Il cappello
Con l’andamento ritmico di una cantilena d’altri tempi, Il cappello di Paolo Ventura racconta le vicissitudini di un pupazzo di neve e lo spirito resiliente di chi, come lui, conosce la gioia del donare. Immobile e imperturbabile, il protagonista subisce, infatti, una serie di furti senza smettere di mostrarsi impassibile. Quelli che per lui, in fondo, non so che accessori, per qualcun altro diventano possibilità di far fronte al rigido inverno: una sciarpa per scaldarsi, una carota pe nutrirsi, un ramo per costruirsi un nido. Resiste, resiste, il pupazzo, fino a che di lui non resta che un mucchietto di neve e un cappello. La speranza a quel punto vacilla, la tenace letizia si affievolisce. Ma la primavera è dietro l’angolo e una nuova trasformazione può finalmente compiersi…
Il libro di Paolo Ventura è un silent book dall’indole poetica e dal passo misurato. Le illustrazioni che lo animano appaiono infatti sobrie e avvolgenti, capaci di raccontare l’inverno con pochi tocchi significativi. Più di una caratteristica, poi, rende Il cappello interessante dal punto di vista dell’accessibilità.
Si tratta innanzitutto di un volume che, facendo a meno delle parole, intercetta più facilmente di altri un’ampia fetta di pubblico che trova maggior agio nella lettura visiva. Esso offre, poi, una storia gustosa e compiuta che si risolve, però, nella misura contenuta dell’albo illustrato ossia nella canonica trentina di pagine. Le pagine presentano, infine, un’inquadratura fissa, frontale, che riprende il protagonista sempre nella stessa posizione e che ne agevola il riconoscimento.
Analogamente, la struttura narrativa si caratterizza per un’apprezzabile regolarità. Il ritmo in tre tempi – fotografia del pupazzo, fotografia di un personaggio secondario che si appropria di un suo accessorio, fotografia dell’uso che di quell’accessorio viene fatto – crea una condizione di prevedibilità che gratifica il lettore e che, allo stesso tempo, lo sostiene nel cogliere i continui cambiamenti che coinvolgono il protagonista A ogni passaggio, infatti, il pupazzo risulta sempre identico – nella posizione, nell’espressione, nell’inquadratura – fatto salvo per un elemento di volta in volta viene sottratto. Ne risulta un equilibrio tra prevedibilità e sorpresa che consente alla storia di procedere fitta ma allo stesso tempo di essere goduta anche da parte di chi necessita di qualche punto di ancoraggio in più.