In riva la mare… il mio primo album fotografico

Formato quadrato, pagine spesse, lunghezza corposa, impaginazione pulita e regolare: quanto è bello addentrarsi in un libro ben fatto come In riva al mare… di Nathalie Seroux! Progettato per piccoli mani e occhi curiosi, questo cartonato appare prima di tutto robusto e capace di affrontare esplorazioni ripetute e un poco irruente come possono essere quelle dei lettori meno esperti. Ma così come l’esterno risponde a specifiche esigenze di lettura, parimenti fa l’interno. Ogni pagina presenta infatti una fotografia quadrata con un soggetto ben riconoscibile e, subito sotto, la parola che lo definisce. I soggetti scelti sono tutti legati al contesto della spiaggia e richiamano esperienze perlopiù familiari al potenziale lettore. Si va dalle racchette ai cappelli da sole, dalla crema solare agli scogli, dal tramonto ai gabbiani. Le pagine sono molte (50, un numero tutt’altro che abituale nei libri rivolti alla primissima infanzia) e altrettanti sono gli oggetti ritratti: quella che ne risulta è dunque una carrellata molto ampia di cose ed esperienze collegate alla vita di mare.

In questo senso, ciò che rende particolarmente interessante il volume è il fatto che offra una molteplicità di stimoli in riferimento allo stesso contesto, immortalando sia oggetti tangibili (le alghe, il secchiello, l’ombrellone…) sia cose impalpabili (il tramonto, l’orizzonte, l’alta marea…) e dando spazio tanto a esperienza molto familiari e ordinarie (i pesci, le barche, la paletta…) quanto a possibilità di scoperta che allargano lo sguardo e nutrono la curiosità (il faro, l’astice, la falesia…). C’è ciò che si conosce e c’è ciò che non si conosce bene o che non si conosce affatto. Il primo rassicura, il secondo incuriosisce: di entrambi, quando si è piccoli, c’è gran bisogno. Inoltre, che si tratti di soggetti noti così come di figure più distanti dal vissuto, l’autrice (e con lei la traduttrice!) prestano attenzione ad associarli alle parole più precise possibili, anche se questo significa privilegiare vocaboli poco ordinari. Melma, ciottoli, astice, villleggianti… di certo non sono parole comuni, ma quanto può essere prezioso per un bambino farne esperienza, prima di tutto sonora e poi di significato?

Ecco allora che appare chiaro come In riva al mare… risulti un ottimo esempio di come i libri progettati per i piccolissimi non possano (e non debbano!) rinunciare alla complessità. Parole esatte ed evocative, soggetti scelti in maniera non banale e progettazione accorta che non trascura nulla, dallo spessore delle pagine all’inquadratura delle fotografie, trasformano quella che può apparire come una semplicissima possibilità di lettura visiva in una raffinata e appagante opportunità di scoperta. Un’opportunità, peraltro, molto inclusiva e accessibile nella misura in cui l’associazione puntuale tra figura e parola, l’impaginazione priva di elementi di distrazione, l’inquadratura chiara dei soggetti, la riconoscibilità propria del medium fotografico e la presenza frequente di soggetti umani che interagiscono con gli oggetti consentono una fruizione ampia del libro e una coinvolgente immedesimazione.

In riva al mare… nasce in Francia, all’interno di una bellissima collana di imagier fotografici dell’editore Éditions de la Martinière. Ne fanno parimenti parte volumi per esempio sugli ortaggi, sui mezzi del cantiere, sulla città e sulla montagna. L’auspicio è che tutti loro possano presto arrivare anche sul nostro mercato, proprio come l’apripista dedicato alla spiaggia, per offrire ai lettori più giovani esperienze di lettura visiva e di conoscenza del mondo mai banali e via via sempre più ampie.

Come fare felice un ippopotamo

Nel caso un ippopotamo vi venisse a trovare, è bene che sappiate come comportarvi. Alcune cose – un’accoglienza calorosa, una vasca piena di giochi, un’insalata croccante, un commiato allegro – possono, infatti, rendere il soggiorno dell’animale particolarmente piacevole. Per fortuna, grazie all’albo firmato da Sean Taylor, non vi troverete impreparati! L’albo, disponibile in versione tradizionale per Babalibri e da oggi anche in simboli per Officina Babùk, illustra infatti molto chiaramente le abitudini e le preferenze di un ippopotamo in trasferta, ma anche – gran finale! – le conseguenze che un trattamento troppo ospitale potrebbe portare con sé!

Divertente e curioso, Come far felice un ippopotamo trasforma fin dalla prima riga il surreale in qualcosa di assolutamente normale e ordinario, aprendo così la strada a un racconto deliziosamente fuori dalle righe. Certo, per quei lettori che faticano a sganciarsi dal piano del reale, questa evasione fantastica potrebbe rappresentare un ostacolo. Alcuni aspetti particolarmente significativi dell’albo, tuttavia, contribuiscono ad agevolare la comprensione del racconto e l’aggancio a una dimensione narrativa poco familiare.

La struttura iterata e in due tempi – descrizione della situazione/descrizione della soluzione proposta –, per esempio, va in questa direzione, facendo leva sul collaudato equilibrio tra attesa e sorpresa. Allo stesso modo, l’adattamento del testo, più marcato rispetto ad altri titoli della stessa collana, predispone un racconto lineare, pulito e schietto. Piccole sostituzioni come “fa ridere” in luogo di “fa fare un sacco di risate”, anticipazioni dei soggetti o asciugature sintattiche consentono infatti di rendere il testo più immediato e fruibile anche da parte di chi tende a perdersi tra costrutti troppo articolati o espressioni figurate.

Le illustrazioni, dal canto loro, sposano perfettamente il tono divertito e divertente del racconto e, se da un lato, non disdegnano dettagli appena schizzati e  inquadrature tutt’altro che statiche, dall’altro tendono a illustrare solo gli elementi strettamente essenziali allo sviluppo della narrazione, facilitandone l’identificazione il collegamento con il testo.

Poesia in giallo

Quanto è geniale il lavoro di Lucie Felix! Già amatissima per il suo Coucou, purtroppo mai adottato da un editore italiano (ma comunque reperibile e fruibile anche nella sua edizione originale), l’autrice francese torna a deliziarci con un nuovo progetto innovativo e sorprendente: un libro-gioco di poesia.

Poesia in giallo, così si intitola il volume, propone infatti al giovanissimo lettore – idealmente di età prescolare – una poesia che prende forma man mano che le sue mani interagiscono con le illustrazioni. Queste ultime, contraddistinte da forme essenziali apparentemente neutre, svelano infatti il loro significato quando il lettore vi poggia sopra il piccolo cerchio giallo estratto dalla prima pagina. Sarà proprio quel cerchio a dare senso all’uovo come all’anemone, al muso del gatto come alla luna. La poesia che il libro offre è, infatti, una meta-poesia, una poesia sulla poesia e sul suo potere trasformativo ma anche una poesia sulle cose di tutti i giorni il cui lato poetico viene a galla se sappiamo come giocarci.

Già, perché il gioco è proprio la chiave. Il gioco della parola che trasforma il quotidiano, il gioco della mano che compone le figure, il gioco della fantasia che fa proprio il mondo. Con e attraverso il gioco, anche una parola apparentemente ostica come quella poetica può farsi tangibile e accessibile, su misura per piccole mani e per piccole orecchie. Concorrono a questo scopo anche altri aspetti del volume dal formato quadrato, non ultimi la grafica rassicurante (testo a sinistra, figura a destra), le forme minime ma estremamente eloquenti e i colori pieni e accesi che chiamano in maniera irresistibile. E questa vivacità cromatica, così come le robuste pagine di cartone, è come se dicesse a gran voce che la poesia è a tutti gli effetti cosa da bambini. Si può forse darle torto?

Meritatissimo finalista del Premio Nati per Leggere 2025, Poesia in giallo è davvero un progetto editoriale ben fatto, capace di coniugare in maniera efficace raffinatezza e semplicità. Ché accessibile – non smetteremo mai di ripeterlo – non significa per forza facile, né tantomeno banale. I bambini, tutti, meritano di essere solleticati, sfidati, accessi da proposte che alzano via via l’asticella: sta a chi i libri li crea, trovare il modo di far sì che arrivare a quell’asticella diventi cosa possibile. Ecco, questa è una cosa che Lucie Félix sa fare con maestria.

Bonus track: Fatatrac ha previsto e fornito in quarta di copertina un cerchio giallo di riserva, qualora quello reperito in prima pagina venisse perso. Accorgimento, questo decisamente utile, intelligente e apprezzabile. Viva i libri progettati per durare!

Miss Marple Sari Club. Il mistero della collana scomparsa

Miss Marple Sari Club

Tutto il gusto di un giallo, con il vantaggio di una misura brevissima: potremmo riassumere così, Miss Marple Sari Club, godibilissimo racconto giallo ad alta leggibilità scritto da Mariapaola Pesce e illustrato da Ilaria Mancini.

In poche decine di pagine, il lettore viene accompagnato a bordo della lussuosa nave da crociera su cui viaggiano Emily, sua cugina Ophelia e l’amica Rukmini, figlia della cameriera della madre di Emily. Appassionate di gialli e misteri, le tre non si lasciano sfuggire l’occasione di indagare sul misterioso furto di una preziosa collana verificatosi a bordo.

Chi potrà mai aver rubato la collana di brillanti di Lady Partridge? I sospettati sono molti e occorre organizzarsi bene per pedinarli tutti, raccogliere indizi, origliare conversazioni e mettere insieme i pezzi. Per farlo, come nei migliori gialli di Agatha Christie, di cui le tre protagoniste sono ferventi ammiratrici (al punto di dedicare il loro club alla celebre Miss Marple!), servono intuito, coraggio e capacità di non fermarsi alle apparenze. A volte, infatti, quello che può sembrare un classico furto di gioielli può nascondersi un piano decisamente più raffinato…

Tanto appassionante, quanto abbordabile non solo nella misura ma anche nella forma, Il mistero della collana scomparsa presenta molte delle caratteristiche che possono rendere un libro accessibile anche a lettori meno forti o con difficoltà di decifrazione legate alla dislessia. Il font ad alta leggibilità biancoenero, la spaziatura ampia, la sbandieratura a destra, la carta opaca e color crema, le illustrazioni frequenti e sfizioso, i capitoli brevi e lo stile prevalentemente paratattico rendono infatti il testo accogliente e amichevole.

L’impianto narrativo costruito dall’autrice, inoltre, è snello ma solido. L’auspicio è dunque che il Miss Marple Sari Club trovi presto nuovi casi da risolvere!

Le avventure di Aldo

Ci può essere molta poesia in brevi storie di cose quotidiane. Le avventure di Aldo ne è la prova evidente. Nelle tre storie che compongono questo albo illustrato, da tempo in catalogo per Babalibri e ora disponibile anche in simboli grazie a Officina Babùk, la lucertola protagonista vive e riesce a far vivere al lettore tutta la deliziosa felicità che si nasconde in una torta di ribes, in una scorpacciata condivisa di nocciole o in un bagno al chiaro di luna. Aldo ha, infatti, questa qualità: riesce sempre a trovare il lato positivo delle cose e a godere del bello che ogni giorno può riservare. Con lui c’è sempre l’amica Giosetta, compagna di avventure quotidiane e di chiacchiere: una presenza sorridente che contribuisce a rendere un bagno di schiuma la cosa più bella del mondo!

Garbato e gustoso dal punto di vista narrativo, Le avventure di Aldo è anche interessante dal punto di vista dell’accessibilità. In primis, in virtù dei simboli WLS che affiancano il testo alfabetico (stampato in maiuscolo). La loro presenza, tutt’altro che invasiva dal punto di vista grafico, offre un supporto prezioso a chi per ragioni diversi fatichi a decodificare in autonomia le parole scritte o a seguire con attenzione quelle lette da un mediatore. Le scelte che orientano la simbolizzazione privilegiano un certo grado di dettaglio e complessità (con la presenza, per esempio di qualificatori di numero o di simboli distinti per preposizioni e sostantivi di riferimento), compatibile con il tipo di racconto. Lineare ma dotato di una certa articolazione e di diversi passaggi narrativi, quest’ultimo può infatti essere ben apprezzato anche da lettori alle prese con le prime decifrazioni autonoma.

Il testo, dal canto suo, appare piuttosto amichevole a abbordabile, contraddistinto com’è da frasi prevalentemente brevi e paratattiche e da strutture sintattiche lineari in cui il soggetto è sempre esplicitato. Grafica e illustrazioni, infine. Anche queste ultime concorrono infatti a determinare l’elevato grado di fruibilità dell’albo. La collocazione costante del testo nella parte bassa della pagina, l’a capo dopo goni punto fermo e lo stile chiaro, minimalista ed eloquente delle figure contribuiscono infatti in maniera significativa a rendere la pagina accogliente, di agevole esplorazione e riconoscibile nei suoi contenuti.

Fiammetta cerca casa

La casa editrice Puntidivista è da sempre impegnata nella realizzazione di libri in formati e versioni diverse (con testo in nero e Braille, per esempio e inserti tattili, con traduzione in LIS o con il supporto visivo dei simboli, senza parole e con elementi ludici e via dicendo…) che possano assecondare esigenze di lettura variegate. Così, del libro tattile Una casa per Fiammetta ha messo a punto anche una versione in simboli che può valere la pena scoprire perché metta a frutto riflessioni interessanti.

La storia è sempre quella molto elementare di Fiammetta che nasce da un vulcano durante un’eruzione e che decide di andare per il mondo a cercare una nuova casa. L’impresa è però meno semplice del previsto perché, data la sua natura infuocata, né il bosco né le case si rivelano essere buone opzioni. La soluzione arriverà inaspettata grazie all’incontro con un fornaio il cui forno non ha mai funzionato. Non sarà difficile immaginare dove Fiammetta possa felicemente trovare, infine, la sua nuova dimora…

Nella versione in simboli, che prende il titolo di Fiammetta cerca casa, il testo rinuncia alla rima ed è profondamente asciugato. Viene così a comporsi di frasi perlopiù brevi e paratattiche, più agevoli da comprendere oltre che da simbolizzare. I simboli con il testo viene supportato visivamente non fanno parte di una collezione comune, come possono essere i simboli WLS o i simboli PCS, ma sono creati ad hoc dalla casa editrice stessa. Si tratta di simboli comunicativamente piuttosto efficaci e perlopiù votati a esprimere concetti concreti. I simboli meno immediati si caratterizzano per l’uso del colore rosso applicato ad alcuni dettagli. È il caso, per esempio delle preposizioni e lo scopo è quello di facilitarne la comprensione. I simboli sono dal canto loro accompagnati da testi in maiuscolo, riquadrati insieme ai simboli stessi.

L’aspetto più peculiare di questo libro, così come di altri recentemente messi a punto dalla casa editrice come Io aspetto te qui, è l’aggiunta di dettagli tattili alle illustrazioni. Questo accorgimento, spesso adottato solo in relazione a bambini con disabilità visiva, risulta infatti estremamente funzionale e prezioso anche per bambini con difficoltà cognitive e comunicative. Esso facilita, infatti. l’aggancio, la motivazione, l’attenzione e l’appropriazione del racconto. Si tratta dunque di una scelta vincente che come spesso accade nasce dall’intelligente disponibilità a superare rigide categorie editoriali per dare vita a risorse nuove, ibride e sperimentali.

In questo caso, in particolare, il lettore può esplorare tattilmente il vulcano da cui nasce Fiammetta, la casa in cui prova ad abitare, il cuoco e un pezzo del forno, tutti perlopiù realizzati in feltro. Un accorgimento tutto sommato semplice ma che può rivelarsi molto efficace.

Terribile gatto! (nuova edizione)

Che Michael Rosen sia un autore straordinario, capace di dare un ritmo inconfondibile alle storie, non c’è bisogno di dirlo. Basta leggere uno qualsiasi dei suoi racconti per far risuonare questa sua capacità nelle orecchie prima e nella mente poi. E non si parla solo dei suoi lavori più famosi – A caccia dell’orso in primis – ma anche quelli meno noti, come il delizioso Terribile gatto!,  uscito per i tipi ad alta leggibilità di Sinnos che ne ha da poco pubblicata una nuova edizione dal formato più ampio e dalla copertina rigida.

Asciutto e diretto come una favola tradizionale, Terribile gatto! è la storia di un gatto feroce che terrorizza tutti e cinquanta i topi che con lui dividono la casa. È feroce, Terribile gatto, ma è anche furbissimo e infatti mette in piedi uno stratagemma ingegnoso per mangiare uno ad uno tutti i topi che lo circondano, senza che questi nemmeno sospettino di lui. Ogni sera il gatto, che dichiara solennemente finita la guerra con i topi, concede a ognuno di loro un pezzetto di formaggio. Distratti dal gradito omaggio e interessati ad approfittarne senza correre alcun rischio, i topi arraffano ciò che spetta loro senza preoccuparsi di ciò che accade ai compagni. Fino a quando il numero dei topi, in forte diminuzione, inizia a creare qualche sospetto, a far nascere ipotesi di colpevolezza e a stimolare una reazione compatta. Sarà proprio il principio del utuo aiuto– ben espresso da quel “Ecco che faremo questa sera: ognuno di noi dovrà essere sicuro di avere un topo davanti ma anche di averne uno dietro “ – a smascherare lo spietato impostore e a sancire la vittoria dello spirito di comunità sull’egoismo.

Tra queste pagine si rintraccia dunque con forza ma senza forzature, l’importanza dell’idea di gruppo unito e di solidarietà ma anche il monito a non lasciare che un certo fumo negli occhi, spesso lanciato in forma di gradita gentilezza, possa distogliere l’attenzione di ognuno dalle mascalzonate che dietro quel fumo si celano talvolta. Monito quanto mai attuale, verrebbe da dire, e capace di arrivare al giovanissimo lettore, alle prime esperienze di lettura autonoma con o senza difficoltà legate alla dislessia, grazie a pagine godibilissime, rese tali da una narrazione incisiva, dalle illustrazioni spiritose e perfettamente calzanti di Martina Motzo e da un’impaginazione amichevole che rispetta in pieno i criteri dell’alta leggibilità.

Martin lo scheletro

Il protagonista di questo libro è uno scheletro. La copertina di questo libro (così come le illustrazioni al suo interno) sono accese da un vivace rosa fluo. Insolito, no? Bene, le inattese nozze tra un soggetto potenzialmente pauroso e un tono decisamente sgargiante dichiarano fin da subito, prima ancora di iniziare a leggere il volume, la sua carica originale e sorprendente.

Perché Martin lo scheletro è esattamente così: originale e sorprendente. La storia inizia quando, dopo anni di onorato servizio come scheletro scolastico, a Martin viene concessa la meritata pensione. Saranno due vecchietti – denominati, per l’appunto, il vecchietto e la vecchietta – a prenderlo in carico in questa nuova fase della sua vita (se così, per uno scheletro, si può dire). Martin viene infatti accolto in casa loro e rimesso in sesto: da quel momento diventa a tutti gli effetti un inquilino della casa, una presenza fissa e rassicurante, un amico e confidente che sembra aver fatto parte della famiglia da sempre.

La sua presenza diventa utile per dissuadere pericolosi rapinatori ma anche per rendere più spassoso il bagno quotidiano dei nipotini, per raccogliere la fatica di una giornata agitata ma anche per trasformare il giorno della sauna in un ricordo epico. Apparentemente, Martin non dice né fa nulla ma, nei fatti, dice e fa molto, per chi gli sta accanto. E lo fa con una levità aggraziata e commuovente, anche e soprattutto quando la morte (quella vera) sopraggiunge, certo non imprevista ma comunque gravosa

La forza di Martin lo scheletro sta proprio qui: nel trasformare con la sua sola presenza, l’insostenibile in accettabile, l’ordinario in straordinario. Triinu Laan dà vita, infatti, a un personaggio meravigliosamente originale che anima una moltitudine di situazioni contraddistinte giusto da un pizzico di assurdità ma sempre raccontate con una naturalezza che spiazza e diverte. L’ironia costantemente sottesa al racconto, contribuisce dal canto suo a renderlo irresistibile, al pari dell’universalità dei sentimenti dipinti. Non a caso, Martin è l’unico ad avere un vero e proprio nome: tutti gli altri – il vecchietto e la vecchietta, il bambino e la bambina – incarnano un passaggio della vita in cui chiunque può facilmente riconoscersi.

Ironia e capacità di specchiare il lettore giocano, d’altro canto, un ruolo importante anche in un’ottica di accessibilità. Questi aspetti, uniti alla qualità attraente e perfettamente in linea con il racconto, delle illustrazioni, sono infatti i primi importanti motori della motivazione alla lettura. La presenza poi di un’impaginazione ad alta leggibilità e di una struttura narrativa che di fatto si compone di tanti micro-episodi quasi a sé stanti, completano infine il quadro di un libro capace di accogliere e solleticare anche i lettori meno forti o con maggiori difficoltò legate alla dislessia. Una piccola chicca assolutamente da far scoprire ai bambini!

Linette. Concime per i piedi

Linette ha i piedi perennemente scalzi, uno spirito intraprendente, la predisposizione a mettersi nei guai e una fantasia galoppante: i requisiti per animare pagine buffe e rocambolesche si direbbe, dunque, non manchino. Spericolato e mosso da vivace curiosità, il suo è un avanzare fragoroso, in cui un’idea in bilico tra la monelleria e l’esperimento può innescare imprevedibili reazioni a catena.

In Concime per i piedi – primo titolo di una serie che la vede protagonista – Linette prova a far crescere una folta chioma sulla testa calva del nonno con del fertilizzante liquido, il cui uso le era stato chiaramente proibito. Se funziona con i pomodori, perché non dovrebbe farlo con i capelli? L’innaffiatoio però è pesante, così il concime finisce per sbaglio sui piedi della bambina che in un attimo diventano enormi. Prova evidente del divieto infranto, quei piedi da dinosauro vanno nascosti: cosa che Linette, in effetti, si impegna a fare, anche se questo porta con sé una lunga scia di complicazioni in cui non mancano soprammobili rotti, salti acrobatici, mastini da guardia e fantasmi in fuga.

In una manciata di pagine, né più né meno di quelle di un albo illustrato, Catherine Romat e Jean-Philippe Peyraud danno vita a una movimentata avventura molto domestica e poco addomesticata, in cui l’immaginazione fa capolino quel tanto che basta per dare un twist e una piega inaspettati a un tranquillo pomeriggio di giardinaggio. Ciò che rende, però, davvero peculiare Concime per i piedi è la sua formula narrativa. Il libro procede, infatti, come un fumetto privo di parole in cui anche i pochi balloon presenti prediligono un contenuto di tipo iconico. Scandite da una partitura molto regolare e costruite in modo da accompagnare per mano il lettore, limitando al minimo ogni elemento di contorno, concentrandosi sulle azioni e rendendo evidente ogni passaggio, le vignette danno forma a un racconto visivo singolare, immediato e in definitiva molto fruibile.

Palla di neve

Quella di Palla di neve è una storia di smarrimento e di ricerca, di solidarietà e di crescita. Protagonista è un cucciolo di volpe bianca che, nel bel mezzo di una tempesta di neve, perde la sua famiglia e si trova improvvisamente sola. Da lì in avanti, il suo cammino sarà costellato di incontri, alcuni pericolosi come quello con un umano arrabbiato, altri felici, come quello con la grande balena. Fino a quello determinante con l’orso bruno, rimasto bloccato da un albero caduto. Vedendolo e riconoscendone la difficoltà, Palla di neve supera il timore di venire attaccato e trova una soluzione per liberarlo. Da quel momento non sarà più sola: condizione vincente per rimettersi in cammino e ritrovare finalmente i cari smarriti.

Tenera e avventurosa, la storia di Palla di neve è raccontata attraverso l’efficace formula del fumetto senza parole, caratteristica della collana Le nuvolette di cui il libro fa parte. Si tratta di una formula efficace e stimolante che mescola la regolarità rassicurante della partitura in vignette al potere comunicativo delle figure. L’accessibilità legata all’assenza di testo alfabetico si unisce dunque a quella garantita da una scansione rigorosa delle illustrazioni che guida il lettore nella comprensione ed eventualmente nella verbalizzazione di ciò che accade. Il risultato è un racconto per immagini ricco di avvenimenti e che ciononostante accompagna passo passo chi legge.

Lo strampalatissimo diario di Leonardo da Vinci

Leonardo Da Vinci doveva essere un bel tipino, da piccolo. Vien facile, in effetti, figurarsi che fin dalla più tenera età, un genio creativo e fuori dagli schemi come lui potesse essere costantemente alle prese con domande e invenzioni stravaganti. Proprio così, con indole curiosa e intraprendente, ce lo racconta Stella Nosella che per la casa editrice Storybox immagina e confeziona un ipotetico diario del giovane inventore.

Con tono scherzoso, il libro riporta, in particolare, il resoconto dei giorni in cui Leonardo, da poco compiuti gli 11 anni, si cimenta con la progettazione e la realizzazione di un carretto per partecipare alla gara dell’Unicorno: competizione cittadina che comporta molto onore, molti incidenti e un trofeo molto ambito. Accompagnato da un (poco collaborativo) volatile domestico, supportato dall’affabile zio Francesco e dall’affezionato amico Giacomo, Leonardo idea e sperimenta una serie di soluzioni funzionali alla gara ma anche di congegni del tutto collaterali: il tutto, appuntando interrogativi, ipotesi e considerazioni degni di una mente brillante. Ne vien fuori un racconto leggero e scanzonato, puntellato qua e là di riferimenti puntuali alla vita e alle opere dello scienziato toscano.

Il libro, che fa parte di una collana di strampalatissimi diari tra cui quello di Cenerentola e quello di Tutankamon, appare scorrevole e abbordabile. Contraddistinto da uno stile discorsivo e colloquiale, il volume presenta una grafica amichevole e ariosa, ideale per accogliere anche lettori dislessici, come con tutta probabilità era anche lo stesso Leonardo. Apprezzabili, in particolare, la spaziatura maggiore non solo tra lettere, parole e righe ma anche tra paragrafi e il ricorso al font EasyReading. Non ultimo, l’espediente di riportare, qua e là, qualche riga al contrario, invitando il lettore a decifrarla tramite l’uso di uno specchio, contribuisce a rendere la lettura più giocosa e al contempo restituisce un’idea della difficoltà che alcuni lettori sperimentano di fronte al testo scritto.

Come me, come te

Da una manciata di anni il mondo editoriale italiano sembra essersi accorto delle potenzialità dei libri fotografici. I volumi di Tana Hoban e Ylla hanno, in particolare, aperto lo strada, rendendo evidente quanto apprezzato e apprezzabile possa essere questo tipo di risorsa. Versatile e riconoscibile, la fotografia rappresenta peraltro un medium molto interessante anche in termini di accessibilità, nella misura in cui può predisporre terreni di esplorazione visiva e narrativa particolarmente fruibili anche da parte di chi manifesta difficoltà cognitive, legate per esempio al piano dell’astrazione.

Come me, come te, progetto originale di Carolina Zanier sposato da Camelozampa, ne è una prova eloquente. Il libro si sviluppa attraverso una serie di coppie di fotografie affiancate: quella di sinistra immortala sempre un elemento naturale, quella di destra si concentra su soggetti umani. Tra le due c’è sempre un legame di somiglianza da cogliere: formale, come nel caso dei cerchi del tronco che ricordano quelli dell’impronta digitale, o concettuale, come la lumaca e il grande orologio uniti dal tema del tempo. Ampie e incantevoli, le fotografie di Carolina Zanier dicono in maniera efficacissima la vicinanza tra uomo e natura, gli intrecci che tra i due mondi incessantemente si possono cogliere, la meraviglia di un processo universale di trasformazione.

Sono loro le vere protagoniste di questo volume. Ad accompagnarle, c’è un testo minimo: due o tre parole per pagina, come didascalie evocative e sospese che indirizzano lo sguardo del lettore e che compongono una sorta di poesia sulla vita, sull’infanzia, sul potere della crescita. Viene da chiedersi se la sua totale assenza avrebbe potuto rendere il volume ancora più significativo e affascinante, incentivando forse la libertà di movimento e l’attivazione di personali connessioni.

Certo, così composto, Come me, come te accompagna il lettore lungo un binario scelto e come tale più rassicurante. Esso dichiara, inoltre, in maniera lampante che la natura e la sua rappresentazione fotografica posseggono un’innata componente poetica e che il nostro sguardo e la nostra voce sono tutto ciò che occorre per farla venire a galla. Il libro si presta in questo senso non solo ad accogliere esplorazioni visive suggestive e accessibili, ma anche a invitare il lettore a proseguire il gioco delle somiglianze una volta chiusa l’ultima pagina.

Il comò magico

È una principessina viziata e capricciosa, la protagonista di questa storia. Una principessina così viziata e capricciosa che ogni anno, quando si avvicina il suo compleanno, i suoi genitori iniziano a dannarsi alla ricerca di un regalo che soddisfi le sue pretese. Peccato che il risultato sia sempre fallimentare perché nulla sembra mai poter accontentare la bambina. Così, un anno, i due reali mandano un paggio a chiedere consiglio a un mago. Questi, però, sordo come una campana, travisa la richiesta e lo rispedisce al castello con uno strambo comò.

Quel comò, apparentemente vecchio e fuori modo, si rivela essere magico, capace di esaudire un desiderio all’anno per sei anni. La principessina può finalmente sbizzarrirsi, domandando valanghe di zucche, primavere fuori stagione, pirati, servitori e volatili straordinari. Ma anche qui, tra un inconveniente (buffo!) e l’altro, la principessina trova il modo di indispettirsi e protestare. Il sesto anno, a corto di idee, la principessina si lascia consigliare dal paggio che a sua volta si lascia consigliare da una gallina. Le cose non vanno esattamente come la principessa si aspetta ma, c’è da dire, non tutto il male viene per nuocere. Le galline, a volte, possono sembrare meno stolte di quel che sembrano…

Incalzante, snello e ricco di avvenimenti, Il comò magico offre una lettura accogliente per primi lettori in cui testo e figure si equilibrano e trovano pari dignità. Il primo, in particolare, predilige frasi brevi e paratattiche e viene impaginato con caratteristiche di alta leggibilità (font leggimi, spaziatura maggiore, pagina ariosa, sbandieratura a destra, paragrafi distanziati, carta non riflettente). Le seconde, dal canto loro, adottano un tratto un poco vintage e molto colorato. La storia de Il comò magico, firmata da di Jana Bauer e Ana Košir, nascono in Slovenia e arrivano in Italia grazie a Sinnos, attraverso un importante progetto sostenuto dall’Unione Europea.

Oggi la parola è meraviglia

Cosa fanno autori e autrici quando si svegliano al mattino? Dipende. Se sono Bernard Friot o Susie Morgenstern, per esempio, si alzano, scrivono una poesia e, reciprocamente, se la spediscono per darsi il buongiorno. Oggi la parola è meraviglia nasce proprio così: da un rito quotidiano e bellissimo alimentato negli anni dai due autori e allargato, in occasione della pubblicazione del libro, a una terza poetessa: Chiara Carminati.

Chiara è italiana. Bernard è francese. Susie è americana. Ognuno di loro scrive in una lingua diversa e il libro pubblicato da Pension Lepic mette in valore questa varietà, scegliendo di non tradurre le poesie ma di lasciarle nella loro lingua originale. La meraviglia, in fondo, sta anche nel godere di sonorità evocative, che solleticano l’immaginazione, senza necessariamente padroneggiare a pieno la lingua da cui sono attinte.

Tre lingue, tre stili, tre approcci diversi per ogni parola che di volta in volta viene scelta e poeticamente esplorata. Insieme, fiammifero, poesia tascabile, ma anche aprile, silenzio, nascosto e, per l’appunto meraviglia. Ogni parola da il la a piccoli componimenti, ora frizzanti ora pensosi, lunghi il tempo di aprire le ante e salutare il nuovo giorno. Percorrendo i sentieri più diversi, i testi che ruotano intorno alla stessa parola, dicono bene quanto la poesia sia in fondo un affare quotidiano e consista nell’osservare il mondo da tanti angoli differenti.

Quello a cui Pension Lepic ha dato vita non è solo un progetto originale e fuori dal comune ma anche un oggetto letterario raffinatissimo e curato in ogni aspetto, non ultimo quello dell’accessibilità. Oggi la parola è meraviglia si caratterizza, infatti, per una grafica attenta, che gioca piacevolmente con la disposizione orizzontale e verticale dei testi, in funzione della lunghezza dei versi, e con i toni del bianco, del nero e del blu. Bianco, nero e blu, dal canto loro, sono anche i colori che impiega Vittoria Facchini, l’illustratrice chiamata a illustrare il volume. Le sue figure, contraddistinte da un inconfondibile tratto schizzato e da pennellate dinamiche, ricorda il fascino ammaliante degli azulejos portoghesi e aggiunge, di fatto, una quarta interpretazione delle parole selezionate.

Il libro reca, infine, al fondo un piccolo ma importante QRcode attraverso il quale è possibile ascoltare le poesie dalla voce degli stessi autori. Si tratta di un accorgimento apparentemente superficiale e, in realtà, di grande valore. In primo luogo perché forse nessuno meglio di un autore sa quale intonazione dare ai suoi versi e come calibrare pause e toni, per restituire a pieno la parola poetica a cui ha dato forma. E in secondo luogo perché la poesia ascoltata, anche e soprattutto quando è in lingua straniera, può avere un impatto diverso dalla poesia letta.

Questa possibilità multiforme di fruizione , inoltre, consente anche a chi normalmente inciampa nella decodifica del testo scritto di goderne a pieno, evitando così che la difficoltà di lettura possa compromettere il piacere e l’apprezzamento di versi in cui tutto – ritmo, musicalità, suoni e significato – concorrono a dare valore. Si tratta di una scelta apprezzabile e importante, tantopiù che concerne un genere che più di altri tende a risultare escluso da riflessioni e proposte concernenti l’accessibilità, forse perché considerato troppo ostico. E invece no: questo libro unico e speciale, dice tra le altre cose che tutti possiamo (e dobbiamo poter) godere della poesia e che complessità e accessibilità possono andare felicemente di pari passo.

Luna e la camera blu

Tra i titoli Babalibri finora riproposti da Officina Babùk in una versione in simboli, Luna e la camera blu è forse uno di quelli più sfidanti. Il libro di Magdalena Guirao Jullien e Christine Davenier danza, infatti, in maniera leggiadrissima sul filo della dimensione onirica, giocando con la labilità del confine tra immaginazione e realtà.

La sua protagonista – una bambina dall’indole placida, che poco parla e molto osserva – affronta infatti meravigliosi viaggi fantastici ogni volta che va a trovare la nonna e si rifugia in una stanza da letto dal fascino antico. Qui si nascondono, infatti, amici a quattro zampe con cui correre, giochi e capriole, traversate in barca e avventure piratesche. La fantasia della tappezzeria – dal fondo bianco e dai raffinati disegni blu – innesca, di fatto, una fantasia di altro genere: quella che anima le storie, i sogni e le invenzioni della piccola.

In questo volume dallo stile raffinato, testo e illustrazioni si integrano in modo efficacissimo, amplificando la sospensione tra dimensione reale e dimensione immaginaria. E proprio quella sospensione e quel dialogo imprescindibile e mai scontato tra parole e figure possono rappresentare una sfida importante per quei lettori che sperimentano maggiori difficoltà nel distacco dal piano di realtà. Ma una sfida è una sfida: se da un lato può porre davanti a ostacoli ostici, e talvolta insormontabili, dall’altra può offrire possibilità di scoperta del tutto inaspettate. Ben venga dunque, nel nome del rispetto del diritto alla complessità, anche questo tipo di proposta!

La versione in simboli di Luna e la camera blu risulta d’altro canto estremamente fedele all’originale: non si rileva infatti alcuna modifica testuale, così come identica appare l’impostazione grafica del volume. A dispetto della sofisticatezza della costruzione narrativa, il racconto risulta molto lineare nella struttura sintattica e molto piano nelle scelte lessicali. La simbolizzazione, basata come di consueto sulla collezione WLS e sul ricorso alla riquadratura, procede dunque in maniera piuttosto fluida, senza richiedere particolari adattamenti. I singoli simboli sono talvolta associati a unità lessicali (es: “giocare a nascondino”) invece che a singole parole e si caratterizzano per l’uso di qualificatori relativi ai tempi verbali. Le illustrazioni, minuziose e delicate, invitano dal canto loro a un’esplorazione lenta della pagina, di quella lentezza che consente alle storie di sedimentare e farsi posto per benino.

Il lupo e i sette capretti

Mondadori ha da poco inserito nel suo catalogo di libri illustrati una serie di volumi dedicati alle fiabe tradizionali le cui caratteristiche risultano interessanti. Si tratta di fatto di volumi snelli e dalle ampie illustrazioni in cui il testo è duplice: quello originale dei fratelli Grimm e quello a questo ispirato ma semplificato.  Se il primo presenta un carattere minuscolo, una lunghezza consistente (due o tre paragrafi per pagina) e una certa ricchezza lessicale e sintattica, il secondo si caratterizza invece per l’uso del maiuscolo, per una netta brevità (due-tre righe per pagina) e una notevole semplificazione lessicale.

La scelta di combinare due versioni dello stesso testo all’interno del medesimo volume è abbastanza insolita (anche se non del tutto inedita. Si veda per esempio questa proposta di Erickson) e funzionale al fatto di impiegare lo stesso libro per condividere la stessa storia con bambini dalle abilità diverse e/o per supportare il percorso di lettura di un bambino da un livello più semplice a uno più complesso. Il fatto di poter fare riferimento alle medesime illustrazioni può costituire, infatti, un elemento facilitante in questo senso.

Le illustrazioni, firmate da Rocio Bonilla sia in questo volume dedicato a Il lupo e i sette capretti, sia in quello dedicato a Cappuccetto Rosso, risultano dal canto loro amichevoli e di taglio piuttosto didascalico. A fianco di alcuni dettagli delle illustrazioni stesse vengono riportate delle specie di etichette funzionali a identificare e nominare gli oggetti o le azioni rappresentate. L’editore, che in copertina parla di tre livelli di lettura, considera probabilmente queste etichette come il livello base, anche se la loro funzione in termini narrativi risulta di fatto abbastanza irrilevante.

L’albero e il fiume

Aaron Becker ha un talento indiscusso nel raccontare le storie attraverso le immagini. La sua trilogia – Viaggio, Scoperta e Ritorno – ne è la prova evidente e un’ulteriore conferma ci viene ora dal recente silent book L’albero e il fiume pubblicato da Feltrinelli.

Qui la modalità narrativa adottata dall’autore americano è diversa rispetto a quella scelta per i volumi precedenti. Non ci sono, infatti, cambi repentini di scenario, avventure rocambolesche e personaggi a profusione ma un’unica inquadratura che cambia di pagina in pagina in base al susseguirsi delle epoche e al mutare degli eventi.

Quello che in origine appare come un angolo di natura abbastanza incontaminato subisce man mano, infatti, gli effetti dell’antropizzazione e soprattutto del rapporto sovente scriteriato che l’essere umano intrattiene con i suoi simili e con l’ambiente che lo circonda. La medesima ansa del fiume diventa così teatro non solo di abitudini edilizie diverse – capanne che lasciano il posto a strutture in muratura e castelli che lasciano il posto a città moderne e poi futuristiche – ma anche e soprattutto di attività umane variegate e dalla spiccata indole autodistruttiva. Dal futuro ipertecnologico si passa perciò in un lampo a scenari apocalittici e desolanti, nei quali solo la tenace e impassibile resistenza della natura offre un’occasione di speranza.

Duro e verissimo, attuale e pungente, L’albero e il fiume offre una riflessione profonda attraverso il potere delle figure. Lo fa invitando ed esigendo una lettura lenta, lentissima: l’unica che consente di cogliere somiglianze e differenze tra le pagine che si susseguono e di individuare i minuziosi dettagli che contraddistinguono ogni passaggio epocale e narrativo (tipi di mezzi, strade, oggetti, case, faccende umane…). Le inferenze richieste al lettore per riconoscere periodi, cambiamenti e concatenazioni di eventi sono piuttosto raffinate e tutt’altro che banali. Questo fa de L’albero e il fiume un volume particolarmente ricco e stimolante per quei giovani lettori che sperimentano magarti una difficoltà di fronte al testo scritto e che invece accolgono con piacere le sfide decifrative proposte dalle immagini.

Slurp

Slurp di Gaia Stella è un libro-gioco da manuale. Con le sue pagine di cartone spesso, progettate e tagliate in modo tale da incentivare l’interazione, si può in fatti leggere e si può giocare. E, soprattutto, lo si può fare all’infinito. Ogni pagina è in particolare divisa in due, secondo la tipica struttura dei libri méli-mélo, così da consentire combinazioni multiple tra la parte di sopra e quella di sotto. Le due vanno nel complesso a comporre l’immagine di un gelato, che assume chiaramente forme diverse a seconda delle parti che di volta in volta lo compongono.

Si può giocare a ricomporre gelati uniformi, ricercando le due parti identiche e corrispondenti, o a creare gelati insoliti e variegati. In entrambi i casi, il lettore può dunque divertirsi a dare forma a coni e ghiaccioli sempre diversi e dai colori sgargianti, immaginandone ingredienti e sapori. Che gusto avranno mai il gelato a zigzag, quello maculato o quello a pois?

A ogni pezzo di gelato corrisponde poi, nella parte sinistra della doppia pagina, una parola che ne definisce il colore (rosso, marrone, arcobaleno…) o il motivo (zig-zag, losanghe, quadretti…). Il libro si presta così facilmente anche al gioco del nominare e del riconoscere, così come a prime prove di lettura gustosissime, trasformandosi in un vero e proprio menu tutto dedicato a deliziosi gelati da esplorare, scombinare, ricomporre, recitare.

Solido e agevole da maneggiare, Slurp può essere esperito e goduto fin dal primo anno di vita del bambino ma la sua struttura aperta e giocosa lo rende adattissimo anche a fruizioni più a lungo termine oltre che a prolungamenti laboratoriali in cui ogni lettore possa dare vita alla sua personalissima collezione di gelati intercambiabili.

Else-Marie e i suoi piccoli papà

Straniante e teneramente ironico, Else-Marie e i suoi piccoli papà è il libro d’esordio di Pija Lindenbaum, autrice svedese tra le più apprezzate e tradotte nel mondo. Quell’esordio è datato 1990: questo significa che il libro compie oggi felicemente 35 anni. Per l’occasione, Il Barbagianni editore ne propone una nuova edizione, caratterizzata da due aspetti principali. Il primo è è il ricorso a un font e a una spaziatura più amichevoli che riflettono un pensiero interessante intorno al rapporto tra albo e accessibilità. Il secondo è una diversa traduzione, curata da Samanta K. Milton Knowles, che mira a restituire con maggiore fedeltà la freschezza senza tempo di un testo irriverente.

Perché proprio l’irriverenza, in effetti, è forse il tratto più peculiare di Else-Marie e i suoi piccoli papà. Un’irriverenza che non dipende tanto dalle azioni e dai pensieri dei personaggi, quanto piuttosto dalla costruzione di una storia squisitamente surreale in cui trova naturalmente posto una famiglia che è tutto fuorché ordinaria e in cui ciò che esula dalla norma non esige chiarimenti e spiegazioni. Con buona pace di tanta didascalica letteratura per l’infanzia.  Else-Marie ha infatti una mamma, di dimensioni consuete, e sette papà, di dimensioni ridotte. Così è.

La sua è tutto sommato una quotidianità riconoscibile: c’è l’attesa per l’arrivo di papà spesso in viaggio, la gioia di fare da aiutante nel sistemare le pratiche che i genitori portano a casa, ma anche il rito della buonanotte, la routine per andare e tornare da scuola o la colazione fatta da ciascuno con un ritmo diverso. Su questa ossatura in cui è facile per il lettore riconoscersi, l’autrice innesta con maestria una serie di dettagli dettati dalla stravaganza della situazione: i papà che faticano a seguire i turni nel leggere le storie, che fanno fotografie senza testa perché troppo bassi o che saltano garruli sul letto come fossero gnomi impertinenti. E proprio dallo scarto tra ciò che è familiare e ciò che vi si discosta, nasce il sincero divertimento che un libro come questo può portare: leggero, gratuito, spassionato.

Ed eppure non è tutto: in Else-Marie e i suoi piccoli papà succede anche dell’altro. Succede, per esempio, che un giorno tocchi proprio ai papà andare a prendere la figlia, benché sia la mamma di solito a occuparsene. Ed è a quel punto che Else-Marie inizia a crucciarsi per la loro dimensione, nel timore che possano essere derisi, schiacciati o trattati senza rispetto. È la diversità che si fa improvvisamente ingombrante, totalizzando i pensieri e le emozioni della piccola. Ma le paure, come spesso accade, non trovano riscontro nella realtà: le cose vanno, infatti, ben diversamente da come Else-Marie si aspetta, sicché i timori finiscono per sciogliersi e la quotidianità può ritrovare la sua dimensione insolita ma rassicurante.

Contraddistinto da illustrazioni deliziose, firmate dalla stessa autrice, Else-Marie e i suoi piccoli papà coltiva il gusto per i dettagli sfiziosi e per una narrazione leggera, tanto nelle parole quanto nelle figure, entrambe dal tratto fresco e spigliato. Il loro rapporto felice e sinergico e la loro disposizione sulla pagina meritano, poi, un’ulteriore riflessione. Il testo ampio e la presenza di un numero ridotto di illustrazioni, spesso di ampia dimensione, fa sì che l’adozione di una serie di caratteristiche di alta leggibilità (font EasyReading, spaziatura maggiore, paragrafi distanziati, sbandieratura a destra…) possano essere adottate senza compromettere in alcun modo la felicità della composizione finale. Un esempio molto interessante di come il rapporto tra armonia compositiva, accessibilità ed efficacia comunicativa debbano essere frutto di un pensiero accorto e, nei casi favorevoli, possano dare vita a letture attraenti e fruibili al contempo.

Prima dopo

Quanto può essere essenziale una narrazione? Forse bastano un prima e un dopo affinché un racconto, per quanto minimo, possa darsi. Ecco allora che un libro straordinario come Prima dopo di Anne-Margot Ramstein e Matthias Aregui si rivela essere un contenitore inatteso di microstorie tutte da esplorare.

Il volume, edito da L’ippocampo, presenta una successione di mini-sequenze ciascuna composta da due tempi: quel che c’è prima e quel che c’è dopo. La notte e il giorno, la ghianda e la quercia, il lavoro all’uncinetto e il gioco nella neve, la casa vissuta e quella diroccata, l’alveare e il barattolo di miele, la zucca e la carrozza… Sono più di 80 i racconti minimi che i due autori mettono su carta, attingendo al mondo naturale e a quello fantastico e spingendosi talvolta oltre la misura della doppia pagina (gli ingredienti che diventano torta, che a sua volta diventa briciole; l’albero che affronta tutte e quattro le stagioni) o imbastendo più livelli temporali (la candela che arde e che si consuma e, subito dopo, il lume olio che cede al posto all’abat-jour elettrica) e semantici (la tela vuota e il quadro finito seguiti dalle matite intere e dalle matite mozze).

Le modalità e le direzioni secondo cui esplorare queste pagine sono dunque molteplici e aperte: aspetto, questo, che condiziona positivamente la fruibilità anche da parte di lettori che faticano a stare dentro i binari di narrazioni troppo rigide. Allo stesso modo l’assenza di parole e la brevità dei costrutti narrativi facilita il godimento e la partecipazione anche da parte di chi trova un ostacolo nei racconti troppo lunghi e complessi. Il tutto senza rinunciare, però, alla ricchezza e alla raffinatezza compositiva che fanno di questo corposo volume un piccolo gioiello editoriale.

A pile of leaves

Un libro come A pile of leaves è una sfida, un solletico, una carezza, uno slancio. Certo, le sue pagine in acetato del tutto prive di parole scritte e pure di una vera e propria storia, possono lasciare un po’ interdetti e portare a chiedersi “Ma come lo leggo, un libro così?”. Ma è proprio la libertà d’uso che qui dimora a rendere questo libro, purtroppo inedito in Italia, una chicca dalle molte potenzialità.

Composto da una ventina di pagine trasparenti su cui sono stampati in colori saturi e caldi foglie, insetti e oggetti di umana fattura, A pile of leaves invita di fatto ad aguzzare lo sguardo per studiare come cambia lo scenario man mano che le pagine vengono voltate. Come se si trovasse in effetti di fronte a un mucchio di foglie sovrapposte, il lettore vede e non vede ciò che c’è sotto e scopre dettagli prima celati o solo intravvedibili ogni volta che una pagina viene girata.

Così le formiche, il guanto smarrito, le foglie frastagliate o quella lungiforme appaiono poco a poco, accendendo piccole scintille di sorpresa e desideri di scoperta. Il processo di lettura che qui si attiva, dal canto suo, è libero è pluridirezionale: si guarda, si avanza, si torna indietro, si scopre qualcosa di nuovo. Le pagine diventano, cioè, terreno di un piacere euristico tutto giocato su forme riconoscibili, giochi di trasparenze e sovrapposizioni. Una delizia!

Il bosco

I leporelli in cartone della collana Primi libri di Fatatrac sono dei gioielli. Lo sono per qualità estetica del prodotto, per ricchezza del contenuto, per trasversalità d’uso. E lo sono per ragioni di accessibilità: tra queste pagine spesse, ampie e robuste, prive di parole ma dense di narrazioni, è autenticamente possibile, anche per bambini con difficoltà di lettura, trovare posto e trovare piacere.

Sono libri che, in primo luogo, non richiedono di essere sfogliati e che, stando su da soli, possono per esempio essere esplorati girandoci intorno oppure stando seduti o sdraiati per terra. Sono, poi, libri che fanno a meno delle parole, dialogando in maniera efficace anche con chi abitualmente fa a pugni con il testo scritto e trova invece ristoro nei racconti per immagini. E sono, infine, libri, che prediligono l’istantaneità alla sequenzialità, offrendo una moltitudine di micro-storie di cui è più facile appropriarsi anche in caso di difficoltà cognitive.

Tutte queste caratteristiche, già evidenziate e apprezzate nel meraviglioso La montagna di Andrea Antinori, si ritrovano ora ne Il bosco di Sebastián Ilabaca. Anche in questo caso, ogni lato del leporello presenta uno scenario diverso da esplorare. Da una parte, tra distese erbose e alberi di ogni tipo, si muovono animali dalle caratteristiche e dai comportanti antropomorfici. C’è chi fuma la pipa e chi corre in carriola, chi va in bicicletta e chi improvvisa una jam session, chi balla e chi si rilassa con una tazza di tè. In questo universo animato votato alla multiformità si notano dettagli curiosi, come gli abiti che richiamano epoche anche molto diverse, i funghi e i fiori che creano una cornice fantastica, le citazioni di albi molto molto noti o la presenza di un misterioso piedone peloso.

Dall’altro lato, come ci trovassimo al limitare del bosco stesso, il contesto si fa antropizzato. Qui si vedono case e fienili, orti e cortili, stalle e mulini. I personaggi sono umani dai diversi tratti e dalle diverse età: ciascuno, proprio come i compari animali, è impegnato in attività variegate, perlopiù di gioco e relax. Anche in questo caso, pur nella distensione appagante dello scenario, il lettore può scovare un proliferare di dettagli buffi e intriganti da cui farsi solleticare.

La bravura di Sebastián Ilabaca sta nel costruire un quadro ampissimo e vivo, in cui trova posto una moltitudine di personaggi dalla funzione tutt’altro che decorativa. Ciascuno ha un ruolo da coprotagonista e una postura riconoscibile in cui potenzialmente identificarsi. Le attività rappresentate riflettono, in particolare un’idea di infanzia molto precisa e concreta, da cui è facile lasciarsi guidare nello spazio dell’esplorazione e dell’immaginazione. All’interno di questo scenario composito e vivace, il lettore può dal canto suo muoversi con grande libertà, soffermandosi su ciò che lo intriga maggiormente e seguendo percorsi non vincolanti. Sollecitato, poi, dalla presenza di buchi e finestrelle (alcune camuffatissime!), può trovare ne Il bosco un affidabile compagno per scoperte e giochi d’invenzione durevoli ed entusiasmanti.

Pepe senza coda

Pepe senza coda di Daniela Piga ha almeno tre cose che dovrebbe avere un buon libro tattile: una storia (aspetto, questo, spesso trascurato in ambito tattile a favore di narrazioni più metaforiche ed evocative), la scelta di figure ricorrenti, significative e ben riconoscibili e la presenza di elementi interattivi e coinvolgenti.

Il libro racconta del cavallo Pepe che si sente triste e si nasconde perché, a differenza dei suoi simili, non ha la coda. La svolta, per lui, arriva quando scopre che nel negozio Tail shop le code sono messe in vendita. Ce ne sono di tutti i tipi: per l’estate e per l’inverno, per il giorno e per la notte. Ma soprattutto ce ne sono di specialissime, come la Coda di vento. Proprio su quest’ultima si orienta Pepe che inizia così a correre veloce e diventa ciò che forse ha sempre desiderato.

Composto da sottili pagine in stoffa color crema, Pepe senza coda si caratterizza per il ricorso a illustrazioni minimali, la cui essenzialità è frutto di uno studio accorto e generatrice di un connubio interessante tra estetica e funzionalità. Tutto si basa su sagome nere di cavalli che, oltre a dare alla pagina un aspetto molto raffinato, risultano estremamente riconoscibili: lo spessore è, infatti, adeguato e tutti gli elementi più significativi dell’animale sono presenti (4 zampe, orecchie a punta, muso lungo, criniera e – per chi ce l’ha – una coda). E poiché il libro parla proprio di somiglianza e diversità, l’autrice gioca con l’aggiunta di pochi elementi distintivi, di volta in volta differenti, applicati su una sagoma che è invece sempre identica (se non per la misura). Il lettore che esplora le figure con le dita sarà dunque fortemente agevolato nel suo compito di decodifica.

Non solo: Daniela Piga introduce nelle sue illustrazioni degli efficaci e attraenti elementi di interazione che non solo supportano la felice partecipazione del bambino alla lettura ma facilitano concretamente anche l’appropriazione del racconto. Il fatto che nella pagina dedicata al Tail Shop, le code possano essere davvero staccate e attaccate alla sagoma di Pepe o che quest’ultima, quando si dota della coda di vento, possa davvero staccarsi e volare grazie all’aiuto del bambino, fa infatti sì che ciò che la parola dice possa di fatto attualizzarsi. Il divertimento va dunque a braccetto con la facilità di comprensione. Da non sottovalutare, infine, all’attenzione rivolta all’aspetto multisensoriale, nella misura in cui la corsa di Pepe, divenuto ormai veloce come il vento, può essere sonoramente evocata dal lettore (o dal mediatore), grazie a un pezzo di metallo inserito sulla pagina su cui le dita possono tamburellare.

Il risultato è un libro tattile in cui ogni dettaglio è studiato a modino e la cui letture appare accattivante, coinvolgente ed estremamente fruibile.

Fra le mie braccia

Tra gli autori che dedicano attenzione ai lettori piccoli e piccolissimi, Émile Jadoul è certo uno dei più capaci e apprezzati. In catalogo per Babalibri da molto tempo, l’autore belga ha un tratto delicato e riconoscibile. I suoi personaggi, in buona parte animali dalle caratteristiche e abitudini tipicamente umane, riflettono con grande fedeltà la quotidianità del potenziale lettore.

Così, per esempio, nel pinguino Leone protagonista di Tra le mie braccia non sarà difficile riconoscere i sentimenti contrastanti che sovente animano i fratelli maggiori da poco divenuti tali: quel mix di gelosia e affetto, di curiosità e timore, di decisione e incertezza che rende il nuovo ruolo e il nuovo rapporto familiare tanto articolato ed entusiasmante. Leone si domanda infatti con grande insistenza dove potrà trovare una collocazione il suo nuovo fratellino Mattia, dal momento che negli spazi a lui più familiari – la sua camera da letto, le ginocchia della mamma, le spalle di papà… – sembrerebbe proprio non esserci posto sufficiente.  Quelli che sembrano inizialmente interrogativi e soluzioni votati al solo desiderio di marcare il proprio territorio, improvvisamente insidiato, virano sul finale verso un deciso ammorbidimento che dice tutta la tenerezza che i bambini possono coltivare dentro di sé.

Del volume di Émile Jadoul è da poco disponibile anche una versione in simboli della CAA, messa a punto e pubblicata da Officina Babùk. Rispetto a quella originale, a tutt’oggi proposta da Babalibri, questa versione presenta poche differenze. Formato, illustrazioni e impianto grafico ricalcano, infatti, quelli dell’albo illustrato tradizionale, mentre le uniche variazioni testuali concernono l’uso del maiuscolo  e la struttura sintattica delle frasi che introducono un discorso diretto. Il soggetto e il verbo dichiarativo vengono infatti qui collocati sempre prima del discorso diretto stesso. Il cambiamento ritmico e stilistico è impercettibile mentre l’impatto sulla comprensibilità non è trascurabile.

La versione in simboli di Tra le mie braccia si caratterizza poi per il ricorso a simboli WLS riquadrati e associati talvolta a singole parole, talaltra a unità di senso (ad esempio “non so davvero” o “sulle spalle”). In alcuni casi, poi, il simbolo viene costruito in modo tale da esplicitare il più possibile il senso della parola corrispondente: è quel che accade, per esempio, quando al pronome “mi” si associa un simbolo con una freccetta che indica l’icona del protagonista. L’idea di fondo è che la simbolizzazione debba supportare il più possibile la comprensione, senza appesantire la lettura, e in funzione di questo venga modulata. Allo stesso scopo mirano gli accorgimenti grafici che concernono la forma dei riquadri che cambia a seconda della posizione (inizio e/o fine frase) e/o del tipo di proposizione (discorso diretto o frase semplice): un’accortezza, questa, ideata dalla stessa casa editrice e utile a facilitare l’orientamento del lettore all’interno della multiformità testuale.

Cappuccetto Rosso

Mondadori ha da poco inserito nel suo catalogo di libri illustrati una serie di volumi dedicati alle fiabe tradizionali le cui caratteristiche risultano interessanti. Si tratta di fatto di volumi snelli e dalle ampie illustrazioni in cui il testo è duplice: quello originale dei fratelli Grimm e quello a questo ispirato ma semplificato.  Se il primo presenta un carattere minuscolo, una lunghezza consistente (due o tre paragrafi per pagina) e una certa ricchezza lessicale e sintattica, il secondo si caratterizza invece per l’uso del maiuscolo, per una netta brevità (due-tre righe per pagina) e una notevole semplificazione lessicale.

La scelta di combinare due versioni dello stesso testo all’interno del medesimo volume è abbastanza insolita (anche se non del tutto inedita. Si veda per esempi questa proposta di Erickson) e funzionale al fatto di impiegare lo stesso libro per condividere la stessa storia con bambini dalle abilità diverse e/o per supportare il percorso di lettura di un bambino da un livello più semplice a uno più complesso. Il fatto di poter fare riferimento alle medesime illustrazioni può costituire, infatti, un elemento facilitante in questo senso.

Le illustrazioni, firmate da Rocio Bonilla sia in questo volume dedicato a Cappuccetto Rosso, sia in quello dedicato a Il lupo e i sette capretti , risultano dal canto loro amichevoli e di taglio piuttosto didascalico. A fianco di alcuni dettagli delle illustrazioni stesse vengono riportate delle specie di etichette funzionali a identificare e nominare gli oggetti o le azioni rappresentate. L’editore, che in copertina parla di tre livelli di lettura, considera probabilmente queste etichette come il livello base, anche se la loro funzione in termini narrativi risulta di fatto abbastanza irrilevante.

Apri gli occhi!

Sorprendente, poetica, ammaliante: Claire Dé, già apprezzatissima in Imagine. C’est tout blanc…, si conferma autrice visionaria e originale nel silent book fotografico Apri gli occhi!, edito in Italia da Editoriale Scienza.

l libro è eloquente già dalla copertina. Tutta giocata sul contrasto cromatico tra un fronte immacolato e un retro sgargiante, questa trasforma, infatti, la foto di un manto nevoso in un volto dormiente. Fin dall’involucro del volume, si coglie dunque la sua propensione a trasformare la realtà in qualcos’altro, a trovare un guizzo narrativo negli oggetti più inaspettati, a giocare con ciò che è e con ciò che sembra, a creare collegamenti inattesi tra le cose del creato.

I punti di forza in ottica inclusiva di un libro come questo sono diversi. C’è prima di tutto l’elemento dello stupore: di fronte alle pagine di Apri gli occhi!, è infatti impossibile non restare ipnotizzati. Dentro c’è tutta la meraviglia mozzafiato della natura. Poi si può non capire tutto, non riconoscere qualcosa, trovare difficoltà di orientamento tra le figure, ma questo viene comunque dopo: l’incanto, intanto, ci diene dentro tutti.  C’è poi l’aderenza al reale garantita da un medium come la fotografia che, più di altri, viene incontro anche a chi sperimenta delle difficoltà di astrazione. I soggetti sono reali, tangibili, perlopiù noti. Tra di loro ci si può muovere con agio e familiarità. C’è poi il tema della lunghezza: un libro come questo non impone necessariamente, infatti, una narrazione lineare e lunga ma accoglie senza difficoltà anche letture più frammentarie e discrete di cui la doppia pagina costituisce la misura minima.

E c’è infine la versatilità d’uso: un libro come Apri gli occhi! Non ha istruzioni d’uso e nasce per accogliere percorsi diversi. Tra queste pagine si può guardare, ci si può stupire, si possono scovare dettagli nascosti, si può imparare, si può indovinare, si può immaginare, si può cercare, si può classificare, si possono cogliere somiglianze e differenze, nessi e fili narrativi. La bravura dell’autrice sta proprio, infatti, nell’immortalare soggetti curiosi e attraenti di per sé e/o per la relazione che possono instaurare con quelli cui sono affiancati. Ci sono insetti e vegetali ripresi da molto vicino, tanto da cogliere venature e dettagli piccolissimi. Si sono soggetti sfocati che chiamano a essere riconosciuti. Ci sono ombre curiose che paiono dare nuove identità ai loro proprietari. Ci sono scorci e squarci da cui guardare.

È tutto un gioco di scelta, di inquadratura e di affiancamento: un gioco che Claire Dé padroneggia con maestria ma nel quale i bambini, ispirati da queste pagine, possono a loro volta cimentarsi.

Dalla finestra

Cum-finis, là dove si finisce insieme. In quel bellissimo saggio che è Le parole sono importanti, Marco Balzano illustra bene come l’etimologia della parola confine rinvii sorprendentemente a un aspetto di apertura più che di separazione, di contatto più che di chiusura. Cosa pensare, allora, delle finestre, che nei fatti altro non sono che un confine circoscritto e comune? Più che chiuderle e segnare in maniera netta la distinzione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, vale forse la pena aprirle – un poco, molto o del tutto – ed esplorarne le potenzialità, in nome di quel significato originario votato all’incontro.

E proprio questo hanno fatto Laura Cattabianchi e Patrizio Anastasi, autori del libro tattile illustrato Dalla finestra, fresco vincitore del Bologna Ragazzi Award nella sezione New Horizons. Ogni doppia pagina del volume mostra infatti un tipo particolare di finestra, proposta come un’opportunità di spingersi verso un diverso pezzo di mondo, di godere di molteplici panorami naturali, architettonici e umani, di entrare in contatto con suoni e profumi che vengono da fuori e con sensazioni e pensieri che riecheggiano dentro. Ci sono finestre rionali, sul cortile e dirimpettaie, aperture pettegole e odorose, oblò e vetrate panoramiche, abbaini che aprono sul cielo e bocche di lupo che guardano in basso. Ognuna ha la sua forma e la sua storia: una forma e una storia appena appena abbozzate, quel tanto che basta per dare il la all’immaginazione del lettore.

Le finestre sono infatti rappresentate attraverso sagome fustellate essenziali, al limite del simbolico. Facilmente percepibile al tatto, ciascuna di esse si caratterizza per un materiale interno diverso che risulta significativo per la sensazione che genera, tattile in alcuni casi (come in quello delle tende che oscurano la finestra di chi spia),  uditiva in altri (come quello della carta oleata che richiama il suono della friggitoria sottostante). La pagina, dal canto suo, si caratterizza per la presenza anche di minimi elementi grafici, percepibili solo alla vista e funzionali ad aggiungere alcuni dettagli di contorno. Il risultato è un invito per il lettore a godersi una passeggiata immaginaria in cui il mondo, nella sua multiforme varietà, si svela un poco: origliato, odorato o sbirciato tanto da far venir voglia di saperne di più. O di esplorare ancora. Il libro, non a caso, presenta una sovraccoperta che diventa a sua volta uno spiraglio sul mondo. Inoltre, propone in allegato un kit, composto da un leporello fustellato e da alcuni materiali di base, con cui creare la propria personale rassegna di finestre. Perché le buone letture, si sa, non finiscono mai una volta chiusa l’ultima pagina del libro…

Ad accompagnare il lettore in questo insolito cammino tattile tra spiragli e aperture domestiche, si trova il fresco testo in rima di Laura Cattabianchi. Laura, straordinaria autrice che ci aveva già folgorato con il suo Nel bosco, firma infatti qui  sia la parte testuale sia quella di illustrazione tattile. Quest’ultima nasce, dal canto suo, in maniera decisamente insolita, sollecitata dalle forme minime di Patrizio Anastasi: una nuova e felice conferma del fatto che quella dell’essenzialità delle figure può essere una strada molto fruttuosa e versatile in un’ottica di accessibilità. La genesi di Dalla finestra è dunque fuori dal comune e, come tale, pienamente il linea con lo spirito del progetto che vi ruota intorno. Dalla finestra vede la luce, infatti, in seno a Coaabitat (Comunità Attive Attraverso la Biblioeditoria Tattile), un progetto innovativo e per certi versi sovversivo, che mira ad attivare la collettività intorno al tema della biblioeditoria tattile, creando una sensibilità nuova e nuove sinergie che facilitino la diffusione di questo tipo di libri.

La sua è una forza di tipo comunitario, che parte dal basso e che germoglia grazie a un lavoro (grandissimo) di rete. L’idea che nella condivisione e nella capillarità – degli sforzi e delle conoscenze – possa risiedere la possibilità di trasformare concretamente l’editoria tattile in un’opportunità per tutti i lettori è forse anche quella che ha portato Edizioni Start a candidare Dalla finestra al Braw: un’iniziativa apparentemente comune ma in realtà rivoluzionaria, caparbia e ambiziosa, che dice forte la necessità che i libri tattili (o accessibili, più in generale) stiano insieme agli altri e come tali vengano trattati. Un segnale, questo, importantissimo, al pari della risposta data dalla giuria del premio: una risposta che ci auguriamo possa essere a tutti gli effetti un finestra che consenta a questo tipo di libro di essere conosciuto e riconosciuto per il suo valore da un numero sempre più ampio di lettori.

Naso e Becco. Le lettere di mezzanotte

Quella di Naso e Becco è una serie ad alta leggibilità da tenere assolutamente d’occhio. Naso è un cane dal fiuto infallibile. Becco è un uccellino dallo sguardo attento. Insieme formano una coppia di investigatori bizzarramente assortita e straordinariamente efficace. Ogni loro avventura ruota intorno a un piccolo mistero che si sviluppa e svela nel giro di una trentina di pagine.

La misura è dunque ottimale per sostenere prime letture autonome e si sposa perfettamente a un testo piano e abbordabile ma brioso, a illustrazioni piacevoli, ampie e significative, a una grafica ariosa (spaziatura ampia e un paio di paragrafi al massimo per pagina) e a un carattere ad alta leggibilità in stampato maiuscolo. Il risultato è una proposta editoriale accattivante e accogliente, capace di incuriosire e al contempo di abbracciare anche i lettori meno forti o con difficoltà legate a un disturbo specifico dell’apprendimento.

In Naso e Becco. Le lettere di mezzanotte, i due protagonisti sono alle prese con una serie di lettere minacciose che invitano le rane dello stagno a interrompere le loro assidue prove di canto. Le lettere sono anonime, le minacce incombenti: un caso delicatissimo, insomma, per i due detective. Taccuino e lente di ingrandimento alla mano, i due si mettono sulle tracce del colpevole con la dovuta intraprendenza e il consueto intuito. Piume disperse, grafia svolazzante e un pizzico di vanità faranno il resto nella risoluzione di questo misterioso caso.

Inaugurata a ottobre 2024, la serie di cui fa parte Naso e Becco. Le lettere di mezzanotte conta ad oggi altri tre volumi dalle caratteristiche analoghe: una buona notizia per chi è a caccia di buone storie che accordino pari importanza alla leggibilità e all’appagamento.

Vincent Van Gogh pittore malinconico

Vincent Van Gogh, pittore malinconico è il secondo titolo curato da Teresa Righetti per la collana Parimenti de la meridiana. Si tratta dunque di un volume con testo supportato dai simboli della Comunicazione Aumentativa Alternativa che nasce con l’intento di rendere fruibili le storie, e in questo caso specifico la storia dell’arte, anche a giovani lettori con difficoltà di lettura.

Come il titolo precedente dedicato a Frida Kahlo, anche questo racconta la biografia del suo protagonista e offre al contempo una spiegazione essenziale delle sue opere più note e importanti. La narrazione procede in prima persona come se fosse lo stesso Vincent a parlare al lettore: accorgimento che concorre a rendere il racconto più fluido e appassionante. Seguendo i momenti salienti della vita del pittore, si entra così in contatto con i suoi celebri girasoli e con gli altri (numerosi) fiori da lui dipinti, con i suoi ritratti e autoritratti, con i suoi cieli stellati e con i suoi quadri dedicati agli spazi di casa. Di ognuno, l’autrice illustra i dettagli salienti, mettendoli in relazione con il tormentato stato d’animo del pittore e svelando possibili significati nascosti nella scelta dei soggetti, dei colori e delle forme. Il risultato è una proposta che resta saldamente in equilibrio tra il racconto biografico e l’opera di divulgazione, godibile in assenza di particolari difficoltà anche dalla fine della scuola primaria.

I testi confezionati da Teresa Righetti sono molto chiari, privilegiano frasi brevi, lineari e paratattiche e sono oggetto di una simbolizzazione che procede parola per parola o per unità di senso a seconda delle necessità. Collocati con regolarità sulla pagina di destra, fanno sempre riferimento all’illustrazione che si trova nella pagina a fianco, facilitando così l’orientamento e la comprensione del lettore. Le illustrazioni, dal canto loro, sono incisive e costruite con rispetto degli originali.

Progettato con un chiaro fine didattico, Vincent Van Gogh, pittore malinconico propone un’ampia sezione di proposte creative ispirate alle opere di Van Gogh attraverso le quali il lettore può familiarizzare con il lavoro del pittore, assimilarlo più agevolmente e sperimentare in prima persona tecniche e suggestioni. Questa sezione è resa in particolare disponibile sia al fondo del libro sia in formato digitale, attraverso la semplice scansione di un qr code.

Un’estate

Il tratto di Ji-Hyun-Kim è magnetico. Nel suo modo di raccontare per immagini le posture umane, la natura, la magia del creato e le emozioni si mescolano uno sguardo attentissimo e una capacità di non dire, una grande adesione al reale e un alone di mistero. E quel modo di raccontare emerge con grande limpidezza all’interno di Un’estate, il primo silent book dell’autrice coreana, portato in Italia da Emme Edizioni.

Qui si racconta di un viaggio estivo, di una fuga familiare dalla città verso la pace ristoratrice del lago, e dei ricordi indelebili che una quotidianità ordinaria ma distante dalle proprie abitudini può regalare. Il protagonista è un bambino che, con i genitori e l’affezionato cane, si reca a far visita a persone care, presumibilmente i nonni. È un tempo lento, quello che lo aspetta. Un tempo in cui guardarsi intorno e guardarsi dentro, in cui esplorare i dintorni e il passato della famiglia, in cui passeggiare, tuffarsi, ammirare e godersi i raggi del sole sulla faccia. Un tempo di niente e di tanto, che lascia una traccia indelebile da portare con sé.

Privo di parole e di colori abbaglianti, Un’estate fa della pacatezza dei toni e del racconto la sua cifra. Non ci sono strepiti o colpi di scena, qui: solo un viaggio verso e dentro quella natura che sempre più spesso ci è sconosciuta. Lo stupore è tuttavia tangibile e le tavole dell’autrice lo trasmettono con forza al lettore. Quest’ultimo è accompagnato passo passo in questo percorso affascinante, senza essere chiamato a faticosi sforzi interpretativi. La necessità di comprensione cede il passo al piacere della contemplazione. E questo, dal canto suo, non può che aprire possibilità di fruizione ampia.

L’ape Tina fa colazione

Con gioia, lo scorso anno, avevamo accolto l’uscita di Zuppa di coccole: il primo cartonato in simboli pubblicato da Homeless Book e rivolto a un pubblico di piccoli e piccolissimi. Si trattava, infatti, di un volume curato tanto nella parte relativa all’accessibilità quando in quella relativa alla gradevolezza del testo, delle figure e della composizione grafica.

Quell’esperienza ben riuscita trova oggi un gradito seguito in due nuovi cartonati che potremmo definire seriali: come intuibile dal titolo, dal formato identico e dalla grafica coerente, Ape Tina e l’inverno e Ape Tina fa colazione vedono la stessa protagonista alle prese con diverse piccole vicende quotidiane, perfette per prime letture condivise.

In Ape Tina fa colazione, per esempio, la protagonista esplora la campagna primaverile in cerca di qualcosa da mangiare. Al suo seguito il lettore scopre cosa si trova e cosa non si trova in un ambiente campestre, cosa mangiano le api, che caratteristiche hanno i fiori di ciliegio e cosa diventano con il passare del tempo. Il testo scritto da Maria Caterina Minardi propone dunque una sorta di protostoria grazie alla quale i lettori più piccoli, compresi quelli come maggiori difficoltà legate alla sfera della comunicazione, delle autonomie e della socialità, sono accompagnanti a conoscere l’ambiente che li circonda.

Le frasi che compongono il racconto sono perlopiù minime o coordinate con il soggetto non sempre ripetuto, se esposto poco prima. Le parole scelte, dal canto loro, sono semplici e quotidiane e vengono supportate visivamente dai simboli secondo una logica funzionale alla fruibilità: così, per esempio, articoli e preposizioni non vengono simbolizzate singolarmente ma accorpate al sostantivo di riferimento e unità di senso come “fare colazione” o “ha tanta fame” corrispondono un simbolo unico. Ogni pagina presenta un numero di frasi e dunque di simboli circoscritto: questo fa sì che la pagina che li ospita appaia felicemente pulita, ariosa e leggibile.

Il testo, che figura con regolarità sulla pagina di destra, è accompagnato da illustrazioni dallo stile grafico che riescono a unire gradevolezza e riconoscibilità. Del tutto prive di dettagli inutili e contraddistinte dall’uso di seisoli colori piatti (bianco, nero, giallo, verde, rosso e azzurro), ben contrastati e combinati tra loro, le figure di Gaia Scaranna scelgono e mettono bene in evidenza gli elementi chiave cui fa riferimento il testo della pagina a fianco, dando vita a quadri molto essenziali e ma molto accattivanti.

L’argine

Il lavoro di innovazione editoriale che Homeless Book sta portando avanti negli ultimi anni merita davvero un applauso. Non solo la casa editrice faentina ha iniziato a manifestare un’attenzione via via crescente nei confronti della qualità dei testi e delle figure proposte ai suoi lettori ma ha avviato anche una serie di sperimentazioni nell’ambito della produzione in CAA che hanno portato un gradita ventata di novità e spunti interessanti su cui riflettere.

Da un lato, hanno infatti preso forma nel suo catalogo alcuni titoli cartonati in simboli dedicati ai piccolissimi. Dall’altro, è arrivato sugli scaffali l’adattamento di un bellissimo fumetto originariamente edito da Beccogiallo ora supportato visivamente dai simboli WLS. E se il primo è un ambito ancora poco battuto, di quest’ultimo possiamo dire che sia totalmente inesplorato: L’argine è infatti il primo esperimento di fumetto in CAA edito in Italia.

Composto a quattro mani da Marina Girardi e Rocco Lombardi, che alternano le loro tavole dagli stili decisamente diversi per sottolineare i cambi di tono e di scenario del racconto, il libro racconta un pezzo di storia del nostro paese (e della zona del ravennate in particolar modo). Con il pretesto di una conversazione con il nipotino in occasione di una festa di carnevale, nonno Francesco per tutti Frazchì racconta di quando fu mandato dalla sua famiglia a far ingravidare la capra Ninetta, incontrando nel tragitto i molti pericoli e i molti volti della guerra. Quello che è di fatto un percorso circoscritto assume, infatti, i tratti di un viaggio iniziatico dalla durata indefinita, apparentemente molto più lunga di quel che direbbe l’orologio. In quel tempo sospeso e indistinto, Frazchì si confronta con bombardamenti e spari, fughe e missioni partigiane, rastrellamenti e mercato nero. Nella sua corsa lungo l’argine – quell’argine del fiume Senio dove il fronte di guerra si bloccò per mesi – il bambino fa la conoscenza di una lunga serie di personaggi emblematici per il ruolo che, specificamente, hanno giocato nella storia di Cotignola ma anche per le figure che, più universalmente, rappresentano. Chi deve nascondersi e chi aiuta a farlo, chi rischia la pelle per portare messaggi di resistenza, chi si finge fascista per aiutare la comunità, chi collabora con chi ha idee politiche e religiose opposte alle sue in nome della pace e della salvaguardia delle vite umane. C’è un’umanità che resiste e si fa forza, tra le tavole de L’argine, che arriva con forza al lettore anche grazie alle tavole estremamente dense ed espressive dei due autori in cui tutto, il tratto, le sfumature e le inquadrature, concorre da definire il racconto e a far sentire lo stravolgimento che la guerra porta con sé.

Estremamente rispettosa dell’originale, questa versione in simboli de L’argine presuppone un certo grado di conoscenze storiche pregresse e/o una lettura accompagnata che possa esplicitarle man mano. Molte sono, infatti, le inferenze richieste al lettore, i vuoti narrativi e i rimandi appena accennati a fatti, situazioni e figure del periodo in questione. Anche in questo senso l’esperimento avviato da Homeless appare particolarmente coraggioso: L’argine mette infatti i lettori che possono necessitare del supporto dei simboli (per ragioni diverse, comunicative e linguistiche per esempio) nella condizione di cimentarsi con una narrazione raffinata e complessa, nella quale l’attenzione al coinvolgimento emotivo supera di gran lunga quella alla piena comprensibilità dei fatti e dei riferimenti. I simboli, dal canto loro, sono impiegati in un’ottica di grande economia, ambendo davvero a offrire una sponda visiva alla decodifica del testo più che una vera e completa traduzione. Il risultato è una composizione poco invasiva dal punto di vista estetico (i simboli stessi, così come il testo, rispetto la dimensione abituale del contenuto di un fumetto) e funzionale a soddisfare lettori dotati di una certa dimestichezza con la lettura e la decodifica  dei simboli.

Caccapupù

Simone, coniglietto irriverente creato da Stephanie Blake, compie quasi vent’anni. Eppure il suo modo di fare è così vero e fedele all’infanzia che difficilmente lo si sospetterebbe. Ecco perché il fatto che la sua prima avventura, portata in Italia da Babalibri nel 2006, sia ora resa disponibile anche in simboli da Officina Babùk, è notizia quantomai felice e attuale.

Caccapupù, che dà il titolo al volume, è la parola che Simone ripete senza sosta, come risposta a qualunque interrogativo o invito. Al mattino, quando la mamma lo sveglia. A mezzogiorno quando il papà gli offre gli spinaci. Così come alla sera, quando la sorella gli vuole fare il bagno. Ma anche quando il lupo gli chiede se può mangiarlo, la risposta è sempre la stessa: Caccapupù! Il lupo, Simone se lo mangia, sì. Ma quando il papà, che è anche dottore, riesce a liberare il suo coniglietto, qualcosa sembra cambiato. Simone rivendica, infatti, il suo nome e mangia la minestra senza insolenza. Mai cantare vittoria troppo presto, però… Ché la sorridente impertinenza dei più piccoli riesce spesso a trovare strade impreviste per spiazzare, stupire e financo esprimere una vitale curiosità.

Divertente e irresistibile da leggere ad alta voce, Caccapupù resiste in maniera eccellente alla prova del tempo perché coglie l’infanzia in un suo tratto peculiare e perché non fa del tema scatologico, tanto caro ai bambini, un ammiccamento fine a sé stesso. Al contrario, quel Caccapupù che fa sinceramente sorridere diventa di fatto il motore narrativo di una piccola avventura felicemente compiuta che mescola con perizia invenzione, iterazione e sorpresa.

Non solo. Stephanie Blake compone il suo racconto con attenzione, donandogli ritmo e comprensibilità. Non a caso, nella versione in simboli curata da Officina Babùk, il testo non viene modificato di una virgola, poiché risulta già molto lineare e chiaro nella sua versione originale, perfetto per una simbolizzazione. Quest’ultima opta per l’uso dei simboli WLS, con riquadri molto sottili (e dunque graficamente poco invasivi) e testo in maiuscolo esterno ai riquadri, e per l’associazione di unità di senso (articolo + sostantivo, espressioni come “c’era una volta”, ecc…) a un unico simbolo. La distribuzione del testo sulla pagina, inoltre, segue fedelmente quella della versione originale. Come in quest’ultima, infine, testo e figure risultano sempre separati: questo fa sì che venga agevolato nel lettore il reperimento di entrambi e che un’eventuale lettura con modeling non vada a coprire le illustrazioni. Queste ultime, dal canto loro, appaiono molto nette, prive di dettagli superflui e contraddistinte, invece, da contorni spessi e da un uso del colore non necessariamente realistico

Il risultato è un libro estremamente godibile, anche da un punto di vista estetico, e fruibile tanto nella parte testuale quanto in quella iconografica: a tutti gli effetti una lettura che si presta alla condivisione anche all’interno di contesti educativi e culturali come scuole o biblioteche.

Lumaca

Esplorare la pagina con i polpastrelli è più complesso e meno immediato che farlo con gli occhi. Per questo, la lettura tattile richiede un tempo lento. Chi meglio di una lumachina può, dunque, accompagnare l’esplorazione di pagine concepite per le dita? Probabilmente nessuno.

Sulla scia della chiocciola protagonista del libro di Francesca Danovaro, al lettore non verrà messa fretta: ad ogni pagina troverà, sempre identica (salvo per l’orientamento) e ben distinguibile, la sagoma dell’animale che si muove in direzioni diverse: verso sinistra e verso destra, verso il basso e verso l’alto, in diagonale e infine lungo tutto il perimetro della pagina. E questo è quanto! Sagoma, scia e piano sottostante: con tre semplici elementi, l’autrice disegna un percorso via via più complesso da seguire per dita curiose. Non c’è storia e non c’è testo, insomma, tra queste pagine tattili, ma una proposta essenziale e curata per prendere confidenza con le linee e lo spazio. Un luogo di carta dall’accessibilità trasversale, capace di intercettare bisogni ed abilità diverse.

Il libro appare estremamente pulito nella grafica e minimale nei contenuti: aspetti, questi, che ne facilitano l’esplorazione la fruizione e che aprono, volendo, a scenari immaginifici: dove va la chiocciolina? Cosa insegue? E quali storie potrebbe contenere quella pagina da lei così ben delineata?

La Puglia è una favola

La Puglia è una favola è un libro sui generis che può valere la pena conoscere. Non tanto per la storia che racconta, che di fatto nasce per presentare e valorizzare le bellezze della regione, quanto per l’elevato grado di accessibilità che vanta e per le efficaci soluzioni che adotta per assecondare diverse esigenze di lettura.

Da un lato, il libro presenta una versione ad alta leggibilità del racconto. Dall’altro, a volume capovolto, una versione semplificata e supportata visivamente dai simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. L’aggiunta dei simboli, dal canto suo, risulta ben integrata dal punto di vista grafico alle illustrazioni che animano il racconto. La scelta, invece, di prediligere simboli colorati tende a rendere più confuso l’insieme. I simboli utilizzati sono quelli della collezione WLS, particolarmente adatti ad accompagnare testi letterari.

Ma non è tutto: alla fruibilità garantita dalle caratteristiche di alta leggibilità e alla presenza dei simboli, si aggiunge quella implicata dalla presenza di un qr code che rimanda all’audioregistrazione del racconto. Il risultato è un volume che con un circoscritto dispiego di risorse riesce ad abbracciare un pubblico davvero ampio, facendosi autenticamente promotore di un diritto alla lettura democratico.

Contraddistinto da gradevoli illustrazioni dal tratto delicato firmato da Simona Versi, La Puglia è una favola accompagna il lettore in una sorta di viaggio attraverso la storia, la cultura e le usanze della regione con cui man mano la piccola protagonista Blu si trova a interagire.

Libro scatenato

Vincitore nel 2021 la sesta edizione del concorso nazionale di editoria tattile Tocca a te, Libro scatenato di Claudia e Anna Silvia Costa è un volume tattile che esplora il tema dei diritti. Lo fa giocando con i diversi significati attribuiti alla parola catena: una cosa che di base costringe e imprigiona ma che talvolta può consentire ai diritti di trovare spazio e realizzarsi.

La catena della bici rende liberi di correre, per esempio. Quella dell’altalena fa volare in alto. Quella dell’ancora permette di scoprire nuovi orizzonti. Così, attraverso questo ribaltamento semantico e attraverso il gioco linguistico-metaforico che ruota intorno alle parole incatenato/scatenato, il libro offre spunti sparsi per riflettere sul tema delle liberta e dei diritti.

Contraddistinto da una struttura un po’ frammentata, che tiene insieme citazioni (di Malala e Mandela, per esempio) e richiami alle catene di cui sopra, Libro scatenato si caratterizza per il ricorso a illustrazioni tattili abbastanza tradizionali nelle forme e nella composizione. D’altro canto, il libro si fa notare per la possibilità di rivolgersi a un pubblico di lettori un po’ più grandi rispetto a quelli a cui abitualmente i libri tattili si rivolgono.

Il gioco delle ombre

Leggere, giocare, incantare, trasformare… con un libro si possono fare molte cose (insieme), soprattutto se quel libro è firmato da Hervé Tullet. Si prenda ad esempio Il gioco delle ombre, edito da L’ippocampo. Contraddistinto da pagine cartonate nere di piccolo formato intagliate a modino, questo libro predispone un’esperienza di lettura che potremmo dire aumentata, senza che alcuna sofisticata tecnologia si renda necessaria. Per restituire pieno senso al volume basterà infatti una torcia.

Il gioco delle ombre invita il lettore ad illuminare le sue pagine in una stanza buia man mano che la lettura scorre. E voilà, la magia è presto fatta: le figure intagliate sulla carta prendono vita sulla parete o sul soffitto, accompagnando il lettore in una sorta di passeggiata notturna in cui si incontrano creature misteriose (perlomeno all’apparenza!).

Lineare, semplice e fruibile già nella struttura narrativa, che presenta di fatto una carrellata di possibili incontri notturni (un uccellino, uno scoiattolo, un lupo, una volpe, un elefante…), Il gioco delle ombre aumenta il suo grado di godibilità e aggancio nei confronti dei lettori con maggiori difficoltà di attenzione, grazie alla modalità d’uso originale che richiede di mettere in campo e al coinvolgimento attivo del lettore che questa implica.  Luce spenta, occhi attenti: la magia ha inizio!

Ape Tina e l’inverno

Con gioia, lo scorso anno, avevamo accolto l’uscita di Zuppa di coccole: il primo cartonato in simboli pubblicato da Homeless Book, rivolto a un pubblico di piccoli e piccolissimi. Si trattava, infatti, di un volume curato tanto nella parte relativa all’accessibilità quando in quella relativa alla gradevolezza del testo, delle figure e della composizione grafica.

Quell’esperienza ben riuscita trova oggi un gradito seguito in due nuovi cartonati che potremmo definire seriali: come intuibile dal titolo, dal formato identico e dalla grafica coerente, Ape Tina e l’inverno e Ape Tina fa colazione vedono la stessa protagonista alle prese con diverse piccole vicende, perfette per prime letture condivise.

In Ape Tina e l’inverno, per esempio, la protagonista si confronta con le peculiarità della stagione: il freddo che richiede abiti pesanti, la nebbia che ostacola la visibilità degli oggetti e dei luoghi più familiari, il buio che arriva presto costringendo a lunghi pomeriggi casalinghi ma anche la neve che talvolta ci sorprende la mattina, riservando possibilità di gioco e divertimento inattese.

Il testo scritto da Maria Caterina Minardi propone una sorta di protostoria, seguendo di fatto una giornata tipo invernale e mettendone in evidenza le specificità. In questo modo, l’autrice accompagna in maniera piacevole i lettori più piccoli, compresi quelli come maggiori difficoltà legate alla sfera della comunicazione, delle autonomie e della socialità, a conoscere e riconoscere l’ambiente che li circonda e le emozioni che questo può generare.

Le frasi che compongono il racconto sono perlopiù minime ma non sempre lineari (il sostantivo non precede, per esempio, automaticamente il verbo e il verbo non precede sempre il discorso diretto che introduce). Le parole scelte, dal canto loro, sono semplici e quotidiane e vengono supportate visivamente dai simboli secondo una logica funzionale alla fruibilità: così, per esempio, articoli e preposizioni non vengono simbolizzati singolarmente ma accorpati al sostantivo di riferimento. Il numero di frasi e dunque di simboli impiegati è circoscritto e questo fa sì che la pagina che li ospita appaia felicemente pulita, ariosa e leggibile.

Il testo, che figura con regolarità sulla pagina di destra, è accompagnato da illustrazioni dallo stile grafico che riescono a unire gradevolezza e riconoscibilità. Del tutto prive di dettagli inutili e contraddistinte dall’uso di cinque soli colori piatti (bianco, nero, giallo, blu e azzurro), ben contrastati e combinati tra loro, le figure di Gaia Scaranna scelgono e mettono bene in evidenza gli elementi chiave cui fa riferimento il testo della pagina a fianco, dando vita a quadri essenziali e accattivanti.

Una fame da lupo

Una fame da lupo (così come il fratello Una vacanza da lupo) è l’emblema dell’ibridismo che spesso contraddistingue i libri accessibili migliori. Questo di di Yen-Lu Chen-Abenia e Mathilde Bel è, in particolare, un libro-gioco che non disdegna di mutuare qualche aspetto dagli imagier e dai libri tattili ma non si discosta troppo neppure né dai libri in simboli né da quelli senza parole. Proviamo a vedere in che modo.

Il libro presenta intanto un packaging particolare che consente alla copertina di aprirsi in verticale mentre tutte le altre pagine, spesse e cartonate, si aprono in orizzontale. Questo fa sì che ciò che sta sotto alla copertina, ossia l’immagine del lupo protagonista con il suo pancione da riempire in primo piano, resti sempre a disposizione man mano che il libro scorre: un’accortezza semplice ma funzionale considerando che il lettore viene implicitamente invitato a dare da mangiare al lupo le delizie che di pagina in pagina incontra. Ciascuna delle pagine successive alla prima presenta infatti un insieme di cibi variamente disposti (su ripiani, sparsi qua e là, su una tovaglia…) e riuniti in base ad affinità di contesto (cibi che stanno in frigo, cibi per l’ora del tè, cibi per un picnic…). Ogni pagina riporta una decina di immagini dalle forme semplici e riconoscibili: una di esse, poi, è associata al nome e risulta staccabile, esplorabile a 360°e attaccabile sulla pancia del lupo tramite velcro.

Nella sua struttura essenziale e ben congegnata, Una fame da lupo consente dunque di guardare, leggere (due parole per pagina), nominare, associare alcune parole alle relative figure minimali, manipolare, riconoscere le forme, attaccare e staccare, giocare… E poi ricominciare, con gusto, che non è poca cosa.  Il libro diventa cioè uno spazio accogliente di sperimentazione e lettura multiforme in cui anche i bambini con difficoltà comunicative, cognitive e di attenzione possono sentirsi benvenuti, stimolati e appagati.

Guarda e scopri la città

Guarda e scopri la città, wimmelbuch contemporaneo nato in Spagna e portato sugli scaffali italiani da Il leone Verde piccoli, è un libro brulicante ma anche un libro-gioco. Tra le sue pagine pullulanti è infatti possibile muoversi secondo approcci diversi: girovagando senza una meta precisa per cogliere i molti dettagli che animano ogni scena o setacciando quest’ultima con minuzia per trovare cose e personaggi suggeriti dall’autrice. Non c’è un approccio giusto e uno sbagliato. L’autrice caratterizza, infatti, ogni doppia pagina con una moltitudine di micro-situazioni che possono essere parimenti godute a ritmo lento e a ritmo serrato.

Ciò che le rende particolarmente vitali e attraenti è da un lato il tratto ironico e dinamico con cui vengono dipinte e dall’altro il proliferare di dettagli curiosi che contrastano con l’ordinarietà della cornice. Insieme a un coccodrillo che sbuca dal tombino e a un alieno che interagisce in modo buffo con il mondo degli umani, per esempio, l’autrice si diverte a disseminare in ogni doppia pagina personaggi delle fiabe molto noti, contestualizzandoli a modino (Pinocchio, per esempio, se ne sta tra i banchi di scuola!) e facendoli talvolta interagire con gli abitanti della città (la musica del Pifferaio di Hamelin, a quanto pare, non è così gradevole da ascoltare).

Cristina Losantos costruisce il suo racconto brulicante attraverso sette grandi tavole senza parole che immortalano scorci diversi della città. Qui il lettore ritrova, di fatto, personaggi ricorrenti, come se una cinepresa li seguisse nel loro percorso attraverso le vie del luogo. Possiamo così accompagnare, per esempio, la corsa di un uomo ginnico, il tour di una coppia di turisti, gli spostamenti di una classe, le performance di un musicista di strada e via dicendo. Come spesso accade quando questo tipo di modello di racconto per immagini viene proposto, il lettore ha modo di muoversi con particolare agio tra le diverse scene, scegliendo secondo i suoi gusti e/o le sue capacità, di godere delle singole scene che contengono di per sé delle situazioni narrativamente appaganti, o di godere del loro succedersi in maniera diacronica.

Della stessa seria di Guarda e scopri la città, Il leone verde piccoli ha pubblicato anche Guarda e scopri i mestieri.

Storia di una coda

Prodigy Street è un’anonima via in cui nulla di interessante succede mai. O almeno così pare a Tom che proprio lì si è da poco trasferito con la madre. Ma se è vero che nomen omen, l’intitolazione della via deve pur significare qualcosa e le apparenze vengono presto smentite. Da lì a poco, infatti, si trasferisce nello stesso isolato un bizzarro signore di nome Mister Mirabilis accompagnato da suo cane Najki, e dall’istante in cui Tom ne fa la conoscenza, cose sorprendenti cominciano ad avere luogo. Non cosa casuali o del tutto impreviste, si badi bene, bensì cose ben precise che hanno a che fare con i desideri. Sarà presto chiaro, infatti, agli occhi di Tom che Najki non è un cane comune ma una creatura magica che realizza le volontà di chi gli si trova accanto. E se questo può rappresentare una grande fortuna, parimenti può farsi foriero di imprevisti e guai…

Scorrevole, intrigante e costruito su un’efficace alternanza di voci – quella del narratore esterno e quella del cane – Storia di una coda si presta ad offrire una narrazione abbordabile ma allo stesso tempo gustosa e corposa a bambini che iniziano a muoversi con una certa dimestichezza sul terreno della lettura autonoma. La presenza di illustrazioni frequenti e brillanti, in pieno stile Tony Ross, e il ricorso al corsivo per caratterizzare i capitoli che riportano la voce del cane, vanno dal canto loro a rafforzare la fruibilità di un testo già stampato con caratteristiche di alta leggibilità. Il font biancoenero, la spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, la sbandieratura a destra e la carta color crema affaticano, infatti, meno la vista e sostengono la lettura anche in caso di difficoltà legate alla dislessia. Il risultato è un racconto ricco e narrativamente ben strutturato che dà il benvenuto anche ai lettori meno forti sia in virtù della sua forma che della sua sostanza.

Alberi

Mauro Evangelista è stato un artista e un autore di libri tattili straordinario. A lui dobbiamo, in particolare, un albo illustrato che è familiare a molti bambini e che ha trovato spazio in molte scuole, un albo illustrato che è ormai un classico e che mostra in maniera eloquente come il dialogo tra editoria tattile e tradizionale possa essere fruttuoso. Si tratta di Saremo alberi, noto a molti per l’edizione portata in libreria da  Artebambini.

Il libro, che racconta la diversità di cui la natura è custode attraverso le variegate chiome degli alberi che si fanno metafora dei caratteri umani, tutti egualmente dignitosi e necessari alla collettività, è un piccolo capolavoro di grazia e poesia. Porge al lettore una riflessione suggestiva attraverso un testo minuto e una grafica che rifugge gli orpelli e fa risaltare la qualità squisitamente tattile delle illustrazioni fatte con un materiale semplice come la corda. Scriveva Evangelista nel 2010: «Toccare, sentire una superficie (la “pelle” delle cose) consente di avvicinarsi ad una conoscenza molto profonda del mondo perché permette di avere un contatto intimo con un luogo, una persona o anche solo una materia. È un movimento verso un sapere sensibile».

E non è un caso se, come pochi altri, questo lavoro così capace di farsi tangibile, ha saputo raggiungere pubblici eterogenei, ispirare innumerevoli laboratori e godere di una longeva vita, viaggiando in più sensi di marcia tra ambiti editoriali diversi. Le tavole dell’autore fatte di corda e carta, trasformate attraverso la fotografia nel passaggio ad albo tradizionale da Artebambini, trovano infatti, ora, una nuova veste editoriale che recupera e valorizza a pieno il senso e l’aspetto del lavoro originale e prettamente materico dell’autore.

Nel libro tattile pubblicato dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi con il titolo di Alberi, quelle chiome classiche, disciplinate, disordinate o felici nel vento sono, infatti, nuovamente realizzate con la corda e risultano pertanto palpabili in tutta la loro fisicità. Il testo, dal canto suo, si presenta a grandissimo carattere e unisce la stampa in nero a quella in Braille. Illustrazioni e parole, infine, si abbracciano all’interno di pagine di ampio formato quadrato, realizzate in cartoncino grezzo e rilegate con la stessa corda che compone le figure. L’insieme a cui tutto questo dà vita è un libro tattile corposo e incantevole, che restituisce agli occhi come al tatto l’omaggio alla natura che la narrazione custodisce, e che si presta a letture estremamente accessibili e trasversali per età e abilità. L’ultima pagina, poi, offre una base in velcro e una corda staccabile grazie alle quali il lettore può fare, disfare e rifare il suo personalissimo albero: una sorta di piccolo laboratorio già compreso nel libro!

Brava Chiocciolina!

Quante cose sanno fare gli animali del prato: tutti, ma proprio tutti, agli occhi di chiocciolina sembrano avere un talento speciale e ammirevole. Chi vola, chi salta, chi scava tunnel lunghissimi, chi trasporta cose davvero pesanti. E chiocciolina? Chiocciolina cosa sa fare? Apparentemente nulla di ciò che fanno i suoi pari. Apparentemente. A ben guardare, infatti, come sa fare e sa insegnare a fare la sua mamma, anche chiocciolina ha un modo unico e degno di vivere il prato, non solo standoci ma rendendolo un posto migliore di come sarebbe se lei non ci fosse.

Brava Chiocciolina! è un libro che ha un valore speciale. Non solo perché le parole che Silvia Vecchini impiega per raccontarla sono scelte e limate con cura sopraffina. E neanche soltanto perché le illustrazioni di Carla Manea abbracciano a puntino, con le loro sfumature pastello, una narrazione dall’indole quieta e accogliente. Brava Chiocciolina! è un libro che ha un valore speciale anche perché ha una genesi singolare che, curiosamente, sposa a pieno il messaggio di cui la protagonista si fa portatrice.

Brava chioccolina! è infatti pubblicato da Edizioni corsare in due edizioni – inbook e tradizionale – che vengono di fatto proposte come paritarie, sorelle. Anzi, sebbene la storia della chiocciolina nasca prima dell’idea di farne anche una versione accessibile, è proprio quest’ultima a fare da apripista, uscendo in libreria prima di quella tradizionale. Può sembrare un’inezia, una mera questione di forma, ma in realtà non lo è: perché quello che questa successione temporale ci dice è che l’editoria accessibile non deve sempre andare a rimorchio dell’editoria tradizionale e che lo scambio e l’incontro tra le due non deve per forza essere a senso unico. Certo, proprio come accade a Chiocciolina, serve che il valore che l’accessibilità può portare con sé venga visto e riconosciuto perché possa dare frutto, che poi è proprio ciò che hanno fatto autrici e casa editrice.

Non solo, proprio come nel prato della chiocciolina, tutti gli attori coinvolti in questo progetto sono stati di fatto valorizzati per la loro specifica competenza: un’autrice fuori da comune per immaginare e scrivere la storia, un’illustratrice talentuosa per farla riecheggiare sulla pagina, un gruppo di lavoro specializzato nella simbolizzazione per ampliare la fruibilità del racconto, un editore accorto per comporre parole, simboli e figure in pagine armoniose e piacevoli. Esattamente di questo, crediamo, ha bisogno l’editoria accessibile e abbiamo bisogno tutti noi: di libri che nascano dalla sinergia di professionalità specifiche e che brillino non solo per le buone intenzioni ma anche per esiti degni di nota.

Lunga vita, dunque, alla chiocciolina e alla sua storia! Che possa lasciare una traccia ben visibile sul terreno della lettura inclusiva.

La mia casa

Dal mondo mitteleuropeo, culla fertilissima dei cosiddetti wimmelbucher, arrivano con frequenza sempre maggiore titoli brulicanti da cui lasciarsi assorbire e conquistare. Ali Mitgutsch e Susanne Rotraut Berner sono i maestri indiscussi e gli autori più noti di questo tipo di narrazione. A loro si ispirano spesso gli autori più giovani o meno conosciuti, le cui proposte possono essere cionondimeno valide e interessanti. La mia casa di Anne Suess è una di queste.

Portato in Italia da Gallucci, questo volume-affresco senza parole, presenta un rapporto densità narrativa/spessore decisamente sorprendente. Sottile sottile e composto da sole 8 pagine, il libro contiene in realtà una moltitudine di quadri pullulanti. Ogni doppia pagina fotografa, infatti, la sezione di un condominio, mostrando al lettore cosa accade dentro ogni stanza. Una dozzina di ambienti per ogni doppia pagina, per un totale di circa 50 micro-mondi da osservare. Nel condominio di Anne Suess ci sono appartamenti e negozi, spazi culturali e servizi educativi, uffici e soffitte, laboratori e teatri. C’è tutta una vita, variegata e autentica, che pulsa tra queste mura, dando luogo a micro-scene riconoscibili ma gustose. Lo stile realistico dell’autrice facilita dal canto suo l’identificazione dei contesti e delle azioni mentre il suo guizzo inventivo aggiunge un tocco gustosissimo alle diverse situazioni. Mai piatte, queste ultime ospitano di fatto delle narrazioni istantanee che lasciano però immaginare dei prima e dei dopo suggestivi. Come ci sarà finita la bambina dentro la pendola del gioielliere? Come avranno fatto a portare una mucca fino in soffitta? E la macchina del tempo progettata all’ultimo piano funzionerà davvero?

Anne Suess mette in scena una straordinaria varietà umana: bambini, adulti e anziani (alcuni, peraltro, molto atletici!), professioni pratiche e intellettuali, diversi tipi di tratti somatici e disabilità. La sua è una realtà vera e multiforme, in cui i mestieri non hanno vincoli di genere (c’è una donna meccanico così come un premuroso maestro di asilo) e la quotidianità non cede alla tentazione dell’infiocchettamento. Così, non mancano salsicce rovesciate, buchi involontari nel muro, mal di denti e litigi tra compagni. E tutto questo fa crescere il desiderio e il piacere di avanzare nella lettura per riconoscere (e riconoscersi ancora), per stupirsi, per ridere, per immaginare. Le scene allestite dall’autrice, d’altro canto, non mancano di citazioni e riferimenti intriganti (basti pensare allo scienziato dagli iconici baffi grigi!). Ciascuna di esse può essere apprezzata e goduta individualmente, cosa che ne agevola la fruizione anche da parte di bambini che faticano a padroneggiare sequenze articolate e complesse, ma spesso si intreccia con quelle accanto, come nel caso della cantante lirica che scatena l’ira e le reazioni di tutti i vicini. Nascono così collegamenti ulteriori e inattesi sui quali il racconto e l’immaginazione di ciascuno possono continuare a muoversi e trovare nuovo nutrimento.

Il ragazzaccio

Felix è un ragazzo cresciuto in un contesto difficile. Il padre è assente, la madre è malata e nessuno, di fatto, si occupa davvero di lui. Felix è povero e si sente invisibile. Come tale, d’altronde, lo trattano tutti: Felix a poco a poco perde persino il suo nome e diventa per il paese intero il ragazzaccio. Viene soprannominato così quando compie piccole ruberie per bisogno estremo e quella finisce per diventare la sua identità principale quando si lascia convincere da Tigre a entrare nella sua banda. A quel punto non si tratta più di arraffare una mela o un paio di calzettoni per sopravvivere ma di dedicarsi a furti e rapine in maniera sistematica, armi alla mano comprese. Sarà l’incontro con un mansueto ma tenace signore che gli dona un violino in cambio della sua pistola a cambiare la sorte di Felix, dimostrando a lui stesso (e a chi legge) che non si nasce buoni o cattivi e che umanità e arte possono cambiare le sorti di una persona.

Il ragazzaccio è ispirato alla storia vera di José Antonio Abreu, musicista e attivista che nel 1975 ha fondato in Venezuela El sistema, un’organizzazione che promuove la musica come strumento di riscatto sociale. Il signore che salva di fatto Felix da un destino segnato dalla delinquenza fa esattamente ciò che José Antonio Abreu ha fatto nella realtà con moltissimi bambini di strada. L’orchestra di cui Felix inizia a far parte celebra, infatti, il potere della musica in cui Abreu credeva fortemente.

Edito da Camelozampa, Il ragazzaccio, ha il sapore dei libri di una volta e l’aspetto di un libro modernissimo. Il racconto di Angeliki Darlasi non ha paura, infatti, di dire la povertà e di dipingere un contesto di periferia in cui le famiglie sono sgretolate, la fame è compagna fedele e l’appartenenza a una banda può offrire un effimero senso di protezione a appartenenza. Le illustrazioni di Iris Samartzi, dal canto loro, sottolineano il tono malinconico e non privo di sfumature cupe del racconto, optando però per un tratto attuale in cui fotografia e disegno si integrano e in cui le linee essenziali e pochi segni rossi su una base in bianco e nero guidano e allargano la riflessione del lettore. Il libro presenta inoltre la forma poco battuta del racconto illustrato in cui le figure, ampie e presenti a ogni doppia pagina, giocano un ruolo da protagonista. Questo, unito al carattere più grande del consueto e ad alcune caratteristiche di alta leggibilità come il font Easyreading, la spaziatura maggiore e la sbandieratura a destra, concorre a rendere il libro più amichevole anche nei confronti di lettori dislessici o riluttanti.

Il bruco Misuratutto

Quella del Bruco Misuratutto non è forse una delle storie più note di Leo Lionni ma, al pari delle altre, porta la grazia inconfondibile del papà di Piccolo blu e piccolo giallo. Il protagonista è un bruco astuto che per sfuggire alle grinfie degli uccelli decisi a papparselo, fa valere una sua qualità più unica che rara: la capacità di misurare qualunque cosa. E così, un po’ per vanto e un po’ per curiosità, il pettirosso, il fenicottero, il pappagallo, l’airone, il fagiano e il colibrì decidono, uno dopo l’altro, di concedergli la libertà in cambio di una misurazione: chi del collo, chi delle ali, chi della coda. Con l’usignolo, però, la faccenda si fa più complessa: l’uccello sfida, infatti, il bruco a misurare il suo canto. Il bruco sembrerebbe a questo punto spacciato ma anche questa volta, con un’idea semplice ma brillante, riesce a mettere in salvo la pelle.  Perché si sa, l’ingegno vince sempre sulla prepotente vanità…

Sempre in catalogo per Babalibri, Il Bruco Misuratutto è reso ora disponibile in una versione in simboli da Officina Babùk. Quest’ultima preserva in maniera ottimale le illustrazioni di Lionni e ne mantiene pressoché intatto il testo, fatto salvo per qualche aggiustamento nell’ordine sintattico: qui il soggetto precede, infatti, sempre il verbo e il personaggio che parla viene sempre introdotto prima del discorso diretto. Tali modifiche non compromettono, di fatto, la musicalità del testo ma incidono in maniera significativa sulla sua comprensibilità, soprattutto nei confronti di giovani lettori con difficoltà comunicative. Come tutti i titoli di Officina Babùk, anche Il Bruco Misuratutto opta per lo stampato maiuscolo, così da agevolare gli apprendisti lettori, e predilige l’uso di simboli WLS, particolarmente adatti a supportare visivamente dei testi letterari. I riquadri che racchiudono i simboli, dal canto loro, appaiono apprezzabilmente fini così da risultare visibili ma non invasivi dal punto di vista grafico. Essi sfruttano, inoltre, stondature e bordi a punta per sottolineare la fine dei periodi e gli estremi dei discorsi diretti.

Il lavoro fatto da Enza Crivelli e Sante Bandirali in fase di simbolizzazione rende, poi, questa versione de Il Bruco Misuratutto particolarmente interessante. Quello che viene, infatti, prediletto nella scelta e nella composizione dei simboli è la loro comprensibilità. Più elementi testuali (come articolo e sostantivo o verbo e pronome) vengono, per esempio, accostati a un unico simbolo. Inoltre, nel momento in cui vengono citate le parti del corpo degli uccelli misurate dal bruco, il simbolo riproduce il corpo intero dell’animale in questione ed evidenzia con una freccia e uno riempimento cromatico la parte coinvolta. Certo, quei simboli non saranno magari quelli abitualmente impiegati dai bambini per indicare il collo, la coda o il becco di un generico animali ma sono senz’altro molto efficaci per permettergli di capire a cosa il testo faccia riferimento. Una scelta, questa, che va in maniera netta nella direzione di far dialogare fruttuosamente parole e illustrazioni e di trasformare la lettura in un’esperienza di partecipazione piena.

Dillo!

Dillo! di Teresa Porcella e Gusti è stato una vera sorpresa. Il libro ci ha infatti inizialmente attratto per la possibilità di diversificare le modalità di fruizione della storia (tramite versione cartacea e versione digitale multilingue), e ci ha poi definitivamente conquistato per le potenzialità inclusive insite nella sua costruzione narrativa. Doppio bingo, insomma!

Ma andiamo con ordine. Dillo! fa parte della recente collana MuMu di Telos che offre una duplice esperienza di lettura: in formato cartaceo e in formato digitale. Quest’ultimo, attivabile tramite scansione di QR code, propone le medesime illustrazione del primo arricchite da una minima animazione e la medesima scansione in pagine. Rispetto al cartaceo, però, consente di visualizzare e ascoltare il testo in 4 lingue diverse: italiano, inglese, russo e cinese. Selezionando la lingua preferita con un click sul mappamondo che compare in alto a sinistra, è possibile cambiare infatti sia la lingua del testo scritto sia quella dell’audio ad esso associato. Già solo in questo modo, il libro permette di raggiungere facilmente un’ampia gamma di lettori potenzialmente più fragili: quelli che non padroneggiano l’italiano (e può essere il caso dei destinatari ultimi del libro, ossia i bambini, ma anche dei mediatori che desiderano condividere con questi ultimi la lettura) e quelli che prediligono l’ascolto alla decifrazione del testo scritto. Inoltre, optando per una soluzione ibrida, Dillo! riesce a tenere insieme i benefici di un’esperienza di lettura tangibile e fisicamente esperibile tramite il libro di carta e i vantaggi in termini di personalizzazione che solo la tecnologia può garantire.

Veniamo al contenuto. Il libro – un cartonato robusto e quadrato – racconta di un gatto birichino che si ostina a rubare al suo padrone oggetti di uso quotidiano: calzini, berretti, guanti e zollette di zucchero. Tutto lascerebbe pensare a una strategia antifreddo ma una gustosa sorpresa aspetta il lettore all’ultima pagina! La struttura del libro è efficacemente iterata, sia nelle scansione (l’umano rimprovera il gatto per il furto – il gatto si interroga sulle affermazioni dell’umano) sia nella costruzione delle frasi. Questo fa sì che il racconto, già di per sé minimale e su misura per lettori alle prime armi, possa essere più facilmente compreso e fatto proprio, oltre che gioiosamente anticipato e condiviso in una lettura ad alta voce. Teresa Porcella offre infatti al mediatore un testo perfetto da interpretare insieme e capace di tenere desta l’attenzione anche di chi è meno abituato alla lettura. Le illustrazioni di Gusti, dal canto loro, sono un’esplosione di colore che solletica l’occhio e sottolinea il tono scanzonato del racconto, pur senza distrarre o confondere. Il tratto dell’autore argentino è infatti essenziale e pulito, concorrendo in maniera determinante ad accompagnare il lettore in un’esperienza di lettura spassosa, piena e appagante.

Contare sulle dita

Del talento di Claire Dé nel coniugare riconoscibilità delle immagini e moltiplicazione dei sentieri interpretativi attraverso la fotografia avevamo già detto, raccontando lo splendido Imagine… c’est tout blanc. Quello stesso talento lo ritroviamo ora all’interno di Contare sulle dita, un progetto editoriale che per fortuna, a differenza del precedente, è arrivato ora anche in Italia. Lo ha portato Editoriale Scienza che sta dedicando particolare attenzione a una promettente valorizzazione di titoli fotografici.

Contare sulle dita, dal canto suo, è un libro ibrido, multiforme, difficile da incasellare. È un libro per contare? È un libro per guardare? È un libro per creare collegamenti tra le cose? Sì, sì e sì, è in effetti tutte e tre queste cose, e probabilmente non solo. Ogni doppia pagina di questo robusto cartonato di formato quadrato, propone due fotografie (in una manciata di casi, una sola fotografia che occupa l’intero spazio) nitidissime e dai colori attraenti, associate a un numero o una semplice addizione che interpreta matematicamente gli elementi che la compongono. Più difficile a dirsi che a vedersi, in effetti! Qualche esempio può forse venirci in soccorso: un sasso a sinistra, una conchiglia a destra, la scritta “1”; due insetti a sinistra, due foglie a destra, la scritta “1+1 = 2”; tre coleotteri grandi e uno piccolo a sinistra, quattro foglie a destra, la scritta “3+1 = 4”; quattro foglie gialle e una rossa a sinistra, tre sassi gialli e due rossi a destra, la scritta “4+1 = 3+2” e via dicendo…

Descritto a parole, potrebbe sembrare un libro semplice semplice, che facilmente può esaurire l’interesse. Bene, la verità è che questo libro è l’esatto contrario! Contare sulle dita sottende, infatti, un’architettura raffinatissima, all’interno della quale crescono non solo i numeri ma anche la complessità dei soggetti e delle operazioni matematiche ad essi correlate e soprattutto all’interno della quale tutto, ma proprio tutto, chiede di essere letto: i colori con cui sono scritti i diversi numeri, la loro posizione sulla pagina, i richiami cromatici tra fotografie affiancate, gli sfondi, le luci i giochi di vuoti e pieni, di proporzioni e di contrasti. Di fronte a questo libro risulta, infatti, davvero difficile ostinarsi a ritenere la lettura visiva una lettura di serie B!

Lo sguardo e l’intelletto del bambino, non necessariamente piccolo (anzi!), sono sollecitati senza posa, invitati a cogliere nessi ed equivalenze, a godere di composizioni esteticamente meravigliose, a scoprire che la matematica è intrinsecamente custodita in ogni cosa del mondo, a riconoscere figure, colori e tesori della natura. A fare tutte queste cose o farne anche solo una: e questo è proprio il bello, anche in termini di potenzialità inclusive. In un libro piccolo come questo sono pronti a dipanarsi innumerevoli possibilità di letture e altrettanti percorsi didattici, in cui scienza e poesia possono viaggiare a braccetto.

I libri del topolino – Il vento

Di topini è pieno zeppo il mondo letterario che guarda all’infanzia. Quelli di Monique Felix, però, sono topini davvero speciali. Le loro avventure, già amate da intere generazioni di giovani lettori e ora fortunatamente riportate sugli scaffali da Camelozampa, sono, infatti sorprendentemente deliziose e si sviluppano sempre a cavallo tra dimensione narrativa e metanarrativa.

Qui si trova sempre, infatti, un piccolo roditore che rosicchia la pagina del volume in cui si trova immerso, svelando un mondo sottostante con il quale finisce per confrontarsi. La pagina diventa ogni volta, cioè, una soglia che separa il protagonista (e con lui il lettore) da un mondo altro e inatteso ma anche un oggetto di scena con cui questi interagisce e si destreggia, per poter esplorare e infine uscire indenne dal mondo che di volta in volta va svelando.

Così, per esempio, ne Il vento, il topolino sembra dapprima guardarsi intorno smarrito, come se si trovasse in trappola circondato del bianco disorientante della pagina. Poi, però, il bordo di carta appena mordicchiato lascia intravedere qualcosa subito sotto e la curiosità si fa irresistibile. Topino rosicchia e rosicchia ma non fa in tempo a strappare l’intero perimetro della pagina che questa si stacca e lo spinge con forza: quella che si agitava lì sotto era una tempesta di prim’ordine con tanto di vento impetuoso, fiocchi di neve e piume svolazzanti. Topino si nasconde dapprima dalle grinfie di un’aquila, studia rapito il movimento di un aeroplano e si adopera infine per mettere in opera un semplice ma efficace piano cartotecnico: ecco, infatti, che la pagina strappata si fa girandola. Topino è decisamente pronto per buttarsi a capofitto in quel mondo fatto di colori, oggetti e avventure tutti da scoprire.

Impeccabile nel formato (piccolo e quadrato) e nella composizione (essenziale e sempre in equilibrio tra i diversi piani narrativi), Il vento offre ai lettori più giovani, idealmente di età prescolare ma anche dei primi anni di scuola primaria, una gustosa e minima avventura letteraria, tutta raccontata senza far uso di parole scritte. Il tratto dell’autrice è realistico ed efficace nella resa di movimenti ed emozioni. Non cede inoltre alla tentazione di inserire dettagli superflui. Una volta compreso il meccanismo narrativo che gioca con la pagina e che crea una gustosa e non banale sfida interpretativa, il lettore può dunque seguire con discreto agio le silenziose e ingegnose avventure del protagonista.

Quello incontrato de Il vento appare a tutti gli effetti come un format originale che l’autrice riprende e sviluppa con esiti sempre diversi in una vera e propria serie. La potenziale difficoltà di comprensione data dall’incontro tra piano narrativo e piano metanarrativo può venir dunque mitigata, sul lungo periodo, dalla regolarità della struttura narrativa che caratterizza e accomuna i differenti volumi. Contemporaneamente a Il vento, Camelozampa ha pubblicato anche La merenda. La speranza è che anche gli altri volumi della serie possano presto trovare posto sugli scaffali delle nostre librerie.

Grande gatto, piccolo gatto

Vivace, giocoso, attraente: il libro Grande gatto & Piccolo gatto ha tratti decisamente affini ai due protagonisti che lo animano. I due micini al centro del libro tattile ideato da Stefania Pessina sono infatti inarrestabili e amano muoversi, esplorare e scoprire ciò che li circonda, senza preoccuparsi troppo dei guai che questo potrebbe portare con sé.

Il lettore è invitato dapprima a trovarli, aprendo la porta della loro casetta, e a conoscerli, esplorandone il pelo. Da lì in avanti è tutto un seguirli sul cornicione e sotto il tavolo, dietro la tenda e lungo il muro. Le loro tracce – impronte in rilievo, graffi sulla parete, campanellini smarriti… – sono chiare ed eloquenti, al tatto, alla vista e all’udito. Lasciandosi guidare da esse, si incontrano sulla pagina ambienti e oggetti di facile esplorazione, che delineano un percorso accattivante.

Se il testo di Grande gatto & Piccolo gatto non appare particolarmente sorprendente e sfrutta rime abbastanza basiche, le illustrazioni risultano, invece, piuttosto ben congegnate. Non solo, infatti, esse si caratterizzano per una apprezzabile semplicità compositiva che ne agevola il riconoscimento, ma il fatto che con esse possano interagire i due protagonisti, staccabili dalla prima pagina, le rende anche dei veri e propri scenari di gioco.

Il libro di Stefania Pessina diventa così un strumento efficace e stimolante per incontrare il Braille, per sperimentare semplici concetti topologici e per vivere la pagina come un’occasione di invenzione e narrazione. Non a caso, nel 2019, il prototipo di Grande Gatto e Piccolo gatto è stato insignito del premio come Miglior libro per la primissima infanzia al Concorso Nazionale di Editoria Tattile Tocca a te. Quello stesso prototipo è stato trasformato dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi in un vero e proprio libro tattile, distribuito gratuitamente in centinaia di copie a biblioteche, enti e associazioni del territorio nazionale, grazie al contributo di Enel cuore.

Il ristorante nel bosco

Il ristorante della pecora Gloria è sempre pieno: la sua inimitabile zuppa attira clienti da tutto il bosco e viene servita da un team specialissimo di camerieri. Difficile dire cosa renda quest’esperienza culinaria così irresistibile, quel che è certo è che mettere piede nella cucina di Gloria garantisce al lettore gustose sorprese e ghiotti sorrisi.

Scritto e illustrato da Alessandra Ciarmela con tocco deliziosamente ironico, Il ristorante nel bosco offre ai lettori alle primissime armi una lettura semplice, abbordabile e accattivante. Il testo, stampato in maiuscolo e con caratteristiche di alta leggibilità, è essenziale e breve ma tutt’altro che sciapo. Le illustrazioni, dal canto loro, sono buffe e non prive di dettagli curiosi. Corredato, in chiusura, da alcuni giochi e approfondimenti divulgativi collegati alla storia, Il ristorante nel bosco fa parte di una collana caratterizzata dalla possibilità di fruire del racconto anche in modalità audio, grazie alla presenza di un semplice qr code che rimanda alla lettura ad alta voce del testo.

Da un punto di vista squisitamente inclusivo, Il ristorante del bosco ha un doppio punto di forza. Non solo, infatti, il libro risulta accessibile, grazie ad accorgimenti grafici che rendono la pagina più amichevole e alla presenza dell’audiolettura che diversifica i canali di fruizione, ma affronta anche in maniera molto delicata e leggera il tema della diversità. I camerieri impiegati nel ristorante di Gloria, infatti, hanno tutti bisogno di un piccolo aiuto da parte della titolare per svolgere al meglio il loro lavoro e, non di rado, richiedono ai clienti una certa pazienza perché, per natura, portano a termine il loro compito con una discreta lentezza e con qualche pasticcio di troppo. Ciononostante, i clienti continuano a tornare con un amichevole sorriso in viso… il miglior esempio di apertura e accoglienza che si possa offrire a un lettore!

Un lavoro facile facile

Ha un font amichevole, una spaziatura maggiore, un’impaginazione ariosa, una carta color crema e una sbandieratura a destra. Insomma, Un lavoro facile facile è inequivocabilmente un libro ad alta leggibilità e, come tale, ha una marcia in più nella difficile sfida di accogliere anche i lettori meno forti, più riluttanti o con maggiori difficoltà di decifrazione testuale. Ciò che però trasforma quella marcia in più in un vero e proprio motore rombante è una storia breve, diretta e divertente.

Davide Calì, espertissimo narratore, confeziona infatti un racconto perfetto per un pubblico di preadolescenti, mettendo in scena quattro giovani scapestrati che animano un’avventura piccola ma gustosissima, puntellata da trovate sorprendenti e battute acute. Nella fallimentare impresa di Wassim e Borek, che progettano di fare i soldi addormentando il rinoceronte dello zoo e rubandogli il corno, c’è infatti una corposa dose di imprevisti e di ironia, ben stipata nello spazio di manciata di pagine (meno di 50, per intenderci).

Ecco, un’educazione alla lettura davvero democratica, che non lasci indietro i lettori più fragili, passa anche da proposte come queste: letture valide e appetibili ma al contempo consapevoli che leggerezza e brevità possono essere qualità preziosa e talvolta imprescindibili anche dopo che i bambini hanno imparato a leggere o stanno diventando grandi.

Uno e sette

Diritto alla lettura – lo sottolineiamo spesso – significa tra le altre cose diritto a condividere con i pari non solo conoscenze ma anche immaginari. Significa disporre di un bagaglio di storie, parole e figure che nutrono l’immaginazione di chi legge e che permeano il suo modo di conoscere e riconoscere il mondo, rendendolo capace di dialogare con quello di chi gli sta intorno. In quest’ottica, pensare che il lavoro di un maestro come Gianni Rodari possa risultare inaccessibile per qualcuno è fondamentalmente inaccettabile. Per questo l’iniziativa de La leggeria, che ha realizzato una meravigliosa versione tattile del racconto Uno e sette, originariamente inserito tra le Favole al telefono, è meritevole e apprezzabile. E lo è non solo per l’intento ma anche per la resa.

La versione tattile messa a punto da Ilaria e Lucia Macchiarini, infatti, è curata nei minimi dettagli, offrendo un’opportunità di lettura non solo fruibile da parte di lettori sia vedenti sia non vedenti ma anche godibile da un punto di vista estetico, qualunque sia il senso prevalente che un lettore usi. Questo speciale Uno e sette presenta, infatti, ampie pagine di stoffa grigia su cui spiccano testi in nero e Braille perfettamente inseriti all’interno di riquadri cuciti, e illustrazioni minimali di stampo simbolico. E qui risiede, forse, davvero il genio creativo delle autrici: nel trovare una chiave essenziale ed efficace per rendere a pieno lo spirito del racconto di Gianni Rodari senza compromettere l’accessibilità delle figure

Paolo, Jean, Kurt, Juri, Jimmy, Ciù e Pablo, i bambini protagonisti della storia, sono rappresentati, infatti, attraverso l’intelligente ed espressiva combinazione di diversi tipi di fili e bottoni. Niente di più, niente di meno. Questa scelta, dal canto suo, consente di rendere efficacemente la peculiarità di ciascun personaggio ma anche la sua somiglianza con tutti gli altri. Troviamo, così, sulla pagina bottoni di materiali, forme, dimensioni differenti che rappresentano in maniera non figurativa i singoli individui e che, uniti a fili di cotone, metallo e plastica, animano strade, pentagrammi, biciclette e campi fioriti… potere del pensiero che sa uscire dagli schemi!

Il mistero del cucciolo scomparso

Nella famiglia di Martina, non ci sono molti soldi e nemmeno molte manifestazioni d’affetto. Martina, che del libro di Petra Soukupova è protagonista e narratrice, manifesta insofferenza nei confronti di entrambe le mancanze, ma impara a nasconderla sotto una scorza dura e a tratti respingente, la stessa che poi porta con sé anche al di fuori delle mura di casa. A scuola, per esempio, dove la ragazzina – unica della classe senza device tecnologici – si sente spesso un pesce fuor d’acqua e fatica a trovare amici sinceri. Anche per questo, forse, ciò che desidera sopra ogni altra cosa è un cane: un amico fedele come lo era stato il suo vecchio Zampa.

E così, quando i genitori le permettono, non senza sbuffi, di adottare un cane, Martina stenta a crederci. La sua scelta ricade su Fiocco di neve, un cagnone candido che fin da subito rivela il suo carattere selvatico e indomabile. Sordo, letteralmente, a ogni insegnamento, Zampa si caccia sovente nei guai, contribuendo a suo modo a incrinare ulteriormente la solitudine della ragazzina. Fiocco di neve si rende spesso protagonista di fughe e morsi, fino a quando, in uno straziante colpo di scena, viene trovato morto. La sua morte  diventa a tutti gli effetti uno spartiacque: c’è un prima e c’è un dopo, ci sono quelli che aiutano Martina a scoprire il colpevole e quelli che invece gioiscono per quella scomparsa, ci sono i sospettati e ci sono gli alleati. Le indagini per la risoluzione del mistero della morte di Fiocco di neve vedono coinvolta non solo Martina ma anche alcuni suoi amici e, a vario titolo, diversi abitanti del paesino in cui tutti loro vivono. La ricerca della verità diventerà per la protagonista un modo per esorcizzare la morte, per scandagliare le emozioni che la attraversano e per esplorare relazioni tra pari multisfaccettate e complesse. Fino alla risoluzione del mistero, che assume dal canto suo la forma di una vera e propria catarsi.

Il romanzo di Petra Soukupova è schietto e a tratti crudo, grazie a una scrittura tagliente che lascia poco spazio a fronzoli e ricami sentimentali. Il lettore è catapultato fino al collo in una vicenda in cui bene e male non sono mai netti e in cui le emozioni si mescolano e si intrecciano, restituendo una visione dei fatti e del mondo che non è mai semplice o scontata. Che poi è quello che succede nella realtà.

Avvincente e fuori dagli schemi, Il mistero del cucciolo scomparso è pubblicato in Italia da Beisler che lo propone nella sua ormai collaudata collana leggieascolta. I libri che ne fanno parte si caratterizzano per la presenza di un qr code che consente di fruire dell’audiolettura tramite un’apposita app, scaricabile gratuitamente sia per Android sia per Ios. La possibilità di godere del testo sia tramite lettura sia tramite ascolto rappresenta, dal canto suo, un’opportunità importante offerta dall’editore perché moltiplica i canali di fruizione della narrazione, facilitando il libero movimento del lettore tra le parole. Un accorgimento fondamentale per quei lettori che in ragione di una disabilità o un disturbo specifico dell’apprendimento si trovano spersi di fronte a un fitto testo scritto ma anche per quei lettori che, più semplicemente, prediligono l’immersione in una storia tramite l’ascolto.

Il tasso blu

Tormentato da dubbi esistenziali – Bianco e nero, nero e bianco. Chi sono io? – il tasso protagonista di quest’albo illustrato percorre molti chilometri alla ricerca di qualche risposta. Ogni animale con cui condivide i suoi interrogativi non sa in realtà dargli una risposta ma a sua volta chiede un aiuto – chi per liberarsi da un impiccio, chi per giocare, chi per sentirsi rincuorato – e Tasso non manca mai di rendersi disponibile. Così, quando incontra Pinguino che come lui è sia bianco sia nero, non solo trova la risposta che cercava ma scopre molto di più: che la gentilezza conta e si nota di più di molte sfumature.

Contraddistinto da un bel gioco di contrasti cromatici, da dialoghi velatamente surreali e da un finale buffo che fa sorridere, Il tasso blu è un albo illustrato apprezzabile anche per un altro aspetto: come gli altri volumi che fanno parte della collana Upupa dell’editore La linea, anche il libro di Huw Lewis Jones e Ben Sanders presta grande attenzione alla questione dell’accessibilità.

Il libro presenta, infatti, un testo bilingue – italiano e inglese – e soprattutto dispone di un qr code sulla quarta di copertina attraverso il quale accedere all’audiolettura, anch’essa bilingue, del testo. Un espediente semplice ma efficace per facilitare la comprensione e il piacere della lettura, anche da parte di bambini con difficoltà di visione o decifrazione testuale, di bambini in età prescolare e/o di bambini che padroneggiano l’inglese meglio della lingua Italiana.

Pio pio bau bau

Tratto essenziale, figure evidenti, colori pieni, contorni netti: la cifra di Attilio Cassinelli è inconfondibile, tanto nelle sue fiabe illustrate quanto nei suoi libri senza parole o onomatopeici. Pio pio bau bau rientra in questa seconda categoria. Il libro, che fa parte di una collana di quattro titoli intitolata I senza parole di Attilio, presenta un formato che si sviluppa in orizzontale, perfetto per mettere in valore il lungo cammino del suo protagonista: un pulcino intraprendente che supera il recinto del pollaio per avventurarsi nei dintorni, prima di fare ritorno dai suoi cari. Il suo è un viaggio ricco di incontri: una capra, un cane, varie rane e cornacchie incrociano il suo cammino e a ogni tappa il pulcino impara un verso diverso che si esercita a replicare. Grande è lo stupore di mamma chioccia nel sentirlo belare, abbaiare, gracidare e gracchiare. Basta, però, il pigolio dei fratelli per far ritrovare al pulcino la strada e i suoni di casa…

Attilio, maestro nel raccontare storie in maniera chiara con pochissimi tratti ben scelti, rende perfettamente il senso di marcia del protagonista e dell’interazione con i suoi interlocutori. Lineare nello sviluppo, pulito nella composizione e sempre attento a non affollare la pagina con un numero troppo elevato di personaggi, Pio pio bau bau procede per sole immagini e onomatopee, risultando molto immediato e fruibile anche a bambini piccoli o con difficoltà di comprensione e aggancio a testi più articolati.

Lo sbadiglio

È possibile raccontare una storia – o, addirittura, la Storia – con un solo suono? A leggere Lo sbadiglio di Ilan Brenman e Renato Moriconi si direbbe proprio di sì! Questo libro (quasi) senza parole, che nasce sulla scia di Telefono senza fili, mette infatti in successione rigorosamente cronologica e profondamente ironica una serie di personaggi – dall’ominide all’astronauta, passando attraverso il faraone egizio, il guerriero vichingo e Napoleone – e li collega attraverso un filo narrativo inaspettato: lo sbadiglio, per l’appunto. A ben pensarci, in effetti, tante cose sono cambiate nel tempo ma tutti (proprio tutti) gli uomini e le donne della storia hanno senz’altro provato e manifestato noia e sonnolenza. Ecco allora che un sonoro Oooohhhh (con un numero di o e di h variabile), attraversa i secoli e le pagine di questo libro invitando irresistibilmente il lettore a interpretarlo alla maniera dei diversi personaggi ritratti. Eva, una statua greca e Charlie Chaplin sbadiglieranno mica alla stessa maniera?

Lo sbadiglia si presenta come un libro molto accessibile e altrettanto stratificato. È accessibile perché l’unica parola di cui fa uso è un’onomatopea, perché segue un filo cronologico chiaro, perché si compone di illustrazioni ampie e riconoscibili e perché ogni pagina presenta un solo personaggio alla volta. È stratificato perché può essere letto in tanti modi, perché le sue tavole possono essere godute anche singolarmente e perché alla rappresentazione in primo piano, realistica e apparentemente seria, Renato Moriconi aggiunge degli imprevisti dettagli di sfondo che generano spasso, straniamento, inferenza e invito alla lettura minuziosa: il cartello di divieto di sosta vicino all’albero di mele del paradiso, la sfinge con le orecchie da Topolino, un greco munito di fionda a fianco ad Icaro che precipita, ma anche Cappuccetto rosso insieme alla lupa di Romolo e Remo o il Bianconiglio e gli orologi di Dalì dietro l’inventore della relatività.

Difficile dire che la Storia è noiosa, di fronte a una rappresentazione di questo tipo. Reale e fantastico, passato e futuro scompigliano infatti le carte e creano percorsi inattesi, ricchi di citazioni tutte da scoprire. Che bello sarebbe fare didattica a partire da libri così?

Una casa per Fiammetta – versione tattile

Fiammetta nasce da un vulcano durante un’eruzione. È una fiamma curiosa e per questo decide di andare per il mondo a cercare una nuova casa. L’impresa è però meno semplice del previsto perché, data la natura della protagonista, né il bosco né le case si rivelano essere buone opzioni. Il rischio incendio è, infatti, sempre dietro l’angolo. La soluzione arriverà inaspettata grazie all’incontro con un fornaio il cui forno non ha mai funzionato. Non sarà difficile immaginare dove Fiammetta possa felicemente trovare, infine, la sua nuova dimora…

Molto piano ed elementare nello sviluppo narrativo e nella costruzione del testo in rima, Una casa per Fiammetta è il libro che ha vinto il premio Editabilità all’interno del concorso di editoria tattile Typhlo e Tactus 2022. Questa sezione del concorso riconosce e valorizza, in particolare, quei prototipi che risultano più facilmente riproducibili e dunque capaci di essere realizzati con costi più bassi e diffusi in molteplici copie. L’obiettivo è quello di sostenere concretamente la diffusione dei libri tattili: un processo che, evidentemente, non può prescindere da una riflessione sui prezzi e sui meccanismi di distribuzione tipici di questo settore editoriale.

Dal prototipo originale firmato da Claudia e Andrea Sorrenti è nato un libro tattile vero e proprio realizzato dalla Fondazione Robert Hollman e dall’Associazione Fiori blu, con testo stampato in nero e in Braille e parte delle illustrazioni fruibili anche al tatto. La casa Editrice Puntidivista, dal canto suo, ne ha messa a punto una versione sempre tattile ma ulteriormente lavorata per abbattere il più possibile i costi di produzione. Le differenze tra questo volume e l’originale concernono più che altro l’inserimento del Braille tramite l’applicazione di un cartoncino (e dunque non tramite stampa diretta sulle pagine e sulla copertina), la colorazione di alcuni elementi (variopinti nell’originale, tinta legno in questa versione) e la scelta dei materiali con cui questi sono riprodotti. Non si tratta dunque di differenze enormi ed è di fatto apprezzabile il tentativo della casa editrice di dissimulare l’effetto meno raffinato del cartoncino con il Braille applicato sulla pagina con un lavoro sul colore di sfondo e di nascondere la spirale con una copertina cartonata vera e propria.

Della medesima storia di Fiammetta, la casa editrice Puntidivista propone anche una versione in simboli.

Yipo

Il fascino che le creature buffe esercitano sui piccolini è fuor di dubbio. Se poi quelle creature portano il segno riconoscibile e vivace dell’artista messicano Juan Gedovius, è facile che l’attrazione si faccia ancora più forte. Con le loro sagome bitorzolute, i loro occhi tondi e la loro mostruosità amichevole, le sue figure generano infatti un’immediata simpatia che favorisce l’affezionamento e incentiva la scoperta.

Tutto fuorché sterili esercizi di disegno, le figure di Gedovius animano infatti piccole e significative narrazioni in cui la varietà dei soggetti si fa motore del racconto. Si prendano ad esempio i protagonisti di Yipo, leporello cartonato che mette in scena un’improbabile cordata di piccoli e grandi esseri mostruosi. Ciascuno di loro presenta una conformazione e alcune peculiarità fisiche che ne condizionano la presenza sulla pagina e la relazione con gli altri personaggi. Così, il vermone sinuoso si fa trainare poggiando ognuna delle sue gobbe su di un mezzo con le ruote e tira con la sua coda la lumaca sul monociclo; il mostriciattolo più paffuto e piccino salta la corda, mentre quello che ricorda un pipistrello se ne sta comodamente appeso a testa in giù. E via dicendo… Quello che si viene a creare è una sorta di lungo piano sequenza che scorre sotto gli occhi del lettore in cui il semplice avanzare diventa occasione di invenzione, sorpresa e divertimento.

Costruito in modo da proseguire fronte e retro, senza un vero inizio e senza una vera fine, Yipo fa di un comune filo di lana azzurra il filo conduttore lungo il quale si manifesta la sgangherata combriccola. Chi siano, dove vadano, che intenzioni abbiano i suoi membri è tutto la inventare: l’autore lascia infatti le figure libere dalle parole, incentivando così una certa libertà di lettura, sia nelle modalità di approccio al libro sia nei percorsi di interpretazione.

Non cancellarmi

Il diritto al gioco, il diritto al cibo, il diritto a una casa, il diritto a un ambiente familiare sereno, il diritto ai sogni… quante cose cancella la guerra ai danni dei bambini? Angelo Ruta prova a esplorare questo tema delicato attraverso le pagine di un albo totalmente privo di parole e di grande impatto simbolico.

Il suo Non cancellarmi, nato dalla collaborazione tra Carthusia e l’associazione culturale U-mani-tà, mostra  due bambini all’interno di normalissime situazioni quotidiane – in cortile, al parco, in casa, a tavola… – rappresentando in bianco e con i contorni tratteggiati tutti quegli elementi quotidiani che una situazione di deprivazione può portare via. Così dello scivolo non resta che la scaletta, della casa una porta, del pasto la tavola vuota e via dicendo. Certo, la resilienza è qualità principe dei bambini che infatti provano a sopperire alle mancanze e a ricucire i danni con l’ingegno e la fantasia, ma a quale prezzo?

L’espediente del tratteggio trovato dall’autore è molto efficace perché riesce a dire in maniera eloquente ed evocativa una realtà scomoda e complessa. Il contesto della guerra, dal canto suo, è citato in quarta di copertina ma non risulta di fatto evidente all’interno del libro: aspetto questo che rende la lettura particolarmente versatile e adatta più in generale a un lavoro sui diritti dei bambini.

Piantala

Piantala! è una storia di scontro e di riavvicinamento tra l’uomo e la natura. All’inizio del libro incontriamo infatti un uomo munito di sega che con metodo abbatte, uno dopo l’altro, gli alberi di un bosco. Il paesaggio si fa sempre più desolato ma gli animali che lo popolano non ci stanno e a turno mettono in atto la loro personale vendetta. Così, se prima sono cacche che cadono dagli uccelli in volo, poi sono pigne scagliate dagli scoiattoli e punture di api e infine sono minacce ringhiose di lupo. Impaurito, l’uomo di rifugia sull’unico albero rimasto e qui rimane fino al calare della sera. Sarà allora che il valore di fusti e chiome gli sarà finalmente chiaro e che il suo atteggiamento nei confronti della natura cambierà di segno, a tutto vantaggio degli animali così come suo.

Finalista del Silent Book Contest 2023, l’albo senza parole di Alessia Roselli riesce a tenere insieme in maniera puntualissima atmosfera elegiaca e tocchi ironici. Il suo è un tratto molto particolare in cui dettagli netti si stagliano su paesaggi sfumati. I toni caldi dell’ocra che dominano la pagina, in particolare, facilitano la messa in evidenza dei dettagli più scuri con cui si delineano le sagome degli animali coinvolti. Il risultato è un racconto per immagini dalla composizione raffinata ma dallo sviluppo chiaro e dalla comprensione agevole che ben si presta ad essere goduto tanto in lettura autonoma quanto in lettura condivisa.

No, no e poi no!

Il primo giorno di scuola è impegnativo per tutti. Per qualcuno, però, lo è un po’ di più. Marco, per esempio, reagisce all’idea di lasciare la sua mamma e di ritrovarsi in un posto nuovo con compagni sconosciuti con una sfilza di secchi e maldisposti “No!”. No andare un bacio di saluto. No ad appendere la giacca. No a farsi guidare nella nuova classe. No a fare un puzzle. No a una caramella offerta… le cose sembrano mettersi male, ma la caparbietà dei bambini e l’esperienza della maestra sanno fare miracoli. Ecco allora che, a volte, i no possono restare, assumendo però tutto un altro valore!

Firmato da Mireille D’Allancé nei testi come nelle figure, No, no e poi no! è in catalogo per Babalibri da oltre 10 anni. Ora, per iniziativa di Officina Babùk, l’albo si sdoppia e viene proposto al pubblico anche in una versione in simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, che non sostituisce ma si affianca alla precedente. Contraddistinta da testi in maiuscolo rinforzati visivamente dai simboli WLS, questa nuova versione si presta a facilitare la condivisione della storia e la sua comprensione anche da parte di bambini con difficoltà comunicative e linguistiche. Analogamente, la presenza di icone associate ai lemmi e la scelta del maiuscolo fanno sì che i bambini in età prescolare o in procinto di approcciare la letto-scrittura possano trovare un supporto più amichevole anche in un’ottica di fruizione autonoma del volume.

Il testo di No, no e poi no! presenta perlopiù frasi brevi, lineari e paratattiche così come dialoghi esplicitamente attribuiti: caratteristiche, queste, che lo rendono di per sé più facilmente simbolizzabile di altri. Le uniche modifiche apportate rispetto all’originale, non a caso, sono minime e riguardano l’ordine soggetto-verbo in alcune frasi. Al fine di agevolare la profonda comprensione del testo e della sua struttura, il libro predilige una simbolizzazione per unità di senso (articolo e sostantivo corrispondono per esempio a un solo simbolo e lo stesso accade per espressioni come mi dai un bacio) e ricorre a una riquadratura “eloquente” i cui bordi lisci, stondati o a punta indicano rispettivamente l’inizio e la fine di passaggio narrativo e l’inizio e la fine di un discorso diretto.

Il cappello di Topolina

In catalogo per Bohem press dal 2016, Il cappello di Topolina è un minuscolo libro senza parole che custodisce una storia genuina di amicizia e resilienza. Protagonista è una topolina munita di un elegante copricapo rosso fiammante corredato di un bel fiore blu. Quel cappello piace davvero a tutti e la topolina, molto generosamente, lo presta senza indugio. Il cappello passa così di testa in testa, adattandosi di volta in volta alle antenne della lumaca, alla cresta del gallo, alle corna dell’alce, al testone dell’elefante e alle orecchie dalle variegate forme del gatto, del coniglio, del lupo e dell’orso. Così, quando Topolina torna in possesso del suo accessorio, questo appare completamente deformato, pressoché irriconoscibile. Ma oltre a essere generosa, Topolina sa anche trovare il lato positivo delle cose e così, dopo un comprensibile e fugace momento di sconforto, riesce a valorizzare in modo sorprendente le gobbe e i bitorzoli che ormai caratterizzano il copricapo. Ché di fronte agli imprevisti e agli ostacoli della vita, si sa, possiamo rassegnarci oppure metterci comodi per trovare il modo di abitarli.

Essenziale nei contenuti e nella forma, come nello stile di Eric Battut, Il cappello di Topolina è un esempio puntualissimo di silent book di grande accessibilità. La sua forza inclusiva risiede in una struttura iterata, in una pagina pulita e popolata proprio solo dagli elementi funzionali al racconto, nella presenza di un numero fisso e basso (due) di personaggi di volta in volta presenti sulla pagina, in un uso comunicativo e orientante del colore (il rosso del cappello che cambia forma spicca sempre rispetto a tutte le altre figure che compongono le illustrazioni) e in una trama semplice e lineare. I personaggi scelti sono poi piuttosto comuni e riconoscibili e le posture ed espressioni loro attribuite sono dicono silenziosamente desideri e sentimenti. L’unico elemento che può costituire un ostacolo alla comprensione è rappresentato dal vuoto narrativo che separa ogni doppia pagina da quella successiva, quello in cui fondamentalmente chi sta indossando il cappello lo cede a chi glielo ha chiesto e quest’ultimo se lo mette in testa. Una volta esplicitato, per esempio in seno alla lettura condivisa, può diventare tuttavia anch’esso padroneggiabile.

Nel bosco

Se coltivare il pensiero divergente significa, per dirla con Rodari, rompere continuamente gli schemi dell’esperienza, possiamo serenamente affermare che Laura Cattabianchi è una contadina straordinaria. Il suo libro Nel bosco, rompe infatti più di una consuetudine consolidata nell’ambito dell’editoria tattile: quella di offrire al lettore immagini perlopiù figurative, per esempio, ma anche quella di privilegiare materiali molto diversi tra loro e quella di considerare questi ultimi quasi esclusivamente per le sensazioni tattili che possono offrire.

Al contrario, l’autrice sceglie di percorrere strade progettuali decisamente non battute, dando vita a un libro tattile composto perlopiù di immagini astratte, realizzate a partire dalla sola carta e confezionate in modo tale da valorizzarne essenzialmente l’aspetto sonoro. Ogni doppia pagina offre sulla sinistra il testo in nero a grandi caratteri e in Braille e sulla destra un riquadro di carta di tipo diverso ma di dimensione fissa.

Visionario, innovativo e unico nel suo genere, il libro accompagna il lettore a fare una passeggiata nel bosco, invitandolo a prestare attenzione alle piccole sorprese che questo ambiente gli può riservare: il rumore dei passi sulle foglie, l’incontro più o meno ravvicinato con le creature che vivono sugli alberi, l’inciampo in un ramo secco, il volo di un uccello, un soffio di vento, l’arrivo improvviso di un temporale. Fino al rientro a casa, al calduccio, di fronte a un camino scoppiettante e infine nel letto, sotto le coperte. Il testo, di fatto, fa strada come farebbe una guida lungo un sentiero: conduce, cioè, il lettore nel suo percorso nel bosco, alla scoperta dei suoni che lo animano. Ogni avanzamento immaginario è seguito da un’istruzione pratica (gratta la carta, tira le linguette, soffia sulla carta, infila la mano sotto la carta e tamburella con le dita…) che consente al lettore di ricreare l’atmosfera sonora evocata poco prima.

Quello che ne viene fuori è un’esperienza interattiva e immersiva sorprendente, di grande effetto e di grande accessibilità. Sperimentata facendo a meno dell’uso della vista, anche da parte di chi non presenta un deficit visivo, la passeggiata nel bosco di Laura Cattabianchi avvolge il lettore con una moltitudine di stimoli molto evocativi. Il fatto, poi, che questi ultimi nascano dall’incontro tra semplici gesti (sfregare, arrotolare, grattare…) e semplici materiali (cartoncino ondulato, carta velina, carta da pacchi…) ha un che di straordinario e costituisce per il lettore, piccolo o grande che sia, un incentivo irresistibile a indagare ulteriormente le inattese potenzialità sonore di materiali comuni come la carta.

Possono così nascere, con relativa facilità, nuove passeggiate e nuovi percorsi, attraverso i quali mettere alla prova e riscoprire sensi trascurati, lasciarsi sorprendere dalla fisicità degli oggetti quotidiani e ritrovarsi vicini, al di là delle specifiche abilità, nella bellezza dei viaggi immaginari. Non a caso, Nel bosco nasce proprio dalla lunga esperienza di Laura Cattabianchi nella conduzione di laboratori con lettori di ogni età, dedicati all’esplorazione dei suoni custoditi dai materiali più insospettabili. La cura che l’autrice profonde nella scelta dei tipi di carta e dei tipi di movimenti con cui interagirvi al fine di dar vita a suoni davvero efficaci, riconoscibili e significativi, è ammirevole e rara. Essa va, d’altronde, di pari passo con l’attenzione riservata alla confezione del libro come oggetto estetico prima e oltre che come contenuto accessibile: con il suo formato quadrato, le sue spesse pagine marroni che incorniciano i riquadri di carta e la sua predilezione per colori caldi e avvolgenti, Nel bosco incuriosisce e ammalia, infatti, il lettore, offrendo la meritata cornice a quella che sarà per lui un’esperienza sorprendentemente affascinante.

Missione al chiaro di luna

Missione al chiaro di luna di Aleksandra Artymowska è una dimostrazione lampante che nello spazio di poche pagine e senza parole scritte può prendere vita una storia avvincente, compiuta e felicemente accessibile.

Il libro, finalista del Silent Book contest 2023 e pubblicato da Carthusia, è ambientato in una serena notte di campagna e racconta di una bambina intraprendente e capace di compiere un’impresa spericolata. Svegliatasi di soprassalto, la bambina si accorge che qualcosa o qualcuno che dovrebbe stare sotto il suo letto manca all’appello. La sua passione per lo spazio, testimoniata da poster e complementi a tema, le dà l’ispirazione necessaria per avviare ricerche e recupero. A cosa potranno mai servirle, però, quadri, presine, paralumi e grucce? Il lettore è portato a chiederselo e a formulare congetture man mano che la protagonista si accinge a raccattare questi e altri oggetti più stravaganti dalla casa. Ogni cosa trova però un senso nello spettacolare finale che chiude in bellezza questa piccola avventura.

Capaci di incuriosire e al contempo di orientare chi legge, grazie a una scelta oculata degli elementi da inserire nelle tavole e a un uso efficace di colori e ombre. Missione al chiaro di luna offre una lettura lineare e chiara ma tutt’altro che prevedibile che ben si presta anche a condivisioni ad alta voce.

Ti voglio bene, Blu

I temi ambientali fanno spesso capolino all’interno degli albi firmati da Barroux. Ti voglio bene, Blu non fa eccezione: i danni provocati dall’abuso e dalla dispersione della plastica nell’ambiente mettono, infatti, a rischio la vita di Blu, una balena gentile che fa amicizia con il protagonista dell’albo. Intraprendente e socievole, quest’ultimo ha le fattezze di un bambino ma naviga in solitaria con la sua barchetta e conosce Blu durante una tempesta. È proprio la balena a metterlo in salvo dalle onde in quel pericoloso frangente e da quel momento il legame tra i due si fa saldo e forte. Così, quando un giorno Blu non si presenta al consueto appuntamento e non risponde ai richiami del bambino, quest’ultimo si tuffa a cercarla e la scopre afflitta dall’ingestione di corpose quantità di sacchetti. Con pazienza e dedizione il bambino riesce a liberarla da questo fardello, riportandola al sorriso e alla voglia di scherzare insieme.

Già in catalogo per Babalibri, Ti voglio bene, Blu è ora proposto da Officina Babùk in una versione alternativa in cui le illustrazioni e l’impianto grafico sono mantenuti intatti ma il testo è supportato visivamente dai simboli. L’obiettivo è quello di rendere albi molto apprezzati come questo, fruibili anche da parte di bambini con difficoltà cognitive e comunicative ma anche di bambini di origine straniere o in età prescolare. Rispetto ad altri titoli della giovane casa editrici specializzata nella pubblicazione di libri in CAA, questo di Barroux pone in questo senso una sfida forse più complessa: il testo si compone, infatti, in buona parte di dialoghi non attribuiti esplicitamente, e questo implica un maggiore sforzo da parte del lettore nella comprensione degli scambi tra i personaggi.

Per il resto, il lessico è piano, le frasi sono piuttosto brevi e paratattiche e le scelte di simbolizzazione fatte da Enza Crivelli e Sante Bandirali vanno nella direzione di ottimizzare i pittogrammi impiegati e di rafforzarne il legame con il testo. Così, per esempio, là dove il testo riporta solo il verbo, il riquadro sottostante riporta anche il simbolo del soggetto o dell’oggetto a cui il verbo si riferisce (“sei” è associato al simbolo di tu e a quello di essere, “incontrarti” al simbolo di incontrare e a quello della balena, e via dicendo…). Sempre nell’ottica di facilitare la comprensione del testo e la distinzione delle sue diverse parti, va l’accorgimento ormai consueto nei libri di Officina Babùk per cui la forma del riquadro del pittogramma cambia (forma a punta) quando posto in corrispondenza dell’inizio e della fine di un discorso diretto così come quando è posto alla fine di una frase di qualunque altro genere (forma tondeggiante). L’obiettivo è sempre quello di supportare il più possibile la piena appropriazione del racconto, anche quando questo, come nel caso di Ti voglio bene, Blu, un po’ più sfidante del consueto per i lettori che necessitano dei simboli della CAA.

A tutta musica!

Scopo divulgativo, approccio interattivo, brevi testi e giocose illustrazioni in dialogo: A tutta musica! è decisamente un libro sui generis. Progettato e realizzato a 4 mani da Ole e Hans Konnecke, il volume invita a scoprire 52 strumenti musicali diversi, dai più comuni ai più originali. A ognuno di essi è dedicata una pagina che riporta un breve testo di tono leggero che riassume le caratteristiche dello strumento e/o qualche curiosità in merito – e un’illustrazione in cui lo strumento viene suonato da un animale antropomorfo.

Proprio la scelta di rappresentare i soggetti con lo stile inconfondibile dell’autore tedesco e attraverso l’interpretazione dei suoi personaggi iconici risulta particolarmente felice per rendere il libro accattivante anche per chi non manifesti particolare interesse per la musica. E poiché di musica si può certo disquisire ma poi, a conti fatti, è l’orecchio che deve dire la sua, ogni pagina presenta un Qr code che, inquadrato, consente di ascoltare un piccolo brano suonato con lo strumento descritto. Per il lettore diventa, così, intrigante immaginare il suono di ogni strumento a partire dalle parole e dalle figure che gli autori vi dedicano per poi confrontare le sue ipotesi con una melodia vera.

Stampato con caratteristiche di alta leggibilità, in primis il font Testme, A tutta musica! può essere letto anche a spizzichi e bocconi proprio come un’enciclopedia musicale. Sarà un diletto scoprire che esistono strumenti come lo Steeldrum o la Kalimba… certo, non si può garantire che poi i bambini non vogliano a loro volta testarli in prima persona!

La paura del mostro

La paura del mostro è un classico per l’infanzia firmato da Mario Ramos. Protagonista è Taddeo, un mostro dalle sembianze amichevoli che si trova ogni sera a vedersela con una creatura orribile e dispettosa: una bambina dai codini biondi e dal ghigno maligno che lo spaventa e lo tormenta con sgarbi di ogni sorta, comprese addirittura delle mosse di karatè. Taddeo però resiste e alla fine, ogni sera, riesce ad addormentarsi come un bebè, rassicurato dalla sensazione di essere dopo tutto un grande cacciatore di mostri.

Tutto giocato sul meccanismo del ribaltamento, La paura del mostro esorcizza e sdrammatizza i timori notturni familiari a qualunque bambino con una storia in cui il mostro e la bambina si scambiano di fatto i ruoli generando un effetto insieme straniante e divertente. Maestro dell’ironia e attento conoscitore dei bambini, Mario Ramos aggancia efficacemente il suo lettore mettendo in scena una routine serale comune e dando spazio a delle preoccupazioni molto umane per poi sorprenderlo col sorriso ridefinendo completamente i contorni della paura.

Contraddistinto da testi brevi (non più di una frase per pagina), essenziali e perlopiù lineari, da figure dai contorni netti e prive di dettagli superflui e da una precisa corrispondenza tra parole e illustrazioni, La paura del mostro si presta facilmente ad un adattamento che preveda l’inserimento dei simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Non a caso, il volume è uno dei primi proposti a catalogo da Officina Babùk, casa editrice specializzata nella produzione di libri in simboli. Questa versione, in effetti, si presenta molto fedele all’originale sia nei testi sia nella grafica. Le uniche variazioni testuali – che si contano sulle dita di una mano – concernono, infatti, l’ordine di alcuni termini, funzionale a rendere la frase più lineare o a simbolizzare insieme più lemmi. Quanto alla composizione grafica, l’equilibrio tra testo e figure viene sempre mantenuto, al netto del maggiore spazio richiesto dall’aggiunta dei simboli WLS.

Questi ultimi, contraddistinti da una riquadratura leggerissima, quasi impercettibile, e da un uso votato alla fluidità della lettura (non dunque un simbolo per ogni parola ma un simbolo per ogni unità di senso), sono sufficientemente grandi da poter essere ben indicati in lettura condivisa ma non compromettono la gradevolezza della pagina. Come sempre accade per i libri di Officina Babùk, i riquadri a inizio e fine frase cambiano forma in presenza di discorsi o di un punto a capo. Il testo che vi è associato è stampato in maiuscolo, così da agevolare, laddove, possibile, il passaggio alla lettura alfabetica autonoma.

Una giornata per immagini

Una giornata per immagini è un cofanetto di librotti senza parole che portano l’inconfondibile firma di Attilio. Le figure che lo popolano – oggetti e animali, non di rado antropomorfizzati – si caratterizzano infatti per forme minime e contorni netti, colori pieni e inquadrature chiare, proprio come nello stile unico dell’autore genovese.

I libri che compongono il cofanetto, tutti di formato quadrato e contraddistinti da pagine robuste, sono quattro, rispettivamente dedicate a Il mare, La campagna, La città e La montagna. Ognuno di essi, presenta una sequenza di immagini – una sola, netta, per pagina – collegate tra loro da un punto di vista tematico. Occhiali, infradito, paletta e secchiello, pesci e animali in costume, per esempio, nel volume dedicato al mare. O alberi, frutti, attrezzi da lavoro e animali nelle vesti di contadini in quello dedicato alla campagna. L’idea è che il bambino possa trovare soddisfazione nel guardare le figure, nel riconoscerle, nel nominarle, nel collocarle in una medesima cornice e – non va escluso – nel metterle in relazione attraverso semplicissimi fili narrativi. Così, per esempio, nel volume dedicato alla montagna si può intravedere una sequenza di azioni – dalla vestizione, alle scivolate sulla neve, al rientro al calduccio – che va potenzialmente a delineare una protostoria.

Questa libertà di esplorazione, unita all’imbattibile essenzialità compositiva che è cifra di Attilio, fa sì che i volumi di Una giornata per immagini possa risultare molto trasversale per età e abilità, moltiplicando le possibilità di accesso anche in caso di disabilità cognitiva o comunicativa.

Ho bisogno di te

Ripresi nel bel messo di una traversata tra i ghiacci polari, mamma e cucciolo di orso procedono a passo spedito diretti chissà dove. Il cucciolo è curioso e questo talvolta lo porta a rallentare, a distrarsi e seguire percorsi alternativi. Così gli succede di restare indietro, attratto per esempio da un branco di socievoli foche. La mamma, dal canto suo, procede diritta, senza guardarsi praticamente mai alle spalle. È fiducia estrema o imperdonabile imprudenza, la sua? Man mano che la storia procede, il lettore è portato a chiederselo. Quel cucciolo, ci viene da pensare anche in virtù del titolo del libro, andrebbe forse protetto.

Cosa capita, infatti, se il supporto dell’adulto di riferimento viene a mancare? Che i predatori possano farsi minacciosi, che la neve possa disorientare e che un guado possa sembrare insuperabile. Per fortuna, l’aiuto può arrivare anche da figure esterne, amiche e di fiducia, che come un ponte possono aiutare a superare momenti difficili.

Contraddistinto da tavole silenziose, non solo perché prive di parole ma anche perché capaci di catapultare in una natura dal fascino ovattato, Ho bisogno di te di Angelo Ruta racconta della cura e del ruolo fondamentale che essa gioca all’interno delle relazioni. Nato da un progetto congiunto di Carthusia e Cesvi, il libro trasforma l’assenza di testo nella chiave per suscitare ipotesi e interrogativi nel lettore, attivando un processo di pensiero che può scavare molto nel profondo.

Storielline

Le Storielline di Miguel Tanco sono come le ciliegie: ne assaggi una e poi finisci per snocciolarne una sfilza, che preso il giro diventano a dir poco irresistibili. Piccine picciò, hanno la durata di una pagina e si fanno spiluccare con diletto. Proprio come dei fumetti a strisce (senza parole però, fatto salvo per il titolo di ognuna) si sviluppano in orizzontale, sfruttando la lunga doppia pagina come scena per moltiplicare interpretazioni e punti di vista rispetto a un medesimo tema. La fine delle vacanze può coincidere con la mogia fine delle corse in spiaggia o con il gioioso ritrovamento delle amicizie di scuole. Si può essere senza paura attraversando il parco con tutto ciò che è proibito portarvi o guardando un elefante da distanza ravvicinata. Si può sperimentare la grande evasione tra pile di libri o campi di grano. E vi dicendo…

E proprio qui stanno la peculiarità e il grande fascino di queste storie mignon: nel raccontare le molte sfaccettature che uno stesso sentimento, esperienza o situazione possono avere. Attraverso i suoi personaggi bambini, indomiti e creativi, Miguel Tanco celebra, cioè, la bellezza dell’umanità, variegata e imprevedibile, soprattutto quando sa conservare l’intraprendente spirito infantile.  È così, infatti, che gli scalini possono diventare montagne e le strisce pedonali tronchi sul fiume infestati dai coccodrilli, che a ping pong si può pensare di giocare con palla, racchetta e mazza da baseball o che può valer la pena affrontare una lunga passeggiata nel bosco solo per bagnare una piantina nascente.

Estremamente concise ma capaci di solleticare grandi aperture di pensiero e immaginazione, le Storielline di Miguel Tanco ci dicono che la vita può essere in un modo ma anche nel suo esatto contrario, e che non è affatto detto che solo l’uno o l’altro sia quello giusto. Lo fa con un approccio freschissimo, ironico e positivo, riflesso da un tratto vivace e dinamico.  Ne risultano vignette quasi istantanee e immediate che mescolano adesione al reale e piccole evasioni fantastiche e che trasformano titoli neutri in contenitori di grandi e variegate avventure.

Finestre

Vincitore del Silent Book Contest 2024, Finestre è un libro senza parole giocoso e sorprendente, tutto basato sull’ingannevolezza delle apparenze. Vietato farsi fuorviare dai toni cupi che non mancano né in copertina né negli interni: il volume è tutt’altro che triste e, anzi, delizia il lettore giocando proprio sul contrasto tra le figure malinconiche o paurose suggerite dalle ombre e le realtà dinamiche e sorridenti che dietro di esse si celano.

Il libro assume il punto di vista di una bambina che troviamo assorta nei suoi pensieri mentre guarda fuori dalla sua finestra di casa. L’immagine di apertura ci dice che il palazzo in cui la bambina vive è alto e circondato da edifici simili: le cose da osservare sono dunque potenzialmente numerose. Attraverso lo sguardo della protagonista, ci soffermiamo su alcune finestre illuminate, mentre fuori il buio della notte avvolge la città. Le sagome che si delineano sembrano appartenere a inquilini isolati, litigiosi, minacciosi o inquietanti: vecchiette chine sul loro solitario lavoro a maglia, coniugi in preda alla disperazione, uomini mastodontici o desolati e persino coccodrilli furibondi… ma la realtà, spesso, non è come appare e così a ogni doppia pagina in cui emerge un’ombra perturbante, ne segue un’altra che inquadra il soggetto dall’interno della stanza, perfettamente illuminato.

Ed è qui che emerge con gioiosa allegria, l’equivoco generato dalla semioscurità. Ciò che sembrava non è: abbuffate di sushi, balli sfrenati, coccole confortanti, tentativi di rinfrescamento e appassionate sessioni di hobbistica vengono alla luce in tutta la loro vivacità, anche cromatica. I toni caldi e avvolgenti diventano protagonisti e catapultano il lettore all’interno di contesti dinamici che molto fanno immaginare. Anche la bambina incontrata in apertura non è esente dal gioco delle apparenze: con lei e con il suo affettuoso gatto si chiude, infatti, questa narrazione fatta di molti inganni, pochi colori e nessuna parola.

Sfizioso e ammaliante, Finestre presenta una struttura iterata che ne agevola la comprensione. Il tratto denso ed espressivo dell’autrice, Lola Svetlova, gioca un ruolo chiave insieme al contrasto tra realtà e apparenza nel solleticare l’immaginazione del lettore. L’ampio formato e il meccanismo ludico lo rendono infine particolarmente adatto anche a una lettura condivisa e ad alta voce.

Tanti auguri!

Che graziosa sorpresa riserva un libro come Tanti auguri! di Kaori Takahashi! L’autrice costruisce infatti una piccola storia sfruttando un ingegnoso sistema di pieghe del cartoncino e dando vita a un volume in cui le pagine non sono rilegate ma si aprono ora in orizzontale ora in verticale fino a comporre una sorta di poster.

Man mano che le pagine si aprono, il semplice ma compiuto racconto si sviluppa: una bambina esce di casa, incontra due amici – l’uno in possesso di un palloncino e l’altro in possesso di una caramella appena comprati nei relativi chioschi sul ciglio della strada –, si cruccia di non aver nella con sé, vede dei fiori in un prato lì accanto, ne raccoglie alcuni e infine ne fa dono, come gli altri fanno con il palloncino e la caramella, all’amica che li aspetta per il giorno di festa. Buon compleanno!

Fresca nel tratto e gioiosa nei colori, Kaori Takahashi confeziona un libro che contiene in sé, per come è costruito, un minimo elemento ludico capace di rendere speciale il racconto. Il fatto di aprire le pagine in maniera insolita e di dare fisicamente forma al percorso compiuto dalla protagonista attraverso uno scenario che diventa via via più grande fa sì che il volume risulti non solo particolarmente appetibile ma anche particolarmente fruibile. La familiarità dei soggetti e della situazione rappresentati e lo stile essenziale e privo di fronzoli dell’autrice contribuiscono, dal canto loro, a facilitare la comprensione e l’apprezzamento del racconto.

Il compleanno

Difficile immagine un compleanno più incredibile di quello di Angelica: invitati, festa e regali sono tutto fuorché ordinari. La bambina protagonista di questo adorabile silent book firmato dalla pluripremiata artista Albertine ha la fortuna infatti di condividere preparativi e ricevimento con una squadra di creature insolite -un po’ animali, un po’ pupazzi, un po’ mostriciattoli – fortemente motivate a rendere indimenticabile questa giornata speciale. Insieme, Angelica e i suoi amici dormono, si fanno belli, cucinano e preparano gli addobbi e infine si scatenano, dentro e fuori casa, insieme agli invitati venuti da fuori. La festa dura fino a sera quando infine la stravagante casa torna alla sua quiete sorridente.

È un tripudio di gioia e libertà bambina, Il compleanno. C’è una casa immaginaria senza figure adulte, c’è una giocosa convivenza con amici di ogni tipo, c’è la libertà di fare cose da grandi alla maniera dei piccoli, c’è il gusto di realizzare con il massimo impegno decorazioni casalinghe e c’è il gioco, autoregolato e creativo, che assume mille e una forma. A mettere in valore questa dimensione dinamica e festosa concorrono in particolare i colori vivaci che popolano le tavole, il tratto sottile e mai stereotipato con cui Albertine dà vita ai suoi personaggi e la costruzione del libro come un autentico wimmelbuch.

Ogni pagina pullula, infatti, di personaggi diversi che fanno cose diverse. A questi si aggiunge una miriade di oggetti, altrettanto buffi e attraenti, che definiscono il contesto e rendono viva la scena. Così, i giochi nella stanza, i quadri in bagno o gli alimenti sul tavolo della colazione, bel lungi dall’essere meri elementi decorativi, contribuiscono attivamente ad arricchire e moltiplicare le ipotesi narrative che il lettore può fare in merito alla stravagante compagine che anima il libro. Il risultato è una sequenza di pagine spumeggianti in cui l’occhio del lettore viene costantemente sollecitato e chiamato a destra e a manca. Tante sono le cose da osservare e nessuna, in fin dei conti, ha priorità effettiva o più valore delle altre: aspetto, questo, che può mettere maggiormente a proprio agio quei lettori che faticano a individuare il focus della storia. Certo, si potrebbe pensare che la festeggiata (che è peraltro l’unica umana) esiga maggiore attenzione ma a ben guardare, il suo stesso atteggiamento nei confronti dei compagni e delle cose da fare, sembrerebbe dirci il contrario, ossia che la festa è di tutti, è un gioco collettivo.

Benvenute sono dunque le esplorazioni libere della pagina, le attenzioni a dettagli apparentemente insignificanti, il gioco di ritrovare personaggi e oggetti man mano che la storia scorre e la propensione a dare voce a storie parallele ma mai marginali. Perché se non c’è un vero fuoco, anche il margine sfuma e quando questo accade, anche chi fatica a stare dentro binari narrativi rigidi può finalmente trovare il suo posto e sentirsi parte della festa.

Scappa, Nocciola!

Scoiattoli accumulatori, ragni furbetti, uccellini affamati, rane dispettose… quanto può essere imprevedibile e rischiosa la vita di un frutto in mezzo al bosco! Lo sa bene la protagonista di Scappa, Nocciola! che per fortuna, però, ha coraggio da vendere, una buona dose di intraprendenza e un pizzico di fortuna che non guasta mai: così, nonostante incappi in una serrata serie di incontri poco felici, Nocciola riesce sempre a mettere in salvo il guscio. Certo, a furia di scappare la sua casa si fa lontana. Sarà a quel punto la fiducia (ben) riposta nella creatura più spaventosa della foresta, a permetterle di riabbracciare il suo nocciolo e gli affezionati insetti che come lei vi abitano.

Incalzante, avventuroso e non privo di tenerezza, Scappa, nocciola racconta una storia densa di personaggi, incontri e colpi di scena, facendo leva sulle sole figure. Del tutto privo di parole, il libro di Caroline Romanet e Magali Clavelet fa parte della validissima collana Le nuvolette di Arka Edizioni: una raccolta di storie avvincenti e appaganti che uniscono l’accessibilità del racconto per immagini alla chiarezza compositiva tipica del fumetto. Proprio come gli altri titoli della collana, anche Scappa, Nocciola! presenta una regolare scansione in vignette (da due a sei per pagina) che accompagna e sostiene la comprensione del racconto. I passaggi narrativi sono infatti molto chiari ed espliciti così che, difficilmente, il lettore si ritrova sperduto.

Perfetto per bambini in età prescolare che, pur senza padroneggiare la lettura alfabetica, amino le storie ricche Scappa, Nocciola! può felicemente accompagnare anche i lettori alle prese con le prime letture autonome, non ultimi quelli che, in ragione di una disabilità uditiva o di un disturbo specifico dell’apprendimento,  trovano nei racconti visivi un rifugio appagante e accogliente.

La scomparsa di Maresciallo. Le indagini di Italo

In questa storia ci sono un pappagallo scomparso, un maialino investigatore e una sfilza di altri animali da fattoria che collaborano o interferiscono con le indagini. Seguire le tracce di un pennuto scorbutico misteriosamente sparito è faccenda tutt’altro che semplice, soprattutto se come l’investigatore Italo non puoi volare, non puoi scavare gallerie e provi un’attrazione irresistibile per i pisolini. Ma Italo è un tipo tosto, perciò con molta calma e le dovute pause si mette sulle tracce di Maresciallo, pronto ad affrontare anche il più feroce di cani randagi. Dovrà fare accordi loschi, trovare insperati alleati, fare domande scomode e trovare il coraggio di dire di no ai bulli da cortile ma alla fine verrà a capo dell’enigma, come solo un vero professionista delle indagini sa fare.

Scorrevole e spiritoso, La scomparsa del maresciallo può contare sulla penna giocosa di Beniamino Sidoti e sulla matita leggera di Evelise Obinu. La misura è inoltre breve e il testo è stampato con la font Inconstant, la cui caratteristica irregolarità risulta funzionale a una maggiore leggibilità anche in caso di dislessia. La font in questione, progettata da Daniel Brokstad, fa in particolare leva su forme, altezze inclinazioni variegate che rendono il testo piuttosto dinamico. L’aspetto dei grafemi viene inoltre modificato in funzionale dei grafemi circostanti, così da contrastare spiacevoli sovrapposizioni e confusioni. Lo stesso grafema assume dunque forme diverse a seconda della parola in cui è inserito. La font nasce su sollecitazione di Dyslexia Scotland, ente scozzese che promuove l’inclusione delle persone dislessiche, che attraverso la campagna There’s nothing Comic about Dyslexia ha portato alla luce il rischio di giudicare una font come il Comic Sans solo per il suo aspetto estetico (e non per la sua leggibilità) e ha promosso la progettazione di un carattere approvato tanto dai lettori dislessici quanto dai designer.

Conta chi conta

Un libro per contare, un libro per riflettere, un libro per dare valore: Conta chi conta ha tante facce e proprio come tale può essere proposto ai giovani lettori. Ogni sua doppia pagina mette a confronto un numero che, di fatto, non è che un’entità astratta, con un oggetto che, al contrario, è decisamente concreto. I numeri dal canto loro crescono, l’oggetto cambia ma resta sempre uno. Eppure, con buona pace della matematica, il secondo – che sia un panino per chi ha fame, un raggio di sole per chi ha freddo, un abbraccio, un amico sincero o una fiaba – conta sempre più del primo. Difficile, in effetti, affermare il contrario.

Compatto e dall’aspetto raffinato, il libro di Ilaria e Lucia Macchiarini presenta testi in rima in nero (applicati a posteriori con una soluzione cartotecnica elegante) e Braille e illustrazioni fruibili sia alla vista sia al tatto. Se i testi, dal canto loro, difficilmente sfuggono alla retorica, le illustrazioni evidenziano una ricerca approfondita e interessante sui materiali. Talvolta molto realistiche, come nel caso della candela di compleanno, talvolta simboliche, come nel caso dell’abbraccio di mamma e papà, queste risultano sempre estremamente essenziali, ben percepibili dai polpastrelli e tattilmente stimolanti. Ogni doppia pagina riporta inoltre in alto a destra un numero di tondi dorati che rispecchia il numero di cui di volta in volta parla il testo. In questo modo il confronto tra quantità e valore diventa particolarmente concreto e comprensibile.

Scatola con sorpresa

Edizioni Arka ha portato in Italia un delizioso progetto editoriale di origine francese: una collana di fumetti senza parole per bambini intitolata Le nuvolette (originariamente: Mini bulles). I volumi che la compongono si caratterizzano per un tipo di racconto estremamente fruibile nella misura in cui l’accessibilità legata alla narrazione per immagini si somma a quella dettata dalla partitura regolare delle vignette.

La collana si rivolge idealmente a un pubblico di età prescolare, come intuibile dai personaggi e dal tipo di vicende narrate, dalla predilezione per il codice iconico e dall’attenzione a rendere i passaggi da una vignetta all’altra particolarmente chiari ed evidenti. In questo senso, i diversi autori che hanno collaborato a questa collana hanno dato a vita a storie facili da seguire nel loro sviluppo grazie a sequenze che lasciano pochi vuoti narrativi e dunque accompagnano il lettore passo passo. L’idea che sta alla base della collana è, non a caso, che i volumi che ne fanno parte possano prima di tutto essere letti in autonomia dai bambini, senza che debba necessariamente essere un adulto a guidarli (cosa che, in ogni caso, è sempre possibile e offre una diversa possibilità di lettura).

Scatola con sorpresa di Édouard Manceau si apre, manco a dirlo, con una scatola rossa ben chiusa. Da quella scatola, a partire dalla seconda vignetta, fa capolino un micio che esce, trova a sua volta una scatola azzurra da cui – sorpresa! – esce un amico, un piccolo coniglio. I due si avviano insieme (muovendosi sempre verso destra) e compiono un lungo viaggio durante il quale incontrano un gran numero di scatole, ciascuna delle quali contiene nuovi incontri e/o nuovi ambienti in cui muoversi. Così, in una sequenza molto dinamica, i due si imbattono in un’orchestra allegra, in un mostro buffo, in una motocicletta, in un pesce, in una foresta, in un equipaggiamento da campeggio, in una mongolfiera, in un barattolo, in un arco, in un’auto e in un paesaggio marino… Come si combinino questi elementi per dar vita a piccole spassose e ingegnose vicende non lo riveleremo. Si sappia, però, che quelle che possono sembrare delle innocue scatole di cartone possono contenere tutti gli ingredienti necessari per vivere un’avventura degna di questo nome. Potere dell’immaginazione!

I molteplici cambi di scenario, la dimensione magica che trasforma le scatole in veri e propri mondi in cui immergersi e la varietà di personaggi incontrati ed eventi sopraggiunti rendono Scatola con sorpresa leggermente più complesso rispetto a Coco e Mosca, l’altro titolo che ha inaugurato la collana de Le Nuvolette. Ciononostante troviamo anche qui un’apprezzabile attenzione a rendere agevolmente decodificabile ciò che accade nelle vignette, a esplicitare passaggi anche minimi e a guidare il lettore all’interno di scene mutevoli grazie a efficaci cambi di sfondo (un colore diverso per ogni scatola esplorata) e a precise espressioni del viso dei personaggi. Ne vien fuori un racconto denso ma amichevole che può riservare grandissima soddisfazione!

Il Miciometeo

Non è raro, in montagna, imbattersi in curiosi e ironici sistemi di previsione del tempo basati sulle condizioni di una corda: se è rigida fa freddo, se è mossa c’è vento, se è bagnata piove, se è invisibile c’è nebbia. Ecco, Il Miciometeo potrebbe essere una variante libresca, animata e coccolosa di quei sistemi.

Il protagonista è infatti un placido gattone dal cui lungo pelo si possono evincere le condizioni metereologiche: se piove è umettato e compatto, se grandina nasconde granelli duri, se c’è il sole è caldo e arruffato, se c’è vento è tutto pettinato da un lato, se gela è rigido e se nevica porta dei fiocchi leggeri. Il volume che ne descrive le prodigiose qualità è un libro tattile illustrato che si compone di 8 doppie pagine in stoffa ruvida, con testo in nero (stampato maiuscolo e a grande carattere) e in Braille e con illustrazioni da vedere e da toccare. Il primo è sempre posto sulla pagina di sinistra e le seconde sempre su quella di destra: in questo modo l’orientamento del lettore viene agevolato e la lettura del testo supporta l’esplorazione delle figure che seguono.

Dopo la prima doppia pagina che spiega la peculiarità del Miciometeo, quelle seguenti sono dedicate ai diversi giorni della settimana. A ogni pagina corrisponde un giorno, a ogni giorno corrisponde un clima diverso, e a ogni clima corrisponde un aspetto diverso del pelo. La base di quest’ultimo è però sempre identica e questo aiuta il lettore a riconoscere gli elementi che di volta in volta su di essa variano, senza disperdere tempo e sforzi nella decodifica di sagome sempre diverse. La rappresentazione, inoltre, non è figurativa ma si compone di un semplice quadrato di pelo: in questo modo il lettore è invitato a concentrarsi sull’aspetto tattile più che sulla forma del gatto.

Questi aspetti, uniti a una scelta curata e suggestiva dei materiali da apporre o dei trattamenti da applicare alla base di pelo, fanno sì che il libro di Ilaria e Lucia Macchiarini, già apprezzate autrici di Tana, risulti molto immediato, comprensibile, stimolante e fruibile. Non a caso, in occasione del 7° concorso nazionale di editoria tattile Tocca a te, è stato insignito di una menzione speciale come miglior libro dedicato alle disabilità complesse.

Io ti aspetto qui

Io ti aspetto qui è un albo illustrato con testo in nero e in Braille e inserti tattili, nato in casa Puntidivista per offrire al lettore uno strumento di supporto in caso di difficoltà emotiva. Il libro si rivolge direttamente a un ipotetico bambino triste o spaventato, a cui suggerisce alcune strategie che possano aiutarlo a calmarsi: accarezzare un gatto morbido, passeggiare in un bosco, prendersi del tempo per starsene un po’ da solo in un luogo quieto, per esempio. Alla fine di ogni consiglio il libro invita il lettore a sperimentarlo attraverso le illustrazioni tattili dopodiché gli dà appuntamento alla pagina successiva, come in una sorta di percorso guidato.

Il volume, disponibile anche in una versione semplificata e simbolizzata, sempre contraddistinta da inserti tattili, è pensato per risultare fruibile sia da bambini ciechi sia da bambini vedenti. Il testo in doppio codice è impresso su cartoncino, a sua volta apposto sulla pagina: un espediente, questo, che da un lato consente di ridurre i costi legati alla stampa Braille ma che dall’altro restituisce un aspetto più amatoriale al volume, soprattutto quando il testo viene applicato sulle illustrazioni. Queste ultime, dal canto loro, hanno una base visuale dai colori vivaci, arricchita da alcuni elementi tattili con cui il lettore può interagire (la sagoma morbida del gatto, l’albero, i giocattoli…). Ne risulta così un libro fruibile anche facendo esclusivo uso del tatto.

La prima storia che abbiamo raccontato

Grande nel formato e nella minuzia compositiva, La prima storia che abbiamo raccontano è un silent book straordinario che celebra la potenza delle storie. Frutto del lavoro a quattro mani di Rafael Yockteng e Jairo Buitrago, il libro si compone di ampie tavole in bianco e nero realizzate a matita con un’accuratezza impressionante. Dinamico e palpitante, ogni passaggio narrativo prende vita grazie a figure definite a tratto fine e a scenari di ampio respiro.

La storia è ambientata nel Pleistocene e ritrae una eterogena tribù di ominidi che si sposta nel bel mezzo di una natura sconfinata e zeppa di pericoli, mentre si dedica ad attività fondamentali come la caccia e la pesca. Ogni passo è un rischio, ogni giorno è una scommessa. Ci sono pareti ripide da superare, intemperie da affrontare, massi da spostare e soprattutto bestie feroci da cui fuggire o contro cui combattere. Non sempre gli esiti sono positivi e il libro non lo nasconde, anzi. Proprio il durissimo combattimento dei protagonisti con un branco di enormi bisonti fa da prologo alla storia e occupa le pagine che precedono il titolo stesso, catapultando immediatamente il lettore in un mondo ostile, in cui stare all’erta è prerequisito fondamentale alla sopravvivenza.

Servono riflessi pronti e sguardo attento. Ma lo sguardo, è bene precisare, può modularsi in tanti modi: si può guardare per trovare delle prede, si può guardare per trovare delle vie di fuga, e si può guardare per trovare delle storie. Così fa, infatti, la più piccola della tribù: una bambina dalla chioma ribelle che silenziosamente, in ogni situazione, si distingue dai suoi compagni di viaggio per la maniera in cui osserva le cose intorno a sé. Nei suoi occhi c’è spazio anche e soprattutto per la curiosità e per la meraviglia: esattamente le scintille che consentono di trasformare legno e fuoco in arnesi per dipingere le pareti di una grotta. Ed ecco che con  questa straordinaria scoperta, tutte le avventure affrontate dalla tribù possono rivivere ancora e ancora. Ma questa è un’altra storia…

Estremamente affascinante, La prima storia che abbiamo raccontano mette in scena molti personaggi e scenari diversi offrendo al lettore una grande varietà di stimoli tra cui districarsi. I passaggi narrativi non sono sempre espliciti e questo rende l’esperienza di lettura particolarmente densa e sfidante. Le cose da osservare sono molte, compresi dettagli dell’ambiente e della fauna ricostruiti in maniera meticolosa: il grado di assorbimento, il tempo di immersione e la ricchezza di questa narrazione per immagini risultano perciò davvero elevati. Immaginate quanti percorsi – inventivi e didattici – possano prendere vita tra questi vulcani e foreste, grotte e animali preistorici?

Piccoli tesori

È un piccolo e vivissimo mondo in miniatura, quello dipinto dall’illustratrice francese Charlotte Klein: un mondo accogliente e a misura di bambino, in cui è pressoché impossibile ritrovarsi senza nulla da fare. O senza nulla da osservare, se ci si pone dal punto di vista del lettore. Ciò che quest’ultimo si trova tra le mani, sfogliando il board book Piccoli tesori, è infatti una successione di irresistibili quadri dedicati ai diversi spazi cittadini – al chiuso e all’aperto – in cui incontri e attività pullulano a dismisura. È a tutti gli effetti un wimmelbuch (quasi) senza parole, Piccoli tesori: un libro brulicante in cui immergersi seguendo a proprio gusto la molteplicità di stimoli offerti dalla pagina. Ma è anche un libro-gioco: sotto ogni tavola si trova, infatti, una raccolta di dieci oggetti che il lettore può divertirsi a cercare all’interno della scena.

Assenza di parole, gioco e moltiplicazione dei percorsi di esplorazione della pagina costituiscono una bella combinazione, anche e soprattutto in ottica di accessibilità. Tra le scene confezionate da Charlotte Klein, infatti, anche il lettore che normalmente fatica a mantenere salda l’attenzione o a seguire percorsi narrativi troppo rigidi o lunghi può muoversi con agio, rispettare il proprio ritmo, trovare le proprie parole per dire ciò che accade e seguire i suoi binari, perché di fatto non c’è un giusto e uno sbagliato. Le microstorie che l’autrice imbastisce si consumano inoltre nello spazio di una scena, sono cioè istantanee e non proseguono di pagina in pagina, e questo fa sì che anche la memoria di lavoro richiesta possa essere ridotta. La presenza, infine, di elementi da rinvenire, oltre a incentivare l’esplorazione e a mantenere vivo l’interesse attivando un appetibile meccanismo di sfida, può aiutare il lettore a riconoscere (anche linguisticamente) gli oggetti e a orientarsi in una scena potenzialmente caotica, trovando cioè una direzione lungo la quale muoversi per dare un senso a ciò che vede. Il gioco può farsi dunque divertimento, stimolo, prova e bussola, contribuendo a definire la multisfaccettatura di un libro solo all’apparenza semplice.

Piccoli tesori è infatti un libro da guardare, da esplorare, da nominare, da giocare. I suoi personaggi, piccini piccini e delineati da pochi tratti abbozzati, danno vita a un mondo vivace e gioioso in cui grandi e piccoli quasi non si distinguono e in cui anche l’identità del singolo non è così prioritaria, perché in fondo è ciò che accade a sollecitare il lettore.  L’azione si fa cioè motore di narrazione e di scoperta, proprio in linea con quello che è il modo di stare al mondo dei più piccoli.

La canzone degli insetti

Franco Cosimo Panini ha portato in Italia una piccola serie di deliziosi cartonati di grande formato firmati da Thierry Dedieu, poliedrico autore francese che sa combinare in maniera originale ed efficace sguardo scientifico e indole artistica.

La collana si rivolge a un pubblico di piccolissimi e si compone di volumi in bianco e nero dalle pagine ampie, resistenti e sufficientemente spesse da potersi tenere in piedi da sole. Attraenti fin dalla nascita, i titoli che la compongono si caratterizzano per le grandi figure nere che spiccano senza fronzoli sulla pagina bianca e che delineano un mondo naturalmente incantevole.

La canzone degli insetti, in particolare, propone una breve successione di pagine (12 in tutto) su cui si stagliano dapprima le grandi sagome di un coleottero, di una mantide e di una libellula (uno per doppia pagina), poi uno scenario erboso che pullula di creature volanti e non, e infine una raccolta di onomatopee che descrivono acusticamente quanto visto vino ad allora. A una prima parte del tutto priva di parole fa seguito, dunque, una seconda composta solo di suoni. Gli insetti cantano, come ci dice in effetti il titolo del libro, e il loro concerto è un’armonica combinazione di Bzzz, Cricricri, ssh ssh ssh e flap falp flap tutta da ascoltare e da riprodurre.

Le figure di Dedieu sono ad alto contrasto, precise e nette, così da risultare ben riconoscibili da parte di bambini che abbiano in minimo di esperienza della natura, e allo stesso tempo ammalianti per chi da poco si sia affacciato al mondo. Il libro si presta in questo senso a letture, osservazioni ed esplorazioni trasversali per età e abilità all’interno delle quali è l’incanto dei contrasti e delle sonorità a fare da guida e da filo conduttore.

Tiritera giornaliera

Delicato nei toni e nelle forme, musicalmente orecchiabile e capace di favorire l’identificazione del bambino, Tiritera giornaliera è una raccolta di filastrocche pensate per un pubblico di lettori della scuola dell’infanzia. La successione dei testi in versi non è casuale ma segue di fatto la routine della giornata scolastica, prendendo in considerazione tutte le attività e le esperienze più significative che qui possono avere luogo: dai laboratori al pasto, dal gioco in giardino all’igiene, dalla nanna alla socializzazione. A ogni momento corrisponde una filastrocca di due strofe che si conclude sempre con un’onomatopea: un’espediente questo che agevola l’animazione della lettura e il coinvolgimento dei lettori.

I testi di Tiritera giornaliera sono piani ma non piatti, piacevoli da dire e ascoltare anche più volte e fruibili nonostante la struttura sintattica della frase venga talvolta condizionata dalla rima. Stampati in minuscolo, sono supportati visivamente dai simboli WLS – Widgit Literacy Symbols – della Comunicazione Aumentativa e Alternativa che aiutano il bambino, soprattutto ma non solo con difficoltà comunicative, a seguire a comprendere la narrazione. I simboli sono in bianco e nero, riquadrati insieme alle parole corrispondenti, associati a singoli lemmi e provvisti di qualificatori che indicano eventuali plurali o tempi verbali diversi dal presente.

Ogni filastrocca è associata a un’illustrazione dai toni pastello. L’interprete di ogni azione o attività è un tenero coniglio in salopette dall’aria amichevole. Le illustrazioni sono sempre minimali, prive di tinte accese e dettagli superflui che possano risultare disturbanti. È interessante notare, inoltre, come esse vengano sempre collocate su una pagina diversa da quella del testo corrispondente, così da agevolare l’orientamento del lettore e la lettura dell’oggetto libro prima ancora che della storia. Nella fattispecie, la pagina in questione è quella di sinistra, ossia la prima che il bambino incontra sfogliando la pagina: una scelta non trascurabile perché dà prima di tutto valore alla lettura delle figure, di fatto quella principale e prioritaria per i bambini in età prescolare e per i bambini con difficoltà comunicative.

In Tiritera giornaliera, così come nei volumi più recenti del suo catalogo, la casa editrice Homeless Book ha iniziato a inserire una tabella efficace e poco invasiva ad uso dei genitori, degli insegnanti e degli operatori che potrebbero farsi mediatori di lettura con i bambini. Caselle di colore e dimensione diversi, consentono di capire a colpo d’occhio il livello di complessità relativo alla narrazione, alla sintassi, al lessico e alla simbolizzazione (che si ritrovano più dettagliati sul sito dell’editore): elementi che possono avere, in effetti, un ruolo non trascurabile sulla fruibilità del volume da parte di ogni specifico bambino. Uno strumento che può essere molto utile in fase di ricerca, come sempre se usato come bussola orientativa e non come rigido selettore.

Io aspetto te qui

Io aspetto te qui è la versione semplificata e simbolizzata di un albo tattile illustrato nato in casa Puntidivista per offrire al lettore uno strumento di supporto in caso di difficoltà emotiva. Il libro si rivolge direttamente a un ipotetico bambino triste o spaventato, a cui suggerisce alcune strategie che possano aiutarlo a calmarsi: accarezzare un gatto morbido, passeggiare in un bosco, prendersi del tempo per starsene un po’ da solo in un luogo quieto, per esempio.

Questa specifica versione si caratterizza per un testo orientato alla scrittura Easy To Read con frasi minime e costrutti lineari e senza sottintesi, anche se questo può talvolta compromettere la piacevolezza e la fluidità della frase (il titolo può costituire in questo senso un esempio emblematico). L’idea è che possa risultare fruibile e chiaro anche a lettori con difficoltà cognitive e comunicative importanti. A questo scopo concorre d’altronde anche l’affiancamento dei simboli al testo. I simboli appartengono in particolare a una collezione messa a punto dalla stessa casa editrice e vengono riquadrati insieme alle parole di riferimento, stampate in maiuscolo.

Va evidenziato, inoltre, il fatto che le illustrazioni, originariamente nate come immagini visuali piuttosto basiche, vengono arricchite da dettagli tattili anche se il target di riferimento non è quello di lettori con disabilità visiva. Si tratta di un accorgimento apprezzabile e funzionale perché risulta non solo gradito ma anche funzionale, in un’ottica di sostegno all’aggancio e alla comprensione del racconto, da parte di quei bambini che più di altri faticano a seguire e fare proprio la narrazione.

I giorni del mare

Dopo Nel mio giardino il mondo e Su e giù per le montagne, Irene Penazzi torna in vacanza con spirito bambino. Per il terzo volume della serie edita da Terre di Mezzo, l’autrice sceglie una meta marittima. Il titolo è, infatti, I giorni del mare. Come negli altri libri, anche qui troviamo una narrazione che procede per sole immagini e incontriamo tre personaggi: due bambine e un bambino. Eppure a ben guardare non sono davvero loro al centro del racconto. Sembrerebbero piuttosto il gioco e il tempo, i protagonisti assoluti di queste tavole meravigliose.

Il gioco è declinato in tutte le sue forme: strutturato e improvvisato, solitario e condiviso, sulla sabbia e tra le onde, con il supporto di giocattoli o della sola fantasia, corto o lungo, calmo o sfrenato, di ricerca o di sfida… quante opportunità riserva, in effetti, il contesto della spiaggia a chi voglia godersi a pieno le vacanze? Non c’è un minuto da perdere!

Il tempo, dal canto suo, appare silenzioso sulla pagina. I giorni del mare ritrae, infatti, le attività dei tre personaggi in un ipotetico arco temporale che va da inizio giugno a fine agosto. L’affollamento che cambia, l’arrivo delle stelle cadenti, il clima via via meno clemente, gli indumenti sempre più pesanti, i ritmi più lenti… Irene Penazzi non si limita a fotografare l’estate ma ne segue gli sviluppi con attenzione, premurandosi di costruire le sue illustrazioni con dovizia di dettagli che possano guidare la lettura sequenziale. Il suo tratto a matita leggero e inconfondibile, le sue tinte tenui e allegre e il suo sguardo fresco su un mondo mai sopito come quello infantile fanno de I giorni del mare una delizia in cui immergersi per un tempo lungo, godendo dei particolari e dei ricordi che questi senza dubbio attivano in ognuno di noi. La pista delle biglie, la sfida ai cavalloni, i gelati, le altalene a testa in giù, gli scherzi, le costruzioni con la sabbia e le partite a bocce o racchettoni ma anche, più sottilmente, l’allegria spensierata – diversa inevitabilmente da quella di città – con cui queste attività si susseguono e si intrecciano e la curiosità indomita che un ambiente naturale come quello marittimo può solleticare. Irene Penazzi sa guardare, ricordare, fotografare e restituire benissimo non solo le cose ma anche i sentimenti e proprio questo rende speciali i suoi libri senza parole.

La costruzione narrativa, dal canto suo, è particolare come nei volumi precedenti e tende a trattare in maniera dinamica e non lineare la doppia pagina. Gli stessi protagonisti compiono cioè più azioni all’interno della stessa cornice, senza soluzione di continuità, e questo richiede al lettore grande spirito di osservazione e capacità di inferenza: due qualità spesso presenti nei bambini con disturbi specifici dell’apprendimento o con una disabilità in cui sia compromessa la sola decifrazione testuale (per esempio la sordità) ma che possono faticare a emergere all’interno dei libri tradizionali e che invece, all’interno di silent book come questi, trovano terreno fertilissimo per risplendere ed essere messe a frutto.

Topé

New entry nella collana Minizoom di Biancoenero, dedicata alle prime letture, il racconto illustrato Topé è firmato da uno dei più grandi autori per bambini e ragazzi italiani: Roberto Piumini. E dell’autore bresciano, Topè porta tutta la grazia e l’amore per la parola. La parola che gioca, la parola che vola, la parola che rima e che dà nuova forma al mondo.

Topè mescola infatti prosa e versi per raccontare l’avventura del suo piccolo protagonista: un topolino che, in sogno o per davvero, chissà! – si trova un giorno tutto solo e inizia un viaggio alla ricerca dei suoi cari. È un viaggio zeppo di imprevisti, di prove e di scoperte, il suo. Un viaggio a cui il lettore è chiamato dall’autore a dare slancio, pronunciando insieme a lui parole in rima che sanno di incantesimo e fiabesca poesia. E così, guidato dalla voce di chi legge, Topé supera massi e ruscelli, alberi e gatti, fidandosi del suo istinto, dei suoi sensi e dei ricordi, che anche quando svaniscono, restano in qualche modo sopiti in qualche parte nascosta del nostro corpo. Fino alla sorpresa finale, che non può che essere lieta e che apre uno spiragli verso un viaggio ancora da cominciare…

Tenero e coraggioso, Topé è al centro di un racconto dal ritmo deciso e dalla forma curata. Il volume che lo ospita, dal canto suo, presenta tutte le caratteristiche di alta leggibilità che agevolano la lettura anche in caso di dislessia (font specifica, spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra, capitoli brevi, carta opaca e color crema, illustrazioni frequenti) ma vanta anche un’apprezzabile sinergia tra testo e figure. Le illustrazioni a colori di Isadora Bucciarelli accompagnano, infatti, le parole di Piumini con puntualità, sposandone a pieno il tono leggero.

Diversi?

Diversi? è un piccolo albo illustrato in simboli che di ragazzi parla e che ai ragazzi si rivolge. Si tratta dunque di una proposta abbastanza insolita e apprezzabile se si considera la desolante carenza di risorse editoriali in Comunicazione Aumentativa e Alternativa che prendano in considerazione un pubblico di lettori un po’ più grandi rispetto al consueto target della scuola primaria: lettori esigenti che possono necessitare di un supporto visivo al testo ma che non per questo devono automaticamente ritenere interessanti dei contenuti adatti a dei bambini. È bene infatti ricordare che la presenza di una disabilità può rendere necessari degli accorgimenti compositivi, relativi per esempio ai codici utilizzati e una taratura dei contenuti ma anche soltanto una sola delle due cose.

Il libro mette in dialogo le voci di due ragazzi dalle abitudini, dalle caratteristiche e dagli interessi diversi che a turno si descrivono mettendo man mano in evidenza come le differenze superficiali possano nascondere una grande affinità e vicinanza dal punto di vista dei sentimenti provati. A partire dai loro ritratti, rispettivamente di ragazzo neurotipico e di ragazzo neurodivergente, le autrici stimolano il lettore a interrogarsi rispetto a cosa significhi essere diversi. Il testo, diretto ma non privo di costruzioni articolate, viene accompagnato da sagome in bianco e nero che illustrano ciò che le parole dicono e al contempo sottolineano l’idea che la diversità possa spesso essere solo un’etichetta. Dalle silhouette, infatti, la disabilità risulta del tutto invisibile.

Dove abita la frutta

Un piacevole testo in rima, illustrazioni minimali e dai colori attraenti, un impianto compositivo iterato e rassicurante: Dove abita la frutta di Caterina Bolasco offre una lettura tattile di agevole esplorazione che stuzzica l’appetito del lettore con una serie di versi dedicati ai diversi frutti e alle relative piante.

Limoni, uva, ciliegie, castagne, fragole e pesche sono protagonisti di ampie pagine in cartoncino nero, su cui spiccano in maniera felicemente contrastata le illustrazioni colorate a collage materico. Accompagnate da brevissimi testi descrittivi in rima, che evidenziano uno o due tratti peculiari di ogni albero e di ogni frutto, queste si fanno particolarmente apprezzare per la scelta oculata ed efficacissima dei materiali con cui i soggetti sono rappresentati. L’idea di impiegare, per esempi, le solette in gel – rispettivamente nella parte totalmente liscia e in quella puntinata – per sagomare la fragola o le ciliegie è, per esempio, un piccolo colpo di genio.

Questa attenzione a offrire materiali significativi, unita a uno stile compositivo votato all’essenzialità (pochissimi elementi ben distinguibili per ogni albero e frutto), agevola il riconoscimento dei soggetti nonostante questi siano in buona parte aderenti a modelli di rappresentazione basati sulla vista (gli alberi, nella fattispecie, presentano puntualmente la forma tronco + chioma con una sagoma diversa). A sostenere il lettore nelle operazioni di decodifica concorre inoltre la struttura fissa della doppia pagina che vede sempre il testo in nero e in Braille collocato nella parte bassa, la rappresentazione dell’albero sulla sinistra e la rappresentazione del frutto sulla destra.

Completa il volume un’ultima doppia pagina che raccoglie alcune ricette, anch’esse scritte sia in nero sia in Braille, che vedono protagonisti i frutti descritti e che costituiscono un rinnovato invito a costruire collegamenti funzionali tra il mondo reale e quello dei libri.

Piccolo Blu e Piccolo Giallo

Il giorno in cui viene pubblicato un libro accessibile di qualità è un buon giorno per l’inclusione. Il giorno in cui viene pubblicata una versione accessibile di qualità di un libro per l’infanzia straordinario come Piccolo blu e piccolo giallo, però, è a dir poco meraviglioso. Se, come crediamo, il potenziale inclusivo di un libro accessibile risiede prima di tutto nella sua capacità di aprire alla condivisione degli immaginari, la possibilità di godere di un pilatro della cultura infantile anche in una versione in simboli è quantomai preziosa. Massima, dunque, è la gioia per l’iniziativa di Officina Babùk che ha da poco dato alle stampe il capolavoro di Lionni: un libro che peraltro si presta estremamente bene a questo tipo di resa perché caratterizzato da un’essenzialità di fondo, da testi diretti e da figure minimali ed espressive.

La storia è arcinota: due piccoli amici, rappresentati come due macchie di diverso colore, amano giocare insieme e, in seguito a un gioioso abbraccio, si fondono in un colore terzo che ne impedisce inizialmente il riconoscimento da parte dei genitori ma che diventa sul finale segno tangibile di un sentimento affettuoso. Ben distante dall’essere un semplice libro sui colori, Piccolo blu e Piccolo giallo è diventato un classico per la sua narrazione meravigliosamente semplice e insieme raffinata e per la capacità di arrivare dritto ai bambini, parlando intensamente di emozioni senza avvertire però il bisogno di costruire una storia a tema. Pensare dunque che un simile patrimonio possa ora essere condiviso anche da bambini con difficoltà comunicative o cognitive o fruito in maniera alternativa da bambini senza specifiche difficoltà in procinto di imparare a leggere (per i quali non è trascurabile la scelta di stampare il testo in maiuscolo) è cosa assai importante.

La versione di Piccolo Blu e Piccolo giallo di Officina Babùk, la cui simbolizzazione è curata da Enza Crivelli e Sante Bandirali, presta attenzione a rispettare non solo il testo originale ma anche l’equilibrio grafico che coinvolge testo e immagini e che destina agli spazi bianchi un ruolo non trascurabile. I simboli WLS, di dimensione contenuta ma fruibile, sono sempre posti sotto le parole nella parte bassa della pagina, proprio come nella versione tradizionale dell’albo. Il loro uso è funzionale a creare un supporto visivo al testo: ecco dunque che vengono impiegati qualificatori temporali, che articoli e (la maggior parte delle) preposizioni non vengono, per esempio, associati a un simbolo (ma vengono uniti al sostantivo di riferimento) e che talvolta unità di senso corrispondano a un unico simbolo. Ciò che colpisce e che dà anche la misura, però, del talento di Lionni nel parlare ai bambini, è che i simboli impiegati e resi necessari dal suo testo sono estremamente trasparenti, ossia parlano quasi da sé. La schiettezza e la chiarezza essenziale, cifre inconfondibili di Piccolo Blu e Piccolo giallo hanno, di fatto, un valore intrinseco anche in termini di accessibilità.

Fuori piove!

L’immaginazione trova sempre nuove strade: leggere Fuori piove! per credere! Nel libro di Jane Massey, la piccola protagonista viene bloccata dentro casa dal maltempo, trovandosi così faccia a faccia con  un ospite imprevisto: la noia. Di certo la bambina non può giocare a palla con il suo cagnolino (non che non ci abbia provato…) ma nulla le vieta di trasformare le cose di casa in ciò che occorre per evadere con la fantasia. Così i cuscini diventano sassi per guadare il fiume, i pupazzi dei perfetti compagni di degustazione di tè, le scale strade di collina su cui arrampicarsi. E poi si possono fare le bolle, suonare gli strumenti, travestirsi… e quando anche la scatola dei giochi finisce per svuotarsi, la sua utilità non si esaurisce. Basta un palloncino e si è già pronti a partire per un viaggio, giusto il tempo che il sole torni a fare capolino e che si formino per bene le pozzanghere in cui saltare!

Delizioso nel tratto e nel racconto, Fuori piove! dice bene del potere dell’immaginazione e del motore creativo che può essere la noia. L’autrice sa rendere in maniera molto efficace il viaggio multidirezionale tra mondo reale e mondo fantastico che la protagonista compie, grazie a un tratto minimale, a un efficace uso del colore e a una studiata scansione narrativa. Il rosso del vestito e di pochi altri oggetti chiave di scena, che spicca su scene in bianco e nero con qualche tocco tenuissimo di azzurro e rosa pastello, aiuta infatti a sottolineare l’azione. Il passaggio da un mondo all’altro avviene, dal canto suo, sempre in coincidenza con il voltare della pagina, trasformando il movimento della sfogliatura in una sorta di rituale funzionale al compiersi della magia. Questa ricorrenza, inoltre, facilita la comprensione di ciò che sta accadendo, al pari della riquadratura che scandisce la narrazione senza trascurare mai dei passaggi essenziali. Il fumetto senza parole che prende così forma appare di conseguenza molto fruibile, oltre che capace di suscitare sincera identificazione da parte del piccolo lettore.

Hank Zipzer. Chi ha ordinato quel bambino?

Avventura numero 13 per Hank Zipzer, il bambino combina-disastri-e-trova-soluzioni più simpatico di New York. 13 è un bel numero, soprattutto considerando che la qualità delle storie che compongono la serie di cui Hank è protagonista è finora sempre rimasta elevata. Come fare per mantenerla tale? Può certo essere utile una scossa, un elemento inatteso, una novità che mescoli un po’ le carte in tavola, devono aver pensato Lin Oliver ed Henry Winkler. Detto fatto: ecco che in questo nuovo volume della serie qualcosa di sorprendente accade: Hank sta per diventare fratello maggiore!

Il problema è che la sorpresa non tocca solo il lettore ma anche e soprattutto Hank stesso, che tutto si aspettava fuorché di ritrovarsi in pochi mesi con un bebè che gironzola per casa. La sua reazione è, dunque, tutt’altro che composta. Oltretutto la notizia arriva a pochi giorni dal suo compleanno e tutti sembrano più interessati a dare il benvenuto al bambino che ad aiutarlo a organizzare una festa epica. Per fortuna c’è Papa Pete, nonno insuperabile, che abbraccia le emozioni di Hank (belle e brutte, che siano) e lo accompagna nel negozio di animali per scegliere un regalo di compleanno adeguato alle aspettative. Deciso a fare uno sforzo e ad allenarsi nel prendersi cura di una creatura piccola come potrebbe essere un fratellino, Hank opta per una tarantola che decide di chiamare Rosa. Inutile dire, se un poco si conosce la serie, che la combo Hank+tarantola non può che generare scompiglio, soprattutto se si considera che Hank decide di auto-organizzarsi una festa di compleanno in solitaria, portando in pubblico la sua nuova amica.  Guai e pezze (peggiori dei guai stessi) sono dunque dietro l’angolo, ma con loro anche qualche inattesa sorpresa che fa capire ad Hank che l’arrivo di un fratellino non divide l’amore dei famigliari ma piuttosto lo moltiplica. Il che può sembrare strano, in effetti, ma è proprio vero. Questione di matematica affettiva, la discalculia questa volta non c’entra!

Divertente e scorrevole come di consueto, Hank Zipzer. Chi ha ordinato quel bambino? ruota meno di molti volumi precedenti  intorno al tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, come se questi fossero ormai una peculiarità assodata del personaggio, che emerge di tanto in tanto proprio come accade nella realtà, senza che debba necessariamente scatenare degli eventi narrativi. Restano inalterati tutti gli accorgimenti di alta leggibilità che Uovonero mette in campo in questa collana (font, spaziatura, margini, sbandieratura, colore della carta) e che continuano a renderla particolarmente gradevole non solo nei contenuti ma anche alla vista.

I guai di mini cowboy

Un cowboy si giudica dal suo coraggio, non dalla sua statura.  Eppure, per chi è alto poco più di un soldo di cacio, la vita del west sembra particolarmente dura. Un’impresa montare a cavallo, impossibile ordinare da bere, ridicole taglie sulla testa proporzionate all’altezza. Mini cowboy lo sa bene e per far fronte agli inconvenienti dovuti ai suoi centimetri ridotti, prova ogni sorta di ingegnosa soluzione. Sarà però l’incontro con altri due cowboy (anzi, un cowboy e una cowgirl) che condividono i suoi stessi crucci a permettergli di trovare la soluzione. Perché è proprio vero che non è importante essere alti ma essere all’altezza!

Scritto e illustrato dall’inglese Daniel Frost, I guai di mini cowboy fa deliziosamente leva sull’immaginario western dando vita a una storia insieme buffa e serrata. L’autore privilegia illustrazioni asciutte e dai colori accesi, in cui spiccano i giochi di altezze e prospettive su cui si basa l’intero libro. Le ampie pagine del volume danno loro ampio spazio e restituiscono pieno valore alla tensione grande-piccolo che anima il racconto. Quest’ultimo procede spedito e secco attraverso frasi perlopiù brevi e distribuite con grande parsimonia, così da lasciare il maggior spazio possibile alle figure.

Già in catalogo per Babalibri, I guai di mini cowboy trova ora una nuova veste (che non sostituisce ma si affianca alla precedente) in cui il testo viene supportato visivamente dai simboli a beneficio dei lettori che faticano, per ragioni diverse, a padroneggiare la lettura alfabetica: bambini con disabilità comunicative e intellettive, per esempio, ma anche bambini stranieri e, più genericamente, bambini in età prescolare. Il libro, pubblicato da Officinia Babùk, è in tutto e per tutto identico alla versione tradizionale, fatto salvo per l’aggiunta dei simboli WLS. Anche il testo, in questo caso, non subisce la benché minima modifica e l’ampio formato delle pagine ne facilita un inserimento che mantiene inalterato l’equilibrio con le illustrazioni. Proprio la grandezza delle pagine, inoltre, consente di fare un propizio uso del volume anche in contesti di lettura collettiva.

I simboli, dal canto loro, sono impiegati secondo una logica di economia ed efficacia: un unico simbolo, per esempio,  affianca non singole parole ma porzioni di testo che compongono unità di senso così come più simboli vengono talvolta posti all’interno dello stesso riquadro per rendere più immediata la comprensione del significato (es: altri cowboy = simbolo di “altri” e simbolo di “cowboy” o trovarli = simbolo per “trovare” e simbolo per “loro”). L’idea è quella, infatti, non di impiegare in maniera rigida il codice simbolico ma di sfruttarne le potenzialità per facilitare la comprensione e/o il passaggio alla lettura autonoma, garantendo a tutti i lettori la possibilità di godere dell’incontro con il libro come di un’esperienza piacevole e non legata a una logica di performance.

È rosso? È giallo? È blu?

Si scrive Tana Hoban, si legge versatilità. I libri della nota fotografa statunitense, che iniziano finalmente ad arrivare anche in Italia grazie soprattutto al lavoro di Camelozampa, hanno infatti la rara e apprezzabile capacità di prestarsi ad approcci e modalità di lettura diversi, che ciascun lettore può calibrare sulle sue preferenze e abilità. I percorsi visivi allestiti da Tana Hoban prendono forma, infatti, a partire da fotografie molto riconoscibili e attraenti, esplorabili nella loro individualità o nelle sottili e molteplici relazioni che le legano. Con quelle immagini, poi, il lettore può guardare, analizzare, giocare, collegare, immaginare, e questo, probabilmente è il senso più profondo di quell’educazione allo sguardo che sta al cuore della pratica artistica dell’autrice.

È rosso? È giallo? È blu? è, in questo senso, un libro particolarmente emblematico. Come la maggior parte dei volumi di Tana Hoban si presenta privo di parole e dedica ogni pagina a una singola fotografia. Rispetto agli altri libri della fotografa, però, questo propone sotto ogni immagine uno o più pallini colorati che ne riprendono i colori dominanti. Quei pallini possono essere una guida o una sfida nell’esplorazione della figura (come a dire, implicitamente: cosa c’è di rosso, di giallo e di blu in questa foto? oppure: Riesci a trovare tutti questi colori?). Sollecitato da questa traccia, il lettore si trova a scannerizzare con particolare attenzione l’immagine che si trova sotto gli occhi, soffermandosi sui dettagli e cogliendo armonie, risonanze, motivi e collegamenti con le altre figure che altrimenti potrebbero risultare più sfuggenti. È un’attività, questa, che genera soddisfazione e interesse sia che venga condotta in solitudine sia che si faccia pretesto di condivisione: e anche questo è elemento di versatilità.

In quanti modi, poi, si possono leggere le fotografie di È rosso? È giallo? È blu?, tutte peraltro contraddistinte da inquadrature nette per quanto non scontate, soggetti decifrabili (ombrelli, foglie, caramelle e occhiali popolano senza dubbio la quotidianità del lettore, anche a distanza di 35 anni dalla prima pubblicazione del libro), assenza di dettagli superflui, chiara presenza dei colori indicati? Moltissimi! Tra quelle figure si può sperimentare il piacere del riconoscimento dei soggetti, del ritrovamento cromatico, del confronto tra figure ravvicinate, della minima costruzione narrativa e dell’invenzione, solo per fare qualche esempio. Un estintore che pare quasi un personaggio animato o un bambino con una scatola in testa invitano quasi istintivamente a ritrovare in un’immagine statica lo spunto per andare oltre, per inventare. Allo stesso modo, l’accostamento apparentemente neutro di una bambina in bicicletta e di un parcheggio affollato porta a far emergere un numero inatteso di categorie – singolare/plurale, staticità/movimento, ordine/disordine, umano/inanimato… – con le quali interrogare ciò che ci si trova davanti e ad attivare così una sorta di dialogo figurato.

E poi ancora,  a lasciarsi solleticare dalle somiglianze e dai contrasti che creano relazioni tra fotografie, dalla tensione tra ciò che è familiare e ciò che è insolito (un’anguria è cosa nota, un’anguria con un taglio quadrato genera un poco di straniamento…), dai sottili fili che possono legare immagini apparentemente estranee (fili formali come un disegno che ritorna su una cartaccia e su un vestito o fili semantici come l’acqua che schizza da una fontana e quella che, invisibile, che è contenuta in un tubo…) si scoprono mille e uno modi di entrare nelle figure e di leggerle. Sicché, occorre essere davvero miopi per non riconoscere in questo tipo di esperienza una forma di lettura piena e autentica al pari di quella alfabetica.

Il gatto con gli stivali

Alla storia del gatto furbo che aiuta il suo padrone a sposare la figlia del re, facendolo credere ricco, è dedicata l’ultima uscita dei Pesci Parlanti di Uovonero, l’unica collana di fiabe in simboli PCS ad oggi disponibile sul mercato. Contraddistinto come i precedenti da testi ridotti al nocciolo (l’incipit “Un mugnaio muore.” È in questo senso forse anche troppo emblematico!), impaginazione ariosa, simboli grandi e netta distinzione tra testo e illustrazioni, Il gatto con gli stivali offre un racconto dinamico e animato da diversi personaggi che rendono la narrazione particolarmente densa e tutt’altro che scontata.

Apprezzabile, soprattutto per un pubblico con importanti difficoltà comunicative e cognitive, la costruzione dei testi – sempre minimali, chiari e lineari – a cura di Enza Crivelli e la scelta di simbolizzarli, certo dettata anche dalla scelta della collezione PCS, procedendo per unità di senso e non per singole parole. I simboli, dal canto loro, appaiono chiari, pertinenti ed efficaci nel supportare la comprensione del racconto, anche se la scelta di ricorrere all’illustrazione in luogo dell’icona viene usata in maniera irregolare (per il marchese, il gatto e l’orco ma non, per esempio, per il re e per la principessa). Preziosa e funzionale, come già rilevato in passato, la sagomatura irregolare delle pagine che ne agevola la sfogliatura autonoma anche in caso di disprassia. Brevettato da Uovonero, questo formato denominato sfogliafacile® viene applicato nei titoli più recenti a pagine più sottili e dunque più leggere senza che tuttavia la praticità e l’efficacia della soluzione cartotecnica vengano compromesse.

Rispetto ad altri volumi, come il recente I vestiti nuovi dell’imperatore, questo predilige illustrazioni di stampo più tradizionale. Affidate alla matita di Roberta Angeletti, queste si caratterizzano per un tratto delicato, colori pastello e inquadrature nette che mettono in evidenza i protagonisti e gli eventi narrati senza dedicare spazio ad elementi marginali o di contorno.

Gugo impara a usare il vasino

Già protagonista di due albi illustrati tradotti in simboli – uno secondo il modello inbook e l’altro da Fondazione Paideia – il personaggio di Anna, bambina in età prescolare alle prese con le sfide di un’età ricca di scoperte, torna protagonista di due storie inclusive targate Clavis.

Anna impara a usare il vasino e Anna si lava i denti sono infatti resi disponibili dall’editore in una nuova versione (che non sostituisce ma si affianca a quella tradizionale) in cui il testo è supportato dei simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Entrambi si rifanno nuovamente al modello inbook privilegiando il rispetto del testo, che non subisce dunque variazioni rispetto all’originale, l’uso di simboli WLS, la simbolizzazione dei singoli elementi lessicali e l’unione di parola e simbolo all’interno del riquadro. Ne risultano pagine piuttosto piene dal punto di vista grafico, benché i riquadri riescano a mantenere una dimensione sufficientemente ampia e la separazione netta e regolare tra pagina del testo e pagina dell’illustrazione faciliti l’orientamento del lettore.

Entrambe le storie in questione presentano una natura ibrida che di fatto veste da albo illustrato una sorta di storia sociale. Anna impara a usare il vasino, per esempio, scandisce con precisione i diversi passaggi che il bambino deve seguire per poter usare efficacemente il vasino, dall’abbassamento di pantaloni e mutandine all’accurato lavaggio delle mani. A fine di rendere la cronaca più briosa giocano un ruolo primario le illustrazioni colorate e amichevoli di Kathleen Amant – l’autrice a cui si deve per l’appunto la fortunata serie di Anna – e la presenza di un personaggio collaterale come il pupazzo Gugo. Sempre al fianco della protagonista, questo non solo la accompagna in ogni sua impresa quotidiana ma è anche l’interlocutore a cui la protagonista si rivolge: cosa che rende le spiegazioni al centro del volume meno piatte e impersonali.  Questo aspetto risulta particolarmente evidente in questo volume a partire dal titolo che, dal canto suo, non fa riferimento alla bambina (come gli altri volumi della serie), bensì a Gugo stesso.

Alfred e la gogna

Trascorrere buona parte della propria vita alla gogna, nella pubblica piazza, schivando insulti e ortaggi e assistendo impotenti al passaggio indifferente (quando non disgustato) dei propri concittadini: questa è la sorte che è toccata ad Alfred, il protagonista di questa storia. Accusato di lesa maestà in un tempo così lontano che nessuno se lo ricorda nemmeno più, Alfred non nasconde i segni di questa lunghissima punizione. Il suo corpo è quasi irriconoscibile sotto strati di sudiciume e sotto l’effetto delle intemperie. Ma è soprattutto il suo pensiero ad apparire deformato: Alfred è ormai rassegnato a condurre una vita in catene, i ricordi di ciò che è stato prima pian piano sfumano e così sogni e riflessioni rivolte al futuro si fanno via via più indistinti, grezzi, quasi ferini. Di pari passo va il suo modo di esprimersi, intriso della rabbia che la condizione inumana a cui è costretto alimenta. Alfred bofonchia, urla, fa versi, lancia improperi a destra e a manca. Il suo frequente turpiloquio, non privo di un lato buffo, dice forte e chiaro il suo stato di disagio a cui nessuno, tuttavia, sembra ormai prestare caso.

Cosa accade però se quel disagio viene guardato e non ignorato, accolto e non deriso? Accade che le cose poco a poco possono cambiare, e con loro anche le persone. Ecco allora che l’incoronazione di un nuovo sovrano, fatto di tutt’altra pasta rispetto al precedente, e l’incontro con una fanciulla premurosa, curiosa e capace di distinguersi dalla massa, rimette in gioco una corte che sembrava irrimediabilmente segnata. Quegli incontri segnano un cambio di marcia: nulla di miracoloso, si badi bene, piuttosto un lento processo fatto di passi avanti e passi indietro, aperture e ritrosie, slanci e ripensamenti. Ma è proprio l’incertezza di quel processo a renderlo così vero e appassionante per il lettore, che lo segue con il sorriso e un pizzico di trepidazione, godendo fino alla fine di quel suo fare irriverente e sdegnoso dei conformismi.

Non convenzionale nei personaggi come nel linguaggio, Alfred e la gogna si fa apprezzare anche per l’attenzione che, nell’edizione italiana curata da Uovonero, viene riservata all’accessibilità. Il libro presenta infatti caratteristiche di alta leggibilità che non concernono solo la font ma anche la spaziatura (tra lettere, parole, righe e – cosa non scontata ma importante – paragrafi), i margini, la sbandieratura, il tipo e il colore della carta. Non solo: grazie alla collaborazione già sperimentata con Emons audiolibri, il testo può essere fruito anche in modalità audio. La presenza di un QRcode sulla prima pagina consente infatti di scarica l’audiolibro, ascoltabile tramite l’app gratuita Emons audiolibri.

Il Natale di Pettson

Il gatto Findus e il suo padrone Pettson, inventati dall’autore svedese Sven Nordqvist, sono due personaggi irresistibili e così, ça va sans dire, sono le loro avventure. Inaugurate dal volume Una torta per Findus, queste sono state portate in Italia da Camelozampa che le sta pian piano raccogliendo e proponendo all’interno di una bella collana dedicata del suo catalogo. Sono avventure cui vale la pena dedicare attenzione perché offrono letture abbordabili e accattivanti che possono rappresentare una validissima proposta anche per i lettori più riluttanti o che sperimentino difficoltà legate alla dislessia. Non solo, infatti, la collana Pettson e Findus è impaginata e stampata dall’editore con alcune caratteristiche di alta leggibilità come il font EasyReading, la sbandieratura a destra e un minimo di spaziatura in più tra le parole e le righe, ma i volumi che la compongono si caratterizzano per una lunghezza contenuta, un ampio spazio riservato alle illustrazioni, testi perlopiù paratattici e ritmo sostenuto. Al lettore vengono cioè offerte delle storie gradevolissime, ricche di avvenimenti sempre diversi ma animate da due protagonisti ricorrenti e familiari, presentate in una forma che riserva un ruolo significativo alle figure (molto dinamiche e particolareggiate) ma che al contempo amplia la misura del racconto rispetto a ciò che accade in un albo illustrato.

Il Natale di Pettson presenta, dal canto suo, tutte queste caratteristiche e propone una storia che profuma intensamente di festa. Decisi a celebrare come si deve il Natale, Pettson e Findus si preparano a una vigilia operosa in cui non possono mancare il taglio e la decorazione dell’abete, la preparazione di piatti tradizionali e le pulizie di casa. Una brutta (ma buffa) caduta dallo slittino costringe però Pettson all’immobilità e così, con somma delusione di Findus, albero e delizie culinarie sembrano sfumare: toccherà accontentarsi di cibo ordinario e decorazioni di recupero. Non tutto è perduto però: quando i vicini di casa scoprono dell’incidente di Pettson, la casa torna a risplendere. I piatti e la gioia delle feste non mancheranno, alla fine. E anche un albero decorato con cucchiai, orologi e termometri finirà per dire forte e chiara la magia del Natale.

Anna si lava i denti

Già protagonista di due albi illustrati tradotti in simboli – uno secondo il modello inbook e l’altro da Fondazione Paideia – il personaggio di Anna, bambina in età prescolare alle prese con le sfide di un’età ricca di scoperte, torna protagonista di due storie inclusive targate Clavis.

Anna impara a usare il vasino e Anna si lava i denti sono infatti resi disponibili dall’editore in una nuova versione (che non sostituisce ma si affianca a quella tradizionale) in cui il testo è supportato dei simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Entrambi si rifanno nuovamente al modello inbook privilegiando il rispetto del testo, che non subisce dunque variazioni rispetto all’originale, l’uso di simboli WLS, la simbolizzazione dei singoli elementi lessicali e l’unione di parola e simbolo all’interno del riquadro. Ne risultano pagine piuttosto piene dal punto di vista grafico, benché i riquadri riescano a mantenere una dimensione sufficientemente ampia e la separazione netta e regolare tra pagina del testo e pagina dell’illustrazione faciliti l’orientamento del lettore.

Entrambe le storie in questione presentano una natura ibrida che di fatto veste da albo illustrato una sorta di storia sociale. Anna si lava i denti, per esempio, scandisce con precisione i diversi passaggi che il bambino deve seguire per una corretta igiene orale prima della nanna. Al fine di rendere il racconto, che di fatto è piuttosto descrittivo, più brioso, giocano un ruolo primario le illustrazioni colorate e amichevoli di Kathleen Amant – l’autrice a cui si deve per l’appunto la fortunata serie di Anna – e la presenza del personaggio collaterale del pupazzo Gugo. Sempre al fianco della protagonista, questo non solo la accompagna in ogni sua impresa quotidiana ma è anche l’interlocutore a cui la spesso protagonista si rivolge come se fosse lui il destinatario delle indicazioni fornite. Una scelta, questa, che  concorre a rendere il racconto meno piatto e impersonale.

Mi chiamano Teschio

Il paese di Monte Quiete, sperduto, mignon e apparentemente tranquillo, è un luogo ormai familiare a molti lettori. Qui hanno avuto luogo le straordinarie avventure di Giustino in compagnia del pirata Sgrunt, e ha preso forma il famigerato piano di Mia e Testone per far chiudere la scuola locale. Giustino, Sgrunt, Mia e Testone, tipi dai tratti riconoscibili e memorabili, sono solo alcuni degli abitanti del posto nati dal felice sodalizio tra Daniele Movarelli e Alice Coppini e protagonisti dei racconti illustrati targati Sinnos. Non meno iconici, però, sono i cattivi di turno che in questi racconti si sono sempre ritagliati un ruolo: Teschio, il capo banda, Tozzo e Smilzo, i suoi scagnozzi, sono infatti ragazzini prepotenti dal look e della fisionomia eloquenti, che di divertono a importunare i bambini più timidi e a far compiere grandi voli ai 54 gatti del paese.

Nel terzo episodio della serie, proprio i bulli diventano protagonisti (il titolo Mi chiamano Teschio lo lascia in effetti intuire!). Attratti dall’idea che la nuova maestra della scuola possa essere una strega e nascondere segreti terrificanti, i tre decidono di appostarsi vicino al cimitero dove l’hanno vista sostare più volte. Tozzo e Smilzo, però, si tirano indietro all’ultimo con scuse improbabili e così Teschio si ritrova da solo a pedinare la maestra Atena. Le cose non andranno esattamente come Teschio immaginava ma le strade impreviste che le giornate a volte prendono, possono essere dei felici punti di svolta nelle vite degli individui. E così è per Teschio che, scoprendo un lato inatteso della maestra e condividendo con lei un’attività nuova, finisce di fatto a fare i conti con la sua identità e con un’immagine di sé che non lo soddisfa davvero. Ché anche il più duro dei teschi, forse forse preferisce farsi (ri)conoscere come Jacopo…

Tenero ma tutt’altro che melenso e soprattutto capace di non sacrificare lo spirito ironico e intrepido sull’altare di un messaggio edificante, Mi chiamano Teschio ha il sapore di un’avventura insieme familiare e sorprendente. La dimestichezza che il lettore può avere non solo con i personaggi e il contesto ma anche con lo stile compositivo e con una narrazione che mescola efficacemente racconto, figure e fumetti, ne facilita l’orientamento e ne agevola l’immersione e il godimento della storia. Dall’altro lato, la scelta di guardare oltre le apparenze e portare in primo piano il personaggio più scomodo, spiazza e suscita piacevole curiosità. Questo, unito all’attenzione che abitualmente Sinnos dedica alla leggibilità dei suoi testi, grazie a scelte che investono font, impaginazione e tipo di carta, fa di Mi chiamo teschio una lettura molto apprezzabile e da non sottovalutare in un’ipotetica rosa di proposte rivolte anche ai lettori più riluttanti.