Tre dita
Avvincente e brillante, Tre dita è un romanzo per ragazzi ispirato alla vita dello scultore Nado Canuti che al tempo della seconda guerra mondiale, e in particolare dell’occupazione tedesca in Italia, non era che un dodicenne. Il libro fotografa in particolare gli eventi di quegli anni, dal suo personale punto di vista: quello di un bambino ormai quasi ragazzo che repentinamente vede la sua infanzia travolta e stravolta da avvenimenti più grandi di lui. Non solo perché un ordigno bellico abbandonato gli fa saltare per aria la maggior parte delle dita, ma anche perché la guerra irrompe senza tanto preavviso nelle cose di ogni giorno.
L’arrivo dei tedeschi, la chiusura della scuola, il pericolo di uscire anche solo a giocare in piazzetta e poi ancora i bombardamenti, le perquisizioni in casa, la scelta di molti di salire nei boschi per organizzare la resistenza. Quelli che sono i giochi (non sempre del, tutto innocui) di Nado e i suoi amici per le vie di Bettolle – tirare con la fionda alle statue, bussare di notte alle case dei fascisti, far gare di biglie o macchinine giù per le strade del paese – mutano forma man mano che la guerra cambia passo ed entra con prepotenza nella quotidianità di chi non è più bambino e non è ancora adulto.
Tre dita è un romanzo per ragazzi bellissimo. Lo è, in particolare, per lo stile ironico e a tratti sinceramente divertente con cui l’autore riesce a raccontare i fatti, senza mai tuttavia banalizzare o ridicolizzare la portata di un periodo storico come quello dell’occupazione nazista. E lo è, in seconda battuta, per la freschezza e l’autenticità con cui e restituisce il punto di vista infantile su una faccenda così inconcepibile come la guerra. Quella dimensione sospesa e indefinita tipica della preadolescenza, quando si prova ad esser grandi ma non lo si è abbastanza per afferrare e fare proprio tutto ciò che accade intorno, viene amplificata dall’assurda situazione bellica. C’è tanto spazio per le domande che può farsi un bambino. Sull’essere buoni o cattivi, sul senso dell’amicizia, sulla religione, sulla riconoscenza e sul diventare grandi.
Non solo. Tre dita è un libro interessante e fuori dagli schemi anche per come dà spazio al tema della disabilità. Se è vero, infatti, che la menomazione del protagonista non è trascurabile, al punto da andarne a definire l’identità e da comparire nel titolo del libro, è vero altrettanto che nemmeno una volta in 251 pagine, questa viene posta al centro del racconto con tono o intento pietistico o celebrativo. Mai, insomma, leggendo Tre dita si ha la percezione che si tratti di un romanzo scritto per parlare di disabilità. Al contrario, la disabilità vi rientra con naturalezza estrema, come una caratteristica tra tante del protagonista, che ne condiziona talvolta l’operato ma che non orienta mai la narrazione. Che poi è esattamente ciò di cui la letteratura per bambini e ragazzi ha più bisogno.
Da ultimo, vale la pena sottolineare che Tre dita è pubblicato da Uovonero con caratteristiche di alta leggibilità: font Testme, spaziatura maggiore non solo tra lettere, parole e righe ma anche tra paragrafi, sbandieratura a destra, sillabazione evitata e carta non riflettente. Un’accortezza in più che fa del libro una proposta ancora più apprezzabile.