ostacolante la presenza di passaggi narrativi impliciti o appena accennati.

Le forme degli animali

È un libro senza parole?  È un libro-gioco? È un libro da toccare? Sì, sì, e sì. Difficile da incasellare, Le forme degli animali è un libro tanto semplice quanto versatile, nato in casa Puntidivista. Simile a Forme e colori per progetto e struttura, il libro si compone di tre doppie pagine in feltro, ciascuna delle quali ospita altrettante sagome di animali (cui si aggiungono il cane e il gatto in copertina) realizzate con lo stesso materiale. Troviamo animali domestici, selvatici e da fattoria, d’aria, d’acqua e di terra, uniti a tre a tre senza precisi ed evidenti criteri.

Ogni doppia pagina presenta da un lato una superficie uniforme e vuota, dall’altro tre sagome di animali che possono essere agevolmente estratte per giocare e raccontare. Quelle stesse sagome possono essere infatti impiegate per sviluppare la motricità fine, ricostruire le corrispondenze tra il pieno e il vuoto, nominare gli animali e costruire su di essi piccole storie che possono animarsi sulla pagina vuota.

Dal canto loro, le pagine sono tenute insieme da due anelli apribili che supportano più agevolmente gli spessori delle figure e che consentono di impiegare anche singolarmente ogni doppio foglio di feltro. Questo aspetto è interessante non solo in termini di praticità ma anche di fruibilità, pensando per esempio a quei bambini che risentono dell’esposizione simultanea a troppi stimoli e possibilità e a cui giova invece l’offerta progressiva di elementi da esplorare e utilizzare.

Stimolanti al tatto, benché non completamente fruibili in caso di disabilità visiva (ma il libro non si pone in effetti questo obiettivo), le sagome appaiono essenziali, semplici e piuttosto riconoscibili. La scelta di colori non aderenti al reale invita a concentrarsi sull’elemento della forma. Apprezzabile, infine, la scelta di dotare il volume di una pratica sacchetta in stoffa che si chiude con un laccetto e che consente di non perdere per strada le figure, soprattutto dopo un uso prolungato che attenua la forza del velcro.

Forme e colori

Si scrive Forme e colori, si legge semplicità vincente! Il volume in feltro nato in casa Puntidivista si caratterizza infatti per un’estrema sobrietà compositiva che diventa chiave di fruibilità estesa e multiforme. Quadrato, pratico e piacevole da maneggiare, il libro presenta tre doppie pagine in feltro, ciascuna delle quali propone da due a quattro sagome fustellate e altrettanti spazi di forma analoga in cui queste possono essere collocate.

Al lettore viene perciò chiesto di riconoscere la corrispondenza tra sagoma e spazio vuoto e di provare riempire quest’ultimo con la sagoma corretta. Nella sua essenzialità massima – di forme, di grafica, di colori, di materiali – il libro offre dunque molteplici stimoli che vanno dall’identificazione di forme e colori, all’associazione tra vuoto e pieno, alla collocazione puntuale degli elementi a disposizione: un lavoro dunque ricco e multisfaccettato che coinvolge la dimensione cognitiva così come quella della motricità fine.

Contenitore di un gioco che si può ripetere all’infinito e che può trovare nuovi sviluppi secondo la fantasia di chi lo usa (cosa succede, per esempio, se sulla pagina vuota colloco il triangolo sopra il quadrato? Viene fuori una forma nota? Posso creare altri oggetti?), Forme e colori privilegia forme essenziali che facilitano il riconoscimento e la composizione.

Le pagine prevedono, in questo senso, un piccolo crescendo in termini di complessità: se la prima doppia pagina presenta, infatti, forme geometriche come il quadrato e il triangolo, la seconda offre forme simboliche come il cuore e la stella mentre la terza propone un cane e un gatto, così da rendere il gioco via via più stimolante. Il libro è contenuto all’interno di una pratica sacca di stoffa che aiuta a non perdere i pezzi che lo compongono: un’attenzione in più che facilita l’uso del volume anche durante i viaggi o, più generalmente, il tempo trascorso fuori casa.

La favolosa montagna

Vincitore del concorso internazionale Typhlo & Tactus 2013, La Favolosa montagna di Erika Forest è un libro tattile decisamente originale. Ciò che lo caratterizza, in particolare, è il rapporto tra testo e immagini che porta il lettore a muoversi con agio tra le pagine e il loro contenuto. Il libro si contraddistingue, infatti, per un breve testo introduttivo, di stampo marcatamente evocativo, che invita il lettore a lasciar girovagare la sua immaginazione esplorando con le dita i labirinti segreti che portano in cima alla vetta.

Quelle che seguono sono pagine mute ma ricche di suggestioni che richiamano paesaggi fisici ed emotivi – ostacoli e tane, ponti e relazioni, rifugi e agenti atmosferici, fatiche e ristori- grazie alla scelta oculata dei materiali e alle forme con cui le figure sono realizzate, alla loro disposizione all’interno della cornice di stoffa che delimita ogni passaggio narrativo e al tipo di interazione che suggeriscono a chi legge (stropicciare, infilare, solleticare, grattare…).

E proprio lo scarto tra il silenzio della parola e la forza comunicativa della pagina, sempre a cavallo tra rappresentazione astratta e richiami all’esperienza reale, lascia spazio a innumerevoli interpretazioni, personali e rinnovabili a ogni giro, senza vincoli di giudizio di esattezza. Un invito autentico e realmente inclusivo a trovare e scegliere e percorrere il proprio sentiero e a scoprire che questo può avere ogni volta un aspetto differente. In questo senso, il breve testo di chiusura che indica esplicitamente il cuore del lettore come il vero tesoro da trovare e seguire, stona un pizzico con il tono autenticamente poetico, libertario e aperto del volume.

L’esperienza di lettura che ne deriva è in ogni caso piena e appagante, insolita e coinvolgente. Capace di toccare corde diverse in lettori diversi, anche secondo la loro personale capacità di astrazione e di pensiero metaforico, La favolosa montagna si presta perfettamente a favorire un momento di intima riflessione e condivisa partecipazione che può condurre il singolo e il gruppo su sentieri multiformi e inattesi.

I cestini dei tesori

I cestini dei tesori e I cestini delle stagioni sono due cartonati dalle pagine spesse editi da Il castoro e ideali per bambini di pochi mesi che iniziano a manifestare curiosità nei confronti degli oggetti che li circondano. L’idea interessante che vi sta alla base è quella di trasferire sulla pagina, nella maniera più aderente alla realtà possibile, le cose che più facilmente i bambini incontrano nella quotidianità e possono trovare intriganti: gli stessi, non a caso, che vanno frequentemente a popolare proprio i cesti dei tesori così come ideati da Elinor Goldschmied. Cucchiai di legno e caffettiere, zucche e foglie, conchiglie e frutti, solo per fare qualche esempio, confluiscono così su carta contribuendo a creare un ponte significativo tra il mondo e il libro, la realtà e la sua rappresentazione. L’esplorazione dei due libri, per certi versi, può dunque configurarsi come un passaggio successivo e collegato a quello dell’esplorazione fisica degli oggetti.

Entrambi i volumi prevedono dei piccoli testi introduttivi alle diverse sezioni: testi teoricamente rivolti al bambino, nel tono e nel contenuto, ma che di fatto sembrano parlare principalmente all’adulto che lo accompagna, come a evidenziare una traccia da seguire per sostenere il piccolo nella scoperta degli oggetti e della loro rappresentazione sulla pagina. Al netto di questi testi, i libri si presentano come degli imagier e su ogni pagina propongono dunque alcuni oggetti accompagnati dalla parola che li identifica. Gli oggetti sono scelti in modo mirato tra quelli che possono risultare non solo funzionali al tema di ogni volume ma anche familiari ai potenziali lettori. Quotidianità è dunque parola d’ordine nella selezione.

Di ognuno di essi è offerta al lettore un’immagine fotografica molto nitida e riconoscibile: il contrasto con lo sfondo bianco, l’inquadratura prevalentemente frontale e la pulizia grafica agevolano, infatti, il processo di riconoscimento che genera appagamento e desiderio di avanzare. La scelta del medium fotografico, che inizia finalmente ad essere sdoganato soprattutto nei volumi destinati ai più piccoli, concorre poi in maniera determinante a rendere la rappresentazione degli oggetti particolarmente efficace, immediata e dunque identificabile con successo anche da parte di bambini un po’ più grandi ma che presentano difficoltà di astrazione. La riconoscibilità e la familiarità degli oggetti, inoltre, concorrono a facilitare la costruzione di piccoli dialoghi tra il bambino e il mediatore, che può fare leva sull’esperienza realmente vissuta dal bambino con gli oggetti rappresentati.

I cestini dei tesori, in particolare, prevede tre sezioni, ognuna dedicata a un potenziale cestino dei tesori fisicamente realizzabile ad uso del bambino e contraddistinto da uno specifico filo conduttore: gli oggetti di casa, i materiali naturali e i colori. Di ogni cestino è proposta una fotografia iniziale, con inquadratura dall’alto, che offre una visione d’insieme, e poi un focus sui singoli oggetti che lo compongono ripresi perlopiù frontalmente e associati alla parola che consente di nominarli. Gli oggetti sono distribuiti sulla pagina in maniera ariosa e propizia alla scoperta senza che il bambino venga eccessivamente sovraccaricato di stimoli. Il loro affiancamento segue principi diversi, legati al colore, al materiale o all’ambito di utilizzo. Questo genera accostamenti insoliti e sorprendenti, proprio come accade nella realtà, quando il bambino sceglie dal cesto, affianca e fa interagire tra loro oggetti che nella quotidianità sono magari distanti.

I cestini delle stagioni

I cestini dei tesori e I cestini delle stagioni sono due cartonati dalle pagine spesse editi da Il castoro e ideali per bambini di pochi mesi che iniziano a manifestare curiosità nei confronti degli oggetti che li circondano. L’idea interessante che vi sta alla base è quella di trasferire sulla pagina, nella maniera più aderente alla realtà possibile, le cose che più facilmente i bambini incontrano nella quotidianità e possono trovare intriganti: gli stessi, non a caso, che vanno frequentemente a popolare proprio i cesti dei tesori così come ideati da Elinor Goldschmied. Cucchiai di legno e caffettiere, zucche e foglie, conchiglie e frutti, solo per fare qualche esempio, confluiscono così su carta contribuendo a creare un ponte significativo tra il mondo e il libro, la realtà e la sua rappresentazione. L’esplorazione dei due libri, per certi versi, può dunque configurarsi come un passaggio successivo e collegato a quello dell’esplorazione fisica degli oggetti.

Entrambi i volumi prevedono dei piccoli testi introduttivi alle diverse sezioni: testi teoricamente rivolti al bambino, nel tono e nel contenuto, ma che di fatto sembrano parlare principalmente all’adulto che lo accompagna, come a evidenziare una traccia da seguire per sostenere il piccolo nella scoperta degli oggetti e della loro rappresentazione sulla pagina. Al netto di questi testi, i libri si presentano come degli imagier e su ogni pagina propongono dunque alcuni oggetti accompagnati dalla parola che li identifica. Gli oggetti sono scelti in modo mirato tra quelli che possono risultare non solo funzionali al tema di ogni volume ma anche familiari ai potenziali lettori. Quotidianità è dunque parola d’ordine nella selezione.

Di ognuno di essi è offerta al lettore un’immagine fotografica molto nitida e riconoscibile: il contrasto con lo sfondo bianco, l’inquadratura prevalentemente frontale e la pulizia grafica agevolano, infatti, il processo di riconoscimento che genera appagamento e desiderio di avanzare. La scelta del medium fotografico, che inizia finalmente ad essere sdoganato soprattutto nei volumi destinati ai più piccoli, concorre poi in maniera determinante a rendere la rappresentazione degli oggetti particolarmente efficace, immediata e dunque identificabile con successo anche da parte di bambini un po’ più grandi ma che presentano difficoltà di astrazione. La riconoscibilità e la familiarità degli oggetti, inoltre, concorrono a facilitare la costruzione di piccoli dialoghi tra il bambino e il mediatore, che può fare leva sull’esperienza realmente vissuta dal bambino con gli oggetti rappresentati.

Il cestino delle stagioni dedica due doppie pagine a ciascuna stagione. Gli oggetti scelti in associazione a ognuna di esse non sono dal canto loro legati solo dal tema della stagionalità ma anche da criteri squisitamente cromatici. Così, per esempio, gli oggetti scelti per rappresentare l’inverno privilegiano l’azzurro e il rosso, quelli primaverili virano al verde e al rosa, quelli estivi danno spazio ai colori del sole e del mare e quelli autunnali prediligono i toni caldi dell’arancione e marrone. Questo dà vita a pagine suggestive non solo per le trame semantiche che nascondono ma anche per il piacevole impatto estetico che generano. Gli oggetti fotografati sono in buona parte doni della natura: aspetto, questo, che sembra costituire un autentico invito a fare proprio il mondo, 365 giorni all’anno.

La sfida di Lepre e Riccio

Un mattino come tanti, ai piedi della collina, qualcosa pare turbare gli animali. Il cervo, i cinghiali e persino lo scoiattolo sembrano più mogi del solito e Riccio, sceso al campo di mais per raccogliere qualche pannocchia, ne scopre presto il motivo. Lepre ha, infatti, preso possesso del campo, sostenendo di essere arrivata per prima e dunque di avere diritto di proprietà. Riccio, dal canto suo, non è veloce quanto l’animale dalle lunghe orecchie ma è decisamente furbo e così propone a Lepre una gara di corsa con la quale decidere a chi spetti davvero il campo di mais. Spavalda, Lepre accetta, ignara che Riccio abbia messo a punto un ingegnoso piano per arrivare primo. Certo, c’è di mezzo un piccolo inganno ma in fondo è a fin di bene: tutti (ma proprio tutti!), al termine della corsa, potranno beneficiare di un campo in cui c’è posto sì per il mais ma anche per seminare amicizia e condivisione.

Se fosse esclusivamente per la trama, La sfida di Lepre e Riccio non sarebbe che una piacevole favola illustrata di grimmiana memoria (benché l’originale avesse un finale ben più truce!). E invece ci sono due aspetti che rendono questo libro tutto fuorché ordinario. Il primo è il fatto che inquadrando con lo smartphone o il tablet il QRcode stampato sulla prima pagina, il lettore può beneficiare della lettura in Lingua dei Segni Italiana. Quest’ultima, caricata sulla piattaforma tellyourstories (www.tellyourstories.org), presenta un interprete che narra la storia attraverso i segni mentre le illustrazioni del libro gli scorrono a fianco. Il video è pulito, chiaro e realizzato in maniera esteticamente gradevole. Per garantire la piena condivisibilità del racconto, libro e video devono andare di pari passo perché il primo contiene solo il testo in italiano mentre il secondo solo il testo in LIS. Il secondo aspetto che caratterizza La sfida di Lepre e Riccio è il fatto che la fiaba cui è ispirata sia stata rielaborata in maniera tale da inserirvi degli elementi caratteristici della cultura sorda. Così, per esempio, il libro si apre con Riccio che sfida i suoi piccoli a trovare un segno in cui la mano indichi il numero tre. Analogamente, gli amici di Riccio paiono festeggiare la vittoria con un applauso “segnato”, con le mani che si muovono in alto e, fin dalla copertina, Lepre è ritratta come se stesse replicando un gesto che ne esalta la sbruffoneria e la certezza di vincere.

L’idea che sta alla base di questo lavoro, che rientra all’interno del progetto InSegnare le favole di Mason Perkind Deafness Fund, è che le storie hanno un grosso potere in termini di creazione e condivisione di immaginari: ecco, allora, che consentire ai bambini sordi di ritrovare frammenti della loro quotidianità nei racconti e ai loro compagni di entrare in contatto con quest’ultima attraverso la narrazione, significa costruire occasioni semplici ma fruttuose di scambio e incontro.

La sfida di Lepre e Riccio è acquistabile con una donazione minima di 18 (comprensiva di spese di spedizione del volume) alla Mason Perkins Deafness Fund. Maggiori informazioni sul progetto sono reperibili qui.

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Lo sai chi siamo?

Lo sai chi siamo? è un piccolo e maneggevole cartonato, frutto dell’esperienza e della geniale predisposizione alla sperimentazione della fotografa Tana Hoban. Il volume presenta dieci robuste doppie pagine bianche su cui si stagliano le silhouette nere di alcuni degli animali che più facilmente un bambino piccolo (e piccolissimo) può incontrare sul suo cammino e dunque imparare a conoscere e riconoscere.

Le sagome di pecore, maiali, cani, gatti e anatroccoli si impongono all’attenzione del lettore soprattutto per via del forte contrasto con lo sfondo chiaro e per la stampa liscissima e lucida che le rende leggermente percepibili anche al tatto. Non c’è, inoltre, alcun elemento di contorno o distrazione sulla pagina per cui occhio e mente sono inevitabilmente portati a concentrarsi sulle illustrazioni, sfidati a individuarne i rispettivi referenti e ad acquisire le categorie del grande e del piccolo. Ogni animale è infatti presentato attraverso un esemplare adulto e uno o più cuccioli, in una composizione che dinamizza la pagina e favorisce la nascita di dialoghi a partire da essa.

Privo di parole, contraddistinto da un forte contrasto di colori (bianco e nero) e da un’estrema pulizia grafica, Lo sai chi siamo? presenta, come d’altronde molti libri di Tana Hoban, un forte grado di accessibilità, sia rispetto ai disturbi visivi sia rispetto a difficoltà di tipo cognitivo e comunicativo. Il volume si presta inoltre a letture ed usi molto trasversali rispetto all’età: non solo, infatti, può essere impiegato per coinvolgere e stimolare i bambini di pochi mesi favorendone lo sviluppo visivo, ma risulta anche molto intrigante per bambini un poco più grandi, intorno ai due anni di età, che possono trovare curioso riconoscere le sagome degli animali e collegare le figure del libro a significative esperienze fatte nella realtà.

Verme

Federico Fernandez e Germán Gonzalez sono due specialisti nella creazione di micromondi pullulanti. Lo abbiamo scoperto con Balea, leporello del 2016 che ci invitava a salire su un affollatissimo sottomarino a forma di balena, e ne abbiamo conferma ora con Verme, libro dal formato e dalla struttura analoghi, ambientato all’interno di una gigantesca trivella che opera sottoterra.

Qui lavorano e vivono centinaia di persone, le cui occupazioni sono le più strambe e disparate. Coloro che guidano il possente macchinario o ne aggiustano le parti danneggiate si contano, infatti sulle dita di una mano. Tutti gli altri sono invece intenti a rilassarsi o dediti a compiti sorprendenti come accudire pulcini, sistemare quadri famosi o inseguire mummie in fuga. Difficile, di fronte a tante micro-situazioni, tenere a freno la curiosità e trattenersi dal condividere le scoperte più assurde con eventuali compagni di lettura.

Costruito come un leporello, Verme presenta da un lato una visione di ciò che accade all’interno della trivella e dall’altro una visione di ciò che accade al di fuori. In entrambi i casi il numero situazioni da assaporare e il tasso di inventiva che le caratterizza sono decisamente fuori dal comune. Un ruolo speciale, nel generare straniamento e spasso, è giocato da animali e creature fantastiche che di tanto intanto compaiono e interagiscono con gli umani. Dal topo dj al lungo verme rosa, dai mostri pelosi che amano farsi pettinare agli scheletri festanti di tradizione messicana, il mondo sotterraneo di Fernandez e Gonzalez è un concentrato di citazioni e strizzate d’occhio che rendono la lettura visiva molto gustosa anche per i grandi.

Questo aspetto, unito alla libertà di movimento sulla pagina offerta al lettore come è tipico dei wimmelbuch, fa sì che Verme offra diversi livelli di lettura, adattandosi a competenze e abilità differenti. Godibilissimo dai lettori meno esperti per le innumerevoli sorprese inventive così come dai più navigati per i riferimenti all’arte e alla storia, questo libro senza parole si presta a letture molteplici e mai identiche, capaci di svelare ogni volta nuovi dettagli e possibilità.

L’isola all’ultimo piano

C’è una ragazza che vive all’ultimo piano di un alto palazzo. Una scaletta sottile collega il suo balcone con il mondo di sotto ma un giorno questa viene colpita da un fulmine e così la ragazza si ritrova improvvisamente isolata. Nella solitudine del terrazzo, la protagonista pensa con nostalgia ai tempi in cui il suo innamorato viveva giusto di fronte a casa sua e da balcone a balcone poteva addirittura abbracciarlo. Non sappiamo cosa ne sia stato di quell’amore, sappiamo però che il suo ricordo dà alla ragazza la spinta giusta per provare a tessere nuovi legami con chi le sta intorno: esattamente ciò che le occorre per ritrovare un contatto con il mondo esterno. Dapprima sono messaggi in forma di aeroplano e piccioni viaggiatori, ma entrambe le soluzioni sembrano fallire nell’intento. Serve una trovata nuova, un’idea che consenta alla giovane di prendere il largo, forte di una rete di sostegno fitta, seppur quasi invisibile.

Riccardo Guasco costruisce un racconto per sole immagini che parla di relazioni e isolamento, di vicinanza e sogni e che ci pare particolarmente forte in questo preciso momento storico, a seguito del vissuto che la recente pandemia ha imposto a tutti noi. La metafora del filo, scelta e sviluppata dall’autore, consente infatti di riempire il racconto di significati personali, rinnovandone di volta in volta l’intensità e la capacita di parlare con il lettore. Quest’ultimo, dal canto suo, è chiamato a uno sforzo interpretativo non banale perché l’albo si nutre di vuoti e di silenzi che rendono l’inferenza una pratica stimolante e necessaria.

Gli animali della fattoria

Si potrebbe pensare che Gli animali della fattoria di François Delebecque sia un comunissimo volume sulla vita nell’aia. E invece no, il libro portato in Italia da L’Ippocampo è decisamente molto di più. Qui le pagine non si limitano, infatti, a mostrare al lettore cavalli, maiali, capre e galline disegnati ma gli offrono l’occasione di conoscere e riconoscere questi animali da vicino, da diverse prospettive e in un crescendo di complessità che asseconda le sue abilità cognitive.

Come lo fanno? Attraverso una scelta stilistica orientata alla pulizia e all’essenzialità (grandi sfondi bianchi su cui si stagliano silhouette nere), una particolare attenzione al tema della somiglianza e della varietà (animali della stessa famiglia sono affini ma non identici così come lo stesso animale può avere aspetti differenti a seconda dalla prospettiva e dal contesto in cui lo si guarda), e un impianto a finestrelle che invita all’interazione, al gioco e al confronto tra differenti forme di rappresentazione.

Ogni doppia pagina è dedicata a una diversa famiglia di animali e presenta 4-5 finestrelle – una più grande sulla sinistra e altre 3-4 più piccole sulla destra – su cui figura la sagoma nera del soggetto. Ben distinguibile anche in caso di ipovisione, questa illustra l’animale mettendone in evidenza i tratti più pertinenti. Perlopiù rappresentati di profilo nella pagina di sinistra, così da risultare più riconoscibili al primo impatto, gli animali sono proposti di fronte, a figura non intera, a gruppi o insieme a elementi di contesto nella pagina di destra: aspetto, questo, che invita il lettore a cimentarsi con operazione di riconoscimento via via più articolate e sfidanti.

Le sagome, dal canto loro, non sono disegnate a caso ma ricalcano esattamente la fotografia dell’animale nascosta sotto la finestrella. Tra il sotto e il sopra di quest’ultima si viene così a creare un gioco di richiami e rimandi che non solo diverte ma supporta efficacemente l’acquisizione di dimestichezza con forme di rappresentazione più e meno realistiche. Un’ultima doppia pagina, infine, ripropone sempre in forma di finestrella tutti gli animali incontrati dal lettore all’interno del libro, offrendogli un’ulteriore occasione di scoperta, gioco e conferma delle abilità fin lì messe alla prova.

Versatile e intrigante, Gli animali della fattoria si presta così a essere letto in molti modi diversi, rispettando e stimolando le diverse abilità dei diversi lettori.

Riflettiamoci

Un piccolo di rinoceronte e una piccola di giraffa, rimasti entrambi orfani a causa dei bracconieri e di un incendio, sono i protagonisti di questo albo senza parole firmato da Gek Tessaro e nato in collaborazione con la Cooperativa Sociale Famiglia Nuova. Le loro storie sono sì diverse ma molto prossime, al punto che dopo un lungo e smarrito vagare, i due animali giungono ai bordi della medesima pozza d’acqua e si guardano fissi negli occhi come riconoscendosi.

Si riflettono, il rinoceronte e la giraffa, sulla superficie trasparente della pozza ma soprattutto l’uno nell’altra, ché i sentimenti, amari e gioiosi che siano, ci fanno vicini come poche altre cose al mondo. E allora quel titolo – Riflettiamoci – diventa anche un invito a noi lettori a far germogliare un racconto per immagini doloroso ma con un tocco di ottimismo, lasciandogli il tempo e lo spazio per animare pensieri ed emozioni.

Vincitore del premio Andersen 2022 come miglior libro senza parole, Riflettiamoci offre una storia intensa, che lo stile inconfondibile e graffiante di Gek Tessaro rende particolarmente toccante. L’autore suggerisce ciò che accade con poche e accese illustrazioni in cui si condensa un mondo di fatti e sentimenti. Grande è il lavoro di interpretazione e inferenza lasciato, in questo senso, al lettore, al quale si chiedono abilità di lettura e decodifica delle immagini (e dei vuoti che tra di esse emergono) non proprio basilari. Il libro vanta infine un formato ampio che valorizza le suggestive tavole dell’autore la cui veste affascinante stride solo un po’ con la presenza di proposte operative poste al termine della storia.

Io sono blu

A righe nere e ble dalla punta del pungiglione alla punta delle zampe: così appare la protagonista del silent book Io sono blu. Mica facile, per un’ape con questo aspetto, trovare il proprio posto in uno sciame rigorosamente nero e giallo, in cui nessuno si discosta dalla norma. Soprattutto perché questa anomalia cromatica genera nelle compagne isolamento e scherni  duri da digerire.

“Perché sono così?”, sembra chiedersi allora la protagonista del libro mentre consulta manuali di enotomologia che non fanno che confermare la sua bizzarria. “E come posso rimediare?”, pare domandarsi nel disperato desiderio di farsi accettare. E così, ferri e fili alla mano, l’apetta corre ai ripari e si procura un bel travestimento: un travestimento che sembrerebbe pure funzionare all’inizio ma che a lungo andare mostra tutto il suo posticcio valore. Sarà un incontro casuale con una variegata compagnia di insetti a dare un’autentica svolta alla situazione, consentendo alla protagonista, e con lei al lettore, di scoprire che diversità può significare unicità e che là dove ognuno è libero di essere a suono modo, isolamento e scherni appaiono d’un tratto cosa assai sciocca.

Finalista del Silent Book Contest 2021 e vincitore, nell’ambito dello stesso concorso, del premio assegnato dalla giuria Junior, Io sono blu racconta una storia di diversità e accettazione che arriva in maniera molto diretta al lettore. Le situazioni in cui l’apetta protagonista viene ritratta e le emozioni che ne derivano sono infatti rese dell’autrice in modo molto efficace e riconoscibile. Irene Guglielmi è, in questo senso, molto brava, nel sottolineare con pochi tratti e senza tanti passaggi narrativi gli atteggiamenti chiave dei personaggi coinvolti.

Dopo una prima doppia pagina in cui si scorge in lontananza un grande sciame giallo in cui spicca un puntino blu, ci si trova infatti di fronte a un’illustrazione efficacissima che restituisce la grande varietà di reazioni generate dalla diversità della protagonista: stupore, diffidenza, paura, disgusto, superiorità, il tutto reso attraverso semplici posture o espressioni facciali. In questo modo non risulta difficile, per il lettore, seguire e interpretare ciò che accade dopo – la ricerca di risposte, il tentativo di sentirsi normale e farsi accettare, la curiosità accesa da altri esseri non convenzionali – facendosi guidare da un forte senso di empatia nei confronti dell’apetta. Questo, dal canto suo, agevola il lettore nelle operazioni di decodifica della storia per immagini, supportandolo in una sfida di lettura coinvolgente.

Bianco e nero

Must have assoluto per i piccolissimi, Bianco e nero di Tana Hoban ha tutto quello che un libro per lettori di pochi mesi dovrebbe avere: ha pagine solide, una struttura a leporello che si regge in piedi da sola, contrasti forti, figure grandi, sagome nette e soggetti attraenti.

Qui la semplicità dei contenuti fa il pari con la profondità della ricerca: ogni dettaglio – ciò che l’autrice inserisce così come ciò che decide di togliere – è studiato con grande cura, rispetto e attenzione nei confronti dei potenziali destinatari. Nulla di superfluo trova spazio sulla pagina che accoglie, da un lato del leporello, grandi figure nere su sfondo bianco, e dall’altro, grandi sagome bianche su sfondo nero. Le figure sono piene, sature, lucide, e catturano davvero l’occhio con grande facilità. Oltre al fascino del contrasto, queste si fanno apprezzare dai bambini sotto o poco sopra l’anno anche in virtù dei soggetti rappresentati. Strumenti quotidiani come posate e biberon, animali familiari come gatti e uccellini, oggetti naturali a domestici come foglie e chiavi offrono infatti al bambino il piacere del riconoscimento.

Ispirato ai principi dell’essenzialità, della facilità d’uso (la possibilità, per esempio, di osservare le pagine senza doverle sfogliare) e dell’evidenza della rappresentazione, Bianco e nero può dirsi un volume di grande accessibilità, capace di venire incontro anche ai bisogni specifici di bambini con difficoltà visive, cognitive o comunicative. Studiato per poter essere osservato a lungo e con piacere in autonomia dai neonati, il libro si presta benissimo anche a una lettura dialogica in cui l’adulto possa indicare e nominare i diversi oggetti, collocandoli eventualmente in un racconto personalizzato che richiami l’esperienza diretta di chi ascolta.

Con l’uscita di Bianco e nero festeggiamo l’arrivo in Italia di alcuni titoli preziosissimi di Tana Hoban, fotografa statunitense che negli anni ’70 condusse una ricca e innovativa ricerca sulla lettura visiva attraverso il medium fotografico. A questa pubblicazione di Editoriale Scienza ne sono già seguite alcune altre – Lo sai chi siamo?, sempre per lo stesso editore e Giallo, rosso, blu per Camelozampa – che speriamo fortemente inaugurino una lunga serie di proposte fotografiche rivolte a piccoli e piccolissimi.

Sento

La splendida collana A bocca aperta di Camelozampa, specificamente progettata per accogliere proposte di qualità destinate ai piccolissimi, si arricchisce di quattro nuovi volumi a firma di Helen Oxenbury. Come suggerito dagli stessi titoli – Vedo, Sento, Tocco, Posso – questa serie pone al centro dell’attenzione la scoperta del mondo da parte dei bambini in età da asilo nido: una scoperta essenzialmente multisensoriale, dinamica e tutta basata sull’esperienza diretta.

Sento dà spazio a rumori quotidiani di vario tipo e intensità: dal ticchettio dell’orologio all’abbaiare del cane, dal canto di un uccello agli strilli di una bimba. Più che in altri volumi qui giocano un ruolo interessante le espressioni del viso del protagonista che tanto dicono (con pochissimi tratti) del grado di piacevolezza dei diversi suoni e che tanto favoriscono l’identificazione da parte del lettore. Precisissima è, poi, l’autrice nello scegliere per il protagonista posizioni e abiti diversi – in pantofole, per esempio, a fianco al cane, a piedi nudi vicino alla sorella e con le scarpe in mezzo al prato – a seconda della situazione. Questi aspetti minimi e apparentemente insignificanti sono infatti quelli che rendono la scena davvero familiare, riconoscibile e vera per chi, a uno o due anni di età, guarda con grande attenzione il mondo che si trova a portata di mano.

Vedo mette insieme oggetti, animali e persone che il protagonista e il lettore possono osservare in contesti, momenti della giornata, posizioni diversi. Se per guardare una farfalla bisogna necessariamente starle appresso e dunque muoversi, un fiore può essere guardato a lungo e stando fermi, magari comodamente sdraiati in posizione prona. Mentre un amico resta facilmente a portata di sguardo, un aereo chiede di fissare l’occhio in lontananza per poi sparire in poco tempo. Con una scelta accorta dei soggetti, l’autrice offre dunque una carrellata non solo di cose ma anche di situazioni di osservazione molto diverse tra loro e come tali ancora più capaci di solleticare il lettore.

Tocco celebra uno dei sensi – il tatto – più importanti per la crescita e la scoperta da parte dei bambini più piccoli. Scegliendo oggetti diversissimi tra loro per consistenza ed uso, come una palla, la barba di una persona cara, un gatto o l’acqua della doccia, l’autrice illustra bene quante declinazioni il verbo toccare possa avere. Si può toccare, infatti, accarezzando, tastando, sollevando, stringendo o raccogliendo e ciascuna di queste esperienze arricchisce la conoscenza del mondo del lettore e diventa, per lui, possibilità di relazione insostituibile.

Posso passa in rassegna, in una serrata successione, alcuni dei principali o dei più frequenti movimenti con cui un bambino tra uno e due anni si confronta. Movimenti volontari e involontari, movimenti più o meno dinamici, complessi e articolati, movimenti piacevoli o spiacevoli, faticosi o rilassanti: anche qui la varietà si fa elemento chiave. Esclusivo soggetto, il bambino protagonista del volume viene rappresentato mentre compie le differenti azioni (una per pagina), senza specifici elementi di contesto. In questo modo tutta l’attenzione viene riversata sulla posizione del corpo, sull’espressione del viso, sull’abbigliamento (spesso significativo come nel caso di “scivolo”), favorendo l’immedesimazione e, con buona probabilità, la replica simultanea di ogni movenza.

Proprio come gli altri quattro titoli firmati da Helen Oxenbury e inseriti all’interno della collana A bocca aperta di Camelozampa, Vedo, Posso, Sento e Tocco vantano un formato molto maneggevole (quadrato, 14×14 cm), un’attenzione specifica agli interessi e alle conoscenze reali dei possibili destinatari, una rappresentazione dei soggetti dapprima isolati e poi inseriti nel contesto di riferimento (fatta eccezione per Posso) e uno stile essenziale, privo di elementi inutili e capace di dare rilievo a movimenti ed emozioni del protagonista.

A differenza di Amici, Al lavoro, Mi diverto e Mi vesto, tuttavia, questi cartonati più recenti non si presentano del tutto privi di parole ma assumono piuttosto la forma di imagier: ogni doppia pagina descrive infatti l’oggetto o l’azione a cui è dedicata non solo attraverso l’illustrazione ma anche attraverso la parola: una sola e soltanto, chiara, diretta e quotidiana. I libri diventano così un modo per conoscere, riconoscere e nominare insieme il mondo, con una formula compositiva e un’efficacia comunicativa per nulla distanti da quella dei simboli utilizzati nella CAA.

Per questa ragione, oltre che per la straordinaria capacità della Oxenbury di cogliere gli aspetti davvero significativi di ogni oggetto senza lasciarsi tentare da dettagli non pregnanti e utili dalla decodifica dell’immagine, Vedo, Tocco, Posso e Sento costituiscono una risorsa godibilissima e utilissima anche laddove siano presenti delle difficoltà cognitive o comunicative. I quattro libri costituiscono in questo senso un esempio impeccabile di come la cura compositiva ed estetica e la capacità di guardare attentamente all’infanzia predispongano un terreno molto fertile per far sì che la condivisione di un libro possa risultare piacevole e densa a raggio davvero ampio.

Tocco

La splendida collana A bocca aperta di Camelozampa, specificamente progettata per accogliere proposte di qualità destinate ai piccolissimi, si arricchisce di quattro nuovi volumi a firma di Helen Oxenbury. Come suggerito dagli stessi titoli – Vedo, Sento, Tocco, Posso – questa serie pone al centro dell’attenzione la scoperta del mondo da parte dei bambini in età da asilo nido: una scoperta essenzialmente multisensoriale, dinamica e tutta basata sull’esperienza diretta.

Tocco celebra uno dei sensi – il tatto – più importanti per la crescita e la scoperta da parte dei bambini più piccoli. Scegliendo oggetti diversissimi tra loro per consistenza ed uso, come una palla, la barba di una persona cara, un gatto o l’acqua della doccia, l’autrice illustra bene quante declinazioni il verbo toccare possa avere. Si può toccare, infatti, accarezzando, tastando, sollevando, stringendo o raccogliendo e ciascuna di queste esperienze arricchisce la conoscenza del mondo del lettore e diventa, per lui, possibilità di relazione insostituibile.

Sento pone al centro della scena rumori quotidiani di vario tipo e intensità: dal ticchettio dell’orologio all’abbaiare del cane, dal canto di un uccello agli strilli di una bimba. Più che in altri volumi qui giocano un ruolo interessante le espressioni del viso del protagonista che tanto dicono (con pochissimi tratti) del grado di piacevolezza dei diversi suoni e che tanto favoriscono l’identificazione da parte del lettore. Precisissima è, poi, l’autrice nello scegliere per il protagonista posizioni e abiti diversi – in pantofole, per esempio, a fianco al cane, a piedi nudi vicino alla sorella e con le scarpe in mezzo al prato – a seconda della situazione. Questi aspetti minimi e apparentemente insignificanti sono infatti quelli che rendono la scena davvero familiare, riconoscibile e vera per chi, a uno o due anni di età, guarda con grande attenzione il mondo che si trova a portata di mano.

Vedo mette insieme oggetti, animali e persone che il protagonista e il lettore possono osservare in contesti, momenti della giornata, posizioni diversi. Se per guardare una farfalla bisogna necessariamente starle appresso e dunque muoversi, un fiore può essere guardato a lungo e stando fermi, magari comodamente sdraiati in posizione prona. Mentre un amico resta facilmente a portata di sguardo, un aereo chiede di fissare l’occhio in lontananza per poi sparire in poco tempo. Con una scelta accorta dei soggetti, l’autrice offre dunque una carrellata non solo di cose ma anche di situazioni di osservazione molto diverse tra loro e come tali ancora più capaci di solleticare il lettore.

Posso passa in rassegna, in una serrata successione, alcuni dei principali o dei più frequenti movimenti con cui un bambino tra uno e due anni si confronta. Movimenti volontari e involontari, movimenti più o meno dinamici, complessi e articolati, movimenti piacevoli o spiacevoli, faticosi o rilassanti: anche qui la varietà si fa elemento chiave. Esclusivo soggetto, il bambino protagonista del volume viene rappresentato mentre compie le differenti azioni (una per pagina), senza specifici elementi di contesto. In questo modo tutta l’attenzione viene riversata sulla posizione del corpo, sull’espressione del viso, sull’abbigliamento (spesso significativo come nel caso di “scivolo”), favorendo l’immedesimazione e, con buona probabilità, la replica simultanea di ogni movenza.

A differenza di Amici, Al lavoro, Mi diverto e Mi vesto, tuttavia, questi cartonati più recenti non si presentano del tutto privi di parole ma assumono piuttosto la forma di imagier: ogni doppia pagina descrive infatti l’oggetto o l’azione a cui è dedicata non solo attraverso l’illustrazione ma anche attraverso la parola: una sola e soltanto, chiara, diretta e quotidiana. I libri diventano così un modo per conoscere, riconoscere e nominare insieme il mondo, con una formula compositiva e un’efficacia comunicativa per nulla distanti da quella dei simboli utilizzati nella CAA.

Per questa ragione, oltre che per la straordinaria capacità della Oxenbury di cogliere gli aspetti davvero significativi di ogni oggetto senza lasciarsi tentare da dettagli non pregnanti e utili dalla decodifica dell’immagine, Vedo, Tocco, Posso e Sento costituiscono una risorsa godibilissima e utilissima anche laddove siano presenti delle difficoltà cognitive o comunicative. I quattro libri costituiscono in questo senso un esempio impeccabile di come la cura compositiva ed estetica e la capacità di guardare attentamente all’infanzia predispongano un terreno molto fertile per far sì che la condivisione di un libro possa risultare piacevole e densa a raggio davvero ampio.

Posso

La splendida collana A bocca aperta di Camelozampa, specificamente progettata per accogliere proposte di qualità destinate ai piccolissimi, si arricchisce di quattro nuovi volumi a firma di Helen Oxenbury. Come suggerito dagli stessi titoli – Vedo, Sento, Tocco, Posso – questa serie pone al centro dell’attenzione la scoperta del mondo da parte dei bambini in età da asilo nido: una scoperta essenzialmente multisensoriale, dinamica e tutta basata sull’esperienza diretta.

Posso passa in rassegna, in una serrata successione, alcuni dei principali o dei più frequenti movimenti con cui un bambino tra uno e due anni si confronta. Movimenti volontari e involontari, movimenti più o meno dinamici, complessi e articolati, movimenti piacevoli o spiacevoli, faticosi o rilassanti: la varietà si fa dunque elemento chiave. Esclusivo soggetto, il bambino protagonista del volume viene rappresentato mentre compie le differenti azioni (una per pagina), senza specifici elementi di contesto. In questo modo tutta l’attenzione viene riversata sulla posizione del corpo, sull’espressione del viso, sull’abbigliamento (spesso significativo come nel caso di “scivolo”), favorendo l’immedesimazione e, con buona probabilità, la replica simultanea di ogni movenza.

Vedo mette insieme oggetti, animali e persone che il protagonista e il lettore possono osservare in contesti, momenti della giornata, posizioni diversi. Se per guardare una farfalla bisogna necessariamente starle appresso e dunque muoversi, un fiore può essere guardato a lungo e stando fermi, magari comodamente sdraiati in posizione prona. Mentre un amico resta facilmente a portata di sguardo, un aereo chiede di fissare l’occhio in lontananza per poi sparire in poco tempo. Con una scelta accorta dei soggetti, l’autrice offre dunque una carrellata non solo di cose ma anche di situazioni di osservazione molto diverse tra loro e come tali ancora più capaci di solleticare il lettore.

Tocco celebra uno dei sensi – il tatto – più importanti per la crescita e la scoperta da parte dei bambini più piccoli. Scegliendo oggetti diversissimi tra loro per consistenza ed uso, come una palla, la barba di una persona cara, un gatto o l’acqua della doccia, l’autrice illustra bene quante declinazioni il verbo toccare possa avere. Si può toccare, infatti, accarezzando, tastando, sollevando, stringendo o raccogliendo e ciascuna di queste esperienze arricchisce la conoscenza del mondo del lettore e diventa, per lui, possibilità di relazione insostituibile.

Sento pone al centro della scena rumori quotidiani di vario tipo e intensità: dal ticchettio dell’orologio all’abbaiare del cane, dal canto di un uccello agli strilli di una bimba. Più che in altri volumi qui giocano un ruolo interessante le espressioni del viso del protagonista che tanto dicono (con pochissimi tratti) del grado di piacevolezza dei diversi suoni e che tanto favoriscono l’identificazione da parte del lettore. Precisissima è, poi, l’autrice nello scegliere per il protagonista posizioni e abiti diversi – in pantofole, per esempio, a fianco al cane, a piedi nudi vicino alla sorella e con le scarpe in mezzo al prato – a seconda della situazione. Questi aspetti minimi e apparentemente insignificanti sono infatti quelli che rendono la scena davvero familiare, riconoscibile e vera per chi, a uno o due anni di età, guarda con grande attenzione il mondo che si trova a portata di mano.

Proprio come gli altri quattro titoli firmati da Helen Oxenbury e inseriti all’interno della collana A bocca aperta di Camelozampa, Vedo, Posso, Sento e Tocco vantano un formato molto maneggevole (quadrato, 14×14 cm), un’attenzione specifica agli interessi e alle conoscenze reali dei possibili destinatari, una rappresentazione dei soggetti dapprima isolati e poi inseriti nel contesto di riferimento (fatta eccezione per Posso) e uno stile essenziale, privo di elementi inutili e capace di dare rilievo a movimenti ed emozioni del protagonista.

A differenza di Amici, Al lavoro, Mi diverto e Mi vesto, tuttavia, questi cartonati più recenti non si presentano del tutto privi di parole ma assumono piuttosto la forma di imagier: ogni doppia pagina descrive infatti l’oggetto o l’azione a cui è dedicata non solo attraverso l’illustrazione ma anche attraverso la parola: una sola e soltanto, chiara, diretta e quotidiana. I libri diventano così un modo per conoscere, riconoscere e nominare insieme il mondo, con una formula compositiva e un’efficacia comunicativa per nulla distanti da quella dei simboli utilizzati nella CAA.

Per questa ragione, oltre che per la straordinaria capacità della Oxenbury di cogliere gli aspetti davvero significativi di ogni oggetto senza lasciarsi tentare da dettagli non pregnanti e utili dalla decodifica dell’immagine, Vedo, Tocco, Posso e Sento costituiscono una risorsa godibilissima e utilissima anche laddove siano presenti delle difficoltà cognitive o comunicative. I quattro libri costituiscono in questo senso un esempio impeccabile di come la cura compositiva ed estetica e la capacità di guardare attentamente all’infanzia predispongano un terreno molto fertile per far sì che la condivisione di un libro possa risultare piacevole e densa a raggio davvero ampio.

Scuficchiando

Quale bambino può dirsi immune al fascino irresistibile di borse e borsette dal contenuto imperscrutabile? Probabilmente nessuno! Se c’è una cosa che attira magneticamente la curiosità dei più piccoli sono proprio quegli accessori in cui gli adulti custodiscono cose attraenti, spesso preziose e proibite, di certo misteriose. Ecco allora che un libro tattile come Scuficchiando, che dello zaino ha proprio la forma e che  di borse e affini fa oggetto di narrazione, parte già in pole position per stuzzicare dita e occhi desiderosi di esplorare.

Il libro di Marilena Del Monte e Moira Diletta si presenta al lettore che una veste decisamente originale e ben poco somigliante a quella di un libro tradizionale. Dotato di una maniglia e di una chiusura in metallo come un vero e proprio zainetto di grosse dimensioni e dai colori fluo, il volume di impone all’attenzione del lettore scatenando un immediato desiderio di saperne di più. Quello è davvero un libro? Come mai è così grande? E cosa può nascondervisi dentro?

Il mistero è presto svelato! Aprendo lo zaino, ci si trova davanti 6 doppie pagine in stoffa, ciascuna contraddistinta da un testo a grandi caratteri in nero e in Braille sulla sinistra e da una diversa borsa sulla destra). Le borse sono capienti, variegate, vistose: un invito a nozze, praticamente, per chi non resista alla tentazione di rovistare e trovare piccoli grandi tesori. Il libro procede dunque come una carrellata di accessori di possesso dei vari familiari del bambino narrante. In ciascuno, questi è solito frugare con un preciso obiettivo: trovare qualcosa di ghiotto nella borsa della nonna, le cuffiette per la musica in quella del papà, l’oggetto di qualche dispetto in quello della sorella e via dicendo…

Nel descrivere in rima ciò che contraddistingue ogni borsa, il testo offre indizi eloquenti (ma mai del tutto svelanti) di ciò che il lettore potrà trovarvi dentro. La sua esplorazione sarà così, dunque, guidata ma non monotona: un incentivo non da poco in una pratica tutt’altro che semplice come quella della decodifica tattile. A questo scopo concorre inoltre la scelta di inserire all’interno delle borse degli oggetti reali che il bambino possa riconoscere come familiari e decifrare in maniera meno ostica.

Intrigante, appariscente e stuzzicante, Scuficchiando non passa senza dubbio inosservato e fa della lettura tattile un gioco tutt’altro che noioso. Un gioco, peraltro, che si presta a essere condiviso anche all’interno di un gruppo di pari dal momento che la dimensione del libro e la struttura delle immagini consente agevolmente un’esplorazione a più dita.

Flutti

Se c’è un libro capace di sfatare quello sciocco pregiudizio che associa i racconti visivi a un esclusivo pubblico di lettori piccoli e inesperti, perlopiù perché incapaci di decodificare la parola scritta, quello è proprio Flutti. Pluripremiato, acclamato e da anni atteso in Italia, il silent book di David Wiesner ora edito da Orecchio Acerbo è infatti un esempio ammirevole di architettura narrativa e di uso raffinatissimo delle immagini.

Protagonista è un ragazzino dallo spiccato interesse scientifico, come si intuisce dal fatto che in spiaggia con lui ci sono sì secchielli pieni di tesori ritrovati sulla battigia ma anche strumenti che ne consentono la minuziosa osservazione come una lente di ingrandimento, un binocolo e un microscopio. Ed è proprio mentre osserva paguri e granchi che facciamo la conoscenza di questo personaggio. Anche se, da lì a poco, sarà qualcos’altro a monopolizzare la sua attenzione. Un’onda particolarmente forte deposita infatti sulla spiaggia un misterioso strumento che reca l’eloquente scritta “Underwater camera” e le cui incrostazioni marine lasciano intuire una certa antichità. Nessuno sulla spiaggia, bagnino compreso, ne sa nulla: non resta che indagare. Dopo un’ora di snervante attesa per lo sviluppo del rullino, il protagonista – e con lui il lettore – si trova davanti qualcosa di assolutamente straordinario: una serie di fotografie subacquee i cui soggetti sono creature o situazioni fantastiche come pesci robot,  stelle marine giganti con isole sul dorso o famiglie di polpi che leggono storie alla luce di melanoceti. Lo sconcerto è massimo.

Possibile immaginare qualcosa di ancora più incredibile? Evidentemente sì, se chi disegna di nome fa David Wiesner! L’ultima foto del rullino mostra infatti una sequenza di bambini diversissimi tra loro per tratti somatici, abiti e contesti, ciascuno ritratto con in mano una foto che a sua volta ne immortala un altro. Come in una sorta di matrioska fotografica, ogni fotografia ne contiene una più piccola, in un gioco al rimpicciolimento via via più microscopico. E proprio il microscopio, quando la lente di ingrandimento non basta più, consente al protagonista di scorgere dettagli altrimenti impercettibili e risalire indietro nel tempo, fino alla primissima foto della serie in cui si nota un bambino di un secolo fa o forse più. Nell’euforia per una scoperta tanto entusiasmante, resta una sola cosa da fare: consentire al gioco di proseguire…

Intrigante e intelligente come pochi, Flutti è un libro che fa delle figure materia plastica con cui raccontare, giocare, riflettere. Un libro per immagini che parla di immagini è un invito per il lettore a un’esplorazione metanarrativa appassionante. Ma un libro come Flutti aggiunge a questo aspetto già di per sé geniale, l’incanto di un racconto in cui nulla è lasciato al caso. Dentro al silent di David Wiesner c’è proprio tutto quello che vorremmo chiedere a un libro. Ci sono mondi immaginari e invenzioni fantastiche, dettagli eloquenti e inquadrature studiate, tavole in cui perdersi e una storia solida da decifrare. L’autore confeziona in maniera impeccabile il suo racconto senza parole, facendo leva su una successione di riquadri dal ritmo variegato che fanno sentire il lettore come su una poltrona del cinema. Nonostante la raffinata complessità della storia e il sottile intreccio tra dimensione reale e dimensione fantastica, il libro offre così una narrazione pulita e chiarissima, capace di accompagnare il lettore senza rinunciare mai, nemmeno un istante, a solleticare il suo intuito e la sua meraviglia.

Articolato e ricco al punto da poter essere letto e riletto a lungo, senza rischio di annoiarsi, Flutti fa dell’osservazione la sua chiave, invitandoci a guardare lontanissimo e vicinissimo e a godere delle meraviglie che uno sguardo così curioso può spalancare. Imperdibile!

Il sogno di Max

A bordo di un pullmino stipato fino all’orlo (sfidiamo, noi, a far stare altrimenti cinque elefanti in un solo mezzo!) che viaggia in mezzo alla pioggia, l’elefantino Max si accinge a tornare da scuola. A differenza dei suoi compagni, che una volta scesi gioiscono di spruzzi e cascate d’acqua, Max non è affatto felice. Quella pioggia guastafeste gli impedirà di godersi il pomeriggio al luna park, in compagnia del papà e con un bel palloncino rosso attaccato alla proboscide. Che peccato! Eppure quel sogno è così forte e desiderato che dal palloncino rosso fiammante Max si lascia chiamare e trasportare lontano, in una bella giornata di sole, in cima alle giostre più belle. È successo davvero o Max se lo è solo immaginato? Difficile dirlo, soprattutto se il sogno finisce per essere condiviso con il papà…

Tutto giocato sul contrasto tra il bianco e il nero delle illustrazioni a matita e il rosso fiammante del palloncino e di alcuni dettagli delle giostre, Il sogno di Max racconta una graziosa storia per immagini che sa di famiglia, di fantasia e di libertà.  Oltre a dirci tra le righe che non dobbiamo per forza essere tutti uguali e a raccontarci quanto un sogno possa unirci e portarci lontano, il libro di Imbrattacarta offre un’opportunità di lettura visiva interessante in cui i vari passaggi narrativi non sono scontati ma richiedono una certa attenzione da parte del lettore a cogliere e interpretare dettagli minimi come espressioni del volto, inquadrature e posizioni.

Che cos’è?

Formato quadrato e maneggevole, soggetti riconoscibili, semplici illustrazioni in bianco e nero, assenza totale di parole scritte: con Che cos’è? Tana Hoban offre ai lettori più piccoli, fin dai primissimi mesi, un libro che fa dell’essenzialità la sua cifra e il suo modo di rispondere a specifiche esigenze percettive e cognitive. Attentissima ad abbracciare il bebè con forme e contenuti davvero adatti a bisogni e capacità in movimento, la fotografa americana confeziona un volume ad altissimo contrasto in cui spiccano su sfondo nero lucido nove sagome bianche ben riconoscibili.

Un ciuccio, un palloncino, un anatroccolo giocattolo, un passeggino: gli oggetti a cui Tana Hoban sceglie di dedicare attenzione all’interno di Che cos’è? sono selezionati tra quelli più comuni e familiari ai potenziali destinatari del libro: oggetti che popolano le case, che possono essere toccati ed esperiti senza pericolo, che assumono un valore affettivo ed emotivo importante. Ritrovarli sulla pagina nei loro tratti salienti e senza alcun orpello inutile consente al bambino di compiere un’esperienza di riconoscimento di grande appagamento. La presenza di oggetti collegabili alla propria quotidianità, inoltre, pone le basi per attivare un dialogo fruttuoso e profondamente coinvolgente tra il bambino e l’adulto che accompagna la scoperta del libro.

Quello che appare come un libro semplicissimo, quasi scarno, è in realtà frutto di un lavoro di selezione e asciugatura estremamente delicato e attento. Tana Hoban opera, infatti, in maniera minuziosa sui contrasti che meglio possono attrarre gli occhi dei più piccoli, sulle angolature che possono facilitarli nel riconoscimento degli oggetti, sulle associazioni che possono riempirsi di senso. Così, per esempio, ciuccio e peluche che parlano di consolazione, relax, coccole e sicurezza condividono la medesima doppia pagina, alla stessa maniera di sedia e tavolino, che richiamano una comune esperienza di esplorazione dello spazio e delle possibilità del proprio corpo.

Che cos’è? fa parte della preziosa collana A bocca aperta messa a punto da Camelozampa con la consulenza scientifica di Silvia Blezze Picherle e Luca Ganzerla: una collana rivolta ai bambini tra 0 e 2 anni che iniziano ad approcciare l’oggetto-libro e il suo contenuto e progettata attingendo ai titoli più significativi della produzione internazionale. Insieme a Tana Hoban, autrice di Che cos’è? ma anche di Giallo, rosso, blu, la collana da poco nata comprende ad oggi anche quattro piccoli  libri senza parole firmati da Helen Oxenbury.

Giallo, rosso, blu

Anche quando i libri sono progettati appositamente per i piccolissimi e sembrano all’apparenza molto semplici, la loro reale accessibilità da parte dei bambini non è né automatica né scontata. Il testo, per quanto mediato dall’adulto, può non risultare così lineare. Le immagini, dal canto loro, possono richiedono un processo di decodifica tutt’altro che banale, in conseguenza di numerosi fattori tra cui il tipo di soggetto scelto, la tecnica utilizzata per riprodurlo sulla pagina e il numero di dettagli presenti.

Alla luce di questa premessa, lavori meticolosi, accurati e rispettosi come quelli di Tana Hoban brillano per la loro qualità che, non a caso, fa molto spesso rima con accessibilità. L’artista americana, molto attiva negli anni settanta con una vastissima produzione di volumi pensati per la primissima infanzia, propone infatti libri che fanno perno sulle immagini fotografiche per costruire connessioni, giochi di accostamento, percorsi di riconoscimento e pensiero che assecondano e nutrono delle competenze di decodifica visuale necessariamente in crescita.

Giallo, rosso, blu, portato di recente in Italia da Camelozampa, è proprio uno di questi libri.  Cartonato dalle dimensioni ridotte, adatte a piccole mani, e dalle pagine robuste ma non troppo spesse, il libro dedica ogni pagina a un colore, associando la parola che lo indica, stampata a grandi caratteri colorati (nella tinta corrispondente), un pallino colorato (sempre nella tinta corrispondente) e la fotografia di un oggetto che di quel colore sia un valido rappresentante. Così, per esempio, sulla prima pagina spicca una sveglia rossa sotto cui si trova un pallino rosso e la parola “ROSSO” in rosso scritta.

Colori e soggetti scelti sono dieci in tutto: oltre alla sveglia, un guanto, una scarpa, un fiore, un’arancia, una foglia, un peluche, una piuma, un gattino e un coniglio. Oltre a essere tutti piuttosto comuni e a incontrare dunque facilmente la quotidianità del piccolo lettore, gli oggetti si stagliano netti sulla pagina, senza inutili dettagli che possono essere fonte di distrazione e secondo un’inquadratura che agevola il più possibile il riconoscimento. Così, per esempio, il coniglio è ripreso di muso, la scarpa di tre quarti e il guanto di piatto.

Queste attenzioni tutt’altro che casuali, unite alla scelta del medium fotografico che avvicina con precisione la pagina alla realtà, fa sì che Giallo, rosso, blu possa essere facilmente decodificato e goduto anche da bambini che fatichino più di altri ad astrarre o a districarsi su pagine troppo affollate e ricche.

Storie sulle dita

Definire Storie sulle dita semplicemente un libro tattile è a dir poco riduttivo. Perché oltre a questo, il titolo edito dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi è anche un libro senza parole, un gioco, uno strumento versatile per inventare, raccontare e ascoltare storie. Non stupisce dunque che il lavoro di Cristina Rivoir e Federica Bertagna abbia vinto il concorso di editoria tattile Tocca a te! nel 2019, conquistando la giuria per la sua originalità e versatilità.

Storie sulle dita si presenta come una solida scatola in legno, dotata di comodi manici e dipinta di un blu vivace su cui spiccano in giallo le lettere del titolo. Al suo interno stanno comodamente riposte due cose: un libretto dalle pagine in compensato, ciascuna dotata di un pezzetto di velcro, e un set di schede in compensato, ciascuna dedicata a un’illustrazione tattile.  Composte da oggetti reali o più frequentemente realizzate a collage materico, queste vanno da una bacchetta magica a un uccello, da una chiave a una ragnatela, da un orologio a un puzzle, in un mix di quotidiano e fantastico dall’enorme potere generativo. Nessuna parola, né sul libro né sulle schede: perché le storie possono nascere anche solo dalle figure e solo in un secondo momento trasformarsi in un racconto verbale.

A partire da questa dotazione, gli usi che si possono fare di Storie sulle dita sono molteplici: si possono scegliere le schede predilette e usarle per comporre il proprio libro, si può costruire una storia a partire da schede scelte a caso, si può giocare a indovinare la storia immaginata da un compagno e via dicendo…

La forza di questo progetto editoriale, così curato e così eclettico, sta proprio nel suo essere insaturo, nel suo accogliere cioè modalità d’uso e di appropriazione diverse che possono essere calibrate sulla situazione, sul contesto, sulle abilità dei partecipanti e sull’inventiva di chi propone l’attività. Dalle  schede che compongono il set possono nascere, così, non solo centinaia di storie diverse ma anche decine di modalità di esplorazione fantastica differenti, all’interno delle quali tatto e immaginazione interagiscono in maniere inaspettate.

Difficile, a quel punto, resistere alla tentazione di sperimentare nuovi binomi (tattili) fantastici, percorrere sentieri fiabeschi nutriti di sensazioni tangibilissime e lasciarsi trasportare dal piacere di mettere alla prova le proprie mani e la propria creatività. Perché a tutti noi è capitato di avere una parola o una storia sulla punta della lingua. Ma solo i più fortunati, conoscitori di questo prezioso cofanetto, potranno dire di averla avuta sulla punta delle dita!

Indovinello

Un libro che si intitola Indovinello non può certo lesinare sulle sorprese ma difficilmente il lettore di questo libro si aspetta tutta l’imprevedibilità che si nasconde sotto la copertina. Questa, in primis, cela un che di inaspettato: quello che potrebbe sembrare un tomo tozzo e massiccio dalla raffinata copertina in pelle, si rivela in realtà essere un contenitore. Ohibò, Indovinello è dunque un libro in scatola!

Non solo. Indovinello è un libro che non si sfoglia. Arrotolato, infatti, su sé stesso, il libro di Elodie Maino presenta un lato liscio in similpelle e un lato più ruvido in carta da pacchi. Su quest’ultimo è apposta una striscia centrale in stoffa bianca su cui poggiano le illustrazioni tattili. La speciale forma del libro non è meramente estetica o pensata per spiazzare il lettore, bensì risulta funzionale a uno svelamento progressivo del testo e delle immagini.

A fronte di un cartellino che recita (in nero e in Braille): “Indovinello: sono piccolo e tondo. Chi sono?”, il libro fa via via comparire una serie di oggetti che potrebbero risolvere l’enigma. Questi si accompagnano dal canto loro a un testo che consente man mano di aggiustare il tiro e restringere il campo delle soluzioni. L’oggetto misterioso si scopre infatti essere più piccolo di un pompon ma meno di un confetto, più elegante di un tappo non destinato al naso o alla bocca, simile a una perla e… lungi da noi svelare gli ultimi decisivi indizi!

Simpatico a coinvolgente, soprattutto nell’ottica di una scoperta esclusivamente tattile, Indovinello vanta testi minimi e amichevoli che si accompagnano in maniera puntuale a illustrazioni di facile decodifica. Queste ultime sono infatti realizzate con oggetti reali (gli stessi citati poco più su) invece che con collage di materiali: aspetto questo che agevola il bambino nel riconoscimento dei soggetti. Il libro si presta in questo modo a solleticare e appagare lettori vedenti e non vedenti anche non molto esperti nella pratica dell’esplorazione tattile, offrendo loro un interessante mix tra prevedibile e inatteso. La singolare forma del volume, inoltre, lo rende particolarmente funzionale anche a letture collettive, per esempio in classe o in biblioteca.

Lo zainetto di Matilde

Quello trascorso insieme ai nonni è spesso un tempo speciale. È un tempo lento, prima di tutto, ed è un tempo totalmente gratuito e votato al piacere di fare e stare insieme. Quando il nonno va a prendere Matilde a scuola, per esempio, davanti a loro si parano pomeriggi interi al parco, in giro per la città, a gustare merende, a cucinare biscotti e a disegnare su grandi fogli bianchi. Non ci sono rincorse, scadenze o incastri di impegni: ci si può attardare a coccolare un cane per strada o a osservare un uccello sui rami, si può fare un pisolino e ci si può rilassare, ciascuno a suo modo, condividendo uno spazio che sa di cura e di tenerezza. Certo, quando mamma e papà escono da lavoro e arriva il momento di tornare a casa, è dura. Chi avrebbe voglia di dire “Arrivederci” a una compagnia così piacevole? E così Matilde si nasconde, tiene il muso, punta i piedi… per fortuna c’è il nonno che, con una sorpresa inattesa, sa addolcire il rientro a casa con piccoli ricordi di un tempo davvero felice.

Vincitore del Silent Book Contest 2021, Lo zainetto di Matilde è frutto di un lavoro a sei mani che ha visto impegnati due autori e un illustratore. Contraddistinto da colori accesi e figure minime, quasi abbozzate, il libro senza parole di Fabio Sardo, Silvia Del Francia e Luca Cognolato racconta una quotidianità autentica e dà risalto ai sentimenti attraverso gesti e azioni di grande complicità. L’affetto che lega Matilde e il nonno salta fuori con forza dalle pagine, senza che alcuna parola scritta si renda necessaria. Il racconto per immagini procede così lineare e liscio dettando un tempo ben scandito e riconoscibile dal lettore. I pochi e significativi dettagli inseriti in ogni quadro rendono dal canto loro abbastanza agevole seguire e decifrare la vicenda: compito, questo, supportato dalla scelta efficace di sfruttare le luci – di lampade, lampadari e lampioni – per mettere di volta in volta in evidenza gli elementi chiave del racconto.

Michi e Meo scoprono il mondo – il mattino / la sera

Michi e Meo – un bambino piccolo piccolo e il suo inseparabile gatto di peluche – sono una coppia di personaggi francesi di cui da tempo Babalibri porta in Italia le avventure. Già protagonisti di brevi storie dal testo semplice e dal ritmo iterato, i due amici sono ora al centro anche di una collana di felici libri senza parole pensati per i lettori alle primissime armi.

Due sono i cofanetti – ciascuno composto da una coppia di volumi – che finora compongono la collana intitolata Michi e Meo scoprono il mondo: il primo è dedicato alle attività mattutine e serali e il secondo è dedicato ai momenti del bagno e della pappa.

Ogni libricino si presenta in forma quadrata e maneggevole, con pagine spesse e resistenti, angoli stondati e tratti compositivi appaganti e rassicuranti. L’autrice focalizza infatti l’attenzione sugli oggetti e sulle azioni più familiari a qualunque bambino, concentrandosi su una quotidianità in cui questi può facilmente riconoscersi. Così, per esempio:

Oggetti e azioni sono dipinti con spesse linee di contorno, colori pieni e una selezione misurata di dettagli. Essi risultano inoltre rappresentati in maniera molto puntuale e funzionale al riconoscimento e all’immedesimazione da parte del piccolo lettore: la scelta di situazioni realmente vicine al vissuto quotidiano di ognuno; l’attenzione a piccole ma significative sfumature espressive (l’impegno nell’allacciare la giacca, il disgusto di fronte ai broccoli, la consapevolezza monella di fare uno scherzo al papà indossando la sua ciabatta…); e la valorizzazione dei posizioni specifiche e movimenti precisi concorrono, infatti, ad attivare la cosiddetta simulazione incarnata, ossia quel meccanismo per cui il nostro cervello si comporta come se noi stessi stessimo vivendo quel che vediamo rappresentato sulla pagina.

A questo stesso importante scopo contribuisce, d’altra parte, la struttura compositiva che contraddistingue i quadrotti progettati e illustrati da Jeanne Ashbé: una struttura analoga (e analogamente efficace!) a quella dei volumi di Helen Oxenbury che fanno parte della collana A bocca aperta di Camelozampa. Si nota infatti che sulla pagina di sinistra, l’oggetto viene rappresentato isolato mentre su quella di destra lo stesso oggetto viene inserito nel suo contesto d’uso e in relazione con il protagonista. Questa scelta appare particolarmente felice nella misura in cui sostiene il bambino nel riconoscimento degli oggetti e in un percorso di decodifica iconica di difficoltà progressivamente crescente.

Rispetto ai volumi della Oxenbury, quelli dedicati a Michi e Meo mettono però in scena un bambino più autonomo; danno spazio a un co-protagonista che a suo modo interagisce con gli oggetti e arricchisce la micro-narrazione; seguono una successione temporale logica più o meno inalterabile e dipingono quadri con maggiori particolari: caratteristiche queste che li rendono godibili a pieno da giovanissimi lettori un pochino più esperti, magari a partire dall’anno e mezzo-due di età.

Frutto di un lavoro di progettazione attento alle reali competenze e necessità del bambino-lettore, i cofanetti di Michi e Meo vantano in definitiva grande qualità e fruibilità che li rendono apprezzabili e decodificabili non solo da chi si sia da poco affacciato al mondo e alle sue rappresentazioni ma anche da chi sperimenti specifiche difficoltà comunicative e/o cognitive. In questo senso la stessa assenza di parole risulta molto funzionale perché consente al mediatore che condivide con il bambino la lettura del libro di calibrarlo con più facilità sulle sue reali esigenze e capacità e di metterlo più agevolmente in relazione alla sua specifica esperienza quotidiana. In questo modo quanto si trova rappresentato sulla pagina può più efficacemente intercettare l’interesse e la comprensione da parte di chi osserva e sfoglia le pagine.

Michi e Meo scoprono il mondo – il bagno / la pappa

Michi e Meo – un bambino piccolo piccolo e il suo inseparabile gatto di peluche – sono una coppia di personaggi francesi di cui da tempo Babalibri porta in Italia le avventure. Già protagonisti di brevi storie dal testo semplice e dal ritmo iterato, i due amici sono ora al centro anche di una collana di felici libri senza parole pensati per i lettori alle primissime armi.

Due sono i cofanetti – ciascuno composto da una coppia di volumi – che finora compongono la collana intitolata Michi e Meo scoprono il mondo: il primo è dedicato alle attività mattutine e serali e il secondo è dedicato ai momenti del bagno e della pappa.

Ogni libricino si presenta in forma quadrata e maneggevole, con pagine spesse e resistenti, angoli stondati e tratti compositivi appaganti e rassicuranti. L’autrice focalizza infatti l’attenzione sugli oggetti e sulle azioni più familiari a qualunque bambino, concentrandosi su una quotidianità in cui questi può facilmente riconoscersi. Così, per esempio:

Oggetti e azioni sono dipinti con spesse linee di contorno, colori pieni e una selezione misurata di dettagli. Essi risultano inoltre rappresentati in maniera molto puntuale e funzionale al riconoscimento e all’immedesimazione da parte del piccolo lettore: la scelta di situazioni realmente vicine al vissuto quotidiano di ognuno; l’attenzione a piccole ma significative sfumature espressive (l’impegno nell’allacciare la giacca, il disgusto di fronte ai broccoli, la consapevolezza monella di fare uno scherzo al papà indossando la sua ciabatta…); e la valorizzazione dei posizioni specifiche e movimenti precisi concorrono, infatti, ad attivare la cosiddetta simulazione incarnata, ossia quel meccanismo per cui il nostro cervello si comporta come se noi stessi stessimo vivendo quel che vediamo rappresentato sulla pagina.

A questo stesso importante scopo contribuisce, d’altra parte, la struttura compositiva che contraddistingue i quadrotti progettati e illustrati da Jeanne Ashbé: una struttura analoga (e analogamente efficace!) a quella dei volumi di Helen Oxenbury che fanno parte della collana A bocca aperta di Camelozampa. Si nota infatti che sulla pagina di sinistra, l’oggetto viene rappresentato isolato mentre su quella di destra lo stesso oggetto viene inserito nel suo contesto d’uso e in relazione con il protagonista. Questa scelta appare particolarmente felice nella misura in cui sostiene il bambino nel riconoscimento degli oggetti e in un percorso di decodifica iconica di difficoltà progressivamente crescente.

Rispetto ai volumi della Oxenbury, quelli dedicati a Michi e Meo mettono però in scena un bambino più autonomo; danno spazio a un co-protagonista che a suo modo interagisce con gli oggetti e arricchisce la micro-narrazione; seguono una successione temporale logica più o meno inalterabile e dipingono quadri con maggiori particolari: caratteristiche queste che li rendono godibili a pieno da giovanissimi lettori un pochino più esperti, magari a partire dall’anno e mezzo-due di età.

Frutto di un lavoro di progettazione attento alle reali competenze e necessità del bambino-lettore, i cofanetti di Michi e Meo vantano in definitiva grande qualità e fruibilità che li rendono apprezzabili e decodificabili non solo da chi si sia da poco affacciato al mondo e alle sue rappresentazioni ma anche da chi sperimenti specifiche difficoltà comunicative e/o cognitive. In questo senso la stessa assenza di parole risulta molto funzionale perché consente al mediatore che condivide con il bambino la lettura del libro di calibrarlo con più facilità sulle sue reali esigenze e capacità e di metterlo più agevolmente in relazione alla sua specifica esperienza quotidiana. In questo modo quanto si trova rappresentato sulla pagina può più efficacemente intercettare l’interesse e la comprensione da parte di chi osserva e sfoglia le pagine.

Quello che tocco

Non è raro trovare libri per la primissima infanzia dedicati ai contrasti più semplici e immediati. Non sempre, tuttavia, la maniera in cui questi ultimi sono proposti sulla pagina appare davvero rispettosa delle esigenze e delle competenze dei lettori a cui i libri sono rivolti. Dettagli eccessivi, contesti confusivi ed elementi di contorno poco significativi rischiano spesso di rendere i volumi poco efficaci nel loro intento comunicativo o di risultare poco fruibili da parte di bambini che sperimentano maggiori difficoltà. Ecco allora che in questo panorama, una proposta come il libro tattile Quello che tocco di Martina Dorascenzi si distingue per semplicità e accessibilità.

Questi, infatti, non solo presenta poco testo sia in nero sia in Braille e illustrazioni interamente esplorabili sia alla vista sia al tatto, ma fa dell’essenzialità la sua cifra. Il libro si concentra, in particolare, su due specifici contrasti – duro/morbido e liscio/ruvido – e dedica a ogni concetto una doppia pagina, con l’aggettivo sulla sinistra e un tondo realizzato con un diverso materiale sulla destra. Abbastanza spessi da poter essere reperiti sulla pagina con facilità e realizzati con materiali ben scelti e ben distinguibili, i tondi si prestano a una esplorazione agevole, veloce ed efficace. Un’ultima pagina, infine, ripropone i quattro tondi incontrati fino a quel momento e invita ad associarli ad altrettante figure a loro affini per forma e texture, contenute in una taschina in stoffa. Il libro assume così, nel finale, la forma di uno spazio di gioco che tanta parte ha nel consolidamento dei concetti esplorati ed appresi.

Quello che tocco può essere letto e goduto a pieno da solo ma fa idealmente parte di un percorso tattile dedicato a concetti molto semplici (forme, contrasti, textures, elementi topologici…) insieme a due altri volumi: Ditino e Nastrino. Tutti ideati da Martina Dorascenzi e pubblicati dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, i tre libri appaiono coerenti nell’aspetto poiché condividono la forma quadrata, la scelta di pagine in stoffa dai colori vivaci e una struttura che prevede pochissimo testo e forme essenziali che invitano all’esplorazione più che al riconoscimento di figure. Il tipo di lettura che ne deriva è estremamente interattivo, piacevole, giocoso e stimolante: caratteristiche, queste, di grande importanza nell’ottica di coinvolgere piccoli lettori con poca esperienza del mondo e dei libri.

Per le stesse ragioni Nastrino, Ditino e Quello che tocco si prestano bene a essere condivisi all’interno di piccoli gruppi di bambini piccoli, in famiglia o al nido, per esempio. La qualità e l’appeal di questi volumi li rende infatti molto accattivanti per qualunque bambino di pochi anni, con e senza una disabilità visiva. La loro semplicità e il coinvolgimento motorio che essi implicano, inoltre, ne fa uno strumento estremamente efficace e spendibile anche con bambini con difficoltà diverse, legate per esempio alla comprensione di concetti astratti. La forza dell’esperienza concreta, ossia del corpo che impara facendo, è infatti chiave preziosa e forse insostituibile per sostenere una reale appropriazione dei libri e dei contenuti che essi custodiscono.

Nastrino

Gli oltre quarant’anni di attività di un editore come La coccinella dimostrano chiaramente una cosa: i libri con i buchi hanno un fascino irresistibile per le piccole dita! Se poi quei buchi popolano pagine morbide e facili da sfogliare, si affiancano a bustine da aprire e chiudere e tracciano percorsi in cui un nastro possa entrare e uscire, allora il libro che li ospita avrà con tutta probabilità vita felice. Questo, perlomeno, è ciò che auguriamo a Nastrino, libro tattile attentamente progettato da Martina Dorascenzi per la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi.

Protagonista del libro è per l’appunto un nastrino dorato che il bambino è invitato a far viaggiare di pagina in pagina, attraverso una serie di buchi tondi. Il nastrino è custodito in una taschina di stoffa collocata sulla prima pagina e da qui viene estratto. Una volta terminato il percorso, il nastrino può essere riposto in una taschina simile alla prima, collocata in chiusura. Minimalissimo nei testi, che si limitano a una frase di saluto e a un invito a far avanzare il nastro, il volume presenta un solo buco per ogni pagina, così da agevolarne il reperimento e rendere l’operazione di ingresso e uscita del nastro alla portata di dita inesperte. Sia che godano sia che non godano del supporto della vista, queste si possono muovere con un certo agio e piacere su pagine accoglienti, trovando nel libro un terreno di esplorazione  e gioco stimolante e appagante.

Nastrino può essere letto e goduto a pieno da solo ma fa idealmente parte di un percorso tattile dedicato a concetti molto semplici (forme, contrasti, textures, elementi topologici…) insieme a due altri volumi: Ditino e Quello che tocco. Tutti ideati da Martina Dorascenzi e pubblicati dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, i tre libri appaiono coerenti nell’aspetto poiché condividono la forma quadrata, la scelta di pagine in stoffa dai colori vivaci e una struttura che prevede pochissimo testo e forme essenziali che invitano all’esplorazione più che al riconoscimento di figure. Il tipo di lettura che ne deriva è estremamente interattivo, piacevole, giocoso e stimolante: caratteristiche, queste, di grande importanza nell’ottica di coinvolgere piccoli lettori con poca esperienza del mondo e dei libri.

Per le stesse ragioni Nastrino, Ditino e Quello che tocco si prestano bene a essere condivisi all’interno di piccoli gruppi di bambini piccoli, in famiglia o al nido, per esempio. La qualità e l’appeal di questi volumi li rende infatti molto accattivanti per qualunque bambino di pochi anni, con e senza una disabilità visiva. La loro semplicità e il coinvolgimento motorio che essi implicano, inoltre, ne fa uno strumento estremamente efficace e spendibile anche con bambini con difficoltà diverse, legate per esempio alla comprensione di concetti astratti. La forza dell’esperienza concreta, ossia del corpo che impara facendo, è infatti chiave preziosa e forse insostituibile per sostenere una reale appropriazione dei libri e dei contenuti che essi custodiscono.

Via della gentilezza

La gentilezza è contagiosa e ripaga sempre. In modi del tutto imperscrutabili, ma ripaga sempre. Per dare voce a questa idea semplice ma fortissima, l’autrice slovena Marta Bartolj confeziona una storia senza parole che appassiona e a tratti commuove.

Protagonista è una ragazza che si presenta al lettore piuttosto triste. Il suo sguardo sconsolato e i manifesti con un cane in primo piano lasciano intendere subito quale sia il motivo del suo stato d’animo. Non del tutto rassegnata alla perdita del suo cagnolino, la ragazza attraversa la città per affiggere i manifesti e lungo il percorso, senza nemmeno badarci troppo, fa dono dello spuntino che aveva portato con sé – una succulenta mela rossa – a un musicista di strada incontrato per caso. Click! È lì che si accende invisibilmente la miccia della gentilezza. Un ragazzo che assiste alla scena, sorride e poco dopo, nel parco, si ferma senza indugio a raccogliere una lattina rossa abbandonata per terra.  È un bambino intento a giocare sul prato, a quel punto, a rimanere colpito dal gesto e a lasciarsi ispirare da esso in un nuovo piccolo atto di premura verso una coetanea probabilmente sconosciuta. Click, click, click: la miccia della gentilezza è ormai inarrestabile e arriva senza posa a toccare le persone più disparate: dall’elegante vecchietto che legge il giornale sulla panchina al ragazzo seduto in caffetteria che aspetta che spiova. Di gesto in gesto, la gentilezza vista diventa gentilezza agita, in una catena di spontanea solidarietà che porta a un lieto fine dolce e a un cerchio che si chiude.

Delicato nel contenuto e nel tratto, Via della gentilezza racconta una storia che arriva dritta il lettore senza che le parole si rendano necessarie. Merito non solo della forza dei gesti ritratti ma anche degli espedienti narrativi messi in campo dall’autrice, come il contrasto tra il disegno a matita e i dettagli rossi (colore certo non casuale!) che innescano la sequenza di piccole attenzioni; il gioco di inquadrature che guida lo sguardo del lettore ora sugli oggetti chiave, ora sui gesti, ora sulle espressioni dei protagonisti; o la ripresa dettagliata delle singole scene attraverso riquadri strettamente collegati tra loro. In questo modo il lettore viene come accompagnato nella lettura visiva del racconto, senza che troppe inferenze gli siano richieste e che l’interpretazione del quadro si faccia troppo ostica. All’assenza di parole, che già allarga la fruibilità del volume, si aggiunge dunque questa particolare chiarezza narrativa che fa di Via della gentilezza una lettura decisamente accessibile, nonostante la sua lunghezza non indifferente.

Il cattivissimo Groem

Quello messo in piedi dal team di Tadà è un progetto innovativo e ambizioso: integrare le potenzialità del digitale e quelle della scrittura supportata visivamente, per proporre un’occasione di lettura accattivante e accessibile anche in caso di difficoltà comunicative e cognitive.

Il progetto prevede infatti il rilascio di una serie di fiabe e favole, sia tradizionali sia originali, scritte in simboli WLS (Widgit Literacy Symbols) e fruibili tramite l’app gratuita per Ios e Android tadà.

L’applicazione garantisce per ogni titolo un ricco set di strumenti e possibilità di personalizzazione della lettura, con l’obiettivo di rendere quest’ultima il più possibile su misura per il singolo bambino. Ogni storia può essere infatti letta in due versioni – una più semplice e una più elaborata – e in tre modalità – “muta”, che consente al piccolo lettore o a chi lo accompagna di leggere in autonomia; “narrata”, nella quale una voce registrata legge in maniera fluida mentre le parole pronunciate vengono via via messe in evidenza; e “solo tasti”, in cui la voce registrata pronuncia solo le parole corrispondenti ai simboli tappati man mano dal bambino.

A questo, si aggiunge la possibilità di stabilire a priori il numero massimo di volte in cui un simbolo può essere schiacciato e dunque ripetuto, così da favorire un avanzamento progressivo nella lettura ed evitare la fossilizzazione, voluta o involontaria, su di una specifica parte del testo. Come voce registrata, inoltre, può essere scelta quella fornita dall’applicazione o può esserne registrata una personale – del bambino stesso o di chi legge con lui, a seconda della possibilità e delle preferenze – così da personalizzare ulteriormente la lettura e superare quella che potrebbe essere una delle insidie principali del digitale, ossia la limitazione della dimensione intima ed esclusiva propria dell’esperienza narrativa.

Una volta stabilite le preferenze e la lettura è avviata, si ha sempre a disposizione sulla schermata in alto a destra un riquadro ben visibile che riporta il simbolo di una tabella. Cliccandoci sopra si accede a una vera e propria tabella digitale che comprende tutte le espressioni più utili a un bambino con difficoltà comunicative per interagire con chi legge e partecipare attivamente alla lettura. Le richieste sono le più variegate: dalla ripetizione all’interruzione, dal fare le facce al registrare la voce, dall’esprimere maggiore o minore apprezzamento al manifestare il desiderio di giocare.

E a proposito di gioco, ecco l’ultima peculiarità degli ebook di Tadà: ogni titolo presenta la possibilità di completare e integrare la lettura con giochi, dalla complessità personalizzabile. Questi comprendono per esempio quiz, giochi di memoria e attività di comprensione del testo.

Alla luce di tutte queste caratteristiche, il lavoro proposto dal team di Tadà è davvero apprezzabile per la quantità e qualità di strumenti messi a disposizione del lettore, per la capacità di sfruttare a pieno le potenzialità del digitale e per la precisione con cui le funzioni messe a punto rispondono a specifici bisogni di bambini con difficoltà comunicative. La speranza è dunque che il suo catalogo continui a venire implementato, magari con un’attenzione in più alla qualità e alla piacevolezza delle illustrazioni.

 

Il cattivissimo Groem

Il cattivissimo Groem è uno dei titoli proposti da Tadà in formato digitale e provvisto di simboli. Favola originale, scritta dalla neuropsichiatra infantile Maria Antonietta Liccardi, racconta di sette topolini attaccati all’improvviso da un gattaccio brutto e cattivo di nome Groem. Solo il più piccolo dei topolini riesce a scamparla e subito si mette alla ricerca di qualcuno che possa aiutarlo a salvare i suoi fratelli. Inizia così un lungo viaggio durante il quale il topolino incontra un vecchio cane, una volpe malata, un timido asino e un’aquila maestosa e a ciascuno di loro chiede soccorso. Per ragioni diverse, tutti si rifiutano di aiutarlo. Solo l’aquila, dopo essersi apparentemente voltata dall’altra parte, torna infine dal topolino tenendo stretto tra gli artigli il sacco in cui Groem aveva chiuso i suoi fratelli. Giustizia è fatta e il coraggio del più piccolo dei topini viene finalmente premiato e omaggiato.

Semplice e lineare, la storia de Il cattivissimo Groem si fa apprezzare per una struttura ben ritmata e per l’uso reiterato di alcune formule che coinvolgono il lettore e lo aiutano a riconoscere una precisa struttura narrativa. La storia è scritta sfruttando simboli WLS riquadrati, con parte alfabetica in minuscolo. I simboli presentano alcuni qualificatori, come quelli di tempo o di numero, ma non sempre sono associati a singoli elementi lessicali: preposizioni, articoli e aggettivi qualificativi, per esempio, sono associati al sostantivo di rifermento, privilegiando in questo modo l’essenzialità del racconto in simboli alla sua esaustività e fluidità

Il fiore ritrovato

Tre bambini, un giardino, un vecchio giardiniere, un fiore: la quarta di copertina non dice altro a proposito di questo libro e, in effetti, in questi quattro ingredienti c’è tutto ciò che serve, c’è la promessa di un racconto che profuma di fiaba, di avventura e, un poco, di mistero. Promessa mantenuta, di fatto, poiché la storia senza parole confezionata da Jeugov conduce il lettore in un vero e proprio giardino segreto in cui avviene una sorta di magia: quella della natura che cura e trasforma.

In quel giardino segreto in cui cresce un meraviglioso e secolare albero giungono un giorno tre bambini con indole da esploratori. Alto e accogliente, l’albero diventa subito teatro di giochi irresistibili, cosa che non sembra apprezzata dal burbero uomo che abita lì vicino e che di punto in bianco decide di abbattere la pianta. Motivo apparente per questo gesto crudele sembrerebbe non esserci e così, incuriositi, i tre bambini si spingono di soppiatto fino alla casa dell’uomo. Qui scoprono un segreto che viene dal passato e che li porta a mettersi sulle tracce di un misterioso fiore. La ricerca non sarà facile, non sarà immediata, non sarà priva di rischi, ma i tre bambini la affrontano con determinazione, fino ad assistere e a partecipare a una strabiliante trasformazione che il profumo dei fiori, come una sorta di pozione magica, ha il potere di attivare.

Il libro di Jeugov procede per sole immagini, caratterizzate da uno stile squisitamente liberty, lo stesso che contraddistingue la villa di campagna che ha ispirato e in cui è nata la storia de Il fiore ritrovato. Colori saturi, contorni marcati, motivi grafici e gusto per la decorazione costituiscono dunque la cifra di questo libro senza parole che gioca essenzialmente sul contrasto tra nero, bianco, verde e arancione (con qualche lampo rosso e giallo là dove il finale celebra la trasformazione più piena) e che si compone di tavole dall’effetto ipnotico.  Raffinate e di grande impatto, queste ultime richiedono una certa capacità di districarsi tra figure stilizzate e composizioni affollate per godere a pieno del racconto. Per contro, quest’ultimo mette in campo tutti gli indizi di cui il lettore necessita per muoversi con agio tra le pagine, seguendo senza indugio il filo narrativo. Abilissimo nel disseminare dettagli significativi, l’autore guida, infatti, con perizia e pazienza il dipanamento della trama, offrendo una lettura appassionante e appagante per lettori dall’occhio attento.

Explorers

Da un posto che custodisce sarcofagi, mammuth, farfalle e armature non ci si può che aspettare magie. E in effetti una piccola magia è proprio quel che ha luogo tra le sale maestose del museo che il protagonista di Explorers e la sua famiglia sono decisi a visitare. Giusto il tempo di acquistare un singolare uccello di origami da un senzatetto nei pressi del museo, dopodiché mamma, papà, bambino e sorellina in passeggino sono pronti a tuffarsi tra le sale traboccanti di cultura. Meglio partire dalle farfalle o dai dinosauri? L’uccello di carta fiondato lontano taglia la testa al toro e nel tentativo di acciuffarlo, la visita diventa uno slalom tra t-rex e triceratopi, mummie e draghi cinesi, quadri e templi greci. L’inseguimento è divertente ma, senza accorgersene, il bambino finisce per perdersi tra le sale. Per fortuna c’è nelle vicinanze un bambino attento e disponibile: ché per una via smarrita, c’è dietro l’angolo una nuova e inattesa amicizia trovata!

Apprezzatissimo per il suo stile dinamico e la sua capacità di costruire storie fatte di figure, Matthew Cornell torna con un nuovo racconto senza parole, dopo la felice esperienza di Un lupo nella neve. Più enigmatico e meno dettagliato di quest’ultimo, Explorers racconta una storia di amicizia vera arricchita da una spolverata fantastica. Attento a rendere con cura le espressioni dei personaggi che tanto dicono di ciò che sta accadendo sulla pagina, l’autore lascia ampio spazio alle inferenze del lettore. Ecco allora che il silent book offre una lettura particolarmente appagante per quei lettori che trovano un ostacolo nella decodifica del testo ma che si muovono con agio tra le figure, completando senza troppa difficoltà i vuoti narrativi che queste ritagliano.

 

La caccia notturna

Non fatevi ingannare dallo stile asciutto e dai colori scuri che dominano la copertina de La caccia notturna: lungi dal dar vita a una storia cupa a ingessata, questi tratti sono piuttosto la chiave di una storia silenziosa sorprendente e appassionante.

Protagonisti sono due intrepidi amici – un armadillo e un serpente – decisi a far scorta di frutta, intrufolandosi in piena notte in una casa. I due non hanno fatto, però, i conti con il gatto da guardia. Insospettito da insoliti rumori, questi si mette infatti sulle tracce degli intrusi e inizia un giro di perlustrazione per le stanze. Ma i due ladruncoli non sono dei dilettanti: in ogni ambiente, giusto un attimo prima che il gatto li raggiunga, assumono le sembianze di un diverso oggetto d’arredo, così da risultare praticamente invisibili. E se, turlupinato a puntino, il gatto finisce per gettare la spugna e rinunciare alla sua missione di ricerca, lo stesso difficilmente può dirsi del lettore: la dinamica del cerca-trova costruita in ogni pagina rende infatti la narrazione estremamente sfiziosa. Riconoscere l’armadillo e il serpente nel bastone della doccia, nel bollitore, nel termosifone o nel mappamondo diventa, infatti, ragione di avanzamento irresistibile e piacevolissima.

Al gusto di trovare le parole per raccontare una storia che di parole scritte non ne ha – peraltro a ragion più che veduta, perché il silenzio è qui funzionale al contesto furtivo e al meccanismo di misteriosa mimetizzazione – si aggiunge, quindi, quello di raccogliere la sfida dei due animali, veri e propri artisti del camouflage!

Oh!

È proprio il caso di dirlo: Oh!, che splendida e inaspettata notizia la ripubblicazione di questo libro! Gioiellino senza tempo firmato da Josse Goffin, Oh! era uscito in Italia quasi trent’anni fa per i tipi della Emme edizioni e torna ora sugli scaffali per felice iniziativa di Kalandraka.

Semplice ed eppure sorprendente, il libro procede per doppie pagine di sole immagini che, grazie al collaudato meccanismo delle alette, trasformano puntualmente il soggetto rappresentato in qualcosa di assolutamente inatteso. Così, per esempio, una tazza diventa una nave, una molletta un pesce, una scarpa un drago e una racchetta da ping pong un aeroplano che fuma la pipa.

Nel mondo surreale di Goffin, non solo le cose mutano con una naturalezza straordinaria, ma un gatto che si lava i denti o un coccodrillo che porta la bombetta non fanno il benché minimo scalpore. Ecco allora che il lettore si lascia trasportare senza difficoltà lungo una narrazione che ha i piedi tutt’altro che per terra e che fa dello stupore il suo motore trainante. Impossibile per lui – che abbia 3 o 90 anni – resistere alla tentazione di immaginare cosa possano diventare quella mela o quel pagliaccio in scatola posti sulla pagina, una volta che l’aletta si sarà sollevata.

Oltre a vantare un fascino istantaneo, Oh! ha il pregio di risultare fruibile anche da parte di bambini con maggiori difficoltà di lettura. In primis, l’assenza di parole lo rende più amichevole nei confronti di quei lettori che faticano nella decodifica del testo alfabetico. In seconda battuta, la lettura visiva risulta accessibile e godibile anche in presenza di difficoltà cognitive, grazie al filo narrativo minimale con cui le diverse pagine sono legate (l’oggetto al centro di ogni doppia pagina è già presente, con un ruolo più marginale, anche in quella precedente) e alle immagini chiarissime, prive di fronzoli, dai contorni netti che si stagliano su uno sfondo pulito. Infine, la semplice ma efficace dinamica ludica che il libro mette in campo agevola l’aggancio anche dei lettori più recalcitranti: ché la sorpresa, si sa, ha un fascino davvero irresistibile!

Mi diverto (collana A bocca aperta)

Se illustrare libri per bambini è faccenda seria (e lo è!), farlo per bambini piccolissimi è faccenda serissima. Qui, infatti, più che altrove, la personalità del segno deve necessariamente confrontarsi con specifiche esigenze di lettura e con abilità di decodifica ancora in maturazione: pena, il flop della proposta, l’accantonamento del libro o la sua fruizione passiva e priva di sollecitazioni appaganti.

Anche per questa ragione l’affacciarsi sul mercato di libri e collane contraddistinti da un’attenzione rispettosa nei confronti del giovanissimo lettore e delle sue possibilità vanno accolti con gioia. È il caso della collana A bocca aperta proposta da Camelozampa e supervisionata da Silvia Blezza Picherle e Luca Ganzerla, professori dell’Università degli Studi di Verona. Predisposta ad accogliere titoli variegati e a coinvolgere autori diversi, la collana è stata da poco inaugurata con una miniserie di volumi che portano la firma di Helen Oxenbury, vero e proprio mostro sacro dell’illustrazione per l’infanzia.

Composta di libretti – quattro finora – cartonati, quadrati e senza parole, questa miniserie si rivolge a bambini piccoli e risulta fruibile già al di sotto dell’anno. Protagonista è un bebè dal passo ancora incerto minuziosamente rappresentato nei gesti, nelle pose e negli interessi tipici dei bambini di quell’età. Ad ogni pagina e in base al tema specifico del libro, il bebè interagisce con animali domestici e oggetti quotidiani senz’altro familiari ai lettori suoi coetanei. Il suo sguardo è attento e curioso, le sue movenze ancora acerbe e impacciate, la sua concentrazione massima, così il suo potenziale lettore finisce per trovarsi di fronte a uno specchio che riflette esattamente il suo modo di approcciare il mondp. Non è un caso, in questo senso, se i titoli che contengono un verbo sono declinati alla prima persona singolare (Mi vesto, Mi diverto)

All’interno di ogni volume, le scene proposte si susseguono secondo una logica minima (le azioni della giornata seguono vagamente una scansione temporale) o più sovente non la seguono affatto, andando piuttosto a comporre una sorta di imagier inerente a un certo tema in cui, volendo, l’ordine delle pagine potrebbe anche essere rimescolato. In particolare:

Al lavoro immortala il bebè nelle azioni quotidiane più comuni che lo vedono protagonista, come la pappa, il bagnetto o la passeggiata in carrozzina.

Mi diverto illustra alcuni dei passatempi più amati, dal concerto di pentole e cucchiai alla lettura di un libro, dalle costruzioni (e distruzioni) con i cubi alle coccole con un grande pupazzo.

Mi vesto ritrae il bebè intento a infilare, uno via l’altro, i vari capi di abbigliamento, dai più agevoli come il cappello ai più complessi come i calzini.

Amici, infine, mostra l’interazione del protagonista con animali diversi, di piccola, grossa e grossissima taglia, con i quali, in forme diverse, si instaura una tenera complicità.

A fare la differenza in questi volumi sono alcune attenzioni specifiche al livello cognitivo dei potenziali lettori e agli elementi che ne favoriscono una soddisfacente appropriazione del racconto. Così, per esempio, le figure appaiono nitide su sfondo bianco e pulito, prive di orpelli decorativi e dettagli inutili; il bambino è sempre ritratto nella sua interezza intento a compiere azioni e movimenti ben riconoscibili; dettagli come le espressioni del viso, le movenze o l’abbigliamento indossato in relazione alle specifiche attività sono sempre coerenti. Inoltre gli oggetti e gli animali rappresentati sono scelti tra quelli che più facilmente il bambino conosce, in modo da offrirgli un’esperienza appagante di decodifica dell’immagine e soprattutto di ognuno di essi viene proposta un’illustrazione estrapolata dal contesto nella pagina di sinistra e un’illustrazione che ne mostra l’uso o l’interazione da parte del bambino nella pagina di destra. Come ben spiegato da Luigi Paladin e Rita Valentino Merletti all’interno del saggio Nati sotto il segno dei Libri, questa attenzione particolare agevola l’operazione di lettura da parte del bambino piccolo perché attiva in maniera più potente la cosiddetta simulazione incarnata.

Tutti questi elementi, dal canto loro, favoriscono il coinvolgimento e la piena partecipazione anche da parte di bambini con maggiori difficoltà cognitive che qui più che altrove possono trovare racconti quotidiani davvero riconoscibili e poco confusivi.

A rendere infine speciali questi volumi, il guizzo ironico inimitabile di Helen Oxenbury che anche quando si rivolge a un pubblico di giovanissimi lettori non cede alla tentazione della rappresentazione piatta e banale. Così tra queste pagine non sarà difficile imbattersi in bambini decisi a infilare i pantaloni dopo aver indossato le scarpe, a tenere in ostaggio un gatto inerme adibito a cuscino o a leggere con grande interesse un libro girato al contrario.

Amici (collana A bocca aperta)

Se illustrare libri per bambini è faccenda seria (e lo è!), farlo per bambini piccolissimi è faccenda serissima. Qui, infatti, più che altrove, la personalità del segno deve necessariamente confrontarsi con specifiche esigenze di lettura e con abilità di decodifica ancora in maturazione: pena, il flop della proposta, l’accantonamento del libro o la sua fruizione passiva e priva di sollecitazioni appaganti.

Anche per questa ragione l’affacciarsi sul mercato di libri e collane contraddistinti da un’attenzione rispettosa nei confronti del giovanissimo lettore e delle sue possibilità vanno accolti con gioia. È il caso della collana A bocca aperta proposta da Camelozampa e supervisionata da Silvia Blezza Picherle e Luca Ganzerla, professori dell’Università degli Studi di Verona. Predisposta ad accogliere titoli variegati e a coinvolgere autori diversi, la collana è stata da poco inaugurata con una miniserie di volumi che portano la firma di Helen Oxenbury, vero e proprio mostro sacro dell’illustrazione per l’infanzia.

Composta di libretti – quattro finora – cartonati, quadrati e senza parole, questa miniserie si rivolge a bambini piccoli e risulta fruibile già al di sotto dell’anno. Protagonista è un bebè dal passo ancora incerto minuziosamente rappresentato nei gesti, nelle pose e negli interessi tipici dei bambini di quell’età. Ad ogni pagina e in base al tema specifico del libro, il bebè interagisce con animali domestici e oggetti quotidiani senz’altro familiari ai lettori suoi coetanei. Il suo sguardo è attento e curioso, le sue movenze ancora acerbe e impacciate, la sua concentrazione massima, così il suo potenziale lettore finisce per trovarsi di fronte a uno specchio che riflette esattamente il suo modo di approcciare il mondp. Non è un caso, in questo senso, se i titoli che contengono un verbo sono declinati alla prima persona singolare (Mi vesto, Mi diverto)

All’interno di ogni volume, le scene proposte si susseguono secondo una logica minima (le azioni della giornata seguono vagamente una scansione temporale) o più sovente non la seguono affatto, andando piuttosto a comporre una sorta di imagier inerente a un certo tema in cui, volendo, l’ordine delle pagine potrebbe anche essere rimescolato. In particolare:

Al lavoro immortala il bebè nelle azioni quotidiane più comuni che lo vedono protagonista, come la pappa, il bagnetto o la passeggiata in carrozzina.

Mi diverto illustra alcuni dei passatempi più amati, dal concerto di pentole e cucchiai alla lettura di un libro, dalle costruzioni (e distruzioni) con i cubi alle coccole con un grande pupazzo.

Mi vesto ritrae il bebè intento a infilare, uno via l’altro, i vari capi di abbigliamento, dai più agevoli come il cappello ai più complessi come i calzini.

Amici, infine, mostra l’interazione del protagonista con animali diversi, di piccola, grossa e grossissima taglia, con i quali, in forme diverse, si instaura una tenera complicità.

A fare la differenza in questi volumi sono alcune attenzioni specifiche al livello cognitivo dei potenziali lettori e agli elementi che ne favoriscono una soddisfacente appropriazione del racconto. Così, per esempio, le figure appaiono nitide su sfondo bianco e pulito, prive di orpelli decorativi e dettagli inutili; il bambino è sempre ritratto nella sua interezza intento a compiere azioni e movimenti ben riconoscibili; dettagli come le espressioni del viso, le movenze o l’abbigliamento indossato in relazione alle specifiche attività sono sempre coerenti. Inoltre gli oggetti e gli animali rappresentati sono scelti tra quelli che più facilmente il bambino conosce, in modo da offrirgli un’esperienza appagante di decodifica dell’immagine e soprattutto di ognuno di essi viene proposta un’illustrazione estrapolata dal contesto nella pagina di sinistra e un’illustrazione che ne mostra l’uso o l’interazione da parte del bambino nella pagina di destra. Come ben spiegato da Luigi Paladin e Rita Valentino Merletti all’interno del saggio Nati sotto il segno dei Libri, questa attenzione particolare agevola l’operazione di lettura da parte del bambino piccolo perché attiva in maniera più potente la cosiddetta simulazione incarnata.

Tutti questi elementi, dal canto loro, favoriscono il coinvolgimento e la piena partecipazione anche da parte di bambini con maggiori difficoltà cognitive che qui più che altrove possono trovare racconti quotidiani davvero riconoscibili e poco confusivi.

A rendere infine speciali questi volumi, il guizzo ironico inimitabile di Helen Oxenbury che anche quando si rivolge a un pubblico di giovanissimi lettori non cede alla tentazione della rappresentazione piatta e banale. Così tra queste pagine non sarà difficile imbattersi in bambini decisi a infilare i pantaloni dopo aver indossato le scarpe, a tenere in ostaggio un gatto inerme adibito a cuscino o a leggere con grande interesse un libro girato al contrario.

Al lavoro (collana A bocca aperta)

Se illustrare libri per bambini è faccenda seria (e lo è!), farlo per bambini piccolissimi è faccenda serissima. Qui, infatti, più che altrove, la personalità del segno deve necessariamente confrontarsi con specifiche esigenze di lettura e con abilità di decodifica ancora in maturazione: pena, il flop della proposta, l’accantonamento del libro o la sua fruizione passiva e priva di sollecitazioni appaganti.

Anche per questa ragione l’affacciarsi sul mercato di libri e collane contraddistinti da un’attenzione rispettosa nei confronti del giovanissimo lettore e delle sue possibilità vanno accolti con gioia. È il caso della collana A bocca aperta proposta da Camelozampa e supervisionata da Silvia Blezza Picherle e Luca Ganzerla, professori dell’Università degli Studi di Verona. Predisposta ad accogliere titoli variegati e a coinvolgere autori diversi, la collana è stata da poco inaugurata con una miniserie di volumi che portano la firma di Helen Oxenbury, vero e proprio mostro sacro dell’illustrazione per l’infanzia.

Composta di libretti – quattro finora – cartonati, quadrati e senza parole, questa miniserie si rivolge a bambini piccoli e risulta fruibile già al di sotto dell’anno. Protagonista è un bebè dal passo ancora incerto minuziosamente rappresentato nei gesti, nelle pose e negli interessi tipici dei bambini di quell’età. Ad ogni pagina e in base al tema specifico del libro, il bebè interagisce con animali domestici e oggetti quotidiani senz’altro familiari ai lettori suoi coetanei. Il suo sguardo è attento e curioso, le sue movenze ancora acerbe e impacciate, la sua concentrazione massima, così il suo potenziale lettore finisce per trovarsi di fronte a uno specchio che riflette esattamente il suo modo di approcciare il mondp. Non è un caso, in questo senso, se i titoli che contengono un verbo sono declinati alla prima persona singolare (Mi vesto, Mi diverto)

All’interno di ogni volume, le scene proposte si susseguono secondo una logica minima (le azioni della giornata seguono vagamente una scansione temporale) o più sovente non la seguono affatto, andando piuttosto a comporre una sorta di imagier inerente a un certo tema in cui, volendo, l’ordine delle pagine potrebbe anche essere rimescolato. In particolare:

Al lavoro immortala il bebè nelle azioni quotidiane più comuni che lo vedono protagonista, come la pappa, il bagnetto o la passeggiata in carrozzina.

Mi diverto illustra alcuni dei passatempi più amati, dal concerto di pentole e cucchiai alla lettura di un libro, dalle costruzioni (e distruzioni) con i cubi alle coccole con un grande pupazzo.

Mi vesto ritrae il bebè intento a infilare, uno via l’altro, i vari capi di abbigliamento, dai più agevoli come il cappello ai più complessi come i calzini.

Amici, infine, mostra l’interazione del protagonista con animali diversi, di piccola, grossa e grossissima taglia, con i quali, in forme diverse, si instaura una tenera complicità.

A fare la differenza in questi volumi sono alcune attenzioni specifiche al livello cognitivo dei potenziali lettori e agli elementi che ne favoriscono una soddisfacente appropriazione del racconto. Così, per esempio, le figure appaiono nitide su sfondo bianco e pulito, prive di orpelli decorativi e dettagli inutili; il bambino è sempre ritratto nella sua interezza intento a compiere azioni e movimenti ben riconoscibili; dettagli come le espressioni del viso, le movenze o l’abbigliamento indossato in relazione alle specifiche attività sono sempre coerenti. Inoltre gli oggetti e gli animali rappresentati sono scelti tra quelli che più facilmente il bambino conosce, in modo da offrirgli un’esperienza appagante di decodifica dell’immagine e soprattutto di ognuno di essi viene proposta un’illustrazione estrapolata dal contesto nella pagina di sinistra e un’illustrazione che ne mostra l’uso o l’interazione da parte del bambino nella pagina di destra. Come ben spiegato da Luigi Paladin e Rita Valentino Merletti all’interno del saggio Nati sotto il segno dei Libri, questa attenzione particolare agevola l’operazione di lettura da parte del bambino piccolo perché attiva in maniera più potente la cosiddetta simulazione incarnata.

Tutti questi elementi, dal canto loro, favoriscono il coinvolgimento e la piena partecipazione anche da parte di bambini con maggiori difficoltà cognitive che qui più che altrove possono trovare racconti quotidiani davvero riconoscibili e poco confusivi.

A rendere infine speciali questi volumi, il guizzo ironico inimitabile di Helen Oxenbury che anche quando si rivolge a un pubblico di giovanissimi lettori non cede alla tentazione della rappresentazione piatta e banale. Così tra queste pagine non sarà difficile imbattersi in bambini decisi a infilare i pantaloni dopo aver indossato le scarpe, a tenere in ostaggio un gatto inerme adibito a cuscino o a leggere con grande interesse un libro girato al contrario.

Les animaux de la ferme

Si potrebbe pensare che Les animaux de la ferme sia un comune libro sugli animali della fattoria. E invece no, il libro di François Delebecque, così come gli altri che fanno parte della stessa serie edita in Francia da Les Grandes Personnes, è decisamente molto di più. Qui il bambino non si limita infatti a trovare cavalli, maiali, capre e galline disegnati ma ha l’occasione di conoscere e riconoscere questi animali da vicino, da diverse prospettive e in un crescendo di complessità che asseconda le sue abilità cognitive.

Come lo fa? Attraverso una scelta stilistica orientata alla pulizia e all’essenzialità (grandi sfondi bianchi su cui si stagliano silhouette nere), una particolare attenzione al tema della somiglianza e della varietà (animali della stessa famiglia sono affini ma non identici così come lo stesso animale può avere aspetti differenti a seconda dalla prospettiva e dal contesto in cui lo si guarda), e un impianto a finestrelle che invita all’interazione, al gioco e al confronto tra differenti forme di rappresentazione.

Ogni doppia pagina è dedicata a una diversa famiglia di animali e presenta 4-5 finestrelle – una più grande sulla sinistra e altre 3-4 più piccole sulla destra – su cui figura la sagoma nera del soggetto. Ben distinguibile anche in caso di ipovisione, questa illustra l’animale mettendone in evidenza i tratti più pertinenti. Perlopiù rappresentati di profilo nella pagina di sinistra, così da risultare più riconoscibili al primo impatto, gli animali sono proposti di fronte, a figura non intera, a gruppi o insieme a elementi di contesto nella pagina di destra: aspetto, questo, che invita il lettore a cimentarsi con operazione di riconoscimento via via più articolate e sfidanti.  Le sagome, dal canto loro, non sono disegnate a caso ma ricalcano esattamente la fotografia dell’animale nascosta sotto la finestrella. Tra il sotto e il sopra di quest’ultima si viene così a creare un gioco di richiami e rimandi che non solo diverte ma supporta efficacemente l’acquisizione di dimestichezza con forme di rappresentazione più e meno realistiche. Un’ultima doppia pagina, infine, ripropone sempre in forma di finestrella tutti gli animali incontrati dal lettore all’interno del libro, offrendogli un’ulteriore occasione di scoperta, gioco e conferma delle abilità fin lì messe alla prova.

Versatile e intrigante, Animaux de la ferme si presta a essere utilizzato in molti modi diversi, rispettando e stimolando le diverse abilità dei diversi lettori.

Mais où est Momo?

Irresistibile Momo! Burlone, astuto e molto molto cool, Momo è un cagnolone che ama giocare a nascondino. Grazie all’intuizione del suo padrone, questa sua passione diventa un divertente e coinvolgente filo narrativo che invita il lettore a seguire e scovare il quadrupede nelle situazioni più disparate. Nel volume Mais où est Momo?, quest’ultimo si nasconde infatti in giardino e in camera da letto ma anche in luoghi ben più improbabili come il luna park, la biblioteca o la palestra. Ne vien fuori un libro che è una specie di viaggio e di caccia al tesoro: ogni doppia pagina presenta, infatti, sulla destra una fotografia in cui cercare Momo e sulla sinistra quattro riquadri con altrettante fotografie di oggetti, ciascuno opportunamente nominato, anch’essi da ritrovare all’interno della scena.

Nato da un’idea coltivata su Instagram e pubblicato per la prima volta in America con il titolo Let’s find Momo!, il libro di Andrew Knapp  risulta estremamente accattivante ma anche molto fruibile. In primo luogo perché sfrutta immagini fotografiche, molto immediate, riconoscibili e apprezzate anche che parte di lettori con difficoltà di astrazione. In secondo luogo perché presenta una struttura grafica sempre identica in cui il lettore può ritrovarsi senza sorprese e in cui ogni oggetto è puntualmente associato alla parola che lo identifica, come in una sorta di simbolo della CAA in forma fotografica. E infine perché la dinamica ludica sottesa al volume supporti e solleciti competenze come quella di nominare le cose e riconoscere le figure, catturando con facilità il lettore.

Tra un pallone da basket e un calzino, un hot dog e un secchiello, Momo diventa così un compagno di marachelle su carta a cui ci si affeziona senza indugio. Per fortuna sul sito http://www.letsfindmomo.com/ è possibile proseguire il cerca-trova che lo vede protagonista su oltre 100 inediti scatti curati dall’autore.

Ditino

Ditino è un tipo intraprendente: passa senza timore in alto, in basso, sopra e sotto le cose. Provare per credere! Il volume per piccolissimi ideato e realizzato da Martina Dorascenzi è infatti un invito per dita curiose a muoversi sulle pagine seguendo semplici istruzioni (“Ditino passa in alto”, per esempio), seguendo un bordo ricamato di facile reperimento. Collocato di volta in volta in una posizione diversa, il bordo delinea un sentiero, una sorta di traccia che il bambino può seguire per sperimentare in prima persona i concetti spaziali più elementari. Punto di riferimento rispetto a cui questi concetti acquistano senso, è un cuscinetto morbido posto al centro della pagina che il lettore può trovare e riconoscere con una certa immediatezza. Semplice me davvero molto ben fatto, Ditino risponde così allo specifico bisogno di allenare l’orientamento spaziale: abilità tutt’altro che scontata soprattutto (ma non solo) per i bambini non vedenti.

Ditino può essere letto e goduto a pieno da solo ma fa idealmente parte di un percorso tattile dedicato a concetti molto semplici (forme, contrasti, textures, elementi topologici…) insieme a due altri volumi: Nastrino e Quello che tocco. Tutti ideati da Martina Dorascenzi e pubblicati dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, i tre libri appaiono coerenti nell’aspetto poiché condividono la forma quadrata, la scelta di pagine in stoffa dai colori vivaci e una struttura che prevede pochissimo testo e forme essenziali, che invitano all’esplorazione più che al riconoscimento di figure. Il tipo di lettura che ne deriva è estremamente interattivo, piacevole, giocoso e stimolante: caratteristiche, queste, particolarmente importanti nell’ottica di coinvolgere piccoli lettori con poca esperienza del mondo e dei libri.

Per le stesse ragioni Nastrino, Ditino e Quello che tocco si prestano bene a essere condivisi all’interno di piccoli gruppi di bambini piccoli, in famiglia o al nido, per esempio. La qualità e l’appeal di questi volumi li rende infatti molto accattivanti per qualunque bambino di pochi anni, con e senza una disabilità visiva. La loro semplicità e il coinvolgimento motorio che essi implicano, inoltre, ne fa uno strumento estremamente efficace e spendibile anche con bambini con difficoltà diverse, legate per esempio alla comprensione di concetti astratti. La forza dell’esperienza concreta, ossia del corpo che impara facendo, è infatti chiave preziosa e forse insostituibile per sostenere una reale appropriazione dei libri e dei contenuti che essi custodiscono.

Moby Dick

Ampio formato, pagine corpose, tavole potenti: è un libro maestoso il Moby Dick di Alessandro Sanna. Omaggio e interpretazione del capolavoro di Melville, il libro ad acquerelli edito da Rizzoli evoca con la sola forza delle immagini tutta la ferocia e l’intensità dello scontro tra uomo e natura, cuore del celebre romanzo americano.

Il  racconto a figure di Alessandro Sanna compie in particolare un preciso lavoro di selezione, concentrandosi su alcuni episodi salienti della celebre caccia alla balena bianca – su tutti, l’allestimento della nave, la composizione dell’equipaggio e, chiaramente, la lotta con la creatura del mare – che condensano ed echeggiano in maniera intensissima i temi e le suggestioni più forti del libro a cui si ispira. Le dettagliate descrizioni che caratterizzano il romanzo lasciano qui posto a tavole ad acquerello in cui sfumature, silhouettes e ombre sono cosa viva e in cui il confine tra umanità e ferinità, tra persone e ambiente, si fa fluido e mai stabile, in un gioco di trasformazioni e prospettive di grande impatto e fascino. Così, tra quadri di diverse dimensioni che si succedono creando un ritmo ora placido ora incalzante, un branco di lupi minacciosi prende pian piano la forma di un equipaggio, il capobranco assume i tratti inconfondibili del capitano Achab sotto una luna che ricorda una balena e il Pequod si fa gigante che straccia i lacci che lo immobilizzano e cavalca le onde. Allo stesso modo, arrivati al culmine della narrazione, in una doppia pagina nera che si apre come una sorta di teatro, prende avvio la lotta spietata, in cui imbarcazione e balena dai tratti significativamente simili, si inseguono e si affrontano nelle profondità dell’oceano, fino quasi a fondersi in una cosa sola.

Raffinato e prezioso, questo silenziosissimo Moby Dick si fa roboante negli occhi e nella testa del lettore, sia che peschi in un immaginario consolidato sia che vada a costruirlo da zero. Il libro offre infatti una reinterpretazione del classico di Melville che riempie, arricchisce e attiva suggestioni impetuose in chi abbia già avuto modo di immergersi tra le pagine del romanzo ma allo stesso tempo offre una possibilità di accesso diversa a chi non ne abbia mai fatto esperienza. In tal senso, questo libro senza parole che fa del silenzio una chiave per portare in superficie una narrazione che resiste al tempo si presta benissimo a dare avvio, anche in ambito scolastico, a percorsi di lettura e rilettura dei classici che risultino accessibili, appassionanti e appaganti anche per quei lettori che di fronte alla parola scritta faticano di più e finiscono per gettare l’ancora.

Odissea. I classici facili

Curata da Carlo Scataglini e illustrata da Flavia Sorrentino, la versione de l’Odissea proposta da Erickson all’interno della collana I classici facili rappresenta un compromesso interessante tra accessibilità e apertura a generi e testi complessi. Proposto senza sacrificare alcun episodio saliente del capolavoro di Omero, quest’Odissea opta per un testo in prosa di agevole approccio. Le illustrazioni, frequentissime e importanti per sostenere la lettura, richiamano nelle linee il gusto artistico ellenico, contribuendo a far immergere il lettore nell’atmosfera unica del capolavoro di Omero.

 

I classici facili

Quella dei Classici facili, curata da Carlo Scataglini, è una delle collane editoriali che più considera l’accessibilità una questione prioritaria. Lo fa mettendo in campo strumenti e accorgimenti diversi, che concernono il testo, le illustrazioni, il loro rapporto e le loro modalità di fruizione.

La peculiarità principale dei titoli che ne fanno parte consiste in una semplificazione sintattica e lessicale del testo. Ispirate ai principi della scrittura Easy-to-Read, le frasi risultano infatti brevi, dalla struttura preferibilmente lineare, e perlopiù composte da coordinate o al massimo da una subordinata. Le parole che le compongono sono selezionate in modo da essere facilmente comprensibili e, laddove risultino più ostiche o comunque meno comuni, vengono evidenziate e spiegate alla fine del capitolo. In questo modo l’autore aggira in maniera piuttosto efficace il pericolo di un appiattimento lessicale che limiterebbe fortemente il diritto all’arricchimento e alla complessità di cui anche i bambini con maggiori difficoltà sono detentori. In questa stessa direzione va inoltre la scelta, nel caso di classici dell’epica come per l’appunto l’Odissea, di selezionare alcuni versi particolarmente significativi e restituirli al lettore nella loro integrità, accompagnati da una puntuale perifrasi e spiegazione. In questo modo non solo si mantiene un legame diretto con il testo originale ma se ne incentiva la scoperta, supportandola solidamente con un preliminare approccio alle vicende in una forma più abbordabile.

A seconda delle reali possibilità del bambino, I classici facili possono così rappresentare un punto di arrivo ma anche un punto di partenza nella scoperta di grandi capolavori letterari. In entrambi i casi, a sostegno della lettura e del suo apprezzamento, vengono tre ulteriori elementi di spicco: in primo luogo la scelta di presentare capitoli brevi e puntualmente accompagnati dalle illustrazioni; in secondo luogo la presenza di un’anticipazione illustrata dei personaggi che il lettore incontrerà, posta in apertura di libro e di due righe di riassunto di ogni capitolo, poste all’inizio di quest’ultimo; e infine la disponibilità a rendere fruibile il testo anche tramite audiolibro. Ogni capitolo può essere infatti ascoltato in formato audio, grazie alla scansione del QRcode o all’inserimento di un codice fornito in apertura sul sito della casa editrice.

Dove c’era un prato

Una porzione di campagna – un laghetto, un pugno di case, prati e coltivazioni, alberi antichi e sentieri sterrati – può nascondere molto più di quel che si vede e di quel che ci si aspetta. Nello spazio di uno sguardo c’è il lavoro dei campi, lo svago all’aria aperta, la natura che esplode in tutta la sua bellezza. Ci sono i tempi lenti, la dimensione umana e le giornate lunghe. Jörg Müller parte proprio da qui, da questo brulicare di attività, movimenti e relazioni, per raccontare la sua storia. Lo fa con un’istantanea a campo largo, che immortala un luogo e un tempo precisissimi: siamo nella primavera degli anni ‘50 e il verde puntinato di fiori la fa da padrone. Lo stesso scenario compare anche nelle pagine seguenti ma via via che il libro avanza il paesaggio si trasforma. Non sono solo le stagioni a mutare le vesti del territorio. È l’impatto dell’uomo a fare davvero la differenza. Di pagina in pagina, infatti, i prati e i boschi iniziano a sparire, le case assumono nuove forme, la presenza umana è relegata all’interno degli edifici e il grigio si fa dominante. Così, in una carrellata tristemente verosimile, l’autore racconta vent’anni di cambiamenti ambientali, interrogando silenziosamente il lettore sui vantaggi e sugli svantaggi che questi portano con sé. Del tutto privo di parole, Dove c’era un prato mette, insomma, il lettore di fronte a una successione di fatti, senza aggiungervi commenti di sorta, ma lasciando piuttosto che siano le immagini a fare leva, con la loro potenza, sullo spirito critico di chi le osserva e mette in successione.

Dove c’era un prato fa la sua prima comparsa in Italia con la Emme di Rosellina Archinto, praticamente negli stessi anni in cui Adriano Celentano cantava che là dove c’era l’erba ora c’è una città. Contemporanei e attenti alle medesime trasformazioni paesaggistiche, Il ragazzo della via Gluck e Dove c’era un prato condividono uno sguardo malinconico e inquieto su un’urbanizzazione selvaggia che metro dopo metro finisce per mangiarsi non solo il verde ma tutto ciò che questo rappresenta: attività lavorative e ricreative, relazioni, orizzonti. Libro dalle tante vite, Dove c’era un prato torna ora sugli scaffali per iniziativa di Lazy dog. Nei quasi cinquant’anni che separano quest’edizione dalla prima, l’esperienza del paesaggio e delle sue trasformazioni fatta dal lettore è senz’altro cambiata. Difficile è, infatti, che oggi un bambino assista a un cambiamento radicale come quello raccontato nel libro ma questo non ne riduce il fascino e la portata attuale. Il libro diventa anzi l’occasione per guardarsi intorno, con uno sguardo al passato e uno al futuro, offrendo spunti interessanti anche per costruire percorsi didattici stimolanti e fuori dal comune, oltre che ampiamente accessibili a tutte quelle categorie di lettori che tendono a fare a pugni con il testo scritto.

La mia giornata

Tana Hoban ha fatto scuola e a partire dai suoi libri per piccolissimi, basati su semplici figure e forti contrasti, si è diffusa anche in Italia una maggiore consapevolezza rispetto all’importanza di proporre volumi di qualità già ai neonati e ai bambini di pochi mesi. In questa cornice, favorevole allo sviluppo di libri resistenti, belli da vedere e modellati sulle reali esigenze dei piccoli lettori, arrivano ora due proposte molto interessanti di Lapis, che già in passato aveva lavorato su questo fronte con la collana de I libri del Tato. Si tratta, nello specifico, de La natura e La mia giornata, curati da Raffaella Castagna.

I volumi si presentano come due quadrotti cartonati, dalla dimensione maneggevole e dalle pagine spesse e leggere. Ognuna di queste ultime propone un solo soggetto, rappresentato in maniera estremamente essenziale e ben distinguibile, grazie alla scelta di sfruttare un solo vivace colore – giallo o rosso – oltre al bianco e al nero. Ogni figura è accompagnata da due-tre parole al massimo: una sorta di micro-didascalia senza fronzoli. In ogni doppia pagina, una figura è bianca su sfondo nero e una è nera su sfondo bianco. Grazie a un sistema di scorrimento, sotto ogni figura se ne svela un’altra con le medesime caratteristiche stilistiche e cromatiche e collegata a quella sovrastante da nessi di vario tipo, principalmente spaziali (la balena e il mare, per esempio) o d’uso (le stoviglie e l’azione di mangiare).

In La natura, che tra i due volumi è forse il più semplice, ogni pagina è dedicata in particolare a oggetti, paesaggi ed elementi atmosferici. Qui le didascalie sono omogenee e volte a nominare gli oggetti (la farfalla e il fiore, per esempio). Il colore che si aggiunge al bianco e nero, inoltre, compare solo nelle figure che si scoprono a scorrimento.

In La mia giornata, invece, ogni pagina è dedicata a un’azione quotidiana, dal risveglio all’addormentamento. Sulle pagine si succedono quindi oggetti comuni, familiari al bambino: dalla t-shirt alla palla, dalla vasca da bagno al libro della buonanotte. Sotto ad essi, il sistema di scorrimento rivela personaggi dalle fattezze animali che compiono le azioni collegate ai diversi oggetti, mentre le didascalie danno spazio a frasi che indicano l’azione stessa (Faccio il bagno, per esempio) o che la accompagnano (Buongiorno). I nessi tra le figure, il tipo di testo e la presenza di tre colori sia sopra sia sotto la linguetta a scorrimento rende la lettura di questo volume minimamente più elaborata rispetto al precedente.

In entrambi i casi, la semplicità dei contenuti, il numero limitatissimo di soggetti per pagina e il forte contrasto cromatico delle figure fanno sì che il volume racchiuda delle importanti possibilità di esposizione alla lettura anche da parte di bambini con disabilità. È il caso dei piccolissimi con disabilità cognitiva o comunicativa ma anche di coloro che presentano un deficit visivo. La presenza poi di un semplice ma efficace dispositivo ludico come le pagine a scorrimento, amplifica l’interattività e la sorpresa: elementi di grande importanza e appeal anche e soprattutto per bambini con  maggiori difficoltà di approccio all’oggetto-libro. Per come sono costruiti i volumi, il sistema di scorrimento apre a una sorta di secondo livelli di lettura, leggermente più complesso, che mette in gioco la capacità di associazione tra figure oltre al loro riconoscimento: un livello che, volendo, si può aggiungere anche solo in un secondo momento, senza per questo condizionare il godimento del libro nella sua forma base.

La natura

Tana Hoban ha fatto scuola e a partire dai suoi libri per piccolissimi, basati su semplici figure e forti contrasti, si è diffusa anche in Italia una maggiore consapevolezza rispetto all’importanza di proporre volumi di qualità già ai neonati e ai bambini di pochi mesi. In questa cornice, favorevole allo sviluppo di libri resistenti, belli da vedere e modellati sulle reali esigenze dei piccoli lettori, arrivano ora due proposte molto interessanti di Lapis, che già in passato aveva lavorato su questo fronte con la collana de I libri del Tato. Si tratta, nello specifico, de La natura e La mia giornata, curati da Raffaella Castagna.

I volumi si presentano come due quadrotti cartonati, dalla dimensione maneggevole e dalle pagine spesse e leggere. Ognuna di queste ultime propone un solo soggetto, rappresentato in maniera estremamente essenziale e ben distinguibile, grazie alla scelta di sfruttare un solo vivace colore – giallo o rosso – oltre al bianco e al nero. Ogni figura è accompagnata da due-tre parole al massimo: una sorta di micro-didascalia senza fronzoli. In ogni doppia pagina, una figura è bianca su sfondo nero e una è nera su sfondo bianco. Grazie a un sistema di scorrimento, sotto ogni figura se ne svela un’altra con le medesime caratteristiche stilistiche e cromatiche e collegata a quella sovrastante da nessi di vario tipo, principalmente spaziali (la balena e il mare, per esempio) o d’uso (le stoviglie e l’azione di mangiare).

In La natura, che tra i due volumi è forse il più semplice, ogni pagina è dedicata in particolare a oggetti, paesaggi ed elementi atmosferici. Qui le didascalie sono omogenee e volte a nominare gli oggetti (la farfalla e il fiore, per esempio). Il colore che si aggiunge al bianco e nero, inoltre, compare solo nelle figure che si scoprono a scorrimento.

In La mia giornata, invece, ogni pagina è dedicata a un’azione quotidiana, dal risveglio all’addormentamento. Sulle pagine si succedono quindi oggetti comuni, familiari al bambino: dalla t-shirt alla palla, dalla vasca da bagno al libro della buonanotte. Sotto ad essi, il sistema di scorrimento rivela personaggi dalle fattezze animali che compiono le azioni collegate ai diversi oggetti, mentre le didascalie danno spazio a frasi che indicano l’azione stessa (Faccio il bagno, per esempio) o che la accompagnano (Buongiorno). I nessi tra le figure, il tipo di testo e la presenza di tre colori sia sopra sia sotto la linguetta a scorrimento rende la lettura di questo volume minimamente più elaborata rispetto al precedente.

In entrambi i casi, la semplicità dei contenuti, il numero limitatissimo di soggetti per pagina e il forte contrasto cromatico delle figure fanno sì che il volume racchiuda delle importanti possibilità di esposizione alla lettura anche da parte di bambini con disabilità. È il caso dei piccolissimi con disabilità cognitiva o comunicativa ma anche di coloro che presentano un deficit visivo. La presenza poi di un semplice ma efficace dispositivo ludico come le pagine a scorrimento, amplifica l’interattività e la sorpresa: elementi di grande importanza e appeal anche e soprattutto per bambini con  maggiori difficoltà di approccio all’oggetto-libro. Per come sono costruiti i volumi, il sistema di scorrimento apre a una sorta di secondo livelli di lettura, leggermente più complesso, che mette in gioco la capacità di associazione tra figure oltre al loro riconoscimento: un livello che, volendo, si può aggiungere anche solo in un secondo momento, senza per questo condizionare il godimento del libro nella sua forma base.

Il coraggio nel vento di montagna

È piccolo piccolo il protagonista de Il coraggio nel vento di montagna ma ha intraprendenza e fegato da vendere. Tra le pagine del silent book di Li Yao lo incontriamo senza preamboli, mentre corre riparandosi gli occhi in mezzo alla polvere sollevata da un forte vento. Ritrovatosi solo nel cuore di una brutta tempesta, il bambino sfida le intemperie con risolutezza crescente. Se all’inizio, infatti, si limita a resistere e aspettare paziente di fronte a tuoni, fulmini e una pioggia battente, a un certo punto decide di passare all’attacco. Man mano che il cielo si popola di vortici e nuvole dalle sembianze di draghi, guerrieri e mostri, il bambino fa di una piccola maschera che porta con sé la chiave per superare pericolo e paura.

Tutto giocato sulla sospensione tra dimensione reale e dimensione fantastica, con gli elementi naturali che diventano creature minacciose agli occhi del bambino, Il coraggio nel vento di montagna cattura il lettore con un stile concitato che richiama alla mente tradizioni, fumetti e disegni orientali.

Rispetto ad altri volumi nati dall’esperienza del Silent Book Contest, come per esempio Il tesoro di Nina o La serraIl coraggio nel vento di montagna presenta passaggi narrativi un po’ più oscuri e lascia molto più spazio all’interpretazione del lettore. Per questa ragione si presta ad essere affrontato con particolare soddisfazione da bambini un pochino più grandi o comunque che si sentano a loro agio di fronte a storie complesse e dal contenuto meno immediato. Se l’assenza di parole, da un lato, amplifica questo aspetto, spingendo il lettore a interrogarsi sul significato di ogni pagina, dall’altro accoglie una libertà di movimento narrativo piacevolissima  di ci possono finalmente godere anche bambini e ragazzi che di fronte al testo scritto potrebbero invece sentirsi costretti.

La serra

Se c’è un aggettivo che descrive il tratto ben riconoscibile di Giovanni Colaneri è probabilmente rigoglioso. Quasi sempre, dal pennello dell’autore escono, infatti, figure sgargianti che fioriscono sulla pagina e paiono popolare foreste umane e naturali. Accadeva in Che cos’è una sindrome? e accade ora in La serra, libro che fin dal titolo sembra sposarsi a meraviglia con uno stile così florido.

La sua protagonista è una bambina visionaria e intraprendente che vive suo malgrado in una città tutto fumo e grigiume. Non ci sono alberi né animali a rendere vivo il paesaggio e così, quando un uccello dalle sfumature turchesi spunta alla finestra, la bambina non può fare a meno di notarlo. L’uccellino, d’altronde, veste i suoi stessi brillanti colori e tra i due si instaura una complicità immediata. Di fronte all’invito a seguirlo, la bambina non perde tempo e, inforcata la sua bicicletta, percorre desolate e desolanti distese di foreste ormai abbattute fino a che giunge in luogo straordinario. Si tratta di una serra lussureggiante, luogo di per sé meraviglioso se si considera la triste cornice in cui si colloca, ma reso ancor più straordinario dal personale che lo cura. Al di là delle ampie e luminose vetrate la bambina, e con lei il lettore, incontra infatti una schiera di animali deditissimi al giardinaggio: chi innaffia vasi e aiuole, chi trasporta carrelli zeppi di piante e chi ne controlla puntiglioso qualità e stato. C’è un piano preciso dietro tutto questo lavoro, ma gli animali hanno bisogno di una zampa. Ecco allora che la bambina si trova a guidare una spedizione ad alto impatto green a tutto vantaggio dell’intera comunità.

Finalista del Silent Book Contest 2020, La serra racconta di sogni all’apparenza impossibili e di collaborazioni che creano bellezza. Qui, il rispetto per la natura appare chiaramente come qualcosa che ripaga a pieno, restituendo a chi lo pratica un’esistenza a colori. Sospesa tra reale e fantastico, la storia per immagini confezionata da Giovanni Colaneri è ricca di fascino e scandita in modo lineare e chiaro nonostante l’assenza di parole. Quest’ultima, dal canto suo, ne spalanca la fruizione anche da parte di bambini e ragazzi con difficoltà di decodifica e comprensione del testo, legate per esempio alla dislessia o alla disabilità uditiva.

I quaderni di #intantofaccioqualcosa – Cruciverba

Durante il primo lockdown legato all’emergenza Covid-19, i social e più in generale il web hanno accolto centinaia di iniziative e proposte di attività per aiutare i bambini chiusi in casa a impiegare il tanto tempo vuoto a disposizione. Molte di queste si sono esaurite man mano con l’allentarsi delle misure restrittive. Altre, più rare, hanno trovato il modo di proseguire, magari assumendo una forma differente.

È il caso del progetto #intantofaccioqualcosa, ideato e promosso da Uovonero insieme alle associazioni Autismo è… e Spazio Nautilus di Milano: video e materiali scaricabili, postati quotidianamente durante la primavera del 2020, sono infatti diventati delle vere e proprie raccolte di attività, edite in forma di quaderno. Sono nati così, nel 2021, I quaderni di #intantofaccioqualcosa: 5 volumetti di stampo molto pratico che invitano a divertirsi con giochi, esperimenti scientifici, ricette, cruciverba ed esercizi, tutti fruibili anche in caso di autismo e difficoltà comunicativa perché costruiti sfruttando in larga parte la Comunicazione Aumentativa Alternativa.

Tutte le proposte sono infatti presentate con il supporto di PCS, fotografie e/o disegni che le rendono più immediate e fruibili anche da parte di chi non legge ancora autonomamente o di chi trova più congeniale una comunicazione di tipo visivo. Simboli e immagini non esauriscono completamente le spiegazioni delle attività ma il loro ruolo centrale concorre ad agevolarne la comprensione. Anche i testi, dal canto loro, risultano costruiti in modo da parlare in modo chiaro anche a chi non maneggia con facilità le parole, cercando di rimuovere il più possibile gli elementi di complessità lessicale e sintattica e privilegiando, al contrario, frasi lineari e termini usuali (ma rigorosi, soprattutto nel caso del quaderno scientifico).

I quaderni di #intantofaccioqualcosa si prestano così ad essere utilizzati in maniera relativamente autonoma da bambini e ragazzi anche con difficoltà di lettura o comunicazione, sia all’interno di un gruppo classe sia in un contesto familiare, a casa o in vacanza. Compagni affidabili e piacevoli, oltre che pratici nel formato, questi quaderni offrono una piccola ma sostanziosa scorta di spunti, ideali per pomeriggi oziosi o lunghe giornate di pioggia.

 

Cruciverba

Quando il tempo a disposizione non manca, il cruciverba è sempre una buona idea. Per divertire e soddisfare lettori con età, abilità e interessi diversi, questo quaderno di #intantofaccioqualcosa presenta 25 quiz e cruciverba dedicati a tematiche differenti e di complessità crescente. Si va dallo sport alla gastronomia, dalla geografia al cinema: in questo modo anche giovani lettori molto ferrati in un unico campo possono trovare pane per i loro denti.

Le definizioni sono tutte scritte in maniera molto lineare così da favorirne la comprensione e la soluzione. Di tutti i quiz e i cruciverba sono infine fornite le soluzioni in un’apposita appendice del volume.

Gli altri titoli della serie #intantofaccioqualcosa sono:

I quaderni di #intantofaccioqualcosa – Ricette

Durante il primo lockdown legato all’emergenza Covid-19, i social e più in generale il web hanno accolto centinaia di iniziative e proposte di attività per aiutare i bambini chiusi in casa a impiegare il tanto tempo vuoto a disposizione. Molte di queste si sono esaurite man mano con l’allentarsi delle misure restrittive. Altre, più rare, hanno trovato il modo di proseguire, magari assumendo una forma differente.

È il caso del progetto #intantofaccioqualcosa, ideato e promosso da Uovonero insieme alle associazioni Autismo è… e Spazio Nautilus di Milano: video e materiali scaricabili, postati quotidianamente durante la primavera del 2020, sono infatti diventati delle vere e proprie raccolte di attività, edite in forma di quaderno. Sono nati così, nel 2021, I quaderni di #intantofaccioqualcosa: 5 volumetti di stampo molto pratico che invitano a divertirsi con giochi, esperimenti scientifici, ricette, cruciverba ed esercizi, tutti fruibili anche in caso di autismo e difficoltà comunicativa perché costruiti sfruttando in larga parte la Comunicazione Aumentativa Alternativa.

Tutte le proposte sono infatti presentate con il supporto di PCS, fotografie e/o disegni che le rendono più immediate e fruibili anche da parte di chi non legge ancora autonomamente o di chi trova più congeniale una comunicazione di tipo visivo. Simboli e immagini non esauriscono completamente le spiegazioni delle attività ma il loro ruolo centrale concorre ad agevolarne la comprensione. Anche i testi, dal canto loro, risultano costruiti in modo da parlare in modo chiaro anche a chi non maneggia con facilità le parole, cercando di rimuovere il più possibile gli elementi di complessità lessicale e sintattica e privilegiando, al contrario, frasi lineari e termini usuali (ma rigorosi, soprattutto nel caso del quaderno scientifico).

I quaderni di #intantofaccioqualcosa si prestano così ad essere utilizzati in maniera relativamente autonoma da bambini e ragazzi anche con difficoltà di lettura o comunicazione, sia all’interno di un gruppo classe sia in un contesto familiare, a casa o in vacanza. Compagni affidabili e piacevoli, oltre che pratici nel formato, questi quaderni offrono una piccola ma sostanziosa scorta di spunti, ideali per pomeriggi oziosi o lunghe giornate di pioggia.

 

Ricette

Il quaderno di #intantofaccioqualcosa dedicato alle ricette omaggia quella che è probabilmente stata l’occupazione più diffusa tra gli italiani durante il lockdown. Il ruolo che manicaretti e impasti hanno avuto nell’intrattenere, rilassare e far dialogare tutti noi è stato in qualche modo straordinario e in questi mesi di strana reclusione anche i più piccoli, trascorrendo molto più tempo a casa, hanno avuto modo di cimentarsi spesso con pietanze e fornelli.

Le ricette contenute nel quaderno sono pensate proprio per loro, con l’idea che possano essere replicate quasi totalmente in autonomia o con la semplice supervisione di un adulto. Tutte le proposte sono infatti piuttosto semplici e abbordabili e non richiedono l’uso di strumenti particolarmente sofisticati o pericolosi (eccezion fatta per i coltelli). A ogni ricetta è dedicato un capitolo che comprende l’elenco degli ingredienti necessari e le istruzioni passo passo per preparare il piatto, il tutto presentato tramite fotografie e relative didascalie.

Le fotografie scelte, seppur realizzate in maniera artigianale data la situazione dettata dalla pandemia, sono molto chiare ed eloquenti, al punto che nella maggior parte dei casi le didascalie fungono da supporto non indispensabile. Redatte in maniera lineare e chiara, queste ultime sono dal canto loro molto dirette e non trascurano alcun passaggio, rendendo le proposte culinarie davvero alla portata di bambini molto poco esperti.

Gli altri titoli della serie #intantofaccioqualcosa sono:

I quaderni di #intantofaccioqualcosa – Giochi

Durante il primo lockdown legato all’emergenza Covid-19, i social e più in generale il web hanno accolto centinaia di iniziative e proposte di attività per aiutare i bambini chiusi in casa a impiegare il tanto tempo vuoto a disposizione. Molte di queste si sono esaurite man mano con l’allentarsi delle misure restrittive. Altre, più rare, hanno trovato il modo di proseguire, magari assumendo una forma differente.

È il caso del progetto #intantofaccioqualcosa, ideato e promosso da Uovonero insieme alle associazioni Autismo è… e Spazio Nautilus di Milano: video e materiali scaricabili, postati quotidianamente durante la primavera del 2020, sono infatti diventati delle vere e proprie raccolte di attività, edite in forma di quaderno. Sono nati così, nel 2021, I quaderni di #intantofaccioqualcosa: 5 volumetti di stampo molto pratico che invitano a divertirsi con giochi, esperimenti scientifici, ricette, cruciverba ed esercizi, tutti fruibili anche in caso di autismo e difficoltà comunicativa perché costruiti sfruttando in larga parte la Comunicazione Aumentativa Alternativa.

Tutte le proposte sono infatti presentate con il supporto di PCS, fotografie e/o disegni che le rendono più immediate e fruibili anche da parte di chi non legge ancora autonomamente o di chi trova più congeniale una comunicazione di tipo visivo. Simboli e immagini non esauriscono completamente le spiegazioni delle attività ma il loro ruolo centrale concorre ad agevolarne la comprensione. Anche i testi, dal canto loro, risultano costruiti in modo da parlare in modo chiaro anche a chi non maneggia con facilità le parole, cercando di rimuovere il più possibile gli elementi di complessità lessicale e sintattica e privilegiando, al contrario, frasi lineari e termini usuali (ma rigorosi, soprattutto nel caso del quaderno scientifico).

I quaderni di #intantofaccioqualcosa si prestano così ad essere utilizzati in maniera relativamente autonoma da bambini e ragazzi anche con difficoltà di lettura o comunicazione, sia all’interno di un gruppo classe sia in un contesto familiare, a casa o in vacanza. Compagni affidabili e piacevoli, oltre che pratici nel formato, questi quaderni offrono una piccola ma sostanziosa scorta di spunti, ideali per pomeriggi oziosi o lunghe giornate di pioggia.

 

Giochi

Dal classico trova le differenze al memory, dalle figure da ricomporre al sudoku dei colori: il quaderno di #intantofaccioqualcosa dedicato ai giochi raccoglie una serie variegata di proposte che ben si adattano a stimolare il giovane lettore senza risultare ripetitive.

Ogni gioco è presentato all’interno di una pagina con semplici istruzioni, descritte passo passo con testi alfabetici molto lineari e il supporto di immagini per quanto riguarda l’indicazione dei materiali utili. Laddove, nei giochi, siano previste risposte giuste o errate, il quaderno presenta una sezione di soluzioni mentre per quelle attività che invitano a ritagliare alcune parti sono previste pagine staccabili.

Gli altri titoli della serie #intantofaccioqualcosa sono:

La notte

Bentornati a Wimmlingen, il paese più silenzioso e brulicante che ci sia! Già protagonista degli irresistibili Libri delle stagioni (Topipittori, 2018-2019), la città creata da Rotraut Susanne Berner torna al centro di un nuovo wimmelbuch di grandi dimensioni. Luoghi, abitanti e inquadrature sono immutati rispetto si titoli precedenti: un piacere in più per il lettore che già li ha frequentati e che può così sperimentare la gioia del riconoscimento e il sapore della familiarità. La ripresa, in questo caso, è esclusivamente notturna, il che offre la possibilità di scoprire gli spazi cittadini in una veste insolita, vedendo animarsi luoghi perlopiù deserti di giorno e, al contrario, svuotarsi luoghi di giorno animatissimi. A ruota, anche i personaggi cambiano ruolo, ripresi nel loro tempo libero o in servizio.

E così, a vagare per le strade della vivace cittadina si assiste a comunissime routine quotidiane come a eventi straordinari, a lavori spesso invisibili come a incontri inattesi. Nella Wimmlingen notturna c’è chi si fa la doccia e chi vorrebbe dormire in giardino, chi sventa furti e chi guarda le stelle cadenti, chi fa un pigiama party in biblioteca e chi imbratta i muri per amore. Anche gli animali, come sempre accade nei quadri di Susanne Rotraut Berner, non stanno a guardare e tra gatti ben svegli, procioni a zonzo e cani ladruncoli anche le notti a quattro zampe si fanno piuttosto animate. Ad attraversare la città, partendo dal quartiere residenziale che si accinge a riposare e arrivando al laghetto dove pullulano le attività notturne, il lettore si immerge in una dimensione insolita e avvolgente, in cui al silenzio delle parole assenti si aggiunge quello dell’ora tarda (le 22.15, per la precisione, dice l’orologio della stazione). Tra serrande abbassate e luci accese c’è tanto da osservare, scovare e raccontare: l’autrice ha in questo senso un tocco davvero magico, capace com’è di disseminare tra le pagine dettagli sfiziosi, microstorie che si fanno grandi, citazioni imperdibili e vicende che si intrecciano.

Nei suoi racconti per immagini tutto si tiene con una coerenza e una fittezza di rimandi che sono fonte inesauribile di stupore e ragione di riletture mai uguali. Anche grazie a questa abilità i libri come La notte svelano una molteplicità di strati di lettura che agevola il coinvolgimento e la piena partecipazione da parte di bambini con abilità diverse.  Da un lato, infatti, l’assenza di parole favorisce la positiva appropriazione del libro anche da parte di piccoli lettori con difficoltà di comprensione del testo. Dall’altro, la presenza di storie godibili sia nella loro individualità sia nel loro complesso permette una libertà di movimento pienamente appagante a chi necessita di narrazioni poco articolate al pari di chi si districa con disinvoltura tra vicende disegnate più o meno complesse. Che sia giorno o che sia notte, insomma, la città di Wimmlingen accoglie il lettore con un caloroso e amichevole benvenuto!

A mezzanotte

Mezzanotte è un’ora magica, un tempo speciale che segna un preciso confine oltre il quale qualcosa di straordinario spesso accade. Lo sanno gli umani, immancabili festeggiatori di capodanni, ma lo sanno anche gli animali del bosco. Mezzanotte è infatti l’ora in cui i cancelli del luna park chiudono, lasciando deserti giostre e chioschi di delizie. È proprio a quell’ora che volpi, alci e animali selvatici di ogni sorta varcano il limitare del bosco, da dove pazienti hanno assistito al montaggio del parco di divertimenti preparandosi a goderne. Un buco sotto la rete, un’acrobazia da procioni per accendere l’interruttore generale e si va: il luna park si accende in tutto il suo splendore. Da lì in avanti, per gli animali abituati al silenzio ombroso del bosco è tutto un sorprendersi e sperimentare: ci sono dolciumi da assaporare, giochi di abilità in cui cimentarsi, giostre da cui salire e scendere in una nottata scintillante che è tutto fuorché usuale. Ma ogni cosa ha il suo prezzo e così sui banconi delle attrazioni si accumulano man mano preziose monete del bosco: foglie, pigne, funghi e bacche. Un ultimo giro sugli autoscontri e già albeggia, sembra avvisare il saggio gufo. Mentre il custode del parco si prepara a una nuova giornata di lavoro, gli animali rassettano tutto, recuperano i loro bottini e furtivi tornano a casa, dove la festa continua. Quando la stanchezza prende il sopravvento, ognuno si ritira nella sua tana. Solo il lupo, abile vincitore del gioco delle paperelle, ha ancora qualcosa da fare per rendere la nottata davvero speciale, non solo per sé stesso ma anche per qualcun altro…

Incantevole e coinvolgente, A mezzanotte è un libro senza parole con la S e la P maiuscole, tale per cui eventuali parole scritte sarebbero proprio di troppo. Non solo infatti Gideon Sterer e Mariachiara Di Giorgio allestiscono un’ossatura narrativa solidissima e precisa, che conduce per mano il lettore nell’avventura notturna, ma la meditata assenza di testo offre a quest’ultimo la possibilità di godere delle attrazioni scintillanti proprio come fosse sul posto, prendendosi i suoi tempi e scegliendo con ritmi personali dove e come muovere lo sguardo. Chiarezza narrativa e libertà di movimento trovano qui un misurato equilibrio, permettendo di fare propria la bellezza di questo volume anche a chi si troverebbe imbrigliato dalla presenza di un testo, per motivi per esempio di dislessia o disabilità uditiva, e a chi faticherebbe a districarsi tra storie che richiedono troppe inferenze. La sceneggiatura è infatti meticolosa, scandita senza salti, e le illustrazioni sono disseminate di dettagli apparentemente minimi ma in realtà decisivi ai fini della lettura della vicenda. Si pensi, per esempio, alla precisione degli sguardi dipinti da Mariachiara Di Giorgio, ai gesti eloquenti anche dei personaggi posti sullo sfondo, alla cura di particolari come la luce che aumenta man mano che l’alba avanza o ai rimandi puntualissimi tra le pagine, come quella  iniziale che vede l’orso raccogliere bacche, fiori e funghi e quelle seguenti in cui i preziosi frutti del bosco sono impiegati a mo’ di moneta. Tutto torna, tutto ha e dà senso. In più, non solo le tavole sono di una bellezza emozionante ma le inquadrature mai banali che le contraddistinguono rendono la lettura un atto dinamicissimo che catapulta il lettore tra popcorn scoppiettanti e luci sfavillanti.

Nascondino

Anche il più feroce degli animali può nascondere uno spirito burlone, parola di tigre!

Protagonista del silent book di David Hearn, il pericoloso felino si muove quatto quatto tra l’erba alta sulle tracce di una placida antilope. Il suo sguardo è intenso e concentrato e in un efficace gioco di primissimi piani e campi larghi, capiamo che l’attacco sta per essere sferrato. Ma… colpo di scena! Proprio quando pochi centimetri separano la belva dalla preda, questa spunta trulla dall’erba con indosso occhiali, nasone e baffi finti alla Groucho Marx: uno spasso! Da lì in avanti e a più riprese, l’antilope sfodera la sua riserva di mascheramenti, rendendo la caccia una continua e divertente sorpresa. Ma la tigre non è tipo da arrendersi facilmente e così, scovato il mucchio di costumi, mette in atto la sua insospettabile rivincita. E il gioco, manco a dirlo, è pronto a ricominciare…

Nascondino è il vincitore del Silent Book Contest Junior 2020, il premio attribuito dalla giuria dei giovanissimi, all’interno del concorso organizzato da Carthusia. E il motivo della vittoria non è affatto difficile da capire. Spiazzante e divertentissimo, il libro di David Hearn sa cogliere il lettore di sorpresa e rinnovare quest’ultima fino alla fine, sa mescolare con perizia realismo e invenzione e sa fare delle diverse inquadrature – ampie, ristrette e ristrettissime – un elemento narrativo di grande efficacia. Di fronte a quelle riprese larghe che vedono la tigre muoversi felpata e a quegli zoom improvvisi sulle espressioni del suo volto o sui look improbabili dell’antilope, il lettore è coinvolto a pieno e il continuo cambio di punto di vista – dietro, davanti, sopra e di fianco alla tigre – lo colloca esattamente tra i fili d’erba, in posizione privilegiata per godersi gli esilaranti imprevisti.

Del tutto privo di parole e animato da due soli protagonisti, Nascondino si presta a essere goduto in maniera appagante anche da parte di bambini (e adulti!) con difficoltà legate alla decodifica del testo o alla comprensione di storie complesse, che non disdegnino vicende profondamente surreali.

Guarda!

Progetto che vince non si cambia… ma per fortuna si arricchisce! E così, dopo gli splendidi Fiori! e Forme!, Franco Cosimo Panini porta in Italia due nuovi e bellissimi libri-gioco a misura di mani mignon firmati da Hervé Tullet.

Il primo – Guarda! – si fa particolarmente notare per la sua composizione ipnotica, tutta giocata su cerchi concentrici all’interno dei quali si collocano aperture o specchi. Qui, il gioco dello sguardo si alimenta e si rinnova senza posa grazie alla creazione di riflessi e buchi che si rincorrono creando insolite prospettive e percorsi da indagare.

In maniera analoga, Balla! sfrutta intagli geometrici e specchi per dare vita a pagine dinamiche che invitano al movimento. Pallini e linee colorati creno quadri astratti in cui si possono però riconoscere stilizzatissime figure umane che ricordano per certi versi gli omini di Keith Haring. L’effetto complessivo è solleticante e chiama il lettore a cogliere e riprodurre mosse diverse che cambiano continuamente a seconda del verso e della prospettiva da cui si guardano le pagine.

Come i due titoli precedenti, Guarda! e Balla! presentano pagine double-face unite in una solida struttura a leporello, capace di tenersi in piedi da sola con angolature diverse. Che siano dunque aperti in linea retta, chiusi a recinto, sfogliati tradizionalmente o – che so – allestiti a mo’ di ponte, i libri si prestato a resistere ed assecondare le esplorazioni condotte da occhi e mani non solo curiosi ma magari anche un po’ irruenti per via di una motricità fine ancora acerba o ridotta.

Anche qui, l’assoluta libertà d’uso che solletica l’immaginazione e la sperimentazione personali, è incoraggiata nel lettore dalla scelta di proporre esclusivamente figure astratte o estremamente stilizzate, composte di colori basici – i tre primari più i soli bianco e nero – e di forme minime – cerchi, linee e superfici uniformi di colore o a specchio. La curiosità e l’invenzione vengono così accolte senza vincoli e restrizioni, a tutto vantaggio anche di quei lettori che faticano a sfogliare pagine troppo sottili o a confrontarsi con contenuti più o meno complessi.

Allo stesso modo l’essenzialità e la vivacità della composizione, che generano con immediatezza interesse e coinvolgimento, favoriscono l’interazione tra pari o tra cari, anche laddove la disabilità sembri imbrigliare o impedire pesantemente le possibilità di incontro e condivisione. Cerchi, specchi, linee e colori, così come combinati dal maestro Tullet, diventano in questo modo preziosi strumenti a sostegno non solo del gioco ma anche della relazione.

Balla!

Progetto che vince non si cambia… ma per fortuna si arricchisce! E così, dopo gli splendidi Fiori! e Forme!, Franco Cosimo Panini porta in Italia due nuovi e bellissimi libri-gioco a misura di mani mignon firmati da Hervé Tullet.

Il primo – Guarda! si fa particolarmente notare per la sua composizione ipnotica, tutta giocata su cerchi concentrici all’interno dei quali si collocano aperture o specchi. Qui, il gioco dello sguardo si alimenta e si rinnova senza posa grazie alla creazione di riflessi e buchi che si rincorrono creando insolite prospettive e percorsi da indagare.

In maniera analoga, Balla! sfrutta intagli geometrici e specchi per dare vita a pagine dinamiche che invitano al movimento. Pallini e linee colorati creno quadri astratti in cui si possono però riconoscere stilizzatissime figure umane che ricordano per certi versi gli omini di Keith Haring. L’effetto complessivo è solleticante e chiama il lettore a cogliere e riprodurre mosse diverse che cambiano continuamente a seconda del verso e della prospettiva da cui si guardano le pagine.

Come i due titoli precedenti, Guarda! e Balla! presentano pagine double-face unite in una solida struttura a leporello, capace di tenersi in piedi da sola con angolature diverse. Che siano dunque aperti in linea retta, chiusi a recinto, sfogliati tradizionalmente o – che so – allestiti a mo’ di ponte, i libri si prestato a resistere ed assecondare le esplorazioni condotte da occhi e mani non solo curiosi ma magari anche un po’ irruenti per via di una motricità fine ancora acerba o ridotta.

Anche qui, l’assoluta libertà d’uso che solletica l’immaginazione e la sperimentazione personali, è incoraggiata nel lettore dalla scelta di proporre esclusivamente figure astratte o estremamente stilizzate, composte di colori basici – i tre primari più i soli bianco e nero – e di forme minime – cerchi, linee e superfici uniformi di colore o a specchio. La curiosità e l’invenzione vengono così accolte senza vincoli e restrizioni, a tutto vantaggio anche di quei lettori che faticano a sfogliare pagine troppo sottili o a confrontarsi con contenuti più o meno complessi.

Allo stesso modo l’essenzialità e la vivacità della composizione, che generano con immediatezza interesse e coinvolgimento, favoriscono l’interazione tra pari o tra cari, anche laddove la disabilità sembri imbrigliare o impedire pesantemente le possibilità di incontro e condivisione. Cerchi, specchi, linee e colori, così come combinati dal maestro Tullet, diventano in questo modo preziosi strumenti a sostegno non solo del gioco ma anche della relazione.

Lupo nero

Due occhi bianchi, insidiosi e penetranti si stagliano in copertina su uno sfondo nero intenso: è così che il Lupo nero di Antoine de Guilloppé inchioda subito il lettore. C’è qualcosa di ipnotico in quello sguardo netto: un fascino magnetico che sfida ad addentrarsi nel libro, tra le sue tavole in bianco e nero e del tutto prive di parole.

Qui compare un giovane che, nel fare rientro a casa in una notte invernale, si trova ad attraversare un fitto e intricato bosco. Nevica, fa freddo e avanzare nella coltre non è agevole ma soprattutto il percorso ha un che di inquietante: tra gli alberi si nascondono presenze misteriose, minacciose persino. Il giovane sembra accorgersene a poco a poco mentre il lettore riconosce e segue fin dall’inizio la sagoma del lupo tra i tronchi. La tensione è via via crescente e tangibile: ci si aspetta da un momento all’altro un assalto che, in effetti, non manca ma che, grazie a un sorprendente colpo di scena, cambia di segno e assume contorni del tutto inattesi.

Così, in un finale rapidissimo che chiude una sceneggiatura dal sapore cinematografico, la prospettiva si ribalta, la tensione si scioglie, le emozioni si capovolgono. All’estremità di una parabola emotiva ampissima, che parte dal sospetto, affronta la paura e approda alla rassicurazione, il lettore trova il sollievo di essersi sbagliato nell’attribuire ruoli e intenzioni ai personaggi, condizionato dalla forte valenza simbolica dei due colori usati e degli elementi fiabeschi richiamati.

L’apparenza inganna e queste pagine, con il loro abile gioco di inquadrature e illusioni percettive, consentono di sperimentarlo a fondo. Bianco e nero, vuoto e pieno, buono e cattivo: Lupo nero fa dei contrasti più essenziali e della loro capacità di rovesciarsi la sua chiave narrativa più potente che non solo mette a nudo pregiudizi e stimola interrogativi, ma amplifica la capacità di coinvolgere intimamente chi legge, facendolo sentire davvero immerso tra quei silenziosi tronchi innevati. Quello intagliato con perizia da Antoine Guilloppé – maestro indiscusso della tecnica del papercutting – diviene così un bosco da attraversare tanto fisicamente quanto simbolicamente, con spiazzante soddisfazione per lettori di età anche molto diverse.

Su e giù per le montagne

Il tempo trascorso in montagna ha una scansione tutta sua. E così un anno tra cime e vallate può misurarsi in lamponi colti direttamente dai cespugli, dighe di sassi costruite sui torrenti, notti trascorse in tenda sotto le stelle, alberi abbracciati o scalati, temporali improvvisi scampati e creature dei boschi incontrate.

Questi e molti altri tempi preziosi, popolano lo splendido silent book di Irene Penazzi – Su e giù per le montagne –, seguito ideale del precedente Nel mio giardino il mondo, di cui conserva l’impianto, lo spirito e la freschezza. I tre ragazzini protagonisti, accompagnati da un fedele cagnone bianco, si muovono tra queste pagine proprio come lungo un sentiero che li conduce a godere di panorami sempre diversi e a cogliere possibilità di azione e ricreazione che non si ripetono mai. Come in una sorta di viaggio perenne senza soluzione di continuità, i tre attraversano, nell’ordine, la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno montani, con tutta la ricchezza di meraviglie e attività che ciascuna di queste stagioni sa regalare agli esploratori avventurieri di qualunque età.

La matita di Irene Penazzi restituisce questa ricchezza con grande brio e dinamismo, solleticando senza posa nel lettore l’immaginazione o la memoria di un tempo felice. La cura dei dettagli e la tangibilità delle atmosfere dipinte lasciano trasparire una conoscenza autentica della montagna, un sentimento appassionato in cui il lettore può riconoscersi e ritrovarsi. Il tratto inconfondibile dell’autrice sa cioè tirare fuori dalle immagini, che  si susseguono senza alcuna parola, i suoni, i silenzi, gli odori e le sensazioni con cui un’immersione piena nella natura investe il visitatore. In questo modo il lettore si trova calato dritto dritto tra boschi e masi, ruscelli e fontane, rocce e rifugi.

Anche in questo libro, il fluire del tempo che delinea il racconto non impedisce di godersi ogni scena come una fotografia a sé stante, in cui sostare e di cui gustare ogni particolare. Irene Penazzi dissemina infatti con perizia leggere una moltitudine di dettagli che raccontano molto senza strepitare: l’abbigliamento che cambia in funzione della stagione, la fauna curiosa che fa capolino qua e là, gli oggetti che ricompaiono a distanza di pagine creando un fil rouge tra momenti apparentemente indipendenti.

Così come ogni escursionista vive la montagna alla propria maniera e con i suoi tempi, soffermandosi su quegli aspetti che per lui e lui soltanto sono più significativi, allo stesso modo ogni lettore può qui muoversi tra i sentieri disegnati dall’autrice rivendicando una certa libertà e godendo delle singole tavole come quadri autonomi oltre che come parte di un percorso. Questo, unito all’assenza di parole e alla forte riconoscibilità delle situazioni e delle attività ritratte, fa di Su e giù per le montagne un libro estremamente versatile e accessibile.

Tanti intrecci

Finalista al Silent Book Contest 2019, Tanti intrecci è un albo senza parole dal segno incisivo e dall’indole spiazzante. Fin dalla copertina, dove spicca una squadra di lavavetri sospesi a mezz’aria, il tratto espressionistico e indefinito di Yan Xinyuan cattura l’occhio e smuove l’interesse. Il forte contrasto tra il minimalismo della pennellata e la sua ricchezza narrativa e semantica si ritrova in ogni pagina del libro ed è forse ciò che più di tutto lo rende intrigante.

L’autore cinese non racconta una vera e propria storia ma inanella piuttosto una serie di quadri legati tra loro da fili sottilissimi, fisici e metaforici. Ogni pagina dipinge in particolare una scena in cui, come suggerisce il titolo, trova spazio qualche tipo di intreccio: fili che sorreggono altalene o portano in alto palloncini, che traggono in salvo persone o calano secchi, che costruiscono yurte o trainano merci, che uniscono fascine o sollevano vele. Ma accanto ai fili più visibili trovano posto anche quelli più impalpabili: quelli che uniscono le persone in legami di amicizia, amore o solidarietà e quelli che uniscono situazioni apparentemente distanti in virtù di un dettaglio, un’atmosfera, un sentimento o una sensazione.

Così, se è vero che un racconto lineare non trova posto tra queste pagine, lo è altrettanto il fatto che un intreccio narrativo viene comunque offerto al lettore. Sta a lui, però, scorgerlo, dipanarlo e riallacciarlo secondo combinazioni differenti a seconda della sua sensibilità, della finezza del suo bagaglio culturale, del suo lasciarsi trasportare da immagini non semplici ma d’impatto.

Tutt’altro che banale e immediato, Tanti intrecci è un albo fuori dagli schemi che ben si presta ad essere letto, condiviso e – perché no? – sviluppato da lettori non proprio inesperti, magari delle scuole medie o superiori. L’assenza di parole, che agevola dal canto suo il moltiplicarsi di interpretazioni e significati, ha inoltre il grande valore aggiunto di rendere queste pagine fertilissime e accoglienti anche per lettori che, a causa di disabilità o disturbi diversi, faticano a relazionarsi serenamente con il testo scritto ma non trovano ostacoli nella lettura di immagini anche complesse.

Il tesoro di Nina

A varcare la copertina de Il tesoro di Nina si ha l’impressione di rispolverare una vecchia cinepresa e godersi un filmino d’altri tempi, una ripresa lenta per la precisione. Protagonista è una bambina piccola – gote rosse, capelli ramati, pelle candida in un delizioso e comodo vestitino blu – immersa in un placido e luminoso paesaggio marino. Ogni tavola ci invita a seguirla con partecipe discrezione in una delle sue piccole e meravigliose attività di esplorazione e scoperta: far scorrere la sabbia tra le dita, scalpicciare sulla battigia, giocare con la schiuma delle onde, scovare conchiglie tra le dune e indagarne il misterioso potere…

Nei suoi movimenti un po’ goffi e insieme liberi così come nelle sue espressioni di concentrato stupore si riconosce un’infanzia vera e palpitante, che pare emergere in carne ed ossa dalla pagina. Sonia Marialuce Possentini, attenta osservatrice, sa rendere con grazia e rispetto il rapporto poliedrico che lega i bambini a un elemento ricco ed enigmatico come il mare. In questo, la sua sensibilità ricorda non poco quella dell’autrice coreana Suzy Lee, nel cui capolavoro L’onda si ritrovano non a caso analoghe pose, gestualità, azioni e reazioni.

Finalista del Silent Book Contest 2019, Il tesoro di Nina procede per sole illustrazioni senza far uso di parole. Questo, unito alla storia minima, alla chiarezza delle immagini, alla pulizia delle pagine e al fatto che ciascuna di esse appaia godibile e assaporabile in sé oltre che nel continuum narrativo, rende il libro estremamente accessibile e affascinante anche per bambini piccoli, in età prescolare per esempio, o con difficoltà a decodificare il testo alfabetico o a seguire racconti troppo complessi. Ciononostante il libro costituisce un autentico gioiellino soprattutto per gli adulti che possono scorgervi tutta la libertà da condizionamenti e sollecitazioni superflui, la curiosità di fronte alla ricchezza di un paesaggio multiforme, la gioia della scoperta, lo stupore del gioco: un’occasione preziosa, insomma, per guardare davvero i bambini, attraverso una specchio di carta.

 

Il giardino dei sogni

Formato ampio, atmosfere avvolgenti, sfumature zen: di fronte a Il giardino dei sogni, finalista del Silent Book Contest 2019, il tempo si dilata e il respiro rallenta. Il libro è infatti un tacito invito a sostare tra pagine dominate dai toni di verde, attardandosi a godersi silenzio e bellezza.

Al centro dell’albo di sole immagini di Maine Neuendorff c’è un giardino straordinario – un giardino dei sogni, per l’appunto – in cui le misure del tempo e dello spazio assumono nuovi contorni. Qui veniamo condotti da due bambini, fratelli si presume, a loro volta intenti a seguire un curioso gatto nero comparso per strada. Una volta varcato il cancello di questo che è a suo modo un giardino segreto, i bambini, il gatto e con loro il lettore, assaporano e sperimentano una natura fantastica, tra rami abitati da uccelli di ogni specie, ninfee che sostengono i pisolini, steli d’erba su cui ci si può sedere e cactus dalle forme feline. Sagome e dimensioni inattese, particolari ammiccanti, animali nascosti tra le foglie richiedono un occhio attento e un’immaginazione aperta, per dar fondo a un’esplorazione in cui i confini tra reale e onirico si fanno labilissimi.

Maine Neuendorff è davvero abile nel costruire illustrazioni dalla suggestiva qualità immersiva, che dà vita a una sorta di realtà aumentata in punta di matita. Tra le sue tavole lussureggianti si dipana una storia minima ma densa di sorprese che si sviluppa a filo di pagina ma che offre grande appagamento anche nel singolo quadro. Lineare e chiara, nonostante la fascinosa sovrapposizione tra piano reale e fantastico, la narrazione risulta agevole da seguire senza che le parole si rendano necessarie e anzi l’assenza di queste ultime spalanca il cancello de Il giardino dei sogni anche a giovani esploratori avvezzi a viaggiare con la fantasia ma poco a loro agio di fronte al testo scritto.

Dal 1880

La storia si può raccontare in tanti modi e non tutti, a guardar bene, prevedono le parole. L’albo di Pietro Gottuso intitolato Dal 1880 e pubblicato da Kalandraka, è un bellissimo esempio di come si possano attraversare le epoche, con le loro peculiarità e i loro eventi più salienti, grazie alla potenza e all’incisività di una particolare sequenza di immagini.

L’autore sceglie infatti di accompagnare il lettore in uno speciale viaggio nel tempo che ha come fulcro una libreria. L’inquadratura immutata e frontale da cui viene ritratto questo luogo emblematico mette bene in evidenza cosa cambia dentro ma soprattutto attorno ad esso, anno dopo anno. Punto di riferimento, fisico e simbolico, la libreria diventa una sorta di luogo di osservazione privilegiato di fronte al quale scorrono mezzi, abiti, personaggi che scandiscono il passare dei decenni e disseminano indizi sui singoli periodi dipinti. Si modifica così il contorno della libreria e si succedono le generazioni in essa, ma la sua posizione, la sua insegna e il suo “esserci” sono sempre saldi, rassicuranti.

Si coglie cioè tra le pagine una continua tensione tra cambiamento e resistenza: una tensione che tocca nel profondo chi conosce e riconosce lo strenuo impegno e valore di questi preziosi presidi culturali. Fino all’ultima pagina, che porta con sé un’amara sorpresa e che, rimettendo in scena l’ottocentesco protagonista iniziale, crea un movimento riflessivo circolare che tante domande fa porre al lettore.

Omaggio raffinato e intenso alle librerie, a chi le anima e al loro indefesso lavoro per la comunità che le circonda e che, in definitiva, le rende vive, Dal 1880 è un libro senza parole che parla senz’altro ai grandi ma che offre spunti estremamente interessanti per costruire originali percorsi storici e culturali con i ragazzi, dalle medie in su.

Che febbre!

Un oggetto banale e inanimato come un letto può, contro ogni aspettativa, condurre verso incredibili avventure: Pomi d’ottone e manici di scopa docet! Difficile credere che lo stesso non si possa dire di un divano, che del letto, in effetti, è parente stretto. Detto fatto, la conferma arriva dritta e comoda su cuscini e braccioli tra le pagine di Che febbre!, l’albo firmato da Rina Allek e di fresco nominato vincitore del Silent Book Contest 2020.

Protagonista del racconto senza parole ideato dall’illustratrice russa è una bambina malata – il termometro segna un buon 38° – che si addormenta rannicchiata proprio sul divano di casa. Ma la febbre può giocare brutti scherzi e all’improvviso la bambina si trova minacciata da un gigantesco millepiedi: ci pensa il rosso divano, presto trasformatosi in una volpe scattante, a trarla in salvo e a condurla in un viaggio incantato tra cieli stellati, foreste lunari e oceani sottosopra. Non privo di pericoli e insidie, che prendono di volta in volta la forma di creature bizzarre, il viaggio si conclude là dove è iniziato, nel salotto di casa, in cui (quasi) tutto sembra tornato come prima.

Capace di valorizzare il silenzio per dondolare il lettore in una dimensione a mezz’aria, finemente sospesa tra sogno e realtà, Che febbre! si dimostra un wordless book degno di questo nome e non semplicemente una storia qualunque a cui sono state tolte le parole. L’autrice è poi bravissima a tendere fili sottili tra le pagine, popolando le sue tavole di figure minime dai tratti vagamente espressionistici, i cui dettagli si richiamano tra loro man mano che la narrazione avanza. Così, la forma allungata e inconfondibile degli occhi della protagonista ritorna tra le cortecce degli alberi, come segno del tempo o, chissà, del loro essere sentinelle naturali; il tondo luminoso della luna si deforma nel volto del millepiedi e poi torna rassicurante nel viso della protagonista e via dicendo… A rendere possibile questo gioco di andate e ritorni che, per certi versi, culla e rassicura il lettore, e che, per altri, evoca l’andamento contorto dei sogni più agitati, è il segno netto e serigrafico dell’autrice, la sua scelta accorta e scremata degli elementi grafici e il suo efficace giostrare tre soli colori: il blu, il rosso e il bianco.

In risultato è un albo affascinante che merita più di una lettura, rifuggendo del tutto il pericolo di stancare. Perfetto per lettori attenti, sognatori e intrepidi, poco importa se abili o meno con la parola scritta (che qui, per l’appunto, proprio non c’è), ma a proprio agio di fronte a storie sfuggenti e che volteggiano sganciate dalla più schietta realtà.

Gita sotto l’oceano

Altro giro, altra corsa: dopo la passeggiata nello spazio di Gita sulla Luna, John Hare ci accompagna in una nuova emozionante escursione, questa volta subacquea. A bordo di un sottomarino ultraequipaggiato, che nelle linee e nel giallo brillante ricorda immediatamente il pullmino-astronave della prima avventura, l’autore ci porta a immergerci tra le profondità oceaniche più misteriose e affascinanti. In Gita sotto l’oceano la classe di bambini e bambine segue il maestro, attratta da calamari bioluminescenti, sorgenti idrotermali e lava cuscino popolata da vongole. Un bambino in particolare appare così rapito dalle bellezze marine e così dedito a immortalarle con la sua macchina fotografica che a un certo punto si allontana dai compagni per curiosare dentro il relitto di una nave e viene lasciato indietro. Proprio come in Gita sulla Luna, la classe finisce per risalire a bordo del sottomarino senza di lui e, prima che il maestro possa correre in suo soccorso, il bambino diventa protagonista di un’esplorazione fotografica che gli fa compiere straordinarie scoperte archeologiche e stringere amicizia con buffe creature dei fondali.

Abilissimo nel giocare sui meccanismi di ripetizione e variazione, John Hare ci regala un nuovo albo senza parole coinvolgente e movimentato.  All’interno di una struttura narrativa che puntualmente e volutamente ricorda quella di Gita sulla Luna, l’autore sa dare vita a un’avventura tutta nuova. I richiami al primo viaggio non solo non annoiano ma creano una fitta rete di corrispondenze divertenti da scovare e amplificano l’effetto sorpresa quando il protagonista si toglie lo scafandro. Attento come il primo titolo a rendere molto credibili le movenze, i comportamenti e le fantasie del protagonista (e dei suoi compagni), Gita sotto l’oceano rafforza l’idea di fondo che ogni bambino abbia un talento che, se coltivato e accolto, alimenta la curiosità e genera una ricchezza condivisibile.

Anche qui tavole e figure hanno un fascino ammaliante e i passaggi narrativi che legano l’una all’altra sono molto chiari, nonostante l’assenza di parole. Il silenzio, che quasi si tocca tra queste pagine e che non a caso è caratteristica significativa degli abissi come dello spazio, invita il lettore a guardarsi intorno a caccia di meraviglie, muovendosi con un ritmo e con uno sguardo del tutto personali. Così balzano all’occhio dettagli e minuzie che incantano, svelano e guidano la lettura, in un’immersione che può felicemente vedere protagonisti anche giovani lettori con difficoltà di decodifica del testo, legate per esempio alla dislessia o alla sordità.

Gita sulla Luna

Quando c’è di mezzo una gita scolastica non c’è tempo da perdere: ecco allora che John Hare non spreca neanche un minuto (e una pagina!) e inizia il suo racconto per immagini fin dalla copertina di Gita sulla Luna. È qui, infatti, che incontriamo la classe che si prepara all’escursione, che ci immergiamo senza preavviso in un’insolita ambientazione spaziale e che intercettiamo il protagonista della storia che balza all’occhio per il passo lento e lo sguardo poco entusiasta che lo distingue dai compagni. Perché se le gite sono perlopiù ragione di euforia, non tutti i bambini reagiscono allo stesso modo. E in effetti, ad addentrarsi nella lettura, si scopre un giovane astronauta un po’ timoroso – forse per nostalgia di casa, forse per timidezza, forse per lontananza di interessi, chissà – che segue la classe da distante e si tiene sempre un po’ in disparte, fino ad isolarsi del tutto per ritrarre al meglio coi suoi pastelli colorati quel pianeta verde e azzurro che tanto risalta rispetto ai crateri e ai rilievi grigi della luna. Purtroppo però, nessuno si accorge della sua assenza e così il bambino viene scordato sulla luna quando l’astronave-pullmino riparte alla volta della stazione spaziale. A nulla valgono i suoi tentativi di farsi notare dal mezzo ormai in moto e così si ritrova a cercare consolazione nel disegno, tracciando sul suo taccuino uno sgargiante arcobaleno con due nuvole al fondo (un’immagine che riletta alla luce dei tanti teli apparsi sui balconi in questo nefasto 2020 assume un significato di speranza e buon auspicio ancora più forte). Ma evidentemente il giovane protagonista non è l’unico a subire il fascino dei colori: cinque bizzarre creature lunari, di sfumatura grigiastra e forma aliena, si avvicinano infatti, prima guardinghi e poi strabiliati, trasformando l’attesa del salvataggio in una spassosa sessione di disegno.

Curato e sfizioso, Gita sulla Luna, con cui John Hare ha esordito nel mondo della letteratura illustrata per l’infanzia, è un libro che fa dell’assenza di parole non solo una preziosa possibilità di accesso alla storia anche per quei giovani lettori che faticano di fronte al testo alfabetico, ma anche una forma narrativa in cui lo sguardo viene continuamente sollecitato a scovare particolari significativi, valorizzando quella capacità di lettura visiva troppo spesso snobbata anche in ambito scolastico. Proprio perché non ci sono le parole occorre qui fare caso a ciò che comunicano i dettagli – la direzione delle orme sulla superficie lunare o l’espressività dei gesti e delle distanze tenute dai personaggi, per esempio – perché attraverso di essi si dipana il filo del racconto.

L’autore è davvero molto bravo in questo, così come nell’attribuire fascino e senso all’uso del colore. Il giallo del pullmino-astronave, il verde e il blu della Terra distante o le tinte accese dei pastelli che spiccano sul nero dello spazio e sul grigio della luna calamitano l’occhio del lettore (con buona pace di chi aborre i libri per bambini con pagine scure), rendendo vivide le scene presentate e aiutando a focalizzare l’attenzione sui particolari che denotano l’avanzamento della storia. Il lettore si trova così a muoversi senza gravità tra tavole che calano a puntino in una cornice e in un’atmosfera distantissime in cui tutto sembra rovesciato – i bambini sono astronauti, la terra è un corpo celeste lontano, gli alieni hanno paura degli umani – ma in cui l’infanzia, nei suoi movimenti e nei suoi sentimenti più propri, appare ciononostante del tutto riconoscibile. Perché le emozioni, forse, sono davvero qualcosa di universale.

A un anno di distanza dalla pubblicazione di Gita sulla Luna, Babalibri porta in Italia anche il secondo libro senza parole realizzato da John Hare e intitolato Gita sotto l’oceano.