La tana nell’albero

Il 2019 è ufficialmente l’anno dei leoni addomesticati ad alta leggibilità! Dopo Ruggiti di Daniele Carucci, edito da Sinnos, esce ora per Biancoenero La tana nell’albero: un racconto lungo firmato da Cary Fagan che ci trasporta dritti dritti nella Toronto di inizio novecento. Qui un circo in trasferta perde due vagoni del treno su cui si sta muovendo: su uno di essi viaggiano un domatore e il suo affezionato leone Sunny. Scaraventati giù dal mezzo, i due si perdono di vista e l’attempato Sunny si rifugia in un albero cavo nel bel mezzo di High Park. Ma come può sopravvivere tra passeggiate ombrose e divertimenti per famiglie una creatura del suo genere? Per un po’ il leone si arrabatta cacciando di nascosto quel che può ma pavoni e visitatori a quattro zampe non sono sufficienti per la sua dieta. Come se non bastasse, le irrisolte sparizioni di animali nel parco e le misteriose apparizioni di creature mostruose che ad esse si accompagnano mettono sull’attenti polizia e opinione pubblica. Sarà allora provvidenziale l’incontro di Sunny con Sadie, la figlia del pasticcere Menke, noto in città per le sue prelibate crostate. Tra i due si instaura un rapporto di fiducia, solidamente basato su uno scambio di scarti di macelleria e coccole. Ma trovare abbastanza carne da saziare un leone non è semplice, soprattutto se in famiglia i soldi non scorrono a fiumi. Così, Sadie si convince a confidare il suo segreto felino a Theo Junior, un vicino di casa dell’alta società, dagli abiti buffi e i modi ossequiosi. La loro è un’amicizia nata per necessità, cresciuta con naturalezza e messa alla prova da un repentino precipitare dei fatti. Una soffiata costringe infatti i due ragazzini a trovare in fretta e furia una soluzione per Sunny che costringerà tutti quanti a fare i conti con ciò che è giusto e ciò che è sbagliato ma anche con la perdita che può diventare conquista. Di libertà, per esempio.

Scorrevole, avvincente e ricco di questioni importanti, mai tuttavia sbandierate o men che meno sezionate con intenti didascalici, La tana nell’albero è un racconto che accarezza e scuote, proprio come avrebbe fatto il vecchio Sunny. Stampato come di consueto con caratteristiche di alta leggibilità, agevola inoltre la lettura anche a ragazzi con difficoltà legate alla dislessia.

Io sono Bellaq

La penna di Vincent Cuvellier sa essere versatilissima: leggera e poetica come in La prima volta che sono nata, asciutta e cruda come in La zuppa dell’orco, spassosa e irriverente come in Giancretino ed io. E proprio perché è versatilissima, all’occorrenza questi tratti sa anche mescolarli. È quel che accade in Io sono Bellaq, l’ultimo lavoro dell’autore francese pubblicato da Biancoenero.

Spiazzante, audace e provocatorio, Io sono Bellaq racconta la disavventura di  Bellaq Mostaganem, bambino di origini algerine che una mattina viene prelevato dalla sua classe da una squadra di poliziotti in tenuta antisommossa, portato in luoghi segreti, interrogato, trasferito e messo alle strette con l’accusa di aver compiuto un attacco terroristico in un ristorante: evento del giorno di cui tutti parlano ma di cui lui pare non sapere nulla (la mamma infatti non gli permette di guardare la tv la mattina!). Passerà una giornata intera, tra insinuazioni minacciose e incontri degni di un film poliziesco, prima che Bellaq possa essere restituito alla sua famiglia e tornare, scagionato da ogni accusa, alla sua vita di bambino, dopo un’avventura ben oltre l’ordinario e senz’altro non priva di strascichi quotidiani.

Verrà fuori che a scatenare panico e azioni militari era stata una banale omonimia tra il protagonista e il reale autore dell’attacco: aspetto che accentua ulteriormente la surrealità del racconto, mettendo bene in evidenza la cecità di una giustizia a tutti i costi, disposta ad autentiche follie in nome della sicurezza nazionale. Senza rinunciare a quell’ironia che lo rende inconfondibile, Vince Cuvellier prende così di petto una questione scottantissima, soprattutto per un paese come la Francia all’indomani di diversi attacchi di matrice terroristica e più in generale di numerose manifestazioni di fallita integrazione. La storia di Bellaq, per quanto incredibile, diventa cioè un grido di attenzione, un richiamo a quell’umanità che emergenza e paura rischiano di mettere pericolosamente in secondo piano.

L’attualità del tema, unita allo stile accattivante dell’autore, offrono un buon aggancio a lettori desiderosi di confrontarsi con storie dense e tutt’altro che banali: storie da grandi, insomma. La stampa ad alta leggibilità, caratteristica della casa editrice romana, concorre inoltre, a sua volta, a rendere la fruizione più a misura anche di lettori con Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Non parlo più!

Aurora è una bambina timida e piuttosto solitaria: non ama granché i giochi che fanno le sue compagne e fatica a trovare con loro una possibilità di interazione. Un giorno, messa in imbarazzo davanti alla classe intera a causa di un brutto tiro giocatole da un compagno, Aurora si chiude in sé stessa, rinunciando totalmente a esprimersi a parole, al di fuori dell’ambito familiare. Sarà una maestra paziente e sensibile, con la sua disponibilità ad accogliere i tempi e i modi della bambina, ad aiutarla a sconfiggere quella che lei chiama la timistrezza: un mix di timidezza e tristezza difficilissimo da scacciare. Ma sarà anche l’aiuto di Chiara, nuova compagna di classe, a giocare un ruolo decisivo nel percorso di superamento delle proprie difficoltà da parte di Aurora, delineando così con forza, l’idea che empatia e condivisione tra pari possono fare la differenza nel far sentire ogni bambino accolto e rispettato.

Quella scritta da Sabrina Mengoni è una storia che nasce da un’esperienza reale e che non nasconde un esplicito intento pedagogico: quello di dare voce ai bambini colpiti da mutismo selettivo, mettendo in evidenza le difficoltà e le emozioni che questo tipo di evento porta frequentemente con sé.

Il libro, pubblicato da Eli La Spiga, presenta alcune caratteristiche di alta leggibilità quali il ricorso al font leggimi, la maggiore spaziatura e la sbandieratura a destra del testo che ne rendono più agevole la lettura anche in caso di dislessia. La carta scelta, dal canto suo, si presenta lucida (quindi con qualche criticità legata al riflesso) ma color crema.

La collana L’albero delle storie di cui Non parlo più! fa parte comprende alcuni altri titoli ad alta leggibilità, reperibili qui: https://www.alberodeilibri.com/catalogo/?filter_leggibilita=carattere-ad-alta-leggibilita&query_type_leggibilita=or.

Questo posto è mio!

Lotte e litigi furibondi a suon di “È mio!” “No, è mio!” sono il pane quotidiano di genitori ed educatori alle prese con bambini piccoli. Piuttosto simile deve essere la vita delle papere, o almeno questo presumiamo tuffandoci nello stagno di Claire Garralon. Qui infatti gli interessati all’acqua fresca e azzurrina sono via via più numerosi e ogni arrivo è tutto un difendere e delineare settori di competenza, finché non compare l’ennesimo pennuto che invita i compagni a rivedere il senso dello stagno, rimettendo in discussione il valore di proprietà e condivisione. Tutto è bene quel che finisce bene. Se non che, proprio sul più bello, compare un ippopotamo e poi un altro… e, insomma, la faccenda dei confini (che straordinaria attualità!) può dirsi tutto fuorché risolta!

Divertente pur senza rinunciare a un tocco di saggezza, Questo posto è mio! è un albo fruibilissimo in tutti i suoi aspetti. La storia è infatti lineare, con un andamento iterato e attenta a un problema ben noto anche ai piccolissimi. Immagini e testo, dal canto loro, tengono sempre bene in considerazione il pubblico di riferimento: se le prime, infatti, si stagliano nette e ben contrastate sulla pagina, con sagome essenziali e colori pieni, il secondo procede ritmato e asciutto, prestandosi bene a una lettura condivisa. Da non sottovalutare, infine, anche il fatto che la stampa risponda a caratteristiche di alta leggibilità. Il fatto che il libro non sia rivolto a un pubblico di giovani lettori autonomi, infatti, non significa che non valga la pena offrire loro fin da subito una scrittura più amichevole con cui iniziare a familiarizzare, sguazzandoci con naturalezza e piacere a mo’ di paperella.

La mia casa è uno zoo

Che La mia casa è uno zoo sia un libro insolito lo si intuisce dalla copertina: non solo per via del fatto che vi spiccano un leone con occhiali a stella e una banda musicale a penne e zampe, ma anche perché i crediti vengono riportati al contrario rispetto alla consuetudine. Pieter Gaudesaboos, illustratore, figura come autore principale, mentre si specifica che il testo è di Sylvia Vanden Heede. Il perché di questa scelta diviene chiaro una volta aperto il volume: il racconto che segue la giornata di Carlotta, una bambina frizzante che vive proprio al centro dello zoo, passa in qualche modo in secondo piano rispetto alle figure caleidoscopiche dell’artista olandese, autentico catalizzatore di attenzione sulla pagina.

Ogni illustrazione vede interagire, così come in effetti confermato e dettagliato dal racconto a parole, la piccola Carlotta e alcuni abitanti dello zoo, all’interno di istantanee strabordanti di dettagli narrativi stuzzicanti tra i quali letteralmente perdersi. L’invito ad aggirarsi con occhio stupito e spalancato tra particolari curiosi e suggestivi, viene poi rafforzato dalle domande intriganti – 3 per ogni pagina – che trasformano la lettura in un vero e proprio gioco. Così il racconto dell’originale giornata di Carlotta tra colazioni insieme alla giraffa, pittura nell’atelier dei pinguini, gelati di messer Orso e letture serali con la più variegata compagnia – diventa lo spunto per un cerca-trova raffinatissimo che prende spesso le mosse da indovinelli misteriosi.

Il libro non si limita infatti a sfidare a trovare un certo oggetto o personaggio, ma lascia al lettore il gusto di intuire che cosa vada cercato. Quesiti come Chi è il più vanitoso?, per esempio, o Qualcuno ha paura che possa piovere oggi… invitano, infatti, ad affinare l’ingegno, facendo ipotesi tutte da verificare al confronto con la pagina illustrata.

Il risultato è un libro in cui immergersi a lungo, nel quale la lettura è sostenuta non solo da una stampa del racconto ad alta leggibilità ma anche da una dinamica ludica sfiziosa e capace di valorizzare al meglio la ricchezza narrativa sottesa alle tavole.

Solo una storia e poi a letto!

Mettetevi comodi e datevi un contegno: la lettura, in solitaria o condivisa, di Solo una storia e poi a letto! richiede infatti grande aplomb e rodato autocontrollo. Perché il libro scritto da Marion Gandon e illustrato da Laurent Simon non è solo piacevole o divertente, ma fa proprio ridere. Ridere a crepapelle.

Protagoniste sono quattro bambine scatenate, presumibilmente cugine, che mettono alle strette la malcapitata adulta, tale Marianna, che della loro messa a letto è incaricata. Di fronte alle loro insistenti richieste di ascoltare una storia, Marianna cede una, due, tre volte, dando forma a tre mini-storie gustosissime, prima di crollare addormentata prima delle piccole (quanto realismo in questo dettaglio!).

E proprio le piccole – la bionda Flavia, la mora Noemi, la rossa Carlotta e la rosa fluo Bianca – sono al centro delle micro-storie raccontate da Marianna: un concentrato di invenzioni surreali, imprevisti e trovate comiche che vede passeggiate in bicicletta divenire improbabili carovane di animali da fattoria; pantofole rosa causare disastri al profumo di fango e forti tempeste dare avvio a pigiama party fuori dagli schemi.

A rendere il tutto ancor più irresistibile, una scrittura minimale che presenta anche i fatti più assurdi come fossero normalissimi senza lasciar spazio a se e a ma, e illustrazioni buffe e frequenti che trasformano pochi tratti in un’autentica chiamata al sorriso.  Parole e illustrazioni fanno qui un gioco di squadra efficacissimo, andando a comporre ogni pagina di una o due vignette al massimo, ciascuna accompagnata da una frase breve e incisiva, stampata ad alta leggibilità con carattere maiuscolo leggimiprima. Tutto questo supporta con grande forza e grande intelligenza la lettura autonoma, anche da parte di bambini che presentano maggiori difficoltà di decodifica, senza dover necessariamente ricorrere a una proposta sciatta o semplificata. Anzi!

Ricapitolando: se siete bambini alle prese con le prime letture autonome troverete una pista in discesa verso grandi soddisfazioni; se siete bambini desiderosi di condividere un momento di lettura spassoso troverete un motivo incontestabile per rimandare la nanna. E se siete adulti dediti alle suddette letture serali, preparatevi a destreggiarvi tra una profonda vicinanza emotiva con la stremata Marianna e l’inconfessabile desiderio di unirvi al coro di “Ancora  una, un’altra, l’ultima, l’ultimissima, ti prego…”!

La guerra può aspettare

Non c’è mestiere più noioso del soldato in tempo di pace. Hai voglia ad ammazzare il tempo con maratone di tennis in tv, corsi di ricamo e merende sontuose: la noia è dura, durissima da scacciare. Lo sa bene l’esercito del paese di Quaggiù, messo a dura prova da mesi e mesi senza nemmeno un assalto, o che so, una cannonata. Così quando l’agguerrito generale ordina di pulire a modino carri armati e fucili, l’entusiasmo tra le truppe dilaga senza posa. Ma il generale, deciso a dichiarare guerra all’esercito di Laggiù, non ha fatto i conti con la flemmatica saggezza del suo corrispettivo nemico. Pasticcini e gare di tiro a segno, evidentemente prioritarie, gli rendono del tutto impossibile accettare i tempi previsti per la battaglia, che viene dunque rimandata più volte. E anche quando la pazienza a Quaggiù comincia a scarseggiare e l’attacco viene sferrato, con o senza il consenso del nemico, questi riesce a sorprendere i soldati avversari con un’inattesa e sorridente trovata.

Ironicissima e affilata critica all’insensato spirito bellico, La guerra può aspettare mette in luce il potere dell’immaginazione contro ogni perdita di umanità e ridimensiona le imprese guerresche, commisurandone il valore su une scala fatta di bignè, giochi e carnevalate. Scritto e illustrato con surreale leggerezza da Josè Sanabria e Alejandra Viacava, il libro è reso ancor più godibile dalla stampa in maiuscolo e con caratteristiche di alta leggibilità che ne agevolano la lettura anche da parte di bambini alle prime armi con la parola scritta o con maggiori difficoltà di decodifica. Perché il diritto alla lettura, come quello alla pace, sia patrimonio davvero democratico.

AFK

AFK, titolo dell’ultimo romanzo di Alice Keller uscito per Camelozampa, è una sigla probabilmente familiare solo ai ragazzi pratici di videogiochi online. Sta per Away From Keyboard e significa quindi impossibilitato a giocare (perché, per l’appunto, lontano dalla tastiera). Lontano dalla tastiera si ritrova infatti il protagonista della storia, Gio, quando sua sorella Emilia decide di trascinarlo con sé nella sua fuga da casa, dopo aver scoperto di essere incinta. E non è affar di poco conto, quella lontananza, perché Gio da due anni non esce di casa, vive attaccato e letteralmente immerso nei videogiochi online e non intrattiene pressoché relazioni sociali, nemmeno con i genitori. Dopo anni di (in)sofferenza e prese in giro, Gio ha infatti deciso di chiudersi in un mondo tutto suo in cui i 130 chili che ormai appesantiscono il suo corpo non possano essere motivo di scherno, in cui i tratti autistici che lui stesso spesso cita non devono riguardare nessun altro all’infuori di lui e dove le minacce e le reazioni fuori controllo che in passato lo hanno visto protagonista gli consentono finalmente di essere lasciato in pace. È una pace quasi catatonica, la sua: uno stato di simil-incoscienza in cui il giorno e la notte sono intercambiabili e nulla conta di più che portare a termine battaglie virtuali. Per questo la fuga quasi imposta da Emilia, che per una volta e di colpo esce dal suo ruolo di sorella perfetta mostrando fragilità e debolezze, scuote Gio come un terremoto, costringendolo a prove e decisioni complesse che non districano senz’altro la matassa emotiva che lo lega (anzi!) ma che forse schiudono in lui qualche prospettiva nuova.

Spiazzante, fuori dagli schemi e diretto come un pugno, AFK mette il lettore davanti a una bella sfida. Snello nell’aspetto, ma densissimo nella sostanza, il romanzo trascina letteralmente il lettore in quel mondo virtuale – pressoché sconosciuto agli adulti, a dirla tutta – che plasma visioni e abitudini. Alice Keller, che indiscutibilmente ha un dono raro per la scrittura, riesce a costruire un racconto che ha il ritmo di un videogioco, la stessa fulminea e rimbombante cadenza. E così par davvero di entrare nella testa di Gio, in quei meandri intricati e impastati di disagio, da cui il lettore si sente avvinghiato e quasi soffocato. La lettura diventa così una corsa a perdifiato in cerca di una via d’uscita, per il protagonista così come per chi lo segue tra le pagine. Ciliegina sulla torta: la stampa del volume ad alta leggibilità – abitudine ormai consolidata, peraltro, in casa Camelozampa – che lo rende ancora più prezioso nell’ottica di promuovere ad ampio raggio letture davvero vicine e a misura di ragazzi.

I cuscini magici

C’è un re odioso che più odioso non si può che si chiama Arraffone I. Sovrano dispotico del regno di Uranopoli, Arraffone I si diletta a scrivere con la sua penna di corvo spaventose leggi: domeniche che diventano prelunedì, parchi giochi sempre chiusi, candeline di compleanno bandite e multe per grattate di naso o starnuti, solo per citarne alcune. Se si aggiunge poi che Arraffone I non esita ad appropriarsi di qualunque cosa veda col suo telescopio e gli piaccia, si capisce bene perché i suoi sudditi a dir poco lo detestino. Ma ad Arraffone quest’odio proprio non va giù: come ogni sovrano che si rispetti, vuole, infatti essere amato, adorato e perché no osannato dai suoi sottoposti. E così, quando uno dei suoi consiglieri suggerisce che il malumore sia dovuto al fatto che i sudditi la notte sognano, Arraffone I si adopera per impedir loro questa pratica e lo fa a suon di leggi, guardie, pedaggi e invenzioni malvagie. Per mezzo di speciali cuscini diabolici il re riesce per un po’ a tenere a bada il popolo indisponente, fino a quando un maestro intraprendente e i suoi solerti allievi non tiran fuori da fili di fiabe, tulle di bonboniere, piume di cigno e anelli di aquilone un’autentica magia che restituisce agli abitanti di Uranopoli la capacità e il diritto di sognare in pace.

È una fiaba lieve e ironica, quella scritta da Evghenios Trivizas: una fiaba che, sì, racconta del potere liberatorio dei sogni con un’attualità peraltro grandissima, ma che lo fa senza perdere il prezioso gusto del fantastico. Così il racconto scorre piacevole, con un bel ritmo e tante invenzioni divertenti, sia linguistiche sia narrative, che lo rendono particolarmente gustoso per una lettura ad alta voce ma anche molto invitante per una lettura autonoma. Lo stile snello dell’autore greco, la trama compatta e le caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono il volume lo rendono infatti amichevole anche nei confronti di lettori poco esperti e/o con difficoltà legate alla dislessia. Da non sottovalutare, poi, sempre in un’ottica di supporto alla lettura, le illustrazioni deliziose firmate da Noemi Vola che echeggiano alla perfezione le atmosfera fantastiche delineate dal racconto.

Pezzettino

Pezzettino è senz’altro uno degli albi più noti del maestro Leo Lionni. Inno incontrastato a un sentire bambino che non teme la complessità ma anzi si nutre di essa, Pezzettino racconta la storia di un quadrato arancione che crede di essere il tassello mancante di qualcuno e che si mette in viaggio per capire di chi si tratti, scoprendo in realtà un’identità inattesa e capace di dare un senso nuovo alla sua esistenza. Storia di straordinaria bellezza e di inesauribile eco, Pezzettino racchiude in sé crescita e ricerca, identità e differenza, errore e conquista in una narrazione che fa del dialogo affiatato tra parole e figure, la chiave per gettare semi e interrogativi fecondissimi nel pensiero del lettore senza accontentarsi di suggerirgli risposte facili e preconfezionate.

Così come accaduto per Piccolo blu e piccolo giallo nel 2015, anche Pezzettino viene ora offerto da Babalibri in una versione che unisce all’albo cartaceo un cd audio. Quest’ultimo non solo propone la lettura del testo fatta dal bravissimo Giuseppe Cederna, che fa davvero vibrare con grande rispetto tutte le corde emotive sottese al racconto, ma anche il suo puntualissimo accostamento alla Sonata per pianoforte in la maggiore D. 959 di Schubert, eseguita con grande passione e perizia da Riccardo Schwartz. In questo modo il capolavoro di Lionni, adatto ad essere letto e riletto anche ben dopo l’età prescolare, si offre in tutta la sua ricchezza anche a lettori che prediligono l’ascolto del testo alla sua lettura a stampa e scopre nuove possibilità di scoperta, intreccio e sedimentazione grazie all’incontro con una musica dal sentimento affine. L’incontro che si crea tra le parole e le figure di Lionni, la voce di Cederna, gli spartiti di Schubert e le note di Schwartz è infatti una piccola magia: un dialogo sottile tra linguaggi diversissimi che battono però sentieri vicini e celebrano ciascuno a suo modo il valore e la potenza della libertà.

Che cos’è una sindrome?

Alla domanda Che cos’è una sindrome?, il dizionario Garzanti risponde secco: “il complesso dei sintomi che denunciano una situazione patologica senza costituire di per sé una malattia autonoma”. Ottimo, l’interrogativo può dirsi a questo punto soddisfatto da un punto di vista squisitamente medico. Ma siamo certi che basti a dirci cosa significhi, nella quotidianità delle azioni e dei sentimenti, avere una sindrome? Se è vero come è vero che una persona non è la sua disabilità o la sua malattia, è importante provare a scavare un po’ più a fondo per cogliere e mettere in luce ciò che della convivenza con una sindrome, dizionari e manuali non danno notizia. Ed è proprio quello che ha fatto Giovanni Colaneri per il suo progetto di tesi all’ISIA di Urbino che oggi è diventato un raffinato albo illustrato per i tipi di Uovonero.

25 doppie pagine intensissime si susseguono qui, ciascuna contraddistinta da un’illustrazione di grande dimensione e da poche parole che rispondono alla domanda del titolo. Perché una sindrome può essere tante cose: non solo può avere tante cause e tanti effetti, ma soprattutto può essere vissuta in tanti modi, anche da parte della stessa persona. Con le sue ricche figure, in sottile dialogo con le parole centellinate che le accompagnano, l’autore socchiude e talvolta spalanca finestre inattese nel lettore, non solo restituendogli prospettive poco battute (una sindrome come un attacco, per esempio, un sentiero o un movimento continuo) ma anche offrendo chiavi di lettura nuove per prospettive più sedimentate (una sindrome come qualcosa di raro, potenzialmente preziosa come una gemma, per esempio).

Di grande suggestione per lettori maturi o per gruppi guidati di lettori giovani e giovanissimi, ogni quadro è una possibilità di pensiero nuovo, uno spunto, uno slancio, che come suggeriscono bene i risguardi, non vuole dare risposte nette ma piuttosto far fiorire gli interrogativi.

Un compleanno fantastrofico

Teresa vuole, fortissimamente vuole, una festa di compleanno per i suoi imminenti 9 anni. A casa sua le feste non sono però ben viste: troppo impegnative, troppo caotiche, troppo fuori moda, per la sua inconsueta famiglia. Ma Teresa quest’anno è disposta a tutto pur di avere una festa come Dio comanda e per ottenerla si chiude a chiave nella legnaia. Ottenuto con scarso entusiasmo il sì dei famigliari, per Teresa iniziano i preparativi: ha una settimana davanti per rendere tutto perfetto. Le aspettative della bambina sono infatti altissime poiché da quella festa dipende la possibilità per lei di farsi conoscere meglio e apprezzare dai suoi compagni. Considerata un po’ strana per il suo modo di vestire e per i suoi interessi, Teresa ha infatti un solo vero amico mentre viene tenuta in disparte da tutti gli altri bambini. Inaspettatamente, saranno proprio imprevisti e stramberie di famiglia, nel giorno speciale della sua festa, a rimettere le carte in gioco e dare nuove chances ad amicizie apparentemente impossibili.

Scritto con piglio vivace, con grande empatia e con il coraggio di non zuccherare in eccesso la storia narrata, Un compleanno fantastrofico è un libro piacevole e capace di mescolare sentimenti realissimi con un pizzico di eccentricità. Pubblicato all’interno della serie azzurra de Il Battello a vapore, il racconto di  Annalisa Strada presenta caratteristiche di alta leggibilità che lo rendono più facilmente fruibile anche in caso di dislessia.

 

Susi in piscina

Pista, spazio, fate largo: è in arrivo l’uragano Susi! Irrefrenabile e travolgente, quando Susi si mette in testa qualcosa è meglio non intralciarla. Come quando, in un giorno davvero speciale, può finalmente nuotare nella piscina dei grandi. L’emozione è incontenibile e Susi proprio non può aspettare. Vestiti e stivaletti lanciati per aria, cuffia, maschera e costume indossati al volo, doccia d’ordinanza fatta: non resta che… bombaaaaaaaaaa! Tra corse a bordo vasca, schizzi e invasioni di corsia, l’avventura di Susi nella piscina dei grandi dura ben poco: il bagnino pancione non esita infatti ad acciuffarla con il suo retino e spedirla nella piscina dei piccoli. Che delusione, che smacco! A Susi non resta che mettere in atto un piano di emergenza davvero estremo ma perfettamente commisurato al suo desiderio di sentirsi grande.

Esuberante come pochi, Susi è un personaggio portentoso che sa come portare il buonumore. Il merito è della collaudata coppia Jaap Robben e Benjamin Leroy (già nota ai lettori di casa Sinnos per un altro personaggio indimenticabile: il supereroe dalla straordinaria pipì, Super P), che sa cogliere l’infanzia nei suoi tratti più liberi da briglie e condizionamenti e restituirla attraverso micro-avventure davvero gustose. Il testo snello snello, scritto in stampatello maiuscolo e contraddistinto da stampa ad alta leggibilità si accompagna ad illustrazioni ad altissimo tasso di spasso in cui si muovono personaggi di contorno tanto buffi quanto in fondo realistici. Dalle nonne dell’aquagym che borbottano per gli spruzzi al fusto tutto muscoli che digita sullo smartphone anche sotto la doccia, dal bagnino che si atteggia a generale al cane che non si sa come sia finito tra i poppanti: il giorno in piscina della piccola Susi diventa in realtà un giorno fuori dall’ordinario per una fitta e animata schiera di personaggi. E con loro, per il fortunato lettore!

Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio

Vampiri, streghe, scheletri e mummie: tutti costumi triti e ritriti per una festa di Halloween. Niente a che vedere con un costume da tavola imbandita alla maniera di un ristorante italiano: proprio quello che Hank intende indossare per la sfilata del 31 ottobre a scuola. E a nulla valgono i tentativi di dissuaderlo degli amici Frankie e Ashley: determinato, Hank porta in classe un costume decisamente originale ma soprattutto ingombrante che finisce per causargli inciampi e incastri. Per non parlare delle prese in giro, soprattutto da parte di Nick McKelty che non perde occasione per dar pessimo fiato alla bocca. E così, infuriato come di rado è stato prima, Hank si lascia ispirare dal saggio Papà Pete e costruisce una casa degli orrori da far venire la pelle d’oca a chiunque. L’obiettivo è dare una bella lezione a quel bullo di Nick. Oltre a questa soddisfazione, però, ciò che Hank guadagna dal suo spaventoso progetto è la consapevolezza che essere sé stessi può risultare davvero molto divertente e che si può essere un bambino fantastico indipendentemente da come si legge.

Con Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio, l’ingegnoso personaggio creato da Lin Oliver ed Henry Winkler raggiunge la sua avventura numero nove: un traguardo non da poco, soprattutto se si considera che la coppia di autori americani ha saputo mantenere lungo il tragitto una verve stilistica, una vena inventiva e una capacità di raccontare le difficoltà e le risorse dei bambini, soprattutto (ma non solo) legate alla dislessia, con apprezzabilissima levità. Anche qui, per esempio, non si nasconde l’ostico rapporto di Hank con la parola scritta, con le cose da ricordare o con l’immobilità nei momenti di stress, ma il suo amalgamarsi a una trama spassosa e coinvolgente ne restituisce l’importanza senza caricarlo di inutile (e dannosa) pesantezza.

La bambina di ghiaccio e altre fiabe

Nani, folletti, fate e sirene: nel suggestivo mondo dipinto da Mila Pavićević c’è posto per un ventaglio variegatissimo di figure leggendarie che, leggere e impalpabili, si muovono in bilico sul filo del fantastico. Le loro sono storie di doni e vendette, di incantesimi e desideri, di tristi sorti e di magici riscatti: ingredienti sopraffini per racconti che spolverano e lavorano con sapienza un impasto fiabesco come tradizione comanda.

C’è tutto quel che ci si può aspettare da una raccolta d’altri tempi, infatti, ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe, comprese illustrazioni dal sapore misterioso e antico. Difficile immaginare un tratto più azzeccato di quello della bravissima Daniela Iride Murgia per dipingere protagonisti e cornici di vicende straordinarie e surreali quali quelle narrate dalla drammaturga serba: le sue illustrazioni in bianco e nero dal tratto finissimo, mescolano infatti realismo e dettagli fantastici, atmosfere oscure e personalità stravaganti, avvenimenti sovrannaturali e richiami al quotidiano, con un gusto e una minuzia rari da trovare.

Perfetti per amanti di atmosfere incantate, i testi raccolti da Camelozampa ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe si fanno apprezzare anche per la loro brevità e per la stampa ad alta leggibilità: caratteristiche che ne agevolano la fruizione anche da parte di bambini con difficoltà di lettura legate alla dislessia. La disponibilità del racconto anche in versione audiolibro (6,90 €), inoltre, ne amplia ulteriormente le possibilità di accesso anche da parte di bambini con disabilità visiva.

Bill il cattivo (ora buonissimo)

Tra le pagine dei libri per bambini di cattivi ce ne sono tanti, ma solo alcuni di loro sono dei cattivi davvero cattivi, per non dire cattivissimi. Ecco, Bill è proprio uno di quelli. Temuto da grandi e piccini, Bill è un tipo che ruba la merce al fruttivendolo, fa scherzi da far accapponare la pelle e si diverte a terrorizzare i bambini requisendo a piacere i loro palloni o annodando le loro corde per saltare. Insomma, da uno come Bill è meglio tenersi alla larga, lo sanno tutti. Eppure, quando un giorno un pallone finisce per sbaglio sul suo balcone, i bambini del quartiere si fanno coraggio e vanno a recuperarlo, scoprendo così un inatteso segreto sulla vita del prepotente concittadino e trovando un modo ingegnoso per fargli assaporare il potere della gentilezza.

Nel dare vita a personaggi dalle sembianze animali che agiscono però in tutto e per tutto come gli umani, Ole Könnecke racconta una storia semplice e schietta di prepotenze che non si dimenticano e di attenzioni che invece fioriscono. Le sue figure dalle linee sottili, dalle espressioni ben riconoscibili e dai dettagli mai superflui portano sulla pagina un’atmosfera sorridente che il testo garbato e ironico conferma ed esalta a ogni passo. Bill il cattivo (ora buonissimo) solletica così il lettore con una grazia inconfondibile, che è peraltro cifra innegabile dell’autore tedesco.

A rendere ancor più ghiotta questa novità firmata Beisler, c’è poi il suo inserimento all’interno della collana leggo già (di cui già fanno parte, per esempio le irresistibili avventure di Lester e bob) che presenta caratteristiche di alta leggibilità quali font Testme maiuscolo (particolarmente adatto alla prime letture autonome), spaziatura maggiore, sbandieratura a destra e carta opaca. Decisamente apprezzabile, inoltre, soprattutto nell’ottica di sostenere bambini poco esperti o con maggiori difficoltà di lettura, la scelta dell’editore di distribuire gli a capo mantenendo sempre sulla stessa riga le unità minime di senso.

Agente 008. Missione vacanze

È lungo solo 48 pagine, Agente oo8. Missione vacanze, ma dentro ci sono, solo per fare qualche esempio, una paperella sommergibile, un covo segreto nascosto tra le rocce, un computer che sa le risposte ma non le domande, un lunghissimo scivolo di vetro, 2 braccioli carichi di dinamite, trabocchetti luminosi, infradito boomerang e un orso polare. Non sarà difficile immaginare, dunque, quanto possa essere serrato il ritmo del racconto che tiene insieme tutti questi elementi in un’avventura al contempo divertente e vorticosa. A viverla in prima persona è appunto l’agente 008 che, in procinto di godersi una meritata vacanza, si trova suo malgrado a svolgere l’ennesima missione. Perché quando una missione chiama, l’agente 008 risponde, soprattutto se la missione ha un nome in codice e quel nome è: lasagne!

Surreale, scanzonato e avventuroso al punto giusto, Agente oo8. Missione vacanze si presta bene a stuzzicare anche quei lettori alle prime armi che faticano ad appassionarsi alla lettura. Questa procede qui, infatti, spedita a suon di colpi di scena via via più improbabili e di trovate spassose, portando il lettore a chiedersi di continuo “Che cosa sarà capace di inventarsi ora, l’autore?”. Le caratteristiche di alta leggibilità tipiche del catalogo di Biancoenero e in particolare della collana Minizoom di cui il volume fa parte, rafforzano dal canto loro l’invito a godersi la lettura, rendendola più agevole anche in caso di dislessia.

Il giorno del nonno

Quando i miei genitori lavorano, sto dai nonni. Sono molto carini, ma a casa loro mi annoio da morire. Non c’è internet, non c’è la televisione, ci sono solo tre fumetti un po’ ammuffiti e tutt’intorno nient’altro che campi di mais. Dentro casa c’è odore di cavolfiore vecchio e di caccole di mosca.

Voilà, un incipit spassoso al punto giusto è bell’e servito! Difficile, una volta letto, immaginare che in quella casa in cui noia e muffa la fanno da padrone non stia per succedere qualcosa di straordinario e che Simone, lo sbuffante protagonista e narratore, non sia pronto a raccontarcelo con piglio ironico e divertente. Niente di più vero. Da lì a poco Simone scopre infatti che il nonno, apparentemente “alle fragole” e dalla memoria zoppicante, viene come attivato alla vista di particolari oggetti (una lente di ingrandimento, una spada di legno, una corona di cartone, una ventosa fluorescente…) che lo portano a raccontare storie passate a dir poco incredibili. Storie in cui il nonno arrestava il famigerato Jo Patatina, si faceva chiamare Pirata Barba-fifa, dava ordini da re o curava intestini pigri di extraterrestri: storie che mescolano realtà e fantasia, trasformando il mercoledì, il giorno in cui Simone va a trovare i nonni, nel giorno più atteso della settimana. Così Simone inizia a cercare oggetti via via più suggestivi da sottoporre al nonno e porta i suoi amici ad assistere allo show infrasettimanale, divenuto ormai ambitissimo e leggendario. Fino a quando, un mercoledì come tanti, il nonno non si fa stranamente trovare a casa: sarà quello, con la triste e realistica visita in ospedale che toccherà a Simone, il momento in cui il bambino parteciperà a un simbolico passaggio di consegne e allo svelamento di un segreto più che speciale.

Stampato con alcune caratteristiche di alta leggibilità (font specifico, spaziatura maggiore), Il giorno del nonno è un libro godibilissimo di Emmanuel Bourdier, capace di unire efficacemente divertimento e tenerezza. Contraddistinto da dialoghi serrati e descrizioni che sposano un punto di vista squisitamente bambino, il racconto è accompagnato dalle illustrazioni ironiche e buffe di Laurent Simon che ne sottolineano il tono brioso.

Hotel Bonbien

Un albergo a conduzione familiare su una strada di passaggio nella Marna: questa è la casa di Siri, la giovane protagonista e narratrice del romanzo. Qui la bambina vive con la mamma, impetuosa addetta alla cucina, il papà, remissivo addetto ai conti e alle reception, e il fratello Gilles, adolescente aspirante filosofo e cultore dell’hard rock. Le cose non vanno proprio a gonfie vele all’Hotel Bonbien: gli affari non decollano, i soldi scarseggiano, gli arredi iniziano a risultare datati e, soprattutto, a causa di tutto ciò mamma e papà litigano spessissimo a suon di piatti rotti e urla furibonde. Così Siri, tra un’amicizia volante con gli ospiti dell’albergo, qualche osservazione silenziosa di cuccioli di tasso e qualche coccola alle galline del pollaio, inizia a preoccuparsi che la famiglia possa sfasciarsi, complice anche la recente separazione dei genitori della sua più cara amica Sylvie. E come spesso accade ai bambini della sua età con famiglie in crisi, si sente in dovere di fare qualcosa, di trovare una soluzione. La soluzione sembra letteralmente cascare dal cielo, quando una brutta caduta da un albero dona a Siri una memoria prodigiosa: il fratello Gilles pensa infatti di sfruttarla per tirare su un bel bottino e risolvere così i problemi dei genitori. Inizia a quel punto un rocambolesco viaggio di famiglia verso un concorso di memoria con un bel gruzzolo in palio, che porterà a un inatteso lieto fine in cui i soldi hanno in realtà un ruolo più che marginale.

Con uno stile fresco e ironico, Enne Koens racconta l’anno di svolta di Siri (quello del suo decimo compleanno), mettendo bene in luce i crucci che possono accompagnare una crisi famigliare e il modo in cui possano amplificarsi entrando nella testa di un bambino. Lo fa con leggerezza, costruendo una cornice – quella dello scalcinato Hotel Bonbien e di tutte le figure che vi abitano o vi passano – animatissima e brulicante in cui è difficile annoiarsi e in cui gli imprevisti sono all’ordine del giorno. Il romanzo solletica insomma il lettore con una costante e delicata vivacità che ben si accompagna al tono sorridente delle illustrazioni schizzate di Katrien Holland che tanto ricordano il maestro Quentin Blake. Scrittura ritmata, personaggi a cui ci si affeziona presto, pensieri in cui ci si può riconoscere e piccole avventure quotidiane a filo di pagina rendono Hotel Bonbien un romanzo delizioso che più facilmente di altri può accogliere anche lettori con difficoltà legate per esempio alla dislessia o alla disabilità visiva, anche grazie all’impegno profuso dalla casa editrice Camelozampa nel rendere il testo disponibile in molteplici formati: a stampa ad alta leggibilità, audiolibro, ebook e audioebook.

Il re senza reame

Il re senza reame è il sovrano del Paese all’Incontrario e, come tale, non possiede niente di niente: non un trono, non un castello, non una prospettiva per sé e per il suo regno. Niente di niente, appunto. Un giorno incontra un gatto che, come lui, non ha nemmeno un nome e insieme si siedono a non aspettare nulla. Passano un cavaliere e una signora di ritorno dal mercato, e ai due il gatto ruba rispettivamente un paio di stivali, una moneta e un pesce, ma il re – non essendo il gatto di sua proprietà – non si fa carico delle sue ruberie. Poi però arriva un cane che del gatto vuol fare un bel paté: è allora che il re salva l’amico a quattro zampe da una brutta fine, scoprendo e mostrando come si possa dire di appartenere davvero a qualcuno quando si è uniti da una profonda e sincera conoscenza. Forti di questo nuovo legame, il re e il gatto si avviano insieme verso un luogo in cui essere qualcuno che non ha niente di niente assume un significato tutto nuovo.  E in cui basta la presenza di un amico a trasformare un nonnulla in una cosa più che preziosa.

Quella de Il re senza reame è una storia senza tempo, in cui riecheggiano fiabe note e in cui si intrecciano passato e presente. A rendere possibile questa magia è il dialogo profondo tra le parole di Alex Cousseau e le illustrazioni di Charles Dutrertre: coppia d’oro dell’editoria francese che ci aveva deliziati, sempre per i tipi di Sinnos, con la serie di piccole avventure quotidiane di Lucilla Scintilla. Ne Il re senza reame lo stile è diverso, decisamente più votato al fantastico, ma parimenti capace di incantare chi legge. La parole sono misurate e sonanti, proprio come ci si aspetta da una fiaba degna di questo nome, mentre le illustrazioni hanno un che di surreale, mescolando con garbo e ipnotico fascino tocchi orientali, vezzi decorativi, e dettagli moderni. Il risultato è un tripudio di figure – tutte giocate sulla combinazione di giallo, rosso, verde e blu, su sfondo bianco – che conducono lontano l’immaginazione del lettore, moltiplicando le possibilità di scoperta e invenzione. Il tutto senza rinunciare a una certa fruibilità della lettura, resa possibile non solo da un testo contraddistinto dal ritmo piano ed essenziale proprio dei racconti tradizionali, ma anche dalle caratteristiche di stampa ad alta leggibilità, ben consolidate in casa Sinnos, di cui l’albo fa vanto.

Candido e gli altri

Delizioso, verissimo, umano. Quanto ti aspettavamo, Candido! Creato da Fran Pintadera e Christian Inaraja, Candido è il protagonista di un albo che in 46 coloratissime pagine riesce a mettere a fuoco le difficoltà implicate dal sentirsi diversi e al contempo a mostrare come proprio quelle difficoltà siano in fondo ciò che ci rende tutti simili. Il suo segreto è una leggerezza più unica che rara: qualità che permette alla storia, nella sua grande semplicità, di librarsi svincolata da briglie didascaliche, moltiplicando significati, riverberi e letture possibili. E così possiamo senz’altro inserire Candido e gli altri tra i libri più riusciti in circolazione sulla disabilità senza che tuttavia questa sia mai citata e senza che una lettura di tutt’altro genere e significato possa dirsi fuori strada.

Perché Candido, semplicemente, non è come gli altri, a volte si sente strano, fatica spesso a capire e a farsi capire dal mondo, e per tutte queste ragioni prova sentimenti controversi, tesi tra il desiderio di non essere osservato come una bestia rara e quello di non risultare del tutto invisibile. Con frasi direttissime e illustrazioni dai tratti mai fuori posto, l’albo dipinge questo suo ritratto in cui difficilmente un qualunque lettore non si riconoscerà almeno in parte, preparando al millimetro il terreno per un calzante finale a sorpresa. Un finale in cui entra in campo Fidel che, vestito di tutto punto in una spiaggia affollata amata da tutti, è evidente che non è come gli altri.  Con lui il libro si chiude ma il pensiero si spalanca, perché l’idea di una normalità tutta relativa che sta al centro dell’albo affiora con forza travolgente e invita senza possibilità di resistenza a una riflessione del lettore su quegli strambi personaggi, su di sé, e su coloro che lo circondano. Anche per questo il libro si presta perfettamente a una lettura condivisa, in classe per esempio, e ad avviare un lavoro profondissimo su cosa ci renda simili e dissimili dagli altri.

Vincitore dell’XI edizione del Premio Internazionale Compostela per gli albi illustrati, Candido e gli altri è un albo in cui i dettagli fanno la differenza. Dall’insolito formato (alto e stretto) alla costruzione di personaggi che stimolano la ricerca di tratti comuni e divergenti, dalle sottili citazioni di grandi artisti contemporanei all’uso pregnante dei colori, il libro edito da Kalandraka è un piccolo gioiello da non sottovalutare, capace di risuonare negli occhi e nelle orecchie di lettori di età anche molto diverse e di dare un volto indimenticabile all’idea mai sopita che “visto da vicino nessuno è normale”.

Sei unico

La Filastrocca di ciò che non sei è una di quelle che Bruno Tognolini chiama rime d’occasione, composte su richiesta di qualcuno: in questo caso la richiesta è arrivata da una mamma preoccupata per l’accoglienza che il nuovo ambiente e i nuovi compagni avrebbero potuto riservare a suo figlio, ragazzino con Sindrome di Down in procinto di iniziare la scuola media. È une filastrocca accorata che arriva diretta come una freccia ai grandi (a cui in effetti l’autore si rivolge in primis) ma che, forte della sua schietta semplicità, sa raccontare anche alle orecchie più piccole il valore della diversità e i legami strettissimi che essa può generare.

Poesia simbolo di un evento organizzato dalla splendida libreria per bambini Mio nonno è Michelangelo a Pomigliano d’Arco, con ospite lo stesso Tognolini, la Filastrocca di ciò che non sei ha dato vita all’albo edito da Salani Sei unico. Qui, interpretate dalle illustrazioni visionarie di Christophe Mourey, le parole di Tognolini si amplificano e sembrano poter risuonare ancora più vicine al sentire bambino. L’artista francese sceglie infatti un protagonista che ha i tratti di un pulcino nero dal cuore grande (tu non sei abile però sei buono) e dalle zampe che paiono corone (tu non sei abile, però sei nobile): un collage di sottili tratti scuri e di colorate forme geometriche che esprime con efficacia il concetto di unicità. Affiancato poi a una fitta schiera di esseri dall’aspetto bislacco, il pulcino di Mourey invita l’occhio del lettore a riconoscere tra di essi le spiccate differenze ma anche a cogliere qualche più sottile somiglianza, in un inno all’unicità fatta di cose che ci distinguono ma anche di cose che ci rendono inequivocabilmente e ugualmente umani.

La grande rapina al treno

Chi l’ha detto che indiani, cowboy e assalti alla diligenza non possano più conquistare i giovani lettori? Leggere La grande rapina al treno per credere! Qui prende vita infatti un’avventura così travolgente che sarà difficile staccare gli occhi dal libro, in una lettura in corsa che avvicina la sequenza di pagine a una frenetica ripresa cinematografica.

Protagonista del racconto dall’ambientazione vintage, è un bambino a modino – calzoncini corti, cappello piatto e papillon – che in compagnia di una zia rigida e bacchettona sale a bordo di un treno del west. Il viaggio appare inizialmente noiosissimo: poco accade fuori dal finestrino e quel poco che accade pare non poter essere condiviso a meno di infrangere le ferree norme del buon viaggiatore riassumibili in “stare seduti” e “fare i bravi”. Ma a un certo punto qualcosa di interessante accade. Dal finestrino spunta dapprima un cavallo, seguito a ruota da svariati altri animali da fattoria cavalcati a pelo da quelli che appaiono a tutti gli effetti come dei banditi (la maschera sugli occhi non mente!). È la famigerata banda dei Tredici (di cui solo tre membri, però, risultano pervenuti): malviventi senza scrupoli che, armati di pistole e mattarelli, assaltano il treno e rapinano gli sventurati passeggeri. Sulla loro scia arriva anche il coraggioso sceriffo Nick Stecchetto che in un inseguimento senza esclusione di colpi (e di mezzi di trasporto) dà il via a una caccia ai ladri che coinvolgerà dal primo all’ultimo passeggero. Chi si arrampica sul tetto e sgancia i vagoni, chi tira con la fionda, chi attiva robot meccanici e chi familiarizza con orsi circensi: sul treno di Federico Appel ne succede di ogni e mentre l’occhio del lettore prova a seguire tutto quel che accade, la sua immaginazione va in sollucchero di fronte a tanta esuberante inventiva.

Succedono cose, infatti, dentro, sopra, intorno, sotto e dietro al treno, il che contribuisce a rendere la scena concitata e il ritmo narrativo irruente. L’autore allestisce così un racconto vorticoso che spinge il lettore a correre avanti e indietro lungo pagine e vagoni. Non c’è tempo da perdere, infatti: urge seguire, scoprire, collegare e risolvere tutto quello che freneticamente accade sul treno prima dell’arrivo (in orario perfetto!) alla stazione di destinazione.

Con grande divertimento, Federico Appel riesce in particolare a tenere agganciato il lettore grazie a una narrazione ingegnosa e originale che procede esclusivamente per discorsi diretti non attribuiti esplicitamente. Sta al lettore dunque riconoscere chi di volta in volta parla, facendo appello agli indizi forniti dall’illustrazione della pagina e dalla divertente presentazione dei personaggi posta in apertura di libro: scelta, questa, che (a margine ma neanche troppo) dice forte e chiaro come una difficoltà di lettura legata per esempio alla dislessia non debba necessariamente implicare una costruzione narrativa banale e scontata. Ne vien fuori una storia divertente, ad alta leggibilità e ad alto tasso di coinvolgimento che di certo non si esaurisce in una sola lettura. Sul treno della grande rapina, insomma, sarà difficile accontentarsi di un solo viaggio!

La voce del branco

La scrittura di Gaia Guasti ha, su tutte, due caratteristiche che la rendono notevole: è incisiva come poche e sa scavare nell’animo degli adolescenti con una minuzia chirurgica. Forte di questi due tratti, il suo ultimo romanzo La voce del branco trascina letteralmente il lettore tra le pieghe più profonde dell’animo di Mila, Ludo e Tristan, tre ragazzi che dall’oggi al domani si trovano a fare i conti con una misteriosa metamorfosi e con l’ineludibile richiamo di una natura selvaggia tutt’altro che umana.

Amici fin dalla primissima infanzia ma progressivamente allontanatisi con la scelta di scuole superiori diverse, i tre si ritrovano ogni anno lo stesso giorno – il 15 novembre – nello stesso posto – la sorgente ai piedi del Picco delle anime – per festeggiare i loro compleanni. È una sorta di rito segreto il loro, un momento a cui nonostante le differenze sempre più marcate tra le loro vite non riescono a rinunciare. È sempre stato così ma qualcosa di inatteso, un 15 novembre diverso dagli altri, accade: i tre ragazzi, appena riunitisi, vengono  infatti attaccati da un branco di lupi. Non è un attacco mortale e non è un attacco casuale, quello che li coinvolge: dal momento in cui vengono morsi, Mila, Tristan e Ludo avvertono un cambiamento progressivo, apparentemente inspiegabile e senza dubbio spaventoso, che mescola la loro identità umana a quella di lupi. In maniera sempre più insistentemente, la loro nuova natura ferina si fa spazio e li chiama a gran voce, imponendo loro di abbracciare una vita via via più selvaggia e di imparare a misurarsi con istinti e bisogni mai sentiti prima. Perché questo, in fin dei conti, esige il destino da licantropi che il morso dei lupi ha disegnato per loro: mettere “a tacere la mia coscienza umana per scoprire un altro corpo, un altro passo, un altro sguardo sul mondo?”, come spiega bene Mila verso la metà del racconto.

E il lettore che fa? Travolto da una narrazione incalzante, segue i tre ragazzi nelle loro successive trasformazioni, nella paura di essere scoperti da familiari e amici, nella caccia spietata che una sinistra lupa rossa dà loro e nel tentativo di fare luce sulle inquietanti morti che hanno accompagnato la metamorfosi. Lo fa col fiato corto e il cuore in gola perché il ritmo che l’autrice riesce a imprimere alla narrazione aderisce come una seconda pelle ai sussulti emotivi e ai minimi cambiamenti che i ragazzi percepiscono nel loro essere, rendendoli tangibili all’immaginazione di chi scorre le pagine. È così che la metamorfosi si svela poco a poco, tra aspetti oscuri e verità che man mano prendono forma, proprio come accade ai protagonisti del romanzo. Nel cuore delle avventure e delle prove che Mila, Tristan e Ludo si trovano ad affrontare, si va delineando in maniera sempre più netta e distinta la forza protettiva, rassicurante e persino curativa dell’amicizia, chiarissima forse solo a chi – come i bambini e gli animali – sperimenta senza alcuna remora una vicinanza – fisica ed e motiva – quasi istintiva, con l’altro. In un crescendo di tensione ed emozione, il romanzo si chiude con una fuga nel bosco dei tre protagonisti che alimenta come un mantice la curiosità del lettore verso il seguito della saga (in uscita a novembre): un ingrediente da non sottovalutare, questo, che insieme alla scelta di Camelozampa di impiegare caratteristiche di stampa ad alta leggibilità, può fare la differenza nell’ardua sfida di solleticare anche lettori meno propensi a frequentare i libri o con maggiori difficoltà ad affrontare la lettura.

 

Hank Zipzer. Odio i corsi estivi

In Tiratemi fuori dalla quarta abbiamo lasciato Hank alle prese con un tormentato superamento della penultima classe e ora eccoci qui: è arrivata l’estate e con essa i temibili corsi estivi che Hank si trova a dover frequentare mentre i suoi migliori amici si godono lo spassoso programma dei Giovani Esploratori. Si aggiunga poi che i compagni di corso del povero Hank sono i peggiori in circolazione (compresa la fidanzata dello stolido Nick McKelty) e si capirà il perché dell’umore nero di Hank. Unica consolazione: a tenere i corsi estivi è il signor Rock, insegnante di musica e docente preferito di Hank. È lui a chiedere come compito la presentazione di un personaggio famoso ammirevole e ad Hank, in particolare, consiglia di scegliere Albert Einstein. Così il ragazzo inizia una forsennata ricerca di informazioni sullo scienziato: l’obiettivo è confezionare la più straordinaria introduzione mai vista alla SP 87 perché la posta in gioco è alta. In ballo, per Hank, c’è infatti la possibilità di partecipare al talent show finale dei Giovani Esploratori con la performance da urlo dei Magik 3.

Anche questa volta il protagonista brilla per la sua capacità di affrontare i problemi con creatività, per le sue associazioni mentali sorprendenti, per il suo saper fare di una motivazione forte un importante alleato. Ma rispetto agli episodi precedenti, il protagonista mostra qui un’ulteriore inattesa qualità: il saper accogliere con dolcezza persone indifese, come il piccolo Mason, riconoscendo nelle difficoltà altrui le proprie e vestendo i panni di un affettuoso e talentuoso insegnante.

Farfariel

Farfariel è il titolo di un romanzo insolito e coraggioso pubblicato da Uovonero nel 2018 per un pubblico di lettori forti. È insolito e coraggioso perché racconta di un luogo e di un tempo distanti dal presente (eppure da questo per nulla scissi) quale la campagna abruzzese del periodo fascista, e lo fa scegliendo una lingua fedelissima al quadro scelto, in cui dialetto e italiano si fondono e si contaminano profondamente.

La storia narrata è quella di Micù, bambino tenace e intelligente a cui la poliomielite ha lasciato in eredità una costituzione gracile, una salute instabile, una statura ridotta e una gamba zoppa: caratteristiche che segnano profondamente la sua quotidianità, tra dolori fisici, prese in giro malevole e stupidi pregiudizi dettati dalla credenza popolare. Ma Micù è forte di spirito e questi ostacoli impara a saltarli col suo personalissimo passo, soprattutto quando l’arrivo di un diavolo impertinente di nome Farfariel lo costringe a mettersi sulle tracce di un libro misterioso che condizionerà radicalmente la sua vita e il suo modo di affrontarla.

È una vita tutt’altro che in discesa, quello di Micù, costretto a fare i conti con un periodo storico molto duro e un contesto socio-culturale molto arretrato e povero. Qui la distanza tra signorotti e braccianti è netta e apparentemente incolmabile, ben rappresentata da personaggi ben definiti e capaci di portare con sé una precisa visione dell’esistenza. Intorno a Micù si muove infatti una moltitudine di personaggi che incarnano valori molto diversi tra loro: due su tutti il papà di Micù, lavoratore infaticabile e a tratti violento che a testa china si rassegna al suo destino sottomesso e che in esso proietta anche il destino del figlio, e il nonno Tatà che, forte di un passato avventuroso in America (o per meglio dire, lamerica, di cui reca traccia la sua lingua misteriosa e affascinante), porta avanti e trasmette a Micù l’idea di un necessario e giusto  riscatto sociale.

Densissimo e ricco di memoria, Farfariel non è un libro immediato o leggero. La sua lettura – vuoi per la lingua impastata di dialetto, vuoi per le vicenda che affondano in un contesto sopito – mette il lettore di fronte a una sfida consistente e impegnativa ma che, se accolta e affrontata con determinazione, può offrire un bagaglio prezioso di spunti e nondimeno un certa ironia.

Un giorno di sole e di luna

Dalia è una farfalla che, a differenza di tante sue simili, non si limita a cantare, svolazzare e succhiare il nettare dai fiori ma si pone anche delle domande sulle cose e sulle creature che la circondano, senza accontentarsi di ciò che su di esse si dice in giro. Questo la rende forse scocciante agli occhi di chi, come un moscone qualunque, preferisce vivere nell’inerzia e nell’indifferenza, ma le consente di scoprire cose che le sue compagne non vedranno forse mai e di fare incontri che le cambieranno forse l’esistenza. Come quello con la balena Ba, apparentemente così diversa ed eppure così vicina a lei, nel momento in cui entrambe abbandonano remore e pregiudizi per provare a mettersi davvero l’una nei panni dell’altra. Complice un’eclissi solare, la farfalla e la balena vivono un istante di totale contaminazione – nel senso più proprio e positivo che questa parola reca con sé – che le renderà capaci di guardare oltre le proprio pinne o ali. Perché l’empatia e l’avvicinamento curioso all’altro è proprio questo che fanno: consentirci una trasformazione che cambia profondamente il nostro sguardo e da cui difficilmente vorremmo tornare indietro.

Stampato con caratteristiche di alta leggibilità (font Easyreading, spaziatura maggiore, testo non giustificato né sillabato), il racconto illustrato Un giorno di sole e di luna offre un’occasione di lettura accessibile anche a bambini con dislessia ma non per questo banale o piatta. Tutt’altro! le illustrazioni delicatissime firmate da Antonio Boffa e il testo dall’animo metaforico di Pino Pace dialogano in maniera straordinaria sul filo della poesia, stimolando interpretazioni molteplici, sedimentazioni profonde e domande importanti che tanto hanno da dire anche a lettori ormai cresciuti.

Uff!

Dalla noia possono nascere cose meravigliose: parola di Uff, il più noiosamente annoiato dei bambini del pianeta! Dedito alla noia fin da quando era piccino e capace di elevarla ad arte degna di un professionista, Uff decide un giorno di proclamarsi “Sua maestà, il re supremo della noia”. Ma un re non può esser tale senza un trono e un castello. Che vanno dunque costruiti, magari con del cartone. Senza uno stuolo di sudditi, servitori e guardie. Che vanno dunque selezionati, magari tra i pupazzi e gli oggetti di casa. E senza una vita di corte. Che va dunque organizzata, gestita e regolata, magari con un gran dispendio di risorse immaginative. Così accade che nella noiosissima vita di Uff qualcosa scatti e che – resti tra noi –un barlume di divertimento faccia il suo trionfante ingresso nel regno della noia!

Con Uff!, Ilaria Guarducci costruisce una storia leggera e iperbolica che omaggia col sorriso le potenzialità insite nella noia ma anche il diritto a esser così come si è, anche se questo vuol dire risultare un pochino grigi e poco brillanti: perché anche sotto una corazza apparentemente piatta e immobile può celarsi un mondo ricchissimo e capace di stupire. Lo fa con un personaggio incisivo anche e soprattutto per la maniera in cui viene raffigurato forte di scodella fulva, orecchie a sventola e sguardo eloquentissimo. L’autrice mostra in generale una capacità apprezzabilissima di “dire” con le sue figure, creando un divertente dialogo con il testo. Stampato ad alta leggibilità grazie alla scelta del font Easyreading e a un’impaginazione ariosa, questo si presta ad incuriosire anche i lettori più riluttanti grazie a una palpabile ironia di fondo e a un uso efficace (e non distraente) di grassetti, colori e diverse dimensioni.

Fortunatamente

Fortunatamente è un albo delizioso che narra le peripezie affrontate dal giovane e impavido Ned per partecipare alla festa a sorpresa a cui è stato invitato: peripezie tutt’altro che banali, se si considera che comprendono il pilotare un areo che esplode per aria, buttarsi con un paracadute bucato, finire su un covone di fieno da cui spunta un forcone, esplorare un tunnel sotterraneo popolato da tigri, solo per citarne alcune. Ma Ned mantiene costantemente saldi i suoi nervi e, aiutato da una buona e regolare dose di fortuna, riesce a raggiungere la festa il cui ospite d’onore è davvero speciale!

Perfettamente congegnato dall’autore americano Remy Charlip che alterna con perizia avvenimenti fortunati ed avvenimenti sfortunati in un susseguirsi di emozioni irresistibile, Fortunatamente gioca con gusto con l’uso del colore e del bianco e nero e si contraddistingue per un testo incisivo e di grande ritmo. Scritto più di cinquant’anni fa, Fortunatamente è stato portato in Italia da Orecchio acerbo nel 2013. È però alla squadra de Il treno, cooperativa romana specializzata nella proposta di attività e prodotti in LIS, che si deve l’adattamento di questo straordinario lavoro in modo da risultare davvero a misura di bambini sordi segnanti. Grazie al passaggio dalla carta al digitale, che consente l’introduzione a ogni pagina di brevi video che raccontano il testo in LIS, Fortunatamente raggiunge più facilmente un pubblico spesso trascurato dall’editoria per l’infanzia. Lo fa peraltro con un prodotto apprezzabilissimo soprattutto per la maniera rispettosa e armonica con cui l’elemento aggiuntivo – i video in LIS appunto – va a integrarsi sulla pagina originale.

Il prigioniero senza frontiere

Ci sono libri piccoli piccoli che sanno dire cose molto grandi. E sanno farlo, talvolta, senza usare nemmeno una parola. È il caso del silent book Il prigioniero senza frontiere, firmato dall’autore canadese Jacques Goldstyn e proposto in Italia dall’editore Picarona: un albo tanto leggero quanto denso che illumina silenziosamente su quanto rivoluzionario sia il potere della parola e su quanto sacrosanto sia il diritto di esercitarla.

Protagonista del libro è un signore intento a partecipare a una manifestazione di dissenso. Non sappiamo quasi nulla di lui e dell’idea che difende ma la sua espressione gentile e la compagnia di una bambina sorridente che lo tiene per mano durante la protesta ci fanno presumere fin da subito che le sue intenzioni non siano cattive o bellicose. Eppure la manifestazione si trasforma in uno scontro, la polizia si prodiga in manganellate e arresti e così l’uomo si ritrova  improvvisamente e incomprensibilmente  in carcere. I valori per cui stava manifestando continuano ad animare i suoi pensieri anche se la solitudine della cella tenderebbe a portargli via la speranza. Ma un giorno qualcosa accade: l’uomo riceve una lettera che gli riporta il sorriso. Deve essere una lettera pericolosa, pensa la guardia, se quello è l’effetto, e così la lettera finisce in briciole. Ma poi le lettere diventano due, tre, dieci, cento… e per disfarsene la guardia è costretto a bruciarle.  Il problema parrebbe risolto se non che le tracce di fumo, cenere e brandelli di carta arrivano più lontano del previsto e tanti sconosciuti – vecchi e bambini, esquimesi e cow boy, marinai e clown e chi più ne ha più ne metta – iniziano a scrivere lettere al prigioniero, regalandogli una via di fuga tanto straordinaria quanto inattesa.

Costruito intorno a una potentissima metafora – quella delle parole che possono divenire ali – Il prigioniero senza frontiere si ispira a un’iniziativa reale promossa ogni anno da Amnesty International che invita i cittadini che hanno a cuore il rispetto dei diritti umani a scrivere missive ad alcune persone incarcerate ingiustamente così da non farle sentire sole e anzi a favorire la loro liberazione.  Questa maratona di lettere – così si chiama l’iniziativa – costituisce una forma di resistenza civile e manifestazione non violenta del proprio dissenso, in cui le parole reclamano a gran voce il loro peso e il loro valore. Goldstyn, dal canto suo, è riuscito a trasformare tale iniziativa in una storia di grandissima forza e peraltro ampiamente accessibile grazie a un racconto che oltre a fare a meno del testo, si sviluppa per quadri ben costruiti che rendono i passaggi narrativi  chiari e fruibili anche in caso di scarsa dimestichezza con la decodifica delle immagini.

 

Il tesoro del labirinto incantato

Cinque amici e un tesoro da trovare: nel parco dove regolarmente si trovano a giocare il pettirosso Red, la tartaruga Gaia, la talpa Pino, il riccio Valentino e la gatta Lola, compare infatti un giorno labirinto misterioso. Come esplorarlo per esser certi di arrivare al tesoro che cela? La saggia Gaia suggerisce di muoversi tutti insieme così da unire forze e talenti e l’idea si rivela vincente. Il fine ingegno della tartaruga, l’olfatto sopraffino della talpa, la vista acuta del riccio e quella ampia del pettirosso, uniti alla memoria  ben allenata della gatta portano il gruppo dritto alla meta e alla scoperta di un tesoro che più sorprendente non potrebbe essere, non solo per i protagonisti ma anche per Tommy e Viola che la storia del labirinto la ascoltano dalla zia Susanna in una sorta di storia-cornice che racchiude quella principale. Tommy ha infatti una gamba rotta e questo gli impedisce di andare a divertirsi al parco ma l’ascolto della storia del labirinto lo porta a entusiasmarsi all’idea di un parco in cui tutti possano giocare insieme, proprio come Red, Gaia, Pino, Valentino e Lola. Sicché a sua volta si impegna per progettarne uno e fare in modo che possa diventare reale!

Perché di parchi così, in cui il gioco possa essere effettivamente condiviso al di là di eventuali limiti sperimentati da qualcuno o più semplicemente di esigenze ludiche differenti, non ce ne sono molti nel nostro paese. Ed è un peccato. Quello al gioco è infatti un diritto sacrosanto  e l’ambito della progettazione dei parchi è uno di quelli in cui un approccio inclusivo, che tenga cioè conto delle esigenze di tutti, compreso chi vede male o non vede affatto, chi non può correre o arrampicarsi e chi può farlo ma con cautela, non può che risultare arricchente per tutti. Proprio da questa idea nasce il progetto che ha dato vita a Il tesoro del labirinto incantato, frutto del lavoro coordinato di moltissime realtà sensibili al tema del diritto al gioco e costruito con l’esplicito intento di portarvi l’attenzione dei lettori. Il libro, dal canto suo, propone una storia semplice in cui la diversità è chiaramente incarnata da personaggi zoomorfi dalle caratteristiche ben marcate, tanto nella mancanza (la cecità di Pino o la difficoltà a muoversi di Gaia, per esempio) quanto nella ricchezza di risorse complementari: una storia che, nella sua piana e facile rappresentazione, mira  a rendere concretamente apprezzabile anche da lettori inesperti l’idea che la diversità, nel gioco come nella vita, possa e debba essere un’opportunità.

Ma l’impegno delle realtà che hanno dato vita al libro e al parco inclusivo a cui esso si ispira (parco che proprio grazie a parte dei proventi del libro potrà prendere vita), non si è limitato al confezionamento di una storia dal messaggio chiaro e incisivo ma si è apprezzabilmente allargato alla sua resa il più possibile accessibile. Il tesoro del labirinto incantato presenta infatti sulla stessa pagina il testo in quattro versioni differenti – una più articolata, in nero, minuscolo e con font ad alta leggibilità Easyreading, una più piana ed elementare, in nero, maiuscolo a grande carattere, una in Braille e una simboli WLS – un’attenzione allargata a diverse esigenze di lettura che davvero raramente si è trovata all’interno di un volume. Grazie a un QRcode inserito nella seconda pagina, inoltre, è possibile ascoltare il testo in formato audio. Le illustrazioni, infine, si presentano ben contrastate e propongono rappresentazioni a tutta pagina prive di eccessivi dettagli, così da risultare a loro volta massimamente fruibili.  Interessante e degno di nota, a proposito di questo lavoro a 360° sull’accessibilità, il fatto che il libro sia nato dalla cooperazione di realtà editoriali contraddistinte da competenze diverse come Camelozampa, Puntidivista o la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi. Perché anche quando si parla di lettura accessibile l’insegnamento  di Red, Gaia, Pino, Valentino e Lola è chiaro: fare rete e mettere insieme abilità, conoscenze e talenti diversi non può che portare a un vero tesoro!

Prima o poi

Un filo può raccontare tante cose: un percorso, degli incontri, delle emozioni, una crescita. La vita, insomma. Questo è, in particolare, quello che ha saputo vedere in un (apparentemente!) banalissimo  filo di cotone Isabella Christina Felline, autrice dell’interessante libro tattile Prima o poi. Protagonista del volume è infatti proprio un filo bianco che da groviglio iniziale, attraverso un cammino non privo di ostacoli e preoccupazioni, trova finalmente la sua strada e capisce come diventare qualcosa di speciale (cosa non lo riveleremo per amor di sorpresa!). Nelle sue incertezze e défaillance ma anche nel suo tirare fuori la grinta e conquistare la propria identità si legge tutta la  fragilità umana, soprattutto in un momento di crescita e passaggio, al punto che nonostante l’apparente semplicità il libro parrebbe adattissimo ad esser letto e apprezzato non solo da bambini ma anche e soprattutto da adolescenti e preadolescenti.

Sfruttando le potenzialità fisiche e figurate di un oggetto semplice ma versatile come un filo – la lunghezza, la districabilità, la sottigliezza, per esempio – l’autrice crea un personaggio simbolico che invita a cogliere l’unicità di ciascuno e il suo diritto a riconoscersi speciale. Elegante nella sua veste bianca e nera (pagina nera su cui poggiano il filo bianco e il riquadro del medesimo colore che riporta il testo tradizionale e in Braille), Prima o poi propone un’occasione di lettura tanto accessibile quanto suggestiva. Le illustrazioni interamente composte dal filo che cambia forma, posizione e aspetto facilitano il riconoscimento tattile senza per questo renderlo banale o privo di sfumature. Le peculiarità e il valore metaforico di un filo di volta in volta, per esempio, aggrovigliato, liscio, composto, sfibrato o sferruzzato rafforzano e amplificano infatti il senso di una storia che non dice ma suggerisce, non indica ma evoca.  Frasi fulminee e parole che come prismi moltiplicano le sfaccettature e le possibilità di significato del racconto, offrono infatti la chiave per agganciare il lettore e risuonargli dentro a lungo.

Supercarlo

Ci sono supereroi e supereroi. Supercarlo, per esempio, non è il tipo di supereroe che potremmo definire classico. Il suo costume è un po’ minimal – un paio di occhiali scuri – e i suoi superpoteri sottilissimi – olfatto, tatto, udito e gusto ultrasensibili. Eppure le sue imprese sono davvero straordinarie. Ne conosciamo qualcuna grazie al racconto di un suo amico, voce narrante della storia: quella volta in cui Supercarlo ha ritrovato la strada di casa grazie ai soli profumi della via, per esempio. O quelle altre in cui ha percepito suoni leggerissimi come le foglie cadute sul prato o il respiro del vicino assopito. L’ammirazione dell’amico per queste abilità di Supercarlo è davvero grande e sincera, e su di essa si regge l’intero racconto che assume da cima a fondo la forma di un ritratto affettuoso e ammirato. Fino all’ultima pagina che con un  semplice ribaltamento di ruoli e superpoteri restituisce a Carlo la sua normalità e al suo amico un pizzico di quotidiana straordinarietà.

Snello e dall’aspetto accattivante, Supercarlo è un racconto illustrato costruito in maniera molto efficace da Daniele Movarelli e Liuna Virardi. Pur poggiando su un’idea un po’ rischiosa e frequentemente ripresa all’interno della letteratura per ragazzi che guarda al tema della disabilità – ossia quella di riabilitare quest’ultima attraverso una certa idealizzazione di chi ne è colpito  – Supercarlo trova il modo di mantenere i piedi ben saldi a terra, concentrandosi su quella quotidianità – le avventure in città, le sfide dell’immaginazione, i pomeriggi di giochi e di storie, le merende golose – che rende ogni bambino a suo modo uguale a tutti gli altri pur nella sua unicità. Interessante e felicissima in questo senso la sinergia tra testi e immagini: la disabilità visiva di Carlo non viene mai infatti nominata ma si intuisce poco a poco grazie agli episodi narrati dall’autore e si palesa all’occhio attento del lettore grazie ad alcuni dettagli inseriti dall’illustratrice (uno su tutti il libro con illustrazioni puntinate). Il risultato è una lettura gradevole e tutt’altro che pedante, capace di raccontare il valore e l’importanza dell’amicizia come fertile incontro di ricchezze e debolezze. Sempre.

Il nonno bugiardo

Ne racconta di storie, il nonno di Andonis! E il nipote, comprensibilmente, si chiede di continuo se siano vere o meno. Racconta storie quando banalmente arriva in ritardo, nonno Marios, ma anche quando, più sentimentalmente, evoca il suo passato da giramondo. Attore di teatro esiliato durante la dittatura greca, il nonno ha vissuto sulla sua pelle grandi eventi come il ‘68 parigino, eventi che nei suoi racconti restano sospesi tra il reale e l’immaginario, sicché il decenne Andonis oscilla tra il fascino che emana un passato avventuroso  e il timore che qualcosa gli venga costantemente tenuto nascosto. Come tutto ciò che riguarda la nonna, per esempio, di cui nessuno in famiglia parla. Chi era? Dove è finita? Perché tutti tacciono quando viene citata? E così silenzi e  mistero alimentano una visione talvolta distorta e talvolta surreale della storia famigliare fino a quando, una serie di viaggi in cui il nonno porta con sé Andonis, gli consentono di ritrovare i pezzi mancanti a una visione d’insieme. Quei viaggi saranno l’occasione per conoscere direttamente alcune tracce di quel passato favoloso narrato dal nonno e per  rafforzare il legame che lo lega a quest’ultimo: un legame che si alimenta di esperienze sui generis, citazioni di classici, conversazioni da grandi e che rivela forse tutta la sua intensità proprio quando il nonno viene a mancare.

Scritto da una delle più affermate autrici greche, Il nonno bugiardo è un libro dall’andamento perlopiù placido (ma mai stagnante!) e capace di un’accelerata sul finale, quando i tasselli del puzzle famigliare vengono a ricomporsi. Animato da personaggi ben caratterizzati e da una capacità rara di intrecciare la Storia e le storie, il romanzo di Alki Zei invita il lettore a una lettura sorniona, resa più fruibile non solo da una stampa ad alta leggibilità nella versione cartacea ma anche dalla possibilità di optare per soluzioni variegate – ebook (in formato epub o mobikindle, 7.90 €), audiolibro (8.90 €) e una combinazione dei due (9.90 €) – che dimostrano ancora una volta la grande sensibilità dell’editore Camelozampa per la questione dell’accessibilità della lettura.

Il bambino con le scarpe rotte

Il protagonista di questa storia di nome fa Dario ma quasi nessuno dei suoi compagni lo chiama così. Per tutti è “il bambino con le scarpe rotte”: appellativo sprezzante che ne sottolinea la condizione di indigenza e ne ferisce profondamente i sentimenti. Dario però non reagisce alle prese in giro, tende a tenere un basso profilo e a incassare i colpi senza dare grandi soddisfazioni ai suoi tormentatori. Un giorno però Bob e la sua gang si avvicinano minacciosi e fanno per togliere la sedia su cui Dario è seduto e questi, in uno scatto di rabbia, spinge via con forza il compagno facendogli battere la testa. Spaventato dalla sua stessa reazione e dal dolore causato a Bob, Dario corre via finendo per rompere il suo unico paio di scarpe. Quella che pare una disgrazia, tuttavia, apre per il bambino delle possibilità nuove: Dario scopre infatti di poter correre molto veloce, da scalzo, e proprio una gara a piedi nudi gli offrirà la chance di riappacificarsi con Bob.  “Tutto si aggiusta”, dice con dolcezza la mamma di Dario, in una chiosa che non ha certo a che vedere con le sole scarpe.

Racconto di altri tempi, capace di portare a galla una piaga tutt’altro che scomparsa come la povertà, Il bambino con le scarpe rotte si presenta come un albo ad alta leggibilità, grazie all’impiego del font Easyreading e di una serie di caratteristiche tipografiche come la maggiore spaziatura tra le parole, le lettere e le righe o la sbandieratura a destra: tratti che lo rendono particolarmente fruibile anche in caso di dislessia. Da non sottovalutare, in questo senso, anche la scelta di proporre la storia in forma di albo: la combinazione di testi snelli e immagini protagoniste a tutta pagine costituisce, infatti, un incentivo significativo alla lettura da parte di bambini della scuola elementare – cui frequentemente si propongono solo racconti con poche immagini –  anche con difficoltà legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

 

Meno male che il tempo era bello

Che nessuno si azzardi più a dire che le biblioteche sono posti noiosi, polverosi e in cui non succede mai niente. L’incredibile vicenda della biblioteca Jacques Prévert, narrata abilmente da Florence Thinard, prova incontrovertibilmente il contrario. Ciò che accade è che un pomeriggio come un altro, durante un forte temporale, la biblioteca inizia a fluttuare come fosse una barca in mezzo al mare. Nessuna spiegazione plausibile, nessuna soluzione immediata: agli sventurati che si trovavano all’interno della biblioteca al momento del fattaccio non resta che rimboccarsi le maniche e fare fronte all’incredibile evento. E sì che la combriccola non potrebbe essere assortita in maniera più stravagante: insieme al personale – la solerte bibliotecaria Sarah, il direttore Patisson e la signora Perez addetta alle pulizie –  si trovano un utente fuori dagli schemi di nome Saïd e un’intera classe di scuola media accompagnata dal professor Daubigny.

Dopo i primi istanti di smarrimento, il gruppo si adatta alle avverse condizioni, trasformandosi in una ciurma a tutti gli effetti con tanto di mansioni specifiche, turni di guardia e insperato spirito da lupi di mare. Quando si è a bordo di una biblioteca fluttuante, tocca procurarsi il cibo, conservarlo e cucinarlo, raccogliere e immagazzinare l’acqua potabile, lavarsi, riposarsi, mantenere alti gli animi e, non ultimo, cercare di farsi notare da qualche potenziale mezzo di soccorso. Tutte piccole grandi imprese che la squadra riesce a portare a termine, in un crescendo di colpi di scena, imprevisti e svolte avventurose, grazie a un ammirevole spirito di gruppo, a una guida adulta intraprendente e mai scoraggiata, a un entusiasmo adolescenziale finalmente valorizzato a pieno, e ai preziosi spunti che i libri – da Robinson Crusoe ai manuali tecnici – sanno custodire e rivelare. Siamo pur sempre in una biblioteca!

Dopo un inizio calmo e pacato, che lascia al lettore il tempo di acclimatarsi nella Jacques Prévert e prendere confidenza con i visitatori di quel fatidico martedì 12 febbraio, il romanzo di Florence Thinard prende letteralmente il largo, portando con forza il lettore tra e sopra le mura di quell’insolita barca che dalla Francia raggiunge rocambolescamente le Azzorre. La molteplicità di personaggi coinvolti, i dialoghi serrati e spesso non attribuiti, le frasi non sempre brevi e talvolta ricche di coordinate non danno certo vita a una lettura banale ma la natura avvincente del racconto lo rende particolarmente appetibile anche a ragazzi che con le lettura non vanno proprio d’accordo, magari per difficoltà legate alla dislessia. A supporto di questi ultimi (ma in favore in realtà di tutti i lettori, dato il carattere universalmente amichevole dei tratti in questione) viene inoltre la scelta dell’editore di impiegare il font Easyreading e le principali caratteristiche di alta leggibilità per la stampa del volume ma anche di offrire la possibilità di scaricare il romanzo in formato mp3 così da immergervisi attraverso l’ascolto, esclusivo o affiancato  alla lettura.

Confini

Capita talvolta di imbattersi in libri così ricchi e folgoranti che dirne diventa cosa difficile. Difficile scegliere da dove partire, difficile trovare le parole aderenti alla meraviglia, difficile condensare una gran mole di spunti in poco spazio. Ecco, Confini è in tutto e per tutto uno di quei libri: un volume cioè su cui vale la pena attardarsi e lasciar sedimentare folgorazioni e lampi.

Di un’attualità purtroppo disarmante, il libro curato da Antonella Veracchi e Michela Tonelli percorre i diversi tipi di barriere che limitano o impediscono non solo gli spostamenti delle persone ma anche e soprattutto le loro relazioni. I confini, così come il libro illustra in maniera davvero incisiva, sono infatti geografici ma anche mentali, culturali e comunicativi. Così, sfogliando ed esplorando le pagine essenziali ma densissime di pensiero che compongono questo albo, ci si trova ad attraversa corsi d’acqua e catene montuose, distese desertiche e muri altissimi, barriere metalliche e labirinti di parole: linee “accoglienti o respingenti”, a seconda dello sguardo che vi si posa e dell’atteggiamento che ne nasce. “Apriamo i confini” è l’invito conclusivo, che accompagna una busta in cui si raccolgono le testimonianze di chi lunghi viaggi e duri superamenti di confini, negli anni, li ha sperimentati sulla sua pelle e a cui si possono aggiungere i racconti degli stessi lettori. Un invito schiettissimo, chiaro e netto – in pieno e voluto contrasto con il tono evocativo delle altre pagine – reso necessario da un tempo in cui dire a voce alta da che parte si sta si è fatto drammaticamente importante.

Ecco, già così, per la maniera fortissima in cui il tema dello sconfinamento viene trattato, Confini meriterebbe una certa attenzione. Ma ciò che lo rende davvero straordinario, in realtà, è la maniera in cui il libro è costruito, latrice a sua volta di un messaggio forse ancor più potente. Confini non è infatti un comune libro tattile – composto cioè di illustrazioni a collage materico esplorabili e decodificabili anche al tatto e proposto dall’editore anche in una versione arricchita dal Braille – ma è un libro tattile in cui le mani non servono solo per godere delle illustrazioni ma anche e soprattutto per tessere relazioni.  In che modo? Il libro è costruito per essere aperto in verticale e per essere letto in tandem, da due lettori posti l’uno davanti all’altro grazie a un testo e a delle immagini che si presentano specularmente su una pagina e su quella di fronte. Questo fa sì che tra i due lettori si debba necessariamente stabilire una connessione, quantomeno per capire chi legge cosa e con che ritmo. Si legge insieme? Si legge un pezzo ciascuno? Ciò che c’è scritto su una pagina è uguale a ciò che c’è scritto su quella del compagno? L’unico modo per trovare delle risposte è mettere in moto la lettura, buttarsi, sperimentare. E questo di per sé chiede un primo moto di avvicinamento, di empatia. Dopodiché la spinta vera viene dalle immagini e in particolare dalla loro forma e collocazione. Costruite sfruttando meccanismi insoliti e ingegnosi come il labirinto o il popup e poste sempre a cavallo tra le due pagine, queste portano infatti inevitabilmente le mani dei lettori ad approssimarsi, toccarsi, prendere le misure e financo intrecciarsi in quella che pare una danza solitaria che diventa poco a poco un passo a due. Così, senza precise indicazioni se non quella di affrontare il viaggio della lettura insieme a qualcun altro posto di fronte, il libro si anima e un vero e proprio sconfinamento si attua, restituendo al lettore il senso più autentico del volume che ha tra le mani. Perché sconfinare, letteralmente e metaforicamente, significa avere l’occasione di allargare il proprio orizzonte, di guardare oltre, di incontrare l’inatteso.

Chiedendo silenziosamente di essere agito, Confini dà avvio a una possibilità di incontro inattesa e capace di smuovere nel profondo. Si fa cioè vero motore di relazione, il che ne rivela una potenza davvero straordinaria. Imperdibile.

 

 

 

Ci si vede all’Obse

Non è un’estate facile quella che aspetta Annika. Non è un’estate facile né tantomeno prevedibile. Proprio quando la partenza per la casa di campagna si fa imminente, infatti, alla mamma di Annika si rompono le acque e un’inattesa corsa in ospedale si rende necessaria, tra lo spavento e la concitazione del momento. Annika ne è molto scossa e per un po’ cerca il più possibile di evitare casa sua, dove ancora il sangue della mamma lascia traccia e tutto sembra parlare di un evento che dovrebbe essere lieto e che invece è iniziato malissimo. Sono giorni  confusi, tormentati e solitari quelli che seguono la nascita del fratellino, giorni in cui la ragazzina alterna momenti in compagnia dell’affezionato nonno e momenti in compagnia di un improvvisato gruppo di amici conosciuto all’Obse, il parco dell’osservatorio astronomico di Stoccolma.

Sono amici strani – Kaja, Tubbe, Foglia, Biscotto e Finnico – amici che condividono i pomeriggi tra ozio, bravate e autentici atti vandalici in un tempo che scorre pigro e quasi sospeso. Il gioco più frequente è obbligo o verità, senza però la possibilità di scegliere la seconda opzione: perché la storia che ognuno di loro porta sulle spalle è a suo modo dolorosa e il tacito accordo su cui si regge il gruppo è che nessuno sappia nulla degli altri. Annika dal canto suo si adegua, mettendo a frutto la sua rinomata predisposizione a raccontare bugie e mostrando un lato di sé in cui lei stessa fatica a riconoscersi. Fino a quando le cose in ospedale prendono rapidamente una piega inaspettata, il gruppo trova abbastanza forza da concedere spazio a una condivisione più profonda e la verità si fa troppo pressante per essere tenuta dentro.

Disincantato e schietto, a tratti crudo e stridente, Ci si vede all’Obse offre un ritratto della preadolescenza tutt’altro che consueto. Con coraggio e autenticità fa emergere il lato più buio e doloroso dell’essere ragazzi, quando la vita ti mette davanti a situazioni difficili senza averti ancora fornito tutti gli strumenti per affrontarle. Che sia per una vita che rischia di spegnersi appena nata, una quotidianità povera, una situazione famigliare agiata ma con adulti ben poco presenti o un fatto che ti fa smettere di credere in Dio, poco importa: la sofferenza covata e irrisolta lascia strascichi evidenti e trova talvolta espressione  e sollievo in atti e vicinanze apparentemente inopportune ma forse vitali. Cilla Jackert questo lo rende molto bene, offrendo al lettore soprattutto di scuola media una lettura che scuote e anima, e forsanche turba, nel profondo. La consueta attenzione dell’editore Camelozampa a rendere la narrazione fruibile anche a giovani lettori con difficoltà legate a una disabilità o a un Disturbo Specifico dell’Apprendimento trova qui espressione non solo nell’apprezzabile stampa del volume ad alta leggibilità ma anche nella possibilità offerta di godere del racconto in formato audio mp3 (8,90 euro), audio ebook (9,90 euro) o ebook epub o mobikindle (7,90 euro)

Champion

La scrittura di Christophe Léon ha un potere magnetico che difficilmente lascia scampo. Incisiva, schietta e sempre puntualmente attenta al mondo che racconta, questa riesce a modellare narrazioni autentiche di cui il lettore sente forte e chiaro il valore: un fatto che avevamo largamente apprezzato qualche anno fa in Reato di Fuga (Sinnos, 2015) e che ora non manca di trovar conferma nel romanzo breve edito da Camelozampa e intitolato Champion. Anche qui c’è di mezzo un incidente d’auto (quantomeno potenziale): in piena campagna, su di una strada poco frequentata, si incrociano infatti Brandon, giovane promessa dell’atletica diretto a piedi allo stadio, e l’hummer che Luc, suo coetaneo, è intento a guidare senza permesso del padre e soprattutto senza patente. Cosa accada di preciso tra Brandon e l’hummer guidato da Luc non lo sappiamo fino alla fine e l’abilità dell’autore sta proprio nel fatto di mettere progressivamente a fuoco il momento dell’incontro e comporre intorno ad esso un complesso collage emotivo. Perché a margine (ma nemmeno troppo) di quell’incontro appaiono diversi altri personaggi, apparentemente senza legami con la vicenda principale e in realtà ed essa legati a doppio filo.

C’è Lauryanne, per esempio, che scorge Brandon lungo la strada e tenda di avvisarlo dell’arrivo del mezzo ma poi si disinteressa di quel che può essergli accaduto. C’è Abigail, la fidanzata di Brandon, che con lui aveva appuntamento allo stadio ma che interpreta il suo non presentarsi come un affronto personale. C’è Louella, la fidanzata di Luc, che vive in diretta la folle corsa sul pericoloso mezzo, tormentandosi a lungo sulle possibile conseguenze di quella bravata. E poi c’è il giovane David, ragazzo autistico intento a fare una consueta e lunga passeggiata proprio in prossimità del luogo incriminato e incapace di resistere alla tentazione di appropriarsi del paio di cuffie e del telefono che lì ritrova. Tutti in qualche modo sono indirettamente coinvolti nell’accaduto ma tengono la bocca chiusa per timore o per indifferenza. E sì che in quella curva con scarsa visibilità il giovane Brandon scompare, lasciando la polizia con un bel mistero da risolvere.

Che il giovane covasse pensieri tormentati lo scopriamo man mano, quando l’autore ci mette a parte della deprecabile proposta fattagli dall’allenatore e dal papà, di ricorrere all’aiuto del doping per poter ambire a importanti medaglie con minor tempo e fatica. Ecco allora che accanto al tema della responsabilità e della scelta, ricompare fortissimo anche il tema dello scontro generazionale e del significato più autentico che la parola adulto dovrebbe contenere. Il tutto attraverso un racconto polifonico in cui ogni capitolo porta uno sguardo e una voce nuova. Come in un cambio registico di inquadratura, ogni capitolo sembra cioè avviare una storia diversa mentre in realtà arricchisce quella già messa in piedi. L’effetto dal canto suo è insolito e vincente poiché porta nuova linfa narrativa a ogni ripartenza, fino al delinearsi complessivo del quadro in cui ogni filo trova il suo spazio e concorre a definire un unico disegno. Questa incalzante tensione narrativa, unita a una rara capacità di cogliere l’animo adolescente nel profondo fanno di Champion un romanzo estremamente coinvolgente. La sua brevità e la stampa ad alta leggibilità, inoltre, lo rendono particolarmente fruibile anche in caso di dislessia.

Cappuccetto Rosso

La storia di Cappuccetto Rosso è nota e arcinota. Qualunque bambino ha probabilmente avuto occasione di sentirla narrare da un genitore, un nonno o una maestra, sicché la fiaba originariamente scritta da Perrault abita con facilità l’immaginario comune e può dunque costituire una base amichevole anche per primi tentativi di lettura autonoma. Il fatto di conoscere le vicende narrate ma di potersi cimentare da solo nella loro (ri)scoperta, attraverso un confronto indipendente con il testo, permette al giovane lettore di mettersi alla prova con una sorta di rete di sicurezza alle spalle. Se poi il testo è stampato con caratteristiche di alta leggibilità (font specifico, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, sillabazione evitata, carta color crema) e mette in evidenza i concetti chiave grazie all’uso del colore, il sostegno alla lettura anche in caso di difficoltà legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento risulta ulteriormente rafforzato.

Queste le considerazioni che animano il Cappuccetto Rosso curato dalla pedagogista Raffaella Maggi per Raffaello editore. Le illustrazioni essenzialmente didascaliche firmate da Laura Penone, così come la struttura corredata da una serie di giochi ed esercizi finali, la rendono particolarmente adatta a un utilizzo scolastico più che squisitamente ricreativo, cosa peraltro perfettamente in linea con la specificità dell’editore che ne propone la pubblicazione. Interessanti e utili le indicazioni che quest’ultimo, per mano dell’autrice, fornisce a proposito dell’alta leggibilità caratteristica del volume e più in generale della collana in cui esso è inserito (Parole leggere), consultabili in forma scritta qui e in formato video qui.

Zucchero filato

Ci sono estati ed estati: quelle spensierate, che semplicemente attraversano un tempo sospeso tra la fine di un anno scolastico e l’inizio del successivo, e quelle decisive, che non solo segnano passaggi critici di crescita ma portano anche con sé cambiamenti inaspettati. Ecco, l’estate raccontata da Derk Visser in Zucchero filato rientra decisamente nel secondo tipo. Non solo la protagonista Ezra si accinge a iniziare la scuola superiore ma nella sua famiglia accade qualcosa di inatteso: il rientro dalla guerra del papà, infatti, non è affatto come nelle aspettative – gioioso e con la prospettiva di andare ad abitare in una casa più grande – bensì tutto il contrario – cupo e potenzialmente capace di distruggere l’unità famigliare.

Profondamente segnato dall’esperienza del fronte vissuta sulla propria pelle, il papà di Ezra appare il fantasma di sé stesso: paranoico, con la testa sempre altrove, depresso e inspiegabilmente aggressivo. Basta un petardo o la visione di una divisa per far scattare qualcosa di oscuro nella sua mente e fargli avere reazioni del tutto imprevedibili. E questo non è facile da accettare per nessuno, tantomeno per una ragazzina come Ezra alle prese con una fase delicatissima della vita come l’adolescenza.

Così Ezra si ritrova suo malgrado a farsi grande prima del previsto, prendendosi cura di quel papà così incapace di badare a sé stesso e alla sua famiglia. Lo fa anche quando questi passa il segno e aggredisce la mamma, costringendola a rifugiarsi presso una casa di accoglienza insieme a Zoe, la sorella minore di Ezra. Ma Ezra no. Lei gli rimane accanto fino a che è possibile, fino a quando non è costretta dai servizi sociali a raggiungere la mamma, nell’attesa che un periodo di cura porti un po’ di serenità tra le mura di casa.

Ostinata e risoluta, Ezra si mostra come un pendolo che oscilla tra il bisogno di sentirsi accudita e protetta e la necessità di tenere insieme la famiglia con tutte le sue forze, anche mostrandosi dura e sfrontata all’occorrenza. Accanto a lei, la sorellina di otto anni Zoe: la personificazione dell’ingenuità proiettata talvolta in un mondo adulto che non dovrebbe riguardarla. Come quando Ezra la porta con sé al centro commerciale per rubare un top da un negozio, scatenando una guerra di sfide e ricatti con una commessa meschina. Ma anche in quel caso è proprio Zoe, con il suo sguardo ancora inesperto sulle cose, a  mantenere Ezra aggrappata a una dimensione in cui il gioco, il sogno e la speranza possono ancora trovare spazio.

Il loro è un rapporto profondamente vitale, capace di offrire rifugio reciproco da una realtà – la famiglia che si disgrega, il quartiere disagiato, i guai quotidiani, il diventare grandi che entusiasma e spaventa- che talvolta si fa opprimente. Ecco allora che gli incalzanti dialoghi tra le due sorelle, intorno ai quali ruota l’intera narrazione, si fanno specchio efficace e ben riuscito di una realtà multisfaccettata e travolgente, anche per il lettore che si trova dall’altra parte della pagina. Con un racconto forte e schietto, Derk Visser propone una lettura tutt’altro che scontata e capace di lasciare un segno. La stampa ad alta leggibilità per cui opta l’editore Camelozampa – con font Easyreading e impaginatura più ariosa – offre dal canto suo un ultimo e significativo incentivo per il lettore, anche con difficoltà legate ai DSA, a immergersi in una storia che parte dai margini per mettere l’adolescenza al centro.

Terribile gatto!

Che Michael Rosen sia un autore straordinario, capace di dare un ritmo inconfondibile alle storie, non c’è bisogno di dirlo. Basta leggere uno qualsiasi dei suoi racconti per far risuonare questa sua rara capacità nelle orecchie prima e nella mente poi. E non si parla solo dei suoi lavori più famosi – A caccia dell’orso in primis – ma anche quelli meno noti, come il delizioso Terribile gatto!, di recente uscito per i tipi ad alta leggibilità di Sinnos (a cui peraltro dobbiamo anche L’ultimo lupo in città).

Asciutto e diretto come una favola tradizionale, Terribile gatto! è la storia di un gatto feroce che terrorizza tutti e cinquanta i topi che con lui dividono la casa. È feroce, Terribile gatto, ma è anche furbissimo e infatti mette in piedi uno stratagemma ingegnoso per mangiare uno ad uno tutti i topi che lo circondano, senza che questi nemmeno sospettino di lui. Ogni sera il gatto, che dichiara solennemente finita la guerra con i topi, concede a ognuno di loro un pezzetto di formaggio. Distratti dal gradito omaggio e interessati ad approfittarne senza correre alcun rischio, i topi arraffano ciò che spetta loro senza preoccuparsi di ciò che accade ai compagni. Fino a quando il numero dei topi, in forte diminuzione, inizia a creare qualche sospetto, a far nascere ipotesi di colpevolezza e a stimolare una reazione compatta. Sarà proprio il principio del utuo aiuto– ben espresso da quel “Ecco che faremo questa sera: ognuno di noi dovrà essere sicuro di avere un topo davanti ma anche di averne uno dietro “ – a smascherare lo spietato impostore e a sancire la vittoria dello spirito di comunità sull’egoismo.

Tra queste pagine si rintraccia dunque con forza ma senza forzature, l’importanza dell’idea di gruppo unito e di solidarietà ma anche il monito a non lasciare che un certo fumo negli occhi, spesso lanciato in forma di gradita gentilezza, possa distogliere l’attenzione di ognuno dalle mascalzonate che dietro quel fumo si celano talvolta. Monito quanto mai attuale, verrebbe da dire, e capace di arrivare al giovanissimo lettore, alle prime esperienze di lettura autonoma con o senza difficoltà legate alla dislessia, grazie a pagine godibilissime, rese tali da una narrazione incisiva, dalle illustrazioni spiritose e perfettamente calzanti di Martina Motzo e da un’impaginazione amichevole che rispetta in pieno i criteri dell’alta leggibilità.

Una piccola grande invenzione

La storia delle invenzioni è piena zeppa di aneddoti intriganti, corse al fotofinish per la registrazione dei brevetti, contese lunghe secoli per l’attribuzione di un’idea. Non fa eccezione l’invenzione della molletta da bucato, protagonista di un lungo percorso progettuale fatto di mutande al vento, primi clienti insoddisfatti, bislacche soluzioni in corso d’opera e migliorie che attraversano le generazioni. Geniale inventore di quel semplice ma indispensabile oggetto che non manca nella casa di nessuno di noi, è il toscanissimo signor Piolo, benché la storia ufficiale attribuisca i meriti allo statunitense David M. Smith. Contraddistinto da un estro originale e incentivato da una caotica famiglia, il signor Piolo si mette all’opera per trovare il modo di far asciugare i panni di casa al ritmo con cui i suoi numerosi figli riescono a sporcarli: la sua sarà un’impresa poco eroica ma a dir poco rivoluzionaria che val la pena conoscere e ricordare, ancora oggi, ogni volta che un calzino resta saldamente appeso a uno stendibiancheria!

Raccontato in maniera snella e brillante, capace di accendere piccole scintille di curiosità e qualche sorriso, la storia del signor piolo e della sua Piccola grande invenzione è proposta da Sinnos nella deliziosa collana leggimi!, contraddistinta da tutte le principali caratteristiche di alta leggibilità (font specifico per dislessia leggimi, sbandieratura a destra, carta opaca, spaziatura maggiore). Corredata inoltre dalle frizzanti illustrazioni di Federico Appel, che non solo alleggeriscono la lettura, alternandosi o accompagnandosi frequentemente al testo, ma  ne caratterizzano fortemente lo spirito leggero e brioso, Una piccola grande invenzione ha il merito di coniugare storia, divulgazione scientifica e narrazione in un mix piacevole e coinvolgente.

Orsetta Mirtilla

Se c’è una cosa che non manca a Mirtilla quella è la curiosità. Così, durante una noiosa giornata invernale, basta l’idea che un paio di occhiali della fantasia possa nascondersi in casa per spingere l’orsetta a perlustrare ogni stanza fino a perdersi tra le forme dei monti che spuntano dalla finestra e inventare, tra di essi, avventure straordinarie. Questo accade nella prima storia che compone il volume ad alta leggibilità Orsetta Mirtilla (intitolato Gli occhiali della fantasia), seguita a ruota dalla seconda (intitolata In tanti è meglio!) in cui l’intraprendenza e l’apertura al nuovo che contraddistingue l’orsetta si manifesta nel viaggio alla ricerca di amici che questa compie, sfidando paure e intemperie. Sarà una ricerca pienamente ripagata, la sua, grazie a un felice incontro capace non solo di sfatare credenze e pregiudizi a anche di costruire nuove relazioni al profumo di the e torte di mele.

Scritta in maniera lineare e pulita da Isabella Paglia, con una certa felice attenzione anche alla cura sonora del racconto, Orsetta mirtilla si fa apprezzare anche per le illustrazioni deliziose firmate da Laura Deo.

 

LA COLLANA TANDEM

Orsetta Mirtilla fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

L’orto della scuola

Permettere ai bambini di riappropriarsi di un rapporto sano e intenso con la natura, per esempio attraverso la cura di un orto di classe, è una pratica utile e quanto mai necessaria di questi tempi. Così anche la maestra di Luca propone ai suoi bambini di coltivare alcuni ortaggi durante l’anno. Le patate tanto per cominciare.

Nella prima storia che compone il volume L’orto della scuola (intitolato Patatine gialle fritte) la classe di Luca si dedica infatti con passione alla coltivazione di questo tubero che richiede pazienza e impegno. Saranno mesi lunghi quelli che si riveleranno necessari alla crescita delle patate, rendendo ancor più gustoso il momento in cui la cuoca della scuola potrò finalmente friggerle. Piselli e insalata sono invece i protagonisti della seconda storia (intitolata Il furto di insalata). Coltivati da Luca e dai suoi compagni con l’aiuto della maestra e dell’esperto contadino Osvaldo, questi spariscono da un giorno all’altro misteriosamente. A nulla varranno le indagini messe in campo e i sospetti verificati. La verità verrà comunque a galla grazie a un atto di coraggio e onestà del colpevole: qualità che val la pena coltivare, quanto e ben più degli ortaggi.

Di impianto un po’ più didascalico rispetto ad altri volumi della serie, L’orto della scuola risulta più dinamico e scorrevole nella sue seconda parte, grazie a una struttura narrativa più intrigante.

 

LA COLLANA TANDEM

L’orto della scuola fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Teo e Leo

Teo e Leo sono fratelli, gemelli per la precisione. Si assomigliano molto (ma non del tutto!) e vivono questa loro affinità a tratti con favore e a tratti con avversione. Nella prima storia che li vede protagonisti (Gemelli quasi uguali), per esempio, i due si divertono al parco giochi in modi non convenzionali che avranno conseguenze un pochino dolorose, a suon di bernoccoli e denti dondolanti, ma che offriranno loro l’inattesa occasione di distinguersi l’uno dall’altro. Nella seconda storia (Voglio la febbre!), invece, i due si trovano forzatamente separati poiché Leo si ammala e Teo no, il primo resta quindi a casa mentre al secondo tocca andare a scuola. Invidiosi l’uno dell’altro e desiderosi di godere dei privilegi altrui, i due gemelli si inventano fantasiosi stratagemmi fino a scoprire che ciò che rende speciale lo stare a casa o a scuola dipende in gran parte da chi si ha accanto.

Vivaci e scanzonati Teo e Leo sono due personaggi divertenti, resi particolarmente simpatici da un approccio sorridente alla quotidianità delineato dall’autrice Sara Stangherlin e dal tratto fumettistico dell’illustratore Fabio Santomauro.

 

LA COLLANA TANDEM

Teo e Leo fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Peter Pan

Novità tattile nata in casa L’albero della Speranza, Peter pan intende offrire anche ai lettori con una disabilità visiva un assaggio delle vicende fantastiche elaborate da Barrie. Nelle pagine rilegate a spirale che compongono il volume si condensano infatti le avventure di Wendy e dei suoi fratellini, condotti da Peter e da Trilly sull’Isola che non c’è e resi partecipi del celebre scontro con Capitan Uncino. Ci sono dentro le pagine dell’albo il volo notturno, l’esplorazione della Laguna delle Sirene, dell’Accampamento indiano e della Rocca del teschio, il rapimento di Trilly, il duello con le spade e l’incontro con il Coccodrillo: un concentrato di avventura che sta proprio un po’ stretto in un numero così contenuto di pagine e che si presta  più a soddisfare la curiosità e la fantasia di chi già forse conosce la storia dell’eterno bambino che non quella di chi ne è del tutto digiuno.

Peter pan  fa parte della collana Il tocco magico edita dalla casa editrice eporediese, specializzata proprio in volumi tattili. Sia i testi e sia le illustrazioni sono firmati da Anna De Stefano, già curatrice dei precedenti titoli della collana (tra cui Il principe e Pinocchio) che condividono con quest’ultimo impostazione e cifra stilistica. Ritroviamo anche qui infatti un racconto molto asciutto, attento principalmente a sintetizzare gli avvenimenti e ad anticipare ciò che le dita scopriranno nella pagina accanto, e affiancato da illustrazioni di stampo figurativo, in cui gli umani  sono sempre in primo piano, rappresentati nella loro interezza e in maniera piuttosto dettagliata. La ricerca e l’invenzione – caratteristiche importanti di un ambito editoriale quale quello tattile – si concentrano qui dunque su altri aspetti, quali per esempio la scelta di materiali adatti a rappresentare i singoli dettagli (come la carta sottilissima da imballaggio impiegata per la nave fantasma del finale) o la cura per i particolari (come la catenella mobile alla caviglia di Trilly liberata).

Merlo e i colori – Merlo e la merenda – Merlo e le emozioni – Merlo e gli opposti

Sperimentare, tracciare nuove strade, tastare percorsi inusitati: al gusto per la ricerca continua, la squadra di Sinnos ci ha abituati da tempo, basti pensare all’instancabile lavoro che costantemente ha condotto e conduce sull’alta leggibilità in tutte le sue forme e applicata alle più variegate proposte editoriali. E proprio in quest’ottica di sperimentazione e continuo stuzzicamento della curiosità del lettore con un’attenzione speciale all’accessibilità, vanno due delle novità più recenti e singolari dell’editore romano: Merlo e i colori e Merlo e la merenda. Qui, grazie al coinvolgimento di due bravi autori – Gloria Francella e Giulio Fabroni – ciò che viene offerto ai bambini è un libro insolito, nell’uso e nel formato, un libro a carte sciolte da leggere e da ricomporre come un puzzle. Un libro-gioco, insomma.

Ognuno dei due titoli presenta una storia semplice, suddivisa non in comuni pagine ma in carte che riportano su un lato un frammento narrativo (puntualmente numerato per evidenziare la successione) e sull’altro un pezzetto di illustrazione. Messe insieme le carte consentono di ricostruire il racconto e l’immagine ad esso associata: immagine che risulta “in divenire”, che segue cioè i diversi passaggi della narrazione in Merlo e i colori e che appare invece statica, prediligendo cioè la rappresentazione di un singolo momento della storia (quello conclusivo) in Merlo e la merenda. Il primo vede il protagonista – Merlo appunto – chiedere l’aiuto dei suoi amici perché stufo di vedersi così nero. Grazie a una sfilza di compagni generosi – dal gatto la coniglio, dal leone all’uccellino  fino all’insospettabile coccodrillo – il pennuto mette insieme un bouquet multicolore con cui ravviva felicemente la sua coda. Anche nel titolo gli amici hanno un ruolo chiave: qui di mezzo c’è una bella fetta di anguria, trovata da Merlo e apprezzata dalla più variegata combriccola in cui accanto alla gallina e al suo pulcino ghiotti di semi si accomodano topi, conigli e volpi, ma anche api, ragni e coccinelle, a cui si accodano coi loro ritmi gufi, tartarughe e lumachine.

Le storie scritte da Gloria Francella, già apprezzata autrice di Pino ha perso le parole,  sono dunque molto lineari e a misura di piccolissimo lettore. Già apprezzabili da bambini di due anni e mezzo o tre, queste non lasciano tuttavia indifferenti anche lettori più grandi, magari alle prese con le prime esperienze di lettura autonoma, grazie alla font amichevole scelto da Sinnos (LEGGIMIPRIMA, impiegata da Sinnos nelle suoi volumi ad alta leggibilità per lettori più insesperti) e al meccanismo ludico che rinnova, amplifica e arricchisce il piacere narrativo.

Non solo. Proprio il fatto che si tratti di un libro-gioco, che al gusto per la storia unisce quello per la ricomposizione secondo il modello del puzzle, si deve un altro aspetto interessante di queste due recenti proposte. Il formato in cui si presentano Merlo e i colori e Merlo e la merenda – 12 carte sciolte, cartonate e robuste – lo rende infatti più maneggevole anche da parte di bambini che faticano a interagire con pagine sottili e standard. Inoltre, la peculiare libertà d’uso offerta dal prodotto, ben espressa dalla dicitura riportata sul retro della confezione (“Un libro fatto di carte con un’immagine da comporre e una storia da raccontare”), fa sì che il lettore possa fare uso o meno delle parole scritte, che possa scegliere cioè tra il leggere il pezzetto di storia e collocare la figura, collocare la figura e raccontare da sé la storia, collocare la figura e godersi in silenzio il valore estetico e narrativo del quadro, insomma che possa con egual libertà e dignità approcciarsi alla narrazione nella maniera che gli è più congeniale e che lo solletica maggiormente. Il che non è affatto scontato perché, nel sottolineare implicitamente come non ci sia un giusto e uno sbagliato, un meglio e un peggio, e nel valorizzare l’aspetto del piacere e del divertimento connesso all’esperienza di lettura, si contribuisce a valorizzare il lettore, anche con esigenze speciali, nella sua singolare individualità.

Nel 2019 la collana che vede Merlo protagonista si è arricchita di due nuovi volumi che condividono con i precedenti caratteristiche compositive e stilistiche ma anche qualità in termini di accessibilità. Si tratta, in particolare, di  Merlo e gli opposti e Merlo e le emozioni, il cui focus è chiaramente anticipato dai rispettivi titoli. Anche in questo caso, un libro (Merlo e gli opposti) prevede la ricomposizione di un’immagine complessiva statica in cui il protagonista compare su una sola tesserina, mentre l’altro (Merlo e le emozioni) prevede la ricomposizione di un’immagine complessiva dinamica in cui Merlo viene ripreso nelle sue diverse azioni. Più semplice il primo, più stravagante il secondo, entrambi riescono nel non banale intento di parlare davvero, nelle figure e nelle parole, ad altezza di bambino.

Odio i mocciolosi

Non si può negare che Mirello sia un tipo schietto. Prima ancora che il libro a lui dedicato decolli, il mostro ci tiene a mettere le cose in chiaro. “Mi chiamo Mirello e odio i mocciolosi”, esordisce spuntando deciso da pagina uno. Patti chiari, amicizia lunga. Se siete mocciolosi fatevene una ragione: con il mostro Mirello non avrete vita facile. Oppure sarà il contrario? In effetti, nonostante le minacciose premesse, il mostro Marcello si rivela un concentrato di goffaggine e una garanzia di flop del terrore. Incapace di rivestire qualsivoglia ruolo spaventevole, fa cilecca come Mostro della paura paurosa di sotto-il-letto, come Mostro della paura paurosa di dentro-l’armadio e persino come Mostro della paura paurosa di dietro-le-tende. Un fiasco totale, insomma, una caporetto della paura. Ma se è vero che la capacità di reinventarsi è qualità preziosa per gli umani, non vi è ragione per cui non dovrebbe esserlo anche per i mostri. Ecco allora che un’inaspettata carriera si prospetta davanti a Marcello. Che, certo, continuerà a odiare i mocciolosi, ma che almeno per una di loro potrà fare un’eccezione!

Odio i mocciolosi è un albo orchestrato in maniera davvero accurata ed efficace: capace di fare di parole e immagini un cocktail equilibrato, appare ideale per una lettura ad alta voce. Tanta parte in questo ha l’abilità dell’autrice Chiara Lorenzoni nello scegliere  espressioni gustose, nel dare una divertente veste quotidiana a un punto di vista fantastico, e nel dosare con perizia  racconto serrato e indugio su dettagli succulenti. Non da meno sono le illustrazioni di Antongionata Ferrari, ironicamente garbate, che sottolineano il carattere divertente e divertito della narrazione, che alternano felicemente riprese ampie e sequenze più frammentate e che fanno delle sfumature di colore un’intrigante e silenziosa chiave per interpretare le emozioni del protagonista.

Da ultimo,  anche la cura grafica gioca un ruolo interessante nella dinamicità e nella piacevolezza di Odio i mocciolosi. L’impiego di un font ad alta leggibilità come Easyreading, in particolare, risulta apprezzabile non tanto (o non solo) in favore di una lettura autonoma a misura di bambino dislessico – essendo probabilmente più apprezzabile, il volume, da parte di un pubblico in età prescolare – quanto in favore di un’idea di libro che sia da subito accogliente, anche quando letto al bambino da un adulto. Il bambino futuro lettore, anche con Bisogni Specifici dell’Apprendimento, costruisce infatti pian piano il suo rapporto con la parola scritta e il fatto di incontrarla da sempre in una forma più amichevole, non può che contribuire a rendere meno avversa tale costruzione.

Il cappello del mago

Convincere i bambini ad andare a letto a volte richiede abilità prossime alla magia. Diverso è il discorso, se la magia sono i bambini stessi a compierla! Se come Arturo, infatti, il piccolo di casa  è un giovane prestigiatore allora il rito della nanna si compie quasi da sé, con tanto di gran finale a sorpresa. Basta in quel caso un cappello portentoso da cui tirare fuori non colombe, non conigli e non mazzi di carte ma cuscini, coperte e libri: tutto il necessario per una buonanotte perfetta!

Costruito con efficace semplicità sul meccanismo della sorpresa – quella che si genera nello scarto tra i prodigi più consueti e quelli realmente messi in atto dal Mago Arturo – il libro tattile Il cappello del mago propone una lettura piacevole e piuttosto abbordabile anche in caso di disabilità visiva.

Particolarmente immediate  e riconoscibili risultano le illustrazioni a collage materico dedicate al cappello del protagonista e ad alcuni degli oggetti che questi fa comparire come la coperta e il cuscino. A queste si affiancano poi delle illustrazioni in bianco e nero a disegno puntinato – in cui cioè il contorno della figura risulta leggermente in rilievo grazie a un sistema di puntini percepibili al tatto – che nonostante la semplicità delle figure appaiono più complesse da decodificare senza l’uso della vista.

Il libro presenta una rilegatura a spirale che consente un’agevole esplorazione al tatto di tutte le componenti della pagina e un’impostazione grafica molto basica che non appaga forse molto l’occhio ma che risulta funzionale alla lettura tramite le dita. Su di uno sfondo bianco poco animato dalla presenza delle figure, dalla funzione perlopiù descrittiva, testo e immagini si trovano sulla stessa facciata ma sono disposti in modo tale da non confondere il lettore. Un’ultima notazione la merita forse il prezzo – 15 euro – che non solo è molto contenuto per un libro tattile ma è anche identico a quello della versione standard del libro priva di attenzioni specifiche per un pubblico con disabilità.

 

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Una per i Murphy

La scrittura di Lynda Mullaly Hunt è magnetica, lo avevamo scoperto leggendo Un pesce sull’albero (non a caso vincitore di numerosi riconoscimenti in tutto il mondo tra cui il Premio Letteratura per Ragazzi di Cento). Ecco perché la pubblicazione, sempre per i tipi lungimiranti di Uovonero, di un nuovo romanzo dell’autrice americana (anche se in realtà sarebbe il suo primo) è una notizia che manda in brodo di giuggiole. Ed ecco perché, anche dopo la lettura, in quel brodo si resta a mollo!

Una per i Murphy – questo è il titolo del libro – è infatti un romanzo di grande forza, che mette a  nudo l’importanza di un’educazione sentimentale di cui la famiglia è prima custode. Lo fa attraverso la vicenda di Carley Connors, ragazza tenace e fragilissima, vissuta per anni insieme a una madre per nulla in grado di occuparsene, scampata alle intenzioni violente del patrigno e finita in affido all’affettuosa famiglia dei Murphy. E qui, in particolare, inizia il racconto che riprende Carley nei mesi in cui cerca di trovare il suo nuovo posto e il suo nuovo ruolo in una dinamica famigliare che le è del tutto sconosciuta, in cui impara a costruire relazioni solide basate sulla fiducia e l’apprezzamento (reciproco ma anche di sé stessi), in cui viene a patti con il suo passato e con il suo presente e in cui sperimenta in prima persona che consentire agli altri di lasciarsi amare e accudire è prima di tutto questione di allenamento. Quello di Carley è un percorso in salita ma con una pendenza che man mano cala, fino a quel finale tutt’altro che atteso con cui si apre per lei una fase di consapevolezza nuova in cui riuscire a definirsi non solo in base a “quello che la rende diversa da tutti gli altri”.

In mezzo c’è una trama fitta di relazioni in costruzione, autentiche e tangibili, prima fra tutte quella con la signora Murphy solo apparentemente distante da Carley e in realtà capace di un avvicinamento paziente e di un abbraccio rispettoso dei tempi della ragazza. E poi quella con il papà e fratelli Murphy, ciascuno animato da sentimenti diversi e contrastanti nei confronti della ragazza; quella con la compagna Toni, amica non scontata e costantemente in divenire; quella con la madre biologica, in un tira e molla emotivo che richiede pazienza; e non ultima quella con la Carley reale, così diversa dalla ragazzata corazzata e resa inavvicinabile da un’infanzia anaffettiva. Proprio quelle relazioni, tenute insieme da un personaggio dinamitico e pungente come quello della protagonista,  rende il romanzo palpitante e vero, capace di smuovere il lettore nel profondo e di farlo interrogare sul valore dei sentimenti, al li là della specifica questione dell’affido. E l’autrice è davvero brava in questo perché attraverso una scrittura in movimento, che si plasma proprio sulla crescita di Carley, riesce a passare dalle iniziale frasi criptiche e tenute insieme da fili fragilissimi, espressione di un’esistenza tormentata e di un’emotività asfittica, a un racconto di ampio respiro in cui la consapevolezza di sé e della propria interiorità consente al pensiero di  dilatarsi.

Potente e profondo, Una per i Murphy è un invito caldissimo al lettore a trovarsi un posto comodo e a prendersi qualche ora per sé (per sicurezza munito di una buona scorta di fazzoletti), per gustarsi parole pesate e storie che realmente lasciano un segno. Grazie dunque a Uovonero non solo per aver portato in Italia questo romanzo, ma anche per averlo stampato ad alta leggibilità così da agevolare l’accesso anche a lettori meno forti  o con maggiori difficoltà di lettura, a una narrazione che letteralmente  travolge.

Dracula

Prosegue la preziosa esperienza di Parimenti, la collana di libri in simboli pensata per consentire l’accesso di giovani-adulti con difficoltà comunicative e cognitive ad alcuni grandi classici della letteratura internazionale. Dopo la felice pubblicazione de Il diario di Anna Frank, il 2018 ha portato infatti un secondo apprezzabile titolo, sempre edito da la meridiana e realizzato grazie alla collaborazione tra l’editore pugliese, il Centro Documentazione Handicap di Bologna e l’Associazione Arca Comunità “L’arcobaleno”. Si tratta in particolare dell’adattamento del capolavoro di Bram Stoker, Dracula.

Costruito, nel rispetto dell’originale, come un puzzle di diari e testimonianze di diversi personaggi, anche il Dracula di Parimenti racconta la storia del celebre vampiro della Transilvania a partire dal primo incontro tra questi e l’avvocato Jonathan Harker, chiamato a gestire per lui una trattazione immobiliare a Londra. Fin da questo primo incontro la stranezza e la pericolosità del conte, noto a tutti per la sua sete di sangue, si rendono manifeste contribuendo a rendere gli avvenimenti successivi – dall’arrivo a Londra della misteriosa nave carica di 50 casse di legno, un cane nero e un capitano morto al timone, agli inquietanti comportamenti notturni della giovane Lucy Westenra , dalla brutta fine che toccherà a quest’ultima alla caccia disperata a Dracula condotta senza risparmiarsi da  Harker, sua moglie Mina e gli amici Seward e Van Helsing – un concentrato di avventure da brivido. Nonostante le vicende, così come le descrizioni, siano infatti significativamente ridotte e semplificate, l’atmosfera horror e il crescendo di tensione che hanno consacrato il romanzo di Stoker vengono in qualche modo restituite al lettore.

Il testo, scritto in simboli WLS secondo il modello inbook, si presenta generalmente lineare ma non rinuncia a costruzioni sintattiche di una certa complessità, con più di una coordinata o subordinata. Tutti gli elementi della frase – compresi dunque pronomi, preposizioni e articoli – risultano inoltre simbolizzati. Da rimarcare infine l’attenzione mostrata dai curatori della collana a offrire esperienze di lettura il più possibile variegate e coerenti, proponendo di volta in volta illustrazioni di segno diverso e adeguate al testo trattato. Così, qui, le immagini curate da Melissa Ottonello Ferrati sottolineano il tono cupo della narrazione con uno stile contraddistinto da bianco e nero, ombre  e qualche tocco rosso sangue.

Puzzetta e piccolo pirata

Chi da piccolo ha avuto un fratello o una sorella con cui condividere la cameretta, sa che il momento di dormire può offrire occasioni ghiottissime per far viaggiare la fantasia in piacevole compagnia. Se costruite e vissute insieme, le avventure fantastiche hanno infatti un sapore diverso, più ricco e travolgente, nutrito di immaginari che si intrecciano e si mescolano. Così è anche per Puzzetta e Piccolo pirata – nomi di battaglia per esplorazioni al chiaro di luna – che ogni sera tenendosi per mano vengono catapultati in situazioni bizzarre, talvolta paurose e talvolta buffe, da cui sempre riescono a uscire facendosi coraggio a vicenda.

Accade con l’incontro con l’orso bianco, apparentemente ferocissimo ma in realtà mansueto e persino delizioso; con la visita a casa della nonna mancata e rimpiazzata da una nonna farlocca a cui rubare fette di pizza; e con le performances di canto di fronte al grande pubblico interrotte da presunti rumori intestinali. A turno, è uno dei due bambini a modellare sui suoi gusti e sogni il set dell’avventura, raggiunta poi magicamente grazie all’intervento di misteriosi folletti. Sempre a turno, l’altro bambino fa dal canto suo da spalla, da accompagnatore e da completatore della fantasia. Nei sogni a occhi aperti dei due fratelli si mescolano così con attenta adesione al mondo infantile, sogno e realtà, ricordi e desideri, ricerca del brivido e bisogno di rassicurazione, individualità e legami forti, in un rito notturno potenzialmente senza fine e denso di significato.

Puzzetta e piccolo pirata è un racconto che strizza l’occhio al giovane lettore e ne sostiene la lettura – anche laddove questa sia poco abituale o resa difficoltosa da disturbi specifici dell’apprendimento – grazie a una struttura che assembla episodi  ben definiti e in parte autoconclusivi e a un aspetto grafico amichevole che sfrutta criteri di alta leggibilità. Più lento e distaccato nelle parti introduttive, più snello e sorridente nelle parti dialogate, il racconto di Julie Bonnie si accompagna alla illustrazioni di Charles Dutertre (già apprezzatissimo in coppia con Alex Cousseu nella creazione delle avventure di Lucilla Scintilla) che con pochissimi mirati tratti sanno cogliere ironicamente ma con grande rispetto quella sospensione tra reale e fantastico che è caratteristica del libro e dell’infanzia tutta.

Mio nonno è un koala

Ha un’abitudine strana, il nonno di Elia: starsene tutto il giorno sull’eucalipto del giardino con le gambe a penzoloni. È una forma di pensosa malinconia, la sua, che affonda le radici in un tempo lontano, quando ancora la sua terra era abitata dai koala. Incalzato dal nipote, l’anziano racconta la storia di una preziosa foresta di eucalipti vissuta con cura e rispetto dal popolo dei koala ma improvvisamente  distrutta da mostri tutti cingoli, denti e metallo: una distruzione che porta il koala amico del nonno a fuggire dapprima e a tornare poi nella speranza di rivedere comparire il suo adorato eucalipto. Ma poiché gli alberi richiedono tempo per ricrescere, una volta estirpati, quella comparsa si fa attendere e del koala a un certo punto non si sa più nulla. Da qui la forte motivazione del nonno a ripiantare un albero tanto caro al koala e a dedicargli tanto tempo nella speranza che l’animale torni a farsi vivo. Il suo è una sorta di tributo, di offerta di scuse a nome dell’intera umanità capace di azioni distruttive e scriteriate verso madre natura. Ma attendere a volte non basta ed è così che, sollecitato da un moto di intraprendenza di Elia, la pensosa malinconia del nonno si trasforma in azione, con il sottinteso ma chiarissimo invito al lettore a fare altrettanto nel suo piccolo.

“Perché aspettare?” – come dice l’anziano – è in definitiva un buon interrogativo che ci può infatti riguardare tutti e che esprime bene l’importanza di una vita in cui il rispetto per gli altri e la natura passi prima di tutto per l’esempio attivo.

Mio nonno è un koala è un albo dallo spiccato impegno ecologista, scritto e illustrato con delicatezza da Francesca Pirrone (autrice tra l’altro anche del bel libro tattile Foglie) e pubblicato da Terra Nuova con caratteristiche di alta leggibilità. L’impaginazione più ariosa e il carattere Opendyslexic, scelte dall’editore,  donano dal canto loro un valore aggiunto importante al testo, rendendolo più amichevole e fruibile anche in caso di disturbi specifici dell’apprendimento.

Mostro fai da te

Non è facile avere dieci anni, essere piccolo e magrolino e per di più andare bene a scuola. Il destino da zimbello, in quel caso, è infatti dietro l’angolo. Lo sa bene Paul, soprannominato con disprezzo Pulce e preso di mira dal bullo Jo Pappa, molto più grande e molto meno gentile di lui, più forte con le mani che con i numeri e le parole. Proprio per questo suo subire insistenti angherie, Paul desidera continuamente e ardentemente farsi un amico, così da sentirsi meno solo e in pericolo. Anche Jo, dal canto suo, ha un desiderio ed è quello di non venire trattato da stupido e non venire, come invece accade, maltrattato a casa. Le storie e i desideri dei due ragazzi, apparentemente così distanti, trovano un giorno una strada comune. Nel tentativo di costruirsi un mostro tutto suo, che possa accompagnarlo e difenderlo, Paul si caccia infatti in un guaio più grosso di lui in cui trovano posto adulti senza scrupoli e altri generosi, creature gommose al gusto fragola, incidenti scolastici da espulsione e prove di coraggio da veri eroi: tutte cose a cui il bambino è tutt’altro che avvezzo e che potranno sfociare in un lieto fine solo grazie alla più impensata delle alleanze, quella con Jo appunto!

Forte di una trama avventurosa, di uno stile snello e di una stampa ad alta leggibilità, Mostro fai da te si presta a catturare l’attenzione anche di bambini poco avvezzi alla lettura perché ostacolati da un disturbo specifico dell’apprendimento. Il connubio tra vicende avvincenti, personaggi memorabili, narrazione ironica e impostazione grafica amichevole – dettata soprattutto da  un font specifico denominato Junction, una spaziatura maggiore tra le lettere, le parole e le righe, una sbandieratura a destra e un uso di carta color crema – costituisce infatti un invito ghiotto per lettori curiosi, a scoprire nella lettura un piacere da non sottovalutare. Almeno quanto un gommoso Chumpa Chumpa!

Davì

Davì ha diciannove anni, una corporatura secca secca, un look eccentrico in cui spicca una sgargiante cresta verde e una quotidianità che fa a meno di una famiglia. Abbandonato molti anni prima dalla madre e trascurato per il resto dal padre, Davì ha scelto di fare della città la sua dimora, esplorandone gli angoli di giorno e abitando un cantuccio del centro commerciale di notte. È la biblioteca, grazie alla presenza premurosa e attenta di Beatrice, il luogo per lui più simile a una casa: un posto in cui trovare riparo per il fisico e per i pensieri, in cui sentirsi accolto e in cui scambiare parole che fanno bene. Qui Davì viene spesso, tra un giro in città e un lavoretto alla libreria poco distante, nei momenti di svago e in quelli del bisogno, come quando viene violentemente aggredito o quando la sua vita viene messa in subbuglio dal folgorante incontro con la giovane Nicla. La biblioteca si fa cioè rifugio aperto, di fronte a una città che si mostra invece piuttosto diffidente. Perché la presenza di Davì, con quel suo aspetto trasandato e quel suo stile fuori dagli schemi, non passa inosservata e perlopiù vincola gli sguardi a giudizi sommari. Lo sa bene il lettore che conosce pian piano il ragazzo non solo attraverso il suo stesso racconto, tra ricordi del passato e un istintivo tentativo di ritrovarsi con la madre, ma anche attraverso quello dei passanti che per pochi istanti lo incontrano e lo inquadrano.

La vita di Davì, in effetti, è tutta un fuori quadro, in un mondo che invece quadrato vuole essere. Attraverso la sua storia, che mette a bene a nudo la fragilità dell’adolescenza, Davì dice tanto del bisogno di ciascuno di apparire, non tanto nel senso di mettersi in mostra quanto di non sentirsi invisibile. La sua esistenza fatta non a caso di presenze ed assenze, comparse e scomparse, vistosità e vita nell’ombra, è un concentrato di contrasti e incertezze in cui non è così difficile riconoscersi e a cui il giovane lettore può dunque restare facilmente agganciato, grazie anche a una narrazione che scivola in fretta ma non manca di lasciare il segno.

Come la storia del suo protagonista, animata nel profondo da partenze e ritorni, anche la storia del libro Davì è un viaggio con tante tappe. Pubblicato per la prima volta ormai diciotto anni fa dai tipi delle Edizioni EL, il libro di Barbara Garlaschelli è approdato nel 2013 in casa Camelozampa che ora lo ripropone ad alta leggibilità all’interno della curatissima collana Gli Arcobaleni. Davì si fa così esempio emblematico di un prezioso lavoro di riscoperta editoriale messo in piedi dalla casa editrice padovana, con l’intento di valorizzare titoli di qualità del passato ingiustamente dimenticati e di renderli fruibili ad un pubblico il più possibile ampio. Chapeau!

3300 secondi

3300 secondi sono poi 55 minuti, nemmeno un’ora. Cosa potrebbe succedere di tanto importante in un lasso di tempo così circoscritto? Molto, a dirla tutta. E Fred Paronuzzi lo dimostra al lettore con quattro storie di adolescenza che nel tempo di una lezione di scuola si sfiorano, si incontrano e soprattutto prendono una svolta. Tra le pagine di questo romanzo tanto intenso quanto breve c’è dunque la trepidazione di Julie per un amore fuori dagli schemi appena dichiarato, c’è il ricordo doloroso di Ilyes che prova a prendere le distanze dalla sua immagine di straniero, c’è il dramma di Océane che ha subito una violenza in un’unica serata di trasgressione e c’è la decisione di Clément di allontanarsi da un luogo in cui la morte della sorella si fa soffocante.

Le storie di Leah, Ilyes, Océane e Clément sono storie molto forti a cui ci si sente avvinghiati dopo  poche pagine, sono storie che portano a galla alcuni volti di un’interiorità adolescenziale che rischia di essere occultata da chi la vive e ignorata da chi la vede. La bravura di Fred Paronuzzi sta nel cogliere tutta l’autenticità e la familiarità di storie così singolari, sicché anche in un racconto di immigrazione, di violenza, di lutto o di omosessualità il lettore si rispecchia anche se l’esperienza narrata parrebbe non gli appartenergli affatto. Perché sono le emozioni, la fragilità, la ricerca di un’identità soddisfacente e il desiderio di prendere in mano il proprio destino a parlare davvero a chi legge questo libro, il che la dice lunga su quanto sia potente.

Insieme a Davì di Barbara Garlaschelli e Maionese, ketchup o latte di soia di Gaia Guasti, 3300 secondi dà avvio a una serie di pubblicazioni ad alta leggibilità targate Camelozampa e inserite all’interno della collana Gli arcobaleni. I titoli in questione, come in passato accaduto per Dante Pappamolla e più recentemente per Madelief lanciare le bambole, sfruttano il carattere tipografico Easyreading che risulta meno stancante alla vista e più leggibile anche in caso di dislessia.  

Micromamma

Una mamma pret-à-porter: così diventa, in pratica, la mamma di Sander il giorno in cui inizia a rimpicciolire. Fenomeno strano davvero, il suo: la signora diventa infatti più piccola ogni volta che qualcosa va storto. E così, tra la notizia dell’operazione a cui deve sottoporsi, la fuga villana del fidanzato Allan e quell’incidente in pasticceria con la torta di nozze caduta dal tavolo, la mamma di Sander diventa a tutti gli effetti una micromamma che sta in un taschino, dorme in una scatola di fiammiferi e usa un bottone come piatto. Sander si occupa di lei con una tenerezza e una maturità fuori dal comune fino a quando la mamma sparisce dalla cartella in cui l’aveva riposta per portarla a scuola con sé. E da lì la situazione precipita in un turbinio di incursioni vietatissime in classe, corse al parco, indagini e inseguimenti fin nel mezzo di una festa di matrimonio. Complice delle ricerche e del lieto fine, il trovatello Zorro: un cane irresistibile, la cui generosa vivacità offrirà  un supporto più che mai prezioso a Sanders in un momento di grande fragilità.

Attraverso avventure rocambolesche e a tratti surreali, Piret Raud dà voce a una vulnerabilità non solo infantile ma più ampia, familiare: una vulnerabilità che nella vita vera ha tante facce, tante sfumature e tanti risvolti. Nello strano caso della micromamma, leggero e piacevolissimo per come è raccontato, si leggono per esempio il disagio di sentirsi sovrastati da avversità troppo grandi da affrontare, il dolore di apparire invisibile agli occhi di un genitore e un certo infantilismo dei grandi di cui i piccoli fanno le spese, il tutto attraverso una forma narrativa che trasforma felicemente in situazioni reali quelli che sono di solito solo modi di dire (sentirsi piccolo piccolo o invisibile, avere la testa tra le nuvole…).

Stampato ad alta leggibilità da Sinnos – con font specifico leggimi, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, sillabazione evitata, paragrafi distinti e illustrazioni frequenti – Micromamma offre un’occasione di lettura avvincente anche per chi non affronta il testo in maniera speditissima, forte di una veste grafica amichevole che si sposa a una trama senza posa.

Tredici cervi blu

Luna è una bambina solare e timida, poco avvezza ad alzare la voce e a far sentire le sue ragioni. Suo fratello maggiore Ralf è l’esatto opposto: irascibile e poco accomodante, ha spesso reazioni imprevedibili. Il loro è un rapporto non semplicissimo, fatto di poche parole e molti silenzi. Fino al giorno in cui i cervi fanno la loro comparsa. Da quel pomeriggio apparentemente come tanti, infatti, qualcosa cambia nella vita dei due fratelli. I piccoli cervi blu che Luna vede uscire dal vaso, che giocano con e su di lei e che improvvisamente, così come sono comparsi spariscono, non schiudono solo delle possibilità immaginative (Chi sono? Da dove vengono? Perché solo Luna riesce a vederli?) ma anche relazionali. Luna scopre infatti che anche Ralf, in passato, ha avvistato degli animali fantastici e che anche lui da quell’incontro si è sentito arricchito, rinvigorito, trasformato. Quello degli animali misteriosi diventa così un segreto tacito e condiviso – che tale deve restare per non causarne la scomparsa definitiva –, che avvicina i due fratelli più di ogni altra cosa in un momento di delicato equilibrio familiare come quello della nascita di un nuovo fratellino.

Contraddistinto da uno stile sospeso tra reale e fantastico – tanto nelle parole quanto nelle illustrazioni – I tredici cervi blu è un racconto in cui le emozioni, anche quelle più oscure come la paura e la rabbia, trovano posto senza essere giudicate, in cui la fantasia acquisisce pieno diritto di dimora nel quotidiano e in cui l’inspiegabilità di certi avvenimenti non cerca a tutti i costi una ragione forzata. Anche per queste ragioni nell’avventura straordinaria di Luna e di Ralf, il giovane lettore può facilmente rispecchiarsi e sentirsi compreso, interrogarsi sul proprio vissuto emotivo e riconoscere il valore straordinario della propria immaginazione.

Stampato da Sinnos con tutti i crismi dell’alta leggibilità – dal font meno confusivo leggimi all’impaginazione più ariosa, dalla sbandieratura a destra alla carta opaca – I tredici cervi blu si presenta come un racconto corposo ma al contempo leggero in cui il contributo delle strepitose e frequenti illustrazioni di Mattias De Leeuw (già apprezzatissimo per ragioni analoghe nel silent book La notte del circo), sottilissime e insieme dense di dettagli ed echi espressivi, amplifica a dismisura le possibilità evocative della narrazione.

Celestiale

Celestiale è una parola che di rado si sente pronunciare. Ed eppure è una parola straordinaria, carica di senso e sonorità, perfetta per indicare quelle che cose così belle da mandarti in orbita. Il gusto delle patatine fritte, il suono del violoncello o le canzoni dei Madredeus, per esempio, almeno stando ai gusti di Maddalena che di celestialità, pare se ne intenda. Per lei questa parola è importante, importantissima, soprattutto perché definisce meglio di qualunque altra le qualità di Fabrizio Fiorini, il timido ragazzo di cui è pazzamente innamorata. Il suo è un amore smisurato e totalizzante come solo l’amore adolescenziale sa essere, dotato di una sua logica e al contempo del tutto irrazionale, meraviglioso e struggente come poche altre cose al mondo: un amore che come silenziosi e rispettosi confidenti osserviamo da vicino, con tenerezza e apprensione, soprattutto nel suo alternare gioie e sofferenze.

A dargli voce non solo la stessa Maddalena ma anche il suo celestialissimo Fabrizio, in un controcanto di punti di vista che dà tutto il senso di un sentimento articolato e sfuggente. Alle loro si aggiunge poi la voce di Ivano detto Lama, fratello di Maddalena, che dell’amore crede di poter e voler fare a meno, forte della sua corazza da vero duro. A legare strette le tre voci non è solo la vicinanza dettata dalla parentela o da un sentimento ma anche una comune e inattesa riflessione sul valore della parola, protagonista invisibile di questo racconto. Le parole che dicono l’amore, le parole che l’amore rende incapaci di dire, le parole che ci fanno risuonare le storie dentro, le parole pronunciate da qualcuno che ci cambia la vita: tutte le parole insomma che dicono quello che siamo, quello che sentiamo, quello che vorremmo o che potremmo essere.

Celestiale fa parte della collana Zonafranca che Sinnos rivolge ai lettori grandicelli e in cui trovano spazio temi caldi e complessi interpretati da voce interessanti come quella della giovane Francesca Bonafini. Pubblicato ad alta leggibilità, il volume offre una lettura davvero fresca e nuova nel panorama editoriale per adolescenti, garantendo loro possibilità di riconoscimento e confronto, leggerezza non frivola, spunti impensati di pensiero e una misura che non spaventa.

Che sport, lo sport

Che Ole Könnecke sapesse essere irresistibile lo avevamo era già cosa certa, soprattutto dopo la pubblicazione de Le avventure di Lester e Bob (Beisler, 2015). Ora l’autore tedesco torna a far sorridere i suoi lettori con un volume sempre edito da Beisler e interamente dedicato al mondo dello sport. Che sport, lo sport è infatti un inno alla gioia di cimentarsi, mettersi alla prova, divertirsi e superarsi in una disciplina sportiva. Di qualunque tipo essa sia. Sì, perché la forza di questo volume con immagini e testi dalla travolgente carica ironica, sta proprio nel celebrare con lo stesso entusiasmo le discipline più note come il calcio o il basket e quelle più sconosciute come l’arrampicata sportiva o il lancio del tronco. Quel che conta è che ciascuna richiede abilità specifiche e regala soddisfazioni enormi. In una parola molto cara all’autore, cioè, ognuna di esse sa essere fantastica!

Il libro è strutturato come una vera e propria carrellata che riassume in pochissime e chiarissime parole il principio di ogni sport e ciò che lo rende – per l’appunto – fantastico. Ai testi rigorosissimi fanno da contraltare le illustrazioni scanzonate e imprevedibili, che mettono in scena gli animali più disparati alle prese con le diverse discipline. Così, tra renne surfiste, maiali sugli sci, fenicotteri ginnasti e rane pescatrici, il lettore ha modo non solo di scoprire e riscoprire gli sport più disparati ma anche di godersi scene atletiche spassose. A completare il tutto la felice scelta dell’editore di utilizzare per il volume alcune caratteristiche di alta leggibilità (il font Testme, la sbandieratura a destra e la distribuzione poco rigida dei testi, per esempio) che ben si sposano, in un’ottica di incentivo alla lettura anche per i lettori più deboli o con maggiori difficoltà, a un racconto dinamicissimo nella forma e nel contenuto.

Mangia la foglia!

Anna, Magnus e Stina sono tre cugini. Durante i pranzi di famiglia il loro tavolo, piccolo e rotondo, diventa una postazione separata e privilegiata di osservazione degli adulti. È da qui che i tre assistono al grande litigio di maggio che porta lo zio Jan e la zia Betta, genitori di Stina, ad allontanarsi  per un po’ dalla famiglia. Ed è da qui che assorbono, più o meno inconsapevolmente,  le dinamiche divisive che gli adulti mettono in atto. Quelle stesse dinamiche non tarderanno a trovare una replica in scala ridotta anche tra i piccoli di casa, alimentate in particolar modo dalla dieta vegetariana di Stina. “Stina è una ragazzina inutile”, “Io una volta l’ho sentita fare muuuu”, dicono di lei Magnus e Anna, convinti così di consolidare la loro amicizia esclusiva. Fino al giorno del funerale della nonna di Stina, quando le prese in giro di Magnus passano il segno facendo correre un grosso rischio alla cuginetta e aprendo gli occhi di Anna su quanto un’amicizia che si regge sul dileggio altrui sia fragile e inconsistente.

Il racconto breve scritto da Bart Moeyaert (qui in una sorridente conversazione con l’editrice Della Passarelli in cui si racconta come nasce Mangia la foglia) è denso e avvincente, capace in pochissime parole di tratteggiare un’infanzia vera e palpitante, finanche politicamente scorretta. Nelle noiose ore a tavola, nei “facciamo finta che…” che si sviluppano sul prato, nelle promesse indissolubili, nella forza silenziosa del modello adulto, nella tentazione di costruire rapporti saldi su un comune nemico ma anche nella capacità di cogliere un’ingiustizia quando perpetrata, si leggono infatti quella fragilità e quella determinazione che rendono speciale l’età bambina. L’autore le coglie con un’efficacia rara, offrendo al giovane lettore un’occasione intensa di leggersi e riconoscersi. Le parole di Bart, stampate ad alta leggibilità e dunque rese più agevoli da scorrere anche in caso di dislessia, sono accompagnate dalle illustrazioni di Alice Piaggio che aggiungono una forte carica espressiva a una narrazione già molto intensa.

Il ladro di Panini

Appetitoso come un panino al prosciutto, provolone e lattuga (con uno strato di maionese fatta in casa, naturalmente!), Il ladro di panini è una ghiotta novità edita da Sinnos. È ghiotta per il formato, che si ispira al fumetto pur non procedendo solo per balloons e che combina in maniera accattivante immagini frequenti e testi snelli ad alta leggibilità. È ghiotta per la storia, che smilza e appassionante, coinvolge il lettore in un giallo da gourmet. Ed è ghiotta per lo stile irresistibilmente ironico degli autori Patrick Doyon e André Marois.

Protagonista del libro è Marin che un giorno, all’ora di pranzo, non trova nel suo cestino il raffinato panino che la mamma è solita preparagli. Il panino al prosciutto, provolone, lattuga e maionese fatta in casa, nella fattispecie: quello del lunedì. Il problema è che non si tratta di un furto o di uno smarrimento isolato: la faccenda si ripete infatti il martedì, con il succulento panino al tonno, pomodorini secchi e maionese fatta in casa, il giovedì con il delizioso panino all’uovo, parmigiano, cipolla rossa e maionese fatta in casa e il venerdì, con l’intrigante panino al pollo, avocado, cetriolo e maionese fatta in casa. Solo il mercoledì il malcapitato la scampa, il giorno del panino con tofu, rughetta, pomodorini e gamberetti. L’affronto è davvero grande e la fame pure, perciò Marin si mette a investigare, individuando possibili sospettati, lanciando accuse spavalde e tendendo ingegnose trappole. Fino all’agognata cattura dell’impostore, colto letteralmente con le mani nella… maionese!

Davvero divertente e agevole da seguire Il ladro di panini combina la soddisfazione di una storia corposa (anche nel numero di pagine) con una grafica accattivante e amichevole, capace con buona probabilità di stuzzicare anche i lettori più recalcitranti o convinti che la lettura debba necessariamente essere affar ostico e poco piacevole.

Felicottero

Marc Herremans è un atleta belga di triathlon. Vittima di un grave incidente qualche anno fa, è rimasto paralizzato nella parte inferiore del corpo. Da quel momento ha iniziato a praticare lo stesso sport in sedia a rotelle, raggiungendo numerosi traguardi e diventando un modello per molte persone con e senza disabilità.

Perché citare proprio la storia di Marc? Perché a lui si ispira ed è dedicato il bell’albo Felicottero edito da Sinnos. Come un Herremas in becco e piume, Felicottero era un grande campione sportivo, noto a tutti per i suoi successi nelle più svariate discipline: dai 50 metri di corsa veloce alla pesca al gamberetto. Caduto però un giorno dalle nuvole, all’uccello resta una gamba sola, tanta nostalgia dei tempi d’oro e pochi amici. Dodo, Airone e Pinguino che erano soliti accompagnare le sue imprese, d’improvviso e proprio nel momento più critico, si fanno infatti latitanti. Per fortuna Felicottero incontra Millepiedi che con le parole e gli stimoli giusti, dettati da un arguto contrasto quantitativo di arti –  gli offre la spinta che da solo stentava a trovare, aiutandolo a cogliere l’occasione per una vera e propria rinascita.

Sostenuto da una felice misura di ironia e saggezza, Felicottero è un libro che si libra senza fatica tra i pensieri del lettore. Lo fa grazie a  un testo ad alta leggibilità che gioca saporitamente con modi di dire e frasi fatte e che fa proprio di questo aspetto una chiave per ribaltare il paradigma che ingessa la disabilità in una cornice cupa e del tutto priva di  humour. E lo fa l’albo grazie a delle illustrazioni strepitose, che riflettono a pieno la sensibilità e la qualità poetica caratteristica di Marije Tolman. I suoi guizzi cromatici, il suo uso sapiente della verticalità e la sua capacità di avocare senza troppo dire lasciano infatti al lettore tutto lo spazio di cui necessita per fare propria una storia preziosa.

Zelda la piratessa

I pirati che navigano sul Lamantino sono i più classici a cui si possa pensare: il capitano Arraffa, l’ubriacone Beone, i guerci Senzocchio e Unocchio, il saggio e vecchio Nodo e l’attivo Scheggia. E poi c’è lei – Zelda – che ribalda invece ogni cliché e costringe ciurma e lettori a una virata nel proprio immaginario. Trovata dai pirati in una cesta in mezzo al mare, Zelda cresce con indole e abitudini marinaresche, imparando al volo a fare come e meglio dei suoi compagni di viaggio di sesso opposto. Salita a capo dell’imbarcazione, Zelda conduce avventure mirabolanti, ricche di tesori e di imprese. Ma il coraggio non si misura solo in monete d’oro sotterrate e palle di cannone sparate: anche la capacità di interrogarsi sulla propria identità, di cambiare strada e di tornare sui propri passi possono essere indicatori preziosi. E allora Zelda, che non ha paura di tornare bambina, di sperimentarsi principessa e infine di trovare la sua rotta ideale, di coraggio ne ha davvero da vendere!

Stampata ad alta leggibilità, con un uso accorto non solo del font leggimi e delle caratteristiche di impaginazione (spaziatura maggiore, sbandieratura a destra) ma anche del colore e della dimensione del testo, Zelda la piratessa fa parte della bella collana I tradotti di Sinnos, che sceglie dalla produzione estera storie  avvincenti e coinvolgenti per farne la leva principale di conquista del lettore, con e senza dislessia.

La costituzione in tasca

“Giovanni, tu lo sai che cos’è la Costituzione?”, chiede Emma.
“No e non me ne importa, ho dodici anni, ho tutta la vota davanti. La Costituzione è roba da vecchi”, risponde Giovanni.

Si apre così, con un dialogo che non potrebbe essere più credibile, La Costituzione in tasca: l’agile e denso volume ad alta leggibilità che Sinnos ha volute dedicare alla nostra Carta per il suo settantesimo compleanno. È un dialogo tra due ragazzini che con il pretesto di una ricerca scolastica si confrontano e si interrogano sul significato e sull’attualità del libro che sostiene e guida la nostra Repubblica. È roba da vecchi, dice Giovanni, interpretando quello che potrebbe essere un sentire diffuso. Quanti giovani e giovanissimi si interessano alle leggi fondamentali del nostro Paese? O meglio: quanti hanno occasione di incontrare la Carta in maniera comprensibile e attiva? Senz’altro pochi, sicché riconoscere e rispettare la loro posizione e offrire uno strumento utile per rivederla con cognizione di causa è un’azione civile di grande e silenziosa portata. Perché Giovanni – e con lui il lettore – scopra che nonostante i suoi 70 anni suonati la Costituzione è tutt’altro che roba da vecchi, serve che le parole difficili di cui si compone suonino più familiari e comprensibili alle giovani orecchie e che il contenuto che essa porta si cali concretamente nel quotidiano bambino.

Ecco, con questo scopo si muove La Costituzione in tasca, costruita come un dialogo incalzante, a cui prendono parte, oltre a Emma e Giovanni, anche personaggi di natura teatrale come Pausa e Tafferuglio – che marcano momenti riflessivi e di acceso dibattito – e di natura storica come Piero Calamandrei. Ai loro interventi si alternano poi le citazioni di alcuni articoli, presi in ordine sparso e citati nella loro forma ufficiale, ma anche notizie e riflessioni che aiutano a collocare la stesura della Carta in un preciso momento storico per mano di persone in carne ed ossa (bellissimo, per esempio, il riferimento alle 21 madri costituenti che si tennero per mano durante il voto per il ripudio alla guerra). Il risultato è un testo composito che potrebbe ben prestarsi a un’interpretazione su palcoscenico ma che al contempo sviscera con parole chiare un testo apparentemente antico e distante, rendendolo la base ideale per un confronto tra pari in classe. Non è, se vogliamo, una lettura di evasione, ma è una lettura che rende stimolante l’avvicinamento a un testo che merita di essere interiorizzato da tutti i cittadini, anche e soprattutto quelli del futuro. Il fatto poi che proprio un testo che promuove la conoscenza della Costituzione sia stampato ad alta leggibilità – con font leggimi e caratteristiche di impaginazione più amichevoli anche per il lettore dislessico – è una piccola importante attenzione a quello che è, non a caso, uno dei diritti – quello alla cultura – sanciti dalla Carta.

La Costituzione in tasca rispecchia in pieno l’impegno che da sempre Sinnos profonde in favore della legalità e della cittadinanza attiva attraverso il potentissimo strumento dei libri. Nato in seno a un progetto importante intitolato BILL – La biblioteca della legalità, il volume è stato scritto da due persone che il diritto lo conoscono a fondo e che con cura si dedicano a renderlo maneggiabile da bambini e ragazzi. Il lavoro di avvicinamento alla Carta costituzionale fatto da Valeria Cigliola ed Elisabetta Morosini, che di mestiere fanno i magistrati, è infatti attento e profondamente mosso dalla convinzione che il rispetto della Costituzione passa prima di tutto dal sentirla propria e vicina. In questo senso, interessante e apprezzabile è anche il gioco di carte proposto alla fine del volume, con tutto il necessario da staccare e ritagliare, per  far sì che le parole che raccontano i nostri diritti e doveri diventino qualcosa di concreto che muove con leggerezza pensieri e confronti.

“La Costituzione sono io.
La osservo, la leggo, la prendo, ci gioco, la mangio a colazione con la cioccolata calda e le frittelle.

Hank Zipzer mago segreto del ping-pong

Inizia un nuovo anno scolastico alla SP87, il quinto per Hank e i suoi amici di sempre, Ashley e Frankie. E inizia col botto, a dire il vero, se si considera che al posto della nuova attesissima insegnante, la classe di Hank si ritrova sulle croste l’arcinota signorina Adolf e che la prima iniziativa che coinvolge l’istituto è una Parata degli Atleti in cui ognuno può mettere in mostra i suoi talenti sportivi. E se la prima disgrazia in qualche modo è sopportabile (sono quattro anni, d’altronde, che Hank si allena a sopravvivere alla rigidità dell’insegnante), la seconda ha un che di catastrofico. La predisposizione sportiva non è infatti tra le qualità più spiccate di Hank, data la difficoltà di concentrazione e coordinamento associata al suo Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Non a caso le selezioni per la squadra di calcio fatte dall’allenatore Gilroy sono un vero e proprio fiasco per il ragazzo, a cui non resta che rassegnarsi a un vergognoso futuro da scaldapanchine e raddrizzatore di coni. O forse no?

Complice il premuroso nonno Papà Pete, Hank scoprirà una disciplina in cui non solo ha talento ma soprattutto si diverte: il ping pong. Da lì in poi sarà tutto un allenamento per sviluppare le tre fatidiche C – Concentrazione, Controllo e Convinzione – e soprattutto per accettare il fatto che il giudizio degli altri non ha il diritto di minare la soddisfazione e gli sforzi (sportivi e non) di qualcuno. Alla faccia del fastidioso Nick McKelty, fortemente motivato a denigrare la scelta sportiva di Hank, questi avrà l’occasione di dimostrare a tutti che il ping pong è uno sport con la S maiuscola e che chi lo pratica può essere molto coraggioso e altruista, oltre che atletico.

Nona avventura della serie ideata da Henry Winkler e Lin Oliver, Hank Zipzer mago segreto del ping-pong vanta le caratteristiche di alta leggibilità (font senza grazie, sbandieratura a destra, assenza di divisioni sillabiche, spaziatura maggiore, a capo secondo il ritmo e la struttura della frase) che, insieme a uno stile spassoso, a vicende avvincenti e a una squadra di personaggi irresistibile, ha reso il personaggio piuttosto noto e amato. Senza per nulla risentire di un appiattimento dovuto all’alto numero di episodi pubblicati – aspetto tutt’altro che trascurabile – la serie di Hank Zipzer ha l’apprezzabile merito di aprire possibilità di lettura soddisfacente e piena anche a bambini e ragazzi che con la lettura non vanno propriamente d’accordo, non solo grazie agli importanti accorgimenti tipografici indicati ma anche grazie a storie che sanno coinvolgere e divertire senza rinunciare alla ricchezza di contenuto . La dislessia, da cui il protagonista è emblematicamente contraddistinto, è qui trattata inoltre con un’ironia sempre rispettosa, quella che viene da una conoscenza diretta e che dà alle difficoltà un risvolto narrativo pratico, offrendo così strumenti preziosi per capire e per capirsi. In quest’ultimo episodio, per esempio, viene messa in luce la questione della concentrazione e del coordinamento occhio-mano che tanta parte ha nella definizione del disturbo di Hank. Le informazioni riportate sono utili e pertinenti ma mai posticce o dall’intento divulgativo fuori contesto ed è proprio la loro rielaborazione hankesca a renderle in definitiva davvero spendibili:

Mi chiedo se da qualche parte c’è un’officina meccanica per cervelli, dove puoi portare il tuo cervello e loro ci lavorano mentre aspetti. Riparatemi il meccanismo della concentrazione. E già che ci siete, controllatemi anche acqua e olio, grazie.

Divento grande, vado a scuola

Prosegue l’interessante esperienza editoriale di Homeless Book sul fronte delle storie sociali: storie realistiche che mirano a far comprendere e assimilare ai bambini, soprattutto ma non solo con difficoltà comunicative e comportamentali, le regole e gli atteggiamenti attesi in specifiche situazioni.

Mentre Imparo a fare la pipì, era dedicato a bambini in età prescolare, Divento grande, vado a scuola si rivolge ai bambini un pochino più grandi, alle prese con le novità in fatto di ritmi, regole e abitudini che la scuola primaria porta con sé. Qui si focalizza l’attenzione su ciò che si può e ciò che non si può fare in classe, sui luoghi in cui si svolgono le diverse attività, sulle persone con cui si entra in relazione e su ciò che si impara di giorno in giorno: una presentazione puntuale e comprensibile di tanti aspetti dall’alto potenziale confusivo e intimorente.

A rafforzare la spendibilità di questo tipo di pubblicazione, l’idea di renderla personalizzabile grazie all’aggiunta di dettagli – nel testo e nelle immagini – che rispecchino la specifica realtà del lettore: il viso del protagonista, per esempio, è lasciato in bianco e nero per invitare il bambino ad apporvi la sua foto e alcuni riquadri del testo in simboli sono lasciati bianchi per consentire di aggiungere regole specifiche della singola scuola. Si tratta di piccole attenzioni che unite però alla cura nella costruzione del testo e nella simbolizzazione, fanno di questi testi degli strumenti funzionali.

Io rispetto

C’è un paese di nome Armonia, in cui ogni persona vive serenamente, libera di giocare, crescere, imparare, esprimersi, realizzarsi nella maniera che le è più congeniale, anche nel caso in cui sia colpita da una disabilità. Armonia è certo un paese fantastico ma che traduce in immagini efficaci il senso di un documento importante come la Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità e che si vorrebbe non distasse molto dalla realtà. I suoi abitanti accoglienti, le sue leggi amichevoli e i suoi luoghi ospitali rendono bene l’idea di come dovrebbe costruirsi una società inclusiva quale quella raccomandata dal documento redatto dall’ONU nel 2006. Questo, reso a misura di bambino grazie a un lavoro intitolato “Parliamo di abilità” promosso dall’UNICEF, funge proprio da ispirazione per i quattordici componimenti in rima di Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità, scritti da BendettoTudino e illustrati da MariannaVerì.

Il volume nasce da un progetto dell’Unicef, dell’Agenzia Politiche a favore dei Disabili del Comune di Parma e dall’associazione Rinoceronte Incantato. Forte dell’idea che le norme vadano il più possibile fatte proprie e interiorizzate, il libro sceglie la via della rappresentazione poetica per dare un senso pieno, comprensibile e vicino al sentire dell’infanzia a norme rigorose e astratte. Così il diritto di ridere, scegliere, esserci o decidere acquistano un significato più vivo e palpitante, più facile da riscontare e forse mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Tra tanti diritto, poi, non manca quello a noi tanto caro, di leggere, che l’autore chiude così:

Impara così un Mondo felice

Quel che si fa, si pensa e si dice.

Con le mani, gli occhi e la mente,

studia il sapere di tutta la gente.”

Questa è la storia di Topolina

Emanuela Nava ha una dote speciale nel trovare le parole giuste per dire anche le situazioni più complesse alle orecchie dei bambini. Lo dimostra, una volta di più, con Questa è la storia di TopoLina: un racconto in forma d’albo illustrato, con le splendide illustrazioni di Simona Mulazzani, in cui le difficoltà comunicative che affliggono diversi bambini trovano voce attraverso la minuta figura di una topina del bosco. Sorpresa dalla neve che ha sommerso la sua casa, TopoLina cerca aiuto ma, non riuscendo a parlare, non sa come farsi capire dagli altri animali. Saranno i segni lasciati sulla neve a far comprendere la sua richiesta e soprattutto a far trovare alla volpe e ai suoi amici un modo speciale di comunicare con lei.

Delicatissima, nelle parole e nelle illustrazioni, Questa è la storia di TopoLina è una storia di silenzi esterni che non corrispondono a silenzi interni, di amicizie che fanno trovare soluzioni inattese e di modi di relazionarsi insoliti ma straordinariamente affascinanti. Muovendosi in punta di piedi, Emanuela Nava e Simona Mulazzani dipingono un quadro fantastico in cui la disabilità, le difficoltà che implica e le risorse che fa emergere, non vengono mai citate esplicitamente ma trovano una rappresentazione lucidissima ed efficace.

E se è vero che i progetti editoriali come questo, mossi da intenti sociali, sono sempre un po’ rischiosi, va riconosciuto a Carthusia il merito di affrontare l’insidia del pedagogismo spiccio con grande perizia, affidandosi alla sensibilità e alla competenza di autori sopraffini. Gli scrittori e gli illustratori che hanno curato i diversi volumi della collana Storie al quadratosono sempre infatti di altissimo livello, capaci di mettere la loro arte al servizio di un racconto speciale. Gli albi come Questa è la storia di Topolina trasformano così esperienze particolari e importanti, come quella del Centro Benedetta d’Intino di Milano, in storie di grande fascino che arrivano al lettore grazie a un alleato prezioso: l’emozione.

Lucia

La giornata di Lucia inizia, come per tutti, con pochi automatici gesti quotidiani: lavarsi i denti, mettere a bollire il tè, infilarsi il giubbino, afferrare il bastone. Il bastone le serve per muoversi per strada ed è il dettaglio che ci fa capire con certezza che Lucia è una bambina cieca: una bambina che il libro di Roger Olmos intende accompagnare nel suo cammino da casa a scuola e qui dare voce a una piccola storia di bellezza che ha la possibilità di fiorire proprio grazie a quello che parrebbe il limite della protagonista. Dopo un suggestivo percorso in autobus e un eloquente percorso a piedi, accarezzata dal vento come in altalena, divertita da un legnetto su una staccionata che pare un organo e incuriosita da bizzarri personaggi dalla testa di colonia, pipa o foglie, Lucia arriva a scuola e condivide momenti preziosi con un compagno poco alla moda al cui aspetto Lucia non bada.

Frutto di un grosso e accurato lavoro condotto dall’autore per immergersi realmente nel mondo di una persona cieca, Lucia offre una storia delicata e una riflessione raffinatissima sullo scarto che separa la reale percezione di una persona non vedente e il nostro modo consueto di immaginarla. L’autore sottolinea, in particolare, e veicola questo scarto con un gioco sapientissimo e suggestivo tra immagini colorate e in banco e nero così come tra figure realistiche e figure fantastiche. Ecco allora che il consueto immaginario onirico di Olmos trova quindi qui un terreno fertilissimo e una possibilità di espressione nuova, funzionale a rappresentare un’esperienza fuori dal comune.

Nato dalla collaborazione tra CBM onlus, che si occupa di disabilità visiva nei paesi più poveri, e Logos edizioni, Lucia fa parte di una collana inaugurata da un altro grande illustratore – Lorenzo Mattotti – con un albo più astratto e adatto a un pubblico adulto intitolato Blind. Si tratta di una collana volta a esplorare il mondo della disabilità visiva nelle sue molteplici sfaccettature: un progetto importante in cui una riflessione profonda sulle possibilità d’inclusione nasce e si diffonde grazie alle matite più pregiate dell’attuale panorama editoriale.

Che favola, Mattia

Quella di Mattia è una storia di sogni e passioni che aiutano a superare ostacoli e difficoltà. Mattia è infatti un bambino dalla spiccata immaginazione che ama sentirsi raccontare e inventare storie fin da quando è piccolissimo. Con l’arrivo alla scuola elementare il suo interesse per la narrazione si scontra però con una certa difficoltà nella lettura e nella scrittura: lettere che si spostano, siscambiano, si compongono sulla pagina in maniera differente da come aveva previsto. Mattia scopre così di essere dislessico ma la sua tenacia e la sua passione per le storie lo portano a impegnarsi con ancora maggiore dedizione per riuscire ad avere la meglio sulle parole.  Sarà proprio questo impegno, unito a una sorprendente valorizzazione del suo talento da parte di maestra e compagni, a far sì che la storia di Mattia trovi un lieto fine.

Con un testo piano dai toni spiccatamente positivi e illustrazioni piacevoli he accompagnano discretamente la lettura, Che favola, Mattia racconta difficoltà e possibilità di un bambino dislessico, cercando di alimentare l’autostima di chi condivide con il protagonista un rapporto ostico con la scrittura. A supporto di tale intento va senz’altro anche l’apprezzabile scelta dell’editore Acar di pubblicare il volume utilizzando un font ad alta leggibilità, un carattere maiuscolo e una spaziatura tra lettere, parole e righe maggiore.

La bambina che andava a pile

Quello con La bambina che andava a pile è stato amore a prima vista. Tutto subito per quel titolo curioso e quelle illustrazioni graffiate e graffianti, che non passano inosservate fin dalla copertina. Poi per la testimonianza preziosa di una sordità vissuta da dentro, la ricchezza di piani di lettura, l’unione commuovente tra ironia e profondità che, davvero, è raro trovare in un albo che tocca il tema della disabilità. Ma andiamo con ordine.

La bambina che andava a pile è l’opera prima di una giovanissima autrice bresciana (classe 1992!), cresciuta con una sordità profonda diagnosticata all’età di due anni e poi con un impianto cocleare posizionato all’età di dieci. Proprio quell’esperienza d’infanzia, così particolare e distante da quella della maggior parte dei bambini, è protagonista del libro che raccoglie in forma lapidaria una serie di riflessioni su cosa significhi, concretamente, essere sordi in un mondo di udenti: la rincorsa delle parole, l’ostilità del buio che crea un distacco netto col resto del mondo, le voci – molteplici – su cui può fare affidamento, la vita in equilibrio tra più dimensioni, il valore relativo del concetto di diversità, il peso variabile dei nomi con cui si dice e si dà forma a una realtà. Quello di Monica Taini è un ritratto personale ma scorre fluido e avvincente come una storia avventurosa, forse perché propria come un’avventura è pieno di rivelazioni e colpi di scena. Ogni pagina è una bordata di senso, talvolta illumina talvolta colpisce allo stomaco, ma sempre invita a soffermarsi un attimo (e più) anche grazie all’eco generato da immagini in cui incisione e collage risultano molto espressivi. A chiudere il tutto, un glossario semiserio di cultura sorda che introduce con straordinaria ironia al mondo della sordità, tra oralismo, protesi e logopedia: una chicca utilissima per spiegare termini difficili e dire questa particolare disabilità con una precisione sorridente.

Morale: non lasciatelo sfuggire. La bambina che andava a pile è uno di quegli albi da conoscere e far conoscere. Assolutamente. E per il quale non solo l’autrice ma anche un lungimirante editore come Uovonero merita un grazie a lunga durata.

Divisioni senza resto

Solare e intraprendente, Francesco è un bambino che si muove in sedia a rotelle a causa della distrofia muscolare. I suoi compagni sono perlopiù gentili con lui e spesso si fermano a giocare in classe per non lasciarlo solo. Ma Francesco sa che talvolta non è ciò che preferirebbero fare, e questo un po’ lo incupisce. Trovare un amico vero, con cui trascorrere il tempo per puro piacere, quello sì sarebbe pazzesco. Per questo quando in classe arriva Valentino, un bambino di origine cinese che condivide con Francesco l’insegnante di sostegno a causa delle difficoltà linguistiche, la sua vita si trasforma. Valentino è un tipetto vivace ma anche disposto a chiacchierare di sport (di motori soprattutto!) e a divertirsi con giochi tranquilli. Con lui le giornate di Francesco prendono una nuova spinta: quella verso alcuni guai, nuove relazioni  e soprattutto verso una nuova consapevolezza delle proprie possibilità.

Ben scritto e contraddistinto da un certo dinamismo, Divisioni senza resto è un bel racconto sull’amicizia in cui la disabilità ha tanta parte nella vicenda ma non appesantisce la narrazione portando a derive buoniste. La capacità di Caterina Frustagli è quella di raccontare i sentimenti e le situazioni anche complicati, con grande chiarezza, trovando immagini efficaci per dire anche i pensieri e i concetti più critici. Il titolo stesso ne è un esempio significativa, poiché come dichiara più avanti il protagonista: “Mi piacciono le divisioni, perché dividono e danno a tutti in parti uguali. Se ci sono venti caramelle e cinque bambini, stai sicuro che ognuno avrà quattro caramelle, senza ingiustizie. La vita dovrebbe essere una divisione senza resto: a tutti parti uguali e stop.

Maionese, ketchup o latte di soia

Élianor è nuova a scuola: secca secca, pallida pallida e silenziosa come pochi, la ragazza è da subito vittima di scherni e angherie da parte dei compagni. Non che serva per forza un motivo per finire vittima dei bulli, ma questi pensano bene di bersagliarla per il suo presunto insolito odore. E così, in meno di un giorno di scuola, Élianor diventa per tutti la ragazza che puzza. Per tutti tranne uno, a dire il vero: per Noah, infatti, l’odore può raccontare a suo modo la storia delle persone, creando invisibili forme di relazione e contatto, e per questa ragione non esita ad avvicinarsi alla ragazza. Sarà un incontro turbolento il loro, sia perché li porta a sfidare la prepotenza di teppisti come Sylvester sia perché li porta a mettere faccia a faccia due quotidianità molto distanti tra loro. Come può una ragazza che vive con un guru scalzo e che si ciba di strani intrugli naturali  trovare qualcosa in comune con un ragazzo cresciuto a cola e merendine? Sarà necessario per i due andare più a fondo di una dieta per scoprire che ci si può incontrare nelle comuni esperienze di vita, emozioni e rispetto della diversità.

Fresco e avvincente, il racconto di Gaia Guasti parla in modo schietto e diretto alle orecchie dei giovanissimi, trovando così il modo più efficace di dare spazio a cose vere e complesse come il bullismo e la tolleranza. Nei pensieri di Noah ed Élianor, nelle dinamiche tra i banchi di scuola, nelle storie nascoste dei singoli personaggi, si percepisce infatti un’adolescenza palpitante. E brava davvero è l’autrice a coglierla e restituirla nella sua ricchezza. Già edito nel 2016 da Camelozampa, Maionese, ketchup o latte di soia è ora ripubblicato dall’editore padovano in una snella e apprezzabilissima versione ad alta leggibilità che sfrutta il font Easyreading e un’impaginazione più ariosa del testo.

Contro corrente

Emily è una ragazzina degli anni venti, curiosa e intraprendente. A differenza di molte coetanee, della madre e della sorella, non mostra grande interesse per pizzi e merletti ma coltiva una grande passione per il nuoto. È stata la cugina Gertrude, professionista della disciplina e vincitrice negli stessi anni di un’olimpiade e del record di traversata femminile della Manica, ad accendere la scintilla per questo sport il giorno in cui le ha regalato il suo costume da bagno. Come un segno del destino, quel dono sosterrà Emily nei suoi allenamenti segreti e osteggiati in compagnia dell’amico Leo, fino al compimento della sua piccola grande impresa di nuoto al lago.

La vicenda di Emily, inventata ma ispirata alla storia vera della nuotatrice newyorkese Gertrude Ederle, è portata all’attenzione dei lettori dal fumetto edito da Sinnos con un garbo e una cura rari. Alice Keller ha infatti la capacità speciale di raccontare le storie, vere o inventate che siano, con una pacatezza che ammalia e tiene sospesi, un po’ come quando si tira il fiato e ci si immerge in fondo a un lago. È un racconto pulito il suo, talvolta ironico e talvolta secco, un racconto che non prova mai a spiegare le emozioni preferendo di gran lunga lasciare che vengano a galla da sé, naturalmente. A sostenerlo, echeggiarlo e completarlo, le leggiadrissime tavole – ora a tutta pagina ora in formato mignon – di Veronica Truttero. Il risultato è un fumetto che appassiona con grande leggerezza, facendo dell’apprezzabilissima sintonia tra le autrici, la chiave di volta per tenere agganciato il lettore.

Cappuccino e Cappuccetto

La storia di Cappuccetto Rosso la conosciamo tutti, ma la versione che propone Fulvia Degl’Innocenti in Cappuccino e Cappuccetto si discosta un po’ dal racconto consueto. Non solo perché la protagonista è qui una bambina moderna, con lo zaino sulle spalle, uno skateboard in mano e una fermata del bus sotto casa, ma anche perché nel fitto del bosco dove si reca per portare una torta alla nonna malata, le cose non vanno proprio come ci si aspetta. L’incontro con il lupo, ben lontano dallo stereotipo di bestia feroce e pericolosa, scioglie infatti pregiudizi e timori in quella che diventa una scampagnata in compagnia. Perché, come recita il testo, “in due è più difficile perdersi”.

Costruito in modo tale da poter essere letto in un senso e nell’altro, portando da un lato la storia del lupo Cappuccino e dall’altro quella della ragazzina Cappuccetto Rosso, Cappuccino e Cappuccetto fa incrociare le due storie proprio nel mezzo, invitando implicitamente a una riflessione sull’importanza del punto di vista. Stampato come gli altri albi della casa editrice Terra Nuova con font OpenDyslexic, il libro intende consentire una più agevole fruizione della storia anche da parte di bambini con dislessia.

Lo sport non fa per te

Lettori goffi, atleticamente insoddisfatti o poco performanti, attenzione: questo libro è per voi! Maniaci dello sport, difensori della performance al top e professionisti del “tu non puoi giocare”, attenzione: questo libro è anche per voi! Lo sport non fa per te è infatti un inno scanzonato allo sport come contenitore di tante abilità e talenti diversi e come fonte di autentica gioia e appagamento. Tra le sue pagine si susseguono bambini di ogni sorta che, pur apparendo schiappe in uno sport, scoprono di potersi divertire con successo in un altro. Così Michele,a cui il pallone scappa dai piedi, si scopre un asso della pallanuoto; Viola, che a pallanuoto beve solo un sacco d’acqua, può esprimersi con grazia nella ginnastica; e Sara, che a ginnastica non fa che aggrovigliarsi, impara a sfruttare la sua altezza fuori norma per canestri vincenti. E così via, secondo una struttura ciclica che restituisce a tutti (i bambini perlomeno!) il diritto allo sport.

Un tema importante, questo dell’attività fisica prima di tutto come occasione di benessere: tema che gli autori di Lo sport non fa per te declinano in modo felicemente scanzonato e brillante. Federico Appel- che per Sinnos aveva già firmato un importante lavoro dedicato allo sport con la graphic novel Pesi Massimi – torna qui a occuparsene con uno sguardo e un approccio completamente diversi. Versatilissimo nel suo modo di dare forma a un contenuto, l’illustratore dà qui vita a figure dinamicissime, brulicanti e divertenti che danno un bel ritmo alla pagina e vanno a braccetto con i testi ironici di Paolina Baruchello, anche lei già nota all’affezionato lettore di Sinnos per la graphic novel Pioggia di primavera, di tutt’altro segno rispetto a questo volume. Il loro lavoro è vivace su tutti i fronti, anche quello dell’impostazione grafica della pagina che, unita alle consuete scelte tipografiche di alta leggibilità, concorre a offrire anche a lettori con poca dimestichezza o con qualche difficoltà di approccio al testo, una lettura snella che cattura e coinvolge.

Mio nonno gigante

Metti che un giorno ti svegli e ti ritrovi il nonno alto sei metri: un nonno gigante che si aggira in mutande e ciabatte per la città, come un novello King Kong con la dentiera. Cosa fai? Bella domanda! Se lo chiede anche la famiglia Brodino alla quale questa strana avventura effettivamente è capitata. Mio nonno gigante, nato dalla penna scanzonata di Davide Calì, è proprio il racconto di quella mattina insolita in cui la mamma smette di cercar mosche nella tazza di te, il papà smette di controllare se ha vinto alla lotteria, Brodino-figlia smette di pesare le fette biscottate e Brodino-Figlio smette persino di ascoltare i Cani Lagnosi per andare a cercare il nonno colosso: una rincorsa improbabile che scomoda persino generali ottusi dell’esercito e si risolve (si fa per dire), infine, con un astuto stratagemma culinario. Gli anziani, si sa, tocca prenderli per la gola…

Con un racconto che mescola con grande sapore dimensione reale e surreale, non solo negli eventi ma anche nelle parole dei protagonisti, Davide Calì invita i bambini a una lettura che scorre spassosa e originale. Straordinariamente adatta a una condivisione ad alta voce – grazie ai dialoghi ritmati e spiazzanti, all’uso arguto di elenchi e climax e a una narrazione che garantisce un sorriso fisso in volto – Mio nonno gigante offre altresì una ghiotta occasione di lettura autonoma per bambini alle prime armi, anche poco invogliati o propensi a scegliere un libro, a causa di difficoltà legate ai DSA. Le caratteristiche tipografiche care alla casa editrice (font specifica biancoenero, carta color crema e opaca, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, corrispondenza tra punteggiatura e a capo) che garantiscono l’alta leggibilità del volume si sposano infatti a un testo piacevole da seguire e sostenuto da illustrazioni a loro volta molto ironiche. Il risultato è un libretto snello che mette a proprio agio, diverte e dà al piccolo lettore grandi soddisfazioni.

La maialina, la bicicletta e la luna

Se nella fattoria passa un giorno un bimbo in bicicletta, si può star certi che qualcuno degli animali desidererà con forza il suo mezzo a due ruote. E quel qualcuno, nella fattispecie, è la maialina Viola. Determinata come pochi, Viola si appropria di nascosto della bicicletta e le prova tutte per farla stare in equilibrio, accettando con stoicismo capitomboli e bozzi, studiando ingegnosi sistemi di sicurezza e propulsione e sopportando perfino irrisioni e beffe dei compagni d’aia. Come vada a finire la sua storia di sogni e pedalate non lo sveliamo e non lo svela fino in fondo nemmeno l’autore, lasciando al lettore il gusto di un delizioso finale semiaperto.

Proposto da Sinnos all’interno della collana Prime letture, La maialina, la bicicletta e la luna vanta un equilibrio studiatissimo tra testo in stampatello maiuscolo, misurato e ben distribuito e illustrazioni a tutta pagina o frequenti. Come gli altri volumi della collana, anche questo sfrutta font e impaginazione ad alta leggibilità e si presenta in un formato maneggevole e pratico. Tutti questi aspetti, uniti alla personalità travolgente di Viola, all’ironia sottile del testo e a quella sfacciata delle illustrazioni, al dialogo ben oliato tra testo tradizionale e sparuti baloons fa del lavoro di Pierrette Dubé e Orbie un’occasione di lettura davvero curata e incentivante per bambini alle prime armi, con o senza dislessia.

Super P

Di supereroi ce ne sono tanti ma quanti possono vantare una superpipì? Non molti, certo. A parte Super P, il cui insolito superpotere si rivelerà determinante quando, con Superman influenzato, Spiderman in deshabillé, Mega Cindy in castigo e Batman a letto, la città rischia di cadere in mano all’abominevole Uomo delle Nevi. Ironico e scanzonato, l’albo firmato da Benjamin Leroy e JaapRabben riesce a trattare un tema insieme spassoso e critico come quello del controllo della pipì, restituendogli con il sorriso l’eroicità che dal punto di vista bambino merita.

Così, con grande divertimento di chi legge e grazie a un personaggio irresistibile, Super P dice con ammirevole nonchalance dei superpoteri che si nascondono dove meno ci si aspetta di trovarli e della straordinaria normalità delle piccole battaglie che ogni lettore quotidianamente compie. Azzeccata e arguta, in questo, l’attenzione riservata dall’illustratore ai piccoli dettagli (come il cestone colmo di vestiti sporchi in bagno, i giocattoli in disordine in ogni casa rappresentata, la varietà di personaggi, compreso il bimbo in carrozzina, che celebrano l’impresa di Super P) che danno un gusto familiare e vero a una storia da veri supereroi.

Super P è particolarmente interessante anche per la trasversalità del suo pubblico. Adattissimo, per tema, equilibrio tra testo e immagini e lunghezza, a bambini in età prescolare per i quali l’argomento pipì è di scottante attualità, il libro strappa sorrisi garantiti anche a lettori di qualche anno più grandi. Ecco dunque che in un solo volume si intravedono possibilità di lettura multiple: da quella ad alta voce di un adulto a un piccolino a quella in autonomia di un lettore alle prime armi (anche con difficoltà legate alla dislessia, data la scelta della  font e delle caratteristiche di impaginazione). Il tutto senza tralasciare una terza opzione: quella in cui il lettore autonomo e il fratellino più piccolo si incontrano in uno speciale momento di lettura a due. Se non è un superpotere questo!

Ombra

Se c’è un soggetto che più di tutti costituisce una sfida per un libro tattile è proprio l’ombra. Impalpabile, questa sfugge all’esperienza delle persone cieche. È possibile, dunque, dare una forma, una consistenza, una rappresentabilità tattile a qualcosa di così inafferrabile? E se sì, come? Michela Tonelli e Antonella Veracchi hanno provato a dare una risposta a queste domande in un volume che ha vinto il titolo di miglior libro didattico al terzo concorso di editoria tattile Tocca a te.

Lo hanno fatto trovando una chiave di volta molto efficace nella personificazione dell’ombra. Rappresentata mentre fugge se cerchi di rincorrerla, intenta a giocare a nascondino a mezzogiorno, lunga e sottile la sera e infine scomparsa quando cala la notte, l’ombra diventa un’amica, una compagna di viaggio, qualcosa che assume un senso al di là della concreta possibilità di percepirla coi sensi. Sono dunque il gioco e l’immaginazione le porte che schiudono al lettore cieco non tanto la comprensione quanto la curiosità verso qualcosa che pertiene a un mondo in cui domina la vista e che al contempo mettono a parte il lettore vedente  di un nuovo modo di considerare la sua ombra.

Il libro infatti si rivolge a entrambi, accettando la sfida di raccontare l’ombra a chi non la può vedere e di rinnovare la percezione di chi invece può farlo. In questo senso la scelta di testi misuratissimi nella lunghezza e nella composizione, di illustrazioni essenziali in cui compaiono solo il suolo, una figura umana, la sua ombra e il sole, e di cui soltanto gli ultimi due, insieme ai colori, cambiano di forma e posizione, è funzionale e vincente perché mantiene viva una certa indispensabile vaghezza. A completare una riflessione per le dita davvero suggestiva, la presenza di una taschina finale con una sagoma nera di stoffa con cui giocare, dormire, inventare. E a quel punto, sì, l’ombra è davvero diventata un’amica.

Papu e Filo

Papu e Filo sono due personaggi tanto diversi – uno sbadato aggregato di pompon colorati e un preciso pezzo di corda bordeaux  – che non amano il loro aspetto e vorrebbero reciprocamente assomigliarsi. Ma cambiare non è così immediato, soprattutto se si è da soli. Insieme, invece, tutto è più semplice: così i due amici trovano il modo di assumere forme sempre nuove e differenti, mettendo insieme le qualità di ognuno. Un gelato, una chioccola, un’automobile o un viso sorridente: con un amico si può diventare qualunque cosa e farlo, forse, rende creature migliori.

Con una storia lineare, un testo misurato che non spreca una parola, e illustrazioni tattili che trasformano il poco in un’esplosione di creatività, Papu e Filo fa della semplicità la sua forza: una semplicità tutt’altro che banale e piatta e che, anzi, letteralmente conquista. Grazie a questa caratteristica, infatti, non solo il libro racconta una storia che è una carezza ma lo fa in un modo che risulta accogliente tanto per i bambini vedenti quanto per i loro compagni non vedenti. La disposizione di Braille e testo a stampa sulla pagina, la scelta dei materiali e l’essenzialità delle figure rendono infatti il libro godibilissimo e facilmente esplorabile anche al tatto.

Terzo classificato nella categoria “Miglior Libro Italiano” e primo classificato come “Miglior libro didattico” al III Concorso Nazionale Tocca a te! promosso dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, Papu e Filo si presta meravigliosamente a piccole letture intime  in famiglia ma anche a significativi lavori di gruppo in classe.

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Il coniglio di Alja

Se è vero che la disabilità, da qualche tempo, si è ricavata spazi di rilievo all’interno della letteratura per l’infanzia, è altresì un fatto che non tutte le disabilità trovano eguale rappresentazione in quella letteratura. Soprattutto quando è rivolta ai più piccoli. Gli albi proposti ai bambini in età prescolare tendono infatti  a concentrarsi sulle disabilità più note e diffuse, più facili da avvicinare e conoscere e, in generale, meno gravi e forse più normalizzabili. Più difficile, invece, trovare parole e figure che raccontino agli orecchi acerbi la disabilità grave o la pluridisabilità, quella stessa che più difficilmente gli stessi bambini incontrano sul loro cammino. Eppure questo incontro accade e avere tra le mani uno strumento che aiuti a trasformarlo in un’occasione di crescita è auspicabile e positivo.

Alla luce di tutto questo Il coniglio di Alja pare un libro insolitamente coraggioso, per la scelta schietta e controcorrente di dare spazio a una disabilità rara e complessa. La protagonista dell’albo edito da Asterios, infatti, non cammina, non parla, non vede e non sente bene: Alja è affetta dalla rara sindrome di Leigh, ci dice la nota per adulti a fondo libro, il che la rende gravemente non autosufficiente. Quale che sia la sua sindrome precisa, tuttavia, al lettore e agli autori non importa granché, poiché parole e immagini si concentrano su ciò di cui i bambini concretamente si accorgono e sulle domande reali che popolano le loro menti. Perché è nel passeggino? Perché è in questo modo? E come farà a giocare con noi?, per dirne qualcuna. Tutte domande che qualunque maestra si sentirebbe porre di fronte a una diversità così marcata e alle quali non è così semplice rispondere. Le parole di Brane Mozetič  sono tuttavia misurate e mirate, capaci di nominare con correttezza e senza sbavature una realtà delicatissima e di sposarsi con pacata armonia alle illustrazioni morbide ma decise di Maja Kastelic. In entrambi i suoi aspetti comunicativi il libro mantiene uno sguardo positivo che non sfocia nell’irrealistica edulcorazione della realtà e presta un’attenzione di riguardo alla gestualità, agli sguardi, alle distanze e alle posizioni assunte dai protagonisti: un modo rispettoso e sincero di dire il rapporto che lega disabilità e infanzia, non castrando la naturale curiosità dei bambini ma offrendo loro risposte e azioni soddisfacenti. 

Ne Il coniglio di Alja,  in fondo, non c’è che il racconto di un’esperienza, di una quotidianità per certi versi insolita: l’arrivo all’asilo di una bimba dai bisogni più che speciali, il confronto con una diversità che spiazza e pone interrogativi importanti, le esperienze che, grazie a maestre accorte, la bambina e i suoi compagni riescono a condividere, l’incontro al di fuori della scuola per un compleanno e  la scoperta di un amico comune – un coniglietto nella fattispecie – che incentiva e sostiene la relazione nonostante le gravi difficoltà. Il libro pone cioè un focus molto esplicito sulla disabilità e ciononostante mantiene – cosa tutt’altro che scontata – una freschezza e una profondità apprezzabili che trasformano una narrazione apparentemente ordinaria in un seme di attenzione e apertura.  

Imparo a fare la pipì

Imparo a fare la pipì è un volume in simboli edito dalla casa editrice Homeless Book e dedicato a uno dei passaggi più particolari e delicati della crescita di un bambino. Non si tratta di una storia fantastica o avventurosa, bensì di una storia sociale ossia di un racconto che intende aiutare i bambini ad acquisire dimestichezza con una situazione quotidiana che può generare sorpresa, difficoltà di comprensione o reticenza. Sono reazioni, queste, che toccano trasversalmente qualunque bambino e che possono farsi a maggior ragione più marcate nel caso sopraggiungano particolari disturbi o nel caso in cui i cambiamenti vengano percepiti come ostici.

Ecco dunque che la scelta della casa editrice di rendere il contenuto del libro fruibile anche in caso di autismo e disturbi della comunicazione, grazie all’utilizzo dei simboli WLS e di illustrazioni molto piane e limpide, appare particolarmente calzante per un volume di questo genere. Imparo a fare la pipì presenta infatti un testo molto semplice, composto di poche e brevi frasi e caratterizzato da scelte lessicali ispirate alla quotidianità e da scansioni temporali molto chiare. I simboli impiegati sono riquadrati e presentano la componente alfabetica, in stampatello minuscolo, all’interno del riquadro stesso perciò strettamente connessa alla parte grafica.

Il libro, inoltre, tiene conto dell’importanza- soprattutto in caso di difficoltà legate allo spettro autistico – di personalizzare il racconto in modo che rispecchi il più possibile l’esperienza del bambino-lettore. Per questo il volume è costruito in modo tale da consentire l’adeguamento della contestualizzazione alle singole esigenze (per esempio, con la possibilità di scelta tra il simbolo del vasino e quello del wc), il completamento attivo delle illustrazioni con le proprie foto o con le figure – contraddistinte da espressioni variegate – predisposte in fondo al volume e con l’offerta dei simboli più utili per costruire una tabella comunicativa a tema. Si tratta di piccoli accorgimenti dai risvolti pratici molto significativi che rendono la collana Completalotu – di cui Imparo a fare la pipì fa parte e a cui si è recentemente aggiunto anche il titolo Divento grade, vado a scuola – particolare e ben concepita.

Alex e Axel

Se è vero che nomen omen, allora il legame speciale che unisce Alex e il cane Axel che abita vicino a lei pare predestinato dalla somiglianza tra i loro nomi. È tuttavia un legame tanto forte quanto osteggiato, il loro: il padrone di Axel è infatti un uomo scorbutico e scostante, tutt’altro che favorevole alle attenzioni che ogni giorno la ragazzina rivolge al suo cane. Alex non cede, però, alle proteste del signor Alberto, soprattutto quando si accorge che questi non offre al povero Axel la libertà di movimento che meriterebbe e che anche il cane – ringhioso e aggressivo verso chiunque tranne lei –  manifesta nei suoi confronti un attaccamento fuori dal comune. Da lì in poi, Alex farà di tutto per stare vicino al suo amico peloso e per fargli avere il dovuto svago: compreso scavalcare la recinzione del signor Alberto e portare Axel a spasso di nascosto. Quando però l’effrazione viene scoperta Alex passerà un brutto guaio e solo la sua straordinaria affinità con Axel riuscirà a ribaltare la situazione critica in cui la ragazzina viene a trovarsi, ricucendo rapporti compromessi e liberando da fantasmi del passato.

Alex e Axel è un libro che fa parte della serie azzurra del Battello a Vapore: è destinato ai bambini dai sette anni in su ma richiede una certa pratica di lettura. Il testo ha già infatti un certo spessore e non trascura parti riflessive e sottesi che richiedono una certa dimestichezza nel lettore. La scelta editoriale di pubblicare il libro ad alta leggibilità – con font specifico, paragrafi distanziati e non giustificati, spaziature maggiori e assenza di sillabazione – viene dal canto suo incontro alle esigenze di bambini con disturbi specifici dell’apprendimento che non vogliono rinunciare al gusto di storie appassionanti.

L’uomo che lucidava le stelle

L’uomo che lucidava le stelle è un uomo munito di secchi, stracci e  spazzolone con i quali si dedica – così  dice – a far brillare gli astri della notte. Non che Nicola, protagonista e narratore della storia, lo abbia mai visto all’opera ma quella figura adulta così strana e suggestiva segna profondamente i suoi ricordi di bambino e acquisisce una credibilità che stenta a trovare consensi nel mondo adulto. Non a caso quest’ultimo trova spazio nelle giornate e nei racconti di Nicola solo quando, per una ragione o per l’altra, dimostra di conservare uno spirito genuino e sognatore che è tipico dell’infanzia. Così, nei pomeriggio di gioco intorno al laghetto, insieme a Nicola e agli altri ragazzi, ci sono solo adulti sui generis – gli strambi del paese – quelli che avrebbero tante cose da dire ma faticano tra i grandi a trovare ascolto. Così le loro storie di matrimoni pluririmandati a cui i maialini, ahimé, non sono invitati, di incomprensibili reclusioni e di pietre da collezione capaci di parlare trovano ascolto solo negli orecchi acerbi dei piccoli come Nicola a cui appare molto chiara l’importanza di non fermarsi all’apparenza per guardare nel profondo degli individui.

L’uomo che lucidava le stelle è un libro dai toni spiccatamente onirici e metaforici, fuori dagli schemi abituali. Anche per questo, nonostante l’impaginazione ad alta leggibilità che lo rende più fruibile e amichevole alla vista anche in caso di DSA, non risulta immediatissimo e facilissimo da seguire. Si tratta però di un libro molto suggestivo e denso, che si presta a stimolare riflessioni, interpretazioni e confronti nei bambini e nei ragazzi.

Foglie

La natura ha un potere incantevole che ciascuno coglie in maniera differente. C’è lo stupore di fronte all’ingegnosa perfezione di animali, piante e ambienti, il desiderio di comprendere e conoscere i meccanismi che regolano ogni processo, la meraviglia poetica suscitata dalla bellezza e dalla varietà di ciò che ci circonda. E i libri (quelli buoni!), dal canto loro, non fanno che accogliere questi sentimenti e dar loro voce e spazio. Così, un volume come Foglie di Francesca Pirrone va a cogliere e mescolare queste diverse attitudini proponendo al lettore una carrellata di esemplari botanici, presentati in maniera personalissima. Ognuno rivela un’anima suggestiva e intrigante, suggerita e ispirata dalla forma di ogni foglia. C’è quella rotonda  forse perché mangia troppo e quella a forma di lancia ma che odia la guerra, quella piccola come un bambino e quella dentellata perché è sempre arrabbiata: un assortimento composito e stimolante che invita a una vera e propria danza con le cose più semplici e comuni della natura, gettando su di esse uno sguardo nuovo.

È questione di sguardo, sì, ma anche e soprattutto di tatto. Foglie è infatti un libro tattile costruito a modino, accessibile in tutti i suoi contenuti  anche in caso di disabilità visiva. Oltre ai testi stampati in nero e in Braille nella parte bassa della pagina, il volume dedica a ogni foglia un’illustrazione in legno significativa per gli occhi e per le dita. Identiche nella texture, le foglie di Francesca Pirrone si differenziano nella sagoma, proprio quella che nell’interpretazione dell’autrice ne suggerisce il carattere. Questa scelta, che certo non intende approfondire il realismo della rappresentazione, agevola e snellisce l’esplorazione al tatto che è chiamata così a concentrarsi su un solo aspetto del soggetto. Il risultato è una passeggiata autunnale originale, tra foglie dall’animo marcato, che invitano a (ri)scoprire la natura per farne oggetto e stimolo di nuovi percorsi scientifico- fantastici.

Vincitore della seconda edizione del concorso di libri tattili illustrati Tocca a te!, in qualità di miglior libro didattico, Foglie è stato realizzato e pubblicato in 400 copie dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi e distribuito gratuitamente ad altrettante biblioteche e associazioni sul territorio italiano grazie al contributo della Fondazione Cariplo. Nel corso del 2018 alcune copie del libro saranno rese invece disponibili per l’acquisto privato direttamente sul sito dell’editore.

Parla…papà

Sono tanti e diversi i modi in cui una disabilità può entrare nella vita di un bambino. Uno di questi, poco considerato e poco raccontato, è quello che passa attraverso la figura di un familiare: quando, cioè, la disabilità non colpisce direttamente il minore ma una persona a lui cara. L’impatto, soprattutto se una malattia o un incidente portano una limitazione all’improvviso, è molto forte e traumatico, come mostra efficacemente il racconto di Sandra Dema dedicato all’afasia. Qui, il papà del protagonista-narratore viene colpito da un malore e dall’oggi al domani non riesce più a parlare. Il turbamento del bambino è tangibile e pervasivo, soprattutto quando la notizia arriva inattesa, come una doccia fredda. Poi però trova spazio un salvifico ribaltamento di ruoli che porterà il piccolo a occuparsi del grande, con l’intento di recuperare insieme quelle parole smarrite tanto importanti per dire l’affetto.

Diretto e mirato, Parla..papà è un albo funzionale a far conoscere una situazione purtroppo esistente e rispetto alla quale esistono pochi strumenti narrativi a disposizione dei bambini per elaborare il trauma vissuto. Le parole pacate di Sandra Dema e le illustrazioni dalla forte carica espressiva di Chiara Gobbo danno invece voce a un dolore e a una paura travolgenti che possono trovare nelle storie una via aperta per la condivisione, l’espressione e forse l’accettazione di una situazione spiazzante.

La rana ballerina

Ogni famiglia ha le sue storie di antenati, ma sfido a trovarne di pazzesche come quelle della famiglia di Jo. Per competere servono perlomeno un leone e un iceberg. O – minimo minimo – una rana ballerina. Facile dunque capire perché Jo sia così desideroso di conoscere le peripezie dei suoi parenti bislacchi. Ecco allora che la mamma, seppur stanca, lo accontenta con un racconto davvero straordinario. Protagonista è la zia Gertrude che,  perso il marito marinaio in mare, trova inaspettata consolazione nell’incontro con una rana. Non una rana qualsiasi, ma una rana di nome George che balla divinamente quadriglie, polke e danze scozzesi. Così i due iniziano a girare per il mondo, animando i teatri più prestigiosi con uno spettacolo sensazionale che trova picchi di successo anche in circostanze piuttosto indesiderabili come un incendio in albergo. La tournée, la preparazione dei numeri e il meritato riposo nella casa di campagna francese offrono momenti di grande gioia condivisa alla rana e alla ragazza di cui – non ci si spiega proprio come – quasi nessuno oggi si ricorda.

L’incredibile storia di George e Gertrude ha lo spirito asciutto delle narrazioni orali e lo sprint inconfondibile dei racconti marchiati Quentin Blake. Frizzante nel tratto, l’autore profonde la stessa cifra anche nel testo che appare così leggero, snello e piacevolissimo. Perfetto, insomma, per trovare posto nella collana leggimi! di Sinnos che applica i criteri tipografici dell’alta leggibilità a una serie di storie selezionate per la capacità di catturare il lettore e tenerlo agganciato. La storia de La rana ballerina, che in poche righe racchiude con leggerezza i momenti più bui e più luminosi di una vita, si presenta così in un formato tascabile e accattivante in cui ogni pagina accoglie una paio di paragrafi al massimo, ben distanziati e accompagnanti da un’illustrazioni a colori che pare davvero danzare.

Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità

C’è un paese di nome Armonia, in cui ogni persona vive serenamente, libera di giocare, crescere, imparare, esprimersi, realizzarsi nella maniera che gli è più congeniale, anche nel caso in cui sia colpito da una disabilità. Armonia è certo un paese fantastico ma che traduce in immagini efficaci il senso di un documento importante come la Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità e che si vorrebbe non distasse molto dalla realtà. I suoi abitanti accoglienti, le sue leggi amichevoli e i suoi luoghi ospitali rendono bene l’idea di come dovrebbe costruirsi una società inclusiva quale quella raccomandata dal documento redatto dall’ONU nel 2006. Questo, reso a misura di bambino grazie a un lavoro intitolato “Parliamo di abilità” promosso dall’UNICEF, funge proprio da ispirazione per i quattordici componimenti in rima di Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità, scritti da Bendetto Tudino e illustrati da Marianna Verì.

Il volume nasce da un progetto dell’Unicef, dell’Agenzia Politiche a favore dei Disabili del Comune di Parma e dall’associazione Rinoceronte Incantato. Forte dell’idea che le norme vanno il più possibile fatte proprie e interiorizzate, il libro sceglie la via della rappresentazione poetica per dare un senso pieno, comprensibile e vicino al sentire dell’infanzia a norme rigorose e astratte. Così il diritto di ridere, scegliere, esserci o decidere acquistano un significato più vivo e palpitante, più facile da riscontare e forse mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Tra tanti diritto, poi, non manca quello a noi tanto caro, di leggere, che l’autore chiude così:

Impara così un Mondo felice

Quel che si fa, si pensa e si dice.

Con le mani, gli occhi e la mente,

studia il sapere di tutta la gente.”

Io Disjessica

Chiamarsi Jessica e scoprirsi dislessica: se non è ironia della sorte questa… Eppure Jessica non si lascia svilire da una situazione che potrebbe scatenare facili prese in giro, ma anzi la trasformarla in un’occasione di riscatto. Con humour e capacità di sorridere dei propri difetti, la bambina diventa infatti la supereroina Disjessica, paladina delle h scordate e delle cifre scambiate. Il libro che la vede protagonista racconta con leggerezza le sue difficoltà e le sue abilità, delineando un percorso scolastico e di vita ricco di soddisfazioni, nonostante le difficoltà legate al disturbo dell’apprendimento.

Io Disjessica è un libro insolito, a metà tra l’autobiografico e il divulgativo. Senza narrare una vera e propria storia, il volume mette in evidenza alcuni aspetti particolarmente scoccianti della dislessia e suggerisce alcune strategie che si possono rivelare utili per farvi fronte. Nessuna ricetta, si badi bene, ma piuttosto trucchetti e stratagemmi che per l’autrice, cui Jessica è dichiaratamente ispirata, si sono rivelati efficaci. È una sorta di confidenza tra chi condivide le medesime difficoltà, come se l’autrice dicesse al lettore “Anche a me è capitato. Hai provato a…”, mettendolo a parte di un’esperienza che può essere d’aiuto. Contraddistinto da uno spirito entusiasta e positivo, il libro invita a non farsi sopraffare dai limiti in modo da avere la lucidità e l’energia necessari per riconoscere i propri talenti.

Scritto e illustrato  con un tono confidenziale e amichevole, Io Disjessica sfrutta inoltre un font ad alta leggibilità che lo rende più fruibile anche da parte di lettori con disturbi specifici dell’apprendimento.

Cecilia passeggia nel parco

Cecilia passeggia nel parco insieme al suo uccellino Pilù, che fa capolino dalla borsa della ragazza perché non sa volare. Il loro è un viaggio sensoriale tra profumi che solleticano il naso, foglie che crocchiano sotto i piedi e grandi alberi che offrono ombre ristoratrici. Ma è anche una catena di incontri: alcuni più felici, come quello con Lucio che vorrebbe donare un palloncino a Pilù per aiutarlo a spiccare il volo, altri più ostili come quello con lo scoiattolo scorbutico che in malo modo caccia l’uccello dal suo nido. È infine è anche e soprattutto una scoperta, di quelle che forse ti cambiano la vita: Cecilia inciampa infatti in un violoncello e le sue note regaleranno a lei nuovi colori e a Pilù nuove ali per volare.

Che Cecilia sia ipovedente, come ci dice la quarta di copertina, possiamo immaginarlo dall’intensità con cui le sue sensazioni vengono descritte e dall’altrimenti improbabile inciampo in uno strumento così grosso come un violoncello. Il che non è male. Perché così le possibilità di identificazione da parte del lettore si rafforzano, restituendo alla metafora della musica come porta preziosissima sul e verso il mondo, la dimensione universale che merita. Il rimando al deficit visivo, dal canto suo, contribuisce a fare di Cecilia passeggia nel parco un invito a fare esperienza nuova dei propri sensi, vivendo attività comuni – come una passeggiata al parco appunto – con spirito insolito e curioso. Sperimentare in prima persona, con una lettura e una camminare reale magari, il potere dei sensi che affiancano o sostituiscono la vista, può costituire infatti una maniera efficacissima per cogliere anche da piccoli il senso della parola resilienza. Claudia Ferraroli e Fuad Aziz ce lo suggeriscono con pacata poesia, con parole e immagini ben sposate, sospese e sussurrate.

Giulio Coniglio e la lepre Gelsomina

Un giorno Giulio Coniglio si sveglia e trova fuori da casa sua un bellissimo camper che reca scritto “Gelsomina”, ossia il nome della  famosa leprotta ballerina che ne è proprietaria. Gelsomina fa rapidamente la conoscenza di Giulio e dei suoi amici, accorsi appositamente ed elegantemente agghindati per l’occasione, deliziandoli con un meraviglioso spettacolo di danza. Un po’ meno movimentata delle altre avventure, Giulio Coniglio e la lepre Gelsomina ha un ritmo più lento e punta l’attenzione sull’emozione di fare nuovi incontri.

 

La collana Le giocastorie ad alta leggibilità

Giulio Coniglio e la lepre Gelsomina fa parte della collana Le Giocastorie, ora in parte pubblicata da Franco Cosimo Panini Editore ad alta leggibilità. L’utilizzo del font leggimiprima rende infatti  le avventure del noto coniglio creato da Nicoletta Costa più accessibili anche in caso di dislessia: scelta editoriale apprezzabilissima perché concretizza realmente la possibilità di condividere narrazioni e immaginari al di là delle differenze imposta da un disturbo o una disabilità. Poter accedere autonomamente e più agevolmente alle avventure del coniglio più conosciuto significa, per i bambini con qualche difficoltà, potersi agganciare a pieno a un mondo che i propri pari condividono con piacere, ritrovandovi fertili occasioni di divertimento comune. La collana Le Giocastorie si contraddistingue per un formato snello e maneggevole, storie brevi ma  ben strutturate, una narrazione lineare, un rapporto bilanciato tra immagini e testo, illustrazioni inconfondibili e una scrittura piana ma mai sciatta. In  chiusura, piccoli giochi ispirati alla storia ed adesivi staccabili concorrono ad aumentare per vie traverse l’appeal del volume nei confronti dei lettori meno forti.

 

A silent voice

C’è sempre una prima volta, anche per la recensione di un manga. A silent voice è infatti il primo fumetto giapponese che arriva su Di.To, in virtù di una storia che mette al centro una disabilità invisibile come quella uditiva e soprattutto le dinamiche di che intorno ad essa possono attivarsi. Il protagonista del fumetto è infatti  un ragazzo tediato dalla vita e piuttosto superficiale – Shoya Ishida – che trascorre le sue giornate a trovare un modo di sconfiggere la noia quotidiana. Che sia un tuffo da altezze improponibili o il battersi con energumeni, poco importa: quel che sta a cuore al ragazzo è il divertimenti fine a sé stesso e del tutto indifferente agli effetti su chi lo circonda. Per questo quando nella sua classe arriva Shoko Nishimiya, una ragazzina sorda, Shoya Ishida non perde occasione di darle il tormento, anche in maniera piuttosto pesante. Sono espliciti messaggi di disprezzo o atti di autentica crudeltà, i suoi, che feriscono profondamente Shoko Nishimiya che si mostra sempre paziente ma che alla fine abbandona la scuola. Sarà allora che il ragazzo si renderà conto di ciò che ha fatto e degli effetti che hanno causato le sue azioni: malvagità che gli si ritorceranno contro con l’avversione dell’intera comunità scolastica. Il bullo finisce quindi per trovarsi dall’altra parte della barricata, vittima di un biasimo e  di un’emarginazione che tanta parte avranno nel convincerlo a rimediare per tutti i danni fatti.

La storia di Shoya Ishida e Shoko Nishimiya è narrata da Yoshitoki Oima nella tradizionale forma del manga che si legge da destra a sinistra. Contraddistinto da un ritmo serrato, da vignette fitte (talvolta con disegni e scritte piccolissimi) in bianco e nero, da testi diretti e non troppo ricercati (a partire dall’utilizzo dell’espressione linguaggio dei segni al posto di lingua), A silent voice non propone una storia particolarmente segnante e travolgente ma mette l’accento su aspetti della vita scolastica in caso di disabilità su cui spesso la letteratura per bambini e ragazzi tace. Quello del bullismo, perpetrato in forme anche molto mortificanti, è un tema qui centrale che viene trattato con un’esasperazione e un crudezza poco abituali.

A silent voice è in realtà una serie composta da altri sette volumi, oltre quello in questione. In ciascuno si approfondisce la relazione tra Shoya Ishida e Shoko Nishimiya,passando attraverso riavvicinamenti e drammatiche distanze che cercando in maniera piuttosto calcata di rendere conto degli effetti, anche a lungo termine, che il fenomeno del bullismo può generare.

Cento passi per volare

Può un ghiro volare? Qualche leggenda sostiene di sì, anche se nessuno in effetti ci crede. Eppure un fondo di verità le leggende ce l’hanno sempre e infatti Lucio, soprannominato affettuosamente ghiro dalla zia Bea, sembra proprio trovare il modo di spiccare il volo. Tutto accade in alta quota, al rifugio Cento passi, dove Lucio e Bea si recano volentieri per camminare un po’ insieme nel silenzio della montagna. Qui Lucio trova la sua dimensione ideale: senza il frastuono della città, dove l’assenza della vista rende tutto molto confuso, i suoi sensi riescono a guidarlo con una precisione e un’affidabilità sorprendenti. Tanto che il ragazzo,  al mondo da quattordici anni e cieco da nove,  vorrebbe dimostrare di essere totalmente autonomo anche sui sentieri più ripidi, senza il bisogno di tenere salda la sciarpa di seta della zia che lo guida. Il desiderio di sentirsi e di mostrarsi come tutti gli altri, come se la disabilità non lo condizionasse affatto, emerge tanto più forte quando al rifugio Lucio incontra Chiara –  coetanea  nipote del gestore – che insieme a lui, a Bea e alla guida alpina Tiziano affronta una camminata fino al Picco del Diavolo, dove hanno nidificato due splendide aquile. Quella camminata, oltre a rendere i due ragazzi protagonisti del salvataggio di un aquilotto dal rapimento di due bracconieri senza scrupoli, spalanca le porte a un’amicizia inattesa, capace di fra conoscere e riconoscere a entrambi la parte più nascosta e controversa di sé.

Cento passi per volare è un romanzo asciutto e schietto, come le cose di montagna sanno e devono essere. E come tale serba un gusto autentico e pieno. Proprio come in una passeggiata nel bel mezzo della natura, a contatto diretto con la propria fatica, i propri pensieri e i propri limiti, il lettore si confronta e sente chiaramente il peso dei pregiudizi, del bisogno di presentarsi in una data maniera di fronte agli altri, del doversi sempre dimostrare all’altezza delle situazioni. È un peso che Lucio, con la sua disabilità, incarna a pennello ma che in realtà, come il personaggio di Chiara mostra bene, va ben oltre la questione dell’handicap per riguardare trasversalmente qualunque persona. Soprattutto se in crescita. Ecco dunque perché, oltre a dire tanto delle risorse che spesso inaspettatamente risiedono nella disabilità, Cento passi per volare dice altrettanto delle difficoltà che ciascuno incontra sul suo cammino e dell’importanza che può avere, per affrontarli, il saperli e volerli riconoscere, accettando serenamente l’aiuto che ci offre chi ci sta accanto.  “Nessuno dei due disse nulla. Lei gli prese dolcemente la mano e lo guidò attraverso lo stretto passaggio che si apriva tra l’albero caduto e il dirupo. Oltre l’ostacolo.

Giulio Coniglio e il picnic con la balena

Quando la balena Bernarda e il pinguino Pedro vanno fanno visita a Giulio Coniglio e ai suoi amici è una vera festa. L’accoglienza calorosa a base di succo di carota e frittelle è ben gradita dai due ospiti che ben si prestano a far trascorrere ai padroni di casa un intenso pomeriggio di sguazzate al fiume. C’è chi come topo Tommaso si tuffa senza timore tra le onde e chi come Giulio preferisce guardare. Ognuno è a suo modo, e va bene così. Poi scende la sera e la fatica cala, ma anche il momento di dormire può trasformarsi in una bella occasione per dimostrarsi amici affettuosi e accoglienti.

I testi di Giulio Coniglio e il picnic con la balena sono leggermente più brevi rispetto ad altri della medesima serie, il che rende il volume particolarmente adatto a un primo tentativo di approccio autonomo. Essi risultano inoltre arricchiti da brevissimi fumetti (composti da una o due parole) che dinamizzano la pagina e il racconto, offrendo tra l’altro una possibilità di divisione nei compiti di lettura (“io leggo questi, tu leggi il resto”) che può contribuire a rendere le prime esperienze autonome più graduali  e in quanto tali piacevoli.

 

La collana Le giocastorie ad alta leggibilità

Giulio Coniglio e il pic nic con la balena fa parte della collana Le Giocastorie, ora in parte pubblicata da Franco Cosimo Panini Editore ad alta leggibilità. L’utilizzo del font leggimiprima rende infatti  le avventure del noto coniglio creato da Nicoletta Costa più accessibili anche in caso di dislessia: scelta editoriale apprezzabilissima perché concretizza realmente la possibilità di condividere narrazioni e immaginari al di là delle differenze imposta da un disturbo o una disabilità. Poter accedere autonomamente e più agevolmente alle avventure del coniglio più conosciuto dai bambini significa, per chi ha qualche difficoltà, potersi agganciare a pieno a un mondo che i propri pari condividono con piacere, ritrovandovi fertili occasioni di divertimento comune. La collana Le Giocastorie si contraddistingue per un formato snello e maneggevole, storie brevi ma  ben strutturate, una narrazione lineare, un rapporto bilanciato tra immagini e testo, illustrazioni inconfondibili e una scrittura piana ma mai sciatta. In  chiusura, piccoli giochi ispirati alla storia ed adesivi staccabili concorrono ad aumentare per vie traverse l’appeal del volume nei confronti dei lettori meno forti.

Giulio Coniglio e la nave pirata

Quando un libro o una serie di grande successo vengono riproposti in una forma nuova, che consente l’accesso a un maggior numero di giovani lettori, è sempre una buona notizia. Ecco perché val proprio un festeggiamento la pubblicazione di alcune delle Giocastorie di Giulio Coniglio in una versione ad alta leggibilità che sfrutta il font leggimiprima (messo a punto e concesso all’editore da Sinnos). Scelte editoriali come questa concretizzano realmente, infatti, la possibilità di condividere narrazioni e immaginari al di là delle differenze legate, per esempio, ai Disturbi Specifici dell’apprendimento. Poter accedere autonomamente e più agevolmente alle avventure del coniglio più conosciuto dai bambini di pochi anni significa potersi agganciare a pieno a un mondo che i propri pari condividono con piacere, ritrovandovi fertili occasioni di divertimento comune. Le Giocastorie, peraltro, si prestano bene a venire incontro a lettori inesperti o in difficoltà, non solo per l’appeal straordinario dei personaggi, ma anche per la struttura lineare del racconto, il rapporto bilanciato tra immagini e testo, l’aspetto snello, tascabile e gradevole dei volumi  e la scrittura a misura di bambino ma non sciatta.

In Giulio Coniglio e la nave pirata l’istrice Ignazio propone agli amici di giocare ai pirati, procurando addirittura una barca vera con tanto di bandiera nera. Regola ferrea: divieto assoluto per le femmine di partecipare. Così Ignazio, Giulio e il topo Tommaso trascorrono un maschilissimo pomeriggio solcando le onde. Quando però la barca si incaglia, la sera scende e la mancanza di carote inizia a farsi sentire, i tre amici si scoraggiano sicché il salvataggio generosamente messo a punto dalle amiche femmine – la mucca Maddalena e l’oca Caterina – viene accolto con straordinaria felicità e festeggiato con una meritata pizza condivisa.

L’isola dei giocattoli perduti

L’orsetto Teddy, protagonista de L’isola dei giocattoli perduti, è un peluche dalla spiccata intelligenza che vive in una casetta graziosa in compagnia del saggio elefante Umpah. Umpah si prende amorevolmente cura di Teddy perché questi si può muovere solo su un carretto spostato pazientemente da zampe di un certo spessore. La loro vita scorre pacata, tra il profumo dei deliziosi muffin che Umpah sforna quotidianamente e gli insaziabili interrogativi che si pone Teddy. Tutt’intorno, un serpente dall’appetito insaziabile, una maialina rosa un po’ sciocchina e una maialina blu molto apprensiva, un pinguino solitario e brontolone e un coniglio dal colletto regale: una ciurma tenera e buffa, insomma, che accompagna dell’orsetto avventuriero nei suoi momenti di entusiasmo come in quelli più dimessi.

Quando Teddy si chiede che cosa ci sia oltre il fiume, quando diventa triste per essere l’unico a non poter nuotare, quando arriva sull’isola l’altezzosa Regina Clara che vuol dettare regole e leggi o quando piove per giorni interi rendendo impossibile ogni escursione, sono questi amici, ciascuno alla sua strampalata maniera, a rendere vitale l’isola insieme al protagonista. In questo senso L’isola dei Giocattoli perduti è un libro che, senza un fare troppo invadente, racconta il bello dell’amicizia nella diversità, il succo di relazioni che crescono non malgrado ma proprio in virtù della varietà di indoli, abilità e caratteri: relazioni in cui anche una limitazione motoria come quella di Teddy non preclude una straordinaria curiosità e capacità di porsi domande che allrgano lo sguardo e soprattutto la possibilità di condividerle e renderle contagiose nei confronti dei propri cari.

L’isola dei giocattoli perduti è un libro dal ritmo lento, pensoso: il ritmo forse che meglio si addice a una vita pacifica su di un’isola sperduta. Le piccole avventure che  coinvolgono i protagonisti vivono più di immaginazione che di colpi di scena e tengono salda la mano del lettore, come d’altronde si chiede a un fedele giocattolo di fare. Raffinate e dal coerente tono malinconico, le illustrazioni in bianco e nero di Fabio Sardo che accompagnano il testo di Cynthia Voigt conducono il lettore in un mondo fantastico, che profuma di esplorazioni nel bosco e muffin al lampone.

Con le ali di Aurora

Nella vita di Lorenzo qualcosa sta cambiando: il papà si è trasferito per lavoro in Australia, la mamma non è più solare come in passato e nella sua classe, da qualche tempo, tutto sembra più caotico e complicato. Una volta era diverso: la vita in famiglia nella tranquilla Pesaro era piacevole, la mamma Lola inventava storie buffe senza diventar matta per trovare un editore e il suo amico Maurizio stava bene con lui, sia a casa sia a scuola. Ma ora non più. E così Lorenzo si dedica in solitaria a passioni come il basket e prova a ritrovare una sintonia con chi gli sta accanto, alla disperata di ricerca di un equilibrio con sé stesso e con il mondo intorno. In questo delicato passaggio è l’arrivo in classe di una nuova bambina, Aurora, a fare la differenza. Affetta da sindrome di Down, Aurora ha modi e tempi tutti suoi, necessita di un insegnante di sostegno e crea non poco scompiglio in classe mettendo a dura prova la pazienza delle maestre e le dinamiche rodate del gruppo. Proprio questo suo modo insolito di stare al mondo porta però Lorenzo a una riflessione importante su cosa sia la normalità e a un’idea vincente che metterà insieme la passione di Aurora per il disegno e l’abilità di Lola nel narrare storie.

Con le ali di Aurora è un libro con un ritmo pacato che parte piano piano e accelera sul finale dopo essersi preso il tempo di far conoscere i suoi protagonisti al lettore. Le situazioni di vita scolastica che dipinge sono impastate di realtà e danno conto del ruolo determinante giocato, per una buona soluzione inclusiva, dalla personalità, dall’inventiva e dalla buona volontà delle singole maestre . Nel comportamento di Maurizio e di Aurora, ma anche dei loro compagni, c’è tutto lo scarto tra le etichette di cui sono infarcite le direttive e la pratica con cui gli insegnanti si trovano quotidianamente  ad avere a che fare, ci sono le soddisfazioni enormi di chi abbraccia la missione  educativa ma anche le sue difficoltà non trascurabili, c’è la necessità ben espressa di trovare spazi di conforto per ciascuno e possibilità di valorizzazione che travalichino i limiti imposti dall’handicap. Nel libro potranno trovare tracce di sé, quindi, sia gli adulti che i bambini, il che rende Con le ali di Aurora particolarmente adatto a una lettura in classe che stimoli il confronto e la condivisione di esperienze.