Confini

Capita talvolta di imbattersi in libri così ricchi e folgoranti che dirne diventa cosa difficile. Difficile scegliere da dove partire, difficile trovare le parole aderenti alla meraviglia, difficile condensare una gran mole di spunti in poco spazio. Ecco, Confini è in tutto e per tutto uno di quei libri: un volume cioè su cui vale la pena attardarsi e lasciar sedimentare folgorazioni e lampi.

Di un’attualità purtroppo disarmante, il libro curato da Antonella Veracchi e Michela Tonelli percorre i diversi tipi di barriere che limitano o impediscono non solo gli spostamenti delle persone ma anche e soprattutto le loro relazioni. I confini, così come il libro illustra in maniera davvero incisiva, sono infatti geografici ma anche mentali, culturali e comunicativi. Così, sfogliando ed esplorando le pagine essenziali ma densissime di pensiero che compongono questo albo, ci si trova ad attraversa corsi d’acqua e catene montuose, distese desertiche e muri altissimi, barriere metalliche e labirinti di parole: linee “accoglienti o respingenti”, a seconda dello sguardo che vi si posa e dell’atteggiamento che ne nasce. “Apriamo i confini” è l’invito conclusivo, che accompagna una busta in cui si raccolgono le testimonianze di chi lunghi viaggi e duri superamenti di confini, negli anni, li ha sperimentati sulla sua pelle e a cui si possono aggiungere i racconti degli stessi lettori. Un invito schiettissimo, chiaro e netto – in pieno e voluto contrasto con il tono evocativo delle altre pagine – reso necessario da un tempo in cui dire a voce alta da che parte si sta si è fatto drammaticamente importante.

Ecco, già così, per la maniera fortissima in cui il tema dello sconfinamento viene trattato, Confini meriterebbe una certa attenzione. Ma ciò che lo rende davvero straordinario, in realtà, è la maniera in cui il libro è costruito, latrice a sua volta di un messaggio forse ancor più potente. Confini non è infatti un comune libro tattile – composto cioè di illustrazioni a collage materico esplorabili e decodificabili anche al tatto e proposto dall’editore anche in una versione arricchita dal Braille – ma è un libro tattile in cui le mani non servono solo per godere delle illustrazioni ma anche e soprattutto per tessere relazioni.  In che modo? Il libro è costruito per essere aperto in verticale e per essere letto in tandem, da due lettori posti l’uno davanti all’altro grazie a un testo e a delle immagini che si presentano specularmente su una pagina e su quella di fronte. Questo fa sì che tra i due lettori si debba necessariamente stabilire una connessione, quantomeno per capire chi legge cosa e con che ritmo. Si legge insieme? Si legge un pezzo ciascuno? Ciò che c’è scritto su una pagina è uguale a ciò che c’è scritto su quella del compagno? L’unico modo per trovare delle risposte è mettere in moto la lettura, buttarsi, sperimentare. E questo di per sé chiede un primo moto di avvicinamento, di empatia. Dopodiché la spinta vera viene dalle immagini e in particolare dalla loro forma e collocazione. Costruite sfruttando meccanismi insoliti e ingegnosi come il labirinto o il popup e poste sempre a cavallo tra le due pagine, queste portano infatti inevitabilmente le mani dei lettori ad approssimarsi, toccarsi, prendere le misure e financo intrecciarsi in quella che pare una danza solitaria che diventa poco a poco un passo a due. Così, senza precise indicazioni se non quella di affrontare il viaggio della lettura insieme a qualcun altro posto di fronte, il libro si anima e un vero e proprio sconfinamento si attua, restituendo al lettore il senso più autentico del volume che ha tra le mani. Perché sconfinare, letteralmente e metaforicamente, significa avere l’occasione di allargare il proprio orizzonte, di guardare oltre, di incontrare l’inatteso.

Chiedendo silenziosamente di essere agito, Confini dà avvio a una possibilità di incontro inattesa e capace di smuovere nel profondo. Si fa cioè vero motore di relazione, il che ne rivela una potenza davvero straordinaria. Imperdibile.

 

 

 

Clown

La caccia appassionata di Camelozampa a chicche editoriali del passato da proporre (o riproporre) in Italia ci ha regalato in poco tempo libri pazzeschi e per questo non smetteremo facilmente di dire un sentito grazie all’editore di Monselice. Un grazie che si fa ancor più accorato ora che i suoi tipi hanno reso disponibile anche nel nostro paese quel capolavoro silenzioso firmato da Quentin Blake che è Clown.

Pluripremiato, anche con il Bologna Ragazzi Award nel lontano 1996, Clown è un albo senza parole ormai più che trentenne che avrebbe potuto esser creato l’altro ieri. Nelle avventure del pagliaccio pupazzo in cerca di una casa per sé e per i suoi amici gettati nell’immondizia da una risoluta donna – madre, nonna, governante o chi lo sa? –, si ritrova infatti una visione d’infanzia puntuale e una rappresentazione del mondo adulto, capace di mettere in luce, con tutte le sue ombre, l’attualissima tendenza a controllare, strattonare, mettere in mostra e sterilizzare, letteralmente e metaforicamente parlando, i bambini e il loro mondo.

Dal bidone della spazzatura in cui viene buttato insieme ad altri giocattoli, il clown di Quentin Blake esce con una caduta rocambolesca che è anche, significativamente, l’inizio di una rimessa in piedi. Da qui, dopo aver trovato le scarpe giuste – un paio di buffi scarponcini malconci – questi inizia a rincorrere e interpellare una serie di bambini nel tentativo di farsi adottare, insieme ai suoi compari di sventura. La risposta è sempre positiva ma tra chi viene trascinato via distrattamente con una sorta di guinzaglio e chi viene allontanato dal pagliaccio presumibilmente perché zozzo, la ricerca di un nuovo compagno di giochi si fa più ardua del previsto. Fino all’incontro – al volo, è il caso di dirlo – con una bambina in una situazione di disagio famigliare il quale, pur costringendola a farsi grande più in fretta del necessario, non annichilisce la sua capacità di stupirsi, godendo di piccole magie quotidiane e rendendole forse apprezzabili anche a qualcuno dei grandi che girano nei paraggi.

Lo stile di Quentin Blake è come sempre freschissimo, irriverente e dinamico, al punto che vien da chiedersi se possa esistere un personaggio che meglio di un clown – sempre in movimento, a tratti goffo e con il suo carico di malinconica ironia – vi trovi espressione. Forse no. E forse anche per questo quest’albo che proprio un clown rende protagonista ci appare così stupefacente. Capace di coniugare uno sguardo sorridente e un grande rispetto per i temi e le vite ritratte, con i loro più o meno superficiali aspetti di povertà, Clown mette a nudo vizi e debolezze caratteristici dei grandi, rivelandone tutta la miopia dello sguardo, soprattutto quando rivolto ai piccoli.

Inimitabile nella capacità di far avanzare una narrazione  e di darle spessore emotivo affidandosi a dettagli minimi e minuziosi, Quentin Blake propone qui una storia non solo indomita – nel senso e nel ritmo – ma anche largamente accessibile. All’assenza di testo – ossia di quell’elemento che spesso preclude la possibilità di godere appieno di un bel racconto, soprattutto in caso di dislessia o sordità – si aggiunge qui una costruzione per immagini che richiede sì alcune inferenze ma che dissemina la pagina di indizi utili a compierle e che perlopiù immortala frammenti narrativi che accompagnano per mano il lettore nella decodifica dell’accaduto. Questa modalità a tratti cinematografica fa sì che al lettore si offra una certa libertà interpretativa – quella peraltro caratteristica dei silent book – senza che passaggi troppo ostici o oscuri facciano inciampare il lettore il quale dunque, anche in caso di lievi difficoltà, può godere di una performance narrativa degna di un grade artista come Blake e come il suo irresistibile Clown.

Peter Pan

Novità tattile nata in casa L’albero della Speranza, Peter pan intende offrire anche ai lettori con una disabilità visiva un assaggio delle vicende fantastiche elaborate da Barrie. Nelle pagine rilegate a spirale che compongono il volume si condensano infatti le avventure di Wendy e dei suoi fratellini, condotti da Peter e da Trilly sull’Isola che non c’è e resi partecipi del celebre scontro con Capitan Uncino. Ci sono dentro le pagine dell’albo il volo notturno, l’esplorazione della Laguna delle Sirene, dell’Accampamento indiano e della Rocca del teschio, il rapimento di Trilly, il duello con le spade e l’incontro con il Coccodrillo: un concentrato di avventura che sta proprio un po’ stretto in un numero così contenuto di pagine e che si presta  più a soddisfare la curiosità e la fantasia di chi già forse conosce la storia dell’eterno bambino che non quella di chi ne è del tutto digiuno.

Peter pan  fa parte della collana Il tocco magico edita dalla casa editrice eporediese, specializzata proprio in volumi tattili. Sia i testi e sia le illustrazioni sono firmati da Anna De Stefano, già curatrice dei precedenti titoli della collana (tra cui Il principe e Pinocchio) che condividono con quest’ultimo impostazione e cifra stilistica. Ritroviamo anche qui infatti un racconto molto asciutto, attento principalmente a sintetizzare gli avvenimenti e ad anticipare ciò che le dita scopriranno nella pagina accanto, e affiancato da illustrazioni di stampo figurativo, in cui gli umani  sono sempre in primo piano, rappresentati nella loro interezza e in maniera piuttosto dettagliata. La ricerca e l’invenzione – caratteristiche importanti di un ambito editoriale quale quello tattile – si concentrano qui dunque su altri aspetti, quali per esempio la scelta di materiali adatti a rappresentare i singoli dettagli (come la carta sottilissima da imballaggio impiegata per la nave fantasma del finale) o la cura per i particolari (come la catenella mobile alla caviglia di Trilly liberata).

Il cappello del mago

Convincere i bambini ad andare a letto a volte richiede abilità prossime alla magia. Diverso è il discorso, se la magia sono i bambini stessi a compierla! Se come Arturo, infatti, il piccolo di casa  è un giovane prestigiatore allora il rito della nanna si compie quasi da sé, con tanto di gran finale a sorpresa. Basta in quel caso un cappello portentoso da cui tirare fuori non colombe, non conigli e non mazzi di carte ma cuscini, coperte e libri: tutto il necessario per una buonanotte perfetta!

Costruito con efficace semplicità sul meccanismo della sorpresa – quella che si genera nello scarto tra i prodigi più consueti e quelli realmente messi in atto dal Mago Arturo – il libro tattile Il cappello del mago propone una lettura piacevole e piuttosto abbordabile anche in caso di disabilità visiva.

Particolarmente immediate  e riconoscibili risultano le illustrazioni a collage materico dedicate al cappello del protagonista e ad alcuni degli oggetti che questi fa comparire come la coperta e il cuscino. A queste si affiancano poi delle illustrazioni in bianco e nero a disegno puntinato – in cui cioè il contorno della figura risulta leggermente in rilievo grazie a un sistema di puntini percepibili al tatto – che nonostante la semplicità delle figure appaiono più complesse da decodificare senza l’uso della vista.

Il libro presenta una rilegatura a spirale che consente un’agevole esplorazione al tatto di tutte le componenti della pagina e un’impostazione grafica molto basica che non appaga forse molto l’occhio ma che risulta funzionale alla lettura tramite le dita. Su di uno sfondo bianco poco animato dalla presenza delle figure, dalla funzione perlopiù descrittiva, testo e immagini si trovano sulla stessa facciata ma sono disposti in modo tale da non confondere il lettore. Un’ultima notazione la merita forse il prezzo – 15 euro – che non solo è molto contenuto per un libro tattile ma è anche identico a quello della versione standard del libro priva di attenzioni specifiche per un pubblico con disabilità.

 

IMG_20181122_151700

IMG_20181122_151847

Il principe azzurro. La principessa fuxia

Ci sono libri che non vorresti chiudere, una volta terminati. Bene, Riccardo Francaviglia e Margherita Sgarlata hanno trovato la soluzione: un libro che ricomincia, con una storia nuova, nel momento esatto in cui sembra essere concluso. Come? Con un’arguta costruzione narrativa che consente di rileggere il medesimo volume a partire dal fondo. Cambia il verso di lettura ma le illustrazioni restano le stesse, perché ciò che fa emergere la nuova storia è l’occhio del lettore, focalizzato su un nuovo protagonista su indirizzo del (secondo) titolo.

Così, se dapprima è il viaggio del Principe Azzurro ad occupare la scena, a suon di duelli e mari e burrasca, in un secondo momento sono le avventure della principessa Fuxia,  con la sua traversata e i suoi pensieri amorosi, a conquistare attenzione. Ed è spiazzante, in effetti, rendersi conto che sono sempre state lì senza che vi si badasse troppo. Come per magia, cornice e primo piano si scambiano di posto, in un gioco di punti di vista tutt’altro che banale. A rendere possibile questa danza prospettica è certo l’assenza di parole – Il principe azzurro. La principessa fuxia è infatti un silent book – che lascia il lettore libero di muoversi sulla pagina e dedicare attenzione a ciò che di volta in volta ritiene opportuno. Ci troviamo quindi davanti a un racconto che, procedendo per sole immagini, strizza l’occhio e offre una lettura gustosa (ma – attenzione – non immediata e priva di sforzo interpretativo!) anche a lettori che normalmente faticano a confrontarsi con un testo scritto, per esempio per difficoltà legate alla dislessia o a una disabilità uditiva.

Con una costruzione che moltiplica le possibilità di accesso alla storia, rimette in gioco prospettive e convinzioni, Il principe azzurro. La principessa fuxia pare così dare un’originale e interessante interpretazione dell’idea proustiana secondo cui “L’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è”.

Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf

Ha una dimensione più grande della maggior parte degli albi in commercio, è piacevolmente più pesante e corposo e si presenta con un’insolita forma quadrata. Impossibile, dunque, non farsi incuriosire da Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf, fin dalla sua fisicità. È un fuori raffinato e intrigante, il suo, che si fa sincera anticipazione di un dentro che è un’autentica delizia.

Qui i due maiali che compaiono in copertina – una scrofa agghindata che torna dal mercato carica di provviste e un porcellino dall’aria monella che la tira per il grembiule  – sono immortalati in alcuni momenti, tanto gustosi quanto apparentemente irrilevanti, di una giornata qualunque. Un pettegolezzo al telefono, una torta in preparazione, una cena distinta, un bagno rilassante: tutti istanti  di poco conto nella quotidianità di una suina signora, se non fosse per quel terremoto del suo figliolo che li trasforma in ghiotte occasioni per qualche guaio. E così, tra frange di tappeto tagliuzzate, uova rotte e  cerbottane di ciambellone, il maialino invita il lettore scoprire marachelle sempre nuove fino quasi a sentirsene felicemente complice.

È un invito irresistibile, in effetti, quello a voltare pagina seguendo lo scorrere del giorno. Complici di grande effetto, sono i finissimi intagli che dinamizzano e prolungano ogni scena, trasformandola in una sorta di quinta teatrale dietro cui sbirciare. Il lettore ha così modo di sfogliare pagine preziose nella loro delicatezza che offrono piccole gustose anteprime di ciò che verrà dopo: un personaggio, un’azione o anche solo un ambiente, comunque sufficienti a far venire l’acquolina narrativa in bocca. È un coinvolgimento insieme emotivo (sfido a trovare qualcuno che non abbia compiuto simili guai domestici) ma anche fisico, poiché si ha letteralmente l’impressione di varcare le porte ed entrare nelle stanze in cui le diverse scene si svolgono. La soddisfazione di lettura e rilettura, in solitaria o anche a due voci genitore-figlio, è dunque grande. L’assenza di parole, poi, unita a un’innegabile raffinatezza stilistica la rende fruibile anche a giovanissimi lettori che poco d’accordo vanno con il testo scritto, per esempio perché dislessici o sordi, ma che in un racconto per immagini trovano terreno fertile e accessibile per i loro volteggi fantastici.

Edito originariamente nel 1978, pubblicato per la prima volta nel nostro paese dalla visionaria casa editrice di Rosellina Archinto (con il titolo Un giorno nella vita di Cecilia Lardò), la mitica Emme Edizioni, Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf torna ora a solleticare i lettori italiani grazie alla felicissima intuizione e iniziativa di una casa editrice fresca fresca, la LupoGuido. Primo titolo in catalogo per la casa editrice milanese, il silent book firmato da Tatjana Hauptmann festeggia così i suoi primi quarant’anni, continuando a offrire un ritratto scanzonato e realissimo dell’infanzia in cui bricconi di ogni età non faticheranno a riconoscersi e mamme di ogni tempo troveranno sorridente conforto!

Viaggio incantato

Si è preso tanto tempo, Mitsumasa Anno, per comporre Viaggio incantato: lo racconta lui stesso in una nota che apre il volume. Un tempo lento, prezioso, sospeso: lo stesso che il lettore dovrebbe, a sua volta, potersi regalare per assaporare a modinoquesto albo così ricco e delizioso. Sarebbe tempo ben speso.

Viaggio incantato è infatti il racconto di un viaggio in un tempo e in luoghi lontani: un viaggio a misura d’uomo, senza la fretta di arrivare a una meta o l’incombenza di portare a termine un compito. È un viaggio in cui il protagonista lascia la sua terra su una barca e ne esplora una nuova su un cavallo, attraversando strade, villaggi, campi e città. Ma è soprattutto un viaggio in cui ciò che conta è davvero il gusto di viaggiare, di vedere, di scoprire. Protagonista, a dispetto delle aspettativa, non è infatti il cavaliere – quasi invisibile, talvolta apparentemente immobile, comunque discretissimo – ma ciò che questi di volta in volta incrocia e osserva. Sono quadri brulicanti quelli che lo accolgono senza che ci sia una vera e propria interazione: quadri in cui illavoro, la convivialità, il lato quotidiano e il lato eccezionale della vita, le città reali e quelle fantastiche, i riferimenti all’arte, al cinema e alle fiabe si mescolano attraverso figure minutissime tra le quali, letteralmente, ci si perde.

Che siate alla ricerca di un libro cerca-trova, di un albo che vi assorba completamente, di una storia che sembra sospesa, di un libro inclusivo in cui non ci siano barriere testuali, di una proposta trasversale per adulti e bambini o di un libro che lasci il lettore letteralmente a bocca spalancata, ecco in tutti questi casi (e molti altri ancora, a dire il vero) siete davanti al libro giusto. Viaggio incantatoè infatti uno di quei volumi straordinari che soddisfano attese diverse e che offrono possibilità di ingresso e sedimentazione molteplici. È uno di quei libri, frutto di una lunga gestazione, che ripagano con uno sguardo ampio e larga emozione il lettore che gli si accosti senza fretta e con una certa disponibilità allo stupore.

 

 

Che capolavoro!

Ci sono due storie che si incontrano e si intrecciano in questo libro originalissimo firmato da Riccardo Guasco: la storia del protagonista e la storia dell’arte. Come avviene quest’incontro è un’autentica magia: l’autore, infatti, racconta la giornata di un bambino, intento a portare il suo contributo a una grande scultura collettiva, attraverso pagine che omaggiano numerosi capolavori artistici di tutti i tempi. Man mano che il lettore sfoglia il libro, seguendo il sonno, il risveglio e il percorso del personaggio, si trova immerso in atmosfere che con un tocco di genialità mantengono intatto il filo narrativo ma al contempo strizzano l’occhio ad alcuni dei più grandi artisti di tutti i tempi

Così, per esempio, la notte con cui si apre il volume richiama con forza Klee e Van Gogh, la colazione in famiglia mette in scena Modigliani e Magritte e il viaggio in tram arriva persino a Banksy. È un continuo echeggiare di stili e opere – taluni davvero inconfondibili come gli orologi molli di Dalì, talaltri meno noti come l’Uomo che cammina di Giacometti, passando attraverso rivisitazioni libere de La primavera di Botticelli e riferimenti più pop, per esempio alla celebre immagine dei Beatles che attraversano la strada – quello che invita il lettore a partecipare a una piccola caccia al quadro ma anche a non trascurare il contributo che ciascuno di noi può dare alla bellezza del mondo.

Il risultato è un libro che non smette nemmeno un secondo di solleticare la curiosità del lettore, rievocando atmosfere e immagini a lui più o meno note o instillando la voglia di scoprire quelle che gli sfuggono. Che capolavoro!è insomma un volume che di consueto ha davvero poco: non solo perché la narrazione procede solo per immagini (ma d’altronde nell’arte non sono forse le immagini a parlare?), risultando fruibile e accattivante anche per molti lettori con difficoltà di decodifica testuale, ma anche perché sa giocare e far giocare con l’arte in una maniera deliziosamente intelligente!

La notte del circo

È sera tardi, le undici in punto, e dalla finestra aperta della sua stanza da letto una bimba fa entrare di soppiatto un cagnolino nero. La loro è amicizia a prima vista: insieme per più di un’ora giocano a si scatenano in numeri – con la palla, con i cerchi, col tamburo e con la sbarra – degni di un circo. E proprio a un circo, in effetti, l’animale torna, quando la piccola si addormenta. Il risveglio sarà brusco e triste per lei: la palla, i cerchi, il tamburo e la sbarra non hanno più lo stesso fascino senza un compagno di acrobazie. Il sonno riserva però una sorpresa straordinaria e la bimba, riaddormentatasi, si ritrova trasportata da un clown gigantesco sotto il tendone del più fantastico dei circhi. Qui non solo ritrova il suo amico a quattro zampe ma sperimenta l’euforia elettrizzante che le acrobazie circensi possono riservare. Sarà un sogno mirabolante il suo, pieno di ritmo, capriole e meraviglia, e se proprio solo di un sogno si tratti tocca al lettore stabilirlo.

In questo silent book che fa scintillare gli occhi e l’immaginazione, Mattias De Leeuw infonde tuttolo stupore e la magia del sogno. Ad occhi chiusi e ad occhi aperti. Il mondo circense a cui dà vita è pieno zeppo di particolari che fanno di ogni pagina un piccolo spettacolo. È un libro che tira e tesse una moltitudine di fili, il suo: fili su cui camminare con e come un equilibrista, fili che legano le pagine grazie a dettagli minuziosissimi, fili che animano le silhouette smilze dei personaggi e fili che creano una rete tra il mondo onirico e quello reale. L’assenza di parole, che ben si confà peraltro a un mondo come quello di clown e animali, dà vita a un racconto che richiede al lettore un’immersione profonda e sospende pressoché il tempo. Curatissimo nel ritmo, scandito da doppie pagine di ampio respiro che si alternano a pagine frammentatissime, La notte del circo va incontro a lettori curiosi e pazienti, le cui capacità di attenzione e decodifica delle immagini siano un pochino impratichite.

Ombra

Se c’è un soggetto che più di tutti costituisce una sfida per un libro tattile è proprio l’ombra. Impalpabile, questa sfugge all’esperienza delle persone cieche. È possibile, dunque, dare una forma, una consistenza, una rappresentabilità tattile a qualcosa di così inafferrabile? E se sì, come? Michela Tonelli e Antonella Veracchi hanno provato a dare una risposta a queste domande in un volume che ha vinto il titolo di miglior libro didattico al terzo concorso di editoria tattile Tocca a te.

Lo hanno fatto trovando una chiave di volta molto efficace nella personificazione dell’ombra. Rappresentata mentre fugge se cerchi di rincorrerla, intenta a giocare a nascondino a mezzogiorno, lunga e sottile la sera e infine scomparsa quando cala la notte, l’ombra diventa un’amica, una compagna di viaggio, qualcosa che assume un senso al di là della concreta possibilità di percepirla coi sensi. Sono dunque il gioco e l’immaginazione le porte che schiudono al lettore cieco non tanto la comprensione quanto la curiosità verso qualcosa che pertiene a un mondo in cui domina la vista e che al contempo mettono a parte il lettore vedente  di un nuovo modo di considerare la sua ombra.

Il libro infatti si rivolge a entrambi, accettando la sfida di raccontare l’ombra a chi non la può vedere e di rinnovare la percezione di chi invece può farlo. In questo senso la scelta di testi misuratissimi nella lunghezza e nella composizione, di illustrazioni essenziali in cui compaiono solo il suolo, una figura umana, la sua ombra e il sole, e di cui soltanto gli ultimi due, insieme ai colori, cambiano di forma e posizione, è funzionale e vincente perché mantiene viva una certa indispensabile vaghezza. A completare una riflessione per le dita davvero suggestiva, la presenza di una taschina finale con una sagoma nera di stoffa con cui giocare, dormire, inventare. E a quel punto, sì, l’ombra è davvero diventata un’amica.

Sogni d’oro

La frequentazione dei terreni del racconto senza parole non è cosa nuova per Paola Formica. Suoi, i bellissimi silent book Orizzonti e Cuore di Tigre editi negli anni passati da Carthusia. Sicché, l’ultimo lavoro tutto per immagini realizzato dall’autrice e intitolato Sogni d’oro, pur rivolgendosi a bambini più piccoli e adottando un tema ben più leggero dei precedenti, nasce a partire da un’esperienza ben consolidata e matura. E si vede. Questo albo senza parole pubblicato da San Paolo e dedicato al gioioso momento serale in cui la fantasia spalanca le porte al sogno, sposa infatti con perizia un’apprezzabile chiarezza narrativa e una capacità di giocare con ciò che le immagini velano e svelano. L’albo non solo, dunque, procede senza parole ma è progettato per valorizzare il potenziale  narrativo che è caratteristico del codice iconico.

Protagonista del libro è una bambina che si accinge ad andare a dormire. Copertina alla mano e pigiama vermiglio indosso, saluta con la manina e si avvia. Ma sul percorso trova una coda che ha tutta l’aria di essere leonina, seguita da una zampa che a sua volta pare essere leonina, seguita da una belva intera che indubbiamente è leonina. Sì, quello che la bambina incontra è proprio un leone, però buono. Con lui è tutto un solletico, così come con l’elefante che compare da lì a poco sarà tutta una capriola e con il coccodrillo tutto un bel salto. E poi ci sono l’orso, il dinosauro, il gufo, la balena e il canguro, ciascuno esperto di un gioco diverso. E  infine c’è un’ultima creatura dagli occhi grandi e il manto scuro. Si nasconde tra le foglie con fare misterioso. Di cosa si tratta? E dove porterà la piccola con quelle sue zampone nere? Lo svela con un piccolo colpo di scena la pagina finale, che dona al lettore la chiave per rileggere la storia.

Lineare e ben scandita, questa procede secondo uno schema iterato in base al quale il lettore intravede dapprima un solo dettaglio – la coda, la proboscide, una zampa e così via – dell’animale che sta per comparire in scena e di cui può indovinare le fattezze, prima di scoprirlo nella sua interezza e verificare se l’intuizione sia stata azzeccata. Ogni pagina è quindi un implicito invito a prevedere gli incontri della protagonista e i giochi che ne nasceranno: invito supportato da un’accorta distribuzione delle figure, un’attenta selezione dei particolari da sottoporre al lettore e una scelta di personaggi ben identificabili e familiari ai bambini. Questi aspetti agevolano la partecipazione attiva alla lettura anche da parte di bambini che presentano qualche difficoltà a operare inferenze complesse. L’assenza di parole, dal canto suo, rende il libro accessibile anche in caso di dislessia e sordità, benché si tratti di un volume che perlopiù i bambini leggeranno insieme a qualcuno.

Il tono della narrazione è sempre voltato alla positività e al piacevole divertimento, il che fa di Sogni d’oro una bella proposta anche per la lettura serale, in cui il bambino possa riconoscere la propria esperienza di invenzione fantastica, di procrastinazione del sonno, di sovrapposizione tra reale e immaginario e possa trovare un sostegno contro piccoli grandi timori notturni. In questo, determinante è senz’altro la capacità di Paola Formica di rendere al meglio e di giocare con le espressioni e con gli sguardi – come già efficacemente dimostrato soprattutto in Cuore di tigre – affidando ad essi il compito di sussurrare al giovanissimo lettore che tra queste pagine, così come nel buio, può avanzare sereno senza avere paura.

Papu e Filo

Papu e Filo sono due personaggi tanto diversi – uno sbadato aggregato di pompon colorati e un preciso pezzo di corda bordeaux  – che non amano il loro aspetto e vorrebbero reciprocamente assomigliarsi. Ma cambiare non è così immediato, soprattutto se si è da soli. Insieme, invece, tutto è più semplice: così i due amici trovano il modo di assumere forme sempre nuove e differenti, mettendo insieme le qualità di ognuno. Un gelato, una chioccola, un’automobile o un viso sorridente: con un amico si può diventare qualunque cosa e farlo, forse, rende creature migliori.

Con una storia lineare, un testo misurato che non spreca una parola, e illustrazioni tattili che trasformano il poco in un’esplosione di creatività, Papu e Filo fa della semplicità la sua forza: una semplicità tutt’altro che banale e piatta e che, anzi, letteralmente conquista. Grazie a questa caratteristica, infatti, non solo il libro racconta una storia che è una carezza ma lo fa in un modo che risulta accogliente tanto per i bambini vedenti quanto per i loro compagni non vedenti. La disposizione di Braille e testo a stampa sulla pagina, la scelta dei materiali e l’essenzialità delle figure rendono infatti il libro godibilissimo e facilmente esplorabile anche al tatto.

Terzo classificato nella categoria “Miglior Libro Italiano” e primo classificato come “Miglior libro didattico” al III Concorso Nazionale Tocca a te! promosso dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, Papu e Filo si presta meravigliosamente a piccole letture intime  in famiglia ma anche a significativi lavori di gruppo in classe.

IMG_20160605_181920  IMG_20160605_182011   IMG_20160605_182034

Foglie

La natura ha un potere incantevole che ciascuno coglie in maniera differente. C’è lo stupore di fronte all’ingegnosa perfezione di animali, piante e ambienti, il desiderio di comprendere e conoscere i meccanismi che regolano ogni processo, la meraviglia poetica suscitata dalla bellezza e dalla varietà di ciò che ci circonda. E i libri (quelli buoni!), dal canto loro, non fanno che accogliere questi sentimenti e dar loro voce e spazio. Così, un volume come Foglie di Francesca Pirrone va a cogliere e mescolare queste diverse attitudini proponendo al lettore una carrellata di esemplari botanici, presentati in maniera personalissima. Ognuno rivela un’anima suggestiva e intrigante, suggerita e ispirata dalla forma di ogni foglia. C’è quella rotonda  forse perché mangia troppo e quella a forma di lancia ma che odia la guerra, quella piccola come un bambino e quella dentellata perché è sempre arrabbiata: un assortimento composito e stimolante che invita a una vera e propria danza con le cose più semplici e comuni della natura, gettando su di esse uno sguardo nuovo.

È questione di sguardo, sì, ma anche e soprattutto di tatto. Foglie è infatti un libro tattile costruito a modino, accessibile in tutti i suoi contenuti  anche in caso di disabilità visiva. Oltre ai testi stampati in nero e in Braille nella parte bassa della pagina, il volume dedica a ogni foglia un’illustrazione in legno significativa per gli occhi e per le dita. Identiche nella texture, le foglie di Francesca Pirrone si differenziano nella sagoma, proprio quella che nell’interpretazione dell’autrice ne suggerisce il carattere. Questa scelta, che certo non intende approfondire il realismo della rappresentazione, agevola e snellisce l’esplorazione al tatto che è chiamata così a concentrarsi su un solo aspetto del soggetto. Il risultato è una passeggiata autunnale originale, tra foglie dall’animo marcato, che invitano a (ri)scoprire la natura per farne oggetto e stimolo di nuovi percorsi scientifico- fantastici.

Vincitore della seconda edizione del concorso di libri tattili illustrati Tocca a te!, in qualità di miglior libro didattico, Foglie è stato realizzato e pubblicato in 400 copie dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi e distribuito gratuitamente ad altrettante biblioteche e associazioni sul territorio italiano grazie al contributo della Fondazione Cariplo. Nel corso del 2018 alcune copie del libro saranno rese invece disponibili per l’acquisto privato direttamente sul sito dell’editore.

Due conigli

La tenera meraviglia che suscita l’immersione in un albo senza parole come Due conigli di Daphne Louter è difficile a dirsi. C’è di mezzo lo stile pacato e dal gusto deliziosamente anglosassone dell’autrice, una capacità rara di cogliere l’infanzia nella sua più intima più vera e un gusto per i dettagli che dilata con letizia il tempo della lettura.

Protagonisti sono due conigli, presumibilmente fratelli, ritratti nel bel mezzo di momenti al contempo quotidiani e speciali, come una battaglia dei cuscini al risveglio, il gioco dei travestimenti, una festicciola in giardino,  le letture della sera. Ogni istante è immortalato in punta di piedi, come se l’occhio curioso dell’autrice si soffermasse di nascosto e con diletto a godersi le marachelle dei due cuccioli nella casa di campagna. Ognuno di questi istanti è anticipato da un dettaglio – un palloncino, una tazza, un paio di stivaletti rossi – messo ben in risalto su sfondo bianco nella pagina di sinistra, che lascia immaginare e pregustare che cosa potrebbe succedere in quella accanto. Lo stesso dettaglio ritorna poi nella pagina di destra  (al lettore, di volta in volta, trovarlo), inserito in un quadro completo che vede in azione i due protagonisti. E qui davvero ci si può perdere, scovando l’immancabile gallina di compagnia, cogliendo la precisione con cui i movimenti e i giochi infantili (talvolta condivisi, talvolta indipendenti)  sono ritratti, gustando richiami a capolavori della letteratura per l’infanzia (uno su tutti, I tre piccoli gufi che dalla cima di un mobile in soffitta guardano i due fratelli agghindarsi e mascherarsi) e assaporando dettagli minimi e gustosi (come le pantofole a forma di coniglio o gli oggetti che di quadro in quadro ritornano) e immaginando ciò che succede al di fuori del quadro, giusto oltre il margine del libro, ma anche ciò che accade prima e dopo il momento colto. Cosa si festeggia in giardino? Cosa sta prendendo la signora zebra in cima alla scala dell’emporio? E ci sarà una bella marmellata per merenda? Al lettore, paziente collezionista di indizi preziosi, il piacere di deciderlo e dirlo.

Insomma, è un albo dalla struttura semplice e iterata, Due conigli, in cui la storia si compone di una serie di flash che riassumono una giornata specialmente ordinaria. Eppure tra queste pagine si cela un mondo profondo che richiede attenzione e rende il volume adattissimo – più di molti volumi costruiti ad hoc, peraltro – a offrire spunti a chi cerca libri sulla relazione, sull’autonomia, sul genere o più in generale sulle peculiarità dell’infanzia.

Piccola volpe nel bosco magico

L’affetto che può legare un bambino al suo peluche più caro può essere smisurato, tanto da spingere ad ardite ricerche in caso di smarrimento. Lo sa bene la bimba dal caschetto moro, protagonista di Piccola volpe nel bosco magico. La sua vecchia volpe di pezza è per lei importante, importantissima. Così, di fronte alla richiesta della maestra di portare a scuola una cosa preziosa da descrivere ai compagni, la bambina non ha ha dubbi: porterà lei, la sua morbida amica pelosina. Dalle foto ricordo che tira fuori per l’occasione si deduce quanto la bimba bene voglia al pupazzo e quanti momenti di intima crescita abbiano vissuto insieme. Per questo, quando la piccola volpe di peluche scompare dallo zainetto, la sua amica umana inizia a cercarla disperatamente, senza fermarsi  nemmeno di fronte al più fitto dei boschi. Sarà un viaggio lungo e avventuroso, il suo, che la porterà ad attraversare sentieri bui e radure fantastiche, popolate da numerose e curiose creature della foresta. Fino al fatidico ritrovamento che recherà con sé un’autentica sorpresa e ripagherà tutte le fatiche con una moltiplicazione degli affetti. Perché è proprio vero che la gentilezza si propaga e gratuitamente porta con sé una contagiosa forma di felicità.

La storia che  Stephanie Graegin racconta con grande tenerezza, si sviluppa agli occhi del lettore attraverso l’esclusivo uso delle immagini: non ci sono cioè parole a scandire ciò che accade, ma decisamente tra queste pagine non se ne sente il bisogno. La scelta narrativa fatta dall’autrice è infatti tutt’altro che oscura o ambigua: tutti i passaggi sono chiaramente tracciati sicché la bella storia di amicizia e incontro può risultare accessibile anche laddove ci siano delle difficoltà non solo di decodifica del testo ma anche di lettura di immagini troppo complesse. Azioni, emozioni e pensieri dei protagonisti sono resi facilmente intellegibili grazie a un tratto attento e minuzioso, a un’esplicitazione di scatti narrativi anche minimi e un’alternanza oculata di riquadri a tutta pagina e di riquadri più serrati in serie. La scelta del colore, dal canto suo, accompagna efficacemente il lettore prima nella distinzione e poi nella sovrapposizione tra mondo umano e mondo fantastico, rendendo l’incontro tra i due – se possibile – ancora più suggestivo.

Vacanze

Trascorrere le vacanze in campagna con il nonno, godersi una libertà avventuriera che pare senza tempo ed esplorare la natura in una scatenata solitudine. Questa è l’estate per la bambina del libro di Blexbolex. Ma poi arriva lui: quell’elefantino in tenuta da marinaretto che giunge a bordo di un treno locale per occupare un posto importante in casa, al tavolo, in giardino e in definitiva nelle giornate e nelle notti della protagonista. Vissuta come una sgradita invasione di campo, questa sfocia in una serie di dispetti e scortesie, fino a quando l’ospite fugge nel bosco costringendo il nonno a una ardita ricerca notturna. Ritrovato il fuggitivo, all’adulto non resta che coinvolgere i due cuccioli nell’organizzazione di un’attesa festa in maschera. È qui che la bambina, come ipnotizzata dalle scintille che salgono al cielo da un falò, compie un viaggio immaginario e avventuroso in compagnia di un simpatico bambino: lo stesso che per un attimo rivedrà il giorno seguente, sul treno che riporta a casa l’elefantino tanto bistrattato.

Visionario e raffinatissimo come sempre, con figure e tinte dal sapore vintage (in cui si inseriscono però elementi di ordinaria modernità), Blexbolex sovverte qui alcune convenzioni legate alla rappresentazione dell’infanzia (chi non avrebbe desiderato un elefantino con cui giocare?), portando il lettore a non dare nulla per scontato e a interrogarsi sul reale significato di quella convivenza così tribolata. Chi è quel pachiderma e come mai il nonno lo accoglie nella sua casa? Ma soprattutto perché, per una frazione di secondo, sul treno del ritorno, assume le fattezze del simpatico bambino incontrato la sera della festa? Con fare ammiccante e mai invadente l’autore lascia a chi legge l’onere e l’onore di trovare le sue risposte, mostrando grande rispetto e dedizione per il delicato e prezioso ruolo interpretativo di chi sta dall’altra parte delle pagine.

Privo di parole, Vacanze procede per immagini in maniera molto chiara e lucida, rendendo a misura (anche) di bambino un racconto pur lungo (138 pagine sono un bel numero per un silent book) e contraddistinto da una sovrapposizione tra piano reale e fantastico. Alternando doppie pagine piene e riquadri più piccoli l’autore scandisce un ritmo variegato, anima la narrazione e rende a pieno il senso di relatività spazio-temporale(-sentimentale) vissuto dalla protagonista e caratteristico dell’infanzia.  “Vacanze è un minuscolo dramma – racconta non a caso Blexbolex in un’intervista – al quale ho tentato di dare una dimensione più importante di quella dei fatti effettivamente riportati  perché questo è per me tutto il sale e il valore dell’infanzia”.

Bosch – L’avventura magica del giovane artista, il berretto, lo zaino, la palla…

All’inizio c’è solo un ragazzo qualunque con un cappellino, una palla e un cane, che perde l’equilibrio e cade in mare da una scogliera. Ma già dalla seconda pagina tutto cambia e il lettore ha la netta percezione che il mondo in cui il bambino è precipitato afferisca più al fantastico che al reale. Creature marine e terrestri dalle strambe sembianze lo animano infatti: sono unicorni, lucertoloni dall’aspetto preistorico, angeli e creature che mescolano l’umano e l’animale. Il loro è un mondo in cui ciò che si vede e ciò che accade non sempre appare lineare e spiegabile,  ma in cui si percepisce netta la presenza di un fronte del bene e di un fronte del male che spesso si incontrano e si fronteggiano. Il protagonista, dal canto suo, vi si trova invischiato  e il banale tentativo di recuperare lo smarrito cappellino lo porta a incontrare aiutanti e nemici, a percorrere cammini inaspettati, a superare prove di grande coraggio, fino al ritorno a una piana quotidianità di cui il lettore si era praticamente scordato. Il tutto in una cornice surreale, popolata di figure oniriche di grande suggestione che irrompono nella storia principale, vivono piccoli vicende parallele o danno semplicemente  spessore a un immaginario fuori dall’ordinario. Un immaginario che evoca chiaramente il genio di Bosch, senza rinunciare al tratto caratteristico dell’autore indonesiano.

Se Thé Tjong-Khing ci aveva deliziati con il dittico TortintavolaTortinfuga, coccolando la nostra fantasia con avventure pullulanti e votate al puro divertimento per immagini, qui ci sorprende con un lavoro che riprende l’assenza di parole e la propensione alla moltiplicazione dei dettagli e dei relativi percorsi narrativi, sposandole a una raffinata trama di echi dell’opera di Hieronymus Bosch.

Piacevole e straniante se letto senza precisi riferimenti culturali, suggestivo e illuminante se fatto dialogare con l’opera del pittore olandese, Bosch rappresenta un raffinato omaggio di un artista moderno a un collega di qualche secolo più vecchio e un invito a far echeggiare dentro di noi le opere che più segnano il nostro immaginario. In questo senso, al pari e talvolta meglio di tante proposte dedicate all’arte, il libro di Thé Tjong-Khing suggerisce una pista insolita e accattivante di avvicinamento all’immaginario e allo stile di un artista di rara originalità. Quale che sia poi, per ciascun lettore,  il percorso che lega l’opera di Bosch e il libro a lui dedicato, poco conta: la conoscenza della prima può rendere irresistibile la lettura della seconda così come,  viceversa, la scoperta della seconda può suscitare la curiosità per la prima. Ciò che resta invariato è il gioco di stimoli che tiene viva la mente e quel gusto per la complessità – come diritto e come valore – a cui anche i libri accessibili non dovrebbero mai rinunciare.

Revolution

In tempi di muri e barriere, nei quali il pericolo di dividersi in un pretestuoso noi e voi si fa palpabile, i buoni libri e il loro contenuto potente possono fare la differenza. A maggior ragione se sono albi illustrati che parlano a occhi più e meno maturi e che con sbalorditiva incisività riescono a fare breccia nell’immaginario. Di certo è il caso di Revolution, libro senza parole ideato e illustrato da Arianna Papini, meritatamente vincitore del Silent Book Contest 2017: un libro che sfida l’illusione di poter classificare gli esseri viventi in base a origini rigidissime, per le quali la contaminazione è qualcosa di necessariamente negativo.

Attraverso la rappresentazione di creature fantastiche che man mano si incontrano e ne generano altre che ne assommano i caratteri, l’autrice porge al lettore una riflessione molto significativa sul valore della differenza e sulla meraviglia che da esse può avere origine.  Così dall’incontro romantico tra una sorta di talpa su ruotini e una bizzarro uccello con tre ali sul capo e una veste variopinta nasce  un cucciolo peloso su ruotini con tre piume sul capo che crescerà e incontrerà una specie di elefante dalla zampe lunghissime e snelle con cui darà vita a un cucciolo dai tratti misti che a sua volta deciderà di mettere su famiglia. E così si procede fino a quando, dopo numerosi incontri e incroci tra animali stranissimi e affascinanti, non  ci si ritrova davanti a due creature dall’aspetto davvero piuttosto familiare. E lì il libro finisce e ricomincia, in un ciclo vitalissimo per il pensiero di chi legge.

La cura che Arianna Papini abitualmente dedica alle sue creature di carta trova qui massima espressione. Sono infatti i dettagli, anche quelli più minuti come la fantasia della punta di una coda, il numero di zampette, la presenza di piccolissimi ruotini o la combinazione di colori di un manto, a guidare il lettore nella comprensione del meccanismo narrativo che soggiace alle illustrazioni. Non immediatissimo, quest’ultimo richiede una certa attenzione e capacità di decodifica dell’immagine attraverso una serie di inferenze non banali. Una volta scoperto, tuttavia, risulta piacevolmente e agevolmente fruibile  anche in caso di maggiori difficoltà poiché la struttura ritmica della narrazione procede in maniera iterata presentando via via un incontro tra due creature e il cucciolo che ne nasce, secondo un andamento ciclico molto chiaro. Il gusto e la soddisfazione, poi, offerti di volta in volta dal riconoscimento dei caratteri genitoriali che ogni creatura assomma sono grandi e costituiscono un incentivo ulteriore alla lettura, tanto dei bambini quanto degli adulti. L’operazione, d’altronde, non si discosta di molto dagli immancabili “Ha il naso del papà”, “Gli occhi sono tutti della nonna”, “la punta delle orecchie è indiscutibilmente quella dalla prozia” che accompagnano gioiosamente la nascita di un bimbo.

Che cosè il Magicoso?

Proposto dalla cooperativa Puntidivista, Che cos’è il magicoso? è un libro multicodice – con testo in nero e in Braille, arricchito da alcune illustrazioni tattili – che fa parte della collana Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa. Nata per rispondere al più ampio ventaglio di esigenze di lettura, secondo un progetto ambizioso e ammirevole, quest’ultima propone diverse versioni di ogni volume così da renderlo fruibile in caso di differenti disabilità. Ecco dunque che  il libro in questione trova posto nel catalogo della casa editrice rietina anche in versione tradizionale e in versione simbolizzata.

In tutte, protagonisti sono Lampadino e Caramella, due bambini curiosi, e il loro cane Zampacorta, alle prese con la ricerca di un misterioso oggetto smarrito dal ricco Michele nel Bosco verde. Che cosa sia questo oggetto misterioso, denominato Magicoso, non è dato saperlo fino alla fine, quando niente meno che una lente di ingrandimento salterà fuori dal ruscello.

Contraddistinto da una storia piana, un testo poco ostico e alcune illustrazioni realizzate a collage materico, Che cos’è il magicoso?,  nasce per risultare accessibile anche in caso di disabilità visiva. Il libro, stampato su carta piuttosto sottile e rilegato a spirale, presenta pagine di testo piuttosto fitte con il Braille sovrapposto al nero. Le illustrazioni – in numero inferiore rispetto alle pagine di testo perché dedicate soltanto alla presentazione dei protagonisti della storia – non si trovano mai affiancate a quest’ultimo, rendendo la corrispondenza tra descrizione verbale ed esplorazione tattile meno immediata. Le illustrazioni sono tuttavia poco complesse e perciò comunque decodificabili in differita rispetto alla lettura del testo. Che cosa sia lo stesso magicoso, oggetto cardine del racconto, non viene mai esplicitato ma reso piuttosto efficacemente a livello tattile, lasciando all’esplorazione del bambino la soluzione del mistero.

Ciao ciao giocattoli

Tempo di scatoloni, cernite, cambiamenti. Forse una nuova casa. Fatto sta che il protagonista di Ciao ciao Giocattoli si trova alle prese con una serie di giocattoli con cui probabilmente non gioca più perché è ormai cresciuto. Ma i giocattoli hanno questa qualità speciale: che non servono solo  nel momento in cui li si usa, bensì riservano una certa utilità per il dopo, per il momento cioè in cui, solo guardandoli, fungono da detonatori di pensieri . Perché se può esserci (ma non è detto!) un momento in cui ci si sente troppo grandi per giocare con pinguini di peluche, carretti e navi di legno, non si è mai troppo grandi per assaporare i ricordi felici che questi custodiscono. Dietro ogni oggetto c’è infatti la memoria di una viaggio, di un’esperienza, di una tenerezza o di una condivisione con persone care che lo rendono carico di affetto e significato.

E così accade proprio al ragazzo dipinto da Marta Pantaleo nel silent book pubblicato da Carthusia. I giocattoli che nelle prime pagine popolano immobili la sua stanza diventano poi protagonisti di sfrenate avventure sulla neve, nel bel mezzo del mare ghiacciato o in sella a una slitta: sono i ricordi di un passato felice che continua ad esistere e ad accompagnare il ragazzo anche quando farà letteralmente spazio nella sua vita, cedendo i balocchi a un negozio. Qui troveranno senz’altro nuova vita – ne abbiamo conferma nell’ultima pagina – quando altri bambini ne prenderanno possesso riattivando il felice circolo dei momenti spensierati che poi diventeranno sereni ricordi.

Con uno stile particolarissimo che ricorda – non solo per i contenuti –  le atmosfere nordiche, Marta Pantaleo dà vita a un libro per immagini in cui chiunque può ritrovarsi e che aiuta a sentirsi coinvolti in un percorso di crescita che ci accomuna. Con un gioco sottile tra passato e presente, l’autrice scava nel sentimento profondo tra attaccamento e distacco che coglie qualunque ragazzo che abbandoni l’infanzia per diventare grande. Questo aspetto, che dona complessità e ricchezza al libro e che probabilmente ha concorso alla sua premiazione al Silent Book contest 2016, lo rende fruibile anche a bambini e ragazzi con difficoltà di decodifica del testo (poiché qui questo è assente) ma con una certa dimestichezza nella decodifica delle figure e dei loro legami narrativi.

Attenzione, passaggio fiabe!

Se c’è un autore che si diverte e ci fa divertire giocando con le fiabe, quello è senza dubbio Mario Ramos. Molti dei suoi libri – a partire da Sono io il più forte o Sono io il più bello –  pescano personaggi familiari all’immaginario dei bambini e li collocano in contesti narrativi nuovi, spiazzanti, irriverenti. È il destino di lupi, bambine incappucciate, porcellini e nanetti che trovano nella sua penna una rappresentazione ironica e irresistibile: proprio quella che contraddistingue anche Attenzione, passaggio fiabe!, un silent book edito da Babalibri in cui l’autore riunisce i personaggi a lui più cari.

Come lo fa? Mettendo Cappuccetto Rosso in sella a una bicicletta pronta ad attraversare il bosco fin dalla nonna. Ma la sicurezza viene prima di tutto, anche in mezzo ad alberi e cespugli: ecco quindi che a ogni incrocio la strada naturalistica presenta un cartello di attenzione agli orsi (tre ma senza viziatella ricciuta al seguito), ai bambini che spargono briciole, ai cacciatori e ai lupi feroci, che puntualmente alla pagina seguente si presentano in forma smagliante, chi sui pattini a rotelle, chi a cavallo, chi sullo skateboard e chi in bicicletta. E già ci immaginiamo le raccomandazioni della mamma a questa Cappuccetto Rosso ciclomunita: “Fermati allo stop!, “Dai la precedenza a Pollicino” e “Guarda bene a destra e a sinistra che non arrivi un cavaliere a tutta birra!”, altro che “Non fermarti a parlare con il lupo”. Questione di modernità!

Forte di un continuo gioco di rimandi a narrazioni note e di una sfida puntuale a indovinare chi comparirà per strada e in sella a quale mezzo, Attenzione, passaggio fiabe! offre una lettura divertente tanto più se condivisa. Questo, unito alla mancanza di parole scritte, alla linearità della narrazione, al richiamo a un immaginario comune, alla corrispondenza precisa tra ogni cartello e l’illustrazione successiva e alla struttura iterata, lo rende inoltre apprezzabile anche laddove ci siano difficoltà a seguire un racconto più tradizionale o a decodificare un testo.

Assolutamente imperdibili i risguardi del libro che anticipano da un lato e proseguono dall’altro il sottile gioco di segnaletica inventato dall’autore. 24 nuovi segnali – che spaziano dal pifferaio di Hamelin al principe ranocchio, dal Gatto con gli stivali a Cenerentola – offrono lo spunto per una caccia alla fiaba che difficilmente lascerà impassibili anche gli adulti.

Guarda fuori

Attenzione: se decidete (e decidetelo, mi raccomando!) di leggere Guarda fuori, ultimo nato in casa Minibombo – cercate magari un posto tranquillo e al riparo da sguardi indiscreti. Il pericolo di essere colti in flagrante, nel pieno di sonore risate è alto, ma che dico: altissimo! Almeno a noi è successo così.

Dentro questo albo dal formato quadrato, nel bel mezzo di un paesaggio innevato, i fatti avvengono a pagine alterne al di qua e al di là di una finestra. Dal lato interno, due bambini osservano ciò che accade fuori, indicano a turno dove guardare, anticipano con le espressioni del volto il tono di ciò che succede oltre il vetro. Ma è solo girando la pagina, quando l’obiettivo inquadra ciò che succede fuori, che il lettore scopre davvero cosa hanno visto e indicato i bambini, condividendo di volta in volta il loro stupore, il loro timore o il loro entusiasmo. Tra la neve che cade, infatti, un uccellino, tre conigli rosa, un gatto e un orso (dai tratti felicemente familiari a chi abbia letto altri libri di Silvia Borando) danno vita a scene ora tenere, ora (apparentemente) tragiche, ora coraggiose, ma sempre tinte di un velo di ironia che impedisce al lettore di restare impassibile. Fino al colpo di scena finale, chicca con cui la casa editrice reggiana da sempre ci ha viziati, che spiazza, convince e fa ridere di gusto.

Con un ritmo perfettamente studiato e un’essenzialità di fondo che aiuta a raccontare la storia anche se le parole non sono scritte, Guarda fuori offre una lettura golosissima soprattutto se condivisa (in questi giorni di neve, poi!). In pieno stile Minibombo, il libro propone figure grandi, minimali e ben definite, colori pieni, contrasti forti e inquadrature piane che rendono il libro realmente apprezzabile e fruibile anche da bambini molto piccoli. L’assenza di parole, dal canto suo, non preclude l’accesso, anche in autonomia, a bambini un pelo più grandi, magari a cavallo tra scuola dell’infanzia e scuola primaria, con difficoltà legate alla decodifica testuale. Mentre la chiarezza dei passaggi narrativi marcati dalle sole immagini agevola la partecipazione anche da parte di bambini con lievi difficoltà cognitive.

Linee

All’inizio di Linee non c’è che una bambina che  pattina leggiadra e in solitaria sul ghiaccio. Anzi no. All’inizio – o prima ancora dell’inizio, nei risguardi del libro che sempre per Suzy Lee hanno un ruolo e un valore – c’è un foglio bianco con una gomma e una matita poggiati sopra. Potrebbe sembrare puramente decorativo e il lettore probabilmente tende a dimenticarsi di averlo visto fin da quando volta la prima pagina. Se ne ricorderà forse solo più avanti, quando quel foglio entrerà a pieno titolo nella storia.

Scorrendo le pagine del libro, infatti, si segue la piccola pattinatrice nei suoi volteggi sul ghiaccio, che disegnano linee armoniose dal tratto variegato: più spesso, più sottile, tratteggiato, doppio. La bambina si muove leggera, quasi volando, e pare concentrata, sicura di sé, felice. Questo ci dice l’espressione del suo volto. Ma poi accade qualcosa: la bambina perde l’equilibrio e cade rovinosamente a terra. La sua scivolata cancella parzialmente il disegno lasciato dalle lame: accipicchia, proprio ora che l’esibizione pareva perfetta e stava creando un tratteggio impeccabile! Ecco allora che voltando la pagina ci troviamo davanti un foglio appallottolato. Ohibò! È qui che ricolleghiamo quanto sta accadendo all’immagine che inaugurava il libro e che qualcosa in noi inizia a scattare, facendoci  apprezzare il gioco di matrioske fatto di un foglio dentro un altro foglio che l’autrice ha messo in piedi. Lo facciamo soprattutto perché il disegno accartocciato poco dopo viene riaperto e lisciato per popolarsi di molti altri bambini che con grande libertà e divertimento si muovono sulla pagina, facendo di ruzzoloni, sederate e capitomboli  il segreto per rendere la tela ghiacciata un quadro ancor più bello e vario.

Con un albo raffinato e intelligente, che non ha paura del bianco immacolato, Suzy Lee torna a incantarci con il solo potere delle figure. Senza parole come i precedenti volumi che compongono la trilogia del limite, anche questo libro parla chiaramente (e forse anche in modo più diretto, rispetto a L’onda, Mirror e Ombra) al lettore senza bisogno di un testo scritto. Il risultato è quindi amichevole anche nei confronti di bambini con difficoltà di decodifica testuale legata per esempio alla sordità o alla dislessia ma in possesso di quelle abilità cognitive che consentano di cogliere le inferenze e gli scarti tra diversi piani di narrazione che contraddistinguono il lavoro dell’autrice coreana.

Anche questa volta, in effetti, Suzy Lee ci ammalia con una riflessione che è anche un sottile gioco intellettuale sul concetto di limite: quello impalpabile che separa il dentro e il fuori del libro e che fa di un foglio bianco la pagina di un libro o  un’illustrazione in esso contenuta. Dentro- fuori, reale-disegnato: la dicotomia esplorata dall’autrice porta un senso di straniamento fecondo nel lettore, felicemente costretto a rimettere in discussione il suo sguardo iniziale. Proprio la stessa operazione, in fin dei conti, che Linee invita a compiere facendo dell’errore un vero e proprio elogio illustrato. Siamo certi che ciò che non risponde alle nostre aspettative iniziali debba necessariamente essere meno buono, meno valido, meno apprezzabili? O forse,  invece, quello che chiamiamo errore può scatenare fruttuosi processi creativi e rivelarsi in definitiva un piccolo  inatteso successo? Rodari ce lo ha insegnato bene e Suzy Lee, con le sue linee impertinenti, ce lo ricorda magistralmente!

Cuore di tigre

L’incontro tra Paola Formica e Carthusia aveva già prodotto, pochi anni fa, un libro senza parole densissimo e coraggioso dal titolo Orizzonti, meritatamente finalista del Silent Book Contest 2014. Oggi quell’incontro si rinnova con un altro libro che di parole non ne contiene nemmeno una ma che ne  accende moltissime dentro il lettore, prestandosi a detonare profondi e importanti confronti intorno a un tema delicato come quello del diritto all’essere bambini.

Cuore di tigre è infatti un silent book che vede protagonista una bambina dell’altro capo del mondo, che potrebbe per esempio essere indiana dati i tratti somatici e gli abiti, messa in mano a un adulto barbuto che di lei diventa lo sposo, interrompendo con bruschezza e decisamente prima del tempo quelli che dovrebbero essere i suoi giorni dell’infanzia. Con un potentissimo e accurato gioco di attenzioni sugli sguardi, l’autrice riesce a raccontare una storia fatta di emozioni che attanagliano il lettore e lo costringono a non voltarsi dall’altra parte, come invece potrebbe fare di fronte a una storia simile raccontata da un tg. In quei piccoli e quasi impercettibili scatti di forma, posizione, grandezza, chiusura e luccichio degli occhi si percepiscono con evidenza la tristezza, la paura, la rassegnazione e il terrore della protagonista ma anche il dolore della madre o l’indifferenza dello sposo: un ventaglio di sentimenti che segnano un percorso durissimo per una bambina, capace però di tirare fuori la tigre interiore che potrà forse salvarla.

Forte e coinvolgente, raffinato ed echeggiante, Cuore di tigre ha il raro pregio di evocare senza dire e di indicare sentieri interpretativi che sta al lettore  scegliere e tracciare con precisione. Proprio questa indefinitezza, che molto racconta e suscita, fa del libro un’occasione preziosa per interrogarsi, a bassa e ad alta voce, sull’impegno che il rispetto dell’infanzia ancora richiede, domandando a ciascuno di sentirsi chiamato in causa, interessato. Questi aspetti, che arricchiscono e donano complessità al libro, lo rendono specialmente adatto a lettori anche con difficoltà di decodifica testuale ma con una certa dimestichezza nella decodifica iconica. I ragazzi delle medie, in particolare, cui raramente si destinano lavori con un forte componente illustrativa, possono trovare qui un racconto estremamente suggestivo e stimolante per  i loro occhi e le loro menti in crescita.

 

Fino al cielo

Di libri che si possono guardare a ripetizione, senza mai stufarsi e scovando anzi qualche dettaglio prima passato inosservato, si vorrebbe aver la stanza piena. Per sapere dove infilare il naso in un momento di noia, per sfidarsi a trovare nella lettura un’ininterrotta sorpresa, per nutrire occhi e mente di un piacere che non è mai eguale a sé stesso. Ecco perché un libro originale e ricco come Fino al cielo di Tom Schamps entra con piacere nella libreria o per meglio dire sul muro di casa, dal momento che completamente aperto, il volume assume la forma di un bel metro.

Un libro per misurarsi, insomma, in tanti sensi: misurarsi in altezza – quanti piani del palazzo sei alto tu? quante mini-storie io? – ma anche misurarsi con una lettura che invita a mettersi in gioco e a stravolgere paradigmi consolidati di approccio alle pagine. Perché qui le pagine si aprono a fisarmonica in senso verticale fino a far prendere forma a un intero condominio di carta. I due protagonisti – due bambini bizzarramente abbigliati come una cappuccetto rosso di città e un  giaguaro in sneakers – che il lettore incontra al piano terra del libro, dove ha sede un negozio di cappelli stravaganti, salgono infatti di un piano ogni volta che il volume si allarga di una pagina, incontrando man mano abitazioni e inquilini particolari. Ci sono per esempio il marinaio e la sirena in una vecchia sala da bagno, l’uomo agreste che coltiva un albero in salotto in compagnia di un cervo o la bambina con i libri (fisicamente e metaforicamente) in testa. A ognuno i due ragazzi lasciano una misteriosa busta con timbro a cuore il cui significato e contenuto si intuisce solo una volta giunti nel sottotetto: qui tutto prende senso, la mente schiaccia rewind,  i dettagli si ricompattano e il desiderio di tornare indietro a cogliere ciò che una prima lettura ha trascurato si fa irresistibile. E così si ricomincia…

Ripercorrere su e giù le scale di questo insolito palazzo è infatti un autentico divertimento. L’autore, il cui stile ha un che di naif e di espressionista che lo rende ipnotico, vi dissemina così tanti dettagli che l’occhio fatica ad apprezzarli tutti insieme. Ogni piano diventa così un quadro in cui immergersi a lungo e a fondo, in cui crogiolarsi senza fretta, per cogliere rimandi interni ed esterni – si pensi alla bambina del penultimo piano che legge lo stesso libro che sta leggendo il lettore o a alla rivista Time che giace sul tavolino di una salotto tappezzato di orologi – o per seguire tracce e individuare impercettibili cambiamenti – come quelli nel cestino dei ragazzi, per esempio, che si riempie man mano che i due salgono con prodotti non casuali.

Questa ricchezza interna di ogni quadro, contenente un piccolo microcosmo in cui si celano sottilissimi fili narrativi significativi sia in sé sia rispetto alla cornice generale, dona grande originalità e fascino al libro pubblicato da Beisler, e lo rende altresì interessante pensando a un pubblico con bisogni speciali di lettura. In quanto silent book dotato di questa specifica qualità, infatti, Fino al cielo può piacevolmente abbracciare molti lettori che per ragioni diverse faticano a godere di un testo scritto ma apprezzano la complessità delle figure e la loro estrema fertilità fantastica.

Mediterraneo

È difficile, difficilissimo parlare di un libro come Mediterraneo. L’albo senza parole (fatto salvo per quelle strazianti che lo aprono “Dopo aver finito di annegare, / il suo corpo scivolava / lentamente / verso il fondo, lì dove i pesci lo aspettavano.”) di Armin Greder è infatti un concentrato densissimo di riflessioni e spunti su di un tema cocente come quello della migrazione, che pesa come un macigno sugli occhi e sulla mente di chi legge.

Tutto parte con l’immagine di un corpo morto annegato sul fondo del mare. È un’immagine forte come un pugno, che richiede determinazione e coraggio a voltare la pagina. Quel che ci attende subito dopo è un racconto che allarga progressivamente il campo visivo, muovendo dai pesci che di quel corpo si nutrono fino ad arrivare alle coste africane da cui probabilmente quel corpo è partito. E così, come in una sorta di viaggio a ritroso,  ci troviamo a seguire quei pesci sulla tavola di due individui, che loro volta seguiremo nei loro loschi traffici di armi, che a loro volta seguiremo mentre minacciano folle di persone impaurite all’inizio del loro incerto viaggio. Fino ad arrivare sul barone dapprima stipato fino a scoppiare di persone dai volti indefiniti e poi completamente svuotato e riverso in mezzo al mare. Da lì, il passo che ci riporta all’inizio della storia è brevissimo e indispensabile per chiudere e al contempo riaprire un cerchio e attivare un cortocircuito riflessivo che ci tiene dentro e non più fuori dalla storia.

Quei visi abbozzati e quasi deformati che caratterizzano lo stile di Greder sono forse l’aspetto più impattante del suo racconto per immagini, quello che ci invita a leggere e rileggere la storia da capo a fondo e da fondo a capo per esser certi di non confondersi e di non fraintendere, quello che ci dice quanto universali siano le storie di chi si imbarca verso un destino ignoto, quello che ci obbliga a ridefinire il senso di io e di loro.

Mediterraneo è un libro tanto scomodo quanto necessario. È un libro che parla a fondo di noi anche se la nostra faccia non compare nemmeno una volta sulle pagine, che guarda la tragedia dei morti in mare durante le traversate del Mediterraneo dal retro e non dalla facciata e che invita a riconsiderare un fenomeno così complesso come la migrazione rendendo conto della spirale di eventi che lo dota di moto perpetuo. In una parola, è un libro complesso e come tale merita di comparire tra le letture, soprattutto condivise ed echeggiate in gruppo (per esempio a scuola) di tutti i ragazzi dalle medie in su, capaci di assorbire le notizie che vengono dal mondo vicino e lontano ma spesso sprovvisti degli strumenti per elaborarle.

E forse proprio questa complessità, che di primo acchito tenderebbe a tenere il libro lontano dal mondo delle difficoltà di apprendimento e della disabilità  – così superficialmente destinate alla banalizzazione del mondo e della sua espressione – , dovrebbe in realtà renderlo appetibile e meritevole di essere preso in considerazione e proposto anche in queste situazioni. Perché la complessità – dei temi, del racconto e delle forme –è nutrimento prezioso e fonte di grande soddisfazione per quei lettori che fanno a volte a pugni con il testo pur essendo in possesso di piene facoltà cognitive. Ragazzi dislessici o sordi, per esempio, che tra le immagini si possono muovere con dimestichezza a differenza di quanto non fanno con le parole, sono lettori potenziali adattissimi di un libro potente ed evocativo come Mediterraneo.

Il segreto della fontana blu

Che nelle città, anche quelle più grigie, potessero nascondersi dettagli a forte carica narrativa ce lo aveva suggerito con forza l’originale Miramuri di Alessandro Sanna e Massimiliano Tappari. Ma il tema dei racconti urbani da svelare è fertile e importante, così Terre di Mezzo torna a esplorarlo con un altro albo di grandissimo fascino.

Si tratta de Il segreto della fontana blu: un silent book raffinatissimo firmato da Kyung-Sik Choi, in cui a far accadere qualcosa di straordinario è un’anonima fontana di quartiere. Potrebbe essere una fontana qualunque in mezzo a palazzi qualunque di una città qualunque, eppure il bambino protagonista vi scorge qualcosa di particolare, ne coglie il fascino incompreso e decide di guardarla più da vicino. E così la fontana rivela il suo segreto – giusta ricompensa per una sana curiosità – travolgendo il bambino (insieme al suo fedele cane) e conducendolo in un viaggio di cui certo non si pentirà.

Sarà un viaggio incredibile, sotto e sopra le profondità del mare, a cavalcioni di una balena che fino ad allora era rimasta quieta sotto il bordo di quella comune fontana, con lo sfiato in corrispondenza dello zampillo d’acqua. Serviva uno scatto d’immaginazione per farla scatenare, un guizzo impavido e creativo che tingesse di fantastico la più monotona delle realtà. Dopodichè basta abbandonarsi al mastodontico cetaceo per farsi trasportare dove l’azzurro delle onde prende il posto del grigio del cemento e dove l’odore dell’oceano resta addosso come fosse indelebile.

Con un tratto suadente e certosino e un gusto misurato per l’uso del colore, l’autore accompagna con garbo il lettore al limitare tra ciò che esiste fuori e ciò che esiste dentro la nostra testa, cogliendo con leggerissimi cambi di texture ciò che è mobile e ciò che è immobile e restituendo con sapienti volteggi di inquadrature il senso di un viaggio vorticoso che fa del cambio di prospettiva la sua chiave d’avviamento.

Il racconto procede qui solo per immagini (le poche parole che il lettore trova in apertura di libro aiutano a cogliere il senso del viaggio, abbozzano qualche indizio ma non rivelano nulla in maniera definitiva), in una continua sospensione tra dimensione reale e dimensione fantastica e lasciando ampi spazi immaginativi tra un passaggio narrativo e il seguente. Per questa ragione Il segreto della fontana blu invita a una lettura estremamente suggestiva e non proprio semplicissima, il che la rende molto accattivante per tanti lettori che trovano un ostacolo nei testi scritti e che ciononostante sono fervidamente affamati di storie e capaci di muoversi con agio nel mezzo della complessità delle immagini.

La mia amica ape

In mezzo a una città, tutta cemento e grattacieli, abita una bambina. Dalla sua stanza, dove si sta godendo una lettura tranquilla, entra un giorno un’ape. La bambina tutto subito fugge ma poi, nel controllare prudentemente che fine abbia fatto l’insetto, si accorge del suo atteggiamento pacifico e decide di farsi coraggio. Pochi gesti di cura nei suoi confronti – un po’ d’acqua e zucchero e un’asciugatina – sanciscono l’inizio di un’amicizia straordinaria che cresce via via in intensità almeno quanto l’ape cresce via via in dimensione agli occhi della bimba. Insieme le due non soltanto giocano, chiacchierano, ballano o fanno merenda in un susseguirsi di momenti di grande serenità ma partono anche per un viaggio importante al di là dei palazzoni, dove fiori e piante variegati abbracciano la vista, per riportare in città qualche seme di accoglienza per il piccolo e prezioso popolo delle api. Sarà un modo speciale e insieme esemplare di consolidare e celebrare un rapporto delicatissimo tra regno umano e animale, a cui anche i piccoli lettori possono ispirarsi.

L’attenzione che l’autrice Alison Jay dedica ai dettagli è davvero ammirevole: non solo essi animano ogni quadro restituendo concretamente l’immagine di una città in fermento, ma disseminano minuscoli ma preziosi indizi interpretativi che aiutano a decifrare al meglio ciò che accade nella storia. Tra di essi il lettore può dunque svagarsi – curiosando per esempio tra le occupazioni dei diversi inquilini del palazzo o le attività che fervono per strada in ogni stagione – ma anche orientarsi – cogliendo per esempio l’amore della protagonista per la natura, evidente nell’abito, nel gingillo e nelle lettura, o trovando nell’espressione infelice dell’ape di fronte alla distesa di cemento il motore dell’incredibile viaggio che farà con la bambina.

Tutto questo assume tanto più valore se si considera che La mia amica ape appartiene alla categoria dei silent book e procede perciò attraverso il solo uso delle immagini. Delicate e accurate, felicemente giocate suo toni pastello, queste richiedono grande e ben ripagata attenzione per cogliere i piccoli scatti narrativi che collegano ogni riquadro al seguente, rendendo il volume particolarmente fruibile a chi già si muova agevolmente nel mezzo della complessità iconica.

 

Marghe e Calò

Marghe e Calò sono una margherita e un calabrone, protagonisti del racconto per occhi e dita che porta i loro nomi e che parla di amicizia, di distanze e di tenacia. Bella e vezzosa lei, allegro e perseverante lui, i due personaggi si incontrano a Roma tra i banchi del mercato. Da un piccolo qui pro quo nasce tra loro un legame fatto di attenzioni rifiutate e di ricerca di contatto: un legame tanto speciale da spingere Calò a cercare la sua amica anche quando questa verrà acquistata e cambierà quindi dimora.

Marghe e Calò nasce in casa Puntidivista come libro tradizionale e diventa poi, a cura della medesima cooperativa, anche un libro fruibile in caso di disabilità visiva. Le illustrazioni tattili che lo caratterizzano sono ben realizzate, con una selezione di materiali accurata (penso soprattutto alle ali del giovane calabrone fatte di retina sottile) e con una particolare attenzione alle forme. Semplici e ben riconoscibili queste invitano a un’esplorazione tattile che possa dare soddisfazione ai bambini non vedenti mentre i dettagli visuali che arricchiscono e animano ulteriormente la pagina, la rendono più completa agli occhi dei bambini vedenti. L’idea, dunque, è che il libro possa andare realmente incontro a esigenze di lettura diverse.

Il libro presenta pagine non troppo rigide e testi in Braille apposti su cartoncino. L’aspetto complessivo che ne deriva è forse meno resistente e armonico di altri volumi tattili ma concorre d’altra parte a mantenere contenuto il prezzo del volume: aspetto per nulla trascurabile quando si parla di accessibilità della lettura.

Faccia di papà

Quello dell’editoria tattile è un ambito in cui i concorsi giocano un ruolo fondamentale affinché un’idea possa prendere la forma definitiva di un libro. Faccia di papà, arrivato alla stampa proprio a seguito della partecipazione al concorso di editoria tattile Tocca a te, ne è la positiva dimostrazione. Vincitore per il miglior testo dell’edizione 2011 del concorso, il prototipo di Cinzia Panarco ha abbandonato la veste di copia unica per rendersi disponibile a molteplici mani grazie all’impegno della casa editrici Puntidivista che lo ha trasformato in un libro tattile a tutti gli effetti.

Caratterizzato da una struttura piacevolmente iterata – tanto nel testo quanto nelle illustrazioni – Faccia di papà racconta dal punto di vista di ua bambino come cambia il volto del babbo con lo scorrere della settimana: un reportage emotivo-sensoriale che associa la crescita della barba alle emozioni di un piccolo e intimo gioco degli affetti.

Ogni doppia pagina presenta un breve testo in nero e in Braille (quest’ultimo su di un cartoncino attaccato alla pagina) a sinistra, un’illustrazione visuale (dai tratti piuttosto artigianali e non troppo entusiasmanti) che riempie lo spazio lasciato ibero dal testo e un’illustrazione tattile sulla destra. Quest’ultima, sempre dedicata al viso del papà, si contraddistingue per delle forme costanti, pulite, ben riconoscibili, per una scelta dei materiali molto pertinente (le carte vetrate a diversa grana, i fili di cotone e la gomma crepla rendono molto bene i diversi stadi della barba) e per un’esplorabilità agevolata e piacevole soprattutto ma non solo per i giovani lettori con disabilità visiva.

Insieme con papà

Accompagnare un genitore al lavoro può risultare noioso: ecco perché il protagonista di questo albo, trovatosi nella situazione, porta con sé un videogioco dal quale pare non voler staccare gli occhi. Nel laboratorio di falegnameria del papà, però, qualcosa di imprevisto accade: forse la spina del videogioco si stacca per errore e l’intera partita va persa o forse semplicemente uno strano oggetto attira l’attenzione del bambino. È un metro giallo, di quelli rigidi e sgargianti. Sembrerebbe uno arnese insignificante ma rivela, in realtà, intriganti potenzialità: chi ha un papà che traffichi con le misure lo sa bene!

In un attimo l’innocuo strumento di lavoro prende la forma di un pericolosissimo serpente, dando il via a un gioco d’invenzione in cui perdersi e vivere inaspettate avventure. Opportunamente sagomato, il metro diventa, infatti, casa, albero, automobile, elefante, e più ci si prende la mano più la faccenda si fa coinvolgente. Così, quando il metro delinea una mastodontica balena, questa pare così vera da spruzzar acqua dappertutto e inondare il laboratorio. Per fortuna c’è la barca costruita dal papà: una barca reale, realissima, che provvidenziale scivola in acqua. Ma per farla andare lontano, un’aggiunta fantastica si renderà necessaria… meno male che c’è il metro!

Insieme con papà, edito da Il leone verde, racconta una storia di immaginazione e affetto, in cui la noia si afferma come  propulsore di creatività. A raccontarcela in un albo dal formato piccino è l’autrice brasiliana Bruna Barros. Il suo racconto, che procede per sole immagini dallo stile asciutto e dai colori ricorrenti, risulta particolarmente agevole da seguire  e fruibile anche in caso di difficoltà di lettura legate alla componente testuale.

 

Ritorno

C’è stata una prima avventura in cui una bambina coraggiosa scopriva il potere dell’immaginazione grazie a un pastello magico che rendeva reali gli oggetti disegnati. Quell’avventura si intitolava Viaggio. Ce n’è stata poi una seconda in cui la bambina scopriva che fantasticare è più bello se fatto in due e compiva un’impresa eroica insieme a un amico di pastello. Quell’avventura si intitolava Scoperta. C’è ora una terza ed ultima avventura in cui la bambina dà un nuovo significato a tutto quanto finora vissuto, grazie a un’azione travolgente in compagnia del papà. Quest’avventura si intitola Ritorno.

Il ritorno cui fa accenno è quello a casa, a una complicità paterna prima sopita, a un’immaginazione condivisa da generazioni diverse che permette di superare ostacoli insidiosi. Nell’inatteso compagno di viaggio della bambina, disposto a seguire la figlia attraverso porticine disegnate, riconosciamo tanti genitori perlopiù dimentichi dell’età infantile ma dalle potenzialità creative ancora grandissime: figure che prese per mano da chi ha maggior dimestichezza con la fantasia sanno tirar fuori un coraggio e un’inventiva inaspettati. Così, a cavallo di creature alate, a bordo di sottomarini sofisticati e in bocca a grotte preistoriche, padre e figlia sconfiggono l’imprigionatore dei colori, liberano il regno della fantasia e ritrovano il legame smarrito. A quel punto le porte disegnate non servono più. Si è già a casa.

Una cosa difficile

Dei due amici, un cagnolino e un galletto, protagonisti di Una cosa difficile, vediamo all’inizio soltanto il primo. Il cagnolino, dall’aria preoccupata, rincorre infatti un affare rotondo che è rotolato giù dal crinale e che pare spezzato. Una volta recuperato, lo tiene saldo e si avvia su per la collina sfidando vento, pendenza e gelo. È solo allora che appare il galletto: è di spalle e sembra vagare con lo sguardo vero l’orizzonte. Sta piangendo in realtà ma quando l’amico gli porge l’affare rotondo, che si rivela essere la ruota di un carretto, e gli chiede scusa, tutto cambia. È allora che il lettore capisce in un lampo che cosa doveva essere accaduto prima che la ruota ruzzolasse giù per la collina. Ed è allora che gode, insieme ai due protagonisti, della sensazione bellissima di una cosa – un carretto o un’amicizia – che si aggiusta.

Tutto giocato sui toni del bianco, del nero e dell’azzurro, Una cosa difficile racconta attraverso le immagini la strada tortuosa che conduce da uno sgarbo al perdono. Dentro queste poche e tenere pagine c’è tutta la fatica di chi sa di aver sbagliato ma vuole rimediare: le lunghe distanze da colmare, le intemperie da sopportare, i rischi da correre e gli ostacoli da superare. Perché quando si è ferito qualcuno lo si avverte distante e freddo, non si sa come possa accogliere la richiesta di perdono e ci si deve rimboccare le maniche per riconquistare la fiducia perduta. Ma sono sforzi che trovano una ricompensa perché a pace fatta si torna a sorridere giù per la collina. Con i suoi sfondi ariosi e i suoi personaggi curiosi, Una cosa difficile accoglie calorosamente il lettore, anche con difficoltà legate alla decodifica testuale, non solo perché contiene una sola importantissima parola – scusa – ma anche perché racconta in modo lineare e pulito una storia agevole da seguire e in cui è facile immedesimarsi.

Che buono!

Tocco, gioco e leggo è un progetto strepitoso. Questa è la prima indispensabile premessa che occorre fare. L’omonima collana, realizzata dalla cooperativa Zajedno e pubblicata da Bordeaux edizioni, raccoglie infatti tre libri capaci come pochissimi altri, forse nessuno, di guardare in maniera accogliente a bambini con disabilità molto diverse, facendo di un unico supporto uno strumento potentissimo per costruire legami e occasioni di incontro fantastico.

Che buono!, Cucù…settete e Ciao ciao, questi i titoli dei volumi editi, uniscono i punti di forza di tre tipologie di libri accessibili – i libri in LIS, i libri tattili e i libri senza parole – garantendo la possibilità di piena fruizione da parte di lettori con disabilità visiva, uditiva, intellettiva, comunicativa oltre che di lettori con disturbi specifici dell’apprendimento e di lettori semplicemente curiosi. Ogni volume si compone di pagine di stoffa ridottissime in numero (quattro nella fattispecie) ma estremamente stimolanti e interattive. Su di ognuna sono infatti cuciti alcuni oggetti inerenti al tema trattato, anch’essi realizzati perlopiù in tessuto e in buona parte estraibili e manipolabili a 360 °, pur essendo assicurati alla pagine grazie a un nastrino. Nella taschina apposta in quarta di copertina il lettore può trovare quattro tesserine che richiamano le illustrazioni interne, con una rappresentazione fedele in miniatura, e vi associano il corrispettivo segno della Lingua dei Segni Italiana.

In Che buono! in particolare, il lettore trova un biscotto da intingere in una tazza, un piatto di spaghetti da arrotolare con la forchetta, una pera da estrarre dal cestino e una gustosa caprese. I segni della LIS riprodotti sono quello corrispondente al titolo e alle parole formaggio, pera, biscotto e pasta.

Ciao ciao

Tocco, gioco e leggo è un progetto strepitoso. Questa è la prima indispensabile premessa che occorre fare. L’omonima collana, realizzata dalla cooperativa Zajedno e pubblicata da Bordeaux edizioni, raccoglie infatti tre libri capaci come pochissimi altri, forse nessuno, di guardare in maniera accogliente a bambini con disabilità molto diverse, facendo di un unico supporto uno strumento potentissimo per costruire legami e occasioni di incontro fantastico.

Che buono!, Cucù…settete e Ciao ciao, questi i titoli dei volumi editi, uniscono i punti di forza di tre tipologie di libri accessibili – i libri in LIS, tattili e senza parole – garantendo la possibilità di piena fruizione da parte di lettori con disabilità visiva, uditiva, intellettiva, comunicativa oltre che di lettori con DSA e di lettori semplicemente curiosi. Ogni volume si compone di pagine di stoffa ridottissime in numero (quattro nella fattispecie) ma estremamente stimolanti e interattive. Su di ognuna sono infatti cuciti alcuni oggetti inerenti al tema trattato, anch’essi realizzati perlopiù in tessuto e in buona parte estraibili e manipolabili a 360 °, pur essendo assicurati alla pagine grazie a un nastrino. Nella taschina apposta in quarta di copertina il lettore può trovare quattro tesserine che richiamano le illustrazioni interne, con una rappresentazione fedele in miniatura, e vi associano il corrispettivo segno della Lingua dei Segni Italiana.

In Ciao ciao in particolare, il lettore trova rappresentati sulle pagine quattro mezzi di trasporto – la nave, l’aereo, il treno e l’automobile – riprodotti sulle tesserine in LIS insieme ai verbi che più li caratterizzano (rispettivamente andare, passare, volare, correre). Essendo le illustrazioni interamente in stoffa il riconoscimento degli oggetti al tatto è affidato alla loro sola forma e supportato da ingegnosi sistemi di spostamento sulla pagina.

Il mago di Oz

Più di mezzo secolo fa una talentuosissima illustratrice svizzera ideò una versione di Cappuccetto Rosso interamente illustrata con una grafica simbolica fatta di cerchi di diversa misura e colore. Diversi anni più tardi l’editore francese Les Doigts Qui Revent traspose tattilmente quella versione e il risultato fu un’opera pazzesca. Nell’ambito dell’illustrazione per le dita, più che in qualunque altro forse, la simbolizzazione e la semplificazione giocano in netto favore del lettore e del suo reale piacere di lettura. Ecco perché Il mago di Oz dell’Albero della Speranza, caratterizzato da questo stesso tipo di scelta stilistica, costituisce davvero un prodotto molto interessante.

Tutti i personaggi qui – da Dorothy al leone, dall’omino di latta allo spaventapasseri – sono rappresentati da ritagli geometrici di diversi materiali come gomma crepla, pannolenci, juta e fogli di metallo. Grazie a una legenda posta all’inizio del volume, il lettore ha agevolmente modo di riconoscerli senza che la forma delle sagome debba aggiungere alcun indizio. Il potere comunicativo delle immagini si fa così immediato e chiaro, compensando una riduzione testuale meno curata e avvicinando la fruizione tattile a quella visiva. Qualunque sia il senso che il lettore impiega per condurre la lettura, il libro curato da Anna De Stefano costituisce un invito a far volare l’immaginazione lungo le strade che conducono al Regno di Oz, generando possibilità di incontro e confronto molto significative e particolarmente spendibili in ambito scolastico.

Andiamo!

Premiato nel 2013 come miglior libro d’artista in occasione del concorso nazionale di editoria tattile “Tocca a te”, Andiamo! è un libro in stoffa, con testo in nero e in Braille, che fa del risveglio mattutino una scoperta sorprendente. Le semplici e comuni operazioni che si susseguono – dallo scendere dal letto al lavarsi bene, dal fare colazione all’andare a scuola – sono rese curiose e intriganti dal fatto che le relative illustrazioni richiedono necessariamente un’esplorazione tattile e quindi un coinvolgimento attivo del lettore.

Il letto in miniatura, lo spazzolino da denti e il tappetino da bagno, il cucchiaio sulla tovaglia e il quaderno degli appunti sono infatti inseriti all’interno di taschine di stoffa in cui introdurre la mano e tastare con cura. L’esperienza che ne deriva ha il potere di mettere sullo stesso piano lettori con abilità diverse, con e senza disturbi visivi in particolare, stimolando un approccio (quello tattile) alla realtà cui progressivamente tendiamo a rinunciare in un mondo dominato dal senso della vista. Concorre a questo risultato anche il gioco accurato tra dentro e fuori che caratterizza ogni pagina: ogni taschina presenta infatti un dettaglio da toccare – che sia il bordo della coperta, la tenda della doccia, o la cinghia dello zainetto – che offre qualche indizio su cosa possa trovarsi all’interno e raddoppia al contempo il piacere della scoperta tattile.

Raffinato e gradevole, con le sue pagine bianche e morbide, le sue illustrazioni familiari e i suoi testi minimali, Andiamo! è un invito più che riuscito a condividere piccole grandi esperienze: il risveglio, la lettura, il cammino.

Professione coccodrillo

Volendo parafrasare una celebre canzone, ci si potrebbe chiedere: il coccodrillo cosa fa? Di lavoro, intendo. Probabilmente se lo sono chieste Giovanne Zoboli e Mariachiara Di Giorgio, autrici del gustosissimo silent book Professione coccodrillo. A dispetto di quanto la copertina possa far pensare, il coccodrillo in questione non sguazza placido tra le acque melmose di un fiume tropicale ma è un cittadino fatto e finito che ogni mattina si alza  per andare al lavoro. Così, le acque melmose restano un sogno e quando alle sette la sveglia suona, al coccodrillo non resta che alzarsi, infilare le ciabatte, scostare le tende, lavarsi, vestirsi e fare colazione. E poi via, fuori di casa e attraverso la città, ammirando vetrine di sushi, imprecando contro automobilisti screanzati, attendendo paziente la metropolitana e acquistando per strada un mazzo di fiori e un pollo arrosto. Fino all’arrivo sul posto di lavoro, il cambio con la divisa e… splash, l’inizio del turno!

L’umanità che contraddistingue il protagonista è fatta di piccoli gesti (come la scelta di una cravatta), di momenti intimi (come lo stare sul wc), di azioni romantiche (come il dono di un bouquet fiorito)  e lo rende irresistibile. E proprio questo suo lato personificato gioca un ruolo cruciale nel costruire nel lettore delle aspettative che la narrazione poi scompiglia, con un finale a sorpresa che porta sorrisi e pensieri. Professione coccodrillo, edito con la consueta raffinatezza grafica da Topipittori, è un libro davvero invitante e da scoprire perché racchiude un racconto semplice ma efficace, frutto di una felice invenzione; perché si sviluppa attraverso immagini delicate e deliziose, che non lasciano nulla al caso e che disseminano qua e la dettagli sfiziosi, superflui forse per la stretta comprensione della storia ma fondamentali per il piacere della lettura; e perché offrono l’occasione di godere e di condividere un racconto accogliente anche per molti lettori con difficoltà.

Non è soltanto l’assenza di parole qui a rendere più accessibile la storia, per esempio a chi fatichi a riconoscere le lettere o a cogliere il senso delle parole o delle frasi. Ciò che fa davvero la differenza, in termini di fruibilità, è la cura straordinaria che le autrici profondono nel rendere estremamente chiari e comprensibili i singoli quadri e i passaggi che li legano. Leggere le immagini non è infatti necessariamente più semplice che leggere un testo ma in questo caso il lettore è accompagnato senza premura da un’illustrazione alla successiva e senz’altro la divisione in riquadri simili a quelli di un fumetto, sapientemente alternati a grandi tavole a pagina intera, aiutano a scandire il ritmo e a far parlare le immagini. Tutto questo, tuttavia, non sacrifica affatto il gusto per il sospeso e l’immaginato che anzi si alimentano nel corso della lettura e seguono il lettore, lasciando fino all’ultima pagina con in testa quel sentito dubbio: ma il coccodrillo, cosa fa?

Alice nel paese delle mani

Alice nel paese delle mani è davvero un libro molto strano, difficile da incasellare. Non è propriamente un libro senza parole, perché due piccoli testi lo aprono e lo chiudono, e non è propriamente un libro in LIS, perché non ci sono in effetti  parole e segni affiancati. Eppure il racconto procede essenzialmente per immagini prescindendo dal testo (se non per una più agevole contestualizzazione) e i segni, dal canto loro, compaiono e assumono un ruolo narrativo particolare.

Ciò che accade tra le pagine di questo libro edito dalla cooperativa romana Il Treno è che una novella Alice si addentri in un rivisitato Paese delle meraviglie in cui animali e oggetti prendono forma in base al segno della LIS che li esprime. Si delinea così un paesaggio fatto di mani che si muovono, si piegano, si incrociano e si drizzano: alberi, conigli, bruchi, fiori e laghi fatti di dita accolgono la piccola esploratrice conducendola in un viaggio di esplorazione e conoscenza non solo di sé ma anche di una lingua inconsueta fatta di gesti. L’effetto è bizzarro, piuttosto distante dalla più consueta produzione per l’infanzia e manifestamente artigianale in certi aspetti, ma comunque  interessante e curioso. Tutt’altro che banale è infatti l’operazione che porta a trasformare un gesto codificato dalla LIS nell’immagine dell’oggetto corrispondente, in un modo che  renda abbastanza riconoscibile tanto il primo quanto il secondo.

IMG_20170309_110137 IMG_20170309_110109

 

 

In questo senso la lettura risulta senz’altro più agevole per quei bambini e ragazzi che la Lingua dei Segni Italiana la padroneggiano – il che può portare, in una lettura condivisa a una proficua valorizzazione di questa competenza – ma non è del tutto proibitiva per tutti gli altri dal momento che alla fine del libro si trova un piccolo glossario che associa illustrazione, immagine dell’oggetto rappresentato e segno della LIS relativo. Per questi ultimi quindi la lettura si sviluppa perlopiù come una sorta di caccia al tesoro in cui le illustrazioni forniscono degli indizi più o meno espliciti di ciò che sta accadendo mentre la soluzione o l’aiuto definitivo sopraggiungono al fondo. Per tutti il volume costituisce uno strumento particolare che promuove un originale approccio alla Lingua Dei Segni, valorizzandone la peculiarità espressiva.

Martedì

Succede che un martedì sera le rane dello stagno si sollevino da terra e inizino a volare. A bordo di foglie di ninfea si librano nel buio della notte, si intrufolano in casa dai camini o dalle finestre, cambiano canale al televisore, fanno gare di corsa con i cani e non mancano di combinare guai tra le lenzuola stese. Poi sorge il sole e tutto torna alla normalità. O forse no… foglie di ninfee fradice giacciono a terra, gli investigatori brancolano nel buio e ombre di altri insoliti aviatori si preparano a decollare: è alle porte un nuovo martedì, che secondo l’autore è il giorno più divertente e dal suono più paludoso (in inglese Tuesday, martedì, richiama il suono di ooze, melma)!

rane volanti wiesner

Con questo libro, che gli è valsa la prima di tre prestigiose Caldecott Medals, David Wiesner dà vita a una storia in cui reale e fantastico danzano con un’intimità e un’intesa rarissime al punto che diventa difficile stabilire se l’autore esplori con tratto realistico un mondo immaginario o se trasfiguri la realtà quotidiana con uno sguardo colmo di immaginazione. Quel che conta è che il lettore ne resta letteralmente rapito. Surreale e divertente come nello stile più caratteristico di Wiesner, Martedì racconta infatti una storia in cui lo stupore fa la parte del condottiero.

Le tavole dettagliate dell’autore hanno una capacità straordinaria e forse unica di calare il lettore nel qui ed ora letterario, facendogli avvertire l’aria fresca della sera sulla pelle, il cicalio leggero della natura notturna e il profumo di un mistero eccezionale che sta per compiersi e ripetersi. La cura con cui, poi, Wiesner dissemina le sue illustrazioni di dettagli che contestualizzano il racconto e gli conferiscono coerenza interna  – dalla luna che cambia progressivamente alla corrispondenza precisa tra un’immagine e la successiva – fa sì che la sua narrazione per immagini offra tutto ciò che occorre al lettore per seguire con rigore il filo narrativo. Al contempo, però, la libertà di donare personali interpretazioni di ciò che accade – del perché le rane prendano il volo, per esempio, del perché tutto succeda di martedì o del perché rane e cane inizino una corsa a perdifiato – resta intatta e gioca un ruolo importante nel coinvolgimento diretto di chi sfoglia le pagine.

wiesner_tv5230c542de8d3.image

Questo equilibrio tra ciò che le immagini dicono, ciò che suggeriscono e ciò che lasciano in sospeso chiede da un lato un’attenzione mai sopita per seguire al meglio lo sviluppo narrativo e per godere appieno delle meraviglie che nasconde e offre dall’altro una possibilità di fruizione allargata anche a giovani lettori con difficoltà comunicative e di decodifica del testo. A strizzare loro l’occhio, inoltre, non manca un ritmo cadenzato ben scandito da una partizione di  doppie pagine piene, grandi cornici bianche e riquadri più piccoli. Il risultato è davvero un libro curatissimo e ricco di sorprese, non a caso inserito in catalogo dalla raffinatissima casa editrice Orecchio acerbo, cui si deve anche la pubblicazione del meno recente ma altrettanto affascinate Mr. Ubik!.

Balea

Quello progettato dal duo Fernandez e Gonzalez è un libro proprio strambo. Si intitola Balea e si presenta alto e stretto, chiuso da una fascetta che lo avvolge per intero. Questa recita: “Balea: il modo più efficace per viaggiare in fondo al mare!”. Possibile resistere a una simile premessa? Davvero no! Ecco dunque che in un attimo ci si ritrova a liberare l’insolito libretto che a sorpresa si apre a fisarmonica, calandoci dritti dritti nel corpo di un ingegnoso sottomarino.

IMG_20170228_160712

Originalissimo nel formato – un leporello che rivela un’unica grande illustrazione – Balea non è da meno nel contenuto. Nella pancia del gigantesco sommergibile in forma di cetaceo si sviluppano decine di piccoli quadri, tanti quanti sono gli ambienti di questo insolito mezzo di trasporto. Dalla sala comandi alla sala pittura, dalla cucina alla zona tubature, dall’orticello alle stanze da letto, l’occhio del lettore può perdersi, indugiare, zigzagare ed esplorare decine di vani che, lungi dall’offrire banali scene di lavoro o ozio, accolgono inaspettate microsituazioni narrative. Così, mentre un piccolo incendio si sviluppo tra pulsanti e schermi, un concerto rock con tanto di pubblico trova posto in coda al veicolo e mentre un gruppetto di robot pare ribellarsi in una sala ipertecnologica, qualcuno poco più in là si occupa con cura di maiali e galline. Non ha insomma davvero modo di annoiarsi chi provi a tuffarsi con sguardo curioso tra le viscere di questo strambo mezzo di trasporto in cui non mancano ottimi servizi di welfare come la nursery, personaggi divertenti come un vecchietto infervorato e stanze per tutte le necessità (certo, una sola toilette potrebbe essere insufficiente!). E non si pensi che col fronte lo stupore si esaurisca: anche il retro del volume riservaqualche sorpresa mostrando l’esterno del sommergibile e gli abitanti marini che gli scorrazzano intorno.

 

IMG_20170228_160727   IMG_20170228_160759 IMG_20170228_160825

Un libro come questo, edito da Kalandraka, può prestarsi a tanti usi e approcci differenti, secondo cosa fantasia comanda. Può essere un poster (non mancano peraltro due buchini ai due lati preposti presumibilmente allo scopo), un grande affresco in cui perdersi, una minuziosa collezione di quadri da esplorare. Ed è proprio questo, oltre al fatto che non vi siano parole a guidare la lettura, a rendere così stuzzicante e fruibile questo prodotto. Ciascuno è infatti invitato a scoprirlo nella maniera che più gli è congeniale cosicché anche chi solitamente incontra difficoltà legate al testo scritto o alla decodifica di storie molto rigide può qui indossare le sue pinne e tuffarsi negli abissi più curiosi.

Un giorno nella vita di tutti i giorni

Avete a disposizione un lungo pomeriggio, magari di pioggia e ozio, con un bel divano a disposizione? Perfetto! Mettetevi comodi perché Un giorno nella vita di tutti i giorni è proprio il libro che fa per voi. Tra le pagine di questo cartonato dal formato consistente potrete ritrovarvi a trascorrere un tempo indefinito nel piacevole tentativo di esplorare a fondo quadri quotidiani brulicanti di attività. L’originale albo di Ali Mitgutsch, famosissimo in Germania fin dagli anni ’60 ma incredibilmente mai edito in Italia fino ad ora, è infatti un silent book in cui ciascuna delle 12 doppie pagine dipinge un contesto – il parco, il cantiere, il molo, il mercato e così via – all’interno del quale si sviluppa una miriade di azioni, situazioni e relazioni. Il bello della lettura sta perciò nel cogliere gli innumerevoli dettagli che caratterizzano ogni quadro, sfidando eventuali compagni di svago a trovare il ragazzo che sta per cadere nel laghetto, i bimbi che fanno i rotoloni giù dalla montagna o persino l’angolo dei nudisti in spiaggia.

spiaggia_alì piscina_alì lago_alì

Tutt’altro che privo di influenze alte, che risalgono fino a Bruegel e alla corrente fiamminga, Un giorno nella vita di tutti i giorni calamita il lettore grazie a pagine che paiono letteralmente animarsi. Ogni loro centimetro vede piccole avventure dipanarsi in totale autonomia o con sottili connessioni con ciò che accade intorno. Come a bordo di un elicottero il lettore può godersi le scene dall’alto, indugiando a piacere su quelle che gli paiono più buffe (si pensi al bimbo che fa la pipì di nascosto tra i cespugli), particolari (tra le altre, la fila di mucche truccate secondo usi montanari tradizionali) o capaci di stimolare ipotesi narrative ardite (ad esempio di fronte al tizio che si arrampica sul tetto di una baita innevata).

Il fatto che la narrazione si apra e si chiuda a ogni pagina e che si sviluppi attraverso microstorie con protagonisti ogni volta diversi su cui si posa lo sguardo del lettore, fa sì che la lettura risulti particolarmente duttile, personalizzabile, propizia allo stimolo della verbalizzazione anche e forse soprattutto in caso di difficoltà cognitive e comunicative. l’assenza di testo inoltre rende il volume accessibile e godibile anche il caso di dislessia e disturbi uditivi. Da ultimo, il formato ampio e la pagine spesse rendono leggermente più agevole la sfogliatura delle pagine.

Crescendo

Finissimo esploratore del prima, quale luogo fecondo di attese e narrazioni, Alessandro Sanna torna a dedicarsi a questo tema così stimolante dopo l’apprezzatissima esperienza di Pinocchio prima di Pinocchio. Crescendo è infatti un silent book tutto dedicato ai nove mesi di una gravidanza: i nove mesi in cui tutto cresce – le aspettative, i sentimenti e senz’altro le forme. E proprio da queste ultime l’autore parte per costruire cinque piccole storie che si muovono al ritmo di una pancia che si arrotonda. Quella silhouette via via più marcata diventa infatti profilo di roccia, ali di gabbiano, corpo di cavallo e gambo di fiore in un’esplosione della natura colta in alcune delle sue molteplici forme. Man mano che la pancia cresce l’occhio dell’autore si allontana andando a cogliere uno scenario più ampio e facendo così avanzare il racconto: dalla roccia un uomo si tuffa ad esplorare le profondità marine, il gabbiano si alza in volo a caccia di cibo per i suoi piccoli, il cavallo galoppa lungo pendii vivacissimi e il fiore sboccia in un campo che abbaglia. Tutto inneggia insomma alla vita, in un inseguirsi di dettagli che si richiamano da una tavola all’altra fino a quella dolcissima immagine finale in cui la mamma stringe finalmente il suo bambino. A sottolineare questo crescendo di rotondità e di narrazioni, 18 intensi minuti di musica di Paolo Fresu che vale realmente la pena di ascoltare sfogliando le pagine poiché la tromba e gli acquerelli si intrecciano in maniera fitta e delicata, regalando al lettore una poetica nuova.

Non è un libro immediato questo , come molti d’altronde  firmati dal bravissimo Alessandro Sanna. Ma come spesso capita il valore della suggestione di un volume va di pari passo con la complessità del lavoro di appropriazione che al lettore viene chiesto. Così, quando si coglie il sottilissimo filo narrativo che lega i quadri apparentemente slegati, creando un motivo che ritorna mese dopo mese, la fantasia ha come un sussulto di gioia e delizia. È bello pensare che questo libro possa rivelarsi particolarmente affascinante, non solo per i grandi in attesa, ma anche per i bambini che aspettano un fratellino e che giorno dopo giorno vedono la pancia della mamma crescere e cambiar di forma. Sarà magico soprattutto per loro giocare a cogliere in quelle curve in evoluzione le sagome più disparate che raccontano piccole e grandi storie e che invitano a dare significati sempre nuovi alle linee care. L’assenza di parole agevola dal canto suo questo tipo di esperienza, favorendo possibilità di lettura e interpretazione personalissime anche da parte di lettori con difficoltà di decodifica del testo ma grandi abilità immaginative.

download Crescendo-di-Alessandro-Sanna_image_ini_620x465_downonly (1) Crescendo-di-Alessandro-Sanna_image_ini_620x465_downonly

La casa sull’albero

Sull’albero c’è una casa, e questo lo dice chiaramente il titolo dell’albo. Ma l’albero è in mezzo a un’indefinita distesa d’acqua e uno dei suoi inquilini vi arriva in copertina a cavallo di un’enorme balena. Ecco: l’atmosfera straordinariamente sospesa e surreale di questo prezioso libro firmato da Marije e Ronald Tolman si palesa fin da questi primi dettagli che invitano a sciogliere le briglie della fantasia. Perché serve una mente fervida e ben disposta per cogliere tutta la magia di un luogo magico come questo da cui si possono avvistare stormi di fenicotteri che fanno del cielo una distesa rosata, su cui ci si può divertire in compagnia di amici diversissimi come un pavone o un rinoceronte e a cui ci si può avvicinare a bordo di un piccolo veliero volante. Ogni pagina diventa insomma una sorpresa gioiosa in cui immergersi con pacatezza e stupore.

Il tratto felice degli autori – che non a caso è valso loro il Bologna Ragazzi Award nel  2010 – incanta il lettore come una ninnananna fatta di figure e colori. Così, i movimenti, i pensieri, e gli incontri dell’orso bruno e dell’orso bianco protagonisti del libro, scorrono silenziosi e naturali seguendo l’avanzare del giorno e delle stagioni e raccontando di una quotidianità straordinaria che vien voglia di sposare. Del tutto privo di parole, La casa sull’albero racconta per immagini una storia poetica ed emozionante di amicizia, condivisione e valorizzazione della lentezza.

Nell’allestire una tana sopraelevata, nel leggere un bel libro, nell’accogliere gli amici in visita, i due orsi si prendono il loro tempo e invitano il lettore a fare altrettanto, immergendosi e vagabondando con sospeso diletto tra i paesaggi avvolgenti che colorano le pagine e i minuziosi dettagli che le animano. Anche per questa ragione il libro, che certo ben si presta a una lettura condivisa che stimoli l’intreccio di suggestioni personali anche molto diverse, appare particolarmente indicato anche e soprattutto per una lettura individuale, in cui ciascuno possa trovare un proprio rifugio dell’immaginazione.

Chi se la fila?

Un libro che è tutta una corsa: in Chi se la fila?  il tempo è infatti tiranno e tutti i personaggi galoppano come fossero in perenne ritardo. In un inseguimento senza fine – la nonna insegue forse il figlio che pare inseguire la moglie che sembra inseguire la figlia che sta dietro al cane che a sua volta insegue il nonno che quasi quasi acciuffa la nonna – ciascuno sembra voler dimostrare i propri pensieri e i propri affetti con parole che si perdono nel fiatone o con gesti che rischiano di passare in osservati. Travolto da fili di lana che tanto evocano fili emotivi, relazioni che legano gli individui come una rete affettuosa, il nipotino osserva alla finestr, tra il divertito e lo stranito, la buffa scena di inseguimento. E con lui il lettore, che trova in questa curiosa catena umana una rivisitazione insolita della Fiera dell’est branduardiana.

Contraddistinto da tinte pastello e personaggi che raccontano emozioni con espressioni e movimenti, Chi se la fila? è il primo silent book targato Uovonero. In quanto privo di parole, il libro risulta particolarmente fruibile anche in caso di DSA, sordità o disturbi della comunicazione. La piena apprezzabilità della storia in caso di deficit cognitivi può essere invece compromessa da una storia che non si dipana in maniera così esplicita e facile da seguire in assenza di testo scritto. Anche in questo caso, tuttavia, nulla vieta di godere delle delicate immagini di Roberta Angeletti, sognanti e affascinanti, al di là della loro funzione prettamente narrativa.

Dov’è la stella marina?

L’aria bonacciona e simpatica è forse uno dei tratti più caratteristici dei personaggi di Barroux. Basterà aprire la prima pagina di Dov’è la stella marina? per averne una prova: qui troneggia salda e sorniona una balena grigia dal sorriso timido ma contagioso: quel sorriso che diventa a dir poco smagliante quando, nella pagina seguente, il mammifero si immerge e raggiunge i numerosi pesci che popolano il fondale marino. Che tripudio di colori e che allegria sgargiante, tra alghe e coralli! Qui pesci dalle forme, dai colori e dalle dimensioni variegate sguazzano a doppia pagina invitando il lettore a scoprirne e apprezzarne i singoli dettagli dettagli. Tra gli abitanti degli abissi figurano in particolare la stella marina, la medusa e il pesce pagliaccio che da lì in avanti sfidano il lettore a scovarli ad ogni pagina. Come anche in Dov’è l’elefante?, Barroux si diverte a nascondere tre personaggi lungo l’intero corso dell’albo rendendoli però protagonisti, al contempo, di una storia fatta e finita.

balena 1

immo

Se nel primo volume era la deforestazione il tema caro all’autore dalla forte sensibilità ambientalista, qui è invece la cura del mare ad essere messa in primo piano. Colpiti dal disdicevole accumulo di rifiuti sul fondo del loro habitat – dapprima di bottiglie e lattine, poi di pneumatici e tubi e infine di elettrodomestici e bidoni, in un vero e proprio climax iconico – i tre animaletti subacquei chiedono aiuto alla balena per disfarsi del problema e soprattutto per educare quegli zozzoni degli umani a non disperdere la loro immondizia.  Sicché, con un fare vendicativo piuttosto inaspettato, il cetaceo trova una soluzione a dir poco d’impatto che non mancherà di sorprendere il lettore. Perché la balena è tanto cara e buona ma guai a farla arrabbiare!

Assimilabile a un silent book (le uniche parole del libro sono infatti il sintetico invito a trovare i tre protagonisti nelle diverse pagine), Dov’è la stella marina? unisce l’aspetto ludico della caccia al dettaglio al gusto narrativo di una storia semplice ma completa. Scandita da passaggi iconici che richiedono attenzione ma che risultano facilmente identificabili, questa si presta a letture individuali o condivise apprezzabili anche in caso di disabilità intellettiva, oltre che uditiva e comunicativa.

Il tagliaboschi

Arrivano i primi freddi e, da sotto le coperte, si apprezzano con particolare piacere quei libri che racchiudono caminetti, manti soffici, pietanze fumanti e silenzio. Ecco perché il bell’albo di Alain Cancilleri casca proprio a fagiolo in questi giorni di autunno che avanza. Non solo Il tagliaboschi racconta di montagna, di boschi innevati, di natura e di quiete ma sa rendere queste atmosfere speciali attraverso le scelte legate alle parole (che non ci sono), alle tecniche (ruvide e minimali) e alle tinte (vibranti e misurate).

L’autore sceglie per la sua storia immersa in un paesaggio taciturno la strada impegnativa e incantevole del silent book.  In questo modo, valorizzando le sensazioni, riesce a raggiungere un pubblico ampio che non esclude lettori con disabilità o difficoltà legate al testo scritto. Anche in caso di sordità, di dislessia, di deficit intellettivi o comunicativi si può infatti cogliere il filo narrativo che lega queste pagine di un’essenzialità disarmante e apprezzare il bianco abbagliante che non è solo sfondo ma che si fa neve palpabile, le linee sottili che rivelano movimenti e sentimenti dei protagonisti; il gioco di inquadrature e colori che evidenza desolazione o calore; il contrasto netto tra figure umane esili e un contorno solido.

Edito da Il leone verde, il Tagliaboschi racconta di persone e cose semplici ma anche di scelte e azioni importanti. Il suo protagonista – un tagliaboschi per l’appunto – si accorge appena in tempo degli effetti nefasti che può avere la completa deforestazione e si impegna in prima persona perché il processo distruttivo inverta rotta. Dopo averlo seguito mentre abbatte un albero via l’altro lo troviamo in un’ultima eloquente pagina intento a portare nel bosco una nuova esile piantina. Quel che accadrà dopo possiamo solo immaginarlo, ma di certo quel che si sparge nella testa del lettore è un profumo di foglie, radici e natura che rinasce.

L’ombrello rosso

Sarà perché la voglia di storie è deliziosamente impaziente, fatto sta che Ingrid e Dieter Shubert, autori dell’albo L’ombrello rosso, non perdono tempo e il loro racconto per immagini inizia prima ancora che colophon e pagine introduttive abbiano il tempo di essere sfogliati. Subito dietro la copertina un intrepido cagnolino dal pelo color della pece trova infatti un ombrello abbandonato e a bordo di quest’ultimo si fa trasportare da un vento impetuoso. Inizia così un viaggio andata e ritorno sopra le nuvole, in mezzo alla savana, nelle profondità del mare, nel fitto della giungla e tra i rigidi ghiacci polari.

Un viaggio emozionante, non privo di pericoli e scoperte, durante il quale il comunissimo accessorio da pioggia si fa aereo, scudo, nave, sommergibile e persino slitta. Fino a quando l’intrepido viaggiatore non poggia nuovamente le zampe a terra e l’ombrello rosso non torna a essere che un utile oggetto per ripararsi dalla pioggia. Ma un nuovo passeggero curioso è in arrivo: altro giro altra corsa, tutto lascia intendere che un nuovo viaggio stia per cominciare…

Così si chiude, lasciando però aperti ampi spazi di immaginazione, il bellissimo albo senza parole pubblicato da Lamniscaat. In linea con il più autentico spirito dei viaggiatori, il lavoro dei due autori olandesi chiama il lettore a trovare a suo piacimento le parole per raccontare ciò che accade. Il loro stile privo di fronzoli ma attento ai dettagli invita infatti a spalancare gli occhi di fronte a paesaggi e protagonisti ben delineati e rende un servizio eccellente a una narrazione tutta iconica. Ciò che succede pagina dopo pagina, benché non esplicitato da un testo scritto, risulta infatti chiaro, netto e di conseguenza perfettamente fruibile anche in caso di disabilità, sia essa cognitiva, uditiva o comunicativa.

Manuale del piccolo aviatore

Un libro di narrativa certo non è, ma data la particolarità del progetto che lo supporta Il manuale del piccolo aviatore merita senz’altro una segnalazione. Il libro è un concentrato di informazioni utili e interessanti, soprattutto per quei bambini e quelle bambine che amano stare con il naso all’insù e che vedono nel volo, nella tecnologia aeronautica e nell’esplorazione dello spazio una realtà a dir poco affascinante. Qui si trovano riunite e spiegate in modo chiaro informazioni variegate relative alla storia del volo, alla flotta della nostra Aeronautica, al mestiere di Pilota, alla Frecce Tricolore, ai record spaziali e all’esperienza dell’ormai notissimo capitano Samantha Cristoforetti. Provvisto di diversi box di curiosità e di un glossario riassuntivo, il libro si chiude con il test del piccolo aviatore e un attestato ritagliabile che valorizza le conoscenze acquisite dal lettore. La ricchezza dei contenuti qui raccolti è dunque notevole benché la grafica non renda loro effettiva giustizia. Molto semplice e a tratti dall’aspetto casalingo, questa agevola la comprensibilità delle informazioni pur a scapito dell’appeal estetico.

Il manuale del piccolo aviatore è disponibile in cinque versioni diverse – tradizionale, Braille (senza illustrazioni ma con doppio testo nero-Braille), a grandi caratteri, ad alta leggibilità (con utilizzo della font Puntidivistafacile), in simboli – così da soddisfare bisogni di lettura differenti. Diverse nel formato, nell’adattamento testuale, nell’aspetto grafico oltre che nel tipo di codice impiegato, queste rispondono all’idea che strade diverse possano condurre al medesimo contenuto, garantendo a tutti i bambini le medesime opportunità di scoperta. Frutto di un progetto inclusivo che vede partner l’Aeronautica militare e la casa editrice Puntidivista, i cinque volumi si ispirano all’idea che , così come il cielo, anche il diritto alla lettura debba essere di tutti.

cop_dsa   cop_caa   cop_ipo   braille  standard

Giochi di luce

Giochi di luce è un colpo di fulmine: impossibile non restarne folgorati! L’originalità e la vicinanza con il sentire bambino di questo splendido albo senza parole – già vincitore del prestigioso Bologna Ragazzi Award nel 2015 – lo rendono infatti un piccolo e insolito gioiello, in cui il lettore è chiamato ad agire con poca fretta e molta curiosità.

Sull’inconsueto sfondo nero delle pagine – che sfida le convenzioni editoriali e suscita un immediato effetto stuzzicante – si stagliano contorni grigio chiaro di piante, fiori e animali di ogni sorta. A esplorare questa natura misteriosa, fianco a fianco al lettore, c’è un intraprendente  bambino dagli sgargianti stivali giallo limone. Torcia alla mano questi si avventura tra cespugli, fronde e radure illuminando ogni volta un particolare del sottobosco.

lizi boyd 1a

Il cono di luce bianco della torcia porta così allo scoperto dettagli arborei e creature del buio indaffarate, mentre tutt’intorno, nella penombra, la luna avanza nel cielo e la natura si anima pensando forse che nessuno la scorga. Gufi, cerbiatti, pipistrelli e roditori di varia taglia portano avanti le loro consuete attività notturne o si arrestano – tra timore e interesse – a fissare l’insolito ma rispettoso visitatore. Il loro è un incontro discreto e quieto, fatto di reciproche attenzioni che si risolvono in un buffo colpo di scena finale.

hqdefault

lizi boyd 9

Tutto accade nel massimo silenzio: quello che serve per osservare per benino il bosco e i suoi abitanti e per godere appieno di una storia fatta di minuzie, di dettagli brulicanti, di stupore per le piccole cose. Giochi di luce invita proprio a fare questo, offrendo quadri pullulanti tra i quali muoversi alla ricerca di bestiole nuove o già incontrate, di finestrelle che svelano particolari prima non scorti e di interazioni tra i personaggi che fanno del libro un’avventura vera e propria, in cui meraviglia e libertà di esplorazione vanno felicemente a braccetto.

 

 

 

Settestella

Settestella è – come anticipa il nome – una stella un po’ particolare che di punte ne ha sette invece che cinque. Caduta dal cielo in mare, la stella perde le sue punte ma trova diversi amici, tra cui animali marini e terrestri, oggetti naturali e agenti atmosferici, che riconoscono la sua unicità e le fanno doni capaci di renderla ancora più speciale. La protagonista diventa così “una stella di pinna, di foglia, di ago, di baffo, di piuma, lancetta e bastone”, incarnando l’arricchimento che l’incontro con l’altro può regalare.

Dario Moretti, autore e illustratore del volume, opta per immagini interamente realizzate in cartoncino rigido, sfruttando giochi di spessori, vuoti e pieni, rilievi e incisioni. Il risultato è una carrellata di immagini tattili  piuttosto semplici nell’aspetto ma non agevolissime da esplorare al tatto (penso per esempio al gufo, la cui forma non è così intuitiva e i cui dettagli interni non sono così marcati), piacevoli soprattutto per chi può godere anche della vista. Prive di dettagli superflui, queste accompagnano un testo poetico ed essenziale, trascritto sia in nero sia in Braille.

Ultimo di una collana preziosissima di libri tattili editi dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi grazie al sostegno di Enel Cuore, Settestella verrà distribuito in centinaia di copie gratuite a biblioteche, associazioni ed enti che hanno aderito al progetto A spasso con le dita. Il libro condensa bene i temi della diversità, dell’identità e della partecipazione che la Federazione ha fatto propri negli ultimi anni e sviluppato anche attraverso la mostra itinerante di tavole tattili Le parole della solidarietà, in cui sono stati coinvolti più di 10 artisti italiani.

Aria acqua terra fuoco

Che delizioso lavoro è Aria acqua terra fuoco, l’ultimo dei libri tattili creati dall’infaticabile squadra de L’albero della Speranza. Del tutto insolito rispetto alla precedente produzione della casa editrice di Ivrea, il volume strizza l’occhio anche al lettore adulto e rivela una cura eccezionale fin dall’involucro in cartoncino ondulato che lo impreziosisce e dalla copertina telata che lo racchiude.

Dentro, si racconta la storia dei quattro elementi, ciascuno dei quali ritiene e pretende di essere più importante degli altri. Anche l’uomo, una volta sopraggiunto, crede di potersi imporre dominando le forze della natura. Sarà solo la saggezza dei bambini a far capire a tutti – elementi, uomo e lettore – che il pianeta non è proprietà di nessuno e come tale va rispettato. O per dirla con un antico proverbio masai: non riceviamo la Terra in eredità dai nostri padri ma in prestito dai nostri figli.

Gli autori hanno optato qui per una rappresentazione fortemente simbolica – il che costituisce spesso una buona scelta in ambito tattile – chiaramente illustrata da una legenda posta all’inizio del libro ed efficacemente realizzata attraverso materiali corposi e ben distinti. Essenziali e proprio per questo molto suggestive, le immagini tattili di Aria acqua terra fuoco lasciano quindi le dita libere di esplorare con facilità e di suggerire spunti fertili all’immaginazione del lettore.

E riprese a volare

Nato dalle mani abili de L’albero della speranza alla fine del 2015, E riprese a volare racconta di un passerotto triste e inizialmente incapace di librarsi nel cielo che vive rassegnato e solo a terra fino a quando un amico non gli mostra un’occasione di riscatto e l’amore non gli offre la possibilità tanto attesa di tornare a volare. Costruito, come nella miglior tradizione della casa editrice di Ivrea, con doppio testo – nero e Braille – e illustrazioni al 100% esplorabili con le dita, il volume è adatto a un pubblico di giovanissimi lettori, anche privi di una grande esperienza in fatto di decodifica tattile.

Ci sono dentro il libro, è vero, i temi importanti della solitudine, dell’amicizia e dell’amore ma il racconto – non dei più entusiasmanti in  definitiva –  non tiene il passo di illustrazioni invece accurate in cui si vede profuso un grandissimo impegno. La loro semplicità e piacevolezza – si pensi, a titolo d’esempio, al sofficissimo piumaggio dei protagonisti, alle fronde realmente penzolanti del salice piangente o alla dura liscezza delle uova – rende il volume particolarmente fruibile in caso di disabilità visiva e altresì attraente per quei bambini che trovano nella manipolazione di superfici particolari, e morbide soprattutto, stimoli positivi e preziosi.

Scarpa, dove sei?

Un calcio per aria e la scarpa di un bambino finisce chissà dove. In fondo al mare, forse. O tra stormi di uccelli. Nel bel mezzo di una guerra coi cannoni, perché no? Sta al lettore scoprirlo scorrendo pagine in cui paesaggi e protagonisti i più disparati si susseguono in una giravolta di scene più o meno surreali.

Scarpa, dove sei? è un albo quasi senza parole, che si apre e si chiude con due righe di cornice in forma di filastrocca ma che procede per il resto per sole immagini. Il gioco sta tutto nel trovare le sagome di scarpe nascoste in ogni quadro – nel muso del rinoceronte come nel corno di una mucca, negli arti dello spaventapasseri come nella pancia della nave – scorgendo, per un piacere più minuzioso, la varietà di modelli disseminati tra le pagine e la loro peculiarità rispetto alla scena rappresentata.

Siamo di fronte a un piccolo albo che non strepita ma che sa divertire, un libro che è una caccia al tesoro a filo di pagina, una carrellata di personaggi bislacchi, un invito a cercare forme note dove meno ci si aspetterebbe. Con più di cinquant’anni sulle spalle (Scarpa, dove sei? è stato pubblicato per la prima volta a New York nel 1964), il volume ora pubblicato da Salani sposa semplicità e ironia valorizzando il tratto inconfondibile di un grande autore come Tomi Ungerer.

[Edit: luglio 2022] Il libro di Tomi Ungerer è stato da poco ripubblicato da Biancoenero nella collana Doppio passo.

Eli sottovoce… le matite

Quella di Eli sottovoce è una piccola saga silenziosa che vede protagonista una libellula intraprendente, perseverante e creativa. Nei diversi episodi la bestiola si cimenta con opere di alta e raffinata ingegneria: torri di carte, uova e matite che inesorabilmente finiscono per crollare. Ma dall’errore può nascere qualcosa di meraviglioso e la creatività può subire nutrirsi di intoppi (soprattutto se sopraggiunge l’aiuto di qualche amico!): prova ne sia il fatto che le costruzioni fallite di Eli offrono gli spunti necessari per creare strepitose mongolfiere o stupefacenti lampadari.

Nell’ultimo episodio, in particolare, un ardito pinnacolo di matite ben appuntite si schianta al suolo prima di essere completato. Ma da un lapis spezzato spunta un insetto bislungo che opportunamente insaponato e innaffiato finisce per dar vita, insieme ad Eli, a straordinarie bolle di sapone.

Il silent book, così come i precedenti (Eli sottovoce… le carte ed Eli sottovoce…l’uovo, di ciascuno dei quali è possibile visionare un trailer online), si sviluppa in un elegante formato lungo e stretto che sfrutta l’altezza della pagina per valorizzare le invenzioni della protagonista. Lo stile dell’autrice Laura Bellini è dal canto suo raffinato e sfizioso, capace di delineare brevi storie suggestive che stimolano il lettore e richiedono attenzione, invenzione e gusto per i particolari minuziosi.

Pois

In un atelier vivace e colorato qualcosa di strano sta per accadere. Tra manichini e tessuti dalle tinte sgargianti, quando la sarta meno se lo aspetta, i pois di un bell’abito giallo prendono il largo e scappano altrove. Gasp, disastro! Che ne sarà del bell’abito? Ma soprattutto dove si saranno cacciati gli intrepidi pois? Con un finale surreale e sorprendente il libro di Cristina Bazzoni lascia un sorriso sulla bocca del lettore, invitandolo a cogliere nell’imprevisto una nuova possibilità creativa!

Finalista del Silent Book Contest 2015, Pois si distingue nel variegato mondo degli albi per il suo marcato aspetto grafico e per l’influenza marcata di ambiti (pubblicitario per esempio) e periodi (gli anni ’50-’60 in primis) molto particolari. Il colore puro la fa qui da padrone, concorrendo non solo a restituire un complesso piacevole e insolito, ma agevolando anche la messa in rilievo degli elementi cardine della narrazione e dei richiami interni al libro. Questo contribuisce a rendere la storia ben comprensibile nonostante l’assenza di parole e pertanto godibile anche da parte di chi si approccia con difficoltà al testo scritto.

Dov’è l’elefante?

Potrebbe sembrare una semplice rivisitazione animalesca del classicissimo Dov’è Wally? (non a caso citato dall’autore come fonte di ispirazione) e già ci sarebbe di che divertirsi. Ma Dov’è l’elefante? non è solo questo. La sfiziosissima sfida a individuare un pachiderma, un pappagallo e un serpente ad ogni doppia pagina di questo coloratissimo libro valorizza infatti la storia raccontata da Barroux e focalizzata sul rispetto della natura. Man mano che si avanza nella lettura, la variopinta e intrigante foresta in cui i tre animali si nascondono va riducendosi a causa dell’aumento di case e costruzioni, costringendo i protagonisti dapprima a strategie di occultamento sempre più ingegnose e infine a una soluzione tanto simpatica quanto drammatica.

barroux 1

barroux 2

fuga

Per le sue caratteristiche, il libro pubblicato dalle Edizioni Clichy si presta a un assortimento di letture davvero ricco e stimolante. Si può giocare a nascondino con i personaggi, raccontare una bella storia, scoprire i pericoli della deforestazione e/o fare tutte queste cose insieme. La libertà concessa dall’assenza di parole, inoltre, apre queste possibilità a un pubblico straordinariamente ampio nel quale anche bambini con difficoltà di comunicazione, comprensione o decodifica del testo possono sentirsi confortevolmente inclusi.

Pinocchio – ed. tattile

Le avventure del burattino collodiano sono tra le vicende fantastiche più note, amate e feconde del nostro immaginario. Anche per questo, forse, quello di Pinocchio è uno de testi più frequentemente ripresi, esplorati e adattati della letteratura per l’infanzia. Alle numerose versioni che popolano i nostri scaffali se ne aggiunge ora una particolarmente preziosa e importante. Si tratta della versione tattile – con testo in nero e in Braille e illustrazioni da toccare – curata dalla casa editrice eporediese L’albero della Speranza e destinata ad aprire le vicende del burattino di legno anche a un pubblico di giovani lettori con disabilità visiva.

Se il testo in questo Pinocchio non è proprio eccezionalmente curato benché funzionale al riconoscimento delle immagini, le illustrazioni (che nei libri tattili tanta parte hanno e tanto cruciali sono) appaiono molto valide. Decisamente classiche nella forma e dallo stile rintracciabile negli altri volumi della collana “Il tocco magico”, queste risultano sufficientemente spesse e solide, curate nei dettagli, piacevoli da toccare e contraddistinte da una scelta dei materiali compositivi scrupolosa e suggestiva.

L’attenzione dedicata inoltre alla loro esplorabilità (il burattino con gli arti mobili, il Pinocchio finale in versione bambino staccabile, il martello estraibile per schiacciare il grillo, il vestito della fata a più strati e così via…), in favore di una loro più agevole comprensione al tatto, è nettamente superiore rispetto ai precedenti lavori della casa editrice e ne segna perciò un felicissimo salto di qualità!

La gara delle coccinelle

[usr=4.5]

All’inizio è una doppia pagina quadrata, pulita, ampia e di un  bianco abbagliante. Sui due margini laterali una linea di partenza e una di arrivo, sul lato sinistro uno schieramento di buffe coccinelle dalle forme, dalle tinte e dalle dimensioni diverse e realistiche. Tutto è statico, immobile. Pare di sentire l’attesa trepidante per il fischio o lo sparo d’inizio. Poi si gira pagina e la gara anticipata dal titolo finalmente inizia. I partecipanti che superano il nastro iniziale – ben più numerosi di quelli inizialmente visibili – invadono via via lo spazio bianco, chi ad ali spiegate e chi no, chi ingranando la quarta chi restando nelle retrovie. La corsa prosegue, caotica e brulicante, per alcune pagine fino a quando qualcosa di davvero strambo non accade. Come di fronte un muro magico – a metà tra il binario 9 e 3/4 di Harry Potter e il limite della trilogia di Suzy Lee – la baraonda di corridori prima si ammassa e poi scompare.

Che ne sarà stato di loro? Il lettore è a questo punto stupito e perplesso almeno quanto l’unica coccinella che invece riesce a passare nel lato destro del libro. Con lei vive momenti di esitazione e disorientamento ma anche la sorpresa dell’azione risolutiva su cui val la pena di non dire molto altro per non guastare il piacere della lettura!

E’ un piacere , questo, che si nutre di un’attenzione mirabile per i dettagli, di un ritmo narrativo che segue una curva ascendente prima e discendente poi, con un picco di reale congelamento centrale, e di una sfida immaginativa e deduttiva costantemente rilanciata al lettore. Leggere La gara delle coccinelle è infatti come accettare una sfida di scacchi: a ogni pagina occorre studiare con cura la situazione, prendersi il tempo di scovare cosa è cambiato rispetto alla pagina precedente, fare ipotesi su cosa potrebbe essere accaduto e su cosa potrebbe accadere in seguito e infine avanzare. Ma occorre anche ritornare sui propri passi, rivedere le proprie posizioni e rilanciare una strategia interpretativa sulla base di nuovi indizi.

Nel panorama (fortunatamente) sempre più vasto e variegato si albi senza parole, stuzzicanti anche che per chi fa a pugni con la parola scritta, quello di Amy Nielander è davvero originale e intelligente oltre che esteticamente curato e graficamente ipnotizzante. Non solo il lettore – più o meno giovane – può dedicare un lungo e piacevole tempo scoprire somiglianze e differenze tra le innumerevoli coccinelle che popolano le pagine e sorridere dell’uso narrativo che l’autrice fa dell’oggetto libro e dei suoi componenti (margini, pagine e linee di separazione) , ma può trovare un’occasione ghiottissima per condurre una lettura a più voci, in cui ci si confronta, ci si riconosce spiazzati, ci si pone interrogativi (a cui non sempre il libro fornisce risposte univoche), ci si diverte a vedere realizzate o smentite le proprie supposizioni. Il libro è insomma un gioco di rara arguzia per gli occhi e per la testa, che celebra l’importanza della cooperazione grazie al coinvolgimento estetico, narrativo e immaginativo del lettore stesso. Ben fatto davvero!

 

Mole Town

A sentir parlare di Mole Town da queste parti finiamo subito per pensar che a Torino si alluda. E invece no, la Mole qui non c’entra affatto: di talpe (moles, appunto, in inglese) piuttosto si tratta. Mole Town è infatti una città sotterranea abitata da laboriose talpe, che cresce a dismisura in nome della modernizzazione ad ogni costo. Un città insomma drammaticamente simile a molte metropoli in cui viviamo, in cui letteralmente il sotto e il sopra si invertono rispetto ai nostri e in cui a specchio è possibile riconoscere i paradossi dell’umana realtà contemporanea.

Schermata 2016-01-27 alle 13.14.45Schermata 2016-01-27 alle 13.14.24

In questo mondo all’incontrario, nato sotto un verdeggiante prato per iniziativa di una sola talpa, la vita e l’operosità crescono rapidamente. A filo di pagina, gli abitanti aumentano, il lavoro si intensifica e  l’inquinamento – sia sopra che sotto il terreno – raggiunge livelli pericolosi. Mentre in basso macchine sempre più evolute trivellano e aprono passaggi sempre più ambiziosi, in alto i cumuli di terra e gli scarichi si moltiplicano. Qualcosa sta sfuggendo al controllo delle indaffaratissime talpe, ormai prigioniere di strade congestionate di auto e relegate in tane che paiono armadietti. E l’autore lo sottolinea con abilità , dipingendo quadri via via più buie e ingombri e scegliendo un ritmo che cresce in intensità. Fino a quando, giunti sulla soglia del punto di non ritorno, una flebile speranza si accende, alimentata da un’ultima pagina di ottimistici ritagli di giornale: la storia di Mole Town forse può continuare, invertendo rotto e seguendo vie più virtuose…

Schermata 2016-01-27 alle 13.14.54

Mole Town è uno di quei libri – non il primo a dire il vero editi da Orecchio acerbo – che ricorrono alla parola solo per lo stretto indispensabile. Una frase appena o poco più. Anche qui, infatti, il libro si apre con un breve testo, poche righe in tutto: giusto il necessario per inquadrare il contesto di una città sotterranea abitata da talpe che con gli anni si trasforma e rischia il tracollo. Dopodiché sono subito le immagini a farla da padrone, accompagnando il lettore in un’affascinante esplorazione sotto terra e richiedendo tutta la sua attenzione per trarre dai particolari, di cui l’autore tedesco e generoso, non solo lo sviluppo e l’epilogo della storia ma anche gli spunti riflessivi di cui questa è disseminata.

L’attenzione di Torben Kuhlmann ai dettagli è infatti minuziosa e stuzzicante: dai font diversificati che caratterizzano le singole scritte (linee dei tram, titoli di giornale, insegne pubblicitarie) ai puntuali richiami all’ingegno umano (progetti di gallerie, macchinari complessi, suppellettili casalinghe), tutto solletica il gusto estetico del lettore, attivando con intelligenza il riconoscimento di temi importanti. Tra le pagine a tinte brune di Mole Town, sotto i cumuli di terra smossa dalle talpe, ci sono gli echi dell’emigrazione animata dalla prospettiva di un lavoro, del prezzo imposto da una modernizzazione fuori di senno, dell’omologazione degli individui e della saturazione dei beni: un concentrato di riferimenti, insomma, all’attualità più scottante che tutti noi tange, dai più piccoli ai più grandi. L’albo si presta dunque a letture trasversali, singole o collettive, adulte o bambine, capaci di smuovere e convogliare riflessioni importanti. Come una trivella potente e inarrestabile, insomma, che scavi nel profondo gallerie di critica lucidità.

Pinocchio prima di Pinocchio

Ci sono storie senza tempo che riecheggiano nelle orecchie e nella mente di tutti noi in forme, immagini e particolari diversi: storie che popolano l’immaginario comune e tornano a galla nelle circostanze più disparate. Ecco, Pinocchio è senz’altro una di quelle e la sua forza è tale che bastano pochi ben scelti dettagli per evocare episodi trasversalmente noti e simboli radicalmente sedimentati. Per averne una forte e travolgente prova sarà sufficiente immergersi nel corposo volume firmato da Alessandro Sanna e intitolato Pinocchio prima di Pinocchio.

Due sole frasi animano il libro che per il resto procede essenzialmente senza parole e che pertanto come un vero e proprio silent book può essere considerato. Poste in apertura e in chiusura, le due frasi segnano la continuità e la rottura con la storia di Collodi. In prima battuta vi è il richiamo al celeberrimo “C’era una volta… Un re! diranno subito i miei piccoli lettori” e l’immediato cambio di prospettiva che pone il lettore su di una nuova via interpretativa. “C’era una volta un pezzo di legno, direte voi lettori. Invece no! C’era una volta l’universo.” – dice Sanna – indicando chiaramente l’intenzione di esplorare il “prima”. Da qui in poi la narrazione avanza per sole immagini e più nel dettaglio per piccoli riquadri che lasciano periodicamente spazio ad un’apertura cromatica a tutta pagina.

Schermata 2016-01-27 alle 11.36.18                Schermata 2016-01-27 alle 11.35.29

Ciò che accade è che da una sorta di esplosione iniziale prende vita un albero che cresce e si irrobustisce attraverso stagioni più o meno avverse. Poi, d’improvviso, un fulmine stacca di netto un ramo: non un ramo qualsiasi, bensì un ramo dalle stilizzate fattezze umane, composte di un tronco e quattro esili arti. Non è dunque un ramo, a ben vedere, quel che cade dalla pianta ma piuttosto un personaggio fatto e finito pur nella sua forma schematica. Come in ogni fiaba che si rispetti si prospetta subito una partenza per il protagonista che sulle sue gambe secche secche  si avvia a perdifiato per il mondo. C’è tutta la spensieratezza giovanile nelle prime falcate e capovolte del legnetto, fino all’incontro con un gatto e una volpe di nota memoria. E’ con loro che il protagonista si incammina fino all’imbocco di una foresta scura che è anche l’ingresso nell’ignoto, nell’oscuro, probabilmente nel proibito. Il clima si fa qui via via più cupo, l’ambiente più ristretto, le vie di fuga meno palesi. Una manciata di altri omini di legno si calano silenziosamente dagli alberi e circondano il nostro eroe  in un girotondo tutt’altro che rassicurante: l’atmosfera si scalda fino a prendere letteralmente fuoco.  Un Pinocchio in fiamme fugge davanti a un’ombra tanto familiare al lettore quale quella del burattinaio mangiafuoco. Fugge allora a più non posso, attraverso pianure e colline, salite e distese d’acqua, in pancia a un serpente, in groppa a un uccello, in bocca a un pescecane, fino a ritrovarsi in una cornice dai dettagli primaverili che lo avvolge e trasforma. Conquistando un corredo sempre più rigoglioso di foglie e verzura tra le cui ombre si stagliano richiami di gatti, civette, volpi e burattini, l’albero è a questo punto compiuto. E come lui anche la storia. Almeno quella che c’è prima ma che mostra di contenere già anche i semi della storia che verrà dopo. Quest’ultima, a tutti noi nota del burattino collodiano, può quindi ora cominciare: il cerchio si chiude, e la fine diventa inizio.

Schermata 2016-01-27 alle 11.35.54

Come già sperimentato in Fiume lento, Sanna si prende il tempo necessario a dipanare una narrazione millenaria e chiede al lettore di fare lo stesso. Il patto è chiaro: chi ha fretta non troverà qui molto pane per i suoi denti. La magia di questo lavoro sta infatti nelle impercettibili sfumature che avvicinano e insieme distinguono i singoli quadri, trovando un senso solo nel consecutivo accostamento delle scene. Tra le pagine di questo meraviglioso libro è tutto un gioco di dettagli che mutano, di sfumature che vibrano, di tinte che si animano: è nel complesso che il particolare trova valore, come in un quadro la cui comprensione richieda distanza e prospettiva. Serve insomma una visione d’insieme per restituire il giusto ruolo ad ogni tassello e il giusto senso ad ogni segno. L’essenzialità del tratto accompagna e accoglie qui infatti una sovrabbondanza di echi e significati e questo fa sì che le possibilità esplorative del volume siano molteplici e coinvolgano lettori di età ed esperienza diversa. anche e soprattutto non giovanissimi.

Dall’albo, edito da Orecchio acerbo è nato uno spettacolo teatrale che vede protagonista lo stesso autore Alessandro Sanna impegnato in una sessione di disegno dal vivo accompagnato da un contrabbasso e un cantante jazz: un esperimento originale e insolito che tanto dice sulle possibilità creative e creatrici che opere di altissimo livello artistico recano con sé.

Chi è stato?

Un adulto e un bambino viaggiano a bordo di un’autovettura e gettano una bottiglia vuota fuori dal finestrino. Così si apre il volume di Magdalena Armstrong Olea dal titolo Chi è stato? e che da lì in avanti segue una sorta di viaggio istruttivo: non quello dei due maleducati automobilisti, però, ma quello dei rifiuti che come la loro bottiglia atterranno in natura provocando piccoli grandi disastri ambientali.

Il libro, interamente senza parole, procede solo per immagini a matita in bianco e nero. L’assenza di testo chiama a gustare i dettagli narrativi con cui Magdalena Armstrong Olea popola le ampie pagine del volume e a seguire la struttura circolare con cui l’autrice crea il racconto. A ogni pagina si scoprono infatti rifiuti abbandonati dall’uomo in cui incappano sfortunati animali: scatolette di tonno che tagliano le zampe dei castori, vasetti di yogurt che appesantiscono le lumache, copertoni che imprigionano cinghiali e bombolette spray che stordiscono volpi. La maniera in cui l’importante questione è trattata non disdegna l’ironia – come testimoniano le soluzioni adottate per liberare un topolino da un barattolo o per estrarre un tappo di alluminio dalla bocca di una lepre  – senza che per questo la delicatezza e la gravità del tema ne risentano.

Pubblicato dall’editore Terra Nuova, particolarmente attento ai temi dell’ecologia (come anche dimostrato ne I due pappagalli pigliatutto), il libro sceglie la via della schiettezza per portare all’attenzione del lettore le conseguenze di piccoli grandi gesti quotidiani. Il titolo scelto – Chi è stato? – pone inoltre l’accento sulle responsabilità individuali che ciascuno di noi può prendersi, invitando a farsi in prima persona difensori dell’ambiente. La struttura circolare del racconto – che parte dai protagonisti umani e vi torna nelle ultime pagine – sottolinea infine l’idea che i gesti di inciviltà che compiamo si ritorcono contro quel pianeta di cui  noi stessi facciamo parte.

I due pappagalli pigliatutto

Al centro del libro un solido tronco d’albero, ai lati rami fioriti e due uccelli – uno nero dal becco giallo e uno bianco dal becco arancio. I due pappagalli pigliatutto si apre così, quieto e quasi spoglio, lasciando il lettore a chiedersi che cosa mai potrà capitare tra quelle placide fronde. Poi uno l’uccello bianco prende il volo e torna con una lampada da tavolo. Ohibò! Lo stupore di chi legge è almeno pari a quello dell’uccello nero che per tutta risposta corre di volata a procurarsi un libro da poggiare ai rami. Voilà, come in un ping pong insolito e surreale da un lato arriva un wc dall’altro una tv, poi dal primo una cravatta, un set da vino, un giradischi e uno stivale e dal secondo una chitarra, una bicicletta, un mocio e un paio di occhiali, e così via fino a che l’albero non diventa un garage all’aria aperta in cui tappeti, pianoforti, librerie e orologi a cucù non diventano letteralmente insostenibili.

Il finale è un patatrac travolgente che vuol far riflettere sui pericoli dell’accumulo forsennato di beni e su ciò che davvero è indispensabile nelle nostre vite (domestiche o arboree che siano). Lo fa silenziosamente, grazie a una narrazione che procede solo per immagine risultando così amichevole anche in caso di difficoltà di lettura, e lo fa ironicamente, grazie a due protagonisti talmente buffi e delicati da rendere irresistibile il loro strambo trasloco. Il libro è infatti una progressiva accumulazione di oggetti, un gioco curato di posizioni e gesti impercettibili tra i protagonisti, un contrasto di vuoti e pieni che scandisce un ritmo piacevolmente vivace.

Lo stile sornione con cui Dipacho – illustratore colombiano selezionato nel 2015 per la mostra della Bologna Children’s Book Fair – si diverte ad accumulare gli oggetti più disparati sui rami, mostra gli uccelli alla prese con cose per loro del tutto inutili e rende espressivi due paia di occhi a puntino e due becchi apparentemente immutabili, è davvero speciale e meritoria. Sarà forse anche per questo che il libro ha vinto il premio White Ravens assegnato dalla Internationale Jugendbibliothek di Monaco ed è stato segnalato nel 2012 anche da da IBBY.

 

Scoperta

[usr=5,5]

Lo aspettavamo, e molto. Dopo aver letto e trattenuto il fiato di fronte a Viaggio, non vedevamo l’ora di scoprire cosa avesse in serbo Aaron Becker per il secondo volume della sua trilogia senza parole. Autoconclusivo e perciò godibilissimo anche senza conoscere o avere sottomano gli altri pezzetti dell’insieme, Scoperta ci fa ritrovare la coppia di amici formatasi alla fine di Viaggio pronta per sgattaiolare in una nuova impresa dalle tinte accese. Muniti di due preziosi pastelli magici – uno rosso e l’altro viola – i due protagonisti incontrano il lettore durante un temporale cittadino. Le prime pagine (quelle del titolo e dei credits, per intenderci), dove ancora (erroneamente) crediamo di non esserci davvero addentrati nella storia, ce li mostra in corsa sotto le prime gocce  e poi al riparo sotto un ponte di pietra maestoso ma apparentemente insignificante. A ben guardare, sotto una delle volte, si cela  una porta di legno dalla cornice scolpita. La bambina – forse attratta proprio dai decori, forse colpita da un impercettibile movimento di chiave – ce la segnala con lo sguardo: è un dettaglio, quasi impercettibile ma estremamente importante: è quello che ci sommessamente ci annuncia che qualcosa di straordinario sta per succedere. L’avventura inizia.

Impazienti volgiamo la pagina ed ecco che un misterioso re dalla cappa arancione esce di soppiatto proprio da quella porta e consegna ai due ragazzi una mappa, una sorta di cartuccera e un terzo pastello arancione, prima che alcune guardie armate lo costringano a rientrare. La cartuccera si rivela presto essere un portapastelli (non male come idea antibellica, detto tra le righe!) e la mappa, criptica, riporta sei cerchi di sei colori differenti. Il legame tra i due oggetti è forte e si mostra con evidenza lampante qualche pagina più avanti, quando uno zoom sulla mappa lascia scorgere che i cerchi disegnati, uniti da linee colorate, racchiudono paesaggi che chiedono solo di essere esplorati: qui si nascondono, infatti, i tre pastelli mancanti. Ecco allora che i due protagonisti si lanciano alla loro ricerca, sfruttando la più potente arma in loro possesso: l’immaginazione. Con i loro pastelli disegnano ora un paio di pinne, ora un rinoceronte, ora un’altalena volante che li conducono in un mondo sottomarino, in una fitta giungla e infine su una montagna innevata dove l’impresa si compie e l’arcobaleno torna a risplendere… nel regno fantastico come nella città reale.

Se il primo volume della trilogia conquistava a spron battuto per la stupefacente inventiva, questo secondo fa dell’avventura condivisa il suo punto di forza. A ogni pagina è l’immaginazione congiunta dei due amici, che con i loro pennarelli magici disegnano le soluzioni per avanzare, esplorare o salvare la pelle, a consentire lo sviluppo della storia e il chiudersi del cerchio (narrativo e sulla mappa!). Senza fronzoli o moralismi, è semplicemente la forza dell’unione a vincere grazie a un’impresa rigorosamente a due.

E’ un libro travolgente e mozzafiato, Scoperta, un Silent Book con la S e la B maiuscole che fa dell’assenza di parole non un tratto qualunque ma una cifra stilistica precisa e significativa. La magia che Becker svela sotto i nostri occhi nasce infatti da una moltitudine di dettagli che si intrecciano e dipanano con una frequenza e rapidità tale che difficilmente un racconto scritto e fisso potrebbe starvi dietro. E poi ci sono i richiami cromatici, in cui l’autore è un vero talento e che qui rendono protagonisti i toni del viola; le meraviglie architettoniche che si compongono di elementi stratificati e si popolano di personaggi brulicanti; e i rimandi tra le pagine che costruiscono una trama sottesa e trasparente che dona unità e coerenza.  La libertà di movimento e scoperta di tanta ricchezza concessa al lettore dal ricorso alle sole immagini, non solo spalanca le porte a una fruizione allargata della lettura – consigliatissima per esempio a ragazzi delle elementari con difficoltà di decodifica del testo ma pronti e attratti (e raramente accontentati) da narrazioni articolate -, ma consente anche di godere appieno del piacere di assaporazione lenta offerto dal libro.

 

Quadrato al mare

Che i libri in casa Minibombo profumino di gioco è ormai felicemente noto. La dimensione ludica è componente essenziali di tutti i titoli per i piccolissimi firmati dalla casa editrice emiliana. Che si tratti di trovare somiglianze e differenze (Si vede non si vede), riconoscere un animale da un dettaglio (Vicino Lontano) o seguire una storia che procede per iterazione (Il libro bianco) o accumulazione (Dalla chioma), quel che è certo è che il lettore avrà un ruolo attivo nella lettura e non avrà modo di annoiarsi.

Così accade anche negli ultimi due libri curati da Silvia Borando: Triangolo al circo e Quadrato al mare. Qui, come nei suoi silent book precedenti, l’autrice trasforma geometrie elementari in oggetti che raccontano storie. In Triangolo al circo, per esempio, un apparentemente insignificante triangolo rosso si fa prima tendone, poi trombetta, e ancora strumento da giocoleria, cravattino, serpente da ammaestrare e – per il gran finale – uomo-cannone. Il gioco è ritrovare, a ogni voltar di pagina, l’equilatero sornione che si mimetizza senza perder la posizione, e ricontestualizzarlo in virtù delle forme che lo circondano. Sono infatti cerchi, rettangoli, quadrati e altri triangoli dalle dimensioni e dai colori variegati a comporre le figure circensi del libro e a fornire al lettore indizi stilizzati per risemantizzare il protagonista. È una storia di realtà e apparenza, di somiglianze e differenze, di forme e significati, insomma, quella che si nasconde tra queste coloratissime pagine al semplice ma eloquente motto di “Tienimi d’occhio!”.

Allo stesso modo, in Quadrato al mare, fisso e immobile qualunque cosa accada, un quadratino blu assume i panni di cravatta, di pipa o di paletta o di boccaglio. Anche qui, definito il tema del volume, il protagonista diventa dettaglio di una moltitudine di figure differenti unite da una sola ambientazione. Al lettore la scelta di leggere ogni pagina come a sé stante o di rintracciare un filo narrativo che unisca i diversi personaggi. L’assenza di parole, in questo senso, non solo favorisce la fruizione anche in caso di difficoltà di lettura, ma spalanca le porte all’invenzione meno imbrigliata. Come da tradizione, inoltre, non mancano il ricorso a una tavolozza di colori densi e ben marcati e la predilezione per forme non solo semplici e riconoscibili ma anche facilmente riproducibili.

Perché il gioco della lettura deve poter continuare anche una volta che il libro si chiude e i Minibombo’s, in questo, sono davvero imbattibili. Il lettore è naturalmente portato a proseguire le avventure dei protagonisti, trovando loro nuove collocazioni e nuove storie, e in questo, viene sostenuto e incentivato. Sul sito della casa editrice si trovano infatti spunti di attività per creare, in grande semplicità, a partire da un comune triangolo o da un banale quadrato. Il tutto a reale misura di bambino, per una nuova geometria dell’immaginazione.

Triangolo al circo

Che i libri in casa Minibombo profumino di gioco è ormai felicemente noto. La dimensione ludica è componente essenziali di tutti i titoli per i piccolissimi firmati dalla casa editrice emiliana. Che si tratti di trovare somiglianze e differenze (Si vede non si vede), riconoscere un animale da un dettaglio (Vicino Lontano) o seguire una storia che procede per iterazione (Il libro bianco) o accumulazione (Dalla chioma), quel che è certo è che il lettore avrà un ruolo attivo nella lettura e non avrà modo di annoiarsi.

Così accade anche negli ultimi due libri curati da Silvia Borando: Triangolo al circo e Quadrato al mare. Qui, come nei suoi silent book precedenti, l’autrice trasforma geometrie elementari in oggetti che raccontano storie. In Triangolo al circo, per esempio, un apparentemente insignificante triangolo rosso si fa prima tendone, poi trombetta, e ancora strumento da giocoleria, cravattino, serpente da ammaestrare e – per il gran finale – uomo-cannone. Il gioco è ritrovare, a ogni voltar di pagina, l’equilatero sornione che si mimetizza senza perder la posizione, e ricontestualizzarlo in virtù delle forme che lo circondano. Sono infatti cerchi, rettangoli, quadrati e altri triangoli dalle dimensioni e dai colori variegati a comporre le figure circensi del libro e a fornire al lettore indizi stilizzati per risemantizzare il protagonista. È una storia di realtà e apparenza, di somiglianze e differenze, di forme e significati, insomma, quella che si nasconde tra queste coloratissime pagine al semplice ma eloquente motto di “Tienimi d’occhio!”.

Allo stesso modo, in Quadrato al mare, fisso e immobile qualunque cosa accada, un quadratino blu assume i panni di cravatta, di pipa o di paletta o di boccaglio. Anche qui, definito il tema del volume, il protagonista diventa dettaglio di una moltitudine di figure differenti unite da una sola ambientazione. Al lettore la scelta di leggere ogni pagina come a sé stante o di rintracciare un filo narrativo che unisca i diversi personaggi. L’assenza di parole, in questo senso, non solo favorisce la fruizione anche in caso di difficoltà di lettura, ma spalanca le porte all’invenzione meno imbrigliata. Come da tradizione, inoltre, non mancano il ricorso a una tavolozza di colori densi e ben marcati e la predilezione per forme non solo semplici e riconoscibili ma anche facilmente riproducibili.

Perché il gioco della lettura deve poter continuare anche una volta che il libro si chiude e i Minibombo’s, in questo, sono davvero imbattibili. Il lettore è naturalmente portato a proseguire le avventure dei protagonisti, trovando loro nuove collocazioni e nuove storie, e in questo, viene sostenuto e incentivato. Sul sito della casa editrice si trovano infatti spunti di attività per creare, in grande semplicità, a partire da un comune triangolo o da un banale quadrato. Il tutto a reale misura di bambino, per una nuova geometria dell’immaginazione.

Mentre tu dormi

Mentre tu dormi di Mariana Ruiz Johnson è l’albo vincitore del Silent Book Contest 2015. Aprite, sfogliate, fate vostro questo volume e non vi sarà difficile capire le ragioni del riconoscimento. Le immagini dell’autrice argentina contenute nel libro sono a dir poco ipnotiche e raccontano in punta di pennello di un confine labilissimo tra realtà e sogno.

L’albo si apre con un’inquadratura ristretta su un bambino e sulla sua mamma, ripresi con garbo nel rito della buonanotte. Nei loro sguardi c’è attesa e dolcezza e un libro dalla copertina intrigante pare suggellare l’intimità del momento. Qualcosa sta per succedere ma per scoprirlo occorre forse abbandonarsi ai sogni.. è a quel punto, proprio quando il piccolo protagonista chiude gli occhi, che l’inquadratura infatti si allarga – sulla stanza, sulla casa, sull’isolato, sul quartiere, fin sull’intera citta – spalancando lo sguardo del lettore su pagine sempre più ampie e dettagliate. Qui, esseri umani alle prese con faccende quotidiane – una festa, una passeggiata, una mail di lavoro – si mescolano a creature fantastiche dai tratti animaleschi (un coniglio, una volpe, un orso, un cervo, un uccello e un ghepardo) non del tutto estranee all’occhio attento. Sono proprio questi ultimi, a un certo punto, a dominare la scena prendendo il mare e conducendo chi legge in un mondo meravigliosamente surreale. Qui, tra luci e colori strabilianti, hanno luogo folleggiamenti che tanto sanno di ridda selvaggia e anche per questo solleticano ricordi e fantasie di lettori più o meno grandi. È festa grande, a centro pagina. Poi però tutto finisce, la città si sveglia mostrando gli esiti della notte e restituendo alla vista protagonisti più terreni. Il mondo fantastico si è dissolto, ma forse non sarà così difficile ritrovarlo quando calerà di nuovo la sera…

In una canzone dal titolo quasi identico (Mentre dormi) all’albo di Mariana Ruiz Johnson, Max Gazzè canta “Le piume di stelle sopra il monte più alto del mondo a guardare i tuoi sogni arrivare leggeri”. Ecco, è quasi un caso ma la sensazione di leggera felicità che questo albo lascia tra le dita al termine della lettura non potrebbe forse essere espresso meglio..

Gli alberi volano

L’unione fa la forza: ce lo hanno insegnato libri senza tempo come Guizzino di Lionni e ce lo ricorda ora Gli alberi volano di Tessaro. Nel suo bel libro senza parole, finalista del premio Silent Book 2014, l’autore racconta infatti una storia di rivolta giocosa contro un nemico comune ad esseri apparentemente indifesi. Appena uscito dalle candide uova, uno schieramento di uccellini si fa gioco di uno stolido cacciatore camuffandosi da foresta e suscitando una reazione tanto ingenua quanto divertente.

Senza rinunciare al sorriso, Gek Tessaro prende posizione sul tema della caccia regalando alla natura l’ultima parola in una lotta secolare e offrendo un chiaro esempio di quanto possa essere ottuso l’essere umano. Lo fa peraltro ricorrendo alla sola narrazione per immagini che parla un linguaggio comprensibile anche a chi fa normalmente a pugni con il testo scritto.

Pur richiedendo alcune inferenze non proprio banalissime, Gli alberi volano propone una storia fruibile e spiritosa. In questo senso, l’abilità di Gek Tessaro sta nel rendere straordinariamente espressivi piccoli dettagli all’interno delle illustrazioni. Così, gli occhi prima circospetti, poi confusi e infine disperati del cacciatore la dicono lunga su quel che sta succedendo tra le pagine e offrono indizi preziosi per decodificare l’inganno ai suoi danni. Allo stesso modo, il crescendo iperbolico di uccellini messi in scena dall’autore paiono proprio risuonare nelle orecchie del lettore, aiutandolo a godere del piacevole ritmo del volume.

Facciamo cambio?

Facciamo cambio? è la proposta invitante avanzata dall’albo firmato da Lucia Scuderi. Cambio di cosa? Cambio di casa. Cambio con chi? Cambio con un altro animale. Cambio perché? Cambio per divertirsi, per vedere cosa succede se immaginiamo una pecora tra i rami, un uccello tra le onde o un coccodrillo al parco. Il libro è infatti costruito per coppie di animali che si ritrovano improvvisamente ad habitat invertiti suscitando lo stupore dei “vicini di casa” come di chi sfoglia le pagine.

Dopo una prima facile conoscenza con i protagonisti di turno ritratti in primo piano al lettore si offrono doppie pagine ricche di dettagli in cui scorgere l’intruso nell’ambiente altrui e apprezzarne l’adattamento di chi si trova fuori posto. Il sorriso scaturisce dall’incontro tra creature molto distanti tra loro non solo per tipo di habitat ma anche per grado di domesticità, modo di muoversi e personalità; si rafforza nei dettagli come la reazione dei passanti a un coccodrillo al guinzaglio o nella stretta dei pesci da parte della scimmia come fossero banane; e culmina infine quando l’ultima coppia di personaggi entra in scena. Trovare un bambino sul posto di lavoro del papà con tanto di calzini sparsi sulla scrivania e pennarelli in disordine, ma soprattutto trovare un papà alle prese con colla vinilica e lavoretti da asilo fa scattare infatti un’immedesimazione forte e un divertimento facile da condividere.

Anche se da un’idea così buffa ci si aspettava forse invenzioni più marcate, il silent book edito da Lapis è piacevole e spensierato. Non solo, l’assenza di testo lo rende facilmente fruibile anche in caso di difficoltà di lettura come quelle dettate da DSA, sordità o ritardi lievi, oltre che particolarmente adatto a una lettura ad alta voce.

 

Dalla chioma

In copertina i colori sono pochi e netti e il titolo (Dalla chioma) sbuca fisicamente da una grossa cima d’albero: ancora un volta il segno grafico di Minibombo si fa riconoscibile e invita il lettore alla curiosità prima ancora che questi abbia avuto il tempo di aprire il libro. E proprio qui – al momento di aprire il volume – arriva la seconda di molte sorprese: il libro si apre infatti non orizzontalmente ma verticalmente, così da assecondare le esigenze spaziali del suo protagonista, ossia un alto albero dalla fitta chioma da cui cadono in successione animali di stazza crescente.

Tutto parte da un minuto topolino che adocchia una castagna in cima all’albero e per procurarsela ne scuote il tronco. La castagna non cade ma al suo posto piomba a terra una volpe. A questo punto i ruoli si invertono: il topolino da mangiatore diventa preda e fugge sull’albero. Tocca allora alla volpe scuotere il tronco per far cadere il topolino. Mal posto del topo a scendere è un corpulento cinghiale. Superfluo dire che la faccenda si ripete più volte, innescando una girandola di prede e cacciatori, di salite e discese, di pasti attesi e colpi di scena cascanti. Fino a quando a cadere dall’albero non è un corpulentissimo e ferocissimo orso che lascerà tutti – lettori e animali – letteralmente a bocca aperta.

Il meccanismo iterativo e ludico che anima Dalla chioma è collaudato e spesso impiegato dalla casa editrice emiliana nei suoi libri. Si prevedono quindi anche per quest’ultimo albo di Minibombo letture ad alta voce di grande successo, alimentate peraltro dalla quasi totale assenza di parole. Questa, oltre a rendere accessibili il volume anche a quei bambini che vedono nel testo scritto un ostacolo più o meno grande, favorisce in qualunque lettore o gruppo di lettori un’interpretazione più personale e dunque più coinvolgente.

Miramuri

[usr=4]

Si può scrivere una poesia solo con le figure? Forse sì, o almeno così vien da pensare scorrendo le insolite pagine di Miramuri.  Il bizzarro libro ideato da Massimiliano Tappari e Alessandro Sanna procede infatti per quartine illustrate in cui le pagine sono come versi a rima incrociata: disegno-fotografia-fotografia-disegno. Quel che accade all’interno di questo silent book è che il dettaglio fotografico di un muro – una crepa, una macchia o una texture – suggerisca un soggetto e che l’insieme suggerisca una storia. Così, i particolari fotografati da Tappari diventano pesci, palazzi, coccodrilli e montagne coi quali interagiscono personaggi dalle linee essenziali in pieno stile Sanna.

Ogni quadro narrativo, perciò, si apre con lo schizzo di un ambiente o di un protagonista accostato all’inquadratura singolare di un pezzetto di muro: una lepre e un pavé, un domatore e una serratura, una tela e dei graffi. Come si legheranno?  E che avventura potrà nascerne?  Il lettore è chiamato a fare le sue ipotesi dopodiché, tempo di un voltar di pagina, potrà verificarle e compiacersi del proprio intuito o sorridere della sorpresa trovata. L’assenza totale di testo lo lascia inoltre libero di dare voce alla storia, animando dettagli apparentemente insignificanti con parole ricche di personalità.

La presenza di sole immagini, unita alla brevità delle storie, godibili anche singolarmente prese, rende il volume particolarmente apprezzabile anche in caso di dislessia, sordità o disturbi legati alla decodifica delle parole scritte. Facendo leva sul solo fortissimo potere narrativo racchiuso nelle immagini Miramuri si fa incentivo di incontro nel segno dell’immaginazione,  invito alla curiosità e strumento di educazione allo sguardo. Attraverso i suoi micro-racconti di strada solletica l’invenzione e la capacità di vedere oltre il quotidiano e i suoi muri per scorgere spiragli rinvigorenti di storie, avventure e vitalità.

 

La baraonda di Corradino

[usr=3.5]

La generazione cresciuta con Dov’è Ubaldo? (meglio noto ai più come Dov’è Wally?) proverà di certo una sensazione familiare alla vista dell’albo La baraonda di Corradino. Le 32 pagine che compongono l’originale libro di Jan Von Holleben brulicano infatti di figure e invitano a gran voce alla ricerca di dettagli ancora non scorti.

Quello che l’autore tedesco si è divertito a fare è costruire una semplice trama e svilupparla attraverso personaggi e oggetti reali fotografati in posa, rimpiccoliti e inseriti in un contesto fotografico composto da innumerevoli altre persone e cose in movimento. Risultato: la lettura diventa una caccia minuziosa alla ladra Miss x che fugge da Tom il poliziotto o a Giusy (la cui t-shirt a righe rosse e bianche strizza l’occhio al capostipite dei personaggi-camaleonte) e Finn che scorrazzano tra scuole, strade e zoo stravaganti.

Vicenda e personaggi chiave sono condensati nelle dieci righe in quarta di copertina, il che con buona probabilità porterà il lettore a scorgerle solo una volta chiuso il libro. Tanto meglio: sarà la più intrigante delle scuse per riprendere il volume da capo e immergersi in una nuova e diversa esperienza di lettura, guidata questa volta da un canovaccio narrativo. Se c’è una cosa di cui si può star certi, infatti, è che con un libro come questo difficilmente si resta a corto di sorprese anche dopo due, cinque, dieci letture. Ci sarà sempre una giraffa fatta di bambini, un robot fatto di circuiti e scatole o un animale fatto di pinne e tessuti che acchiapperà il nostro occhio e la nostra curiosità. E sarà ancor più divertente analizzarne più a fondo i componenti nella pagina successiva, giacché il volume alterna pagine a campo largo che illustrano un ambiente con tutti i suoi elementi (la scuola, per esempio, con tanto di classi, allievi, cortile, scuolabus e zona merenda) e pagine più zoomate che rivelano minuzie di alcuni di quegli elementi (cosa contiene l’armadio di classe, come viene dipinta la cartina appesa al muro o chi ha fatto una brutta fine nella partita di basket). Un’inesauribile caccia al tesoro, insomma, che ipnotizza con umorismo.

La vera singolarità del libro sta nel fare della fotografia uno strumento espressivo estremamente creativo (come i fedelissimi di Art Attack hanno imparato da Neil il grande artista); nell’offrire possibilità variegate di lettura poiché ognuno può gustare a piacere il complesso della pagina e i suoi particolari; e nel conciliare con grande intelligenza opposti interessanti quali grandezza e piccolezza, movimento e stasi, vicinanza e distanza, frenesia e indugio: perché un silent book come La baraonda di Corradino è un gioco divertente e divertito di spazi e di tempi, che regala a cose e persone una nuova vita e che restituisce al lettore il diritto di far propria la pagina.

Il cane e la luna

Quando si sperimentano difficoltà di lettura, possono rivelarsi molto utili quei libri ad alto contenuto iconico e a bassa frequenza testuale. Il problema che si pone è tuttavia quello di trovare volumi che ricorrano a questa formula pur mantenendo un livello di complessità narrativa adatto anche un pubblico di lettori non piccolissimi. Ecco perché Il cane e la luna, freschissima proposta di Orecchio acerbo, ci pare una novità davvero stuzzicante.

Il libro è un omaggio al visionario padre della cinematografia George Méliès, reso noto al grande pubblico da uno degli ultimi film di Martin Scorzese: Hugo Cabret. Protagonista è in particolare la luna che in uno dei più celebri lavori di Méliès finisce infilzata: compagna di esibizione di un cane circense viene raccolta da quest’ultimo quando il circo si sbarazza di lei. I due affrontano intemperie e difficoltà, fino a quando il destino non riserva loro un incontro straordinario: al cane con un nuovo affettuoso padroncino e alla luna con un nuovo creativo proprietario.

Intenso e tenero, ma anche malinconico e introspettivo, Il cane e la luna racconta con l’evidenza delle immagini una storia di amicizia e fedeltà, di solitudini e destini incrociati. Le illustrazioni, cui gran parte della narrazione è affidata fatto salvo per poche, pochissime frasi disseminate qua e là, sono raffinate e tutt’altro che banali ma ciononostante comprensibili anche ad un occhio giovane e non troppo esperto. Certo, i rimandi alla storia del cinema, alle atmosfere fantastiche di Méliès e a un tempo in cui garantiscono un fascino particolare a un pubblico più maturo.

La piscina

 

Tuffatevi! Ora, a bomba, senza timore e con tanto di spruzzi. Tuffatevi e trattenete il respiro, quest’albo da sogno firmato da Ji Hyeon Lee chiede a gran voce, ma senza parole, una bella immersione. Il pennello sofisticato della giovane autrice coreana va proprio in profondità per svelare al lettore audace quali meraviglie gli riserva l’oltre: quell’oltre che tanti non hanno tempo, voglia e intenzione di esplorare; quell’oltre che qui prende la forma di una piscina in cui si può decidere se immergersi vivamente o sguazzare banalmente in superficie.

I due protagonisti non hanno dubbi: immergersi a più non posso e così scoprire creature fantastiche, fondali a labirinto e mostri minacciosi ma anche individui a noi simili con cui nuotare e spartire il piacere della sorpresa.

La piscina è insomma un albo gourmand, una millefoglie letteraria da gustarsi strato a strato. Ciascuno vi trovi il suo gusto, il suo significato, il suo sapore: che sia quello di un divertimento condiviso, di una sfida alle convenzioni, di un inno al coraggio di vedere oltre. In ogni caso sarà un assaggio appagante e quasi quasi vi verrà voglia di fare il bis.

Storia di retta

La semplicità che anima Storia di retta è a dir poco strabiliante: sulle pagine a fisarmonica di questo nuovo libro curato da L’albero della speranza si muove infatti un filo banalissimo ma capace di attivare percorsi fantastici. Protagonista del racconto è una retta indomita e curiosa che si scatena in un susseguirsi senza posa di movimenti, emozioni, garbugli, azioni. Da piatta essa si fa infatti ondulata, a zig zag, a scale, a spirale e chi più ne ha più ne metta ascoltando l’istinto del momento, la voglia di cambiare, l’istinto di scoprire.

La sua è un’avventura, come suggerisce il titolo giocoso, non solo di retta ma anche diretta perché immediata, essenziale e facile da seguire anche da parte di chi esplora la pagina solo con le dita. E in questo senz’altro la forma insolita del volume, che consente un continuum illustrativo senza soluzioni di continuità, non è solo accattivante e piacevole a vedersi e maneggiarsi ma anche funzionale a favorire l’esplorazione tattile.

Un libro come questo, che solletica la fantasia con pochissimi elementi, è garanzia di piccole escursioni immaginative che colmano di soddisfazione proprio perché a misura di bambino e di dito inesperto. Storia di retta costituisce perciò un esperimento della casa editrice eporediese molto ben riuscito dal punto di vista tecnico oltre che molto felice nel contenuto. Alla fine della lettura, si chiude infatti la fisarmonica convinti che – parafrasando Munari – se nasci retta, non è detto che resti tale tutta la vita!

La mia coperta

Coperte e copertine spiccano in cima alla classifica degli oggetti più rassicuranti. Linus docet. Calde e confortanti, la trapuntine popolano alcuni tra i momenti più intimi e sereni della giornata dei bambini. Ecco perché il libro tattile di Silvia Sopranzi, che a quest’oggetto e alle sue molteplici declinazioni è interamente dedicato, va a pescare tra le esperienze più familiari e condivisibili da lettori con disabilità visiva e non.

In una rassegna precisa e curata, le pagine del libro invitano ad esplorare diversi tipi di  coperte – quelle da sonnellino e quelle da picnic, quelle di lana e quelle a pois, quelle sotto cui ci si nasconde e quelle da personalizzare con etichette e bottoni. Della stessa forma ma di materiali diversi, ben scelti e facilmente riconoscibili, le copertine presentate da Silvia Sopranzi richiamo alle dita, agli occhi e alla mente piccole gioie quotidiane. Ad ognuna infatti si lega un’esperienza a misura di bambino, conosciuta e gioiosa, così da trasformare una morbida carrellata di oggetti in una toccante rassegna emotiva.

Vincitore come miglio libro tattile italiano al concorso “Tocca a te” del 2013, La mia coperta è stato messo a punto nella sua versione definitiva dalla Federazione Nazionale Delle Istituzioni Pro Ciechi e  inserito all’interno della collana “Sotto a chi tocca”.

Flora e il pinguino

In Flora e il pinguino, titolo, personaggi, uso del colore, atmosfere e idea di fondo richiamano apertamente Flora e il fenicottero. Come nel primo silent book firmato da Molly Idle e uscito per Gallucci nel 2013, anche qui c’è una bambina tutto pepe alle prese con uno sport pieno di grazia e con una nuova insolita amicizia.

Dopo l’incontro danzerino con il fenicottero, la protagonista incappa qui in un elegante pinguino dalle movenze leggiadre. Tra i due scatta all’istante un sodalizio e una performance a due: sui pattini lei, sulle zampette lui. Le prime pagine sono perciò tutte una giravolta, uno slancio, un salto: con un’armonia senza pari di colori, linee e movenze i due atleti compongono una coreografia davvero buffa e raffinata.

E qui l’autrice si e ci diverte da matti, con quella sua abilità strepitosa di esaltare simmetrie e giochi di sguardi, anche grazie all’intramontabile meccanismo delle alette. La sua capacità di trovare delle insospettabili somiglianze tra il mondo degli umani e il mondo naturale, poi, genera stupore, diletto e piacere narrativo. Sicché, ci si tuffa con gioia in una successione di pagine ben costruite con pochi elementi e tonalità ma molta attenzione per i dettagli, i cambiamenti e le espressioni, condividendo la piccola baruffa che verso la fine coinvolge personaggi e l’ingegnosa soluzione che trovano per superarla. Si riemerge così, dopo un gran finale degno di Carolina Kostner, forti dell’idea che incomprensioni e bronci siano affare quotidiano ma che sorrisi e piroette siano decisamente da preferirsi.

Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno (audio e LIS)

Parola d’ordine: versatilità! Il principio che ispira il lavoro della cooperativa rietina Puntidivista è proprio che ogni bambino possa accedere a una medesima storia attraverso la via che gli è più congeniale, perché esistono modi diversi di raccontare le storie e modi diversi di goderne. Attraverso versioni differenziate, che sfruttano molteplici codici come la Lingua Italiana dei Segni o i simboli WLS, molteplici supporti come il libro cartaceo o i DVD, e molteplici forme di narrazione, orale o scritta, i libri di Puntidivista abbracciano un pubblico che vuole essere il più ampio possibile.

L’idea e l’iniziativa sono degne di interesse e di nota soprattutto perché si tratta di un primissimo originale tentativo di proporre un grado di accessibilità davvero esteso che non guardi alle esigenze imposte da un solo tipo di disabilità ma che, al contrario, scelga la strada della varietà. Le storie sono scritte ad hoc e corredate da illustrazioni casalinghe. Apripista, in questo progetto, sono le avventure di due personaggi – Dino detto Lampadino e Nella detta Caramella -: due fratelli che, attraverso un misterioso passaggio segreto nel parco arrivano in un mondo fantastico popolato da animali parlanti.

In Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno, i due bambini aiutano Zampacorta, il figlio del re del Magiregno, a trovare le api arcobaleno, catturate secondo il dire comune, da malvagie creature che abitano la Grotta dei mille Orsi Feroci. Nonostante le temibili premesse i ragazzi decidono di intraprendere una spedizione di ricerca delle api, scortati dalla guardia reale, l’elefante Sansone.  Sarà la loro capacità di andare oltre pregiudizi ed apparenze a permettere di scoprire che gli Orsi della grotta sono tutt’altro che feroci e che le api si sono spontaneamente trasferite in quello che pare essere un luogo paradisiaco.

La storia, che come nel primo episodio è caratterizzata di una messaggio educativo marcato ed esplicito, viene  raccontata anche in Lingua Italiana dei Segni sul DVD allegato al volume che comprende anche la traccia audio del racconto e una serie di contenuti aggiuntivi come canzoni e giochi. La stessa storia è inoltre disponibile in tre versioni in simboli con tre gradi diversi di complessità (base, ridotta e semplificata) .

Lampadino e Caramella nel MagiRegno degli Zampa – La riscoperta del Natale (LIS)

Parola d’ordine: versatilità! Il principio che ispira il lavoro della cooperativa rietina Puntidivista è proprio che ogni bambino possa accedere a una medesima storia attraverso la via che gli è più congeniale, perché esistono modi diversi di raccontare le storie e modi diversi di goderne. Attraverso versioni differenziate, che sfruttano molteplici codici come la Lingua Italiana dei Segni o i simboli WLS, molteplici supporti come il libro cartaceo o i DVD, e molteplici forme di narrazione, orale o scritta, i libri di Puntidivista abbracciano un pubblico che vuole essere il più ampio possibile.

L’idea e l’iniziativa sono degne di interesse e di nota soprattutto perché si tratta di un primissimo originale tentativo di proporre un grado di accessibilità davvero esteso che non guardi alle esigenze imposte da un solo tipo di disabilità ma che, al contrario, scelga la strada della varietà. Le storie sono scritte ad hoc e corredate da illustrazioni casalinghe. Apripista, in questo progetto, sono le avventure di due personaggi – Dino detto Lampadino e Nella detta Caramella -: due fratelli che, attraverso un misterioso passaggio segreto nel parco arrivano in un mondo fantastico popolato da animali parlanti.

In Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – La riscoperta del Natale, i due bambini aiutano Zampacorta, il figlio del re del Magiregno, a individuare il furfante che da tempo ormai fa razzia delle provviste per l’inverno. L’impresa riesce grazie a un po’ di creatività e a un’intuizione di ispirazione natalizia che aiuterà gli stessi protagonisti a riscoprire il vero significato della festa. La storia, dall’esplicito e noto messaggio educativo (non sono i giocattoli a fare bello il Natale ma i nostri cari che ci vogliono bene), è piuttosto semplice e lineare e viene raccontata anche in Lingua Italiana dei Segni sul DVD allegato al volume. Il video-racconto vede in particolare un’interprete segnare il testo, opportunamente riportato anche in sovraimpressione, su uno sfondo costituito dalle stesse illustrazioni del cartaceo. La stessa storia è inoltre disponibile in una versione in simboli (WLS), corredata da una registrazione audio.

Orizzonti

In apertura non vi è che uno sfondo aranciato caldo e assolato, qualche ombra confusa e un paio di occhi sbarrati che fissano il lettore con effetto disarmante. Sono occhi di terrore, di sgomento, di impotenza: gli occhi di un ragazzo che fugge al di là di un filo spinato incontro a un destino incerto, come sveleranno le pagine successive.

Orizzonti, uno dei libri finalisti del Silent Book Contest 2014, propone con la sola e potentissima forza delle immagini, una storia drammaticamente attuale di fuga, di viaggio, di timori e di speranze. Ogni doppia pagina è un pezzo di strada – la corsa nel deserto, l’ammassamento nel cassone di un camion, il miraggio di un barcone, il buio della notte in mare – e ogni pezzo di strada è una tappa che si chiude ma anche un nuovo interrogativo che si apre, in un continuo rincorrersi di orizzonti, ora di ottimismo e ora di sconforto.

È un libro sull’oltre, questo di Paola Formica, inteso come possibilità, come futuro, come percorso che si snoda un ostacolo dopo l’altro. È un libro non facile ma fondamentale, un libro in cui il destino di un individuo diventa il destino di molti, in cui uno sguardo tra le tenebre si confonde tra mille altri e in cui un traguardo può assumere una pluralità di accezioni. Orizzonti, al plurale: il titolo non è casuale.

Le illustrazioni, evocative e coinvolgenti, si appellano a una conoscenza di ciò che accade a pochi passi da noi, nei nostri mari. Dall’aspetto quasi anticato, a tratti frusto, le ampie pagine in successione ricordano una pellicola d’altri tempi, come un cortometraggio intenso che racconta una storia tanto vicina al nostro passato e che vorremmo non costituisse il presente di nessun altro essere umano.

 

[usr=3.5]

In linea

Parola d’ordine: minimalismo. Anche in questo silent book firmato Jimi Lee essenzialità e linee pulite la fanno da padroni. Come già in Un pianeta che cambia, anche In linea Jimi Lee fa del togliere il suo principio ispiratore, lasciando campo libero a figure nette ed essenziali.

Non ci sono parole a popolare le poche e robuste pagine di questo albo, ma una serie di illustrazioni unite da una comune linea orizzontale posta al centro. Proprio quella linea diventa il filo conduttore di una narrazione per sole immagini che procede leggera e impalpabile come un’associazione di idee. Così da un’altalena si può rapidamente passare a un cheeseburger e da qui a degli spaghetti di soia, a un tuffo in piscina e a una scrivania sgombra. Fino ad arrivare a una trave su cui una ginnasta spicca un salto leggiadrissimo. Un salto e via, verso nuovi pensieri e nuove trovate.

Grazie a questa costruzione priva di parole, il libro risulta accessibile anche a lettori che, per ragioni diverse, fanno a pugni con il testo scritto. La sua rinuncia a fronzoli e dettagli, poi, contribuisce a sua volta a fare di ogni pagina un rinnovato invito a scoprire, stupire, inventare. Quante nuove cose riuscireste a rappresentare a partire da una sola linea dritta?

Al mare – Primi segni

Collana Primi segni

Che leggere ad alta voce fin dai primi mesi di vita sia fondamentale per la crescita del bambino è fatto ormai assodato, così come instancabilmente ricordato e promosso da Nati per Leggere. Ma che leggere “a chiari segni” sia altrettanto importante per bambini piccoli sordi è cosa meno evidente e diffusa. Eppure se l’auspicio è che anche chi non percepisce i suoni che compongono storie e poesie possa imparare a godere del loro succo immaginifico, è necessario che quanti più libri accessibili si rendano disponibili fin dalla più tenera età.

Ecco perché la pubblicazione della collana Primi segni, proposta dalla cooperativa romana Il treno, è una notizia non lieta ma lietissima. In un colpo solo 8 libretti cartonati, quadrati e resistenti, si offrono a piccole mani curiose. Sono pagine che si sfogliano (facilmente perdipiù!) e porte che si aprono: piccole occasioni per incontrarsi, per condividere, per comunicare. Ogni libretto ha un tema – dai giochi alla tavola, dai vestiti alla città – che rispetta l’esperienza reale e quotidiana del bambino.

Senza pretese letterarie ma con una forte motivazione inclusiva, la collana nasce su iniziativa di una mamma che ha immaginato l’utilità di libricini che raccogliessero oggetti, parole e segni, così da agevolare l’avvicinamento dei figli sordi al testo scritto e alla lingua segnata. I libri sono pensati infatti per la fascia di età 0-3 anni: il periodo in cui i bambini in generale iniziano a nominare il mondo che li circonda e in particolare i bambini con disabilità uditiva iniziano a segnare gli oggetti che lo compongono. Un’esigenza concreta e fortemente avvertita è dunque alla base di questo lavoro, nato grazie a una serie di sponsor ma anche grazie a un progetto di crowdfunding che ha visto la vendita di un centinaio di copie prima ancora che fossero prodotti.

La realizzazione della collana ha seguito un lungo percorso in cui sono stati coinvolti diversi partner, primo fra tutti il Laboratorio di Ricerca Language and Communication Across Modalities (LaCam) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR che ha contribuito alla scelta dei vocaboli più significativi, utili e riconoscibili da inserire all’interno di ogni volume. Le illustrazioni sono state invece realizzate da disegnatori sordi, a loro volta implicati nel processo progettuale e creativo. Questa scelta risulta piuttosto diffusa nell’ambito dei volumi per l’infanzia in Lingua dei Segni e se da un lato ha il vantaggio di garantire attenzione alle esigenze di comprensione, riconoscimento e associazione al testo implicate dalla disabilità uditiva, ha tuttavia dall’altro lo svantaggio di mettere in secondo piano la reale qualità artistica del lavoro. La speranza è che pubblicazioni di questo genere, utilissime e coraggiose, possano via via moltiplicarsi provando a conciliare la cultura della sordità con l’esperienza dell’illustrazione professionale, così da arrivare a produrre volumi sempre più accattivanti e per questo condivisibili.

I volumetti possono essere acquistati tramite il sito della cooperativa Il Treno o presso alcune librerie convenzionate (altre librerie eventualmente interessate a distribuirli possono mettersi in contatto con la cooperativa stessa).

 

Al mare

Costume, telo, ombrellone, ciambella, paletta e secchiello… c’è tutto il necessaire per un tuffo come si deve al mare. Il librotto dedicato alla vita da spiaggia raccoglie gli oggetti essenziali che compongono una giornata tra le onde. Le illustrazioni sono basilari ma ben riconoscibili e la frase finale non può che essere una: “Facciamo il bagno?”

In campagna – Primi segni

Collana Primi segni

Che leggere ad alta voce fin dai primi mesi di vita sia fondamentale per la crescita del bambino è fatto ormai assodato, così come instancabilmente ricordato e promosso da Nati per Leggere. Ma che leggere “a chiari segni” sia altrettanto importante per bambini piccoli sordi è cosa meno evidente e diffusa. Eppure se l’auspicio è che anche chi non percepisce i suoni che compongono storie e poesie possa imparare a godere del loro succo immaginifico, è necessario che quanti più libri accessibili si rendano disponibili fin dalla più tenera età.

Ecco perché la pubblicazione della collana Primi segni, proposta dalla cooperativa romana Il treno, è una notizia non lieta ma lietissima. In un colpo solo 8 libretti cartonati, quadrati e resistenti, si offrono a piccole mani curiose. Sono pagine che si sfogliano (facilmente perdipiù!) e porte che si aprono: piccole occasioni per incontrarsi, per condividere, per comunicare. Ogni libretto ha un tema – dai giochi alla tavola, dai vestiti alla città – che rispetta l’esperienza reale e quotidiana del bambino.

Senza pretese letterarie ma con una forte motivazione inclusiva, la collana nasce su iniziativa di una mamma che ha immaginato l’utilità di libricini che raccogliessero oggetti, parole e segni, così da agevolare l’avvicinamento dei figli sordi al testo scritto e alla lingua segnata. I libri sono pensati infatti per la fascia di età 0-3 anni: il periodo in cui i bambini in generale iniziano a nominare il mondo che li circonda e in particolare i bambini con disabilità uditiva iniziano a segnare gli oggetti che lo compongono. Un’esigenza concreta e fortemente avvertita è dunque alla base di questo lavoro, nato grazie a una serie di sponsor ma anche grazie a un progetto di crowdfunding che ha visto la vendita di un centinaio di copie prima ancora che fossero prodotti.

La realizzazione della collana ha seguito un lungo percorso in cui sono stati coinvolti diversi partner, primo fra tutti il Laboratorio di Ricerca Language and Communication Across Modalities (LaCam) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR che ha contribuito alla scelta dei vocaboli più significativi, utili e riconoscibili da inserire all’interno di ogni volume. Le illustrazioni sono state invece realizzate da disegnatori sordi, a loro volta implicati nel processo progettuale e creativo. Questa scelta risulta piuttosto diffusa nell’ambito dei volumi per l’infanzia in Lingua dei Segni e se da un lato ha il vantaggio di garantire attenzione alle esigenze di comprensione, riconoscimento e associazione al testo implicate dalla disabilità uditiva, ha tuttavia dall’altro lo svantaggio di mettere in secondo piano la reale qualità artistica del lavoro. La speranza è che pubblicazioni di questo genere, utilissime e coraggiose, possano via via moltiplicarsi provando a conciliare la cultura della sordità con l’esperienza dell’illustrazione professionale, così da arrivare a produrre volumi sempre più accattivanti e per questo condivisibili.

I volumetti possono essere acquistati tramite il sito della cooperativa Il Treno o presso alcune librerie convenzionate (altre librerie eventualmente interessate a distribuirli possono mettersi in contatto con la cooperativa stessa).

 

In campagna

Non solo gli animali della vecchia fattoria ma anche qualche ortaggio e qualche prodotto alimentare rustico fanno la loro comparsa nel librotto dedicato alla campagna. Le illustrazioni sono molto semplici ma chiare e riconoscibili. Insieme alle cose e agli abitanti della campagna, i lettori hanno modo di familiarizzare anche con oggetti e animali tipici del mare, della città e della montagna cui sono rispettivamente dedicati tre altri titoli della collana.

In città – Primi segni

Collana Primi segni

Che leggere ad alta voce fin dai primi mesi di vita sia fondamentale per la crescita del bambino è fatto ormai assodato, così come instancabilmente ricordato e promosso da Nati per Leggere. Ma che leggere “a chiari segni” sia altrettanto importante per bambini piccoli sordi è cosa meno evidente e diffusa. Eppure se l’auspicio è che anche chi non percepisce i suoni che compongono storie e poesie possa imparare a godere del loro succo immaginifico, è necessario che quanti più libri accessibili si rendano disponibili fin dalla più tenera età.

Ecco perché la pubblicazione della collana Primi segni, proposta dalla cooperativa romana Il treno, è una notizia non lieta ma lietissima. In un colpo solo 8 libretti cartonati, quadrati e resistenti, si offrono a piccole mani curiose. Sono pagine che si sfogliano (facilmente perdipiù!) e porte che si aprono: piccole occasioni per incontrarsi, per condividere, per comunicare. Ogni libretto ha un tema – dai giochi alla tavola, dai vestiti alla città – che rispetta l’esperienza reale e quotidiana del bambino.

Senza pretese letterarie ma con una forte motivazione inclusiva, la collana nasce su iniziativa di una mamma che ha immaginato l’utilità di libricini che raccogliessero oggetti, parole e segni, così da agevolare l’avvicinamento dei figli sordi al testo scritto e alla lingua segnata. I libri sono pensati infatti per la fascia di età 0-3 anni: il periodo in cui i bambini in generale iniziano a nominare il mondo che li circonda e in particolare i bambini con disabilità uditiva iniziano a segnare gli oggetti che lo compongono. Un’esigenza concreta e fortemente avvertita è dunque alla base di questo lavoro, nato grazie a una serie di sponsor ma anche grazie a un progetto di crowdfunding che ha visto la vendita di un centinaio di copie prima ancora che fossero prodotti.

La realizzazione della collana ha seguito un lungo percorso in cui sono stati coinvolti diversi partner, primo fra tutti il Laboratorio di Ricerca Language and Communication Across Modalities (LaCam) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR che ha contribuito alla scelta dei vocaboli più significativi, utili e riconoscibili da inserire all’interno di ogni volume. Le illustrazioni sono state invece realizzate da disegnatori sordi, a loro volta implicati nel processo progettuale e creativo. Questa scelta risulta piuttosto diffusa nell’ambito dei volumi per l’infanzia in Lingua dei Segni e se da un lato ha il vantaggio di garantire attenzione alle esigenze di comprensione, riconoscimento e associazione al testo implicate dalla disabilità uditiva, ha tuttavia dall’altro lo svantaggio di mettere in secondo piano la reale qualità artistica del lavoro. La speranza è che pubblicazioni di questo genere, utilissime e coraggiose, possano via via moltiplicarsi provando a conciliare la cultura della sordità con l’esperienza dell’illustrazione professionale, così da arrivare a produrre volumi sempre più accattivanti e per questo condivisibili.

I volumetti possono essere acquistati tramite il sito della cooperativa Il Treno o presso alcune librerie convenzionate (altre librerie eventualmente interessate a distribuirli possono mettersi in contatto con la cooperativa stessa).

 

In città

Un viaggio attraverso strade, semafori, palazzi e negozi: il librotto In città identifica e nomina alcune tra le cose più caratteristiche di un paesaggio cittadino. In questo caso le illustrazioni sono un po’ scarne (penso alla strada, per esempio, che ricorda i disegni dei bambini) e talvolta poco rappresentative (penso alla scuola, per esempio, che ricorda piuttosto un tribunale). Insieme alle cose della città, i lettori hanno modo di familiarizzare anche con oggetti e animali tipici del mare, della montagna e della montagna cui sono rispettivamente dedicati tre altri titoli della collana.

In montagna – Primi segni

Collana Primi segni

Che leggere ad alta voce fin dai primi mesi di vita sia fondamentale per la crescita del bambino è fatto ormai assodato, così come instancabilmente ricordato e promosso da Nati per Leggere. Ma che leggere “a chiari segni” sia altrettanto importante per bambini piccoli sordi è cosa meno evidente e diffusa. Eppure se l’auspicio è che anche chi non percepisce i suoni che compongono storie e poesie possa imparare a godere del loro succo immaginifico, è necessario che quanti più libri accessibili si rendano disponibili fin dalla più tenera età.

Ecco perché la pubblicazione della collana Primi segni, proposta dalla cooperativa romana Il treno, è una notizia non lieta ma lietissima. In un colpo solo 8 libretti cartonati, quadrati e resistenti, si offrono a piccole mani curiose. Sono pagine che si sfogliano (facilmente perdipiù!) e porte che si aprono: piccole occasioni per incontrarsi, per condividere, per comunicare. Ogni libretto ha un tema – dai giochi alla tavola, dai vestiti alla città – che rispetta l’esperienza reale e quotidiana del bambino.

Senza pretese letterarie ma con una forte motivazione inclusiva, la collana nasce su iniziativa di una mamma che ha immaginato l’utilità di libricini che raccogliessero oggetti, parole e segni, così da agevolare l’avvicinamento dei figli sordi al testo scritto e alla lingua segnata. I libri sono pensati infatti per la fascia di età 0-3 anni: il periodo in cui i bambini in generale iniziano a nominare il mondo che li circonda e in particolare i bambini con disabilità uditiva iniziano a segnare gli oggetti che lo compongono. Un’esigenza concreta e fortemente avvertita è dunque alla base di questo lavoro, nato grazie a una serie di sponsor ma anche grazie a un progetto di crowdfunding che ha visto la vendita di un centinaio di copie prima ancora che fossero prodotti.

La realizzazione della collana ha seguito un lungo percorso in cui sono stati coinvolti diversi partner, primo fra tutti il Laboratorio di Ricerca Language and Communication Across Modalities (LaCam) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR che ha contribuito alla scelta dei vocaboli più significativi, utili e riconoscibili da inserire all’interno di ogni volume. Le illustrazioni sono state invece realizzate da disegnatori sordi, a loro volta implicati nel processo progettuale e creativo. Questa scelta risulta piuttosto diffusa nell’ambito dei volumi per l’infanzia in Lingua dei Segni e se da un lato ha il vantaggio di garantire attenzione alle esigenze di comprensione, riconoscimento e associazione al testo implicate dalla disabilità uditiva, ha tuttavia dall’altro lo svantaggio di mettere in secondo piano la reale qualità artistica del lavoro. La speranza è che pubblicazioni di questo genere, utilissime e coraggiose, possano via via moltiplicarsi provando a conciliare la cultura della sordità con l’esperienza dell’illustrazione professionale, così da arrivare a produrre volumi sempre più accattivanti e per questo condivisibili.

I volumetti possono essere acquistati tramite il sito della cooperativa Il Treno o presso alcune librerie convenzionate (altre librerie eventualmente interessate a distribuirli possono mettersi in contatto con la cooperativa stessa).

 

In montagna

Il librotto si sofferma su ciò che è possibile incontrare durante una passeggiata in montagna – cervi, ricci, castagne o alberi – attraverso illustrazioni dal tratto naïf e simpatico. Insieme alle cose e agli abitanti della montagna, i lettori hanno modo di familiarizzare anche con oggetti e animali tipici del mare, della città e della campagna cui sono rispettivamente dedicati tre altri titoli della collana.

Mr. Ubik!

A voler andare per il sottile, il libro di David Wiesner non dovrebbe figurare tra i silent book in senso stretto: sei fumetti in tutto sono infatti disseminati tra le pagine. Ma ad andar proprio per il sottile, si rischia di perdere occasioni preziose, come quella di leggere un libro pregevole, (comprensibilmente) pluripremiato e, nei fatti, più che accessibile anche da parte di chi sperimenta difficoltà di lettura. Ecco perché vale la pena di segnalare questo libro anche all’attenzione di chi non va a nozze con le parole scritte ma sa gustare il buon sapore di una storia.

Perché qui la storia c’è eccome, così come ci sono dei personaggi strambi che ancor più strambamente si incontrano, e lo sviluppo narrativo è (quasi) del tutto affidato al potere delle immagini. E forse non è un caso, soprattutto se si considera che la comunicazione attraverso il disegno ha un ruolo centrale anche a livello della trama. Quando dei misteriosi extraterrestri finiscono con la loro astronave tra le grinfie di Mr Hubik e si rifugiano a rotta di collo in un buco della parete di casa, sono proprio dei disegni sul muro a permetter loro di stringere amicizia  con una serie di insetti, a loro volta vessati dal gatto. Grazie a questa forma universale di comunicazione, i due gruppi dalle lingue differenti escogitano e condividono un piano di fuga ingegnoso che lascerà il felino a bocca asciutta.

Il libro offre un’esperienza di lettura molto coinvolgente e appagante, tutta basata su luci e ombre, colori tenui e forti, inquadrature distanti e ravvicinate, riquadri marcati e illustrazioni a tutta pagina. I dettagli narrativi disseminati qua e là, solleticano poi lo spirito d’osservazione del lettore. In più, ad alieni e insetti sono attribuiti fumetti apparentemente incomprensibili, fatti di simboli e forme geometriche, a cui è in realtà possibile attribuire un significato piuttosto evidente basandosi sul contesto. La lettura diventa così anche un gioco di decodifica interattiva che appassiona e diverte. Non a caso l’autore di Mr Ubik!, David Wiesner, ha alle spalle una lunga esperienza nel campo dell’illustrazione e ben tre medaglie Caldecott, uno dei più prestigiosi premi americano nell’ambito dei libri per l’infanzia.

A tavola – Primi segni

Collana Primi segni

Che leggere ad alta voce fin dai primi mesi di vita sia fondamentale per la crescita del bambino è fatto ormai assodato, così come instancabilmente ricordato e promosso da Nati per Leggere. Ma che leggere “a chiari segni” sia altrettanto importante per bambini piccoli sordi è cosa meno evidente e diffusa. Eppure se l’auspicio è che anche chi non percepisce i suoni che compongono storie e poesie possa imparare a godere del loro succo immaginifico, è necessario che quanti più libri accessibili si rendano disponibili fin dalla più tenera età.

Ecco perché la pubblicazione della collana Primi segni, proposta dalla cooperativa romana Il treno, è una notizia non lieta ma lietissima. In un colpo solo 8 libretti cartonati, quadrati e resistenti, si offrono a piccole mani curiose. Sono pagine che si sfogliano (facilmente perdipiù!) e porte che si aprono: piccole occasioni per incontrarsi, per condividere, per comunicare. Ogni libretto ha un tema – dai giochi alla tavola, dai vestiti alla città – che rispetta l’esperienza reale e quotidiana del bambino.

Senza pretese letterarie ma con una forte motivazione inclusiva, la collana nasce su iniziativa di una mamma che ha immaginato l’utilità di libricini che raccogliessero oggetti, parole e segni, così da agevolare l’avvicinamento dei figli sordi al testo scritto e alla lingua segnata. I libri sono pensati infatti per la fascia di età 0-3 anni: il periodo in cui i bambini in generale iniziano a nominare il mondo che li circonda e in particolare i bambini con disabilità uditiva iniziano a segnare gli oggetti che lo compongono. Un’esigenza concreta e fortemente avvertita è dunque alla base di questo lavoro, nato grazie a una serie di sponsor ma anche grazie a un progetto di crowdfunding che ha visto la vendita di un centinaio di copie prima ancora che fossero prodotti.

La realizzazione della collana ha seguito un lungo percorso in cui sono stati coinvolti diversi partner, primo fra tutti il Laboratorio di Ricerca Language and Communication Across Modalities (LaCam) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR che ha contribuito alla scelta dei vocaboli più significativi, utili e riconoscibili da inserire all’interno di ogni volume. Le illustrazioni sono state invece realizzate da disegnatori sordi, a loro volta implicati nel processo progettuale e creativo. Questa scelta risulta piuttosto diffusa nell’ambito dei volumi per l’infanzia in Lingua dei Segni e se da un lato ha il vantaggio di garantire attenzione alle esigenze di comprensione, riconoscimento e associazione al testo implicate dalla disabilità uditiva, ha tuttavia dall’altro lo svantaggio di mettere in secondo piano la reale qualità artistica del lavoro. La speranza è che pubblicazioni di questo genere, utilissime e coraggiose, possano via via moltiplicarsi provando a conciliare la cultura della sordità con l’esperienza dell’illustrazione professionale, così da arrivare a produrre volumi sempre più accattivanti e per questo condivisibili.

I volumetti possono essere acquistati tramite il sito della cooperativa Il Treno o presso alcune librerie convenzionate (altre librerie eventualmente interessate a distribuirli possono mettersi in contatto con la cooperativa stessa).

 

A tavola

Il librotto dedicato alla tavola passa in rassegna una selezione di cibi comuni, dai più amati (come i biscotti o il pollo) ai più odiati (come la minestra o gli spinaci). Alcune illustrazioni non sono proprio chiarissime e gli stessi personaggi risultano qui più statici che altrove. Il “Buon appetito” finale è più che calzante.

I giochi – Primi segni

Collana Primi segni

Che leggere ad alta voce fin dai primi mesi di vita sia fondamentale per la crescita del bambino è fatto ormai assodato, così come instancabilmente ricordato e promosso da Nati per Leggere. Ma che leggere “a chiari segni” sia altrettanto importante per bambini piccoli sordi è cosa meno evidente e diffusa. Eppure se l’auspicio è che anche chi non percepisce i suoni che compongono storie e poesie possa imparare a godere del loro succo immaginifico, è necessario che quanti più libri accessibili si rendano disponibili fin dalla più tenera età.

Ecco perché la pubblicazione della collana Primi segni, proposta dalla cooperativa romana Il treno, è una notizia non lieta ma lietissima. In un colpo solo 8 libretti cartonati, quadrati e resistenti, si offrono a piccole mani curiose. Sono pagine che si sfogliano (facilmente perdipiù!) e porte che si aprono: piccole occasioni per incontrarsi, per condividere, per comunicare. Ogni libretto ha un tema – dai giochi alla tavola, dai vestiti alla città – che rispetta l’esperienza reale e quotidiana del bambino.

Senza pretese letterarie ma con una forte motivazione inclusiva, la collana nasce su iniziativa di una mamma che ha immaginato l’utilità di libricini che raccogliessero oggetti, parole e segni, così da agevolare l’avvicinamento dei figli sordi al testo scritto e alla lingua segnata. I libri sono pensati infatti per la fascia di età 0-3 anni: il periodo in cui i bambini in generale iniziano a nominare il mondo che li circonda e in particolare i bambini con disabilità uditiva iniziano a segnare gli oggetti che lo compongono. Un’esigenza concreta e fortemente avvertita è dunque alla base di questo lavoro, nato grazie a una serie di sponsor ma anche grazie a un progetto di crowdfunding che ha visto la vendita di un centinaio di copie prima ancora che fossero prodotti.

La realizzazione della collana ha seguito un lungo percorso in cui sono stati coinvolti diversi partner, primo fra tutti il Laboratorio di Ricerca Language and Communication Across Modalities (LaCam) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR che ha contribuito alla scelta dei vocaboli più significativi, utili e riconoscibili da inserire all’interno di ogni volume. Le illustrazioni sono state invece realizzate da disegnatori sordi, a loro volta implicati nel processo progettuale e creativo. Questa scelta risulta piuttosto diffusa nell’ambito dei volumi per l’infanzia in Lingua dei Segni e se da un lato ha il vantaggio di garantire attenzione alle esigenze di comprensione, riconoscimento e associazione al testo implicate dalla disabilità uditiva, ha tuttavia dall’altro lo svantaggio di mettere in secondo piano la reale qualità artistica del lavoro. La speranza è che pubblicazioni di questo genere, utilissime e coraggiose, possano via via moltiplicarsi provando a conciliare la cultura della sordità con l’esperienza dell’illustrazione professionale, così da arrivare a produrre volumi sempre più accattivanti e per questo condivisibili.

I volumetti possono essere acquistati tramite il sito della cooperativa Il Treno o presso alcune librerie convenzionate (altre librerie eventualmente interessate a distribuirli possono mettersi in contatto con la cooperativa stessa).

 

I giochi

Dalla palla al trenino, dalle costruzioni alla bambola: i giochi più basilari (e forse in parte un po’ d’antan) trovano spazio nel librotto dedicato agli svaghi che con accortezza li associa indiscriminatamente a un solo personaggio (di sesso femminile). Il gusto un po’ retrò è sottolineato da illustrazioni sfumate ad acquerello. La frase completa finale non potrebbe essere più azzeccata. “Giochiamo insieme?”. E la risposta, dal canto suo, è la più utile di tutte!

A casa – Primi segni

Collana Primi segni

Che leggere ad alta voce fin dai primi mesi di vita sia fondamentale per la crescita del bambino è fatto ormai assodato, così come instancabilmente ricordato e promosso da Nati per Leggere. Ma che leggere “a chiari segni” sia altrettanto importante per bambini piccoli sordi è cosa meno evidente e diffusa. Eppure se l’auspicio è che anche chi non percepisce i suoni che compongono storie e poesie possa imparare a godere del loro succo immaginifico, è necessario che quanti più libri accessibili si rendano disponibili fin dalla più tenera età.

Ecco perché la pubblicazione della collana Primi segni, proposta dalla cooperativa romana Il treno, è una notizia non lieta ma lietissima. In un colpo solo 8 libretti cartonati, quadrati e resistenti, si offrono a piccole mani curiose. Sono pagine che si sfogliano (facilmente perdipiù!) e porte che si aprono: piccole occasioni per incontrarsi, per condividere, per comunicare. Ogni libretto ha un tema – dai giochi alla tavola, dai vestiti alla città – che rispetta l’esperienza reale e quotidiana del bambino.

Senza pretese letterarie ma con una forte motivazione inclusiva, la collana nasce su iniziativa di una mamma che ha immaginato l’utilità di libricini che raccogliessero oggetti, parole e segni, così da agevolare l’avvicinamento dei figli sordi al testo scritto e alla lingua segnata. I libri sono pensati infatti per la fascia di età 0-3 anni: il periodo in cui i bambini in generale iniziano a nominare il mondo che li circonda e in particolare i bambini con disabilità uditiva iniziano a segnare gli oggetti che lo compongono. Un’esigenza concreta e fortemente avvertita è dunque alla base di questo lavoro, nato grazie a una serie di sponsor ma anche grazie a un progetto di crowdfunding che ha visto la vendita di un centinaio di copie prima ancora che fossero prodotti.

La realizzazione della collana ha seguito un lungo percorso in cui sono stati coinvolti diversi partner, primo fra tutti il Laboratorio di Ricerca Language and Communication Across Modalities (LaCam) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR che ha contribuito alla scelta dei vocaboli più significativi, utili e riconoscibili da inserire all’interno di ogni volume. Le illustrazioni sono state invece realizzate da disegnatori sordi, a loro volta implicati nel processo progettuale e creativo. Questa scelta risulta piuttosto diffusa nell’ambito dei volumi per l’infanzia in Lingua dei Segni e se da un lato ha il vantaggio di garantire attenzione alle esigenze di comprensione, riconoscimento e associazione al testo implicate dalla disabilità uditiva, ha tuttavia dall’altro lo svantaggio di mettere in secondo piano la reale qualità artistica del lavoro. La speranza è che pubblicazioni di questo genere, utilissime e coraggiose, possano via via moltiplicarsi provando a conciliare la cultura della sordità con l’esperienza dell’illustrazione professionale, così da arrivare a produrre volumi sempre più accattivanti e per questo condivisibili.

I volumetti possono essere acquistati tramite il sito della cooperativa Il Treno o presso alcune librerie convenzionate (altre librerie eventualmente interessate a distribuirli possono mettersi in contatto con la cooperativa stessa).

 

A casa

Il librotto dedicato alla casa seleziona alcuni degli oggetti più familiari per qualunque bambino. Dal divano al frigo, dal lavabo al letto: mobili ed elettrodomestici sono scelti in modo tale da non tralasciare alcuna stanza e sono rappresentati con tratto schizzato e senza fronzoli.

Viaggio

“Quando la strada non c’è – ci ha insegnanto Baden Powell, fondatore dello scoutismo – inventala”. Detto fatto! Come ispirata da questo pensiero e armata di un pennarello rosso e stufa di genitori distratti o troppo occupati, la protagonista di Viaggio crea porte là dove non ci sono e parte per un’avventura a dir poco straordinaria. Un’avventura che nasce come scoperta e diventa una vera e propria impresa, nel momento in cui un misterioso uccello dalle piume viola viene imprigionato da guerrieri in volo su macchine chimeriche. È lì che l’insolita escursione della protagonista assume un valore più profondo, uno scopo più chiaro, e un gusto più pieno. Non solo, infatti, il desiderio di liberare il pennuto la porta a inventare e disegnare al volo nuovi mezzi di trasporto, nuove vie di fuga e nuovi paesaggi ma la ricompensa per di più con un ritorno a casa inaspettato e una nuova amicizia in carne ed ossa.

L’albo, completamente senza parole, è costruito con una minuzia e una cura strabilianti. L’autore, che non a caso ha una lunga esperienza nel campo del cinema d’animazione, fa un uso profondamente incisivo del colore, scivolando dal grigio monotono delle prime pagine annoiate al verde brillante dell’apertura sul mondo immaginario, dal bruno del palazzo-prigione alle tinte rosse e viola di quel paesaggio orientale che riaprirà la via verso casa, senza scordare il tocco rosso che contraddistingue non solo il pennarello dell’incanto ma anche tutto ciò che sa di speranza, divertimento, desiderio (come i giochi delle prime pagine o i mezzi di trasporto in quelle successive). Ma non è tutto: la narrazione si nutre qui di un gioco ancora più stratificato, basato sulla presenza e sull’assenza di sfondi, sull’alternanza di figure di interno e di esterno, sullo sviluppo di edifici fantastici di vaga memoria escheriana e su una trama fittissima di rimandi tra pagine. Certo, la narrazione fluisce anche se non vi si presta grande attenzione, ma la miriade di dettagli che Becker dissemina con pazienza e perizia rendono la lettura un’esperienza straordinaria. L’autore aggancia infatti ogni pagina alla seguente, anticipandone o mostrandone da una diversa distanza o prospettiva un dettaglio, un elemento, una finezza. E lo fa fino all’ultimo, fino a quando cioè alla radice di una palma in mezzo al deserto, non si scorge una minuscola porta che conduce tra i familiari muri della città.

A quel punto il cerchio – del viaggio, della storia così come della ruota che in ultimo lampo di genio la ragazzina disegna nel vuoto – si chiude. E si sa, il bello del cerchio è che proprio là dove si chiude, riinizia. Così – presto fatto – con due cerchi si fa una bici, con una bici si fa un’amicizia, e con un’amicizia si fa una nuova avventura nuova, questa volta più reale che mai. E il lettore ha appena il tempo di vedere schizzare via la protagonista. Con in testa l’idea che, più spesso di quanto immaginiamo, gli amici si nascondono proprio dietro l’angolo. E – manco a dirlo – a guardar con attenzione il frontespizio, tra un credito e l’altro, ci si accorge che l’autore ce lo aveva già suggerito!

Immaginario. Immagini per un abbecedario

Immaginario è un primo dizionario, illustrato semplice e colorato, utile per avviare alla conoscenza della Lingua Italiana dei Segni sia i bambini sordi sia – perché no? – i loro compagni udenti. L’autrice del volume ha infatti selezionato più di 600 parole tra quelle di più comune utilizzo che consentono di acquisire una conoscenza primaria della LIS e di sperimentarla in maniera molto spiccia e diretta.

 

Di ogni vocabolo viene offerta, oltre a un’illustrazione, anche una rappresentazione grafica del segno che permette di esprimerla. Si va dai soggetti più concreti di ambito naturale, domestico e urbano – come animali, casalinghi ed edifici – a soggetti meno concreti ma ugualmente importanti – come colori, stagioni o azioni. Le illustrazioni, benché molto artigianali, hanno il merito di rendere in maniera piuttosto chiara il segno che riproducono. Esse vengono inoltre riportate anche sul DVD allegato al volume che consente una consultazione multimediale.

 

Il risultato è uno strumento pratico che invita a cimentarsi con la Lingua dei Segni, a prescindere dal grado di udito di cui si è in possesso. Presentando i segni in maniera semplice e colorata si promuove infatti in forma di gioco e scoperta curiosa la loro conoscenza.

Bzzzzz

Munita di delizioso abito a pois rosa e di sorriso sincero e amichevole, l’ape protagonista di Bzzzzz parte per un viaggio ronzante tra fiori, funghi, rami, abissi, coperte e nuvole. In visita ad amici animali – dall’elefante al pesce palla, dal gatto alla gallina – l’insetto dai tratti garbati condivide una bevanda calda, sferruzza un calzino, rosicchia un’anguria o consulta una mappa stradale mostrando un’energia davvero invidiabile.

 

Il piccolo lettore segue così il suo volo tratteggiato lasciandosi incuriosire e ispirare non solo dalle forme graziose e baby-friendly e dai colori brillanti ma anche dai buchi di forme diverse che preannunciano o dissimulano i disegni in arrivo.

 

Il libro, firmato nel progetto e nelle illustrazioni da Luisa Rinaldi, fa parte della collana Ullallà di Emme di cui presenta la tipica robustezza e attenzione per contenuti e soggetti apprezzabili dai lettori meno esperti. La totale assenza di parole scritte fa inoltre sì che il volume lasci totale spazio alla fantasia del lettore e di chi lo accompagna nella scoperta di immagini dall’alto potenziale narrativo

Girotondo

Ritrovarsi per un girotondo insieme ad amici diversi: scoiattoli, foche, gufi e topini si danno appuntamento nel libro di Francesco Zito per condividere il più diffuso e amato dei giochi per l’infanzia.

 

A ogni pagina l’incontro con uno o alcuni dei protagonisti del volume, rappresentati nel loro habitat tout court (come le lumachine tra le foglie), nel loro habitat con qualche dettaglio umano (come l’orsetto in gonna e t-shirt in mezzo al bosco) o su un mezzo in tutto e per tutto non naturale (come la giraffa, la scimmia e l’ippopotamo fermi al semaforo sul loro pulmino). Questa mescolanza può confondere il lettore alle prime armi che apprezza tuttavia, con buona probabilità, le illustrazioni coloratissime, non troppo affollate e animate da bestiole disparate.

 

Le pagine, arrotondate, spesse e robuste invitano a una lettura appassionata, fisica e concretamente vissuta come quella che spesso coinvolge i lettori piccolissimi. Ciascuna è arricchita inoltre da una fessura che invita a indovinare e scoprire cosa si nasconde nella pagina seguente.

Chi ha preso le mie scarpe

Cosa succede se una donna in carriera dagli occhialetti chic si ritrova addosso il top hardcore di una vera dura e i calzettoni da ginnastica di una ragazza sportiva? Succede che nasce un personaggio buffo e originale, pronto a tuffarsi in una storia nuova di zecca che il lettore è libero di inventare.

 

Chi ha preso le mie scarpe? è infatti un libro gioco che sfrutta il semplice ma geniale principio della combinazione casuale degli elementi: ogni pagina, che ritrae un modello femminile – dalla mamma all’hippy, dalla vamp alla gothic –, è divisa in tre segmenti sfogliabili separatamente grazie alla rilegatura a spirale e combinabili con due segmenti qualunque tra quelli sottostanti o sovrastanti. Capi, busti e gambe diverse possono cioè comporsi cioè nelle più svariate e pazze combinazioni.

 

Già sperimentato dalla stessa Eleonora Zuber ne Il libro matto e già esplorato da EDT con lo straordinario La mia piccola officina della storie di Bruno Gibert, questo sistema di autocostruzione narrativa viene qui applicato alle sole immagini dando vita a un libro senza parole del tutto insolito. Strizzando l’occhio in primis a bambine fantasiose e incuriosite da abiti e accessori, Chi ha rubato le mie scarpe? può diventare un supporto interessante per stimolare la creatività e la verbalizzazione anche là dove la lettura del testo costituisce un ostacolo concreto.

Fiume lento. Un viaggio lungo il Po

Ci vuole tempo per leggere Fiume lento. Ci vuole tempo non solo perché le pagine sono molte, trattandosi di un libro senza parole, ma anche perché il ritmo della storia e il pacato dettaglio delle illustrazioni lo richiedono fermamente. Nel dedicarsi con amore e con pazienza al quieto scorrere del fiume della bassa – quello che regala fertilità ma si scatena talvolta con rabbia cieca, quello che abbraccia la vita ripetitiva di campagna e osserva di tanto in tanto eventi eccezionali – Alessandro Sanna regala a un lettore dall’età indefinita una narrazione preziosa e appassionata.

Come suggerisce il titolo, il fiume sta al centro della pagina e del racconto, insieme ai paesaggi, agli abitanti, ai riti e agli avvenimenti che su quegli argini si muovono, si agitano e prendono vita. Così, attraverso quattro capitoli per altrettante stagioni, l’autore sceglie di mostrarci la quotidianità e l’eccezionalità di un mondo che ha un sapore dolce-amaro, sicuramente antico, atavico, profondo. Ci mette dentro l’alluvione in un autunno drammatico e umano, la nascita di un vitellino nel gelo invernale, un amore primaverile ai tempi delle sagre e l’incontro estivo tra Ligabue e la tigre: quattro episodi insieme legati e a sé stanti, particolari e universali, distaccati e profondamente vissuti. In un fitto susseguirsi di citazioni, di richiami di omaggi – che spaziano dalla pittura al cinema, dalla poesia alla storia – siamo dunque invitati a indugiare ma non ad arrestarci, lungo un libro che dura cento pagine, un anno, una vita.

Ricorrendo a una struttura solida e stabile – una illustrazione iniziale a tutta pagina e quattro strisce rettangolari per ciascuna delle pagine seguenti – Alessandro Sanna propone un viaggio dal ritmo ben scandito, sempre identico all’apparenza ma modulato all’interno da una profusione di dettagli, di toni variati, di sfumature, di zoom più o meno marcati che fanno progredire le stagioni e insieme accolgono i sentimenti suscitati dagli eventi. Ne beneficiano gli amanti di storie che non mettono fretta, di libri che richiedono un’immersione silenziosa e di illustrazioni che esplorano il colore in tutte le sue possibilità. Tra questi, senz’altro, anche quei lettori, magari già grandicelli, le cui difficoltà di decodifica del testo non precludono possibilità immaginative e riflessive ampie e raffinate.

Bounce bounce

La carta da pacchi ha un fascino tutto particolare. È un piacere da toccare, è un invito a scrivere ed è l’involucro più stuzzicante per un regalo coi fiocchi. Ecco perché, forse, Brian Fitzgerald l’ha scelta come base per il suo originale albo: per farne ai suoi lettori un regalo gradito e tutto da scoprire.

Bounce Bounce, vincitore non a caso del primo Silent Book Contest  indetto nel 2014, si sviluppa su pagine quadrate e naturalmente rigate, dalle quali affiorano, quasi in trasparenza, i singolari personaggi che popolano il libro. Protagonista, in particolare, è un insetto stravagante, un po’ apetta e un po’ astronauta, che svolazzando tra i fiori incappa in un palloncino, lo gonfia e ci finisce dentro, come inghiottito. Inizialmente intimorita, la bestiola impara presto a godersi il viaggio e le meraviglie che da un velivolo così speciale si possono osservare: pesci, mongolfiere, navicelle spaziali e stelle. Fino a quando il palloncino non si stappa, peraltro grazie a quello che si potrebbe considerare il famoso “gancio in mezzo al cielo”! Fine della corsa, avanti il prossimo: il palloncino è pronto a caricare un altro passeggero e un millepiedi freddoloso si fa subito avanti. Il libro si chiude così, con la promessa di un nuovo meraviglioso viaggio e dei mille altri che potrebbero seguirgli.

Capace di accompagnare, con la levità di un palloncino leggerissimo, attraverso mondi lontani – terresti, stratosferici e subacquai –  Bounce bounce unisce un sapore vintage, con i suoi toni bruni e carta da zucchero, a una sfumatura moderna, con la sua scelta di forme surreali e di un racconto silenzioso. La combinazione è davvero piacevole e fa di questo libro un piccolo e prezioso diario di viaggio.

Cappuccetto rosso

La storia di Cappuccetto Rosso la conosciamo tutti. Per questo realizzarne una versione nuova e capace di stupire e appassionare non è cosa da ridere. L’illustratore Juanjo G. Oller ha però colto la sfida con risultati interessanti. Il suo è un Cappuccetto rosso moderno e minimalista, che, con solo effetto delle immagini e senza alcuna parola, riesce a suscitare curiosità e inquietudine.

Il libro è tanto essenziale quanto complesso. Le sue linee, profonde e dense, invitano a uno sguardo attento e poco frettoloso, capace di cogliere il valore dei dettagli che spuntano da sfondi netti e il significato di una cornice che diventa cuore dell’illustrazione.

Il tratto insolito e una tavolozza ristretta usata con sapienza danno a una storia senza tempo una nuova chiave di lettura che può intrigare i piccoli lettori e forse ancor più i grandi che li accompagnano. Non a caso, il volume strizza l’occhio agli adulti non solo con una veste grafica raffinata ma anche con la scelta di far seguire al racconto per immagini la versione originale della fiaba firmata dai fratelli Grimm e un saggio di Gustavo Martin Garzo sui significati che essa può celare.

Tutti i colori

È un libro con i buchi dei più classici, Tutti i colori. È un libro con i buchi ma senza le parole: due validissimi motivi per esplorarlo con curiosità, provando a indovinare cosa si nasconda sotto ogni foro e dando la propria voce ai personaggi che popolano le pagine. Orsi polari, vermi, balene e civette sono solo alcune delle creature che sorridono al lettore, immortalate in situazioni più o meno strambe.

Federico Mariani le racconta con semplicità, in una successione che non presuppone una vera e propria storia. Al di là del foro che unisce a due a due le pagine consecutive, il libro fa infatti del colore l’unico vero elemento di connessione tra le diverse facciate. Il tratto dell’autore è netto così come  le tinte, il che contribuisce a rendere la decodifica delle immagini elementare e soddisfacente anche per i lettori meno esperti.

Il ciglio del camaleonte

Dove si nasconde l’irresistibile camaleonte uscito dal pennello di Alessandro Sanna? Il suo ciglio birichino ricorda molto l’orecchio dell’elefante, la coda della giraffa e lo spruzzo della balena… che sia proprio lui ad assumere quelle forme in un viaggio attraverso oceani e savane? Al lettore la mimetica decisione…

L’autore si limita infatti a offrire le illustrazioni, senza aggiungere una singola parola. La storia vien dunque fuori da sé, alimentata dall’immaginazione di chi sfoglia le poche pagine del librino cartonato. Fondamentali, per seguire il gioco narrativo, sono il titolo e la copertina del volume dove il ciglio pronunciato del rettile compare in tutta la sua centralità.

Maneggevole e compatto, raffinato e insolito, Il ciglio del camaleonte è adatto a solleticare la fantasia dei più piccoli, facendo delle illustrazioni prive di fronzoli e delle tinte acquerellate il suo vero punto di forza. 

Telefono senza fili

Che sia un libro prezioso e raffinato lo si deduce non solo dal prezzo, ma anche dal grande formato, dal profumo antico e dalla sensazione che danno al tatto le sue pagine lisce. Telefono senza fili si presenta da subito così, nella sua veste nobile e patinata. Ma dietro la benda del pirata in copertina c’è forse un occhio che si strizza, consapevole che sotto la foggia distinta di un libro può celarsi un autentico inno al divertimento.

Tra la prima e l’ultima pagina dell’albo nato dalla mente di Ilan Brenman e della mano di Renato Moriconi, si dipana infatti uno dei giochi più vecchi del mondo: un gioco semplice e universale, per cui non servono altro che parole e silenzi. I silenzi – eloquentissimi però – è il libro a metterle, con la sua scelta di procedere per sole immagini; le parole invece sta al lettore trovarle, ispirato dalla successione di personaggi implicati nella trasmissione del messaggio. Disposti rigorosamente uno per pagina e tratteggiati con un gusto estetico raro, questi sono scelti con cura e minuzia a condensare in poche pagine secoli interi di storia e di storie.

Giullari, re e cavalieri si incontrano con nonnine, rossi cappuccetti e cacciatori, dando vita a un passaparola irresistibile che richiede sottile attenzione per i dettagli. Una lettura distratta scorre via piacevole e affascinata (che già non è poco!) ma una lettura accorta tira fuori davvero il meglio di un albo come questo, rivelando la logica sottesa agli abbinamenti delle doppie pagine, la circolarità del gioco narrato e la tensione infine spezzata con i limiti imposti dalla pagina.