Petit Penguin est dans la lune (Francia)

Routine e incombenze di ogni giorno portano via una sacco di tempo prezioso alla quotidianità più piacevole e affettuosa di una famiglia e così mamme e papà – umani o pinguini che siano – si trovano frequentemente a sollecitare i loro cuccioli affinché si sbrighino ad alzarsi, far colazione, lavarsi o correre a scuola, dando luogo a un carico emotivo che può essere difficile gestire per i piccoli. Così accade a Petit Pengouin che, strigliato e rincorso, si ritrova spesso in lacrime e finisce per pensare che i suoi genitori non gli vogliano più bene. Ma è davvero così? La rivelazione di mamma e papà porterà una nuova inattesa luce sui frequenti rimbrotti.

Contraddistinto da illustrazioni tenere in cui il piccolo lettore può facilmente immedesimarsi e da un racconto lineare e piacevolmente ricorsivo, Petit Pingouin est dans la lune racconta una storia di emozioni quotidiane attraverso il testo alfabetico e una sua particolare conversione in LSF (Langue des Signes Française), chiamata Français signé (francese segnato) in cui i segni si modulano sulla sintassi del francese scritto. Quella proposta dal volume non è dunque una vera e propria traduzione in Lingua dei Segni, rispettosa delle peculiarità sintattiche e compositive di quest’ultima, quanto piuttosto un adattamento che favorisce un primo avvicinamento (tanto per i bambini sordi quanto per i loro compagni) alla comunicazione propria di una parte della comunità non udente.

Se la conversione non è dunque (consapevolmente) rigorosa, la rappresentazione grafica dei segni è davvero molto precisa e capace di indicare in maniera piuttosto chiara i movimenti che occorre riprodurre, anche quando è prevista una sequenza complessa. L‘invito a cimentarsi con una narrazione gestuale  – per chi la conosce, così come per chi ne è totalmente digiuno – si fa così particolarmente irresistibile e accessibile. Il libro si presenta in definitiva come un supporto prezioso non tanto per consentire di godere direttamente della storia in LFS quanto per familiarizzare con quest’ultima modalità comunicativa, grazie anche alla chiara descrizione dei diversi segni che si trova in chiusura del volume.

Off to the beach (Gran Bretagna)

Off to the beach, così come gli altri volumi della collana di Child’s play intitolata Tactile Books (che comprende, oltre al titolo in questione anche Off to the park, dedicato al gioco all’aperto e Getting ready, dedicato alla preparazione per la nanna), è un libro tattile piuttosto diverso da quelli cui siamo abituati sia per quanto riguarda la concezione del testo sia per quanto riguarda la realizzazione delle immagini.

Il libro costituisce infatti un esempio puntualissimo ed efficace di volume destinato a bambini piccoli, indicativamente in età prescolare, che con tutta probabilità non leggono in autonomia ma che necessitano di strumenti con cui iniziare a prendere confidenza con la parola scritta. Per questa ragione il testo di Off to the beach – piacevolmente rimato e ricco di onomatopee – non è interamente trascritto in Braille mentre lo sono le parole chiave di ogni pagina, ciascuna dedicata a un’azione tipica che si svolge al mare o a oggetti comuni che qui si utilizzano o si incontrano. Così il bambino non vedente (e con lui, chiaramente, anche i compagni privi di difficoltà) ha modo di scoprire che le parole non si dicono solo ma si scrivono anche e che una certa sequenza di puntini corrisponde a un preciso messaggio. Il libro sparge cioè semi di curiosità, ponendo le basi anche per primissimi tentativi di decodifica autonoma.

Anche le immagini, dal canto loro, si discostano da quelle cui ci hanno (bene!) abituati i libri tattili italiani, pur rispondendo a una logica di accessibilità altrettanto interessante e coerente. Ogni pagina propone infatti la rappresentazione di pochi e ben distinti oggetti, perlopiù realizzati in cartoncino dal contorno leggermente in rilievo o rientrante (ma sufficientemente distinguibile al tatto) e solo in parte arricchiti da materiali specifici (tessuto elastico per la scarpette da mare, stoffa per il cappello, carta vetrata per la sabbia, plastica per il secchiello, tessuto morbido per l’asciugamano), non attaccati sulla pagina ma piuttosto posti al di sotto di essa e ben contornati da un bordo che il polpastrello riesce a seguire. Ben scelti in rapporto a quella che può essere l’esperienza concreta di un bambino (vedente e non), gli oggetti rappresentati vantano forme nette e colori brillanti che seducono con forza non solo le dita ma anche gli occhi.

Farm (Gran Bretagna)

Compatto e maneggevole, Farm è il terzo titolo di una serie di libri tattili inglesi piuttosto diffusi. Come i due volumi precedenti – Shapes e Counting – anche questo propone su ogni pagina il testo a grande carattere accompagnato dalla trascrizione in Braille e da illustrazioni ben contrastate dai contorni in rilievo.

Il testo di Farm è semplice e piacevole, non solo per la struttura rimata che lo contraddistingue  ma anche per il richiamo dei versi degli animali che lo rende particolarmente adatto a una lettura ad alta voce. La trascrizione in Braille è inoltre molto netta sia al tatto sia alla vista il che agevola la lettura da parte dei bambini non vedenti e attrae l’attenzione dei bambini vedenti.

Ciò che caratterizza, però, e rende particolarmente interessante questo volume, anche rispetto ai precedenti titoli della collana, è la scelta di utilizzare come immagini di base le fotografie dei pezzi di Lego Duplo che riproducono gli animali di cui il libro parla. La filastrocca su cui esso si basa vede infatti protagonisti, uno per pagina, i più comuni abitanti della fattoria: tutti personaggi che, facilmente, il lettore può avere a disposizione in casa in forma di giocattolo. La forma scelta per rappresentare maiali, mucche, trattori e anatre nello stagno risulta quindi più familiare al bambino anche con disabilità visiva, che può riconoscere gli animali non solo a partire dal solo contorno ma anche e soprattutto con una manipolazione a 360° del corrispettivo pezzo di Duplo di cui eventualmente dispone. Quest’ultimo, dunque, può agevolare l’esplorazione e la decodifica  senza tuttavia dover essere necessariamente attaccato alla pagina: soluzione, questa,  interessante, nell’ottica di integrare lettura e gioco e di garantire l’accessibilità, anche economica, dei libri tattili.

La creazione di immagini percepibili al tatto grazie ai contorni in rilievo invece che al collage di materiali consente infatti alla casa editrice di mantenere i costi decisamente più bassi e di beneficiare di un sistema di distribuzione più consueto rispetto agli standard dell’editoria tattile. Non a caso il libro risulta reperibile  nel paese di pubblicazione anche nelle più comuni librerie (o addirittura nelle edicole), mentre dall’Italia può essere facilmente ordinato online.

Boucle d’or – collana Raconte à ta façon (Francia)

La collezione Raconte à ta façon è, già nel titolo, un piccolo manifesto di lettura che condensa bene la filosofia dei silent book. Raccontare la storia alla propria maniera, a piacimento insomma, è infatti una delle caratteristiche che rendono i libri senza parole così intriganti e così accessibili poiché ciascuno può trovarvi la sua personalissima strada per dare forma al racconto. Ma la collezione di Flammarion va forse anche un poco oltre perché i silent book di cui si compone, tutti dedicati a fiabe tradizionali, asciugano a tal punto la storia di base, grazie a una rappresentazione simbolica  ed essenziale di personaggi, oggetti e ambienti, che restituiscono davvero al lettore la massima libertà narrativa.

Nel caso di Boucle d’or, per esempio, Riccioli d’oro diventa un triangolo dorato, i tre orsi tre cerchi marroni di dimensione crescente e tutti gli elementi chiave della storia – dalla foresta alla casa, dalla tavola al letto – trovano rappresentazione in forme stilizzatissime. Questo fa sì che anche una fiaba arcinota come Riccioli d’oro (o come Cappuccetto Rosso, I tre porcellini e Il gatto con gli stivali per citare alcuni altri titoli della collana) possa ritrovare una veste nuova e un’interpretazione originale capace di gettare nuovi semi e nuovi stimoli nell’immaginario del lettore. Inoltre, l’accessibilità dettata dall’assenza di parole si rafforza qui in virtù di una rappresentazione minimal e del tutto priva di fronzoli che aiuta il lettore a non perdersi: caratteristica, questa, che predisporrebbe infine il volume anche a un’agevole trasposizione tattile così come dimostrato in passato dal magistrale lavoro di Les Doigts Qui Rêvent sul Cappuccetto Rosso di Warja Lavater.

Graines de montagne (Francia)

In un paese piatto e interamente ricoperto di sassi, vivono due tribù: quella degli uomini piccoli piccolissimi e quella degli uomini grandi grandissimi. La convivenza tra le due non è proprio felice: i grandi approfittano infatti della loro superiorità fisica per appropriarsi delle risorse migliori e lasciare ai piccoli solo gli scarti. Ma i piccoli non ci stanno e iniziano a inventare soluzioni via via più ardite per ribaltare il rapporto di forza che li lega ai grandi. L’idea che risulta vincente pare essere, dopo alcuni tentativi, quella di piantare dei semi di sasso e farli crescere fino a potervi salire su ed ergersi così al di sopra dei grandi. Ma questo dà vita a un’escalation nella coltivazione delle pietre che porterà le due tribù a confrontarsi per trovare infine una soluzione condivisa.

La peculiarità di questo albo illustrato dal racconto lineare e dalle illustrazioni originali sta nella maniera in cui il testo viene stampato: una semplice alternanza di colori evidenzia infatti la  sillabazione delle diverse parole mentre un sistema di sottolineature e archi indica, rispettivamente, lettere mute e liaison. Si tratta di un accorgimento tipografico che rende più semplice la distinzione tra i diversi caratteri e il riconoscimento del loro ruolo dal punto di vista orale, agevolando la lettura silenziosa o ad alta voce da parte di lettori alle prime armi o con difficoltà legate alla dislessia

Favole di pace

Qualche decina di anni sulle spalle ma uno spirito bambino inscalfibile: così le Favole di pace scritte dal maestro Mario Lodi continuano a mantenere una freschezza che le fa gustare con autentico piacere. Ispirate dagli stessi bambini che di Mario Lodi erano allievi e insieme a loro composte, così come accaduto per il forse più celebre Cipì, le Favole di pace sono 14 racconti brevi, perlopiù in prosa ma qualcuno anche in versi, che gettano uno sguardo fantastico ma anche molto lucido sulle storture del mondo che l’uomo crede a torto di possedere e sugli esiti luminosi che una cultura della solidarietà, del rispetto e della pace potrebbe invece portare con sé.

Macchine che permettono lo scambio dei pensieri, intere classi di bambini in volo al motto di “basta volerlo”, prati che custodiscono segreti musicali, isole sospese in cui ritrovare i propri cari perduti, bambini capaci di entrare nel televisore: i personaggi e le cornici messe in scena da Mario Lodi sono i più variegati e dinamici. Ad accomunarli, il ruolo decisivo che bambini e animali hanno nel rimettere in sesto un mondo  sottosopra. E così, intorno alla penna lievissima ma pungente dell’autore crescono foreste rigogliose e invenzioni straordinarie, scoperte sensazionali e ribellioni salvifiche che trasformano uno sguardo disinteressato e curioso come quello infantile in un’occasione di riscatto per il pianeta intero.

Pubblicate in precedenza da la meridiana, le Favole di pace vengono ora riproposte dalle Edizioni Terra Santa in una deliziosa versione illustrata da Desideria Guicciardini. Impreziosita e irrobustita da una copertina rigida così come gli altri titoli della bella collana Gli Aquiloni, il volume presenta un’impaginazione tutt’altro che claustrofobica che grazie a una spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, alla sbandieratura a destra del testo e all’adozione di un font ad alta leggibilità (Easyreading) si presenta amichevole e invitante anche agli occhi di lettori riluttanti o meno a loro agio di fronte a un libro, per ragioni di abitudine o di difficoltà di lettura. L’invito d’altro canto non è ingannevole: i testi di Mario Lodi sono infatti godibilissimi, con guizzi fantastici che accendono l’immaginazione e tocchi ironici che schiudono sorrisi. Le figure di Desideria Guicciardini  che li affiancano passo passo, minuti nei centimetri occupati e nei dettagli colti, spargono dal canto loro una vivace allegria sulla pagina, cogliendo con finezza la leggerezza pensosa del maestro di Vho.

Tana

La preziosità dei libri, per tutti noi che ci occupiamo di lettura e infanzia, è cosa nota e fuor di dubbio. Alcuni libri più di altri, però, quella preziosità la rivendicano e la rendono manifesta, facendone la propria cifra non nel contenuto come nella forma. È il caso di Tana, libro tattile illustrato vincitore nel 2017 del Concorso Nazionale Tocca a te! e ora reso disponibile dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi in una tiratura numerata e firmata dalle autrici. Strabiliante fin dalla confezione, che invita a un approccio rispettoso e non privo di cura, Tana si presenta come un libro di stoffa dalle spessissime pagine grigie (molto agevoli, dunque, da sfogliare anche per chi manifesti difficoltà legate alla motricità fine), impreziosite da un merletto azzurro che fa da cornice, lo stesso che si ritroverà a inquadrare il testo in nero e in Braille sulle pagine interne. Una cornice, dicevamo, e la scelta non è certo casuale: l’impressione con il libro in mano è proprio quella di trovarsi di fronte a un quadro e come tale predispone il lettore a una forma di meraviglia che con tutta probabilità non verrà delusa.

Dedicato ai rifugi che i diversi animali, uomo compreso, allestiscono per trovare conforto e riparo, Tana si sviluppa come una vera e propria carrellata di nidi, buchi e case all’interno di ciascuno dei quali si nasconde un particolare inquilino. Di chi si tratti sta al lettore scoprirlo, poiché ad ogni pagina di sinistra il testo propone una sorta di indovinello mentre sulla pagina a fianco (quindi nettamente distinta, così da agevolare il reperimento di elemento testuale ed elemento iconico), l’illustrazione a collage materico presenta un diverso e significativo involucro in cui infilare la mano e di cui esplorare il contenuto. Conigli, polpi, porcospini, picchi, serpenti e bambini si svelano così all’immaginazione del lettore grazie al contributo degli indizi descrittivi forniti dal testo, dalla rima lasciata in sospeso e dai dettagli significativi dal punto di vista tattile inseriti nelle tane. Tra punte spinose (arrotondate, eh!), tentacoli viscidi, piume soffici e via dicendo il giovane lettore compie così piccole ma ricchissime indagini tattili che si svolgono quasi interamente “sotto coperta” e che come tali mettono lettore vedente e non vedente sullo stesso piano. Certo, chi ci vede può sempre dare una sbirciata, ma il bello di Tana è proprio la suggestiva esplorazione che offre alle dita di qualunque lettore e non è affatto detto che uno sguardo in più renda la lettura più ricca (anzi!).

Accuratissimo nella selezione dei materiali, tanto interni quanto esterni, il libro condensa in poche ma ricchissime pagine una moltitudine di possibilità e stimoli diversi, che vanno dal divertimento ludico degli indovinelli, al piacere narrativo legate alle micro-narrazioni, fino ad arrivare agli spunti scientifici che dalla scoperta dei diversi habitat si possono trarre: un piccolo gioiello, insomma – e dato l’enorme lavoro di manodopera implicato Tana si rivela tale, ahimè, anche nel prezzo – che al netto di qualche licenza poetica (come il “dove abiti te” finale), offre un rifugio davvero accogliente a chi voglia crogiolarsi nell’incanto.

Artù, il bambino dai capelli blu

Artù è una specie di alieno, in tutto e per tutto uguale a un umano nell’aspetto, fatto salvo per una evidente chioma blu. Coinvolto suo malgrado in un errore di consegna da parte della cicogna, Artù si ritrova su di un pianeta che non è il suo: la Terra. Qui si mostra in tutta la sua peculiarità ma questa non gli impedisce di avvicinarsi ai suoi coetanei dai capelli biondi o bruni e condividere con loro sereni momenti di divertimento comune. Al punto che, scoperto l’errore e invitato dal re del suo pianeta a tornare a casa, Artù declina l’invito, se non per approfittare di una vacanza straordinaria insieme ai suoi amici terrestri.

Nato per rispondere al bisogno di una mamma di parlare attraverso le immagini al suo bambino e del suo bambino, Artù, il bambino dai capelli blu è una storia semplice di diversità, rappresentata simbolicamente dall’insolita chioma del protagonista e resa evidente dai suoi comportamenti insoliti di fronte a colori, rumori o luci troppo forti, ma anche di uguaglianza, raccontata come possibilità di gioco e amicizia che si sviluppano al di là delle differenze.

Scritto in simboli, il racconto intende raggiungere anche bambini con difficoltà di decodifica del testo alfabetico. La scelta, inoltre, della stesura in rima agevola l’aggancio al tracconto anche laddove l’attenzione sia più complessa da mantenere. I simboli scelti sono quelli della collezione WLS, riquadrati insieme al testo alfabetico scritto in minuscolo e impiegati per simbolizzare ogni elemento della frase individualmente preso. Così composto, e supportato da illustrazioni che agevolano l’identificazione dei personaggi di volta in volta implicati dal testo e le azioni da essi compiute, il racconto si presta bene a una lettura da parte di bambini non alle primissime armi con la CAA.

L’uovo azzurro

Ohibò, un uovo azzurro a Boscoscuro è un’autentica novità. Di chi può essere? Cosa ne uscirà? Sarà pericoloso? Questi e altri interrogativi impellenti si diffondono tra alberi e tane, dopo che LeprotTina e ZamPaolo incappano per caso nell’insolito uovo e lo portano alla conoscenza della comunità del bosco. A nulla servono i consigli della saggia TalpAnna: a Boscoscuro si crea un gran scompiglio mentre confusione e timore spianano la strada a pregiudizi e ostilità nei confronti del diverso. E così, la generosa disponibilità di Zampacorta, che si offre di covare l’insolito uovo, viene accolta dagli altri abitanti con disprezzo e ostilità, costringendo il tosto coniglietto a mettere in campo affetto incondizionato e determinazione per portare a termine il suo impegno. Ed eppure, alla fine, sarà la sua tenacia gentile ad averla vinta e a dare tutto Boscoscuro una preziosa lezione di accoglienza.

L’intenzione di lanciare un messaggio forte al lettore in favore dell’apertura e del rispetto della diversità – sia essa fisica, legata alla provenienza o di qualunque altro tipo – traspare in maniera piuttosto esplicita all’interno del testo che in certi punti risulta, per questa ragione, un po’ appesantito. Per il resto il racconto si popola di numerosi personaggi del bosco che incarnano qualità positive o negative del tutto ravvicinabili a quelle umane. L’uovo azzurro si presenta infine con caratteristiche di stampa ad alta leggibilità quali il font Easyreading, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe (ma non tra paragrafi) e la sbandieratura a destra, intendendo così rivolgersi a un pubblico che non escluda i giovani lettori con dislessia.

Le renne di Babbo Natale

Le renne di Babbo Natale è una fiaba che vede protagonista una principessa di nome Alexia che attende tutto l’anno il magico momento del Natale e che ospita proprio nel suo castello Babbo Natale e le sue renne. Cresciuta fin da bambina con questa passione per una festa capace di unire e avvicinare le persone, Alexia raggiunge l’età da marito ma rifiuta di sposare chiunque non ami profondamente come lei il 25 dicembre. A nulla valgono i tentativi del padre di individuare il pretendente adatto a suon di editti e proclami: per trovare lo sposo giusto sarà necessario cercare dove meno re e principessa si aspettano e contare su di un pizzico di magia natalizia.

Pubblicato originariamente in versione tradizionale, Le renne di Babbo Natale è ora reso disponibile dall’editore Pacini in versione in simboli, messa a punto secondo il modello inbook, ossia con simboli WLS, simboli e testo alfabetico riquadrati e tutti gli elementi della frase simbolizzati individualmente. Il testo, scritto da una nonna per la sua nipotina, presenta frasi piuttosto articolate e complesse, oltre che una certa densità sulla pagina, che lo rendono meno immediato di quel che ci si potrebbe aspettare da una fiaba. La lunghezza e la struttura dei periodi e la scelta di un lessico non sempre quotidiano richiedono infatti al lettore una certa abitudine a frequentare i simboli e una discreta abilità a seguire racconti non elementari. Le illustrazioni, dal canto loro, risultano vivaci, ben contrastate, prive di dettagli superflui e sempre dedicate ai protagonisti descritti dal testo, intenti a compiere azioni significative dal punto di vista del supporto alla comprensione della narrazione.

Il pupazzo di neve

È uno dei silent book più conosciuti e longevi, Il pupazzo di neve: un libro firmato da Raymond Briggs che ha attraversato più di quattro decenni e che viene ora riproposto in una bella e ampia versione da Rizzoli.

Protagonisti sono un bambino e il pupazzo di neve da lui costruito con cura e attenzione. Opportunamente dotato di occhi e bottoni di carbone, naso di mandarino, nonché di sciarpa e cappello autentici, il pupazzo fa bella mostra di sé nel bel mezzo del cortile. Il bambino ci gioca tutto il giorno ma quando scende la sera non può che osservarlo nostalgico da dietro la finestra di casa e continuare a pensarci anche sotto le coperte. Quando però il desiderio di riaverlo accanto e condividervi momenti gioiosi si fa troppo forte il bambino sgattaiola di soppiatto fuori dall’uscio e porta il pupazzo dentro casa.  Nel silenzio e nel segreto della notte, i due si divertono a giocare con gli interruttori, la colla e la carta, a correre sullo skateboard, a imbandire una tavola di delizie e fingere di guidare un’auto: tutte cose sconosciute per il buffo omino di neve e che in questa nuova e proibita scoperta acquistano interesse anche per il bambino. Tra un gioco e l’altro, bambino e pupazzo non mancano di rinfrescarsi davanti al frigo o al freezer, con gesti che richiamano in un ludico rovesciamento la convivialità e l’intimità tipica del focolare. Ma il rovesciamento prosegue poi nei ruoli: da guida e padrone di casa, il bambino diventa passeggero e compagno, in un viaggio condotto dal pupazzo  sopra la città e la campagna imbiancate. Il loro è dunque uno scambio di segreti, conoscenze e gesti affettuosi e che si protrae fino al sorgere del sole, quando il bambino deve rientrare nel suo letto prima che la famiglia e la città si svegliano. Gli resta qualche ora di sonno prima di alzarsi e correre di nuovo dal suo amico, di cui non resta però che qualche traccia, proprio come accade per i sogni.

Delicatissimo nei temi toccati come nel tratto, che il pastello rende un po’ indefinito e come tale perfetto per un racconto sospeso tra dimensione reale e dimensione onirica, Il pupazzo di neve procede per sole immagini racchiuse all’interno di vignette, in una sorta di fumetto privo di parole e di baloons. Così composto, il libro riesce a fotografare in maniera dettagliata singoli passaggi narrativi, rendendo chiarissimo al lettore, nonostante l’assenza totale di testo,  come si sviluppi la storia. In questo senso, Il pupazzo di neve si presta bene a una lettura – individuale o condivisa con l’adulto (meno, probabilmente, in gruppo) – che risulti fruibile anche da parte di bambini che fatichino un po’ di più a compiere inferenze e dedurre da sé ciò che testo e immagini non rivelano esplicitamente.

Guarda, c’è un porcello che vola

La storia dei tre porcellini la conosciamo più o meno tutti ma la versione che ci propone Guido Quarzo ha qualcosa di speciale. Certo, anche qui ci sono tre fratelli maialini, un lupo dal grande fiato, una casa di paglia, una di legno e una di mattoni, ma il modo in cui intorno ad essi si delinea il racconto, rende la fiaba piacevolmente sorprendente. E così finisce che in quel bosco a noi tutti noto un lupo si ritrovi all’ospedale per indigestione di sciroppo per la tosse e un porcellino sognatore voli via nella sua casa color del grano, immerso in una lettura appassionante. Modificando di poco, insomma, l’ordine degli avvenimenti, il risultato cambia eccome!

Brevissima, di facile approccio e divertente, Guarda c’è un porcello che vola costituisce una proposta di lettura ghiotta per lettori alle prime armi. La presenza di illustrazioni ampie e ad ogni pagina, unita a scelte tipografiche ispirate all’alta leggibilità – come il font leggimi mutuato da Sinnos, la spaziatura maggiore, la sbandieratura a destra e la carta opaca caratteristica della collana Il Battello a Vapore – rendono inoltre il libro particolarmente amichevole e abbordabile anche in caso di maggiori difficoltà di lettura legate alla dislessia. Il libro è disponibile anche in formato ebook (2.99 €)

L’acchiappaidee

Parola d’ordine: acchiappare. Acchiappare le idee, come indica chiaramente il titolo del cofanetto progettato da Fabrizio Silei, ma anche acchiappare il lettore, con una proposta originale e coinvolgente, e infine acchiappare un progetto, provare a definirlo, cioè, nel suo essere vivacemente sfuggente. Perché tale appare L’acchiappaidee, che libro non è, gioco neppure, libro-gioco forse sì ma che è anche qualcosa di più.

Il suo contenuto è presto detto: un libro e un set da 144 tesserine illustrate fronte-retro. Il modo in cui i due elementi interagiscono tra loro e in cui è possibile, per il lettore-inventore, farli propri, beh, quella è tutta un’altra storia. Il libro propone infatti un racconto, il racconto di un pianeta su cui accadono cose, crescono foreste, compaiono creature bislacche e si formano città, un racconto che si sviluppa come un dialogo, che chiama il lettore ad attivarsi, e che viene illustrato proprio combinando le tesserine che accompagnano il volume, unite a qualche sparuto tocco di matita. Il libro è dunque una prima idea acchiappata, in questo caso dall’autore, e un manuale di istruzione sui generis che, una volta chiuso, lascia al lettore il testimone per dar vita a nuovi personaggi e nuove avventure.

Ciò che si può creare con le tesserine messe a disposizione, accuratamente studiate nei motivi e nei colori, è impossibile (oltre che probabilmente del tutto inutile) da circoscrivere: robot, mostri, animali e creature fantastiche non chiedono che di uscire allo scoperto ma anche gli ambienti e gli oggetti più disparati e, perché no, concetti astratti, possono prendere forma dalla giusta combinazione di tessere. Giusta per il lettore, chiaramente, perché se c’è una cosa certa di fronte all’Acchiappaidee è che il giusto e lo sbagliato sono categorie che sta al lettore definire sulla base della sua personalissima sensibilità e immaginazione. L’acchiappaidee – spiega lo stesso Silei in chiusura di volume – nasce proprio con questo scopo: restituire ai bambini la possibilità di “vedere e immaginare in piena libertà”, offrendo terreno fertile alla germinazione della “nostra unicità di esseri simbolici e metaforici”.

Secondo lo stesso principio di libertà, si sviluppa inoltre il processo creativo innescato dal contenuto del cofanetto. Poco importa, infatti, che le tesserine diano vita a singoli personaggi o a narrazioni complesse; che la loro combinazione ispiri lo sviluppo della storia o che al contrario sia la storia a stimolare la ricerca delle tesserine più adatte a rappresentarla: ciò che conta è che ciascuno sia messo nella condizione e si senta legittimato a esprimere la propria creatività. In questo senso L’acchiappaidee offre una possibilità di gioco, e in particolare di gioco inventivo e narrativo che tanto ha a che vedere con il piacere della lettura, ampiamente accessibile anche in caso di disabilità intellettiva o comunicativa. Non a caso il raffinato e attento progetto di Fabrizio Silei ha trovato calda accoglienza proprio in casa Uovonero che dell’accessibilità ha fatto la sua bandiera e la sua missione più potente. Dal confronto con l’esperienza della casa editrice in materia di autismo il progetto si è infatti arricchito, sviluppato, perfezionato, offrendo ora a un pubblico davvero trasversale, per età e abilità, uno strumento estremamente versatile e interessante con cui inventare, disegnare, raccontare. Da acchiappare, insomma!

Mi chiamo Nina e vivo in due case

Trovare il modo di raccontare ai bambini un’esperienza delicatissima come la separazione dei genitori e di far capire loro che l’amore per i figli non ne esce in alcun modo sminuito o snaturato non è cosa facile. Eppure quell’esperienza è reale e diffusa. Ben venga allora il supporto che può fornire un libro come Mi chiamo Nina e vivo in due case, che al tema dedica parole e figure ricercate con cura.

La storia e la voce sono quelle di Nina che mette subito a parte il lettore della sua situazione abitativa: “Papà vive in una casa. Mamma in un’altra. Io vivo in due case”. Quando incontriamo Nina, cioè, la separazione dei suoi genitori è già avvenuta e il tempo in cui baci affettuosi e abbracci a sandwich erano un affare a tre, fa già parte del passato. In mezzo c’è stata la tempesta, fatta di brutte parole scambiate tra i grandi e ascoltate di nascosto dalla piccola, di decisioni drastiche e di quotidianità scombussolate: una tempesta che non cessa di colpo ma che continua ad avere degli strascichi, per esempio nei pensieri nebulosi degli adulti che appaiono meno attenti, presenti e severi. E tuttavia dalla tempesta si può uscire e questo accade più facilmente se mamma e papà sono i primi a ricercare un nuovo equilibrio in cui le parole e i baci possono tornare a scorrere, anche se a due invece che a tre, e in cui il vivere in due case diverse si trasforma in qualcosa che è strano sì, ma non è poi così male.

Mi chiamo Nina e vivo in due case si presenta insomma come un libro il cui tema è netto ed esplicito e il cui obiettivo è quello di dare una rappresentazione a quel turbinio di sentimenti spesso contrastanti che una separazione reca con sé. Lo fa con parole dirette che non nascondono la difficoltà, la nostalgia e il risentimento (ma che non li lasciano soli) e con illustrazioni delicate e particolarmente attente alle espressioni del corpo e del viso dei personaggi.

A catalogo per Clavis dal 2009, il libro viene ora ripubblicato, a distanza di dieci anni, anche in una versione in simboli. Realizzata secondo il modello inbook, con simboli WLS e nel rispetto di un processo di simbolizzazione che non tralascia alcun elemento della frase, questa versione del libro di Marian De Smet e Nynke Talsma sottolinea l’importanza di fornire strumenti utili per esplorare sentimenti e cambiamenti importanti anche a bambini che manifestano difficoltà comunicative: bambini che non di rado presentano anche marcate difficoltà ad accettare piccole e grandi modifiche alle proprie abitudini di vita.

Che bambino fortunato!

Parlare di fortuna in relazione alla disabilità può portare qualunque discorso, letterario e non, su di un terreno molto molto sdrucciolevole. Il rischio di scivolare dentro una vuota idealizzazione o di inciampare sul politically correct è infatti elevato. Quel rischio, l’albo illustrato Che bambino fortunato! se lo accolla con coraggio, camminando pagina dopo pagina lungo un crinale impervio su cui però mantiene sempre un certo equilibrio.

Come ci riesce? Probabilmente mettendo in scena dei personaggi credibili e una quotidianità concreta che permette a un cambio di prospettiva di fare capolino tenendo però i piedi ben piantati a terra. Protagonista e voce narrante del libro di Lawrence Schimel e Juan Camillo Mayorga è un bambino vivace che ama i soldatini, le storie e gli animali.  Queste passioni le condivide in parte con il suo amico Carlo, con cui conduce per interi pomeriggi battaglie da salotto ed esplorazioni preistoriche, e in parte con il fratello Davide, non vedente, con cui si immerge in appassionanti letture serali e da cui si lascia conquistare a suon di invenzioni fantastiche. Ma i rapporti si nutrono di differenze oltre che di somiglianze e così, nel suo racconto, il bambino sottolinea non solo ciò che lo avvicina anche ciò che lo distingue da Carlo – che per esempio ha un’iguana, può lasciare i soldatini in giro per casa, è figlio unico e deve rifarsi il letto ogni mattina – e da Davide – che non prende parte alle battaglie ma che ha potuto avere una cane tutto suo senza nemmeno chiederlo, dispone di una memoria eccezionale e può leggere anche quando la luce viene spenta. Nella vita di Davide, così come in quella di Carlo e in quella del protagonista, insomma, la fortuna non manca: semplicemente assume forme differenti che in fondo consentono a quel titolo spiazzante – Che bambino fortunato! – di potersi attagliare ugualmente a ciascuno di loro.

Nel caso di Davide, in particolare, la fortuna non ha a che fare in senso lato con la sua disabilità: non è la cecità in sé, cioè, ad essere una fortuna ma il fatto che, in parte a causa o in virtù di essa, il bambino abbia sviluppato qualità (come la memoria) e disponga di possibilità (come il possesso di un animale domestico) che il protagonista invidia. Il senso di questa fortuna non sta dunque in astruse e pseudoliriche interpretazioni della disabilità (non infrequenti anche nei libri per l’infanzia) che vogliono mostrarla a tutti i costi come un dono o addirittura come un superpotere, ma nell’apprezzamento di quanto di buono e di bello essa rechi con sé. La forza di Che bambino fortunato! sta proprio in questo: nel cogliere un bicchiere mezzo pieno a misura di bambino, un bicchiere fatto di cose concretissime come una lettura prolungata e proibita sotto le coperte o una memoria portentosa, funzionale al bisogno di muoversi in sicurezza e autonomia per casa o per strada.

Peraltro, pur acquisendo uno spazio centrale all’interno della storia, la disabilità di Davide non viene mai esplicitata a parole ma viene pian piano svelata e resa evidente dal contesto e dalle illustrazioni, queste ultime particolarmente gustose e fresche, nel loro tratto dinamico che ricorda un po’ Serge Bloch. Quegli occhi che Mayorga disegna sempre chiusi e che inizialmente potrebbero parere segno di immersione nella musica o assaporamento di una bevanda fresca, divengono cioè segno di una differenza fisica solo dopo un po’, quando gli indizi disseminati qua e là iniziano ad accumularsi e la personalità di Davide ha avuto modo di farsi apprezzare dal lettore senza pregiudizi. Davvero efficace, in questo senso, è la sinergia narrativa che si instaura tra testo e immagini che dialogano senza risultare mai le une una mera ripetizione dell’altro (e viceversa) e senza lasciare che l’intento didascalico prenda il sopravvento sul desiderio di raccontare una bella storia di amicizia e fratellanza.

Ad arricchire il volume, già di per sé interessante, la presenza tra le pagine di un brevissimo testo in Braille che offre al lettore l’occasione di scoprire e sperimentare questa scrittura.

Il viaggio di Bobo e Campi

Nel panorama dei libri per bambini con traduzione in LIS, Stella, edito dalla Mason Perkins Deafness Fund nel 2015, è tuttora uno dei lavori più curati e apprezzabili. Per questo abbiamo a lungo sperato che un nuovo titolo con caratteristiche analoghe venisse pubblicato e siamo ora felici che questo sia accaduto.

Il 2019 ha visto, infatti, la pubblicazione de Il viaggio di Bobo e Campi, una rielaborazione della favola di Esopo Il topo di campagna e il topo di città, studiata in modo da risultare più familiare e accessibile anche da parte di bambini sordi segnanti. Al raggiungimento di questo scopo concorre in particolare il lavoro svolto dalla squadra di autori, traduttori e  linguisti della Fondazione su un duplice fronte: da un lato quello dell’introduzione all’interno della favola di piccoli dettagli che richiamino da vicino la cultura e l’esperienza della sordità (così, per esempio, gli stessi topini protagonisti sono sordi e comunicano, come esplicitato sia nel testo sia nelle immagini, proprio utilizzando i segni); dall’altro quello dell’affiancamento al testo alfabetico a stampa del testo in LIS su supporto video.

All’albo in formato tradizionale in cui la fiaba si svela attraverso le parole di Stefania Berti e le illustrazioni di Elanor Burgyan, si affianca infatti il racconto in LIS interpretato da Valeria Giura (purtroppo privo di sottotitoli o di audio che ne avrebbero consentito un più agevole uso condiviso, anche senza avere il libro sottomano) con le illustrazioni dell’albo che scorrono sullo sfondo. Tale racconto, visionabile su smartphone attraverso la scansione di un QR code posto in seconda di copertina, è caricato in particolare sulla piattaforma bilingue educativa  tellyourstories che mira a moltiplicare le possibilità di fruizione in LIS di opere letterarie da parte di bambini e ragazzi sordi.

Come già accaduto con Stella, il libro è frutto di una doppia traduzione che lo rende estremamente interessante e particolare. La fiaba di Esopo è stata infatti dapprima adattata e tradotta in LIS per poi essere ritradotta in italiano per la versione a stampa. È dunque quest’ultima a doversi in qualche modo prestare a rendere sfumature di significato ed espressioni particolari che sono caratteristiche della LIS, e non viceversa, in un ribaltamento della consuetudine che invita a un ribaltamento delle prospettive e dei rapporti tra le lingue.

Il viaggio di Bobo e Campi è acquistabile con una donazione minima di 18 alla Mason Perkins Deafness Fund.

Processo al lupo

Assoldato in qualità di cattivo dalla maggior parte delle fiabe, il lupo non scampa infine a un solenne processo per le sue malefatte. Questo, perlomeno, è ciò che accade nel racconto immaginato da Stéphane Henrich. Di fronte a una corte di tutto rispetto presieduta da un giudice suino con tanto di pelliccia di ermellino, il malcapitato risponde alla grave accusa di aver ucciso un agnello. E di averlo divorato crudo, per giunta. Nell’aula gremita di erbivori che ogni tre per due vengono richiamati all’ordine per le esclamazioni di sconcerto che si lasciano sfuggire, si susseguono testimonianze più o meno attendibili (“Io ho visto tutto, signor Giudice!”, dichiara non creduto Leo talpa, tra il sostegno del signor Cinghiale e le accuse dei tre porcellini), perizie di investigatori e psichiatri e arringhe finali pro o contro la condanna. La sentenza è tutt’altro che scontata e in questo restituisce al lettore tutta la complessità etica sottesa a un giudizio. Lo fa però all’interno di una cornice – quella appunto del tribunale degli animali – che mescola citazioni fiabesche e ammicchi al reale che, dalla prima allultima pagina, sorprendendo e divertono il lettore.

Proposta insolita per il catalogo di Biancoenero, Processo al lupo è incluso non a caso tra i Fuori collana. Albo illustrato che fonde efficacemente testo (ad alta leggibilità) e immagini, il libro di Stéphane Henrich ricorda per certi versi anche un fumetto poiché procede quasi esclusivamente per dialoghi (solo privi di nuvoletta) che si affiancano a specifiche illustrazioni. Queste ultime, dal tratto ironicamente nervoso e capace di rendere con poche linee dettagli e sentimenti di cui volutamente il testo tace, risultano davvero efficaci nel restituire le espressioni dei personaggi e nel proporre inquadrature insolite che danno al lettore la sensazione di trovarsi nel bel mezzo dell’aula di tribunale. L’effetto è senz’altro spiazzante come spiazzante, peraltro, è il racconto di Henrich che schiude più domande che risposte ed invita, con un sorriso un po’ dolce e un po’ amaro, a interrogarsi sul senso della giustizia e sul filo sottilissimo lungo il quale si confrontano il giusto e lo sbagliato.

Costruttori di stelle

Gli sviluppi della tecnologia ci hanno abituati a pensare che praticamente qualunque cosa si possa costruire. E se questo valesse anche per cose lontanissime e affascinanti come le stelle? Soojin Kwak si è probabilmente posta quest’interrogativo e dalla sua suggestione curiosa è nato un silent book in cui ordinario e straordinario si incontrano, illuminando un mondo che parrebbe altrimenti dominato dal grigiore.

Con un’ambientazione e un filo conduttore che richiamano lo splendido cortometraggio Pixar intitolato La luna (2011), Costruttori di stelle interpreta in maniera suggestiva lo stupefacente e misterioso fenomeno delle stelle che brillano. Mescolando con originalità dimensione fantastica e spirito scientifico, l’albo della giovane artista coreana costruisce un intero mondo intorno a un mestiere immaginario, quello per l’appunto dei costruttori di stelle, e delinea un percorso narrativo che si fa pregustare fin dalle prime pagine per poi svelarsi in tutto il suo splendore solo in chiusura.

Vincitore del Silent Book Contest 2019, Costruttori di stelle procede per sole immagini, che appaiono ampie (l’intero albo ha un formato quadrato importante), chiare e prive di dettagli superflui che possono distrarre dal cuore dell’invenzione narrativa, ossia i diversi passaggi che portano alla messa in funzione delle stelle. La narrazione procede così in maniera molto fluida e lineare, offrendo al lettore gli spunti e gli indizi necessari per seguire la catena di montaggio stellare, e con essa il racconto. Ideale per solleticare palati esigenti di lettori che mal sopportano il testo scritto ma che al contempo non trovano ostacoli nel riunire tasselli e compiere inferenze, Costruttori di stelle invita a leggere con sguardo nuovo anche fenomeni, lavori e strumenti apparentemente privi di scintille creative.

Filippo Maria il terribile

Giuseppe Caliceti è maestro elementare di lunghissima esperienza e le centinaia di bambini che ha incontrato nel suo percorso professionale si sentono davvero tutte tra le pagine del libro Filippo Maria, il terribile, scritto per l’editore Raffaello. Protagonista del volume, come indicato anche dal titolo, è un bambino vivace di nome Filippo Maria, intorno al quale ruotano le situazioni scolastiche quotidiane narrate dall’autore. Ma protagonisti insieme a lui sono anche il maestro, figura seria ma capace di parlare al cuore dei suoi alunni, e l’intero gruppo classe: una collezione ben assortita di indoli e storie che rende ogni giorno tra i banchi una sorpresa.

Il libro si compone di 33 brevissimi capitoli, ciascuno dedicato a un episodio significativo della vita in classe. Vi rientrano bugie e piccoli scherzi, litigi e punizioni, invenzioni e giochi, compiti e rapporti tra pari: occasioni in cui facilmente il lettore potrà riconoscersi e in cui spesso l’autore rivela la sua indole pedagogica. Stampato ad alta leggibilità, il libro non prevede solo un font specifico per dislessia, una spaziatura maggiore e una sbandieratura a destra ma si premura anche di evidenziare le parole più complesse con un colore che ne identifica la funzione nel testo e di esplicitarne il significato con un glossario posto a lato della pagina: caratteristica, questa, che agevola senz’altro la lettura anche tra i lettori meno forti pur ricordando forse un po’ troppo l’impianto caratteristico dei libri scolastici.

Campo Bravo

Presto, fate largo: torna in pista l’irresistibile duo composto da Boonen e Melvin! Noti ai lettori italiani per i divertenti Weekend con la nonna e Mammut!, entrambi editi da Sinnos, i due autori fiamminghi ripescano il personaggio di Teo per catapultarlo in una nuova e tutto fuorchè desiderata avventura.  La minaccia in vista è questa volta rappresentata dal campeggio: un’esperienza che il giudizioso Teo eviterebbe con piacere, tanto più che Campo Bravo sbandiera a destra e a manca la sua specialità in avventure grandiose e pericolose.

Ogni protesta del bambino, chiaramente, risulta vana: tutti – dai genitori alla Tata Pelosa – sono convinti che sarà per Teo un’occasione di grande divertimento. E così, caricata la valigia da 100 kg sullo scoppiettante sidecar della Tata, Teo parte alla volta di Campo Bravo. Qui le avventure in effetti non mancano, e con loro neppure la grandiosità e il pericolo promessi: arrampicate e tuffi mozzafiato sono all’ordine del giorno e Teo finisce in infermeria (dove – sorpresa! – lavora l’immancabile Tata Pelosa) più di una volta. Eppure a Campo Bravo Teo non trova solo questo. La compagnia dell’amico Jack, con cui divide la tenda e la malinconia di casa, e i test improbabili del capo Osvaldo al motto di “Immaginate che…” gli offriranno un’opportunità preziosa e inattesa: quella di vivere l’errore e le paure come una strada per il coraggio.

Strutturato, così come Mammut!, intrecciando vignette, fumetti senza balloons e didascalie, Campo Bravo si contraddistingue per un uso ironicissimo dei dialoghi e delle figure e per un gioco cromatico, che coinvolge sia il testo sia le illustrazioni, tutto basato sul salmone e sul blu. Rispetto alla precedente avventura che vede protagonista Teo, Campo Bravo ha però un ritmo più irregolare e imprevedibile che si riflette anche dal punto di vista grafico in una distribuzione meno regolare di testo e vignette. Ciononostante la pagina resta pulita e le parole non si affollano, lasciando così intatto il piacere della lettura. La stampa ad alta leggibilità, in cui giocano un ruolo prezioso gli spazi, l’uso del colore e l’impiego della speciale font leggimigraphic messa a punto da Sinnos, contribuisce dal canto suo a spianare la strada alla lettura anche a bambini la cui dislessia complica la decodifica del testo.

Gli acchiappacattivi

Un gatto dall’inventiva fuori dal comune e un topo specialista dei lavori a maglia: già così ce ne se sarebbe a sufficienza per tuffarsi senza esitazioni tra le pagine a colori di Rasmus Bregnhoi. Ma non è tutto, perché a confermare il lato originale e stuzzicante de Gli acchiappacattivi, concorrono anche un racconto gustoso, delle illustrazioni che brulicano di dettagli sfiziosi e un’impaginazione amichevole che rende molto ben bilanciato il rapporto tra testo e immagini.

Ma andiamo con ordine. Gli acchiappacattivi sono Mus e Mis, rispettivamente un topo e un gatto. Le loro strade si incontrano in un vicoletto, quando Mus sta per finire tra le grinfie del perfido gatto Kat e Mis lo salva mettendo in azione la sua scacciacani: invenzione evidentemente funzionale anche per scacciare i gatti. Tra i due nasce un’amicizia sincera, alimentata dal desiderio di costruire un rifugio comune che possa ospitare nuove mirabolanti invenzioni. E così, a bordo di un ingegnoso sidecar, Mus e Mis iniziano la loro avventura insieme che li porterà a realizzare una casa strabiliante in  cui costruire la mirabolante macchina Acchiappacattivi. Inutile dire che a testarla sarà, suo malgrado, proprio il perfido Kat, sancendo definitivamente il soldalizio tra gatto e topo in nome dei bulloni e dei cappelli fatti a maglia.

Ironico e accattivante (mai aggettivo fu più azzeccato!), Gli acchiappacattivi celebra il valore dell’amicizia in tutte le sue forme, soprattutto quelle più inattese e strampalate. Contraddistinto da un formato snello, da illustrazioni frequenti e da caratteristiche tipografiche di alta leggibilità, il lavoro di Rasmus Bregnhoi si presta benissimo a una lettura senza fretta, in cui gustarsi particolari divertenti disseminati qua e là, lasciarsi ispirare dalle invenzioni al centro del racconto (e dal bellissimo rifugio che Mus e Mis si costruiscono) e sentirsi supportati da una narrazione che fa dell’incontro tra parole (sia in maiuscolo che in minuscolo) e figure un’ancora preziosa anche per bambini che sperimentano maggiori difficoltà nella decodifica del testo scritto.

I tre porcellini (I libri per tutti)

Quella de I tre porcellini è fiaba nota e ampiamente proposta dall’editoria per l’infanzia. All’interno di questo variegato calderone, la versione targata DeAgostini ha l’apprezzabile qualità di sostenere la narrazione con un bello sprint, grazie soprattutto alle illustrazioni di Mariachiara Di Giorgio. Lo stile buffo e delicato dell’illustratrice, non privo di succulenti dettagli moderni, rende infatti la lettura particolarmente piacevole.

Lo stesso libro è ora reso disponibile dall’editore in una versione in simboli che fa parte del progetto I libri per tutti, promosso da Paideia. Le illustrazioni originali si affiancano qui a un testo in simboli WLS, in cui componente alfabetica (in maiuscolo) e componente pittografica convivono all’interno del riquadro. La scelta compositiva dei curatori va inoltre nella direzione di non simbolizzare individualmente tutti gli elementi della frase, così da privilegiare la fluidità di lettura più che la minuzia del racconto in CAA.

Il risultato è un libro gradevole, anche nella grafica, e disponibile sia in versione cartacea sia in versione digitale: vero cuore, quest’ultima, del progetto I libri per tutti. Fruito su tablet o smartphone, I tre porcellini prevede la possibilità di personalizzare la modalità di lettura beneficiando o meno, a seconda delle esigenze, della modalità basata sul modeling e di rafforzare la familiarità con i simboli grazie a illustrazioni smart e a una serie di attività ludico-didattiche. Nell’ultima sezione dell’ebook si propone infatti al bambino di cimentarsi con un’attività basata sul gioco del memory; di trovare il simbolo corrispondente, tra quelli proposti, a un certo soggetto illustrato; di ricomporre una frase con alcuni simboli e di colorare un’illustrazione passando il dito sullo schermo.

Libro e book-app appaiono in generale molto accattivanti e fruibili. L’unica perplessità, di fronte alla relativa scarsità di risorse in simboli attualmente disponibili sul mercato, resta quella legata alla scelta dell’editore di simbolizzare una fiaba di cui esistono già due versioni accessibili a bambini con difficoltà comunicative, rispettivamente edite da Uovonero e Homeless Book.  Nello stesso formato e con le stesse caratteristiche l’editore ha messo tuttavia a disposizione del progetto anche altre due fiabe, ossia Il gatto con gli stivali e La bella addormentata.

 

I libri per tutti

I tre porcellini rientrano nel progetto I libri per tutti, promosso da Fondazione Paideia in collaborazione con quattro grandi gruppi editoriali: Gems, Mondadori, Giunti e DeA Planeta libri.

I titoli che fanno parte del progetto, messi a disposizione dai rispettivi editori per l’adattamento e la simbolizzazione, vengono proposti in formato digitale: scelta questa che amplifica le possibilità di personalizzazione, cosa non da poco quando si parla di bisogni speciali di lettura. Allo stesso tempo questo nuovo formato incentiva l’interazione e il coinvolgimento e questo può costituire allo stesso modo un vantaggio o uno svantaggio a seconda del lettore che ci si trova davanti. La possibilità di compiere azioni sullo schermo – tappando i simboli che attivano così il modeling o toccando i punti sensibili delle illustrazioni che attivano così un movimento – può costituire infatti fonte di distrazione o al contrario motivo di aggancio al testo. In questo senso particolarmente significativi e versatili risultano quei titoli – come Brucoverde o I tre porcellini – che all’ebook uniscono anche il libro cartaceo, a sua volta adattato e simbolizzato.

La simbolizzazione dei testi, curata dall’équipe della Bottega Editoriale di Fondazione Paideia, prevede l’utilizzo della collezione WLS (Widgit Literacy Symbols) e non segue un modello particolarmente rigido di traduzione, optando piuttosto per la valutazione di soluzioni diverse – per esempio rispetto all’accorpamento di più elementi testuali all’interno di un  unico simbolo – a seconda dei casi. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra rispetto della complessità ed effettiva leggibilità del testo: equilibrio che può variare sensibilmente in base al tipo di testo e al target di riferimento.

Tutti gli ebook de I libri per tutti comprendono 3 sezioni, denominate ModelingLeggi e Gioca. La prima propone il testo in simboli nella parte bassa della pagina mentre in quella più alta colloca le illustrazioni, animabili in certi punti al semplice tocco o trascinamento. Il modeling dal canto suo può essere attivato in una duplice modalità: quella automatica, per cui l’audio scorre fluido e i simboli vengono evidenziati man mano che sono pronunciate le parole corrispondenti; e quella manuale, per cui l’audio si attiva solo nel momento in cui viene toccato il singolo simbolo. La seconda sezione propone una pagina divisa in maniera analoga ma qui il testo è esclusivamente alfabetico. L’audio può essere attivato o disattivato. Nel primo caso scorre in maniera automatica mentre simultaneamente vengono evidenziate le parole pronunciate. L’ultima sezione, infine, propone 3 attività ludico-didattiche che – seppur diverse nel contenuto da libro a libro – prevedono quasi sempre l’ordinamento o la scelta di simboli per completare una frase, l’ordinamento o la scelta di simboli e illustrazioni in base a specifiche istruzioni (trovare il colore giusto, ordinare per grandezza…), il completamento cromatico di un’immagine tramite passaggio del dito dello schermo.

Ogni ebook prevede in apertura una pagina essenziale che riassume e anticipa il significato delle icone che il lettore potrà trovarsi davanti durante la lettura e delle azioni che potrà compiere per districarsi tra le pagine. Tra queste, non manca per esempio il movimento per voltare pagina che prevede lo spostamento di un quadrato colorato all’interno di un quadrato bianco: azione studiata per risultare più agevole del più comune gesto di sfogliatura.

Personalizzazione la lettura, interazione, moltiplicazione degli spunti ludici e degli strumenti in un’ottica di accessibilità costituiscono in definitiva i veri punti di forza di questo progetto che ha senz’altro il merito di mettere in valore le specificità del digitale e di accendere un faro sulle possibilità aperte da quest’ultimo in favore dell’inclusione.

Non parlo più!

Aurora è una bambina timida e piuttosto solitaria: non ama granché i giochi che fanno le sue compagne e fatica a trovare con loro una possibilità di interazione. Un giorno, messa in imbarazzo davanti alla classe intera a causa di un brutto tiro giocatole da un compagno, Aurora si chiude in sé stessa, rinunciando totalmente a esprimersi a parole, al di fuori dell’ambito familiare. Sarà una maestra paziente e sensibile, con la sua disponibilità ad accogliere i tempi e i modi della bambina, ad aiutarla a sconfiggere quella che lei chiama la timistrezza: un mix di timidezza e tristezza difficilissimo da scacciare. Ma sarà anche l’aiuto di Chiara, nuova compagna di classe, a giocare un ruolo decisivo nel percorso di superamento delle proprie difficoltà da parte di Aurora, delineando così con forza, l’idea che empatia e condivisione tra pari possono fare la differenza nel far sentire ogni bambino accolto e rispettato.

Quella scritta da Sabrina Mengoni è una storia che nasce da un’esperienza reale e che non nasconde un esplicito intento pedagogico: quello di dare voce ai bambini colpiti da mutismo selettivo, mettendo in evidenza le difficoltà e le emozioni che questo tipo di evento porta frequentemente con sé.

Il libro, pubblicato da Eli La Spiga, presenta alcune caratteristiche di alta leggibilità quali il ricorso al font leggimi, la maggiore spaziatura e la sbandieratura a destra del testo che ne rendono più agevole la lettura anche in caso di dislessia. La carta scelta, dal canto suo, si presenta lucida (quindi con qualche criticità legata al riflesso) ma color crema.

La collana L’albero delle storie di cui Non parlo più! fa parte comprende alcuni altri titoli ad alta leggibilità, reperibili qui: https://www.alberodeilibri.com/catalogo/?filter_leggibilita=carattere-ad-alta-leggibilita&query_type_leggibilita=or.

Matilde (Kalandraka)

Imbattersi nel nome di Matilde, gironzolando tra pagine per l’infanzia, fa sempre drizzare orecchie: da Rolad Dahl in avanti – nomen omen – dove c’è qualche Matilde è facile che si trovi un’avventura straordinaria o un personaggio che sa il fatto suo. Non fa eccezione la protagonista di un silent book piccolo piccolo ma colmo di immaginazione, nato di recente in casa Kalandraka.

La Matilde che lo abita è una bambina che a star ferma e buona ci pensa poco. I due codini che porta sulla testa sembrano ali e così, a guardarla di sfuggita, ci pare quasi una fatina: una fatina determinata e furba, creativa e coraggiosa, che tanto desidera uno dei pennelli del pittore, osservato in silenzio dal davanzale della finestra. Trovato il modo di arraffare il pennello, Matilde si lancia impaziente verso un muro tutto bianco per dipingervi un bel drago, con tanto di ali e squame. Il drago presto prende vita e inizia a passeggiare per la città, ma qualcosa non va come previsto e il drago, dapprima mansueto e tranquillo, inizia a scatenarsi rosicchiando tutto ciò che gli capita a tiro. Non è facile per Matilde tenere il passo e tenere a bada la sua creatura, nemmeno quando, con il suo pennello magico, disegna un guinzaglio da mettergli al collo. Provvidenziale sarà l’intervento dello stesso pittore, grazie al cui trucco da maestro il drago rosso fuoco potrà trovare una nuova casa e il pennello prodigioso potrà forse stupire un nuovo bambino.

Sulla scia di capolavori quali Harold e la matita viola di Crockett Johnson o i più recenti Viaggio, Scoperta e Ritorno di Aaron Becker, Matilde riprende la prolifica idea secondo cui un semplice strumento da disegno, messo nelle mani giuste, possa dare vita ad autentiche magie. Si rinnova così il grido a gran voce (ma in questo caso senza alcuna parola!) che l’immaginazione coltivata e ben condotta sia potentissimo strumento di riscatto, soprattutto in un mondo dominato dal grigiore. Molto efficace, in questo senso, l’uso che l’autrice fa del colore: il suo gioco sui toni del bianco, del nero, del grigio e del rosso, sottolinea infatti in maniera incisiva l’interazione tra dimensione reale e dimensione fantastica che anima il volume.

Popolato di creature bizzarre e affascinanti e contraddistinto da dettagli significativi sparsi qua e là, il mondo dipinto da Sozapato chiede interpretazioni non sempre immediate e tiene costantemente vigile l’attenzione del lettore, offrendogli un’opportunità narrativa intrigante e suggestiva che non si esaurisce in un tempo fugace.

E se il cielo non piovesse?

Piove, è una giornata grigia. Una goccia di pioggia cade sul foglio da disegno di un bambino e da lì una piccola magia ha inizio. Niente bacchette o sortilegi: l’incanto nasce tutto da una domanda portentosa: E se il cielo non piovesse? Incuriosito da quest’interrogativo che di colpo gli balena in testa, il protagonista del libro parte per un viaggio immaginario alla scoperta dei segreti del cielo.

In un crescendo fantastico che parte dalle reali conseguenze della pioggia e arriva ai passatempi che sole e pioggia si concedono insieme, il racconto di Giorgio Volpe segue leggero un pensiero bambino: un pensiero capace di spingersi molto molto lontano, mosso com’è da immaginazione e curiosità.

Arricchito dalle illustrazioni di Paolo Proietti, che amplificano con grazia la dimensione fantastica e poetica del racconto, E se il cielo non piovesse? è reso disponibile dall’editore Il Ciliegio in un duplice versione: tradizionale e inbook. Quest’ultima presenta il testo in simboli WLS, puntualmente riquadrati e disposti sulla pagina in modo da interferire in meno possibile con la grafica originale dell’albo.

La voce

Da qualche giorno la mamma di Tobia non è a casa perché ricoverata in ospedale. Tobia resta con il papà, poco pratico in cucina ma molto affettuoso e amorevole. Nonostante le sue coccole e gli strappi alla regola del dormire da soli, l’assenza della mamma si fa sentire forte per Tobia. Ogni sera la stanza del bambino pare trasformarsi in una caverna popolata da mostri e una voce misteriosa lancia messaggi spaventosi. Non sarà facile, dunque, per Tobia affrontare il buio e le sue creature più terrificanti. Le cure comprensive del papà, i racconti sollevanti della nonna e, infine, il ritorno a casa della mamma lo aiuteranno tuttavia a fare pian piano i conti con i suoi timori e a ritrovare una serenità che pareva smarrita.

La voce, scritto da Luisa Carretti, è tratto da una raccolta precedentemente pubblicata per gli stessi tipi di Storie Cucite. Nato per affrontare con i più piccoli il tema della paura, il racconto viene qui reso in simboli così da poter raggiungere un più ampio bacino di lettori, compresi quelli che beneficiano di una narrazione supportata visivamente. Come da modello inbook, il testo viene integralmente simbolizzato, il che concorre a rendere la lettura in simboli molto ricca ma anche la pagina piuttosto affollata. Accompagnato da illustrazioni a matita molto delicate e rassicuranti, La voce si presta a una lettura condivisa con bambini la cui dimestichezza con i simboli WLS e con racconti di un certo corpo sia già consolidata.

La mia casa è uno zoo

Che La mia casa è uno zoo sia un libro insolito lo si intuisce dalla copertina: non solo per via del fatto che vi spiccano un leone con occhiali a stella e una banda musicale a penne e zampe, ma anche perché i crediti vengono riportati al contrario rispetto alla consuetudine. Pieter Gaudesaboos, illustratore, figura come autore principale, mentre si specifica che il testo è di Sylvia Vanden Heede. Il perché di questa scelta diviene chiaro una volta aperto il volume: il racconto che segue la giornata di Carlotta, una bambina frizzante che vive proprio al centro dello zoo, passa in qualche modo in secondo piano rispetto alle figure caleidoscopiche dell’artista olandese, autentico catalizzatore di attenzione sulla pagina.

Ogni illustrazione vede interagire, così come in effetti confermato e dettagliato dal racconto a parole, la piccola Carlotta e alcuni abitanti dello zoo, all’interno di istantanee strabordanti di dettagli narrativi stuzzicanti tra i quali letteralmente perdersi. L’invito ad aggirarsi con occhio stupito e spalancato tra particolari curiosi e suggestivi, viene poi rafforzato dalle domande intriganti – 3 per ogni pagina – che trasformano la lettura in un vero e proprio gioco. Così il racconto dell’originale giornata di Carlotta tra colazioni insieme alla giraffa, pittura nell’atelier dei pinguini, gelati di messer Orso e letture serali con la più variegata compagnia – diventa lo spunto per un cerca-trova raffinatissimo che prende spesso le mosse da indovinelli misteriosi.

Il libro non si limita infatti a sfidare a trovare un certo oggetto o personaggio, ma lascia al lettore il gusto di intuire che cosa vada cercato. Quesiti come Chi è il più vanitoso?, per esempio, o Qualcuno ha paura che possa piovere oggi… invitano, infatti, ad affinare l’ingegno, facendo ipotesi tutte da verificare al confronto con la pagina illustrata.

Il risultato è un libro in cui immergersi a lungo, nel quale la lettura è sostenuta non solo da una stampa del racconto ad alta leggibilità ma anche da una dinamica ludica sfiziosa e capace di valorizzare al meglio la ricchezza narrativa sottesa alle tavole.

Solo una storia e poi a letto!

Mettetevi comodi e datevi un contegno: la lettura, in solitaria o condivisa, di Solo una storia e poi a letto! richiede infatti grande aplomb e rodato autocontrollo. Perché il libro scritto da Marion Gandon e illustrato da Laurent Simon non è solo piacevole o divertente, ma fa proprio ridere. Ridere a crepapelle.

Protagoniste sono quattro bambine scatenate, presumibilmente cugine, che mettono alle strette la malcapitata adulta, tale Marianna, che della loro messa a letto è incaricata. Di fronte alle loro insistenti richieste di ascoltare una storia, Marianna cede una, due, tre volte, dando forma a tre mini-storie gustosissime, prima di crollare addormentata prima delle piccole (quanto realismo in questo dettaglio!).

E proprio le piccole – la bionda Flavia, la mora Noemi, la rossa Carlotta e la rosa fluo Bianca – sono al centro delle micro-storie raccontate da Marianna: un concentrato di invenzioni surreali, imprevisti e trovate comiche che vede passeggiate in bicicletta divenire improbabili carovane di animali da fattoria; pantofole rosa causare disastri al profumo di fango e forti tempeste dare avvio a pigiama party fuori dagli schemi.

A rendere il tutto ancor più irresistibile, una scrittura minimale che presenta anche i fatti più assurdi come fossero normalissimi senza lasciar spazio a se e a ma, e illustrazioni buffe e frequenti che trasformano pochi tratti in un’autentica chiamata al sorriso.  Parole e illustrazioni fanno qui un gioco di squadra efficacissimo, andando a comporre ogni pagina di una o due vignette al massimo, ciascuna accompagnata da una frase breve e incisiva, stampata ad alta leggibilità con carattere maiuscolo leggimiprima. Tutto questo supporta con grande forza e grande intelligenza la lettura autonoma, anche da parte di bambini che presentano maggiori difficoltà di decodifica, senza dover necessariamente ricorrere a una proposta sciatta o semplificata. Anzi!

Ricapitolando: se siete bambini alle prese con le prime letture autonome troverete una pista in discesa verso grandi soddisfazioni; se siete bambini desiderosi di condividere un momento di lettura spassoso troverete un motivo incontestabile per rimandare la nanna. E se siete adulti dediti alle suddette letture serali, preparatevi a destreggiarvi tra una profonda vicinanza emotiva con la stremata Marianna e l’inconfessabile desiderio di unirvi al coro di “Ancora  una, un’altra, l’ultima, l’ultimissima, ti prego…”!

Ranocchio

Quella di Ranocchio è la storia di un cucciolo smarrito, che trova cura e protezione nella tana di una mamma lupa e che viene adottato dall’intera giungla come fosse da sempre nato lì. Cacciato senza posa dalla tigre, Ranocchio ripaga la grande famiglia che si è generosamente occupata di lui, scacciando con il fuoco il feroce felino.

Asciuttissimo omaggio al capolavoro di Kipling, Ranocchio è frutto di una rielaborazione testuale a cura del gruppo di scrittura collettiva dell’Associazione Arca. Analogamente, le illustrazioni che accompagnano ogni pagina sono nate in seno all’associazione: i disegni del gruppo sono poi stati integrati all’interno delle suggestive tavole del libro dall’illustratrice Debora Antonello, in un lavoro promosso dalla casa editrice Storie cucite e volto alla promozione di una diversa idea di inclusione. Dall’impegno delle numerose persone con diverse abilità coinvolte in questo progetto nasce infatti un libro piacevole da sfogliare e da leggere, contraddistinto da immagini intense, e capace dunque di colpire e toccare un ampio bacino di lettori.

Simbolizzato secondo il modello inbook, Ranocchio presenta un testo essenziale, distribuito in maniera ariosa (con al massimo una o due frasi per pagina) e composto perlopiù di frasi brevi, anche se dalla struttura sintattica non sempre lineare ed elementare. Allo stesso modo, le parole impiegate non sono particolarmente complesse ma il loro uso è non di rado metaforico, il che le rende al contempo meno immediate e più affascinanti. Apprezzabile, d’altro canto, la loro scelta minuziosa e puntuale, che ne valorizza il potenziale evocativo e la qualità sonora: aspetti questi, che uniti al vigore delle illustrazioni, concorrono a rendere forte e piena l’esperienza di lettura offerta da Ranocchio.

La guerra può aspettare

Non c’è mestiere più noioso del soldato in tempo di pace. Hai voglia ad ammazzare il tempo con maratone di tennis in tv, corsi di ricamo e merende sontuose: la noia è dura, durissima da scacciare. Lo sa bene l’esercito del paese di Quaggiù, messo a dura prova da mesi e mesi senza nemmeno un assalto, o che so, una cannonata. Così quando l’agguerrito generale ordina di pulire a modino carri armati e fucili, l’entusiasmo tra le truppe dilaga senza posa. Ma il generale, deciso a dichiarare guerra all’esercito di Laggiù, non ha fatto i conti con la flemmatica saggezza del suo corrispettivo nemico. Pasticcini e gare di tiro a segno, evidentemente prioritarie, gli rendono del tutto impossibile accettare i tempi previsti per la battaglia, che viene dunque rimandata più volte. E anche quando la pazienza a Quaggiù comincia a scarseggiare e l’attacco viene sferrato, con o senza il consenso del nemico, questi riesce a sorprendere i soldati avversari con un’inattesa e sorridente trovata.

Ironicissima e affilata critica all’insensato spirito bellico, La guerra può aspettare mette in luce il potere dell’immaginazione contro ogni perdita di umanità e ridimensiona le imprese guerresche, commisurandone il valore su une scala fatta di bignè, giochi e carnevalate. Scritto e illustrato con surreale leggerezza da Josè Sanabria e Alejandra Viacava, il libro è reso ancor più godibile dalla stampa in maiuscolo e con caratteristiche di alta leggibilità che ne agevolano la lettura anche da parte di bambini alle prime armi con la parola scritta o con maggiori difficoltà di decodifica. Perché il diritto alla lettura, come quello alla pace, sia patrimonio davvero democratico.

Pezzettino

Pezzettino è senz’altro uno degli albi più noti del maestro Leo Lionni. Inno incontrastato a un sentire bambino che non teme la complessità ma anzi si nutre di essa, Pezzettino racconta la storia di un quadrato arancione che crede di essere il tassello mancante di qualcuno e che si mette in viaggio per capire di chi si tratti, scoprendo in realtà un’identità inattesa e capace di dare un senso nuovo alla sua esistenza. Storia di straordinaria bellezza e di inesauribile eco, Pezzettino racchiude in sé crescita e ricerca, identità e differenza, errore e conquista in una narrazione che fa del dialogo affiatato tra parole e figure, la chiave per gettare semi e interrogativi fecondissimi nel pensiero del lettore senza accontentarsi di suggerirgli risposte facili e preconfezionate.

Così come accaduto per Piccolo blu e piccolo giallo nel 2015, anche Pezzettino viene ora offerto da Babalibri in una versione che unisce all’albo cartaceo un cd audio. Quest’ultimo non solo propone la lettura del testo fatta dal bravissimo Giuseppe Cederna, che fa davvero vibrare con grande rispetto tutte le corde emotive sottese al racconto, ma anche il suo puntualissimo accostamento alla Sonata per pianoforte in la maggiore D. 959 di Schubert, eseguita con grande passione e perizia da Riccardo Schwartz. In questo modo il capolavoro di Lionni, adatto ad essere letto e riletto anche ben dopo l’età prescolare, si offre in tutta la sua ricchezza anche a lettori che prediligono l’ascolto del testo alla sua lettura a stampa e scopre nuove possibilità di scoperta, intreccio e sedimentazione grazie all’incontro con una musica dal sentimento affine. L’incontro che si crea tra le parole e le figure di Lionni, la voce di Cederna, gli spartiti di Schubert e le note di Schwartz è infatti una piccola magia: un dialogo sottile tra linguaggi diversissimi che battono però sentieri vicini e celebrano ciascuno a suo modo il valore e la potenza della libertà.

Lo squalo senza denti

Chi può avere paura di uno squalo senza denti? Nessuno! Per questo gli squali bulli dell’oceano, convinti che i denti servano solo a spaventare i bambini, deridono chi non ne è provvisto come il protagonista della storia. Non si rendono tuttavia conto che ciò che appare una mancanza, un errore o un limite può rivelarsi un punto di forza. Lo squalo senza denti è infatti il paladino dei bambini che apprezzano sopra ogni cosa il suo essere innocuo e gentile. Al punto che non solo lo cercano in acqua per giocare insieme ma lo riempiono anche di doni carichi di affetto. Uno in particolare si rivela fondamentale per porre fine alle prese in giro degli squali cattivi, mettendo bene in evidenza come non porti sempre fortuna mostrare… i denti!

La storia narrata e illustrata da Albertina Neri è contraddistinta da personaggi e situazioni semplificati al massimo, il cui carattere stereotipato rende chiara la critica di fondo a qualunque atto di bullismo e l’intento di valorizzare la diversità in tutte le sue forme. Le illustrazioni solleticano una certa immediata simpatia per il protagonista, mentre il testo delinea un racconto lineare e facile da seguire. Disponibile anche in versione inbook, Lo squalo senza denti presenta simboli WLS riquadrati e dedicati ad ogni elemento della frase (compresi, per esempio, articoli, preposizioni ecc…) per una lettura accessibile anche a bambini con difficoltà comunicative non alle primissime armi con la CAA.

Un compleanno fantastrofico

Teresa vuole, fortissimamente vuole, una festa di compleanno per i suoi imminenti 9 anni. A casa sua le feste non sono però ben viste: troppo impegnative, troppo caotiche, troppo fuori moda, per la sua inconsueta famiglia. Ma Teresa quest’anno è disposta a tutto pur di avere una festa come Dio comanda e per ottenerla si chiude a chiave nella legnaia. Ottenuto con scarso entusiasmo il sì dei famigliari, per Teresa iniziano i preparativi: ha una settimana davanti per rendere tutto perfetto. Le aspettative della bambina sono infatti altissime poiché da quella festa dipende la possibilità per lei di farsi conoscere meglio e apprezzare dai suoi compagni. Considerata un po’ strana per il suo modo di vestire e per i suoi interessi, Teresa ha infatti un solo vero amico mentre viene tenuta in disparte da tutti gli altri bambini. Inaspettatamente, saranno proprio imprevisti e stramberie di famiglia, nel giorno speciale della sua festa, a rimettere le carte in gioco e dare nuove chances ad amicizie apparentemente impossibili.

Scritto con piglio vivace, con grande empatia e con il coraggio di non zuccherare in eccesso la storia narrata, Un compleanno fantastrofico è un libro piacevole e capace di mescolare sentimenti realissimi con un pizzico di eccentricità. Pubblicato all’interno della serie azzurra de Il Battello a vapore, il racconto di  Annalisa Strada presenta caratteristiche di alta leggibilità che lo rendono più facilmente fruibile anche in caso di dislessia.

 

Susi in piscina

Pista, spazio, fate largo: è in arrivo l’uragano Susi! Irrefrenabile e travolgente, quando Susi si mette in testa qualcosa è meglio non intralciarla. Come quando, in un giorno davvero speciale, può finalmente nuotare nella piscina dei grandi. L’emozione è incontenibile e Susi proprio non può aspettare. Vestiti e stivaletti lanciati per aria, cuffia, maschera e costume indossati al volo, doccia d’ordinanza fatta: non resta che… bombaaaaaaaaaa! Tra corse a bordo vasca, schizzi e invasioni di corsia, l’avventura di Susi nella piscina dei grandi dura ben poco: il bagnino pancione non esita infatti ad acciuffarla con il suo retino e spedirla nella piscina dei piccoli. Che delusione, che smacco! A Susi non resta che mettere in atto un piano di emergenza davvero estremo ma perfettamente commisurato al suo desiderio di sentirsi grande.

Esuberante come pochi, Susi è un personaggio portentoso che sa come portare il buonumore. Il merito è della collaudata coppia Jaap Robben e Benjamin Leroy (già nota ai lettori di casa Sinnos per un altro personaggio indimenticabile: il supereroe dalla straordinaria pipì, Super P), che sa cogliere l’infanzia nei suoi tratti più liberi da briglie e condizionamenti e restituirla attraverso micro-avventure davvero gustose. Il testo snello snello, scritto in stampatello maiuscolo e contraddistinto da stampa ad alta leggibilità si accompagna ad illustrazioni ad altissimo tasso di spasso in cui si muovono personaggi di contorno tanto buffi quanto in fondo realistici. Dalle nonne dell’aquagym che borbottano per gli spruzzi al fusto tutto muscoli che digita sullo smartphone anche sotto la doccia, dal bagnino che si atteggia a generale al cane che non si sa come sia finito tra i poppanti: il giorno in piscina della piccola Susi diventa in realtà un giorno fuori dall’ordinario per una fitta e animata schiera di personaggi. E con loro, per il fortunato lettore!

Due pirati come noi

Se c’è una cosa che rende piuttosto discutibili molti libri per bambini che affrontano il tema della disabilità è la generale bontà di sentimenti che tendono ad attribuire ai loro personaggi: una predisposizione ad accogliere il diverso senza porre domande, senza fare resistenza o senza sentirsi a disagio, che difficilmente rispecchia il vero. Perché la disabilità pone interrogativi scomodi e mette di fronte a sentimenti contrastanti che i giovani lettori hanno il diritto di ritrovare tra le pagine delle storie che offriamo loro. Anche e soprattutto per questo motivo Due pirati come noi è un racconto che non passa inosservato: perché quelle domande e quei sentimenti contrastanti che il lettore avverte, il racconto di Guido Quarzo non li cancella ma li accoglie pienamente, dando loro dignità e rappresentazione.

Protagonista del racconto è un bambino di nome Leo che in un noioso pomeriggio trascorso in solitaria si rende conto di non avere un amico che si possa davvero dire tale e di ricorrere per questo molto spesso all’immaginaria compagnia del Pirata Barban. Meglio questo – pensa Leo – piuttosto che passare il tempo con Massimiliano, il figlio di una cara amica della mamma. Massimiliano, infatti, ha la Sindrome di Down e per questo non parla bene, non sa fare i giochi ed è a dir poco appiccicoso. Così, quando si ritrova nella camera di Massimiliano, poco meno che costretto, Leo vorrebbe essere da tutt’altra parte e non nasconde al lettore i suoi pensieri ben poco lusinghieri nei confronti del compagno. Eppure, in quella camera qualcosa accade: senza la pretesa di annullare le differenze (ma quella di arrembare i pregiudizi, sì), il Pirata Barban compie forse la sua più straordinaria impresa, trasformando due bambini pressoché sconosciuti in una ciurma d’assalto che ha più di un’avventura da condividere. Guido Quarzo e Cinzia Ghigliano firmano così un racconto illustrato che è un inno alle seconde impressioni (quelle che si nascondono sotto le prime, spesso fallaci) e all’immaginazione come terreno fertilissimo di incontro e relazione.

Ada al contrario

Mangiare, bere, camminare, leggere e disegnare: non c’è azione quotidiana che Ada compia in maniera convenzionale. Fin da quando è nata e i suoi primi vagiti sono stati “èèèu, èèèu” in luogo di “uèèè, uèèè”, la bambina protagonista di quest’albo si è distinta per un modo di comportarsi del tutto inusuale. Non che la cosa la turbi, anzi: in quel suo fare le cose a modo suo Ada ritrova una forma di vitale libertà che è fonte preziosa di benessere. E ciononostante gli adulti che le sono cari – mamma e papà in primis – faticano a cogliere quel benessere, annebbiati dall’idea che tanta stramberia non vada proprio bene. Saranno necessari il consiglio di uno psicologo esperto e la scaltrezza di un’insegnante empatica per tranquillizzare i due genitori, così intimoriti da tanta esuberante diversità, e per permettere ad Ada di vivere con leggerezza la sua travolgente unicità.

Indomita, irresistibile e colma di energia, Ada è una paladina del diritto a essere sé stessi ma anche un simbolo di quell’infanzia che non di rado deve mostrare più cura e buonsenso degli adulti stessi. Ecco allora che il suo mondo ci appare al contrario non tanto o non solo perché fuori dagli schemi ma anche e soprattutto per questo rovesciamento di ruoli in cui la capacità di accogliere e assecondare modi diversi di stare al mondo viene coltivata e insegnata dai piccoli più che dai grandi.

Capace di evocare alcuni tratti caratteristici della Sindrome di Asperger, Ada al contrario è un libro che dice molto della disabilità senza nemmeno nominarla e che riesce in questa acrobazia tutt’altro che banale grazie a un uso sapiente dell’ironia – tanto nel testo quanto nelle illustrazioni – e grazie a un focus mirato sulle emozioni dei protagonisti invece che su presunte verità rispetto a ciò che la disabilità è o richiede. Così a emergere con forza dalle pagine di Ada al contrario sono soprattutto il senso di libertà che invade la protagonista quando sente di poter seguire la sua naturale indole, la difficoltà che la lega quando si sforza di aderire ad un modello che non le appartiene, o la sua soddisfazione nell’apprendere modalità di relazione nuove con i suoi cari. Al centro dell’obiettivo c’è dunque la questione della felicità – fragilissima e misteriosa, che tutti ma proprio tutti ci accomuna – e di come ciascuno abbia il diritto di coltivarla: a passo d’uomo, di lucertola o di granchio, sta a lui deciderlo.

Le mani di Anna

In una città che nasconde balconi rigogliosi e giardini erbosi, vive una bambina fuori dal comune. Si chiama Anna e ha un segreto: guarisce i pensieri con le erbacce. Le sue mani sapienti – di una sapienza che è insieme bambina e antica – sanno scegliere e raccogliere l’erba giusta per ogni affanno e donarla con cura riservatissima a chi ne ha bisogno. Così Anna trascorre le giornate tra steli e fiori, senza proferir parola se non alle erbe stesse e facendo uso accorto dei suoi strumenti: forbici, pinzette e fazzoletti. Gli altri bambini la reputano stramba ma c’è qualcuno nel palazzo che sa conoscere e riconoscere la preziosa ricchezza che della stramberia ha solo l’apparenza. Ogni sera, quindi, Anna trova ristoro e compagnia dietro la porta del settimo piano dove si celebra con garbo profondo il potere della selvatichezza – dei pensieri e delle persone -, e la capacità di trasformare la realtà con uno sguardo (o con un gesto).

Il testo composto da Sarah Zambello per Le mani di Anna è asciutto ma dal respiro ampio e nell’accompagnare il lettore a conoscere Anna e i suoi segreti getta minuscoli ma preziosi semi di riflessione: sul respiro, che in fondo non è altro che ricerca di un odore da seguire, sui ricordi che richiedono sguardi distratti, o sui pensieri, anche i più selvatici, che sono preziose possibilità da assaggiare. E così facendo predispone a una lettura quieta, che abbia il tempo di affondare radici e germinare nella testa di chi scorre le parole.

Complici indispensabili di questo invito al rallentamento di sguardo, sono le illustrazioni straordinarie di Daniela Iride Murgia. Capace di autentici prodigi con i colori e le figure, l’illustratrice riesce a rendere qui, con il suo tratto inconfondibile, tutta la saggezza dei gesti mossi dalla piccola Anna, la ricchezza immaginifica delle cose della natura e la sovrapposizione mai domita tra dimensione reale e fantastica. Nelle sue tavole che par quasi di poter odorare, le mani della protagonista sono sempre in primo piano e proprio questa prospettiva aiuta il lettore ad affiancare Anna nel suo raro dono di cogliere ciò che si nasconde nella natura più ordinaria.

Ma non è tutto. Con la sua fine capacità di interpretare nel profondo e dare nuova linfa ai racconti che illustra, Daniela Iride Murgia fa un’altra piccola grande magia, ossia trasforma i movimenti delle mani di Anna in segni eloquenti, segni cioè capaci di dire oltre che di fare. Così, oltre che a scegliere e raccogliere le erbe giuste per guarire i pensieri, ai pensieri le mani possono anche dare voce, tramite gesti silenziosi che ricordano molto da vicino la LIS. Ecco allora che con una delicatezza impalpabile, la diversità di Anna assume un contorno nuovo, ancor più ricco e sfumato. E lo fa attraverso dettagli disseminati qua e là (fin sui risguardi!), mai gridati ma anzi appena accennati, e apprezzabili dunque solo a un occhio accorto: una scelta significativa e fuori dagli schemi, questa, che dice bene di come la tanto declamata valorizzazione della diversità – tra le pagine dei libri così come nel nostro quotidiano – non possa prescindere da un’educazione allo sguardo e all’attenzione.

La bambina di ghiaccio e altre fiabe

Nani, folletti, fate e sirene: nel suggestivo mondo dipinto da Mila Pavićević c’è posto per un ventaglio variegatissimo di figure leggendarie che, leggere e impalpabili, si muovono in bilico sul filo del fantastico. Le loro sono storie di doni e vendette, di incantesimi e desideri, di tristi sorti e di magici riscatti: ingredienti sopraffini per racconti che spolverano e lavorano con sapienza un impasto fiabesco come tradizione comanda.

C’è tutto quel che ci si può aspettare da una raccolta d’altri tempi, infatti, ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe, comprese illustrazioni dal sapore misterioso e antico. Difficile immaginare un tratto più azzeccato di quello della bravissima Daniela Iride Murgia per dipingere protagonisti e cornici di vicende straordinarie e surreali quali quelle narrate dalla drammaturga serba: le sue illustrazioni in bianco e nero dal tratto finissimo, mescolano infatti realismo e dettagli fantastici, atmosfere oscure e personalità stravaganti, avvenimenti sovrannaturali e richiami al quotidiano, con un gusto e una minuzia rari da trovare.

Perfetti per amanti di atmosfere incantate, i testi raccolti da Camelozampa ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe si fanno apprezzare anche per la loro brevità e per la stampa ad alta leggibilità: caratteristiche che ne agevolano la fruizione anche da parte di bambini con difficoltà di lettura legate alla dislessia. La disponibilità del racconto anche in versione audiolibro (6,90 €), inoltre, ne amplia ulteriormente le possibilità di accesso anche da parte di bambini con disabilità visiva.

Tortartè. Ma la torta di che artista è?

Avevamo conosciuto la signora Scodinzoli tra le pagine di Tortintavola (e poi di Tortinfuga). Vittima di un famigerato furto di torte, la signora deve essere rimasta profondamente colpita dal fattaccio: di furti e inseguimenti si popolano, infatti, in questo nuovo albo firmato dal geniale Thé Tjong-Khing, persino i suoi sogni. Assopitasi in poltrona dopo aver consultato un discreto numero di libri d’arte, la signora Scodinzoli inizia a ronfare catapultando il lettore in un’animata scena museale tra quadri che vengono sistemati e quadri che vengono invece trafugati. E via, neanche il tempo di fermarsi a pensare che subito scatta un rocambolesco inseguimento.

Alle calcagna di quello che scopriremo essere un cane mariuolo, si lancia un folto e variegato gruppo di personaggi, tutti ben noti ai fan dell’artista indonesiano: cani, gatti, maiali, pecore ma anche conigli, rane e tassi, tutti egualmente infuriati. La fuga è precipitosa, il tallonamento senza posa e come sempre accade negli albi di Thé Tjong-Khing nella cornice di un unico grande avvenimento – la caccia al ladro per l’appunto – si dipana una moltitudine di avvenimenti più piccoli tutti da gustare: una mamma coniglio assai vendicativa, un figlioletto alle prese con piante pungenti, una pecora che non perde attimo per ricamare e un’infermiera senza un attimo di tregua, per esempio, contribuiscono a rendere la corsa ancora più saporita e dinamica. Fino all’agognata cattura che segna la fine del sogno e riporta la signora Scodinzoli a un inatteso e partecipatissimo vernissage casalingo.

Ciò che rende Tortarté del tutto nuovo rispetto agli albi precedenti, nonostante i personaggi in comune e la simile struttura narrativa, è il fatto che l’inseguimento procede in un paesaggio che ad ogni pagina si rinnova, ispirandosi a una gran varietà di quadri moderni: da Picasso a Braque, da Hokusai a Mondrian le  citazioni più o meno famose di opere d’arte sono più di cinquanta e rendono la lettura una vera e propria caccia al tesoro. Felice  e originale interpretazione della teoria di Květa Pacovská secondo cui “L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che il bambino visita”, Tortartè offre così non solo una ghiotta occasione di lettura accessibile per molti bambini che si scontrano con il testo scritto pur senza avere difficoltà cognitiva, ma anche un pretesto preziosissimo per avvicinare i bambini (ma anche i ragazzi!) all’arte e per farlo in un modo assolutamente convincente.

Bill il cattivo (ora buonissimo)

Tra le pagine dei libri per bambini di cattivi ce ne sono tanti, ma solo alcuni di loro sono dei cattivi davvero cattivi, per non dire cattivissimi. Ecco, Bill è proprio uno di quelli. Temuto da grandi e piccini, Bill è un tipo che ruba la merce al fruttivendolo, fa scherzi da far accapponare la pelle e si diverte a terrorizzare i bambini requisendo a piacere i loro palloni o annodando le loro corde per saltare. Insomma, da uno come Bill è meglio tenersi alla larga, lo sanno tutti. Eppure, quando un giorno un pallone finisce per sbaglio sul suo balcone, i bambini del quartiere si fanno coraggio e vanno a recuperarlo, scoprendo così un inatteso segreto sulla vita del prepotente concittadino e trovando un modo ingegnoso per fargli assaporare il potere della gentilezza.

Nel dare vita a personaggi dalle sembianze animali che agiscono però in tutto e per tutto come gli umani, Ole Könnecke racconta una storia semplice e schietta di prepotenze che non si dimenticano e di attenzioni che invece fioriscono. Le sue figure dalle linee sottili, dalle espressioni ben riconoscibili e dai dettagli mai superflui portano sulla pagina un’atmosfera sorridente che il testo garbato e ironico conferma ed esalta a ogni passo. Bill il cattivo (ora buonissimo) solletica così il lettore con una grazia inconfondibile, che è peraltro cifra innegabile dell’autore tedesco.

A rendere ancor più ghiotta questa novità firmata Beisler, c’è poi il suo inserimento all’interno della collana leggo già (di cui già fanno parte, per esempio le irresistibili avventure di Lester e bob) che presenta caratteristiche di alta leggibilità quali font Testme maiuscolo (particolarmente adatto alla prime letture autonome), spaziatura maggiore, sbandieratura a destra e carta opaca. Decisamente apprezzabile, inoltre, soprattutto nell’ottica di sostenere bambini poco esperti o con maggiori difficoltà di lettura, la scelta dell’editore di distribuire gli a capo mantenendo sempre sulla stessa riga le unità minime di senso.

Io sto con Vanessa

Vanessa si è da poco trasferita in città (ce lo anticipa di soppiatto la pagina del titolo) e questo significa, per lei, iniziare a frequentare la scuola in una classe nuova. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, soprattutto per un tipo come Vanessa che – forse perché timida, forse perché in difficoltà con la lingua, chissà? – affronta il primo giorno in solitudine, senza il coraggio di farsi notare dall’insegnante e dagli altri bambini. L’unico che sembra fare caso a lei, ahimè, è un bulletto dai capelli biondi e impomatati che le si avvicina all’uscita di scuola e la prende di mira con gesti e parole poco carini. La reazione triste e spaventata di Vanessa non sfugge però a una compagna attenta che si dispiace sinceramente per l’accaduto e per l’impressione di non poter far nulla a riguardo. Fino a quando non si rende conto che qualcosa in realtà può farlo e che quel qualcosa può davvero fare la differenza. Così il giorno seguente la bambina compie un gesto tanto semplice quanto potente, capace di contagiare all’istante i suoi amici e di rendere inoffensiva la prepotenza. Perché è verissimo che la gentilezza può fare la rivoluzione (cosa che forse si poteva evitare di sottolineare nel sottotitolo e nei consigli pratici che chiudono il libro, per preservarne un po’ di più la magia già di per sé efficacissima) e che gesti piccolissimi possono dare frutti che nemmeno ci aspettiamo.

Garbato e profondo, questo silent book mette in scena personaggi minimali, quasi tratteggiati, che si muovono su sfondi neutri e puliti. Eppure l’attenzione che gli autori (Sébastien Cosset e Marie Pommepuy, in arte Kerascoet) riservano a dettagli come le espressioni del viso (a ben guardare, per esempio, la coraggiosa bambina del libro pare accorgersi del disagio di Vanessa fin dalla prima vignetta, e questo lo intuiamo dalla posizione delle sue pupille!), le posizioni e le distanze tra i personaggi o i gesti che essi compiono li rendono straordinariamente espressivi e decifrabili. Anche in virtù di questa valorizzazione dei particolari significativi, il racconto di Io sto con Vanessa può facilmente essere interpretato dal lettore senza che gli siano richieste inferenze complesse. Ecco allora che l’accessibilità del volume, ampiamente garantita dall’assenza di testo, viene ulteriormente rafforzata da una narrazione per immagini che pare letteralmente parlare.

Agente 008. Missione vacanze

È lungo solo 48 pagine, Agente oo8. Missione vacanze, ma dentro ci sono, solo per fare qualche esempio, una paperella sommergibile, un covo segreto nascosto tra le rocce, un computer che sa le risposte ma non le domande, un lunghissimo scivolo di vetro, 2 braccioli carichi di dinamite, trabocchetti luminosi, infradito boomerang e un orso polare. Non sarà difficile immaginare, dunque, quanto possa essere serrato il ritmo del racconto che tiene insieme tutti questi elementi in un’avventura al contempo divertente e vorticosa. A viverla in prima persona è appunto l’agente 008 che, in procinto di godersi una meritata vacanza, si trova suo malgrado a svolgere l’ennesima missione. Perché quando una missione chiama, l’agente 008 risponde, soprattutto se la missione ha un nome in codice e quel nome è: lasagne!

Surreale, scanzonato e avventuroso al punto giusto, Agente oo8. Missione vacanze si presta bene a stuzzicare anche quei lettori alle prime armi che faticano ad appassionarsi alla lettura. Questa procede qui, infatti, spedita a suon di colpi di scena via via più improbabili e di trovate spassose, portando il lettore a chiedersi di continuo “Che cosa sarà capace di inventarsi ora, l’autore?”. Le caratteristiche di alta leggibilità tipiche del catalogo di Biancoenero e in particolare della collana Minizoom di cui il volume fa parte, rafforzano dal canto loro l’invito a godersi la lettura, rendendola più agevole anche in caso di dislessia.

Cappuccetto Rosso (in pittogrammi)

Recente vincitore del premio Andersen come miglior libro fatto ad arte, il Cappuccetto Rosso di Sandro Natalini è un lavoro piuttosto insolito e interessante. Di fronte alla difficoltà di restituire la fiaba tradizionale con una chiave originale e di offrirle nuova linfa, l’autore opta per una narrazione che scardina alla base tutta una serie di automatismi di lettura. Lo fa partendo innanzitutto dal formato: un leporello tricromatico – illustrazioni in rosso e nero su fondo bianco – che invita ad accogliere la storia come un continuum da cui non staccarsi nemmeno per sbaglio. Il giovane lettore può dunque sistemarsi comodo su di un pavimento o su di un tavolo (a patto che questo sia sufficientemente ampio!) e concedersi di seguire la bambina incappucciata lungo la strada che, attraverso il bosco, porta da casa sua alla casa della nonna.

È proprio aprendo il volume in tutta la sua lunghezza, infatti, che si può godere del suo forte impatto visivo e della sua capacità di tenere agganciati alla storia. La strada tratteggiata che si snoda tra le pagine e lungo la quale la fiaba si sviluppa chiede in qualche modo al dito del lettore di percorrerla fisicamente per meglio cogliere e soffermarsi sulle singole tappe della vicenda (senza farsi distrarre o confondere da un contesto piuttosto affollato): un espediente particolarmente significativo, questo, anche nell’ottica di coinvolgere nella lettura bambini dall’attenzione più volatile. A questo, d’altro canto, concorre anche lo stile grafico e minimalista scelto dall’autore: uno stile in cui i pittogrammi diventano il contenuto di sparuti balloons e ispirano personaggi e oggetti di contesto dai tratti essenziali e di immediata riconoscibilità.

Ne viene fuori un libro praticamente senza parole su cui si innesta un uso originale dei pittogrammi, diverso per esempio da quello che ritroviamo nei libri ispirati alla Comunicazione Aumentativa e Alternativa, ma ugualmente efficace nel definire fatti, cornici e protagonisti. Il libro si presta così a una lettura non solo insolita e capace di rinnovare un racconto ben radicato nell’immaginario collettivo, ma anche aperta a esigenze diverse, come quelle dettate da una certa difficoltà di decodifica del testo o da un bisogno di rappresentazioni prive di dettagli ridondanti o superflui.

Il giorno del nonno

Quando i miei genitori lavorano, sto dai nonni. Sono molto carini, ma a casa loro mi annoio da morire. Non c’è internet, non c’è la televisione, ci sono solo tre fumetti un po’ ammuffiti e tutt’intorno nient’altro che campi di mais. Dentro casa c’è odore di cavolfiore vecchio e di caccole di mosca.

Voilà, un incipit spassoso al punto giusto è bell’e servito! Difficile, una volta letto, immaginare che in quella casa in cui noia e muffa la fanno da padrone non stia per succedere qualcosa di straordinario e che Simone, lo sbuffante protagonista e narratore, non sia pronto a raccontarcelo con piglio ironico e divertente. Niente di più vero. Da lì a poco Simone scopre infatti che il nonno, apparentemente “alle fragole” e dalla memoria zoppicante, viene come attivato alla vista di particolari oggetti (una lente di ingrandimento, una spada di legno, una corona di cartone, una ventosa fluorescente…) che lo portano a raccontare storie passate a dir poco incredibili. Storie in cui il nonno arrestava il famigerato Jo Patatina, si faceva chiamare Pirata Barba-fifa, dava ordini da re o curava intestini pigri di extraterrestri: storie che mescolano realtà e fantasia, trasformando il mercoledì, il giorno in cui Simone va a trovare i nonni, nel giorno più atteso della settimana. Così Simone inizia a cercare oggetti via via più suggestivi da sottoporre al nonno e porta i suoi amici ad assistere allo show infrasettimanale, divenuto ormai ambitissimo e leggendario. Fino a quando, un mercoledì come tanti, il nonno non si fa stranamente trovare a casa: sarà quello, con la triste e realistica visita in ospedale che toccherà a Simone, il momento in cui il bambino parteciperà a un simbolico passaggio di consegne e allo svelamento di un segreto più che speciale.

Stampato con alcune caratteristiche di alta leggibilità (font specifico, spaziatura maggiore), Il giorno del nonno è un libro godibilissimo di Emmanuel Bourdier, capace di unire efficacemente divertimento e tenerezza. Contraddistinto da dialoghi serrati e descrizioni che sposano un punto di vista squisitamente bambino, il racconto è accompagnato dalle illustrazioni ironiche e buffe di Laurent Simon che ne sottolineano il tono brioso.

I veicoli

Con Un giorno nella vita di tutti i giorni, Gallucci ha portato molti bambini (e adulti) italiani a conoscere Ali Mitgutsch, artista tedesco che negli anni ’60 fu tra i pionieri dei Wimmelbuch, i libri brulicanti. Con la ferma e preziosa intenzione di portare pian piano in Italia l’intera opera dell’autore, l’editore romano ha ora pubblicato un suo secondo titolo dedicato a I veicoli. Qui, secondo lo stile proprio di questa tipologia particolarissima di volumi, si susseguono doppie pagine animate da numerosi e affaccendati personaggi che suggeriscono piccole narrazioni, non di rado intrecciate tra loro. Ogni doppia (e spessa) pagina si concentra su di uno specifico contesto – la città, la fattoria, il mercato del pesce, la montagna, l’aeroporto, la metropoli by night e via dicendo – in cui si muovono, si popolano, si manovrano mezzi variegati: dai camion alle ruspe, dai pullmini alle betoniere, dai monopattini ai trattori. Privo di parole, contraddistinto da rappresentazioni minuziose ed efficaci e composto da quadri a sé stanti, I veicoli risulta estremamente fruibile anche in caso di disabilità che rendono difficoltosa la decodifica del testo, l’interpretazione di illustrazioni troppo oscure o la comprensione di storie molto articolate. Dotato di un potere ipnotico soprattutto nei confronti di bambini appassionati di veicoli (passione rimasta inscalfibile nonostante siano passate parecchie generazioni dalla prima pubblicazione del volume!), il libro si arricchisce inoltre di un elemento ludico grazie a una fascia laterale che accompagna ogni pagina e che mette in evidenza 8-10 elementi che il bambino vi potrà trovare. In questo modo al piacere di seguire e sviluppare innumerevoli storie si unisce quello di scovare specifiche figure: aspetto, questo, per nulla privo di significato, anche nell’ottica di rendere la lettura solleticante e densa di stimoli per bambini con e senza difficoltà di lettura, attenzione e aggancio alla narrazione.

Non troppo dissimile da I veicoli anche un terzo titolo firmato dall’autore tedesco e sempre edito da Gallucci: Alla scoperta del mare. Anche qui sono protagoniste infatti grandi tavole a doppia pagina in cui brulicano micro-narrazioni quotidiane. Tutte ambientate all’interno di una cornice marina, queste sono animate da capitani e villeggianti, pescatori e scaricatori di porto, marinai e bagnini e chi più ne ha più ne metta. Ogni centimetro quadrato della pagina vede nascere amori, spegnere incendi, rubare pesci, abbrustolire pelli candide o fare giochi d’acqua, in una serie di istantanee da cui trarre infinite storie. Alla scoperta del mare alterna le grandi tavole senza parole, perfettamente e appassionatamente godibili anche da parte di bambini con difficoltà di lettura, a doppie pagine in cui si concentrano raccolte di figure e parole tipiche dell’ambiente ritratto. Ispirate nella struttura ai classici libri di prime parole, ma decisamente più ricercate e complesse nella scelta dei vocaboli (banco di aringhe, palangaro, timone di poppa, solo per citarne alcuni), queste arricchiscono il volume senza tuttavia compromettere la fruizione della pagine senza parole. La doppia pagina che chiude il volume, in particolare, illustra la divisione e il funzionamento di una grande nave da carico, trasformando la visione in sezione in uno spaccato di vita marittima tutt’altro che noioso e prevedibile.

Il re senza reame

Il re senza reame è il sovrano del Paese all’Incontrario e, come tale, non possiede niente di niente: non un trono, non un castello, non una prospettiva per sé e per il suo regno. Niente di niente, appunto. Un giorno incontra un gatto che, come lui, non ha nemmeno un nome e insieme si siedono a non aspettare nulla. Passano un cavaliere e una signora di ritorno dal mercato, e ai due il gatto ruba rispettivamente un paio di stivali, una moneta e un pesce, ma il re – non essendo il gatto di sua proprietà – non si fa carico delle sue ruberie. Poi però arriva un cane che del gatto vuol fare un bel paté: è allora che il re salva l’amico a quattro zampe da una brutta fine, scoprendo e mostrando come si possa dire di appartenere davvero a qualcuno quando si è uniti da una profonda e sincera conoscenza. Forti di questo nuovo legame, il re e il gatto si avviano insieme verso un luogo in cui essere qualcuno che non ha niente di niente assume un significato tutto nuovo.  E in cui basta la presenza di un amico a trasformare un nonnulla in una cosa più che preziosa.

Quella de Il re senza reame è una storia senza tempo, in cui riecheggiano fiabe note e in cui si intrecciano passato e presente. A rendere possibile questa magia è il dialogo profondo tra le parole di Alex Cousseau e le illustrazioni di Charles Dutrertre: coppia d’oro dell’editoria francese che ci aveva deliziati, sempre per i tipi di Sinnos, con la serie di piccole avventure quotidiane di Lucilla Scintilla. Ne Il re senza reame lo stile è diverso, decisamente più votato al fantastico, ma parimenti capace di incantare chi legge. La parole sono misurate e sonanti, proprio come ci si aspetta da una fiaba degna di questo nome, mentre le illustrazioni hanno un che di surreale, mescolando con garbo e ipnotico fascino tocchi orientali, vezzi decorativi, e dettagli moderni. Il risultato è un tripudio di figure – tutte giocate sulla combinazione di giallo, rosso, verde e blu, su sfondo bianco – che conducono lontano l’immaginazione del lettore, moltiplicando le possibilità di scoperta e invenzione. Il tutto senza rinunciare a una certa fruibilità della lettura, resa possibile non solo da un testo contraddistinto dal ritmo piano ed essenziale proprio dei racconti tradizionali, ma anche dalle caratteristiche di stampa ad alta leggibilità, ben consolidate in casa Sinnos, di cui l’albo fa vanto.

Candido e gli altri

Delizioso, verissimo, umano. Quanto ti aspettavamo, Candido! Creato da Fran Pintadera e Christian Inaraja, Candido è il protagonista di un albo che in 46 coloratissime pagine riesce a mettere a fuoco le difficoltà implicate dal sentirsi diversi e al contempo a mostrare come proprio quelle difficoltà siano in fondo ciò che ci rende tutti simili. Il suo segreto è una leggerezza più unica che rara: qualità che permette alla storia, nella sua grande semplicità, di librarsi svincolata da briglie didascaliche, moltiplicando significati, riverberi e letture possibili. E così possiamo senz’altro inserire Candido e gli altri tra i libri più riusciti in circolazione sulla disabilità senza che tuttavia questa sia mai citata e senza che una lettura di tutt’altro genere e significato possa dirsi fuori strada.

Perché Candido, semplicemente, non è come gli altri, a volte si sente strano, fatica spesso a capire e a farsi capire dal mondo, e per tutte queste ragioni prova sentimenti controversi, tesi tra il desiderio di non essere osservato come una bestia rara e quello di non risultare del tutto invisibile. Con frasi direttissime e illustrazioni dai tratti mai fuori posto, l’albo dipinge questo suo ritratto in cui difficilmente un qualunque lettore non si riconoscerà almeno in parte, preparando al millimetro il terreno per un calzante finale a sorpresa. Un finale in cui entra in campo Fidel che, vestito di tutto punto in una spiaggia affollata amata da tutti, è evidente che non è come gli altri.  Con lui il libro si chiude ma il pensiero si spalanca, perché l’idea di una normalità tutta relativa che sta al centro dell’albo affiora con forza travolgente e invita senza possibilità di resistenza a una riflessione del lettore su quegli strambi personaggi, su di sé, e su coloro che lo circondano. Anche per questo il libro si presta perfettamente a una lettura condivisa, in classe per esempio, e ad avviare un lavoro profondissimo su cosa ci renda simili e dissimili dagli altri.

Vincitore dell’XI edizione del Premio Internazionale Compostela per gli albi illustrati, Candido e gli altri è un albo in cui i dettagli fanno la differenza. Dall’insolito formato (alto e stretto) alla costruzione di personaggi che stimolano la ricerca di tratti comuni e divergenti, dalle sottili citazioni di grandi artisti contemporanei all’uso pregnante dei colori, il libro edito da Kalandraka è un piccolo gioiello da non sottovalutare, capace di risuonare negli occhi e nelle orecchie di lettori di età anche molto diverse e di dare un volto indimenticabile all’idea mai sopita che “visto da vicino nessuno è normale”.

Sei unico

La Filastrocca di ciò che non sei è una di quelle che Bruno Tognolini chiama rime d’occasione, composte su richiesta di qualcuno: in questo caso la richiesta è arrivata da una mamma preoccupata per l’accoglienza che il nuovo ambiente e i nuovi compagni avrebbero potuto riservare a suo figlio, ragazzino con Sindrome di Down in procinto di iniziare la scuola media. È une filastrocca accorata che arriva diretta come una freccia ai grandi (a cui in effetti l’autore si rivolge in primis) ma che, forte della sua schietta semplicità, sa raccontare anche alle orecchie più piccole il valore della diversità e i legami strettissimi che essa può generare.

Poesia simbolo di un evento organizzato dalla splendida libreria per bambini Mio nonno è Michelangelo a Pomigliano d’Arco, con ospite lo stesso Tognolini, la Filastrocca di ciò che non sei ha dato vita all’albo edito da Salani Sei unico. Qui, interpretate dalle illustrazioni visionarie di Christophe Mourey, le parole di Tognolini si amplificano e sembrano poter risuonare ancora più vicine al sentire bambino. L’artista francese sceglie infatti un protagonista che ha i tratti di un pulcino nero dal cuore grande (tu non sei abile però sei buono) e dalle zampe che paiono corone (tu non sei abile, però sei nobile): un collage di sottili tratti scuri e di colorate forme geometriche che esprime con efficacia il concetto di unicità. Affiancato poi a una fitta schiera di esseri dall’aspetto bislacco, il pulcino di Mourey invita l’occhio del lettore a riconoscere tra di essi le spiccate differenze ma anche a cogliere qualche più sottile somiglianza, in un inno all’unicità fatta di cose che ci distinguono ma anche di cose che ci rendono inequivocabilmente e ugualmente umani.

La grande rapina al treno

Chi l’ha detto che indiani, cowboy e assalti alla diligenza non possano più conquistare i giovani lettori? Leggere La grande rapina al treno per credere! Qui prende vita infatti un’avventura così travolgente che sarà difficile staccare gli occhi dal libro, in una lettura in corsa che avvicina la sequenza di pagine a una frenetica ripresa cinematografica.

Protagonista del racconto dall’ambientazione vintage, è un bambino a modino – calzoncini corti, cappello piatto e papillon – che in compagnia di una zia rigida e bacchettona sale a bordo di un treno del west. Il viaggio appare inizialmente noiosissimo: poco accade fuori dal finestrino e quel poco che accade pare non poter essere condiviso a meno di infrangere le ferree norme del buon viaggiatore riassumibili in “stare seduti” e “fare i bravi”. Ma a un certo punto qualcosa di interessante accade. Dal finestrino spunta dapprima un cavallo, seguito a ruota da svariati altri animali da fattoria cavalcati a pelo da quelli che appaiono a tutti gli effetti come dei banditi (la maschera sugli occhi non mente!). È la famigerata banda dei Tredici (di cui solo tre membri, però, risultano pervenuti): malviventi senza scrupoli che, armati di pistole e mattarelli, assaltano il treno e rapinano gli sventurati passeggeri. Sulla loro scia arriva anche il coraggioso sceriffo Nick Stecchetto che in un inseguimento senza esclusione di colpi (e di mezzi di trasporto) dà il via a una caccia ai ladri che coinvolgerà dal primo all’ultimo passeggero. Chi si arrampica sul tetto e sgancia i vagoni, chi tira con la fionda, chi attiva robot meccanici e chi familiarizza con orsi circensi: sul treno di Federico Appel ne succede di ogni e mentre l’occhio del lettore prova a seguire tutto quel che accade, la sua immaginazione va in sollucchero di fronte a tanta esuberante inventiva.

Succedono cose, infatti, dentro, sopra, intorno, sotto e dietro al treno, il che contribuisce a rendere la scena concitata e il ritmo narrativo irruente. L’autore allestisce così un racconto vorticoso che spinge il lettore a correre avanti e indietro lungo pagine e vagoni. Non c’è tempo da perdere, infatti: urge seguire, scoprire, collegare e risolvere tutto quello che freneticamente accade sul treno prima dell’arrivo (in orario perfetto!) alla stazione di destinazione.

Con grande divertimento, Federico Appel riesce in particolare a tenere agganciato il lettore grazie a una narrazione ingegnosa e originale che procede esclusivamente per discorsi diretti non attribuiti esplicitamente. Sta al lettore dunque riconoscere chi di volta in volta parla, facendo appello agli indizi forniti dall’illustrazione della pagina e dalla divertente presentazione dei personaggi posta in apertura di libro: scelta, questa, che (a margine ma neanche troppo) dice forte e chiaro come una difficoltà di lettura legata per esempio alla dislessia non debba necessariamente implicare una costruzione narrativa banale e scontata. Ne vien fuori una storia divertente, ad alta leggibilità e ad alto tasso di coinvolgimento che di certo non si esaurisce in una sola lettura. Sul treno della grande rapina, insomma, sarà difficile accontentarsi di un solo viaggio!

Gatto e Topo in società

Ispirato a una fiaba tradizionale diffusa dai fratelli Grimm ma non particolarmente nota, Gatto e topo in società è un libro in simboli smilzo e godibile pubblicato dalla casa editrice faentina Homeless Book. Protagonisti sono un gatto e un topo che, decisi ad andare a vivere nella stessa casa, mettono da parte un pentolino di formaggio per le fredde giornate invernali. Il gatto, però, infrangendo l’accordo di godersi il formaggio insieme, si reca più volte in cucina di nascosto per sbafarselo in solitaria. Insospettito dal suo progressivo metter su ciccia, il topo lo interroga dopo ogni furto ma il gatto riesce sempre, non senza una certa arroganza, a svicolare. Fino a quando il formaggio finisce svelando l’inganno agli occhi del topo che, furibondo, si trasforma in un cagnaccio e costringe il gatto alla fuga.

Adattata nel contenuto (le scuse addotte dal gatto risultano più vicine all’esperienza del potenziale lettore ed il topo, alla resa dei conti, riesce a evitare una brutta fine), questa versione di Gatto e topo in società viene proposta con testo in simboli WLS riquadrati e con testo in stampatello maiuscolo. Quest’ultimo predilige strutture lineari e semplici ma non disdegna anche qualche capriola (incisi, per esempio), che lo rendono meno elementare. Come già sperimentato in Cosa vede Don Q?, anche questo libro introduce una componente ludica insolita per i libri in simboli, grazie a un sistema di alette che coprono di volta in volta il gatto nel momento in cui si dà alla ruberia. In questo modo si crea un elemento di sorpresa che, pur senza risultare destabilizzante, arricchisce la lettura. Meno immediate, invece, le illustrazioni dallo stile grafico di Elisa Carpenzano che, pur apparendo prive di dettagli superflui e confusivi, sfruttano forme e inquadrature non scontate che possono renderne un po’ complessa la decodifica.

Ninna nanna per una pecorella

C’è una storia piccola piccola di lupi e pecorelle che sa emozionare anche dopo dieci, venti, cinquanta riletture. È una storia di paura e consolazione, che usa figure care e familiari all’immaginario infantile e che sceglie e dispone le parole con cura minuziosa per cullare con garbo le orecchie e i sogni di chi vi si immerge. Così l’avventura della pecorella smarrita che affronta la notte buia e solitaria prima di essere accolta e adottata dalla più inaspettata delle mamme, diventa una coccola da ascoltare e riascoltare, godendo al contempo di illustrazioni che fanno dei contorni spessi e dei colori pieni la chiave per un’ipnotica attrazione nei confronti dei più piccoli. Nel tratto netto e inconfondibile di Massimo Caccia c’è infatti una capacità ammirevole di togliere, togliere, e ancora togliere ciò che non serve, lasciando all’essenziale la misura che merita e costruendo efficaci rimandi tra le pagine basati su forme, linee e tonalità.

A dieci anni dalla sua pubblicazione per i tipi di Topipittori, Ninna nanna per una pecorella va oggi ad arricchire la collana de I libri di Camilla, nata su iniziativa di Uovonero per rendere finalmente accessibili anche a bambini con difficoltà comunicative e di decodifica del testo alfabetico alcuni degli albi più belli e apprezzati dai giovani lettori. La delicata ninna nanna di Eleonora Bellini, dal canto suo, offre una sfida interessante per la simbolizzazione, perché si inoltra in punta di piedi sul terreno della poesia, ancora piuttosto inesplorato non solo dai libri di Camilla ma in generale dal panorama dei libri in simboli. Non mancano quindi strutture sintattiche non lineari (per esempio: Incontra la pecorella una mamma lupo) o figure raffinate (come Ti sarò mamma, casa e sentiero / ti darò sogni di erba e trifoglio / sonno di latte, letto di figlia) che tuttavia mantengono una certa chiarezza e decifrabilità, anche grazie al supporto di una costruzione testuale essenziale e ricca di anafore.

L’intero libro, inoltre, per come è concepito e strutturato – con le ampie illustrazioni a doppia pagina in alto e il testo regolarmente piazzato nella striscia più bassa – ben si presta a un lavoro di adattamento che non ne snaturi l’armonia compositiva grafica. Il risultato è un albo che mantiene la finezza della versione originale, proponendo un’occasione di lettura ricercata e senz’altro fuori dagli schemi a bambini cui spesso vengono proposti solo testi più immediati e piatti: una proposta coraggiosa, insomma, e anche per questo preziosissima, che celebra con forza il diritto di tutti non solo a leggere ma anche a sperimentarsi e a crescere come lettori.

L’invenzione che ho inventato

Se c’è una lezione che il Piccolo Principe ci ha insegnato bene è quella di guardare oltre le apparenze, perché quello che può sembrare un cappello può rivelarsi in realtà una pecora ingoiata da un boa. Ecco, un bell’omaggio a quella preziosa lezione ci pare di scorgerlo nel delizioso albo L’invenzione che ho inventato, da poco reso disponibile dall’editore Storie Cucite in versione tradizionale e in versione inbook.

Protagonista della storia è Tommaso, un bambino operoso e creativo che, armato di fogli e pastelli, disegna un’invenzione geniale da lui stesso messa a punto. In cosa consista non lo scopriamo fino all’ultimo (e non lo riveleremo certo qui!) perché tutte le persone che Tommaso incontra vanno troppo di fretta, hanno uno sguardo troppo superficiale o sono troppo supponenti per coglierne davvero il senso, liquidando presto l’invenzione come una casa troppo storta, dal comignolo troppo alto, dal design antiquato o addirittura fatta al contrario. Solo alla fine, quando ormai Tommaso è del tutto scoraggiato al punto da gettare il suo lavoro nel cestino, trova il sostegno dovuto nella sua compagna Clara che capisce senza indugi in cosa consista la sua invenzione  e ne coglie al volo tutta la genialità.

Rispettoso del più autentico spirito infantile, L’invenzione che ho inventato dice in maniera davvero delicata e puntuale l’importanza di mantenere uno sguardo fresco sulle cose e di prestare attenzione al loro senso più nascosto, restituendo a chi sa mostrare un pensiero divergente tutto il rispetto e il valore che merita.

Il libro si compone di pagine ampie in cui il testo in simboli WLS riquadrati trova adeguatamente spazio, agevolando così la lettura p. Adatto a un pubblico di lettori un pochino rodati – data per esempio la presenza di frasi piuttosto lunghe e di strutture sintattiche dalla linearità variabile – L’invenzione che ho inventato offre un’occasione per sperimentare non solo una lettura non scontata ma anche possibilità immaginative nuove.

Un riccio per amico

C’è una tenerezza diffusa e contagiosa, tra le pagine dell’albo Un riccio per amico: una tenerezza che si esprime attraverso uno storia che celebra il valore della gentilezza, attraverso le parole di un protagonista tenace e generoso, e attraverso le illustrazioni delicate che quella storia e quelle parole completano con grazia. Alice Campanini – autrice e illustratrice del libro – confeziona cioè un racconto che profuma di bosco e di amicizia e che fa dello sguardo premuroso e positivo su chi e su ciò che ci circonda, un approccio alla vita capace di ripagare sempre chi lo adotta.

Quello sguardo premuroso e positivo il lettore lo riconosce fin da subito nel riccio Filippo che un giorno, durante una passeggiata autunnale,  incontra per caso un suo simile nel bosco. È un suo simile un po’ particolare a dire il  vero, stranamente silenzioso e immobile, e questo fa pensare a Filippo che lo sconosciuto possa essere triste e desideroso di un amico. Convintosi di ciò, Filippo si prodiga in ogni modo per procurare al riccio appena incontrato ciò che potrebbe rallegrarlo – un po’ di compagnia, un delizioso fungo da rosicchiare, un riparo per la pioggia, una buona colazione. Tutto sembra inutile ma gli sforzi di Filippo troveranno infine la meritata soddisfazione quando quel riccio così taciturno e impassibile rivelerà la sua vera natura – non del tutto simile, in effetti, a quella del protagonista – rivelando a quest’ultimo che proprio nella diversità possono celarsi doni meravigliosi.

Un riccio per amico nasce in casa Storie Cucite in una doppia versione: tradizionale e in simboli. Quest’ultima  segue in particolare il modello inbook con ricorso a simboli WLS in bianco e nero e riquadrati, testo minuscolo e simbolizzazione di tutti gli elementi della frase singolarmente presi. Il testo contraddistinto da frasi variegate – brevi e semplici ma anche articolate e composte da più di una coordinata e/o subordinata -, elementi pronominali, soggetti talvolta non esplicitati e strutture sintattiche non sempre strettamente lineari appare piacevole e ricco e risulta particolarmente apprezzabile da parte di parte di bambini con difficoltà non troppo marcate o una pratica di lettura già rodata.

Nel mio giardino il mondo

Un giardino, piccolo o grande che sia, è un piccolo teatro a cielo aperto. Qui accadono meraviglie di diversa taglia, avvengono scoperte straordinarie e si dipanano storie travolgenti: la natura offre infatti materie prime a iosa per trasformare pomeriggi qualunque in autentiche imprese da ricordare.

Lo sanno bene i tre protagonisti del delizioso albo senza parole Nel mio giardino il mondo, firmato da Irene Penazzi ed edito in Italia da Terre di Mezzo. Intercettati sul fare della primavera, quando gli uccelli si risvegliano e i primi germogli fanno capolino, i tre giovani si avviano fuori casa armati di una palla, una poltrona e un rastrello: tre oggetti simbolo di quel che un giardino può diventare. Cornice di giochi, relax e lavori all’aria aperta, il giardino si trasforma infatti fin dalla seconda pagina in un luogo del fare in cui è difficile annoiarsi. C’è da estirpare le erbacce, sistemare il pollaio, creare rifugi a prova di sole e di pioggia, curare bestiole, gustare ciliegie, fare gli indiani, creare dinosauri,  festeggiare compleanni e trovare tesori. Solo per fare qualche esempio, puntualmente fotografato dalla matita colorata dell’autrice. C’è da fare tutto questo e molto altro perché la bella stagione passa in fretta e non si fa in tempo a meravigliarsi di fronte alla magia delle lucciole in una calda sera d’agosto che è già ora di raccogliere fichi, creare tane per ricci, scaldarsi di fronte a un fuocherello e rassettare il giardino prima che la prima neve cada e l’inverno renda meno intensa (ma non certa nulla, come ci suggeriscono il pupazzo e la slitta!) la vita all’aria aperta.

Scorre insomma un anno intero tra le pagine di questo albo meraviglioso, scandito da ritmi diversi a seconda della stagione di volta in volta ritratta. Al breve e pacato inverno, reso attraverso due pagine silenziose prive di figure umane, si contrappongono le numerose e movimentate pagine dedicate alla bella stagione in cui i bambini protagonisti paiono non fermarsi mai, animati da un irrefrenabile spirito di creazione ed esplorazione che trova nello spazio del giardino un vero e proprio regno delle possibilità. Il tratto di Irene Penazzi, dal canto suo, è preciso e dinamico, capace di restituire tutta la vitalità delle giornate operose all’aria aperta e il brulicare di avventure più o meno immaginarie che nel cuore di un giardino possono prendere forma. Ci si può attardare con gusto e perdere con grande soddisfazione, dunque, tra le sue tavole ricchissime ma tutt’altro che soffocanti, nelle quali riconoscere con delizia gesti familiari, dettagli nascosti, spunti di gioco e  osservazioni importanti.

Anche in virtù di questa qualità oltre che dell’assenza di parole, risultano innumerevoli le letture che di questo albo si possono fare, a tutto vantaggio anche di un pubblico di giovani lettori con difficoltà (per esempio legate alla dislessia, alla sordità o ai disturbi della comunicazione) che possono qui trovare un terreno narrativo fertilissimo, aperto e stimolante.

Un giorno di sole e di luna

Dalia è una farfalla che, a differenza di tante sue simili, non si limita a cantare, svolazzare e succhiare il nettare dai fiori ma si pone anche delle domande sulle cose e sulle creature che la circondano, senza accontentarsi di ciò che su di esse si dice in giro. Questo la rende forse scocciante agli occhi di chi, come un moscone qualunque, preferisce vivere nell’inerzia e nell’indifferenza, ma le consente di scoprire cose che le sue compagne non vedranno forse mai e di fare incontri che le cambieranno forse l’esistenza. Come quello con la balena Ba, apparentemente così diversa ed eppure così vicina a lei, nel momento in cui entrambe abbandonano remore e pregiudizi per provare a mettersi davvero l’una nei panni dell’altra. Complice un’eclissi solare, la farfalla e la balena vivono un istante di totale contaminazione – nel senso più proprio e positivo che questa parola reca con sé – che le renderà capaci di guardare oltre le proprio pinne o ali. Perché l’empatia e l’avvicinamento curioso all’altro è proprio questo che fanno: consentirci una trasformazione che cambia profondamente il nostro sguardo e da cui difficilmente vorremmo tornare indietro.

Stampato con caratteristiche di alta leggibilità (font Easyreading, spaziatura maggiore, testo non giustificato né sillabato), il racconto illustrato Un giorno di sole e di luna offre un’occasione di lettura accessibile anche a bambini con dislessia ma non per questo banale o piatta. Tutt’altro! le illustrazioni delicatissime firmate da Antonio Boffa e il testo dall’animo metaforico di Pino Pace dialogano in maniera straordinaria sul filo della poesia, stimolando interpretazioni molteplici, sedimentazioni profonde e domande importanti che tanto hanno da dire anche a lettori ormai cresciuti.

Un lupo nella neve

Ci sono un lupo e una bambina dalla mantella vermiglia, nel libro di Matthew Cordell ma – attenzione! – la storia narrata non è affatto quella di Cappuccetto Rosso (per quanto questa echeggi senza dubbio). Qui il lupo e la bambina non sono infatti nemici ma diventano piuttosto complici in una situazione di comune difficoltà.

La protagonista dal cappuccio rosso viene presentata dall’autore all’uscita di scuola quando, sorpresa da una tormenta di neve, perde la strada di casa e si trova smarrita. La stessa sorte capita in contemporanea a un cucciolo di lupo che finisce per restare indietro rispetto al suo branco e a ritrovarsi solo in mezzo alla bufera. Superato il timore del primo incontro, i due decidono di affrontare insieme l’ignoto nel tentativo di ritrovare le rispettive famiglie, condividendo la preoccupazione, la paura e la difficoltà di procedere in una situazione ostile. Sarà proprio quella condivisione a renderli più forti di quel che paiono di fronte a ostacoli pericolosi e a riportarli sani e salvi sulla via di casa. Rintracciata mamma lupo, infatti, anche la bimba potrà godere della gioia del ricongiungimento con i suoi cari grazie all’intervento  riconoscente del branco del suo nuovo amico.

Come la più classica delle fiabe, Un lupo nella neve accompagna il lettore a esplorare i sentimenti più bui e quelli più luminosi del suo essere umano. Lo fa con una forza e una semplicità di grandissimo impatto, soprattutto se si considera che la storia procede interamente per immagini: caratteristica, questa, che rende il lavoro di Matthew Cordell ancora più interessante, perché ne consente la piena fruizione anche da parte di giovani lettori con difficoltà di lettura legate per esempio alla sordità o alla dislessia.

Uff!

Dalla noia possono nascere cose meravigliose: parola di Uff, il più noiosamente annoiato dei bambini del pianeta! Dedito alla noia fin da quando era piccino e capace di elevarla ad arte degna di un professionista, Uff decide un giorno di proclamarsi “Sua maestà, il re supremo della noia”. Ma un re non può esser tale senza un trono e un castello. Che vanno dunque costruiti, magari con del cartone. Senza uno stuolo di sudditi, servitori e guardie. Che vanno dunque selezionati, magari tra i pupazzi e gli oggetti di casa. E senza una vita di corte. Che va dunque organizzata, gestita e regolata, magari con un gran dispendio di risorse immaginative. Così accade che nella noiosissima vita di Uff qualcosa scatti e che – resti tra noi –un barlume di divertimento faccia il suo trionfante ingresso nel regno della noia!

Con Uff!, Ilaria Guarducci costruisce una storia leggera e iperbolica che omaggia col sorriso le potenzialità insite nella noia ma anche il diritto a esser così come si è, anche se questo vuol dire risultare un pochino grigi e poco brillanti: perché anche sotto una corazza apparentemente piatta e immobile può celarsi un mondo ricchissimo e capace di stupire. Lo fa con un personaggio incisivo anche e soprattutto per la maniera in cui viene raffigurato forte di scodella fulva, orecchie a sventola e sguardo eloquentissimo. L’autrice mostra in generale una capacità apprezzabilissima di “dire” con le sue figure, creando un divertente dialogo con il testo. Stampato ad alta leggibilità grazie alla scelta del font Easyreading e a un’impaginazione ariosa, questo si presta ad incuriosire anche i lettori più riluttanti grazie a una palpabile ironia di fondo e a un uso efficace (e non distraente) di grassetti, colori e diverse dimensioni.

Una giornata di sole

Una giornata di Sole è una raccolta di microstorie quotidiane che vedono protagonista un cane di nome Sole. Pelo chiaro ed energia da vendere, Sole si trova ad affrontare diverse situazioni per lui perlopiù nuove – dall’incontro con il gatto neo-inquilino di casa al primo pomeriggio senza la sua padrona, dalla rottura del pupazzo preferito ai tuffi nel fiume – e le emozioni che da esse derivano. Attraverso ciò che accade al cucciolo peloso – soggetto capace di suscitare grande interesse e di rivelarsi familiare a numerosi bambini – il libro offre semplici e spendibili spunti anche per riflettere e riconoscere le emozioni umane. Non a casa al termine del volume si trovano alcuni suggerimenti di attività che genitori e insegnanti possono proporre sul tema ai loro bambini.

Pubblicato da Homeless Book in simboli WLS, Una giornata di Sole presenta un testo lineare ma non minimale, composto perlopiù di frasi brevi o coordinate e contraddistinto da un lessico quotidiano. Le illustrazioni semplici ma attente soprattutto a rendere con precisione le emozioni dei protagonisti – vero focus del libro – aiutano a rafforzare l’aggancio con il racconto il quale, grazie a una struttura frammentata in tante piccole storie, si presta agevolmente anche a una lettura in più momenti.

Fortunatamente

Fortunatamente è un albo delizioso che narra le peripezie affrontate dal giovane e impavido Ned per partecipare alla festa a sorpresa a cui è stato invitato: peripezie tutt’altro che banali, se si considera che comprendono il pilotare un areo che esplode per aria, buttarsi con un paracadute bucato, finire su un covone di fieno da cui spunta un forcone, esplorare un tunnel sotterraneo popolato da tigri, solo per citarne alcune. Ma Ned mantiene costantemente saldi i suoi nervi e, aiutato da una buona e regolare dose di fortuna, riesce a raggiungere la festa il cui ospite d’onore è davvero speciale!

Perfettamente congegnato dall’autore americano Remy Charlip che alterna con perizia avvenimenti fortunati ed avvenimenti sfortunati in un susseguirsi di emozioni irresistibile, Fortunatamente gioca con gusto con l’uso del colore e del bianco e nero e si contraddistingue per un testo incisivo e di grande ritmo. Scritto più di cinquant’anni fa, Fortunatamente è stato portato in Italia da Orecchio acerbo nel 2013. È però alla squadra de Il treno, cooperativa romana specializzata nella proposta di attività e prodotti in LIS, che si deve l’adattamento di questo straordinario lavoro in modo da risultare davvero a misura di bambini sordi segnanti. Grazie al passaggio dalla carta al digitale, che consente l’introduzione a ogni pagina di brevi video che raccontano il testo in LIS, Fortunatamente raggiunge più facilmente un pubblico spesso trascurato dall’editoria per l’infanzia. Lo fa peraltro con un prodotto apprezzabilissimo soprattutto per la maniera rispettosa e armonica con cui l’elemento aggiuntivo – i video in LIS appunto – va a integrarsi sulla pagina originale.

Il prigioniero senza frontiere

Ci sono libri piccoli piccoli che sanno dire cose molto grandi. E sanno farlo, talvolta, senza usare nemmeno una parola. È il caso del silent book Il prigioniero senza frontiere, firmato dall’autore canadese Jacques Goldstyn e proposto in Italia dall’editore Picarona: un albo tanto leggero quanto denso che illumina silenziosamente su quanto rivoluzionario sia il potere della parola e su quanto sacrosanto sia il diritto di esercitarla.

Protagonista del libro è un signore intento a partecipare a una manifestazione di dissenso. Non sappiamo quasi nulla di lui e dell’idea che difende ma la sua espressione gentile e la compagnia di una bambina sorridente che lo tiene per mano durante la protesta ci fanno presumere fin da subito che le sue intenzioni non siano cattive o bellicose. Eppure la manifestazione si trasforma in uno scontro, la polizia si prodiga in manganellate e arresti e così l’uomo si ritrova  improvvisamente e incomprensibilmente  in carcere. I valori per cui stava manifestando continuano ad animare i suoi pensieri anche se la solitudine della cella tenderebbe a portargli via la speranza. Ma un giorno qualcosa accade: l’uomo riceve una lettera che gli riporta il sorriso. Deve essere una lettera pericolosa, pensa la guardia, se quello è l’effetto, e così la lettera finisce in briciole. Ma poi le lettere diventano due, tre, dieci, cento… e per disfarsene la guardia è costretto a bruciarle.  Il problema parrebbe risolto se non che le tracce di fumo, cenere e brandelli di carta arrivano più lontano del previsto e tanti sconosciuti – vecchi e bambini, esquimesi e cow boy, marinai e clown e chi più ne ha più ne metta – iniziano a scrivere lettere al prigioniero, regalandogli una via di fuga tanto straordinaria quanto inattesa.

Costruito intorno a una potentissima metafora – quella delle parole che possono divenire ali – Il prigioniero senza frontiere si ispira a un’iniziativa reale promossa ogni anno da Amnesty International che invita i cittadini che hanno a cuore il rispetto dei diritti umani a scrivere missive ad alcune persone incarcerate ingiustamente così da non farle sentire sole e anzi a favorire la loro liberazione.  Questa maratona di lettere – così si chiama l’iniziativa – costituisce una forma di resistenza civile e manifestazione non violenta del proprio dissenso, in cui le parole reclamano a gran voce il loro peso e il loro valore. Goldstyn, dal canto suo, è riuscito a trasformare tale iniziativa in una storia di grandissima forza e peraltro ampiamente accessibile grazie a un racconto che oltre a fare a meno del testo, si sviluppa per quadri ben costruiti che rendono i passaggi narrativi  chiari e fruibili anche in caso di scarsa dimestichezza con la decodifica delle immagini.

 

Il tesoro del labirinto incantato

Cinque amici e un tesoro da trovare: nel parco dove regolarmente si trovano a giocare il pettirosso Red, la tartaruga Gaia, la talpa Pino, il riccio Valentino e la gatta Lola, compare infatti un giorno labirinto misterioso. Come esplorarlo per esser certi di arrivare al tesoro che cela? La saggia Gaia suggerisce di muoversi tutti insieme così da unire forze e talenti e l’idea si rivela vincente. Il fine ingegno della tartaruga, l’olfatto sopraffino della talpa, la vista acuta del riccio e quella ampia del pettirosso, uniti alla memoria  ben allenata della gatta portano il gruppo dritto alla meta e alla scoperta di un tesoro che più sorprendente non potrebbe essere, non solo per i protagonisti ma anche per Tommy e Viola che la storia del labirinto la ascoltano dalla zia Susanna in una sorta di storia-cornice che racchiude quella principale. Tommy ha infatti una gamba rotta e questo gli impedisce di andare a divertirsi al parco ma l’ascolto della storia del labirinto lo porta a entusiasmarsi all’idea di un parco in cui tutti possano giocare insieme, proprio come Red, Gaia, Pino, Valentino e Lola. Sicché a sua volta si impegna per progettarne uno e fare in modo che possa diventare reale!

Perché di parchi così, in cui il gioco possa essere effettivamente condiviso al di là di eventuali limiti sperimentati da qualcuno o più semplicemente di esigenze ludiche differenti, non ce ne sono molti nel nostro paese. Ed è un peccato. Quello al gioco è infatti un diritto sacrosanto  e l’ambito della progettazione dei parchi è uno di quelli in cui un approccio inclusivo, che tenga cioè conto delle esigenze di tutti, compreso chi vede male o non vede affatto, chi non può correre o arrampicarsi e chi può farlo ma con cautela, non può che risultare arricchente per tutti. Proprio da questa idea nasce il progetto che ha dato vita a Il tesoro del labirinto incantato, frutto del lavoro coordinato di moltissime realtà sensibili al tema del diritto al gioco e costruito con l’esplicito intento di portarvi l’attenzione dei lettori. Il libro, dal canto suo, propone una storia semplice in cui la diversità è chiaramente incarnata da personaggi zoomorfi dalle caratteristiche ben marcate, tanto nella mancanza (la cecità di Pino o la difficoltà a muoversi di Gaia, per esempio) quanto nella ricchezza di risorse complementari: una storia che, nella sua piana e facile rappresentazione, mira  a rendere concretamente apprezzabile anche da lettori inesperti l’idea che la diversità, nel gioco come nella vita, possa e debba essere un’opportunità.

Ma l’impegno delle realtà che hanno dato vita al libro e al parco inclusivo a cui esso si ispira (parco che proprio grazie a parte dei proventi del libro potrà prendere vita), non si è limitato al confezionamento di una storia dal messaggio chiaro e incisivo ma si è apprezzabilmente allargato alla sua resa il più possibile accessibile. Il tesoro del labirinto incantato presenta infatti sulla stessa pagina il testo in quattro versioni differenti – una più articolata, in nero, minuscolo e con font ad alta leggibilità Easyreading, una più piana ed elementare, in nero, maiuscolo a grande carattere, una in Braille e una simboli WLS – un’attenzione allargata a diverse esigenze di lettura che davvero raramente si è trovata all’interno di un volume. Grazie a un QRcode inserito nella seconda pagina, inoltre, è possibile ascoltare il testo in formato audio. Le illustrazioni, infine, si presentano ben contrastate e propongono rappresentazioni a tutta pagina prive di eccessivi dettagli, così da risultare a loro volta massimamente fruibili.  Interessante e degno di nota, a proposito di questo lavoro a 360° sull’accessibilità, il fatto che il libro sia nato dalla cooperazione di realtà editoriali contraddistinte da competenze diverse come Camelozampa, Puntidivista o la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi. Perché anche quando si parla di lettura accessibile l’insegnamento  di Red, Gaia, Pino, Valentino e Lola è chiaro: fare rete e mettere insieme abilità, conoscenze e talenti diversi non può che portare a un vero tesoro!

Prima o poi

Un filo può raccontare tante cose: un percorso, degli incontri, delle emozioni, una crescita. La vita, insomma. Questo è, in particolare, quello che ha saputo vedere in un (apparentemente!) banalissimo  filo di cotone Isabella Christina Felline, autrice dell’interessante libro tattile Prima o poi. Protagonista del volume è infatti proprio un filo bianco che da groviglio iniziale, attraverso un cammino non privo di ostacoli e preoccupazioni, trova finalmente la sua strada e capisce come diventare qualcosa di speciale (cosa non lo riveleremo per amor di sorpresa!). Nelle sue incertezze e défaillance ma anche nel suo tirare fuori la grinta e conquistare la propria identità si legge tutta la  fragilità umana, soprattutto in un momento di crescita e passaggio, al punto che nonostante l’apparente semplicità il libro parrebbe adattissimo ad esser letto e apprezzato non solo da bambini ma anche e soprattutto da adolescenti e preadolescenti.

Sfruttando le potenzialità fisiche e figurate di un oggetto semplice ma versatile come un filo – la lunghezza, la districabilità, la sottigliezza, per esempio – l’autrice crea un personaggio simbolico che invita a cogliere l’unicità di ciascuno e il suo diritto a riconoscersi speciale. Elegante nella sua veste bianca e nera (pagina nera su cui poggiano il filo bianco e il riquadro del medesimo colore che riporta il testo tradizionale e in Braille), Prima o poi propone un’occasione di lettura tanto accessibile quanto suggestiva. Le illustrazioni interamente composte dal filo che cambia forma, posizione e aspetto facilitano il riconoscimento tattile senza per questo renderlo banale o privo di sfumature. Le peculiarità e il valore metaforico di un filo di volta in volta, per esempio, aggrovigliato, liscio, composto, sfibrato o sferruzzato rafforzano e amplificano infatti il senso di una storia che non dice ma suggerisce, non indica ma evoca.  Frasi fulminee e parole che come prismi moltiplicano le sfaccettature e le possibilità di significato del racconto, offrono infatti la chiave per agganciare il lettore e risuonargli dentro a lungo.

Supercarlo

Ci sono supereroi e supereroi. Supercarlo, per esempio, non è il tipo di supereroe che potremmo definire classico. Il suo costume è un po’ minimal – un paio di occhiali scuri – e i suoi superpoteri sottilissimi – olfatto, tatto, udito e gusto ultrasensibili. Eppure le sue imprese sono davvero straordinarie. Ne conosciamo qualcuna grazie al racconto di un suo amico, voce narrante della storia: quella volta in cui Supercarlo ha ritrovato la strada di casa grazie ai soli profumi della via, per esempio. O quelle altre in cui ha percepito suoni leggerissimi come le foglie cadute sul prato o il respiro del vicino assopito. L’ammirazione dell’amico per queste abilità di Supercarlo è davvero grande e sincera, e su di essa si regge l’intero racconto che assume da cima a fondo la forma di un ritratto affettuoso e ammirato. Fino all’ultima pagina che con un  semplice ribaltamento di ruoli e superpoteri restituisce a Carlo la sua normalità e al suo amico un pizzico di quotidiana straordinarietà.

Snello e dall’aspetto accattivante, Supercarlo è un racconto illustrato costruito in maniera molto efficace da Daniele Movarelli e Liuna Virardi. Pur poggiando su un’idea un po’ rischiosa e frequentemente ripresa all’interno della letteratura per ragazzi che guarda al tema della disabilità – ossia quella di riabilitare quest’ultima attraverso una certa idealizzazione di chi ne è colpito  – Supercarlo trova il modo di mantenere i piedi ben saldi a terra, concentrandosi su quella quotidianità – le avventure in città, le sfide dell’immaginazione, i pomeriggi di giochi e di storie, le merende golose – che rende ogni bambino a suo modo uguale a tutti gli altri pur nella sua unicità. Interessante e felicissima in questo senso la sinergia tra testi e immagini: la disabilità visiva di Carlo non viene mai infatti nominata ma si intuisce poco a poco grazie agli episodi narrati dall’autore e si palesa all’occhio attento del lettore grazie ad alcuni dettagli inseriti dall’illustratrice (uno su tutti il libro con illustrazioni puntinate). Il risultato è una lettura gradevole e tutt’altro che pedante, capace di raccontare il valore e l’importanza dell’amicizia come fertile incontro di ricchezze e debolezze. Sempre.

Il bambino con le scarpe rotte

Il protagonista di questa storia di nome fa Dario ma quasi nessuno dei suoi compagni lo chiama così. Per tutti è “il bambino con le scarpe rotte”: appellativo sprezzante che ne sottolinea la condizione di indigenza e ne ferisce profondamente i sentimenti. Dario però non reagisce alle prese in giro, tende a tenere un basso profilo e a incassare i colpi senza dare grandi soddisfazioni ai suoi tormentatori. Un giorno però Bob e la sua gang si avvicinano minacciosi e fanno per togliere la sedia su cui Dario è seduto e questi, in uno scatto di rabbia, spinge via con forza il compagno facendogli battere la testa. Spaventato dalla sua stessa reazione e dal dolore causato a Bob, Dario corre via finendo per rompere il suo unico paio di scarpe. Quella che pare una disgrazia, tuttavia, apre per il bambino delle possibilità nuove: Dario scopre infatti di poter correre molto veloce, da scalzo, e proprio una gara a piedi nudi gli offrirà la chance di riappacificarsi con Bob.  “Tutto si aggiusta”, dice con dolcezza la mamma di Dario, in una chiosa che non ha certo a che vedere con le sole scarpe.

Racconto di altri tempi, capace di portare a galla una piaga tutt’altro che scomparsa come la povertà, Il bambino con le scarpe rotte si presenta come un albo ad alta leggibilità, grazie all’impiego del font Easyreading e di una serie di caratteristiche tipografiche come la maggiore spaziatura tra le parole, le lettere e le righe o la sbandieratura a destra: tratti che lo rendono particolarmente fruibile anche in caso di dislessia. Da non sottovalutare, in questo senso, anche la scelta di proporre la storia in forma di albo: la combinazione di testi snelli e immagini protagoniste a tutta pagine costituisce, infatti, un incentivo significativo alla lettura da parte di bambini della scuola elementare – cui frequentemente si propongono solo racconti con poche immagini –  anche con difficoltà legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

 

Il brutto anatroccolo

Non è raro che le fiabe tradizionali affrontino il tema delicatissimo della diversità. Tra di esse, quella scritta da Andersen e dedicata alla vicenda del brutto anatroccolo è forse una delle più note e diffuse. Con grande semplicità, infatti, e senza pesanti artifici, questa offre un invito toccante e diretto a non fidarsi delle apparenze e a cogliere il valore aggiunto che una differenza più o meno evidente può celare.

Proposta, negli anni, in varie vesti editoriali, la fiaba del giovane cigno che crede di essere un anatroccolo viene proposta da Homeless Book in una versione accessibile anche a bambini con autismo e bisogni comunicativi complessi.

Per i tipi dell’editrice faentina, l’autrice Valentina Semucci ha infatti rielaborato il testo tradizionale in modo da renderlo più piano e semplice – frasi poco numerose, brevi e coordinate; struttura lineare e lessico quotidiano – ma comunque fluido e scorrevole. La simbolizzazione dal canto suo, che ricorre alla collezione WLS, prende in considerazione solo gli elementi con valore lessicale, risultando così accessibile anche a bambini più piccoli, con difficoltà più marcate o con minore dimestichezza alla decodifica dei simboli.

Le illustrazioni privilegiano uno stile grafico in cui i contorni sono netti, i colori pieni e i dettagli poco numerosi.

I libri delle stagioni – Autunno e Inverno

I wimmelbuch sono, per definizione, libri brulicanti. Brulicano i personaggi sulla pagina, brulicano le storie a cui questi danno vita e brulica, da ultimo, la fantasia del lettore che corre loro dietro. Quando lo sguardo incontra le pienissime tavole di questi volumi, la densità di elementi che chiamano attenzione è tale da generare un particolare ed eccitante spiazzamento, travolgente preludio  al dipanarsi di una composizione narrativa tutt’altro che caotica e casuale. Questo almeno è ciò che accade negli straordinari Libri delle stagioni di Rotraut Susanne Berner che, dissolta la prima impressione di sopraffazione data dalla fittezza degli elementi, rivelano una struttura rigorosissima in cui ogni dettaglio assume un preciso e meditato significato. E proprio da questo scarto imprevisto tra confusione iniziale e meticolosa esattezza che pian piano si rivela dipende forse il carattere irresistibile di questi libri in cui il lettore è silenziosamente invitato ad attardarsi per compiere un’esplorazione che difficilmente si esaurisce in una sola lettura.

I libri delle stagioni sono, come facilmente intuibile, quattro, due dei quali – Inverno e Autunno – pubblicati in Italia nel 2018 da Topipittori. La cittadina in cui sono ambientati è sempre la stessa, ben riconoscibile con  il suo centro e la sua campagna circostante, e caratterizzata da edifici chiave per la comunità come il centro culturale e quello commerciale, la piazza, la stazione o il parco con il laghetto. Sviluppata lungo una strada dritta come un fuso, la cittadina viene osservata dall’autrice come attraverso una cinepresa che si muove orizzontalmente catturando sette istantanee finemente legate l’una all’altra: a prestar bene attenzione, infatti, i dettagli dell’estremità destra di una doppia pagina combaciano con quelli all’estremità sinistra della seguente sicché, se poste affiancate, queste potrebbero ricomporre un paesaggio unico senza soluzione di continuità. All’interno dei diversi libri, le istantanee sono scattate dalla matita dell’autrice sempre nello stesso punto il che aumenta la sorpresa e il gusto di una lettura consecutiva o parallela dei volumi poiché all’interno di cornici analoghe accadono cose sempre differenti.

Perché ogni stagione ha le sue attività, i suoi riti e i suoi ritmi, la natura e la città vestono abiti diversi a seconda del momento dell’anno e così fanno i suoi abitanti che, sempre non a caso, ricorrono da un volume all’altro. Così la signora riccia e paffuta che in autunno raccoglie e trasporta un’enorme zucca, in inverno rincorre il bus per non fare tardi a un appuntamento; il signore dall’ampio cappotto verde che in autunno acquista e sfoggia un’originale lanterna a forma di oca, in inverno accompagna un’oca in piume ed ossa a incontrare le sue simili del lago; e il pappagallo Nico che in autunno esce dalla finestra di casa per andarsene a zonzo per la città, in inverno decide di replicare l’esperienza nonostante i primi fiocchi di neve. E di questo passo potremmo continuare a lungo perché gli abitanti che popolano la cittadina e le pagine della Berner sono tanti e minuziosi, ciascuno con una storia, una personalità, un ruolo sociale e una quotidianità che l’autrice ha ben chiari in mente e che non manca di svelare al lettore grazie a una coerenza narrativa, interna al singolo volume ma anche all’intera serie, davvero sbalorditiva.

Anche e soprattutto per questo sono libri incredibili, i suoi  libri delle stagioni, che celano marchingegni narrativi sofisticatissimi e aprono le porte a una lettura dilatata,  personalissima e potenzialmente ripetibile all’infinito. Sono talmente tanti i particolari cui prestare attenzione che ogni volta ci si ritrova a stupirsi e a godere di quel piccolo fremito di sorpresa e soddisfazione dato da un dettaglio rivelatore, da un quadro che si ricompone, da dei fili che si intrecciano rivelando il complesso e rigoroso impianto progettuale dell’autrice. E i dettagli in questione sono diversissimi tra loro, più o meno nascosti (il libro acquistato dalla signora col fez non ha un’aria felicemente familiare?), più o meno raffinati (quella volpe che dal muretto osserva il corvo e il suo formaggio appena rubacchiato, non omaggia con gusto la tradizione esopiana?), più o meno istantanei (chi riesce a rintracciare il bottino della gazza ladra e i suoi originali proprietari?): dettagli che giocano saporitamente con la dimensione del grande e del piccolo, del vicino e del lontano, dell’immediato e del durevole predisponendo uno spazio di scoperta che si adatta a età, contesti di lettura, capacità di inferenza e attenzione, conoscenze, e, non da ultimo, abilità e modalità di lettura diverse.

Sono volumi straordinariamente trasversali, dunque, I libri delle stagioni e questo li rende preziosissimi anche in un’ottica rivolta all’accessibilità. L’assenza di testo, la stratificazione narrativa e la libertà di movimento non solo concessa ma implicitamente incoraggiata nel lettore li rende infatti apprezzabili e fruibili a pieno anche da parte di bambini con disabilità – uditiva o cognitiva, per esempio, ma anche comunicativa –  o Disturbi Specifici dell’Apprendimento, predisponendo un terreno fertilissimo, proprio perché naturalmente accogliente nei confronti di possibilità di lettura differenti, per il brulicare di esperienze narrative e relazionali.

Cappuccetto Rosso

La storia di Cappuccetto Rosso è nota e arcinota. Qualunque bambino ha probabilmente avuto occasione di sentirla narrare da un genitore, un nonno o una maestra, sicché la fiaba originariamente scritta da Perrault abita con facilità l’immaginario comune e può dunque costituire una base amichevole anche per primi tentativi di lettura autonoma. Il fatto di conoscere le vicende narrate ma di potersi cimentare da solo nella loro (ri)scoperta, attraverso un confronto indipendente con il testo, permette al giovane lettore di mettersi alla prova con una sorta di rete di sicurezza alle spalle. Se poi il testo è stampato con caratteristiche di alta leggibilità (font specifico, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, sillabazione evitata, carta color crema) e mette in evidenza i concetti chiave grazie all’uso del colore, il sostegno alla lettura anche in caso di difficoltà legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento risulta ulteriormente rafforzato.

Queste le considerazioni che animano il Cappuccetto Rosso curato dalla pedagogista Raffaella Maggi per Raffaello editore. Le illustrazioni essenzialmente didascaliche firmate da Laura Penone, così come la struttura corredata da una serie di giochi ed esercizi finali, la rendono particolarmente adatta a un utilizzo scolastico più che squisitamente ricreativo, cosa peraltro perfettamente in linea con la specificità dell’editore che ne propone la pubblicazione. Interessanti e utili le indicazioni che quest’ultimo, per mano dell’autrice, fornisce a proposito dell’alta leggibilità caratteristica del volume e più in generale della collana in cui esso è inserito (Parole leggere), consultabili in forma scritta qui e in formato video qui.

Ago storia di un capitano

Ago, storia di un capitano è la storia di Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma negli anni ottanta. Non c’è ragione, tuttavia, di considerare questi volumetto – agile e scattante come un buon centrocampista – di interesse esclusivo per gli appassionati di calcio o, addirittura, per i soli tifosi della Roma. Quella di Ago è infatti una storia di talento che non sfocia nell’arroganza, di una timidezza che favorisce il gioco di squadra, di una maniera non ostentata di vivere lo sport del calcio. Sicché, per quanto si tratti di un felice omaggio a un grande campione, anche chi non lo conosce affatto può godersi il valore e la bellezza della sua storia.

Piacevole, scorrevole e conciso, Ago storia di un capitano propone una lettura accessibile e amichevole non  solo grazie al font specifico per dislessia biancoenero e a caratteristiche tipografiche che affaticano meno la vista, ma anche grazie a un racconto snellissimo a firma di Giulia Franchi in cui poche frasi brevi fanno quasi da didascalia alle numerose e incisive illustrazioni. Dinamiche, espressive ma al contempo molto essenziali, queste sono realizzate da Massimiliano di Lauro che gioca con perizia sui vuoti e sui pieni della pagina. Il risultano è un racconto snello e palpitante che in poche pagine sa appassionare il lettore. Un bel goal insomma per la casa editrice Biancoenero!

Oggi divento

Quello dei quiet book – libri interattivi in stoffa che propongono a ogni pagina piccole attività che stimolano la dimensione sensoriale, la motricità fine e l’apprendimento – è un mondo estremamente affascinante e creativo. In rete circolano diversi video che mostrano prototipi molto raffinati, veri e propri capolavori di manifattura che invitano i bambini a sperimentare attività variegate: dal conto all’allacciatura delle stringhe, dall’associazione di forme alla ricomposizione di figure bi o tridimensionali. Sono libri complessi, estremamente stimolanti, spesso personalizzabili in virtù del fatto che risulta molto difficile (talvolta pressoché impossibile) realizzarli in una maniera diversa da quella artigianale. E questo chiaramente incide, e non poco, anche sui costi che spesso rendono questi volumi letteralmente proibitivi e un’esperienza di lettura e gioco dalle straordinarie potenzialità difficilmente fruibile da parte del grande pubblico.

Ecco perché lo sforzo fatto dalla casa editrice di Rieti Puntidivista per pubblicare un quiet book interessante ma abbordabile è davvero ammirevole e degno di nota. Il libro, composto da cinque doppie pagine in feltro, si intitola Oggi divento ed è dedicato ai mestieri. Il bambino e la bambina che compaiono in copertina e che da qui sono staccabili per accompagnare il lettore attraverso le pagine del libro possono infatti trasformarsi in dottori,  cuochi, meccanici, pompieri e carpentieri – senza distinzione di genere, il che non è affatto scontato! – grazie a un numero considerevole di accessori, anch’essi sagomati in feltro e divisi in base alla professione di riferimento. Grazie a dei semplici pezzetti di velcro, i diversi accessori possono essere agevolmente applicati sulle sagome dei protagonisti, o semplicemente avvicinati ad esse, per dare vita a piccole situazioni e avventure quotidiane che si animano sulla e oltre la pagina, e poi essere, con la stessa facilità, ricollocati al loro posto. Tra di essi figurano attrezzi del mestiere, come stoviglie, utensili, scale ed estintori;  indumenti,  come camici, caschetti o cappelli da chef; e mezzi di trasporto, come l’ambulanza e il camion dei pompieri.

Pur senza offrire la varietà e la complessità di stimoli cui si faceva cenno sopra, Oggi divento propone un set davvero ricco per sviluppare semplici narrazioni che coinvolgono direttamente il lettore il quale, non trovando alcuna traccia scritta ma neppure alcun elemento di cornice se non l’ambito professionale suggerito da ogni gruppo di accessori, è chiamato in prima persona a far animare i personaggi e dunque a far nascere il racconto. L’interazione e la libera combinazione degli elementi (anche tratti da pagine diverse, perché no!) sono dunque la chiave di questo volume, fertile e al contempo semplice, oltre che capace di rispondere a bisogni immaginativi e narrativi molto diversi, inclusi quelli dettati da una disabilità sensoriale, comunicativa o cognitiva. L’assenza di testo, la consistente libertà di approccio lasciata al lettore, l’apprezzabile manipolabilità dei pezzi (sufficientemente spessi e agevolmente combinabili) e la loro chiara riconoscibilità nonostante la realizzazione con un unico materiale, rendono infatti Oggi divento un supporto prezioso e molto versatile, che merita di essere valorizzato all’interno di percorsi scolastici o familiari volti a sostenere e nutrire il diritto alle storie, anche nella loro componente squisitamente ludica.

 

Terribile gatto!

Che Michael Rosen sia un autore straordinario, capace di dare un ritmo inconfondibile alle storie, non c’è bisogno di dirlo. Basta leggere uno qualsiasi dei suoi racconti per far risuonare questa sua rara capacità nelle orecchie prima e nella mente poi. E non si parla solo dei suoi lavori più famosi – A caccia dell’orso in primis – ma anche quelli meno noti, come il delizioso Terribile gatto!, di recente uscito per i tipi ad alta leggibilità di Sinnos (a cui peraltro dobbiamo anche L’ultimo lupo in città).

Asciutto e diretto come una favola tradizionale, Terribile gatto! è la storia di un gatto feroce che terrorizza tutti e cinquanta i topi che con lui dividono la casa. È feroce, Terribile gatto, ma è anche furbissimo e infatti mette in piedi uno stratagemma ingegnoso per mangiare uno ad uno tutti i topi che lo circondano, senza che questi nemmeno sospettino di lui. Ogni sera il gatto, che dichiara solennemente finita la guerra con i topi, concede a ognuno di loro un pezzetto di formaggio. Distratti dal gradito omaggio e interessati ad approfittarne senza correre alcun rischio, i topi arraffano ciò che spetta loro senza preoccuparsi di ciò che accade ai compagni. Fino a quando il numero dei topi, in forte diminuzione, inizia a creare qualche sospetto, a far nascere ipotesi di colpevolezza e a stimolare una reazione compatta. Sarà proprio il principio del utuo aiuto– ben espresso da quel “Ecco che faremo questa sera: ognuno di noi dovrà essere sicuro di avere un topo davanti ma anche di averne uno dietro “ – a smascherare lo spietato impostore e a sancire la vittoria dello spirito di comunità sull’egoismo.

Tra queste pagine si rintraccia dunque con forza ma senza forzature, l’importanza dell’idea di gruppo unito e di solidarietà ma anche il monito a non lasciare che un certo fumo negli occhi, spesso lanciato in forma di gradita gentilezza, possa distogliere l’attenzione di ognuno dalle mascalzonate che dietro quel fumo si celano talvolta. Monito quanto mai attuale, verrebbe da dire, e capace di arrivare al giovanissimo lettore, alle prime esperienze di lettura autonoma con o senza difficoltà legate alla dislessia, grazie a pagine godibilissime, rese tali da una narrazione incisiva, dalle illustrazioni spiritose e perfettamente calzanti di Martina Motzo e da un’impaginazione amichevole che rispetta in pieno i criteri dell’alta leggibilità.

Una piccola grande invenzione

La storia delle invenzioni è piena zeppa di aneddoti intriganti, corse al fotofinish per la registrazione dei brevetti, contese lunghe secoli per l’attribuzione di un’idea. Non fa eccezione l’invenzione della molletta da bucato, protagonista di un lungo percorso progettuale fatto di mutande al vento, primi clienti insoddisfatti, bislacche soluzioni in corso d’opera e migliorie che attraversano le generazioni. Geniale inventore di quel semplice ma indispensabile oggetto che non manca nella casa di nessuno di noi, è il toscanissimo signor Piolo, benché la storia ufficiale attribuisca i meriti allo statunitense David M. Smith. Contraddistinto da un estro originale e incentivato da una caotica famiglia, il signor Piolo si mette all’opera per trovare il modo di far asciugare i panni di casa al ritmo con cui i suoi numerosi figli riescono a sporcarli: la sua sarà un’impresa poco eroica ma a dir poco rivoluzionaria che val la pena conoscere e ricordare, ancora oggi, ogni volta che un calzino resta saldamente appeso a uno stendibiancheria!

Raccontato in maniera snella e brillante, capace di accendere piccole scintille di curiosità e qualche sorriso, la storia del signor piolo e della sua Piccola grande invenzione è proposta da Sinnos nella deliziosa collana leggimi!, contraddistinta da tutte le principali caratteristiche di alta leggibilità (font specifico per dislessia leggimi, sbandieratura a destra, carta opaca, spaziatura maggiore). Corredata inoltre dalle frizzanti illustrazioni di Federico Appel, che non solo alleggeriscono la lettura, alternandosi o accompagnandosi frequentemente al testo, ma  ne caratterizzano fortemente lo spirito leggero e brioso, Una piccola grande invenzione ha il merito di coniugare storia, divulgazione scientifica e narrazione in un mix piacevole e coinvolgente.

Orsetta Mirtilla

Se c’è una cosa che non manca a Mirtilla quella è la curiosità. Così, durante una noiosa giornata invernale, basta l’idea che un paio di occhiali della fantasia possa nascondersi in casa per spingere l’orsetta a perlustrare ogni stanza fino a perdersi tra le forme dei monti che spuntano dalla finestra e inventare, tra di essi, avventure straordinarie. Questo accade nella prima storia che compone il volume ad alta leggibilità Orsetta Mirtilla (intitolato Gli occhiali della fantasia), seguita a ruota dalla seconda (intitolata In tanti è meglio!) in cui l’intraprendenza e l’apertura al nuovo che contraddistingue l’orsetta si manifesta nel viaggio alla ricerca di amici che questa compie, sfidando paure e intemperie. Sarà una ricerca pienamente ripagata, la sua, grazie a un felice incontro capace non solo di sfatare credenze e pregiudizi a anche di costruire nuove relazioni al profumo di the e torte di mele.

Scritta in maniera lineare e pulita da Isabella Paglia, con una certa felice attenzione anche alla cura sonora del racconto, Orsetta mirtilla si fa apprezzare anche per le illustrazioni deliziose firmate da Laura Deo.

 

LA COLLANA TANDEM

Orsetta Mirtilla fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

L’orto della scuola

Permettere ai bambini di riappropriarsi di un rapporto sano e intenso con la natura, per esempio attraverso la cura di un orto di classe, è una pratica utile e quanto mai necessaria di questi tempi. Così anche la maestra di Luca propone ai suoi bambini di coltivare alcuni ortaggi durante l’anno. Le patate tanto per cominciare.

Nella prima storia che compone il volume L’orto della scuola (intitolato Patatine gialle fritte) la classe di Luca si dedica infatti con passione alla coltivazione di questo tubero che richiede pazienza e impegno. Saranno mesi lunghi quelli che si riveleranno necessari alla crescita delle patate, rendendo ancor più gustoso il momento in cui la cuoca della scuola potrò finalmente friggerle. Piselli e insalata sono invece i protagonisti della seconda storia (intitolata Il furto di insalata). Coltivati da Luca e dai suoi compagni con l’aiuto della maestra e dell’esperto contadino Osvaldo, questi spariscono da un giorno all’altro misteriosamente. A nulla varranno le indagini messe in campo e i sospetti verificati. La verità verrà comunque a galla grazie a un atto di coraggio e onestà del colpevole: qualità che val la pena coltivare, quanto e ben più degli ortaggi.

Di impianto un po’ più didascalico rispetto ad altri volumi della serie, L’orto della scuola risulta più dinamico e scorrevole nella sue seconda parte, grazie a una struttura narrativa più intrigante.

 

LA COLLANA TANDEM

L’orto della scuola fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Teo e Leo

Teo e Leo sono fratelli, gemelli per la precisione. Si assomigliano molto (ma non del tutto!) e vivono questa loro affinità a tratti con favore e a tratti con avversione. Nella prima storia che li vede protagonisti (Gemelli quasi uguali), per esempio, i due si divertono al parco giochi in modi non convenzionali che avranno conseguenze un pochino dolorose, a suon di bernoccoli e denti dondolanti, ma che offriranno loro l’inattesa occasione di distinguersi l’uno dall’altro. Nella seconda storia (Voglio la febbre!), invece, i due si trovano forzatamente separati poiché Leo si ammala e Teo no, il primo resta quindi a casa mentre al secondo tocca andare a scuola. Invidiosi l’uno dell’altro e desiderosi di godere dei privilegi altrui, i due gemelli si inventano fantasiosi stratagemmi fino a scoprire che ciò che rende speciale lo stare a casa o a scuola dipende in gran parte da chi si ha accanto.

Vivaci e scanzonati Teo e Leo sono due personaggi divertenti, resi particolarmente simpatici da un approccio sorridente alla quotidianità delineato dall’autrice Sara Stangherlin e dal tratto fumettistico dell’illustratore Fabio Santomauro.

 

LA COLLANA TANDEM

Teo e Leo fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Clown

La caccia appassionata di Camelozampa a chicche editoriali del passato da proporre (o riproporre) in Italia ci ha regalato in poco tempo libri pazzeschi e per questo non smetteremo facilmente di dire un sentito grazie all’editore di Monselice. Un grazie che si fa ancor più accorato ora che i suoi tipi hanno reso disponibile anche nel nostro paese quel capolavoro silenzioso firmato da Quentin Blake che è Clown.

Pluripremiato, anche con il Bologna Ragazzi Award nel lontano 1996, Clown è un albo senza parole ormai più che trentenne che avrebbe potuto esser creato l’altro ieri. Nelle avventure del pagliaccio pupazzo in cerca di una casa per sé e per i suoi amici gettati nell’immondizia da una risoluta donna – madre, nonna, governante o chi lo sa? –, si ritrova infatti una visione d’infanzia puntuale e una rappresentazione del mondo adulto, capace di mettere in luce, con tutte le sue ombre, l’attualissima tendenza a controllare, strattonare, mettere in mostra e sterilizzare, letteralmente e metaforicamente parlando, i bambini e il loro mondo.

Dal bidone della spazzatura in cui viene buttato insieme ad altri giocattoli, il clown di Quentin Blake esce con una caduta rocambolesca che è anche, significativamente, l’inizio di una rimessa in piedi. Da qui, dopo aver trovato le scarpe giuste – un paio di buffi scarponcini malconci – questi inizia a rincorrere e interpellare una serie di bambini nel tentativo di farsi adottare, insieme ai suoi compari di sventura. La risposta è sempre positiva ma tra chi viene trascinato via distrattamente con una sorta di guinzaglio e chi viene allontanato dal pagliaccio presumibilmente perché zozzo, la ricerca di un nuovo compagno di giochi si fa più ardua del previsto. Fino all’incontro – al volo, è il caso di dirlo – con una bambina in una situazione di disagio famigliare il quale, pur costringendola a farsi grande più in fretta del necessario, non annichilisce la sua capacità di stupirsi, godendo di piccole magie quotidiane e rendendole forse apprezzabili anche a qualcuno dei grandi che girano nei paraggi.

Lo stile di Quentin Blake è come sempre freschissimo, irriverente e dinamico, al punto che vien da chiedersi se possa esistere un personaggio che meglio di un clown – sempre in movimento, a tratti goffo e con il suo carico di malinconica ironia – vi trovi espressione. Forse no. E forse anche per questo quest’albo che proprio un clown rende protagonista ci appare così stupefacente. Capace di coniugare uno sguardo sorridente e un grande rispetto per i temi e le vite ritratte, con i loro più o meno superficiali aspetti di povertà, Clown mette a nudo vizi e debolezze caratteristici dei grandi, rivelandone tutta la miopia dello sguardo, soprattutto quando rivolto ai piccoli.

Inimitabile nella capacità di far avanzare una narrazione  e di darle spessore emotivo affidandosi a dettagli minimi e minuziosi, Quentin Blake propone qui una storia non solo indomita – nel senso e nel ritmo – ma anche largamente accessibile. All’assenza di testo – ossia di quell’elemento che spesso preclude la possibilità di godere appieno di un bel racconto, soprattutto in caso di dislessia o sordità – si aggiunge qui una costruzione per immagini che richiede sì alcune inferenze ma che dissemina la pagina di indizi utili a compierle e che perlopiù immortala frammenti narrativi che accompagnano per mano il lettore nella decodifica dell’accaduto. Questa modalità a tratti cinematografica fa sì che al lettore si offra una certa libertà interpretativa – quella peraltro caratteristica dei silent book – senza che passaggi troppo ostici o oscuri facciano inciampare il lettore il quale dunque, anche in caso di lievi difficoltà, può godere di una performance narrativa degna di un grade artista come Blake e come il suo irresistibile Clown.

Peter Pan

Novità tattile nata in casa L’albero della Speranza, Peter pan intende offrire anche ai lettori con una disabilità visiva un assaggio delle vicende fantastiche elaborate da Barrie. Nelle pagine rilegate a spirale che compongono il volume si condensano infatti le avventure di Wendy e dei suoi fratellini, condotti da Peter e da Trilly sull’Isola che non c’è e resi partecipi del celebre scontro con Capitan Uncino. Ci sono dentro le pagine dell’albo il volo notturno, l’esplorazione della Laguna delle Sirene, dell’Accampamento indiano e della Rocca del teschio, il rapimento di Trilly, il duello con le spade e l’incontro con il Coccodrillo: un concentrato di avventura che sta proprio un po’ stretto in un numero così contenuto di pagine e che si presta  più a soddisfare la curiosità e la fantasia di chi già forse conosce la storia dell’eterno bambino che non quella di chi ne è del tutto digiuno.

Peter pan  fa parte della collana Il tocco magico edita dalla casa editrice eporediese, specializzata proprio in volumi tattili. Sia i testi e sia le illustrazioni sono firmati da Anna De Stefano, già curatrice dei precedenti titoli della collana (tra cui Il principe e Pinocchio) che condividono con quest’ultimo impostazione e cifra stilistica. Ritroviamo anche qui infatti un racconto molto asciutto, attento principalmente a sintetizzare gli avvenimenti e ad anticipare ciò che le dita scopriranno nella pagina accanto, e affiancato da illustrazioni di stampo figurativo, in cui gli umani  sono sempre in primo piano, rappresentati nella loro interezza e in maniera piuttosto dettagliata. La ricerca e l’invenzione – caratteristiche importanti di un ambito editoriale quale quello tattile – si concentrano qui dunque su altri aspetti, quali per esempio la scelta di materiali adatti a rappresentare i singoli dettagli (come la carta sottilissima da imballaggio impiegata per la nave fantasma del finale) o la cura per i particolari (come la catenella mobile alla caviglia di Trilly liberata).

Odio i mocciolosi

Non si può negare che Mirello sia un tipo schietto. Prima ancora che il libro a lui dedicato decolli, il mostro ci tiene a mettere le cose in chiaro. “Mi chiamo Mirello e odio i mocciolosi”, esordisce spuntando deciso da pagina uno. Patti chiari, amicizia lunga. Se siete mocciolosi fatevene una ragione: con il mostro Mirello non avrete vita facile. Oppure sarà il contrario? In effetti, nonostante le minacciose premesse, il mostro Marcello si rivela un concentrato di goffaggine e una garanzia di flop del terrore. Incapace di rivestire qualsivoglia ruolo spaventevole, fa cilecca come Mostro della paura paurosa di sotto-il-letto, come Mostro della paura paurosa di dentro-l’armadio e persino come Mostro della paura paurosa di dietro-le-tende. Un fiasco totale, insomma, una caporetto della paura. Ma se è vero che la capacità di reinventarsi è qualità preziosa per gli umani, non vi è ragione per cui non dovrebbe esserlo anche per i mostri. Ecco allora che un’inaspettata carriera si prospetta davanti a Marcello. Che, certo, continuerà a odiare i mocciolosi, ma che almeno per una di loro potrà fare un’eccezione!

Odio i mocciolosi è un albo orchestrato in maniera davvero accurata ed efficace: capace di fare di parole e immagini un cocktail equilibrato, appare ideale per una lettura ad alta voce. Tanta parte in questo ha l’abilità dell’autrice Chiara Lorenzoni nello scegliere  espressioni gustose, nel dare una divertente veste quotidiana a un punto di vista fantastico, e nel dosare con perizia  racconto serrato e indugio su dettagli succulenti. Non da meno sono le illustrazioni di Antongionata Ferrari, ironicamente garbate, che sottolineano il carattere divertente e divertito della narrazione, che alternano felicemente riprese ampie e sequenze più frammentate e che fanno delle sfumature di colore un’intrigante e silenziosa chiave per interpretare le emozioni del protagonista.

Da ultimo,  anche la cura grafica gioca un ruolo interessante nella dinamicità e nella piacevolezza di Odio i mocciolosi. L’impiego di un font ad alta leggibilità come Easyreading, in particolare, risulta apprezzabile non tanto (o non solo) in favore di una lettura autonoma a misura di bambino dislessico – essendo probabilmente più apprezzabile, il volume, da parte di un pubblico in età prescolare – quanto in favore di un’idea di libro che sia da subito accogliente, anche quando letto al bambino da un adulto. Il bambino futuro lettore, anche con Bisogni Specifici dell’Apprendimento, costruisce infatti pian piano il suo rapporto con la parola scritta e il fatto di incontrarla da sempre in una forma più amichevole, non può che contribuire a rendere meno avversa tale costruzione.

Agatino

Placido e mansueto, Agatino è un dinosauro rosa che vive con insofferenza il suo aspetto ingombrante e poco rassicurante. Ovunque vada, infatti, la gente scappa e grida benché il suo intento sia solo quello di farsi degli amici. Anche il gatto Bepi Miao cerca di mettersi in salvo su un aliante quando vede Agatino al volante di un’auto, intento a prendere la patente. Solo che di quell’aliante, Bepi Miao perde il controllo finendo in cima a un abete da cui non riesce a scendere. Per riportarlo a terra serve proprio l’aiuto di qualcuno grande e grosso. Facile immaginare di chi possa trattarsi e il positivo effetto che il salvataggio può avere sulla sua fama di creatura spaventosa!

Proposto dall’editore Il Ciliegio in una versione standard e in una versione in simboli, tradotta secondo il modello Inbook, Agatino è un albo che unisce un racconto in cui gli eventi più incredibili – come un dinosauro che si mette al volante di un’auto o un gatto che pilota un aliante – sono snocciolati uno via l’altro con grande naturalezza, uno stile narrativo che preferisce accennare a descrivere nel dettaglio e delle illustrazioni dense e piene oltre che contraddistinte da un singolare stile vintage.

Il risultato è una libro interessante anche se non immediatissimo da incasellare e consigliare a un pubblico preciso poiché alla semplicità di taluni elementi (come lo sviluppo lineare, il coinvolgimento di pochi personaggi e la sequenza di un numero contenuto di eventi circoscritti) che lo renderebbero adatto a bambini più piccoli o con difficoltà maggiori, si affianca la complessità di altri (come la comparsa di un personaggio come Teresa, amica di Agatino di cui nulla si sa, la presenza di alcuni sottintesi, la costruzione di alcune frasi in maniera suggestiva ma a tratti sfuggente).

A Oliver piace. A Oliver non piace

Amanti di cani e aspiranti amanti di cani: a raccolta! Con la pubblicazione di A Oliver piace. A Oliver non piace, Homeless Book pensa proprio a voi. Il libro, curato nei testi e nelle illustrazioni da Sara Francesca Peila, si propone infatti di accompagnare i giovani lettori, con bisogni comunicativi speciali e non, alla scoperta dei comportamenti più corretti e rispettosi del miglior amico dell’uomo.

Contraddistinto da una veste grafica pulita e gradevole e diviso in due parti (l’una leggibile tenendo il libro dal dritto e l’altro tenendolo da rovescio), A Oliver piace. A Oliver non piace offre infatti una carrellata di semplici indicazioni su come approcciarsi ai cani in modo da non indispettirli ma anzi da instaurare con loro un rapporto sereno e arricchente. Al fine di rendere tali indicazioni il più possibile fruibili a un pubblico allargato – si pensi peraltro a quanto frequentemente animali come i cani si accompagnano a bambini con disabilità – il libro fa ricorso ai simboli WLS.

Basato sull’esperienza personale dell’autrice (Oliver è infatti un cane in carne ed ossa molto simile al protagonista del volume), il libro  si contraddistingue per una certa generale chiarezza, che accomuna i testi – lineari, poco astratti e privi di strutture sintattiche troppo complesse – e illustrazioni – essenziali, nette e prive di dettagli superflui. Il risultato è un volume senza pretese narrative ma molto efficace nel suo intento e informativo e capace, con il suo aspetto davvero amichevole,  di creare una sincera tenerezza nei confronti del cagnone protagonista!

 

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Cosa vede Don Q?

Questa sì che è una bella novità! Semplice e rodato nella trama e nella struttura, Cosa vede Don Q? è un libro che porta un reale, coraggioso e importante elemento di rinnovamento nel panorama dei libri in simboli, grazie alla scommessa sul valore del gioco, della sorpresa e dell’imprevisto.

Ma andiamo con ordine. Quella di Don Q è una storia lineare e, se vogliamo, collaudata di scambi e divertenti rivelazioni. Il protagonista – moderno e giovane cavaliere in sneakers, con cavallo giocattolo ed elmo a scolapasta – un giorno perde gli occhiali e muovendo alla loro ricerca si imbatte in una serie di oggetti e personaggi che, a causa della visibilità ridotta, paiono sempre diversi da ciò che sono e mostrano la loro reale identità solo in un secondo momento. Così, quella che pare la scopa di una strega si rivela essere un  ronzino, il castello un albero, il mago un gatto e così via, in una successione di incontri che si chiude solo con il felice ritrovamento degli occhiali da parte del protagonista.

Ciò che rende insolita e speciale questa storia è il meccanismo ludico che consente la trasformazione degli oggetti agli occhi di Don Q e del lettore: una semplice aletta chiusa su ogni pagina fa infatti sì che un dettaglio di ogni figura assuma un nuovo significato una volta che l’aletta si volta. Si tratta di un meccanismo senz’altro noto e molto usato nell’ambito dei libri-gioco ma del tutto inusitato nell’ambito dei libri in simboli e più in generale dei libri accessibili. E questo lo rende davvero degno di interesse, soprattutto perché sottende una riflessione fondamentale sull’importanza di coltivare la dimensione ludica e il gusto per lo stupore anche laddove sia presente una disabilità.

La sorpresa, come sosteneva chiaramente Munari, è motore di conoscenza e come tale va coltivata il più possibile. Certo, i libri in simboli devono tenere conto delle esigenze di lettori che trovano nella linearità di pensiero e racconto, nella regolarità dei riferimenti e in una certa prevedibilità della narrazione un terreno confortevole in cui far viaggiare la fantasia, ma questo non significa che la sorpresa e l’imprevedibilità debbano essere sistematicamente sacrificate o messe da parte. Anche perché i lettori, così come i bisogni comunicativi, sono diversi e variegati. Ecco dunque che la scelta di Homeless Book di proporre anche a bambini con esigenze speciali un’esperienza di lettura diversa dal consueto, più interattiva e inattesa, appare innovativa e senz’altro meritevole di interesse e sperimentazione.

Peraltro, sarà bene sottolineare che l’elemento di sorpresa, latore di una certa circoscritta forma di imprevedibilità e di spiazzamento, va qui a innestarsi su di una struttura narrativa di per sé molto regolare e prevedibile grazie alla quale il lettore sa che a ogni pagina il personaggio incontrerà qualcosa che si rivelerà poi essere tutt’altro. C’è insomma, per certi versi, un’attesa o un’attendibilità del ricredimento, o per dirla altrimenti un certa prevedibilità dell’imprevedibile, che può concorrere forse a rendere quest’ultimo più accettabile e godibile. Il gioco che così si crea tra prima impressione e vera essenza delle cose va inoltre a sostenere e rafforzarsi a vicenda con il gioco  tra dimensione fantastica e dimensione reale, la prima espressa da ciò che Don Q crede di vedere – perlopiù elementi caratteristici dell’imaginario fiabesco (creature magiche e straordinarie, tesori, fortezze ecc…) – e la seconda espressa da ciò che Don Q vede effettivamente – perlopiù elementi caratteristici del quotidiano (una mucca, un gatto, un cesto di giochi…): un gioco imprescindibile quando si parla di bambini e in cui facilmente il lettore potrà ritrovare la sua esperienza. Pare insomma di cogliere tra le righe di questo libro snello e poco appariscente un’idea di infanzia giustamente multisfaccettata, che la componente della disabilità rende più complessa a non certo più piatta. E questo non è poco.

Cosa vede Don Q? si caratterizza infine per un testo semplice, forse  un pelo affinabile, e dalla struttura ricorrente, in cui prevalgono un lessico concreto e quotidiano e frasi perlopiù brevissime o con una sola coordinata. I simboli WLS che raccontano la storia sono dal canto loro grandi e riquadrati e presentano l’elemento alfabetico, in maiuscolo, all’interno del riquadro stesso. Ad accompagnarli, sulla pagina di sinistra, le illustrazioni essenziali e briose firmate da Piki (già arruolata dalla Homeless Book per I tre porcellini in CAA) che sposano chiarezza compositiva e gradevolezza estetica con una certa apprezzabile efficacia.

Puzzetta e piccolo pirata

Chi da piccolo ha avuto un fratello o una sorella con cui condividere la cameretta, sa che il momento di dormire può offrire occasioni ghiottissime per far viaggiare la fantasia in piacevole compagnia. Se costruite e vissute insieme, le avventure fantastiche hanno infatti un sapore diverso, più ricco e travolgente, nutrito di immaginari che si intrecciano e si mescolano. Così è anche per Puzzetta e Piccolo pirata – nomi di battaglia per esplorazioni al chiaro di luna – che ogni sera tenendosi per mano vengono catapultati in situazioni bizzarre, talvolta paurose e talvolta buffe, da cui sempre riescono a uscire facendosi coraggio a vicenda.

Accade con l’incontro con l’orso bianco, apparentemente ferocissimo ma in realtà mansueto e persino delizioso; con la visita a casa della nonna mancata e rimpiazzata da una nonna farlocca a cui rubare fette di pizza; e con le performances di canto di fronte al grande pubblico interrotte da presunti rumori intestinali. A turno, è uno dei due bambini a modellare sui suoi gusti e sogni il set dell’avventura, raggiunta poi magicamente grazie all’intervento di misteriosi folletti. Sempre a turno, l’altro bambino fa dal canto suo da spalla, da accompagnatore e da completatore della fantasia. Nei sogni a occhi aperti dei due fratelli si mescolano così con attenta adesione al mondo infantile, sogno e realtà, ricordi e desideri, ricerca del brivido e bisogno di rassicurazione, individualità e legami forti, in un rito notturno potenzialmente senza fine e denso di significato.

Puzzetta e piccolo pirata è un racconto che strizza l’occhio al giovane lettore e ne sostiene la lettura – anche laddove questa sia poco abituale o resa difficoltosa da disturbi specifici dell’apprendimento – grazie a una struttura che assembla episodi  ben definiti e in parte autoconclusivi e a un aspetto grafico amichevole che sfrutta criteri di alta leggibilità. Più lento e distaccato nelle parti introduttive, più snello e sorridente nelle parti dialogate, il racconto di Julie Bonnie si accompagna alla illustrazioni di Charles Dutertre (già apprezzatissimo in coppia con Alex Cousseu nella creazione delle avventure di Lucilla Scintilla) che con pochissimi mirati tratti sanno cogliere ironicamente ma con grande rispetto quella sospensione tra reale e fantastico che è caratteristica del libro e dell’infanzia tutta.

Mio nonno è un koala

Ha un’abitudine strana, il nonno di Elia: starsene tutto il giorno sull’eucalipto del giardino con le gambe a penzoloni. È una forma di pensosa malinconia, la sua, che affonda le radici in un tempo lontano, quando ancora la sua terra era abitata dai koala. Incalzato dal nipote, l’anziano racconta la storia di una preziosa foresta di eucalipti vissuta con cura e rispetto dal popolo dei koala ma improvvisamente  distrutta da mostri tutti cingoli, denti e metallo: una distruzione che porta il koala amico del nonno a fuggire dapprima e a tornare poi nella speranza di rivedere comparire il suo adorato eucalipto. Ma poiché gli alberi richiedono tempo per ricrescere, una volta estirpati, quella comparsa si fa attendere e del koala a un certo punto non si sa più nulla. Da qui la forte motivazione del nonno a ripiantare un albero tanto caro al koala e a dedicargli tanto tempo nella speranza che l’animale torni a farsi vivo. Il suo è una sorta di tributo, di offerta di scuse a nome dell’intera umanità capace di azioni distruttive e scriteriate verso madre natura. Ma attendere a volte non basta ed è così che, sollecitato da un moto di intraprendenza di Elia, la pensosa malinconia del nonno si trasforma in azione, con il sottinteso ma chiarissimo invito al lettore a fare altrettanto nel suo piccolo.

“Perché aspettare?” – come dice l’anziano – è in definitiva un buon interrogativo che ci può infatti riguardare tutti e che esprime bene l’importanza di una vita in cui il rispetto per gli altri e la natura passi prima di tutto per l’esempio attivo.

Mio nonno è un koala è un albo dallo spiccato impegno ecologista, scritto e illustrato con delicatezza da Francesca Pirrone (autrice tra l’altro anche del bel libro tattile Foglie) e pubblicato da Terra Nuova con caratteristiche di alta leggibilità. L’impaginazione più ariosa e il carattere Opendyslexic, scelte dall’editore,  donano dal canto loro un valore aggiunto importante al testo, rendendolo più amichevole e fruibile anche in caso di disturbi specifici dell’apprendimento.

Celestino lo gnomo speciale di Babbo Natale

Quella di Celestino è una storia a sfondo natalizio che del Natale porta tutto lo spirito pervaso di bontà. Sono i buoni sentimenti, in effetti, i veri protagonisti di questa fiaba moderna in cui la disabilità ha un ruolo centrale e significativo.

Celestino è un aiutante di Babbo Natale: un aiutante speciale, però, che non può camminare e che anche per questo riceve un occhio di riguardo da chi gli sta accanto. Non solo Babbo Natale vuole un gran bene a Celestino ma anche gli altri gnomi manifestano affetto e comprensione straordinari nei suoi confronti. È benvoluto, insomma, Celestino, anche quando Babbo Natale gli consente eccezionalmente di girare per il mondo in compagnia di una renna per sondare i desideri dei bambini. Proprio durante uno di questi viaggi esplorativi, Celestino si imbatte in un bimbo con le sue stesse difficoltà e da quell’incontro matura un desiderio davvero prezioso e importante che solo la magia di Babbo Natale trasformerà in realtà.

Pur appesantito da diversi stereotipi relativi alla disabilità (come l’assoluta gentilezza e bontà disinteressata, l’affetto incondizionato delle persone circostanti, la tendenza a suscitare tenerezza, l’associazione all’essere speciali…), Celestino lo gnomo speciale di Babbo Natale accende un faro interessante sulla questione del diritto al gioco e dell’importanza che gli adulti – anche senza magia – si preoccupino di offrire strumenti e giocattoli davvero a misura di qualunque bambino.

La principessa che stava sempre seduta

Elisa non è una principessa come le altre. Costretta all’immobilità fin dalla nascita, trascorre le sue giornate seduta, covando rabbia e tristezza per una condizione di disabilità in cui non si riconosce. Le sue giornate si fanno interminabilmente lunghe e via via che il tempo passa il suo umore diventa più nero e i suoi modi più sgarbati, fino a generare una generale insofferenza da parte di tutti i sudditi e i servitori. Tutti tranne una. La fide ancella Dorotea non si fa scoraggiare, infatti, dalle maniera prepotenti della principessa e si presta ad assecondarne i desideri comprendendone il profondo dolore. Sarà proprio Dorotea a fare un giorno ad Elisa il dono che le cambierà l’esistenza: un tappeto magico capace di far compiere viaggi incredibili a patto che siano condivisi con una persona di fiducia. Grazie a quel tappeto e alle possibilità straordinarie che offre, tra Elisa e Dorotea si instaura un rapporto che va ben oltre quello che può legare un sovrano e un servitore, aprendo alla giovane principessa nuove prospettive sulla sua vita e sul valore dell’amicizia che consente di apprezzarne anche i pregi più nascosti.

Scegliendo la forma tradizionale della fiaba, pur narrata con toni non sempre distaccati e sospesi, Nadia Cerchi propone un racconto in cui la disabilità si fa motore narrativo, invitando il lettore a immedesimarsi nei personaggi e a condividerne le riflessioni. Proprio per venire incontro alla esigenze di lettura di bambini che, come la principessa protagonista, manifestano delle difficoltà di movimento La principessa che stava sempre seduta è reso disponibile anche in formato ebook. Inoltre Il testo è inoltre scaricabile in formato MP3 dal sito www.adov.it ad uso esclusivo di persone non vedenti, ipovedenti, dislessiche o impossibilitate a leggere in modo autonomo.

Il principe azzurro. La principessa fuxia

Ci sono libri che non vorresti chiudere, una volta terminati. Bene, Riccardo Francaviglia e Margherita Sgarlata hanno trovato la soluzione: un libro che ricomincia, con una storia nuova, nel momento esatto in cui sembra essere concluso. Come? Con un’arguta costruzione narrativa che consente di rileggere il medesimo volume a partire dal fondo. Cambia il verso di lettura ma le illustrazioni restano le stesse, perché ciò che fa emergere la nuova storia è l’occhio del lettore, focalizzato su un nuovo protagonista su indirizzo del (secondo) titolo.

Così, se dapprima è il viaggio del Principe Azzurro ad occupare la scena, a suon di duelli e mari e burrasca, in un secondo momento sono le avventure della principessa Fuxia,  con la sua traversata e i suoi pensieri amorosi, a conquistare attenzione. Ed è spiazzante, in effetti, rendersi conto che sono sempre state lì senza che vi si badasse troppo. Come per magia, cornice e primo piano si scambiano di posto, in un gioco di punti di vista tutt’altro che banale. A rendere possibile questa danza prospettica è certo l’assenza di parole – Il principe azzurro. La principessa fuxia è infatti un silent book – che lascia il lettore libero di muoversi sulla pagina e dedicare attenzione a ciò che di volta in volta ritiene opportuno. Ci troviamo quindi davanti a un racconto che, procedendo per sole immagini, strizza l’occhio e offre una lettura gustosa (ma – attenzione – non immediata e priva di sforzo interpretativo!) anche a lettori che normalmente faticano a confrontarsi con un testo scritto, per esempio per difficoltà legate alla dislessia o a una disabilità uditiva.

Con una costruzione che moltiplica le possibilità di accesso alla storia, rimette in gioco prospettive e convinzioni, Il principe azzurro. La principessa fuxia pare così dare un’originale e interessante interpretazione dell’idea proustiana secondo cui “L’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è”.

Occhi da orientale

Ha un narratore insolito, Occhi da orientale. Alta e maestosa, sempre attenta a ciò che accade nel cortile, è infatti la vecchia quercia che fa ombra all’asilo a raccontare al lettore la storia di Chiara, bambina placida e taciturna che stenta a fare amicizia con i compagni. Di lei non sappiamo molto, se non che “ha qualcosa di diverso dagli altri bambini” – confermato in maniera appena accennata dal titolo del libro – e che se ne sta spesso sotto l’albero ad accarezzare il gatto Mattia. È gentile, Chiara, e la vecchia quercia la prende in simpatia a differenza di quanto fa con Goffredo, bambino prepotente e dispettoso. Così, quando il gatto Mattia si arrampica troppo in alto e non riesce a tornare a terra, la quercia non esita a sostenere Chiara nel suo coraggioso tentativo di arrampicarsi per salvare l’animale. È così che Chiara arriva in alto, dove nessun altro bambino è mai arrivato, fino a scorgere lo scoglio dei gabbiani in mezzo al mare. Ed è così che qualcosa, nella percezione dei compagni cambia, consentendo una prima felice possibilità di relazione.

Un po’ fuori dagli schemi a cui l’editoria per l’infanzia attenta alle tematiche della disabilità ci ha abituato, Occhi da Orientale sceglie la strada del sussurro, in parole ed immagini, per raccontare la sua storia. È una storia senza fretta, questa, e come tale viene narrata, chiedendo al lettore di prestare ascolto e prendersi il suo tempo per assaporare, cogliere, capire. I testi raffinati di Annamaria Piccione, votati talvolta al ricordo e alla riflessione pensosa, e le illustrazioni particolarissime di Monica Saladino, che uniscono in maniera efficace matita e collage, trovano un comune punto di incontro nell’apprezzabile scelta di mettere l’infanzia – tutta – al centro della narrazione, senza fare della questione della disabilità una bandiera forzatamente sventolata. Ne emerge un racconto pacato e poetico, che invita sommessamente a riconoscere le occasioni che la vita ci porge di superare e rimettere in discussione pregiudizi e distanze.

Che sport, lo sport

Che Ole Könnecke sapesse essere irresistibile lo avevamo era già cosa certa, soprattutto dopo la pubblicazione de Le avventure di Lester e Bob (Beisler, 2015). Ora l’autore tedesco torna a far sorridere i suoi lettori con un volume sempre edito da Beisler e interamente dedicato al mondo dello sport. Che sport, lo sport è infatti un inno alla gioia di cimentarsi, mettersi alla prova, divertirsi e superarsi in una disciplina sportiva. Di qualunque tipo essa sia. Sì, perché la forza di questo volume con immagini e testi dalla travolgente carica ironica, sta proprio nel celebrare con lo stesso entusiasmo le discipline più note come il calcio o il basket e quelle più sconosciute come l’arrampicata sportiva o il lancio del tronco. Quel che conta è che ciascuna richiede abilità specifiche e regala soddisfazioni enormi. In una parola molto cara all’autore, cioè, ognuna di esse sa essere fantastica!

Il libro è strutturato come una vera e propria carrellata che riassume in pochissime e chiarissime parole il principio di ogni sport e ciò che lo rende – per l’appunto – fantastico. Ai testi rigorosissimi fanno da contraltare le illustrazioni scanzonate e imprevedibili, che mettono in scena gli animali più disparati alle prese con le diverse discipline. Così, tra renne surfiste, maiali sugli sci, fenicotteri ginnasti e rane pescatrici, il lettore ha modo non solo di scoprire e riscoprire gli sport più disparati ma anche di godersi scene atletiche spassose. A completare il tutto la felice scelta dell’editore di utilizzare per il volume alcune caratteristiche di alta leggibilità (il font Testme, la sbandieratura a destra e la distribuzione poco rigida dei testi, per esempio) che ben si sposano, in un’ottica di incentivo alla lettura anche per i lettori più deboli o con maggiori difficoltà, a un racconto dinamicissimo nella forma e nel contenuto.

Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf

Ha una dimensione più grande della maggior parte degli albi in commercio, è piacevolmente più pesante e corposo e si presenta con un’insolita forma quadrata. Impossibile, dunque, non farsi incuriosire da Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf, fin dalla sua fisicità. È un fuori raffinato e intrigante, il suo, che si fa sincera anticipazione di un dentro che è un’autentica delizia.

Qui i due maiali che compaiono in copertina – una scrofa agghindata che torna dal mercato carica di provviste e un porcellino dall’aria monella che la tira per il grembiule  – sono immortalati in alcuni momenti, tanto gustosi quanto apparentemente irrilevanti, di una giornata qualunque. Un pettegolezzo al telefono, una torta in preparazione, una cena distinta, un bagno rilassante: tutti istanti  di poco conto nella quotidianità di una suina signora, se non fosse per quel terremoto del suo figliolo che li trasforma in ghiotte occasioni per qualche guaio. E così, tra frange di tappeto tagliuzzate, uova rotte e  cerbottane di ciambellone, il maialino invita il lettore scoprire marachelle sempre nuove fino quasi a sentirsene felicemente complice.

È un invito irresistibile, in effetti, quello a voltare pagina seguendo lo scorrere del giorno. Complici di grande effetto, sono i finissimi intagli che dinamizzano e prolungano ogni scena, trasformandola in una sorta di quinta teatrale dietro cui sbirciare. Il lettore ha così modo di sfogliare pagine preziose nella loro delicatezza che offrono piccole gustose anteprime di ciò che verrà dopo: un personaggio, un’azione o anche solo un ambiente, comunque sufficienti a far venire l’acquolina narrativa in bocca. È un coinvolgimento insieme emotivo (sfido a trovare qualcuno che non abbia compiuto simili guai domestici) ma anche fisico, poiché si ha letteralmente l’impressione di varcare le porte ed entrare nelle stanze in cui le diverse scene si svolgono. La soddisfazione di lettura e rilettura, in solitaria o anche a due voci genitore-figlio, è dunque grande. L’assenza di parole, poi, unita a un’innegabile raffinatezza stilistica la rende fruibile anche a giovanissimi lettori che poco d’accordo vanno con il testo scritto, per esempio perché dislessici o sordi, ma che in un racconto per immagini trovano terreno fertile e accessibile per i loro volteggi fantastici.

Edito originariamente nel 1978, pubblicato per la prima volta nel nostro paese dalla visionaria casa editrice di Rosellina Archinto (con il titolo Un giorno nella vita di Cecilia Lardò), la mitica Emme Edizioni, Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf torna ora a solleticare i lettori italiani grazie alla felicissima intuizione e iniziativa di una casa editrice fresca fresca, la LupoGuido. Primo titolo in catalogo per la casa editrice milanese, il silent book firmato da Tatjana Hauptmann festeggia così i suoi primi quarant’anni, continuando a offrire un ritratto scanzonato e realissimo dell’infanzia in cui bricconi di ogni età non faticheranno a riconoscersi e mamme di ogni tempo troveranno sorridente conforto!

Una scatola gialla

Una grafica ricercata e pulita,  un viaggio misterioso a bordo dei più disparati mezzi di trasporto e un saporito equilibrio tra sorpresa e ripetizione: gli ingredienti di base di Una scatola gialla lasciano prevedere un manicaretto editoriale niente male. E così è, in effetti. Il particolarissimo libro firmato da Pieter Gaudesaboos offre una lettura gustosa in cui dapprima si accelera per seguire il tortuoso percorso del contenitore che dà il titolo al volume e scoprire cosa vi si nasconda, e poi si rallenta per godere delle minuscole e minuziose figure con cui l’autore anima il racconto.

Protagonista del libro è, per l’appunto, una scatola gialla dal contenuto ignoto che passa di mano in mano (dal pilota al comandante e da questi al macchinista, all’autista e al postino) e di mezzo in mezzo (dall’aereo alla nave e da qui al treno, al pullman e alla biciletta) fino ad arrivare in possesso di una bambina. Nei diversi passaggi la scatola subisce incidenti e intemperie che ne riducono la dimensione – sicché da enorme diventa via via minuscola – e il suo contenuto si fa oggetto di congetture da parte dei protagonisti. Un rinoceronte, un elefante, un leone, una scimmietta o forse un gatto: cosa conterrà l’imperscrutabile scatola? Nulla di quanto ipotizzato, a dire il vero, ma un oggetto apparentemente insignificante come un fischietto con cui rimettere insieme tutti i tasselli della storia e dare loro un nuovo e inatteso valore narrativo.

Con Una scatola gialla prosegue la felice avventura de I libri di Camilla, collana curata da Uovonero con lo scopo di offrire in versione simbolizzata alcuni degli albi più amati, editi negli anni da case editrici diverse, rendendoli finalmente fruibili anche a un pubblico con difficoltà comunicative. Rispetto ai volumi precedenti, Una scatola gialla è soggetto a qualche aggiustamento in più, funzionale a una più chiara e soddisfacente lettura in simboli. Così, per esempio, le proposizioni coordinate e subordinate vengono spezzettate in frasi più brevi e alcuni elementi delle illustrazioni (come gli ingrandimenti dei personaggi di volta in volta coinvolti) scompaiono, rendendo la pagina più pulita e le sue componenti più distinte. Si tratta di adattamenti significativi ma ben calibrati dal momento che non ne risentono né il ritmo del testo, che continua a risultare ben scandito e incalzante, né i focus delle illustrazioni, che trovano espressione nei simboli collegati ai personaggi, gli unici a essere colorati all’interno della sequenza simbolica.

L’edizione in simboli de Una scatola gialla, che non manca peraltro di offrire al lettore alcuni giochi conclusivi così come previsti nell’edizione originale targata Sinnos, propone quindi una lettura piacevole, adattissima sia a una fruizione condivisa  sia a prime esperienze di fruizione autonoma, grazie anche alla scelta di simboli WLS con testo in stampatello maiuscolo. Da non sottovalutare inoltre, quella che appare come un’ottimale predisposizione di un volume come questo di Pieter Gaudesaboos a una trasposizione in simboli in virtù sia di una struttura iterata, che fa della ripetizione un uso frequente e funzionale, sia di  illustrazioni molto precise e nette, che soddisfano il gusto estetico e la ricerca di rigore.

Il ladro di Panini

Appetitoso come un panino al prosciutto, provolone e lattuga (con uno strato di maionese fatta in casa, naturalmente!), Il ladro di panini è una ghiotta novità edita da Sinnos. È ghiotta per il formato, che si ispira al fumetto pur non procedendo solo per balloons e che combina in maniera accattivante immagini frequenti e testi snelli ad alta leggibilità. È ghiotta per la storia, che smilza e appassionante, coinvolge il lettore in un giallo da gourmet. Ed è ghiotta per lo stile irresistibilmente ironico degli autori Patrick Doyon e André Marois.

Protagonista del libro è Marin che un giorno, all’ora di pranzo, non trova nel suo cestino il raffinato panino che la mamma è solita preparagli. Il panino al prosciutto, provolone, lattuga e maionese fatta in casa, nella fattispecie: quello del lunedì. Il problema è che non si tratta di un furto o di uno smarrimento isolato: la faccenda si ripete infatti il martedì, con il succulento panino al tonno, pomodorini secchi e maionese fatta in casa, il giovedì con il delizioso panino all’uovo, parmigiano, cipolla rossa e maionese fatta in casa e il venerdì, con l’intrigante panino al pollo, avocado, cetriolo e maionese fatta in casa. Solo il mercoledì il malcapitato la scampa, il giorno del panino con tofu, rughetta, pomodorini e gamberetti. L’affronto è davvero grande e la fame pure, perciò Marin si mette a investigare, individuando possibili sospettati, lanciando accuse spavalde e tendendo ingegnose trappole. Fino all’agognata cattura dell’impostore, colto letteralmente con le mani nella… maionese!

Davvero divertente e agevole da seguire Il ladro di panini combina la soddisfazione di una storia corposa (anche nel numero di pagine) con una grafica accattivante e amichevole, capace con buona probabilità di stuzzicare anche i lettori più recalcitranti o convinti che la lettura debba necessariamente essere affar ostico e poco piacevole.

Felicottero

Marc Herremans è un atleta belga di triathlon. Vittima di un grave incidente qualche anno fa, è rimasto paralizzato nella parte inferiore del corpo. Da quel momento ha iniziato a praticare lo stesso sport in sedia a rotelle, raggiungendo numerosi traguardi e diventando un modello per molte persone con e senza disabilità.

Perché citare proprio la storia di Marc? Perché a lui si ispira ed è dedicato il bell’albo Felicottero edito da Sinnos. Come un Herremas in becco e piume, Felicottero era un grande campione sportivo, noto a tutti per i suoi successi nelle più svariate discipline: dai 50 metri di corsa veloce alla pesca al gamberetto. Caduto però un giorno dalle nuvole, all’uccello resta una gamba sola, tanta nostalgia dei tempi d’oro e pochi amici. Dodo, Airone e Pinguino che erano soliti accompagnare le sue imprese, d’improvviso e proprio nel momento più critico, si fanno infatti latitanti. Per fortuna Felicottero incontra Millepiedi che con le parole e gli stimoli giusti, dettati da un arguto contrasto quantitativo di arti –  gli offre la spinta che da solo stentava a trovare, aiutandolo a cogliere l’occasione per una vera e propria rinascita.

Sostenuto da una felice misura di ironia e saggezza, Felicottero è un libro che si libra senza fatica tra i pensieri del lettore. Lo fa grazie a  un testo ad alta leggibilità che gioca saporitamente con modi di dire e frasi fatte e che fa proprio di questo aspetto una chiave per ribaltare il paradigma che ingessa la disabilità in una cornice cupa e del tutto priva di  humour. E lo fa l’albo grazie a delle illustrazioni strepitose, che riflettono a pieno la sensibilità e la qualità poetica caratteristica di Marije Tolman. I suoi guizzi cromatici, il suo uso sapiente della verticalità e la sua capacità di avocare senza troppo dire lasciano infatti al lettore tutto lo spazio di cui necessita per fare propria una storia preziosa.

Zelda la piratessa

I pirati che navigano sul Lamantino sono i più classici a cui si possa pensare: il capitano Arraffa, l’ubriacone Beone, i guerci Senzocchio e Unocchio, il saggio e vecchio Nodo e l’attivo Scheggia. E poi c’è lei – Zelda – che ribalda invece ogni cliché e costringe ciurma e lettori a una virata nel proprio immaginario. Trovata dai pirati in una cesta in mezzo al mare, Zelda cresce con indole e abitudini marinaresche, imparando al volo a fare come e meglio dei suoi compagni di viaggio di sesso opposto. Salita a capo dell’imbarcazione, Zelda conduce avventure mirabolanti, ricche di tesori e di imprese. Ma il coraggio non si misura solo in monete d’oro sotterrate e palle di cannone sparate: anche la capacità di interrogarsi sulla propria identità, di cambiare strada e di tornare sui propri passi possono essere indicatori preziosi. E allora Zelda, che non ha paura di tornare bambina, di sperimentarsi principessa e infine di trovare la sua rotta ideale, di coraggio ne ha davvero da vendere!

Stampata ad alta leggibilità, con un uso accorto non solo del font leggimi e delle caratteristiche di impaginazione (spaziatura maggiore, sbandieratura a destra) ma anche del colore e della dimensione del testo, Zelda la piratessa fa parte della bella collana I tradotti di Sinnos, che sceglie dalla produzione estera storie  avvincenti e coinvolgenti per farne la leva principale di conquista del lettore, con e senza dislessia.

La costituzione in tasca

“Giovanni, tu lo sai che cos’è la Costituzione?”, chiede Emma.
“No e non me ne importa, ho dodici anni, ho tutta la vota davanti. La Costituzione è roba da vecchi”, risponde Giovanni.

Si apre così, con un dialogo che non potrebbe essere più credibile, La Costituzione in tasca: l’agile e denso volume ad alta leggibilità che Sinnos ha volute dedicare alla nostra Carta per il suo settantesimo compleanno. È un dialogo tra due ragazzini che con il pretesto di una ricerca scolastica si confrontano e si interrogano sul significato e sull’attualità del libro che sostiene e guida la nostra Repubblica. È roba da vecchi, dice Giovanni, interpretando quello che potrebbe essere un sentire diffuso. Quanti giovani e giovanissimi si interessano alle leggi fondamentali del nostro Paese? O meglio: quanti hanno occasione di incontrare la Carta in maniera comprensibile e attiva? Senz’altro pochi, sicché riconoscere e rispettare la loro posizione e offrire uno strumento utile per rivederla con cognizione di causa è un’azione civile di grande e silenziosa portata. Perché Giovanni – e con lui il lettore – scopra che nonostante i suoi 70 anni suonati la Costituzione è tutt’altro che roba da vecchi, serve che le parole difficili di cui si compone suonino più familiari e comprensibili alle giovani orecchie e che il contenuto che essa porta si cali concretamente nel quotidiano bambino.

Ecco, con questo scopo si muove La Costituzione in tasca, costruita come un dialogo incalzante, a cui prendono parte, oltre a Emma e Giovanni, anche personaggi di natura teatrale come Pausa e Tafferuglio – che marcano momenti riflessivi e di acceso dibattito – e di natura storica come Piero Calamandrei. Ai loro interventi si alternano poi le citazioni di alcuni articoli, presi in ordine sparso e citati nella loro forma ufficiale, ma anche notizie e riflessioni che aiutano a collocare la stesura della Carta in un preciso momento storico per mano di persone in carne ed ossa (bellissimo, per esempio, il riferimento alle 21 madri costituenti che si tennero per mano durante il voto per il ripudio alla guerra). Il risultato è un testo composito che potrebbe ben prestarsi a un’interpretazione su palcoscenico ma che al contempo sviscera con parole chiare un testo apparentemente antico e distante, rendendolo la base ideale per un confronto tra pari in classe. Non è, se vogliamo, una lettura di evasione, ma è una lettura che rende stimolante l’avvicinamento a un testo che merita di essere interiorizzato da tutti i cittadini, anche e soprattutto quelli del futuro. Il fatto poi che proprio un testo che promuove la conoscenza della Costituzione sia stampato ad alta leggibilità – con font leggimi e caratteristiche di impaginazione più amichevoli anche per il lettore dislessico – è una piccola importante attenzione a quello che è, non a caso, uno dei diritti – quello alla cultura – sanciti dalla Carta.

La Costituzione in tasca rispecchia in pieno l’impegno che da sempre Sinnos profonde in favore della legalità e della cittadinanza attiva attraverso il potentissimo strumento dei libri. Nato in seno a un progetto importante intitolato BILL – La biblioteca della legalità, il volume è stato scritto da due persone che il diritto lo conoscono a fondo e che con cura si dedicano a renderlo maneggiabile da bambini e ragazzi. Il lavoro di avvicinamento alla Carta costituzionale fatto da Valeria Cigliola ed Elisabetta Morosini, che di mestiere fanno i magistrati, è infatti attento e profondamente mosso dalla convinzione che il rispetto della Costituzione passa prima di tutto dal sentirla propria e vicina. In questo senso, interessante e apprezzabile è anche il gioco di carte proposto alla fine del volume, con tutto il necessario da staccare e ritagliare, per  far sì che le parole che raccontano i nostri diritti e doveri diventino qualcosa di concreto che muove con leggerezza pensieri e confronti.

“La Costituzione sono io.
La osservo, la leggo, la prendo, ci gioco, la mangio a colazione con la cioccolata calda e le frittelle.

Divento grande, vado a scuola

Prosegue l’interessante esperienza editoriale di Homeless Book sul fronte delle storie sociali: storie realistiche che mirano a far comprendere e assimilare ai bambini, soprattutto ma non solo con difficoltà comunicative e comportamentali, le regole e gli atteggiamenti attesi in specifiche situazioni.

Mentre Imparo a fare la pipì, era dedicato a bambini in età prescolare, Divento grande, vado a scuola si rivolge ai bambini un pochino più grandi, alle prese con le novità in fatto di ritmi, regole e abitudini che la scuola primaria porta con sé. Qui si focalizza l’attenzione su ciò che si può e ciò che non si può fare in classe, sui luoghi in cui si svolgono le diverse attività, sulle persone con cui si entra in relazione e su ciò che si impara di giorno in giorno: una presentazione puntuale e comprensibile di tanti aspetti dall’alto potenziale confusivo e intimorente.

A rafforzare la spendibilità di questo tipo di pubblicazione, l’idea di renderla personalizzabile grazie all’aggiunta di dettagli – nel testo e nelle immagini – che rispecchino la specifica realtà del lettore: il viso del protagonista, per esempio, è lasciato in bianco e nero per invitare il bambino ad apporvi la sua foto e alcuni riquadri del testo in simboli sono lasciati bianchi per consentire di aggiungere regole specifiche della singola scuola. Si tratta di piccole attenzioni che unite però alla cura nella costruzione del testo e nella simbolizzazione, fanno di questi testi degli strumenti funzionali.

No! Le unghie no!

No! Le unghie no! è un chiaro esempio di come una storia cosiddetta su misura, ossia costruita ad hoc nei contenuti e nella forma sulle esigenze di uno specifico bambino, possa trasformarsi in una storia per tutti. Nato all’interno di un gruppo di lavoro eterogeneo, composto da genitori, insegnanti, educatori e terapisti che a vario titolo si occupano di un bimbo di nome Federico, il libro è stato confezionato per rispondere alla passione di quest’ultimo per gli animali, alla sua insofferenza verso il taglio delle unghie  e alla sua preferenza per una comunicazione su base visuale. Il prototipo di No! Le unghie no! – composta da un testo in simboli corredato da illustrazioni – è stato poi sistematizzato secondo il modello in-book e reso disponibile al pubblico dalla casa editrice Homeless Book che grande attenzione dedica alla lettura in caso di difficoltà comunicative.

Contraddistinto da una struttura iterata e da un testo lineare ma con alcuni elementi di complessità (periodi  con diversi complementi o alcuni discorsi diretti non esplicitamente attribuiti) No! Le unghie no! racconta la storia di un bambino che si convince a tagliare le unghie – cosa che non ama affatto fare – grazie alle vicende esemplari di alcuni animali che proprio a causa delle unghie lunghe si cacciano nei guai. L’elefante, il leone, la scimmia e la mucca si trovano infatti a rompere piscine, palloncini, gonfiabili e monopattini: tutte cose familiari al protagonista ma anche e soprattutto al lettore.

Senza pretese letterarie e artistiche, coerentemente con la sua origine, il libro porta con sé una storia semplice e facile da seguire.

Io rispetto

C’è un paese di nome Armonia, in cui ogni persona vive serenamente, libera di giocare, crescere, imparare, esprimersi, realizzarsi nella maniera che le è più congeniale, anche nel caso in cui sia colpita da una disabilità. Armonia è certo un paese fantastico ma che traduce in immagini efficaci il senso di un documento importante come la Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità e che si vorrebbe non distasse molto dalla realtà. I suoi abitanti accoglienti, le sue leggi amichevoli e i suoi luoghi ospitali rendono bene l’idea di come dovrebbe costruirsi una società inclusiva quale quella raccomandata dal documento redatto dall’ONU nel 2006. Questo, reso a misura di bambino grazie a un lavoro intitolato “Parliamo di abilità” promosso dall’UNICEF, funge proprio da ispirazione per i quattordici componimenti in rima di Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità, scritti da BendettoTudino e illustrati da MariannaVerì.

Il volume nasce da un progetto dell’Unicef, dell’Agenzia Politiche a favore dei Disabili del Comune di Parma e dall’associazione Rinoceronte Incantato. Forte dell’idea che le norme vadano il più possibile fatte proprie e interiorizzate, il libro sceglie la via della rappresentazione poetica per dare un senso pieno, comprensibile e vicino al sentire dell’infanzia a norme rigorose e astratte. Così il diritto di ridere, scegliere, esserci o decidere acquistano un significato più vivo e palpitante, più facile da riscontare e forse mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Tra tanti diritto, poi, non manca quello a noi tanto caro, di leggere, che l’autore chiude così:

Impara così un Mondo felice

Quel che si fa, si pensa e si dice.

Con le mani, gli occhi e la mente,

studia il sapere di tutta la gente.”

Questa è la storia di Topolina

Emanuela Nava ha una dote speciale nel trovare le parole giuste per dire anche le situazioni più complesse alle orecchie dei bambini. Lo dimostra, una volta di più, con Questa è la storia di TopoLina: un racconto in forma d’albo illustrato, con le splendide illustrazioni di Simona Mulazzani, in cui le difficoltà comunicative che affliggono diversi bambini trovano voce attraverso la minuta figura di una topina del bosco. Sorpresa dalla neve che ha sommerso la sua casa, TopoLina cerca aiuto ma, non riuscendo a parlare, non sa come farsi capire dagli altri animali. Saranno i segni lasciati sulla neve a far comprendere la sua richiesta e soprattutto a far trovare alla volpe e ai suoi amici un modo speciale di comunicare con lei.

Delicatissima, nelle parole e nelle illustrazioni, Questa è la storia di TopoLina è una storia di silenzi esterni che non corrispondono a silenzi interni, di amicizie che fanno trovare soluzioni inattese e di modi di relazionarsi insoliti ma straordinariamente affascinanti. Muovendosi in punta di piedi, Emanuela Nava e Simona Mulazzani dipingono un quadro fantastico in cui la disabilità, le difficoltà che implica e le risorse che fa emergere, non vengono mai citate esplicitamente ma trovano una rappresentazione lucidissima ed efficace.

E se è vero che i progetti editoriali come questo, mossi da intenti sociali, sono sempre un po’ rischiosi, va riconosciuto a Carthusia il merito di affrontare l’insidia del pedagogismo spiccio con grande perizia, affidandosi alla sensibilità e alla competenza di autori sopraffini. Gli scrittori e gli illustratori che hanno curato i diversi volumi della collana Storie al quadratosono sempre infatti di altissimo livello, capaci di mettere la loro arte al servizio di un racconto speciale. Gli albi come Questa è la storia di Topolina trasformano così esperienze particolari e importanti, come quella del Centro Benedetta d’Intino di Milano, in storie di grande fascino che arrivano al lettore grazie a un alleato prezioso: l’emozione.

Lucia

La giornata di Lucia inizia, come per tutti, con pochi automatici gesti quotidiani: lavarsi i denti, mettere a bollire il tè, infilarsi il giubbino, afferrare il bastone. Il bastone le serve per muoversi per strada ed è il dettaglio che ci fa capire con certezza che Lucia è una bambina cieca: una bambina che il libro di Roger Olmos intende accompagnare nel suo cammino da casa a scuola e qui dare voce a una piccola storia di bellezza che ha la possibilità di fiorire proprio grazie a quello che parrebbe il limite della protagonista. Dopo un suggestivo percorso in autobus e un eloquente percorso a piedi, accarezzata dal vento come in altalena, divertita da un legnetto su una staccionata che pare un organo e incuriosita da bizzarri personaggi dalla testa di colonia, pipa o foglie, Lucia arriva a scuola e condivide momenti preziosi con un compagno poco alla moda al cui aspetto Lucia non bada.

Frutto di un grosso e accurato lavoro condotto dall’autore per immergersi realmente nel mondo di una persona cieca, Lucia offre una storia delicata e una riflessione raffinatissima sullo scarto che separa la reale percezione di una persona non vedente e il nostro modo consueto di immaginarla. L’autore sottolinea, in particolare, e veicola questo scarto con un gioco sapientissimo e suggestivo tra immagini colorate e in banco e nero così come tra figure realistiche e figure fantastiche. Ecco allora che il consueto immaginario onirico di Olmos trova quindi qui un terreno fertilissimo e una possibilità di espressione nuova, funzionale a rappresentare un’esperienza fuori dal comune.

Nato dalla collaborazione tra CBM onlus, che si occupa di disabilità visiva nei paesi più poveri, e Logos edizioni, Lucia fa parte di una collana inaugurata da un altro grande illustratore – Lorenzo Mattotti – con un albo più astratto e adatto a un pubblico adulto intitolato Blind. Si tratta di una collana volta a esplorare il mondo della disabilità visiva nelle sue molteplici sfaccettature: un progetto importante in cui una riflessione profonda sulle possibilità d’inclusione nasce e si diffonde grazie alle matite più pregiate dell’attuale panorama editoriale.

Che favola, Mattia

Quella di Mattia è una storia di sogni e passioni che aiutano a superare ostacoli e difficoltà. Mattia è infatti un bambino dalla spiccata immaginazione che ama sentirsi raccontare e inventare storie fin da quando è piccolissimo. Con l’arrivo alla scuola elementare il suo interesse per la narrazione si scontra però con una certa difficoltà nella lettura e nella scrittura: lettere che si spostano, siscambiano, si compongono sulla pagina in maniera differente da come aveva previsto. Mattia scopre così di essere dislessico ma la sua tenacia e la sua passione per le storie lo portano a impegnarsi con ancora maggiore dedizione per riuscire ad avere la meglio sulle parole.  Sarà proprio questo impegno, unito a una sorprendente valorizzazione del suo talento da parte di maestra e compagni, a far sì che la storia di Mattia trovi un lieto fine.

Con un testo piano dai toni spiccatamente positivi e illustrazioni piacevoli he accompagnano discretamente la lettura, Che favola, Mattia racconta difficoltà e possibilità di un bambino dislessico, cercando di alimentare l’autostima di chi condivide con il protagonista un rapporto ostico con la scrittura. A supporto di tale intento va senz’altro anche l’apprezzabile scelta dell’editore Acar di pubblicare il volume utilizzando un font ad alta leggibilità, un carattere maiuscolo e una spaziatura tra lettere, parole e righe maggiore.

La bambina che andava a pile

Quello con La bambina che andava a pile è stato amore a prima vista. Tutto subito per quel titolo curioso e quelle illustrazioni graffiate e graffianti, che non passano inosservate fin dalla copertina. Poi per la testimonianza preziosa di una sordità vissuta da dentro, la ricchezza di piani di lettura, l’unione commuovente tra ironia e profondità che, davvero, è raro trovare in un albo che tocca il tema della disabilità. Ma andiamo con ordine.

La bambina che andava a pile è l’opera prima di una giovanissima autrice bresciana (classe 1992!), cresciuta con una sordità profonda diagnosticata all’età di due anni e poi con un impianto cocleare posizionato all’età di dieci. Proprio quell’esperienza d’infanzia, così particolare e distante da quella della maggior parte dei bambini, è protagonista del libro che raccoglie in forma lapidaria una serie di riflessioni su cosa significhi, concretamente, essere sordi in un mondo di udenti: la rincorsa delle parole, l’ostilità del buio che crea un distacco netto col resto del mondo, le voci – molteplici – su cui può fare affidamento, la vita in equilibrio tra più dimensioni, il valore relativo del concetto di diversità, il peso variabile dei nomi con cui si dice e si dà forma a una realtà. Quello di Monica Taini è un ritratto personale ma scorre fluido e avvincente come una storia avventurosa, forse perché propria come un’avventura è pieno di rivelazioni e colpi di scena. Ogni pagina è una bordata di senso, talvolta illumina talvolta colpisce allo stomaco, ma sempre invita a soffermarsi un attimo (e più) anche grazie all’eco generato da immagini in cui incisione e collage risultano molto espressivi. A chiudere il tutto, un glossario semiserio di cultura sorda che introduce con straordinaria ironia al mondo della sordità, tra oralismo, protesi e logopedia: una chicca utilissima per spiegare termini difficili e dire questa particolare disabilità con una precisione sorridente.

Morale: non lasciatelo sfuggire. La bambina che andava a pile è uno di quegli albi da conoscere e far conoscere. Assolutamente. E per il quale non solo l’autrice ma anche un lungimirante editore come Uovonero merita un grazie a lunga durata.