Il Centro Internazionale del Libro Parlato

Il Centro internazionale del Libro Parlato “Adriano Sarnagiotto” mette a disposizione dei propri utenti migliaia di audiolibri in italiano ed in lingua originale. E’ possibile accedere in modo gratuito alle risorse previa registrazione e certificazione che attesti le reali difficoltà di lettura. Il Centro Internazionale del Libro Parlato, infatti, non si pone come un sito di vendita di audiolibri, bensì come un servizio che possa permettere l’accesso alla lettura a persone con problemi visivi o a cui non è possibile accostarsi alla lettura in modo tradizionale. Sono disponibili oltre 16 mila titoli, oltre a molte riviste di cultura generale.

Gli audiolibri vengono forniti in formato EPUB3, ascoltabili tramite Thorium Reader (disponibile per PC Windows e MacOS) oppure tramite l’applicazione Libro Parlato CILP app, disponibile per smartphone e tablet con sistema operativo Apple ed Android. Il punto di forza del formato EPUB3 consiste nel poter racchiudere nello stesso file audio, testi e immagini e rende possibile la visualizzazione della frase o della singola parola mentre questa viene pronunciata; i file audio utilizzati sono quindi letti da voce umana e vengono sincronizzati con il relativo testo a vantaggio dei due sensi: vista e udito.

 

La piccola strega

Cosa significa essere una buona strega? Fare cose generose o, al contrario, esercitare a puntino la malvagità propria della categoria? Su questo amletico dubbio e sull’equivoco che può generare poggia il gustoso racconto scritto dall’autore tedesco Otfried Preussler.

Tutto ha inizio quando la piccola strega protagonista decide di partecipare di nascosto all’annuale sabba della notte di Valpurga, nonostante abbia soltanto centoventisette anni e alle fattucchiere così giovani non sia consentito avvicinarsi al monte Block. Colta in flagrante, la strega viene punita ma ottiene il permesso di presentarsi l’anno successivo per dimostrare di aver acquisito abbastanza esperienza. E così, proprio per diventare una buona strega, la giovane studia, si esercita ma soprattutto segue i consigli del suo corvo Abraxas che le suggerisce di rigare dritto e di dedicare i suoi incantesimi a nobili fini. Come aiutare delle vecchiette a fare legna nel bosco, dare una lezione a ragazzacci dispettosi, salvare tori dall’essere arrostiti o riscaldare venditori di caldarroste nei giorni più rigidi dell’inverno. Dopo un anno, il momento del verdetto arriva e il qui pro quo sull’essere una buona strega finisce per venire a galla. Poco male, però: scaltra e ormai convinta del cammino intrapreso, la piccola strega trova il modo di averla vinta, con buona pace di chi dedica incantesimi e sortilegi a scelleratezze e meschinità.

Pubblicato per la prima volta più di sessant’anni fa, La piccola strega si caratterizza per una freschezza senza tempo che la rende godibilissima anche per i bambini di oggi. L’autore, maestro nello scrivere storie divertenti e ricche di guai, sotterfugi e idee portentose, costruisce il racconto attraverso una serie di episodi perlopiù slegati tra di loro che introducono di volta in volta sulla scena personaggi e situazioni emblematici e saporiti. Il gusto del narrare avvolge dunque i buoni sentimenti, che pur non mancano ma che tutto fanno tranne che appesantire la trama. Ne vien fuori una storia vivace, mai noiosa e il cui stile piano e affabile invoglia e rende davvero gradevole la lettura.

Questo aspetto, che concorre dal canto suo a coinvolgere anche i lettori meno forti, viene ulteriormente messo in valore dall’iniziativa di Locomoctavia che del racconto offre un’incantevole versione audio. Aida Talliente, che qui presta la voce alla piccola strega e a tutti i suoi interlocutori, legge con brio e interpreta in maniera buffa i diversi personaggi, contribuendo a rendere l’immersione travolgente e leggera. Ad accompagnarla, ci sono poi le note del sax di Antonello Gravela. Ora effervescenti, ora malinconiche, queste assecondano il ritmo variegato della narrazione, restituendo in chiave musicale il suo carattere mai monotono.

Come di consueto, l’audiolibro de La piccola strega è reso disponibile da Locomoctavia in due diverse versioni – su CD audio e in MP3 scaricabile – così da assecondare esigenze e preferenze di fruizione differenti.

La banda dei vecchi bacucchi

Dalla penna di Florence Thinard escono romanzi ricchi di personaggi memorabili e avventure rocambolesche. Camelozampa, che ce l’ha fatta conoscere nel 2018 con Meno male che il tempo era bello. La stessa casa editrice pubblica ora, sempre con caratteristiche di alta leggibilità, un secondo volume dell’autrice francese: un romanzo il cui titolo buffo – La banda dei vecchi bacucchi – anticipa perfettamente il carattere irriverente della narrazione e la presenza di protagonisti fuori dal comune.

Al centro del racconto c’è, infatti, un gruppo di anziani che mal sopportano di essere considerati un inutile peso dalla società contemporanea. È un gruppo bizzarramente assortito, il loro. C’è Nonno Ferraglia, che sposa ideali anarchici e l’abitudine di raccogliere ferri vecchi per tirar su qualche soldino. C’è Giselle alias Miss Scarlett, pasionaria dai vestiti vistosi. C’è Victor alias Zorro, che nonostante gli acciacchi non rinuncia a fare murales in giro per la città. E c’è Rose, alias Polvere di riso, vecchietta gentile e inaspettatamente scaltra. È proprio lo scippo subito in strada da Rose a portare i quattro a incontrarsi e a formare un’autentica banda. Il gruppo si riunisce dapprima con il pretesto di catturare l’autore dell’aggressione ma si consolida, poi, con la chiara intenzione di combattere le ingiustizie più diverse, rivendicando il diritto degli anziani ad essere riconosciuti come risorse e non come zavorre.

È in questo modo che la Banda dei vecchi bacucchi – così si autonominano i quattro – mette in piedi piccole ma incisive missioni, che di volta in volta prendono di mira individui prepotenti e simboli di una società iniqua. Le missioni finiscono per coinvolgere, suo malgrado, anche il giovane Jules: ragazzino fragile e scapestrato catturato dopo lo scippo a Rose e messo in riga dalla banda. Quello di riportare Jules a scuola, di toglierlo da un brutto giro di ricettatori e, infine di farlo notare da Roxane, la giovane di cui si è innamorato, diventerà per i vecchietti una sorta di missione d’onore, quella forse a cui tengono di più oltre che quella davvero capace di far nascere, crescere e cementare relazioni inattese.

Deliziosamente ironico, La banda dei vecchi bacucchi è un romanzo corposo ma molto scorrevole, ricco di eventi e colpi di scena che danno una veste avvincente a una riflessione, tutt’altro che banale, su tematiche attualissime come il consumismo, la lotta di classe, il rapporto tra generazioni e il valore dell’istruzione. Camelozampa lo propone ai suoi lettori con un’impaginazione amichevole, forte soprattutto di un font ad alta leggibilità come l’EasyREading, di una spaziatura più ampia del consueto e della sbandieratura a destra. Pur essendo rivolto a un target dai 10 anni in su, inoltre, il libro ha il merito di non rinunciare a inserire di tanto in tanto delle illustrazioni che dinamizzano la pagina e sostengono la lettura.

Lettere d’A-mare

La balena azzurra che spicca acquerellata sulla copertina offre un assaggio affidabile e seducente della bellezza raffinata che il lettore potrà trovare all’interno di Lettere d’A-mare. Il volume si caratterizza infatti per una significativa cura compositiva e un’ammirevole armonia grafica che fanno risaltare al massimo le illustrazioni delicate dell’autrice. Acciughe, polpi, stelle e cavallucci marini sono i protagonisti deliziosamente ritratti ad acquerello da Pierangela Massolo che immagina tali creature possano scambiarsi inviti, ricordi e messaggi d’amore e d’amicizia, attraverso lo strumento della lettera.

I testi che inquadrano di volta in volta i personaggi e che sviluppano il contenuto di ogni missiva sono scritti in rima e proposti nei simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, questi ultimi impiegati secondo il modello inbook che prevede, tra le altre cose, la simbolizzazione individuale di tutti gli elementi lessicale, la riquadratura di parola e immagine e l’uso dei diversi qualificatori. I simboli che compongono le lettere, in particolare presentano uno sfondo azzurro: questa scelta, che può risultare spiazzante per qualche lettore, mira in realtà a evidenziare la differenza tra il testo di cornice e il cuore dei singoli racconti. Il volume non propone infatti una storia unica ma raccoglie piuttosto una serie di piccole narrazioni, ciascuna incentrata su una coppia di personaggi variamente legati e sviluppata attraverso una lettera e la sua risposta.

I testi delle lettere presentano un lessico in buona parte ricercato o comunque non basico e una sintassi che tende ad assecondare la struttura in rima. Ne risultano versi piacevoli da ascoltare anche se di più complessa decifrazione. In questo la scelta di Homeless book è davvero interessante perché ci aiuta a ricordare alcune cose importanti. Per esempio che i simboli possono essere utili a persone con competenze linguistiche diverse, alcune delle quali possono padroneggiare anche testi meno immediati. E che vale la pena proporre testi di complessità differente, senza rinunciare ad alzare l’asticella così da offrire esperienze di lettura diverse e sfidanti, che magari non vengono afferrate a pieno ma possono egualmente lasciare una traccia o aiutare a tararsi per il futuro. Perché la cura e la bellezza, in qualche modo, fanno la loro parte.

Hodder e la fata di poche parole

Che fare se di notte una fata viene a farti visita, annunciandoti che ti toccherà salvare il mondo? Probabilmente cercare compagni con cui condividere l’avventura e trovare un posto da cui cominciare il salvataggio, un passo alla volta. Questa, quantomeno, è la risposta che si dà Hodder, ragazzino protagonista del delizioso romanzo di Bjarne Reuter. E così, sera dopo sera, quando la casa si fa vuota e silenziosa perché né la mamma (precocemente scomparsa), né il papà (impegnato ad attaccare manifesti per lavoro), sono presenti, Hodder lavora alla sua missione, interrogandosi senza posa su come riuscire nell’impresa e su chi invitare a farvi parte.

Iniziano così le sue surreali conversazioni con personaggi sopra le righe come il pugile poeta Bic Mac Johnson, come la donna avvenente che fa la pubblicità delle sigarette o come il principe di Guambilua. Peccato che anche la signora Andersen, la maestra di Hodder, non abbia intenzione di unirsi alla spedizione. Hodder è infatti sempre bene felice di porle domande e condividere con lei i suoi pensieri. Ma lei, al contrario, non pare affatto ben disposta nei suoi confronti. A dirla tutta, l’intera esperienza scolastica non è per Hodder proprio in discesa: quel suo modo ingenuo e fuori dagli schemi di pensare e di porsi tende, infatti, a generare diffidenza e derisione nei suoi compagni, cosa che il ragazzino affronta a modo suo, con un mix efficace di positività ed invenzione. È – se vogliamo – il potere salvifico dell’immaginazione. Il romanzo si sviluppa, così, nello spazio tra scuola e casa, seguendo le piccole e grandi avventure del protagonista e adottando il suo personale e originale punto di vista. Ne viene fuori una narrazione divertentissima, ricca di personaggi memorabili e capace di stregare il lettore.

La scrittura di Bjarne Reuter, in particolare, è fresca e sorprendente. Quel suo muoversi con grazia tra il piano reale e quello immaginario, seguendo un flusso di pensieri singolare come quello di Hodder, dà forma a un racconto che interroga costantemente il lettore facendogli strizzare gli occhi e chiedere di tanto in tanto “Ma sta succedendo davvero?”. Il tutto mentre si diverte, si stizzisce, si emoziona. Perché nell’avventura tragicomica c’è spazio per sentimenti molto contrastanti e proprio questo vorticare emotivo, che ci avvolge con dolcezza pungente come una girandola al rhum, ci fa sentire Hodder vicino, vicinissimo. E come lui tutti i bambini che per indole e abilità faticano a trovare un posto comodo nel mondo reale, provando a trovare un rifugio accogliente nella dimensione fantastica.

Pubblicato da Iperborea, Hodder e la fata di poche parole ha vinto il premio Andersen 2023 come miglior libro 9-12 anni.

Sector 7

Una gita sull’Empire State Building promette una vista spettacolare e imbattibile di New York. Certo, a patto che non ci sia una nebbia da tagliarsi col coltello, altrimenti non resta che accontentarsi di un vago e indistinto biancore. Anche il quel caso, però, non è detto che la gita sia destinata al fallimento. Può capitare, per esempio, che una nuvola burlona ti rubi sciarpa e cappello e che in cambio ti offra un set 100% cumulonembo: un modo come un altro per sancire una nuova amicizia e dare avvio a un’avventura incredibile. È proprio così, infatti, che il bambino protagonista di Sector 7, trasportato dal suo amico vaporoso, arriva in un misterioso edificio sospeso nel cielo e invisibile dalla Terra. Da qui, come fosse una grande stazione centrale, partono e arrivano tutti i tipi di nube. annunciati da appositi e riconoscibili tabelloni. Ma qui le nubi vengono anche studiate, progettate e formate con scrupoloso rigore da un team di serissime persone. Vietato sgarrare e variare di forma: come mai si potrebbero accettare nuvole con sembianze di pesce, di polpo o persino di medusa? Eppure le nuvole sono stufe di avere tutte la stessa sagoma. Così, grazie all’aiuto del bambino, mettono in atto una protesta sorprendente che trova la sua cornice migliore proprio nel cielo di Manhattan!

Da qualunque parte lo si guardi, Sector 7 porta la firma inconfondibile di David Wiesner. Il tratto minuzioso, la scansione rigorosa dei passaggi, l’uso narrativo delle cornici e degli spazi bianchi, l’incontro fertile tra realtà e immaginazione e la costruzione di una storia che chiede di essere raccontata con una logica e una struttura squisitamente visive sono, infatti, aspetti caratteristici della produzione dell’autore americano, che ritroviamo per esempio anche in Martedì o in Flutti. Quella che qui viene offerta al lettore è cioè un’autentica, profonda e complessa esperienza di lettura che non ha assolutamente nulla da invidiare a quella che potrebbe offrire un racconto scritto. Ci sono infatti una trama articolata, dialoghi impliciti da svelare, dettagli da cogliere e mettere in relazione e atmosfere di ampio respiro da esplorare in tutta la loro raffinata coerenza.

Ecco allora che, messi di fronte a un’avventura per immagini di tale respiro, anche lettori poco attratti dal testo scritto o contraddistinti da disabilità o disturbi che ostacolano la lettura pur non coinvolgendo la dimensione cognitiva, possono sentirsi fortemente motivati, apprezzati e sollecitati in un’esperienza che non è sterile esercizio ma fonte di appagante piacere. Sempre dal punto di vista dell’accessibilità, un libro come Sector 7 vanta un’altra caratteristica non trascurabile, ossia la capacità di mettere sulla pagina tutti gli elementi che occorrono a chi legge per avanzare e interpretare il racconto. Per come sono costruite e collegate tra loro, le illustrazioni accompagnano, infatti, la lettura senza lasciarla in sospeso, sposando così la ricchezza della rappresentazione a un’apprezzabile evidenza narrativa.

Amo quel cane. Odio quel gatto

Divertente, intelligente, costruito in maniera sopraffina: Amo quel cane. Odio quel gatto è un libro di Sharon Creech unico nel suo genere. Protagonista assoluta è la poesia, a cui il libo dà spazio tanto nella forma quanto nel contenuto. La narrazione procede infatti in forma di brevi componimenti: quelli che un bambino di nome Jack scrive in una sorta di fitto dialogo con la sua insegnante e in cui, attraverso soggetti comuni, come il rapporto con gli animali domestici, gli affetti e le piccole (dis)avventure quotidiane, offre una bellissima, credibile e chiara fotografia di che cosa sia la poesia e del potere che essa può custodire.

La passione per i versi, che esplode a un certo punto in maniera prorompente grazie all’incontro con un poeta in carne ed ossa dalla sensibilità simile alla sua, non è cosa immediata per Jack ma nasce anzi poco a poco, grazie all’accorto e lungimirante lavoro della sua professoressa, tal Miss Stretchberry che incessantemente invita la classe a leggere, scrivere, discutere di poesia. Così, se il rapporto iniziale del bambino con i versi può essere riassunto in questa sua ironica e cinica considerazione:

Se quella sulla carriola rossa

e le galline bianche

è una poesia

allora ogni frase

può essere una poesia.

Basta solo

fare

frasi

brevi.

man mano che il racconto procede le cose cambiano. Non solo si affina, infatti, il suo modo di scrivere (con tanto di destreggiamenti tra poeti diversi e padronanza di allitterazioni e onomatopee) ma si consolida anche la sua consapevolezza rispetto alle possibilità espressive che la poesia racchiude. Ed è qui che entra in gioco anche il tema, seppur collaterale, della disabilità.

Le poesie di Jack compongono, infatti, tra le altre cose, un ritratto della sua mamma che agita le mani in aria per fare parole / senza / suono. La sordità, mai nominata ma chiaramente rappresentata, fa dunque capolino tra le righe, sposandosi a un sentimento tenero che profuma di normalità nelle emozioni, nei gesti affettuosi, nelle cose di ogni giorno. L’altro aspetto interessante che la concerne, sta nell’ostinato interrogarsi di Jack rispetto al modo in cui le qualità sonore dei versi possano raggiungere le persone sorde e nel suo cogliere, infine, i molti modi in cui la poesia può arrivare al destinatario in tutta la sua potenza. Ecco allora che Amo quel cane. Odio quel gatto ci appare non solo come uno straordinario racconto intimo e al tempo stesso come un efficacissimo manuale di poesia ma anche come una riflessione preziosa sull’importanza della parola condivisa e sulle molteplici strade che questa può percorrere per radicare anche là dove ci siano dei limiti del linguaggio.

Già pubblicato da Mondadori una ventina di anni fa, Amo quel cane viene ora riproposto dal medesimo editore in una nuova edizione che vanta non solo una diversa copertina (con i disegni di William Steig) più in linea con il tono leggero del racconto, ma anche e soprattutto un seguito (Amo quel gatto), in cui in particolare si approfondisce la questione del rapporto tra suono e senso e il tema, a Jack molto caro, di come la parola, con tutta la sua forza espressiva, possa raggiungere anche il cuore di chi ha orecchie che non possono sentire.

A spasso per la città

A spasso per la città è il primo volume senza parole pubblicato da Storie Cucite. La casa editrice milanese, da tempo impegnata a promuovere l’accessibilità della lettura soprattutto attraverso la pubblicazione di libri in simboli (ma più di recente anche di libri ad alta leggibilità), sperimenta così un’ulteriore modalità narrativa capace di arrivare a lettori con esigenza e abilità diverse.

Nel libro a firma di Cristina Lanotte seguiamo una giovane artista in cerca di ispirazione. Pennelli e taccuino alla mano, la ragazza percorre le vie della città, si sofferma ad ammirarne gli scorci, coglie dettagli nascosti e fa scorta di visi che trasferisce poi su carta. Pullulante e viva, la città è una superba fonte di incontri e stimoli che possono stimolare l’estro e la creatività. Palazzi colorati, volti baffuti, postini sorridenti, timidi innamorati e avventori da bar: l’occhio accorto si lascia attirare dai particolari più disparati e, lesta, l’artista segue su due ruote il percorso che questi invisibilmente tracciano.

Sulla sua scia, il lettore di immagini non decifra una storia articolata ma se ne va a sua volta a zonzo tra le vie, lasciandosi trasportare dal medesimo spirito curioso che muove la protagonista, cogliendo dettagli che possono contenere in nuce microstorie cittadine e provando a riconoscere negli disegni su taccuino e su tela, cose e persone incontrati tra le pagine. In questo senso la continuità tra lo stile dell’autrice e quello della protagonista, entrambi votati alla valorizzazione del colore allo schizzo di pochi ma significativi tratti, crea un’intrigante comunicazione tra il fuori e il dentro, contribuendo a proiettare il lettore all’interno della storia.

Lilo

Emi ha 11 anni, vive con i nonni e ha un cane dall’aspetto buffo di nome Lilo. Quando era più piccola, Lilo era il suo insostituibile compagno di giochi, capace di strapparle un sorriso in ogni momento. Da qualche tempo, però, le cose sembrano andare diversamente: la ragazzina appare scontrosa, parla a malapena con i suoi nonni, non mostra più alcun interesse per Lilo e la sua attenzione è completamente rapita dal cellulare. Non solo, ogni volta che Emi guarda lo schermo del telefono, il suo volto si rabbuia e non di rado si riempie di lacrime. Qualcosa evidentemente non va e il primo a notarlo è proprio Lilo, che del racconto è non solo il protagonista ma anche la voce narrante. È attraverso il suo sguardo che scopriamo, infatti, la storia di Emi e della sua famiglia ed è sulle sue tracce che cerchiamo di cogliere il legame tra il mutato atteggiamento della padroncina e la presenza nei paraggi di una coetanea misteriosa. A supportare Lilo nella sua investigazione, peraltro non riva di pericoli, c’è un’assortita compagine di cani che movimentano, ampliano e svoltano la vicenda. Ne vien fuori un’indagine a quattro zampe, condotta con imbattibile fiuto e connotata da una prospettiva tanto insolita quanto illuminante sulle vicende umane.

Pubblicato da Uovonero nella collana I geodi con la traduzione di Francesco Ferrucci, il libro di Inés Garland offre una storia che parla di faccende ed emozioni molto riconoscibili e vicini al giovane lettore – amori, amicizie e rivalità, vergogna, lutto, paura e cyberbullismo, solo per citarne alcuni – ma che lo fa da un punto di vista inatteso come può essere quello di un cane: scelta, questa, che dona al racconto un distacco, un filtro e un’ironia davvero apprezzabili e gustosi. Due altri aspetti del libro, dal canto loro, meritano particolare attenzione: le fini illustrazioni di Maute Matuberria, che uniscono un tratto lieve e un uso mirato e incisivo del colore, e le caratteristiche grafiche di alta leggibilità, che restituiscono alla pagina un aspetto arioso e poco opprimente.

Per mano

Per chi non bazzichi abitualmente il mondo dei tasti e delle note, il nome di Paul Wittgenstein può risultare poco o per nulla noto. La storia di questo pianista è, tuttavia, così straordinaria e avvincente che pare fatta apposta per finire in un libro. Così devono aver pensato anche Sante Bandirali e Gloria Tundo che le hanno dato rispettivamente parole e figure all’interno dell’albo illustrato Per mano, da poco uscito per i tipi di Uovonero.

Qui conosciamo Paul in tenera età, ritratto a Vienna all’interno della sua numerosa e ricca famiglia, con un padre dalle ristrette vedute, una madre dalla profonda sensibilità musicale e sette fratelli dai diversi talenti. Tra le mura domestiche, vediamo nascere ma anche rischiare di soffocare il suo amore per il pianoforte. Tra i banchi di scuola, invece, assistiamo ai primi confronti con una cultura che vede nell’essere mancini una sorta di disgrazia. Siamo alla fine dell’Ottocento e l’uso della mano sinistra – la “mano brutta” – che per Paul è predominante, è di fatto ancora osteggiato perché associato al demonio. Della mano sinistra di Paul, tuttavia, tutto si può dire tranne che sia sfortunata o spregevole: quando i combattimenti della prima guerra mondiale lo costringono a vedere amputato il braccio destro, infatti, Paul trova nell’altra la sua forza e la sua unicità.

Musicista di talento già prima dello scoppio delle ostilità, è nel campo di prigionia in cui viene rinchiuso che Paul inizia a esercitarsi a suonare con una mano sola dapprima su un pianoforte disegnato e poi su uno sgangherato. Ma la sua passione e il suo desiderio di esprimersi sono tali che, una volta liberato, quella musica sopita trova il modo di uscire per davvero. Paul convince, infatti, alcuni dei più grandi compositori a ideare dei concerti su misura per lui, dando avvio a un’incredibile carriera la cui forza risiede nel dare valore a quello che c’è in luogo che porre in rilievo ciò che semplicemente manca.

Sobrio nel racconto e accorato nelle figure, non a caso Per mano è narrato dal punto di vista della mano sinistra stessa, simbolo e testimone privilegiato non solo o non tanto delle discriminazioni subite quanto delle occasioni colte di farsi portatrice di bellezza e ricchezza. Tra queste pagine in cui in cui dominano i toni opachi bruni e beige, risuonano pagine dolorose della storia e si intrecciano guerra e musica, vita e pensiero, cultura e quotidianità, tracciando sentieri suggestivi da percorrere anche all’interno di un percorso squisitamente scolastico.

Dove sei piccolo Giulio?

Giovanni Colaneri ha un tratto inconfondibile e una capacità rara. Il primo prende forma attraverso una grande ricchezza di colori e attraverso segni non rifiniti in cui piccoli dettagli – una posizione, una proporzione, una sfumatura – si caricano di senso. La seconda emerge nel confronto con tematiche complesse e consiste nel riuscire ad interrogarle moltiplicando gli spunti e i punti di vista su di esse. Ecco, Giovanni è forse meglio e più di tutto un moltiplicatore: guarda le cose come attraverso un prisma per restituirne, senza pretesa di esaustività, i molti e diversi volti. E questo appare tanto più apprezzabile quando a incontrare la sua tavolozza sono soggetti multisfaccettati e difficili da ingabbiare in un racconto granitico, come per esempio l’autismo.

Questo capacità di aprire suggestioni e domande, in luogo di veicolare risposte preconfezionate, la si apprezzava già in Che cos’è una sindrome?, denso albo illustrato edito da Uovonero, e la si ritrova ora in Dove sei, piccolo Giulio?, sempre pubblicato dalla casa editrice cremasca che nei confronti della neurodivergenza e della sua rappresentazione mostra da sempre un’attenzione particolare. In questo ultimo albo, di cui l’autore cura nuovamente sia i testi sia le illustrazioni, seguiamo il giovane protagonista – il piccolo Giulio, per l’appunto – e cerchiamo di entrare in contatto con lui. Lo facciamo seguendo la voce e lo sguardo della mamma di Giulio, che non nasconde la sua difficoltà e i suoi interrogativi. I comportamenti del piccolo Giulio, ascrivibili allo spettro autistico anche se il testo non vi riporta alcun riferimento esplicito, possono essere infatti sfuggenti e criptici, complessi da interpretare o talvolta anche da immaginare. Così, con pazienza si seguono le tracce, si cercano indizi, si fanno ipotesi, si osserva con attenzione. Per la sorella di Giulio la cosa sembrerebbe più semplice, forse perché la vicinanza di età, di statura e di sensibilità la porta a guardare il mondo dalla stessa altezza e a guardare il fratello da pari e non dall’alto in basso. E in effetti, quando insieme alla mamma di Giulio anche il lettore prova a operare un cambio di posizione, qualcosa si muove, una possibilità di incontro si schiude.

Intorno a questa difficoltà di guardare e di vedere realmente le persone autistiche e il mondo che abitano, Giovanni Colaneri costruisce il suo viaggio per parole e figure che bisbiglia ai piccoli ed echeggia nei grandi. Non è una storia a tutti gli effetti, ma neanche una semplice fotografia, Dove sei, piccolo Giulio?. È piuttosto un interessante e ben riuscito lavoro ibrido, che tiene insieme osservazione e narrazione, facendo della qualità precipua dell’albo illustrato la chiave per scavare a fondo nelle cose. Le frasi brevissime e asciutte, scelte dall’autore per guidare il lettore alla ricerca del piccolo Giulio, predispongono un terreno insaturo e pertanto fertilissimo affinché le illustrazioni possano dilatare la riflessione, attraverso l’esplorazione e la moltiplicazione delle metafore. Ben oltre la superata e usurata immagine della bolla, troviamo boschi fitti e mostri buffi, castelli labirintici e rifugi, universi ed elefanti in bicicletta: luoghi del possibile tra cui muoversi senza fretta, lasciandosi guidare con spirito di suggestione più che di comprensione.

Delicato, profondo, vero e aperto, Dove sei, piccolo Giulio? è un albo di valore, per non smettere di interrogarsi e interrogare la realtà, soprattutto quando ci appare sfuggente e complessa.

Parole di caramello

Kori vive da quando è nato all’interno di un campo profughi del deserto algerino. Ama molto gli animali e ha, in particolare, una predilezione per i dromedari. Il suo preferito – quello che diventerà per lui un amico sincero e irrinunciabile – nasce quando anche lui è ancora un cucciolo. Kori decide di chiamarlo Caramello e il loro legame, reso sempre più solido dalle affettuose visite quotidiane che Kori dedica all’animale, diventa unico e straordinario quando le parole entrano finalmente nella vita del bambino.

Sordo dalla nascita, Kori vive infatti in un mondo silenzioso, in cui le parole sono prima di tutto ed essenzialmente dei movimenti percepiti sulla bocca di chi gli sta di fronte. Ma Kori è cocciuto e determinato e così riesce a convincere la maestra che, nonostante la sua disabilità, desidera e può apprendere come gli altri a leggere e scrivere. Lì ha inizio una piccola magia. Kori inizia, infatti, a scrivere delle poesie che, a suo dire, non sono frutto del suo estro ma sono una semplice trascrizione di ciò che il dromedario gli confida. Sono letteralmente, dunque, parole di Caramello.

Sul filo di quelle poesie condivise, che nascono dalla relazione, l’amicizia tra Kori e Caramello si fa ancora più profonda, al punto che quando lo zio di Kori decide di macellare l’animale per poter sostentare la famiglia, Kori si dimostra pronto a gesti eclatanti (benché, purtroppo, insufficienti), pur di difenderlo.

Commuovente e intenso, Parole di Caramello è un racconto che sfugge ai canoni a cui la narrativa per i bambini tende ad aderire. Coraggioso nei temi, che si fanno specchio di tanti aspetti della complessità contemporanea, il libro di Gonzalo Moure sceglie di dare spazio a realtà tipicamente marginali e spesso poco conosciute, come la disabilità o la vita nei campi profughi. Pur dando voce a emozioni molto forti e talvolta buie, l’autore non manca di portare alla luce piccole scintille di speranza. La testardaggine con cui, per esempio, Kori dimostra all’insegnante che sordità e parola non sono per forza incompatibili, gli consente di esplorare la potenza della poesia e invita, al contempo, chi legge, a riflettere su quanta ricchezza possa generarsi dall’aggiramento di stereotipi e pregiudizi.

Il libro si caratterizza, infine, per la presenza di tavole avvolgenti e delicate firmate da Marià Girón, le cui tinte terrose e le cui linee tenui restituiscono con garbo e potenza non solo le atmosfere che accolgono la storia di Kori ma anche l’intima indole poetica che contraddistingue il racconto.

Tu sei

Tu sei è letteralmente un libro più unico che raro. Non solo perché vanta una raffinatezza e una bellezza minimalista che lasciano incantati ma anche e soprattutto perché può contemporaneamente dirsi un libro tattile, un libro in simboli e un libro in lingua dei segni.

Composto da eleganti pagine in velluto nero, rilegate in modo da restare agevolmente aperte a 180°, il libro di Michela Tonella e Antonella Veracchi (le due anime di E.T. Editoria tattile) è progettato in maniera ingegnosa, tale da consentire al singolo lettore (o, più facilmente, al mediatore che è con lui), di scegliere il codice a lui più congeniale. Se il testo in nero è infatti cucito sulla pagina, le sue traduzioni in LIS, Braille e simboli WLS sono rese disponibili su pratici cartoncini, contenuti in apposite taschine al fondo del libro e applicabili di volta in volta sulle pagine corrispondenti. Queste ultime contengono infatti dei piccoli tagli in cui i cartoncini possono essere agevolmente inseriti e da cui, altrettanto agevolmente possono essere sfilati. Oltre a risultare molto pratico per adattare la lettura alle esigenze del singolo lettore, questo sistema si presta perfettamente a far sperimentare a un gruppo classe le diverse e spesso sconosciute modalità di lettura che l’editoria ci offre. In questo senso la forza di Tu sei sta anche nella capacità di trasformare un limite oggettivo – quello di far stare sulla pagina molti codici diversi e piuttosto ingombranti – in una possibilità di ricchezza e creatività.

Dedicato al tema delle relazioni, qui rappresentate attraverso la metafora delle costellazioni, Tu sei presenta testi in versi, brevi e ricercati, e illustrazioni essenzialissime realizzate con un semplice filo bianco e sobri bottoncini del medesimo colore. Di grande effetto per il contrasto con le pagine scure, fili e bottoni vanno a illustrare stelle e costellazioni in una maniera suggestiva e perfettamente percepibile al tatto. Qui, così come in Ombra, le due autrici si cimentano con un soggetto potenzialmente ostico per il lettore non vedente, che può percepire le stelle solo attraverso il racconto di chi vede, trovando la maniera di renderlo esperibile e intellegibile.

Il risultato è un libro da accarezzare, sognare, con cui riflettere e da condividere. Un libro che apre a interrogativi e confronti, che tiene insieme la poesia e la scienza, e che mette in luce la bellezza della diversità tanto nella forma quanto nel contenuto.

La guerra di Nina

La guerra di Nina è un libro in simboli di piccolissimo formato che racconta una storia di guerra che finisce per diventare una storia di vita. Quando nel paese di Nina, infatti, arrivano le bombe e le case vanno a fuoco, Nina scappa ma non è sola. Prima di morire, un passerotto ha deposto tre piccole uova tra i suoi capelli arruffati e così Nina fa di quel tempo di fuga e smarrimento un tempo di segno completamente diverso: un tempo di cura e di attesa che non tarderà a dare i suoi frutti, restituendo alla bambina una possibilità di speranza.

Malinconico, tanto nei testi quanto nelle figure, La guerra di Nina è un adattamento di un omonimo albo pubblicato dallo stesso editore: Zefiro. Simbolizzato secondo il modello inbook, il libro prevede testi abbastanza concisi e densi, privi di costruzioni sintattiche troppo ostiche. Le illustrazioni intense e a tratti perturbanti sottolineano il ventaglio di emozioni che il racconto si propone di affrontare.

Mezzanotte e cinque

Atmosfere dickensiane, personaggi vividissimi e una trama avvincente: così Malika Ferdjoukh costruisce un racconto breve e incalzante che in una manciata di pagine ci catapulta nella Praga di tanti anni fa, quando le strade erano battute da carrozze e lo sfarzo di corte dominava la vita mondana.

Protagonisti sono tre orfani che vivono la strada con una dimestichezza e una furbizia sorprendenti: Mezzanottecinque, così chiamato per via di un misterioso tatuaggio che fin da piccolissimo sfoggia sul braccio, sua sorella Bretella, che quanto a sangue freddo non invidia nessuno, e il loro amico Emil, che condivide gioie e dolori della vita errabonda con tre topolini ammaestrati. Abituati a vivere alla giornata senza adulti che si occupino di loro, i tre sono costretti a smaliziarsi e a crescere più in fretta del dovuto ma custodiscono un lato bambino che li porta a sognare natali spensierati (la vicenda è ambientata proprio in una vigilia), a immaginare modi stravaganti con cui far parlare dei roditori o a compiere inaudite acrobazie per accaparrarsi dei bottoni. E forse proprio questo loro intonso lato infantile li porta a vivere con sprezzo del pericolo e totale coinvolgimento un’avventura piena zeppa di rischi come quella che tiene insieme una preziosissima collana rubata, assassini senza scrupoli, ladri insospettabili e una coppia di circensi.

Coinvolgente e non privo di humour, Mezzanotte e cinque allestisce agli occhi dei lettori una cornice fascinosa e una storia mozzafiato. Un poco di amaro in bocca lo lascia forse la risoluzione della vicenda, con tanto di agnizione e ricongiungimenti, che accade e scorre così veloce che quasi non si fa in tempo a godersela. D’altro canto il ritmo serrato del racconto e la sua rapidità di svolgimento garantiscono una lettura snella e fruibile che consente anche a chi mal affronta lunghe misure di godere di una storia appassionante. Questo aspetto, insieme alle illustrazioni frequenti e puntuali di Eleonora Antonioni, rafforza dal canto suo l’accessibilità del volume, garantita dall’impiego del font EasyReading, dalla spaziatura più ampia e dalla sbandieratura del testo. Pubblicato con grande successo in Francia, Mezzanotte e cinque arriva, infatti, in Italia con Camelozampa che lo propone ai lettori in una piacevole edizione con accorgimenti ispirati all’alta leggibilità.

Il frutto del paradiso

Il frutto del paradiso è una fiaba che arriva dall’Oriente e in cui si trovano echi di diverse religioni. Costruita intorno a un frutto simbolicamente forte come il melograno, che secondo la leggenda conterrebbe un seme proveniente dal paradiso, la fiaba racconta del legame speciale che lega un nonno alla sua nipotina e dell’amore incondizionato che il primo è capace di donare alla seconda. Dopo aver ascoltato la leggenda del melograno, infatti, i due si trovano catapultati in un viaggio incredibile tra fiumi e montagne, città e monumenti, fino ad arrivare al paradiso stesso. Qui hanno la possibilità di restare ma il nonno, benché molto devoto, decide di tornare comunque sulla terra per consentire alla bambina di godere a pieno della vita che l’attende.

Scritto dall’autore siriano Abdughani Makki, Il frutto del paradiso è proposto dall’editore Zefiro in una doppia versione: tradizionale e in simboli. Quest’ultima fa in particolare riferimento al modello inbook e prevede dunque un numero di simboli piuttosto elevato, tale da consentire la resa visiva dei singoli elementi lessicali. La costruzione sintattica che non disdegna frasi articolate e la scelta linguistica che dà spazio a parole ricercate ne fa un lavoro non banale da leggere ma che può aprire finestre per l’approfondimento di temi legati alla religione, alle leggende e più in generale alla geografia culturale.

CAAnto di Natale

Insieme a Le avventure di Pinocchio, il Canto di Natale di Dickens è probabilmente uno dei classici più adattati che il mercato italiano offra. Ne esistono diverse edizioni in formato audiolibro (rimarcabile, in particolare, quella curata da Locomoctavia) così come in simboli. L’ultima di questo tipo è nata in casa Homeless Book, curata da Roberta Zoli e illustrata da Vania Bellosi.

Si tratta un libro di ampio formato e dalla copertina rigida che ne impreziosisce e ne irrobustisce l’aspetto. Semplificato nel contenuto e nella forma, il racconto di Dickens viene qui supportato visivamente dall’uso dei simboli WLS, impiegati secondo il modello inbook. Tutti i passaggi salienti dell’originale sono di fatto presenti ma presentati in maniera più sintetica ed esposti con un linguaggio più fruibile e immediato. La riduzione dei testi, sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi, fa sì che la pagina non risulti eccessivamente affollata e che la lettura possa risultare amichevole anche per quei bambini e ragazzi che faticano un po’ di più a sostare su narrazioni lunghe.

Rispetto al volume de la meridiana, anch’esso dedicato al Canto di Natale e simbolizzato secondo il modello inbook, questo di Homeless Book appare più asciugato e rielaborato, così da intercettare più facilmente anche i lettori più giovani. In questo senso anche la presenza di illustrazioni molto colorate, seppur non particolarmente elaborate e raffinate, concorre a restituire al volume un aspetto più adatto a un pubblico infantile.

La casa di Pine Island

Fiona, Marlin, Natasha e Charlie sono da sempre abituate a viaggiare, ad adattarsi, a cambiare contesto e ad abbandonare il superfluo. La loro famiglia si è spesso spostata, rendendolo per loro ordinaria una vita itinerante e poco radicata. Così, quando a causa di uno tsunami i loro genitori vengono a mancare, le quattro sorelle non vivono con grosse difficoltà la prospettiva di un trasferimento in Canada, dove una zia sconosciuta – Martha – si è data disponibile ad adottarle. Quello che non sanno, però, è che le aspetta una sfida ben più dura: proprio poco prima del loro arrivo la zia Martha muore, lasciandole prive di un tutore ma in possesso di una grossa fattoria. Consapevoli che tutto ciò che resta loro per non abbandonarsi allo sconforto è il legame che le lega, le quattro sorelle decidono di fare l’impossibile per riuscire a restare insieme, scongiurando il pericolo che i servizi sociali le diano in affidamento a famiglie diverse. Ci sono però bollette da pagare, incombenze burocratiche da smaltire, scuole da frequentare e soprattutto adulti da ingannare, facendo loro credere che qualche fantomatico maggiorenne si stia occupando di loro. Mantenere un segreto così grande non è affare semplice, soprattutto se l’unico adulto disponibile a coprirti (per venti dollari la settimana e un pasto cucinato al giorno) è un tipo poco raccomandabile e scontroso, che vive in una roulotte accanto a casa tua e frequenta con una certa assiduità le lattine di birra. Eppure, grazie ad alcune persone un po’ folli e di buon cuore, una serie di fortunati eventi, una capacità di problem solving fuori dalla norma, e un mix di qualità che fa di loro una squadra fortissima, Fiona, Marlin, Natasha e Charlie riescono non solo a tenersi a galla e a rispettare il loro proposito ma anche a trovare a Pine Island un nuovo, inaspettato e bellissimo equilibrio.

Polly Horvath confeziona un romanzo di formazione che per oltre 300 pagine porta il lettore a sventolare striscioni e bandierine virtuali di incoraggiamento alle quattro ragazze. Impossibile non affezionarsi a Fiona, che con i suoi maturissimi 14 anni è l’incarnazione della cura a qualunque costo e senza posa, a Marlin, creativa e intraprendente che con i suoi manicaretti sa conquistare anche il burbero vicino, a Natasha, che vive l’amore per gli animali e la natura in maniera assorbente e alla piccola Charlie, che dal basso dei suoi 8 anni, elabora le difficoltà della vita con la forza e il candore dell’immaginazione. Tenaci e indissolubilmente solidali tra loro, le quattro ragazze sono una forza della natura: cadono, inciampano, sbagliano, temono, ma imperterrite si rialzano, risolvono, inventano, riescono. Nella loro avventura c’è spazio per le relazioni più diverse, oltre a quella della sorellanza: relazioni che includono l’amicizia, l’amore, l’affetto, la solidarietà e l’aiuto disinteressato secondo varie sfumature.

Arrivati alla fine del racconto, quando ormai ci si sente di casa tra i boschi di Pine Island e le strade di St. Mary’s By the Sea, quella famiglia così fuori dagli schemi la sentiamo un po’ nostra, felici che l’unione abbia davvero fatto la forza. Nel ritrarla, la penna dell’autrice canadese appare discreta ma anche precisa, ironica e profonda. Nell’edizione italiana, Camelozampa l’ha affiancata alle illustrazioni di Veronica Truttero che rendono bene animi e paesaggi, senza appesantire di un grammo il racconto. A completare il tutto,  gli accorgimenti di alta leggibilità che contribuiscono a facilitare la lettura – snellissima nei contenuti anche se massiccia all’apparenza – anche a lettori con difficoltà decifrative legate alla dislessia.

Lo specchio di Lorenzo

Gabriele Clima non è nuovo al tema della disabilità. Lo ha trattato, per esempio, in un romanzo per adolescenti come Il sole tra le dita e in uno per lettori più piccoli come Il bambino che faceva le fusa. L’autismo, in particolare, attira spesso la sua penna, colto nella sua sfuggenza ma anche nella possibilità e nell’importanza di attivare dei ponti, dei legami, delle forme di comunicazione magari insolite ma sempre preziose.

Così accade anche ne Lo specchio di Lorenzo, un racconto illustrato che mette in luce la difficoltà di entrare nel mondo di un bambino autistico. Poche persone, intorno a Lorenzo, sanno come fare. Sono soprattutto la mamma, il papà e il fratello Gabriele, che fin da piccolo cerca di essere il suo eroe personale. Ma Lorenzo, come tutti i bambini, non vive solo la dimensione familiare e così anche a scuola fa un incontro speciale e prezioso. Tra i banchi conosce infatti Sofia, una bambina sensibile e gentile che trova uno stratagemma unico e personalissimo per comunicare con lui.

Attraverso un oggetto potente, anche dal punto di vista simbolico, come uno specchio, si apre infatti per Lorenzo uno spiraglio attraverso il quale far dialogare il mondo dentro e il mondo fuori: una piccola magia che prova a dire l’importanza di “vedere” davvero le persone che incontriamo sul nostro cammino.

Il signor Scaccialacrime

Il signor Scaccialacrime è un personaggio curioso: un pacioso essere dalla forma tondeggiante, tutto candido dalle gote rubiconde. Ogni mattina va a in autobus a lavorare. Ma in cosa consiste il suo lavoro? Semplice (a dirsi, molto meno a farsi in realtà): raccoglie le telefonate di persone tristi, ne ascolta crucci e drammi, e si fa carico del loro dolore alleggerendo il peso che si portano addosso. Alla sera, dopo aver ascoltato tante parole, il signor Scaccialacrime torna a casa. É visibilmente provato, pensieroso e il suo candore ha lasciato il posto a un significativo azzurro-pianto. A casa, però, lo aspetta qualcuno in grado di riportarlo a sorridere, restituendogli il calore e il colore originale.

Tanto semplice nella storia che porta quanto raffinato nel modo di porgerla al lettore, l’autore de Il signor Scaccialacrime si affida alle sole immagini per condurre la narrazione, facendo un accorto uso dei dettagli. Selezionatissimi ma significativi, questi consentono in effetti al lettore di interpretare ciò che accade. Le sagome essenziali permettono, nello specifico, con una linea, un particolare o un colore, di riconoscere un certo tipo di personaggio o di intuire un certo tipo di passaggio narrativo. Così, per esempio, bastano un dorso curvo e un bastone per riconoscere una creatura anziana, un progressivo cambio cromatico per capire cosa accada al protagonista man mano che riceve le telefonate o che si avvicina a casa, una postura ripetuta per cogliere il tipo di atteggiamento che lo caratterizza. Così, con poche linee e altrettanti colori, Jian Yao dà vita a un racconto intenso ed evocativo, in cui la relazione tra le persone appare chiaramente la chiave di tutto.

Sospeso, fin dalla fisionomia dei personaggi, tra reale e metaforico, Il signor Scaccialacrime semina tanti indizi che interrogano il lettore e non sempre trovano una risposta univoca. Tante sono le piste di riflessione che potrebbero aprirsi da questo libro che celebra il potere della parola e soprattutto dell’ascolto. La sua lettura richiede dunque una certa predisposizione a un racconto non immediato e diretto e una capacità di cercare, scovare e interpretare dettagli importanti che dipanano la matassa narrativa.

La traversata dagli animali

Sembra una notte fredda e nevosa come tante, allo zoo di Mosca. Qualcosa di molto insolito, però, sta per accadere: un gruppo di animali bizzarramente assortito e alla bell’e meglio organizzato, è deciso ad evadere. È stato l’orso a convincere gli altri a prendere parte all’impresa ma a parte la forte convinzione di fuggire via, un vero piano manca. Si va? Non si va? Dove si va? Inizia con non pochi interrogativi questo viaggio coraggioso che vede muoversi all’unisono volatili e mammiferi, prede e predatori, creature selvatiche e bestie domestiche. Insieme a loro, a sorpresa e in assoluto silenzio, sceglie di partire anche il vecchio custode dello zoo, testimone di guerre e rivoluzioni, che forse conosce la sete di libertà al pari degli animali. Sarà una marcia lenta, la loro. Lenta e non priva di bivi, ostacoli e decisioni da prendere. C’è la natura selvaggia, là fuori, che chiama e che sfida, e il desiderio di scoprire cosa ci sia tra e oltre gli alberi della meravigliosa foresta è più forte di tutto. Così, ciascuno a suo modo, gli animali assaporano la nuova aria, chi cedendo al fascino della natura, chi lasciandosi attrarre da un nuovo rapporto con la civiltà. Non c’è una sola via per fuggire dalla prigionia. La libertà è più che mai sfuggente e multiforme.

Con parole misurate e mai scevre di ironia, Vincent Cuvellier ci guida lungo un viaggio metaforico intenso e avvolgente. Sulle tracce dell’orso e dei suoi compagni si strada, interrogativi e pensieri si accumulano nella testa del lettore come la neve silenziosa che circonda i protagonisti. A sostenerli, dando risonanza alla dimensione sospesa del racconto e richiamando al contempo l’immaginario russo cui attinge, intervengono le illustrazioni di matrice serigrafica firmate da Brice Postma Uzel. Puntualissima, in questo senso, la scelta dell’editore di regalare al libro un formato ampio, in cui parole e figure hanno fisicamente modo di echeggiare.

La traversata degli animali si presenta, infatti, come un grande racconto illustrato, che per dimensione, tipo di figure, colori, e dialogo tra parole e immagini ha un che di antico, favolosamente affascinante. Ed eppure la storia senza tempo che racconta è quanto mai moderna ed attuale. E benvenuti sono, al fine di renderla massimamente fruibile, gli accorgimenti di alta leggibilità adottati da Biancoenero. Font specifico, spazaitura ampia, grafica ariosa e carta color crema non sono, infatti, che valori aggiunti per un volume raffinato e ricco, nella narrazione come nell’aspetto.

Le porte di Sekoyana

Che bello l’esordio di Storie Cucite nell’alta leggibilità! Da sempre attenta alla fruibilità dei suoi volumi, con la proposta di diversi titoli anche in versione simbolizzata, la casa editrice milanese arricchisce ora la sua produzione accessibile con un primo bellissimo volume contraddistinto da font EasyReading e caratteristiche grafiche e tipografiche che ne agevolano la lettura anche in caso di dislessia. Il volume in questione è Le porte di Sekoyana, un romanzo che nasce in terra turca per mano di un’autrice – Şiirsel Taş – particolarmente interessata ai temi ambientali e di un illustratore – Oğuz Demir – dalla carriera poliedrica.

Protagonista del libro è una ragazzina che, senza troppe spiegazioni, viene affidata per qualche tempo a una donna di nome Sekoyana, dall’aspetto e dalle abitudini decisamente non ordinarie. Abitante, amante e studiosa della foresta, Sekoyana accoglie la ragazzina nel bel mezzo della natura, in una quotidianità sobria ma inaspettatamente calorosa, fatta di erbe colte ed essiccate, legno intagliato, animali curati e piante conosciute come fossero familiari. La foresta vive e palpita, respira e comunica, ama e pensa, nei racconti e negli insegnamenti della donna. Al suo fianco, la protagonista ( e con lei chi legge) impara moltissime cose e soprattutto sperimenta una straordinaria connessione con la natura che la circonda. Sarà dunque un’esperienza trasformativa più che formativa, la sua, capace di restituirle una visione nuova di sé e del mondo di cui fa parte.

Come un fiume pacato ma inarrestabile, Le porte di Sekoyana conduce il lettore in una dimensione sospesa, in cui fatti scientifici su funghi e piante si intrecciano indissolubilmente ad avvenimenti sorprendenti, quasi sovrannaturali. L’atmosfera silenziosa e avvolgente che permea il racconto immerge il lettore in un altrove da cui non si vorrebbe riemergere, decisi a esplorare, ancora e ancora, i misteri e le meraviglie straordinarie di piante e animali.

Una cosa è certa, anche una volta chiuso il libro non guarderete più la natura con gli stessi occhi!

Il sol glauco

Avventura nel Regno di Porcellana

La poesia, crediamo, dimora spesso nelle cose ordinarie e un libro come Avventura nel Regno di Porcellana ce ne offre un piccolo ma delizioso assaggio. Tra queste pagine del tutto prive di parole capita infatti che le decorazioni minuziose e affascinanti, ma spesso immobili e polverose, di un set di stoviglie di porcellana prendano inaspettatamente vita. Avete presente quei disegni blu, composti da motivi regolari e figure dettagliate come foreste e paesaggi, che caratterizzano i piatti raffinati delle nonne? Benissimo, proprio quelli sotto la matita raffinata di Katerina Illnerova si animano e diventano protagonisti di un viaggio meraviglioso.

Assorto a pescare e fumare la pipa sulla sua barchetta, un placido omino vede, in particolare, il suo cappello volare via con il vento e si lancia al suo inseguimento. Ma come fa, se si trova nel bel mezzo delle onde? Semplice, passando di zuppiera in bricco, di bricco in caraffa, di caraffa in piatto e via dicendo… partendo dal vaso sui cui è disegnato e attraversando un intero set di stoviglie, l’omino si ritrova a superare montagne e foreste, tempeste e labirinti, draghi e carpe giganti fino a che, ritrovato il cappello, ritroverà anche la perduta pace e potrà godersi un pisolino all’ombra di funghi giganti.

L’abilità di Katerina Illnerova sta nel trasformare le peculiarità degli oggetti e degli ornamenti in occasioni narrative che appassionano, stupiscono e fanno sorridere. Così per esempio un motivo intricato a foglia diventa una trappola che ingarbuglia il protagonista, le tazze sovrapposte creano profili di montagne altissime e set di vasi dai motivi variegati e apparentemente astratti allestiscono un ostico percorso tra le intemperie. Il lettore si trova così strattonato tra il desiderio di seguire il protagonista e quello di deliziarsi con le trovate dell’autrice. Quello a lui offerto è un percorso di lettura visiva stimolante e coinvolgente, particolarmente adatto a chi non si tira indietro di fronte ad avventure fantastiche che abbandonano gli ormeggi del reale e chiedono di cogliere e interpretare dettagli minuziosi.

Mistero nel bosco

Da tempo gli animali sopportano le prepotenze e l’invasione umana dei loro habitat. Cosa succederebbe, però, se un giorno decidessero di dire basta ai soprusi? Forse chiamerebbero a raccolta le forze naturali per riprendersi finalmente i loro spazi, impedendo all’uomo di farvi ritorno. Questo, perlomeno, è ciò che accade in Mistero nel bosco. Qui gli animali decidono di chiudere il bosco agli uomini – molto rumorosi e poco rispettosi – e costruirvi all’interno uno speciale teatro in legno di cui godere in santa pace. Sarà la mediazione del saggio e burbero Gastolf, che con la natura da sempre convive e che degli animali, per questo, ha la fiducia, a far avere agli uomini una seconda chance e offrire a tutti – umani e animali – un’occasione per vivere finalmente in sintonia.

Edito da Argentodorato in una duplice versione, tradizionale e in simboli, Mistero nel bosco si presenta come un libro illustrato dal chiaro messaggio che racconta una storia semplice senza cedere alla tentazione di un linguaggio piatto. Le illustrazioni che frequentemente accompagnano il testo si mostrano ricche di dettagli e privilegiano i toni caldi (anche per la barba del vecchio Gastolf, in realtà, che ci si aspetterebbe piuttosto tendente al bianco e che un poco fuorvia), restituendo un’atmosfera naturale molto avvolgente e calorosa.

Tali caratteristiche del testo e delle figure concorrono a rendere la lettura sfidante e non banale. Di riflesso, anche la versione in simboli del volume appare abbastanza complessa, tale da richiedere al lettore una certa familiarità con i simboli e discrete abilità di attenzione e comprensione. Anche in considerazione del fatto che il libro segue il modello di simbolizzazione inbook, che privilegia la scrittura in simboli dei singoli elementi del testo, le pagine risultano infatti piuttosto affollate e ciascuna di esse contiene davvero un grande numero di pittogrammi. Per la stessa ragione non sono rari i simboli che necessitano di maggiore apprendimento perché meno trasparenti (quelli riferiti, per esempio, ad articoli, preposizioni, congiunzioni…), la cui complessità di lettura va di pari passo con la presenza fissa dei qualificatori (genere, tempo, numero…). Ne risulta una lettura impegnativa e non immediata ma allo stesso tempo molto ricca e appagante, capace di soddisfare quei lettori che necessitano di un supporto visivo ma che padroneggiano a dovere i simboli e non si spaventano di fronte a narrazioni più lunghe e articolate.

Cronache del bambino anatra

Quella de I gabbiani è una raffinata collana di letteratura teatrale proposta dalle Edizioni Primavera. Si tratta di testi variegati nei toni e nei temi ma sempre caratterizzati da un impianto squisitamente scenico che li predispone a una lettura poco ordinaria e una trasposizione sul palco.

Cronache del bambino anatra non fa eccezione. Protagonista è un bambino di nome Dario. Insieme a lui, sulla scena delineata dall’autrice, c’è la mamma Luisa, e il racconto procede attraverso i dialoghi che i due intrecciano in un tempo lungo che va dagli anni ’60, quando Dario si accinge a iniziare la scuola primaria, agli anni ’10 del nuovo secolo, quando è ormai un affermato professore di fisica.

L’esperienza scolastica di Dario che si trova al centro della narrazione non è affatto in discesa: la lettura, in particolare, è per lui ostica, al punto che pur di non fare i compiti Dario si inventa ogni sorta di diversivo, e a tratti insopportabile, soprattutto man mano che i giudizi relativi al suo modo di leggere si riflettono su quelli relativi alla sua intelligenza. “Stupido, stupido”, gli ripetono spesso e a più riprese i compagni. E lui stesso, in una struggente poesia condivisa con l’amico del cuore confessa: “Io ho già undici anni e non ho ancora concluso / niente”.

Siamo negli anni ’60-’70, quando ancora non si parlava di dislessia e men che meno di strategie didattiche inclusive, ma le difficoltà, i tormenti e lo svilimento dell’autostima che Dario prova aderiscono in tutto e per tutto a quelli dei bambini dislessici di oggi. Quei bambini che, proprio come il protagonista, faticano più di altri a immaginare un finale in cui un anatroccolo – o un bambino anatra – possa nonostante tutto scoprirsi dotato di capacità e trasformarsi in un cigno.

Di lettura certo non agevole ma estremamente denso e vero, Cronache del bambino anatra è un volume che fotografa in maniera autentica il carico emotivo che un disturbo come la dislessia può portare con sé. il libro di Sonia Antinori è stato selezionato da Ibby per l’Outstanding Books For Young People With Disabilities 2023.

Beezus e Ramona. Ramona la peste

Come si fa a restare impassibili di fronte a un uragano come Ramona? Quattro anni e un caratterino niente male, la protagonista della serie creata da Beverly Cleary è un concentrato di vivacità e testardaggine che non teme rivali. Che sia a casa, a scuola o per strada, si può star certi che con Ramona nei dintorni, qualcosa di del tutto imprevisto, perlopiù disastroso ma indiscutibilmente divertente (quantomeno per chi legge, un po’ meno per chi a Ramona vive accanto) si prepara ad accadere. Può essere un libro della biblioteca completamente scarabocchiato, una cassa di mele mordicchiate a una a una, un’avventura fangosa con gli stivali nuovi di zecca o una festa casalinga organizzata senza avvisare nessuno in famiglia.

Ramona è così: spontanea, incontenibile e irresistibilmente schietta. I suoi pensieri, di cui l’autrice ci mette puntualmente a parte, seguono una logica originale ma ferrea e le sue iniziative tengono costantemente il lettore sospeso tra la risata e lo sconcerto. “Oh, no, Ramona!”, viene automatico esclamare una pagina sì e l’altra pure, e in fondo questo è più o meno ciò che pensa la sorella maggiore di Ramona – Beatrice detta Beezus – a ogni piè sospinto. E ciononostante la carica travolgente di Ramona vince su tutto, generando nel lettore non solo una forte curiosità nei confronti dei guai che di volta in volta la bambina potrà combinare ma anche un forte riconoscimento dei sentimenti strabordanti di cui si fa portatrice e che spesso, nel loro impeto, sono all’origine dei suoi comportamenti all’apparenza più esagerati o sconvenienti. “Chi la chiamava peste – si legge, per esempio, nel secondo volume delle serie – non capiva che una persona più piccola a volte deve fare un po’ di chiasso ed essere un po’ testarda per essere almeno notata”.

I libri di Beverly Cleary hanno dallo loro anche questo pregio: non solo sanno divertire profondamente il lettore di qualsiasi età ma sanno anche guardare alle azioni, ai pensieri e alle emozioni dei bambini con grande rispetto e lucidità, portando a galla e restituendo dignità anche a sentimenti dalle tinte chiaroscure, come l’insofferenza nei confronti della sorella che tormenta Beezus nel primo volume, e delineando un profilo d’infanzia che è certo fuori dalle righe ma anche molto ma molto vero.

La serie di cui Ramona e Beezus sono protagoniste si compone di diversi volumi, ciascuno dei quali comprende una manciata di avventure brevi, buffe e intensissime, della lunghezza di un capitolo.

Il secondo volume – Ramona la peste. A scuola arrivano i guai – ruota intorno all’inizio dell’avventura scolastica di Ramona presso il Kindergarten della città. Qui la bambina dovrà confrontarsi con la vita di comunità, con le regole del contesto scolastico, con adulti di riferimento diversi da quelli cui è abituata. La tradizionale parata di Halloween, la caduta del primo dentino, il desiderio di fare una presentazione in classe, l’acquisto di un paio di stivaletti nuovi e l’arrivo di una supplente sono solo alcuni dei fatti straordinari che scatenano, qui, la sua capacità unica di mettersi nei guai.

La deliziosa serie scritta da Beverly Cleary è portata in Italia da Il barbagianni, con la briosa traduzione di Susanna Mattiangeli, a oltre cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione in America. Vietato farsi ingannare dall’età del libro, però: la vitalità e l’autenticità di Ramona ne fanno un personaggio senza tempo che incarna perfettamente l’indomito e ostinato spirito dell’infanzia e le cui avventure hanno un ritmo irresistibile. Rimarcabile, poi, il fatto che l’editore abbia scelto di pubblicare i volumi della serie con caratteristiche di alta leggibilità, come la spaziatura maggiore, il testo non giustificato e la font EasyRedading, che ne facilitano la fruizione anche da parte di lettori dislessici.

Ramona-la-peste

Beezus e Ramona. Questa sorellina è impossibile

Come si fa a restare impassibili di fronte a un uragano come Ramona? Quattro anni e un caratterino niente male, la protagonista della serie creata da Beverly Cleary è un concentrato di vivacità e testardaggine che non teme rivali. Che sia a casa, a scuola o per strada, si può star certi che con Ramona nei dintorni, qualcosa di del tutto imprevisto, perlopiù disastroso ma indiscutibilmente divertente (quantomeno per chi legge, un po’ meno per chi a Ramona vive accanto) si prepara ad accadere. Può essere un libro della biblioteca completamente scarabocchiato, una cassa di mele mordicchiate a una a una, un’avventura fangosa con gli stivali nuovi di zecca o una festa casalinga organizzata senza avvisare nessuno in famiglia.

Ramona è così: spontanea, incontenibile e irresistibilmente schietta. I suoi pensieri, di cui l’autrice ci mette puntualmente a parte, seguono una logica originale ma ferrea e le sue iniziative tengono costantemente il lettore sospeso tra la risata e lo sconcerto. “Oh, no, Ramona!”, viene automatico esclamare una pagina sì e l’altra pure, e in fondo questo è più o meno ciò che pensa la sorella maggiore di Ramona – Beatrice detta Beezus – a ogni piè sospinto. E ciononostante la carica travolgente di Ramona vince su tutto, generando nel lettore non solo una forte curiosità nei confronti dei guai che di volta in volta la bambina potrà combinare ma anche un forte riconoscimento dei sentimenti strabordanti di cui si fa portatrice e che spesso, nel loro impeto, sono all’origine dei suoi comportamenti all’apparenza più esagerati o sconvenienti. “Chi la chiamava peste – si legge, per esempio, nel secondo volume delle serie – non capiva che una persona più piccola a volte deve fare un po’ di chiasso ed essere un po’ testarda per essere almeno notata”.

I libri di Beverly Cleary hanno dallo loro anche questo pregio: non solo sanno divertire profondamente il lettore di qualsiasi età ma sanno anche guardare alle azioni, ai pensieri e alle emozioni dei bambini con grande rispetto e lucidità, portando a galla e restituendo dignità anche a sentimenti dalle tinte chiaroscure, come l’insofferenza nei confronti della sorella che tormenta Beezus nel primo volume, e delineando un profilo d’infanzia che è certo fuori dalle righe ma anche molto ma molto vero.

La serie di cui Ramona e Beezus sono protagoniste si compone di diversi volumi, ciascuno dei quali comprende una manciata di avventure brevi, buffe e intensissime, della lunghezza di un capitolo.

Il primo volume – Beezus e Ramona. Questa sorellina è impossibile – mette in particolare in primo piano il complicato rapporto che lega le due sorelle, alla luce delle marachelle che la piccola inanella e del tormento che in casa è capace di generare. Ci sono di mezzo un ramarro immaginario, giri per il salotto a bordo di un triciclo a suon di armonica, cani sequestrati in bagno, parate musicali di ospiti inattesi, biscotti ripieni di vermi e torte di compleanno rovinate non una ma ben due volte: quanto basta per mettere alla prova anche la sorella maggiore più paziente e rendere evidente che la sopportazione può subire degli alti e bassi senza che l’affetto venga meno.

La deliziosa serie scritta da Beverly Cleary è portata in Italia da Il barbagianni, con la briosa traduzione di Susanna Mattiangeli, a oltre cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione in America. Vietato farsi ingannare dall’età del libro, però: la vitalità e l’autenticità di Ramona ne fanno un personaggio senza tempo che incarna perfettamente l’indomito e ostinato spirito dell’infanzia e le cui avventure hanno un ritmo irresistibile. Rimarcabile, poi, il fatto che l’editore abbia scelto di pubblicare i volumi della serie con caratteristiche di alta leggibilità, come la spaziatura maggiore, il testo non giustificato e la font EasyRedading, che ne facilitano la fruizione anche da parte di lettori dislessici.

Beezus-e-Ramona-Questa-sorellina

Piume in libertà

Ci sono due galline paciose e sempliciotte – Flossi e Bessi – che vivono da sempre in gabbia, all’interno di un allevamento intensivo. Stanno allo stretto, si nutrono di mangime insapore, non fanno che dormire, mangiare e guardare nel vuoto. Eppure la vita non pare loro così malaccio: non avendo mai conosciuto altro, è difficile se non impossibile aspirare a qualcosa di diverso. Per questo l’incontro fortuito con una taccola, entrata per caso nel capannone, si rivela per le due pennute un’inattesa fonte di scoperta. Insieme a lei, Flossi e Bessi faranno un viaggio di pochi metri ma dalle grandi rivelazioni. Pozzanghere, mezzi di trasporto, animali e cespugli, letti attraverso le lenti della loro limitatissima esperienza, assumono contorni buffi ai quali il lettore, così come la paziente taccola, guarda con benevola simpatia. Passo dopo passo, svolazzata dopo svolazzata, le due galline si formano un’idea del mondo nuova e bellissima: condizione essenziale per poter fare sogni che profumano di radure e boschi, ruscelletti e libertà.

Nato da un’accoppiata vincente e collaudata quale quella tra John Yeoman e Quentin Blake, Piume in libertà proclama la sua inglesitudine in ogni aspetto. L’ironia sottile e molto british che anima il testo, tradotto con accortezza da Luigi Berio (che è peraltro il curatore del corto animato dedicato al silent book di Quentin Blake Clown), trova infatti eco e riflesso nel tratto schizzato ed essenziale che caratterizza le figure. Con quel loro modo ingenuo e da comari di procedere e guardarsi intorno, inoltre, Flossi e Bessi ricordano un po’ l’Adelina e la Guendalina Bla Bla degli Aristogatti che galline, certo, non sono ma pennute inglesissime sì!

Scanzonato e lucido, Piume in libertà offre un racconto in cui la puntualità del pensiero su temi di spessore come la libertà e lo sfruttamento degli animali non rischia mai di appesantire il piacere della narrazione perché non è intorno al messaggio, che pur evidentemente appare chiaro, che la storia viene costruita e dipinta. Contraddistinto inoltre da un’interessante misura (non troppo lunga e non troppo corta) e da una felice integrazione tra testo (ampio) e illustrazioni (frequenti), il libro di Yeoman e Blake costituisce una proposta appetibile e abbordabile anche per chi affronta la lettura autonomamente ma continua a trovare nella presenza delle figure conforto, rassicurazione e diletto. La scelta editoriale, infine, di adottare caratteristiche di alta leggibilità come la font EasyReading, la spaziatura maggiore, il carattere ampio e l’allineamento a sinistra, rendono il volume particolarmente amichevole anche in caso di dislessia.

L’isola all’ultimo piano

C’è una ragazza che vive all’ultimo piano di un alto palazzo. Una scaletta sottile collega il suo balcone con il mondo di sotto ma un giorno questa viene colpita da un fulmine e così la ragazza si ritrova improvvisamente isolata. Nella solitudine del terrazzo, la protagonista pensa con nostalgia ai tempi in cui il suo innamorato viveva giusto di fronte a casa sua e da balcone a balcone poteva addirittura abbracciarlo. Non sappiamo cosa ne sia stato di quell’amore, sappiamo però che il suo ricordo dà alla ragazza la spinta giusta per provare a tessere nuovi legami con chi le sta intorno: esattamente ciò che le occorre per ritrovare un contatto con il mondo esterno. Dapprima sono messaggi in forma di aeroplano e piccioni viaggiatori, ma entrambe le soluzioni sembrano fallire nell’intento. Serve una trovata nuova, un’idea che consenta alla giovane di prendere il largo, forte di una rete di sostegno fitta, seppur quasi invisibile.

Riccardo Guasco costruisce un racconto per sole immagini che parla di relazioni e isolamento, di vicinanza e sogni e che ci pare particolarmente forte in questo preciso momento storico, a seguito del vissuto che la recente pandemia ha imposto a tutti noi. La metafora del filo, scelta e sviluppata dall’autore, consente infatti di riempire il racconto di significati personali, rinnovandone di volta in volta l’intensità e la capacita di parlare con il lettore. Quest’ultimo, dal canto suo, è chiamato a uno sforzo interpretativo non banale perché l’albo si nutre di vuoti e di silenzi che rendono l’inferenza una pratica stimolante e necessaria.

Riflettiamoci

Un piccolo di rinoceronte e una piccola di giraffa, rimasti entrambi orfani a causa dei bracconieri e di un incendio, sono i protagonisti di questo albo senza parole firmato da Gek Tessaro e nato in collaborazione con la Cooperativa Sociale Famiglia Nuova. Le loro storie sono sì diverse ma molto prossime, al punto che dopo un lungo e smarrito vagare, i due animali giungono ai bordi della medesima pozza d’acqua e si guardano fissi negli occhi come riconoscendosi.

Si riflettono, il rinoceronte e la giraffa, sulla superficie trasparente della pozza ma soprattutto l’uno nell’altra, ché i sentimenti, amari e gioiosi che siano, ci fanno vicini come poche altre cose al mondo. E allora quel titolo – Riflettiamoci – diventa anche un invito a noi lettori a far germogliare un racconto per immagini doloroso ma con un tocco di ottimismo, lasciandogli il tempo e lo spazio per animare pensieri ed emozioni.

Vincitore del premio Andersen 2022 come miglior libro senza parole, Riflettiamoci offre una storia intensa, che lo stile inconfondibile e graffiante di Gek Tessaro rende particolarmente toccante. L’autore suggerisce ciò che accade con poche e accese illustrazioni in cui si condensa un mondo di fatti e sentimenti. Grande è il lavoro di interpretazione e inferenza lasciato, in questo senso, al lettore, al quale si chiedono abilità di lettura e decodifica delle immagini (e dei vuoti che tra di esse emergono) non proprio basilari. Il libro vanta infine un formato ampio che valorizza le suggestive tavole dell’autore la cui veste affascinante stride solo un po’ con la presenza di proposte operative poste al termine della storia.

La ricetta della strafelicità

Impacciato e pasticcione, Michele non sembra esattamente il tipo da brillare in cucina. Torte e arrosti richiedono, in effetti, precisione e accuratezza. Ma si può dire lo stesso della felicità? Per cucinar quest’ultima servono più che altro ingredienti speciali, ingredienti che profumano di emozioni e ricordi, di sogni e giornate indimenticabili: parola di nonna Isa, che della strafelicità possiede la ricetta esclusiva e segretissima. Con lei Michele trascorre le giornate più felici e per questo, quando la nonna viene a mancare, lo smarrimento del ragazzo è massimo. Si sente sperduto e assediato, Michele, di fronte a quella perdita inattesa. E in quel momento così delicato, in cui presenza e assenza fanno un passaggio di testimone e in cui Michele da ragazzo si ritrova uomo, sarà proprio la ricetta esclusiva e segretissima della nonna a venirgli in aiuto.

Delicatissimo e impastato di metafore saporite, La ricetta della strafelicità mette insieme un testo e delle illustrazioni accomunati da una leggerezza impalpabile. La densità delle emozioni trattate trova infatti uno slancio inatteso nelle parole accorte e sensibili di Matteo Razzini e nelle illustrazioni sottili di Alessandro Ferraro. Tratteggiate, sospese e animate da uno spirito surreale che centra a pieno il tono del testo, queste ultime moltiplicano i significati e fanno del libro edito da Corsiero un albo che non pretende scioccamente di recintare temi complessi come quelli della morte, dei ricordi e dei sentimenti ma sceglie invece con intelligenza di dare loro respiro e multisfaccettatura.

Edito in forma tradizionale prima di diventare un inbook, La ricetta della strafelicità sceglie sentieri narrativi poco battuti rinunciando a tutta una serie di caratteristiche che abitualmente contraddistinguono i libri in simboli. La sovrapposizione tra dimensione reale e dimensione fantastica, il forte valore simbolico della storia, il consistente uso di metafore e la presenza di illustrazioni surreali in linea con il tono del racconto rappresentano infatti scelte compositive e stilistiche poco praticate nell’ambito dei volumi in CAA perché implicano maggiori sforzi di astrazione e un tipo di decodifica che van ben oltre la semplice comprensione delle parole.

E questo, se da un lato costituisce una sfida altissima per lettori con difficoltà comunicative che vogliano e possano cimentarsi con una lettura più complessa e insolita, dall’altro lancia un messaggio molto forte rispetto alla possibilità che i libri in simboli possano rappresentare una lettura che non riguarda necessariamente solo chi abitualmente impiega la CAA. L’inbook de La ricetta della strafelicità di dice insomma che i simboli possono raccontare tanti tipi di storie e che le storie in simboli possono incontrare tanti tipi di lettori.

Hank Zipzer. Un viaggio da vomito

Di fronte alla prospettiva di un campionato di cruciverba, le reazioni del giovane Hank Zipzer e di suo papà non potrebbero essere più diverse: l‘entusiasmo del secondo risulta infatti, per il primo, totalmente incomprensibile. Che Hank e le parole non vadano proprio d’accordo lo sappiamo ormai bene, in effetti. Protagonista di una fortunata serie edita da Uovonero, Hank fa infatti quotidianamente i conti con le sue difficoltà di lettura e scrittura che sono spesso fonte di guai inattesi e soluzioni creative. E anche in questo nuovo volume – ça va sans dire – inconvenienti e avventure non mancano, complici un lungo viaggio di famiglia e un grosso pacco di compiti che la signorina Adolf riserva al protagonista per le vacanze invernali.

L’intera famiglia Zipzer, accompagnata da Frankie, l’amico del cuore di Hank, e da Katherine, l’iguana domestica della sorella, parte infatti alla volta di Charlotte, dove si tiene il Campionato Nazionale di Cruciverba tanto agognato da papà Zipzer. Ogni partecipante al viaggio può scegliere una meta sul percorso, ma i patti sono chiari: Hank potrà andare sulle mirabolanti montagne russe del Colossus Coaster Kingdom solo se avrà finito i compiti assegnatigli dalla signorina Adolf. Le buone intenzioni del ragazzo non si discutono, sono purtroppo i fatti a lasciare a desiderare. E tra distrazioni davvero irresistibili, pisolini non previsti e quel grande grandissimo intoppo del pacco di compiti dimenticato per strada proprio all’inizio del viaggio, venire a capo dell’impresa sarà più facile a dirsi che a farsi. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: là dove non arrivano le montagne russe, ci pensa il campionato di cruciverba a rendere il viaggio davvero indimenticabile!

Divertente e disseminato di colpi di scena, Hank Zipzer. Un viaggio da vomito ci regala, nell’improbabilità delle avventure messe in scena, un ritratto efficace e fedele delle reazioni che letture, operazioni e compiti vari possono generare in chi come Hank riscontra in numeri e parole un autentico ostacolo. Distrazioni, repulsione, evasione: il campionario delle risposte, più o meno consapevoli, che Hank mette in atto di fronte al pacco che la signorina Adolf gli appioppa come fosse una ricetta miracolosa, la dice infatti lunga su quanto utile sarebbe una didattica più attenta alle esigenze dei singoli ragazzi. Stampato come di consueto con caratteristiche di alta leggibilità, Hank Zipzer. Un viaggio da vomito offre una lettura piacevole, leggera e amichevole non solo nei contenuti ma anche nell’aspetto.

Flutti

Se c’è un libro capace di sfatare quello sciocco pregiudizio che associa i racconti visivi a un esclusivo pubblico di lettori piccoli e inesperti, perlopiù perché incapaci di decodificare la parola scritta, quello è proprio Flutti. Pluripremiato, acclamato e da anni atteso in Italia, il silent book di David Wiesner ora edito da Orecchio Acerbo è infatti un esempio ammirevole di architettura narrativa e di uso raffinatissimo delle immagini.

Protagonista è un ragazzino dallo spiccato interesse scientifico, come si intuisce dal fatto che in spiaggia con lui ci sono sì secchielli pieni di tesori ritrovati sulla battigia ma anche strumenti che ne consentono la minuziosa osservazione come una lente di ingrandimento, un binocolo e un microscopio. Ed è proprio mentre osserva paguri e granchi che facciamo la conoscenza di questo personaggio. Anche se, da lì a poco, sarà qualcos’altro a monopolizzare la sua attenzione. Un’onda particolarmente forte deposita infatti sulla spiaggia un misterioso strumento che reca l’eloquente scritta “Underwater camera” e le cui incrostazioni marine lasciano intuire una certa antichità. Nessuno sulla spiaggia, bagnino compreso, ne sa nulla: non resta che indagare. Dopo un’ora di snervante attesa per lo sviluppo del rullino, il protagonista – e con lui il lettore – si trova davanti qualcosa di assolutamente straordinario: una serie di fotografie subacquee i cui soggetti sono creature o situazioni fantastiche come pesci robot,  stelle marine giganti con isole sul dorso o famiglie di polpi che leggono storie alla luce di melanoceti. Lo sconcerto è massimo.

Possibile immaginare qualcosa di ancora più incredibile? Evidentemente sì, se chi disegna di nome fa David Wiesner! L’ultima foto del rullino mostra infatti una sequenza di bambini diversissimi tra loro per tratti somatici, abiti e contesti, ciascuno ritratto con in mano una foto che a sua volta ne immortala un altro. Come in una sorta di matrioska fotografica, ogni fotografia ne contiene una più piccola, in un gioco al rimpicciolimento via via più microscopico. E proprio il microscopio, quando la lente di ingrandimento non basta più, consente al protagonista di scorgere dettagli altrimenti impercettibili e risalire indietro nel tempo, fino alla primissima foto della serie in cui si nota un bambino di un secolo fa o forse più. Nell’euforia per una scoperta tanto entusiasmante, resta una sola cosa da fare: consentire al gioco di proseguire…

Intrigante e intelligente come pochi, Flutti è un libro che fa delle figure materia plastica con cui raccontare, giocare, riflettere. Un libro per immagini che parla di immagini è un invito per il lettore a un’esplorazione metanarrativa appassionante. Ma un libro come Flutti aggiunge a questo aspetto già di per sé geniale, l’incanto di un racconto in cui nulla è lasciato al caso. Dentro al silent di David Wiesner c’è proprio tutto quello che vorremmo chiedere a un libro. Ci sono mondi immaginari e invenzioni fantastiche, dettagli eloquenti e inquadrature studiate, tavole in cui perdersi e una storia solida da decifrare. L’autore confeziona in maniera impeccabile il suo racconto senza parole, facendo leva su una successione di riquadri dal ritmo variegato che fanno sentire il lettore come su una poltrona del cinema. Nonostante la raffinata complessità della storia e il sottile intreccio tra dimensione reale e dimensione fantastica, il libro offre così una narrazione pulita e chiarissima, capace di accompagnare il lettore senza rinunciare mai, nemmeno un istante, a solleticare il suo intuito e la sua meraviglia.

Articolato e ricco al punto da poter essere letto e riletto a lungo, senza rischio di annoiarsi, Flutti fa dell’osservazione la sua chiave, invitandoci a guardare lontanissimo e vicinissimo e a godere delle meraviglie che uno sguardo così curioso può spalancare. Imperdibile!

Sono Vincent e non ho paura

Quell’età di mezzo in cui non si è né carne né pesce, in cui ci si sente troppo grandi per essere bambini e troppo piccoli per affrontare davvero il mondo da soli, è un affare proprio gramo. Scostarsi di una virgola dalla massa può voler dire subire prepotenze e prese in giro che sono talvolta tutt’altro che bravate, e Vincent lo sa bene. Così solitario e così fuori dagli schemi, lui che sa tutto dell’arte della sopravvivenza, è il bersaglio ideale per Dilan e la sua banda, che non perde occasione di deriderlo e prenderlo a botte appena fuori dalla scuola.

Denunciare i soprusi vorrebbe dire allarmare i suoi genitori – cosa peraltro già accaduta in passato – e ritrovarsi a tu per tu con la psicologa, e Vincent non ne ha nessuna voglia. Le giornate di lezione e l’attesa del famigerato campo scuola a cui Vincent è costretto a partecipare diventano così un vero tormento, un susseguirsi di ore lentissime in cui il ragazzino fa di tutto per non farsi notare e sfuggire alle vessazioni, rifugiandosi in una dimensione in cui dialoga con una cricca di animali immaginari dallo spiccato senso dell’umorismo.

Fino a quando in classe arriva una ragazzina che non potrebbe essere più diversa dal protagonista: sicura di sé, popolare e alla moda, Jasmijn – detta La Jas – si interessa in maniera autentica a Vincent e al suo mondo fatto di kit di sopravvivenza e conoscenze bizzarre. Anche La Jas, checché se ne possa pensare, sa cosa vuol dire essere vittima di discriminazioni e prepotenze (ché il bullismo prende tante strade e assume tante forme, scegliendo bersagli talvolta non scontati) e questo la aiuta e entrare in sintonia con Vincent. Tra i due nasce inaspettatamente un legame solido, un’amicizia che per il protagonista sarà preziosa per trovare il coraggio di affrontare ciò che lo spaventa senza rassegnarsi a subire e avere paura.

Con una grafica curata e accattivante, in cui lo sfondo scuro sottolinea la sensazione di buio che avvolge il protagonista all’inizio della storia e in cui gli elementi naturali a lui tanto familiari punteggiano le pagine con fare raffinato, il romanzo presenta una costruzione narrativa che tira pian piano il lettore per la manica fino a farlo ritrovare al fianco di Vincent mentre scappa dal campo scuola. A una prima parte in cui si alternano in maniera efficace il racconto delle giornate prima del campo scuola e alcune pillole da manuale di sopravvivenza, ne segue una seconda in cui la cronaca del campo scuola dal punto di vista di Vincent si fa serrata e travolgente. Di fronte all’ennesima concretissima minaccia di Dilan, il ragazzino scappa infatti nel boschi, mettendo finalmente a frutto tutto ciò che negli anni ha imparato sulla sopravvivenza e scoprendo che gli strumenti più utili in caso di pericolo  non sono in realtà fiammiferi e pietre focaie ma il poter contare sull’appoggio e il confronto con un amico vero come La Jas. Ché questo i manuali di sopravvivenza mica lo dicono!

Oltre a raccontare dall’interno e con toccante franchezza quanto possano essere complicate, delicate e multisfaccettate le dinamiche del bullismo, Sono Vincent e non ho paura si fa così apprezzare per una storia che viaggia veloce come una corsa a perdifiato nel bosco, per personaggi non scontati a cui ci si affeziona presto (non ultimi il verme e la sua combriccola di animali immaginari) e per una scrittura secca fatta perlopiù di frasi brevi che ben si sposano, dal punto di vista dell’accessibilità della lettura, con la stampa ad alta leggibilità proposta dall’editore Camelozampa. Avvincente e coinvolgente. In una parola: vincente. Consigliatissimo!

Le petit poucet

La collezione Raconte à ta façon è, già nel titolo, un piccolo manifesto di lettura che condensa bene la filosofia dei silent book. Raccontare la storia alla propria maniera, a piacimento insomma, è infatti una delle caratteristiche che rendono i libri senza parole così intriganti e così accessibili poiché ciascuno può trovarvi la sua personalissima strada per dare forma al racconto. Ma la collezione di Flammarion va forse anche un poco oltre perché i silent book di cui si compone, tutti dedicati a fiabe tradizionali, asciugano a tal punto la storia di base, grazie a una rappresentazione simbolica  ed essenziale di personaggi, oggetti e ambienti, che restituiscono davvero al lettore la massima libertà narrativa.

Nel caso di Le Petit Poucet, per esempio, gli umani sono rappresentati come triangolini di doversi colori mentre gli elementi chiave della storia – dai sassi agli stivali, dal letto alle molliche di pane – trovano rappresentazione in forme stilizzatissime. Questo fa sì che anche una fiaba arcinota come questa (o come Riccioli d’oro, Cappuccetto RossoI tre porcelliniIl gatto con gli stivali per citare alcuni altri titoli della collana) possa ritrovare una veste nuova e un’interpretazione originale capace di gettare nuovi semi e nuovi stimoli nell’immaginario del lettore.

Inoltre, l’accessibilità dettata dall’assenza di parole si rafforza qui in virtù di una rappresentazione minimal e del tutto priva di fronzoli che aiuta il lettore a non perdersi: caratteristica, questa, che predisporrebbe infine il volume anche a un’agevole trasposizione tattile così come dimostrato in passato dal magistrale lavoro di Les Doigts Qui Rêvent sul Cappuccetto Rosso di Warja Lavater.

147 mostro che parla! (collana)

147 mostro che parla! è una collana di libri ad alta leggibilità corredati da audiolibro messa a punto dell’editore Telos. La collana si compone di 21 volumi (in via di pubblicazione), ciascuno dedicato a una diversa regione italiana e all’immaginario popolare che la caratterizza. Al centro di ogni volume ci sono infatti le creature fantastiche che animano i racconti folkloristici – 7 per ogni regione – rivisitati in una chiava nuova. Calati in contesti attuali e cornici narrative costruite ad hoc, sirene, folletti e mostri di ogni sorta rivivono tra queste pagine con un duplice effetto: recuperare e rendere palpitante un patrimonio culturale ricchissimo che altrimenti tenderebbe a svanire e restituire valore alla sua straordinaria forza immaginifica attraverso storie che parlano una lingua moderna.

Questo raffinato lavoro di recupero e riscoperta, supervisionato da Teresa Porcella che della collana è curatrice, è affidato di volta in volta a una coppia di autori e illustratori diversi, penne e matite autoctone della regione trattata. In questo modo la specificità culturale di ogni singolo territorio affiora in maniera palpabile anche nelle scelte lessicali e nelle espressioni idiomatiche così come in alcuni dettagli e atmosfere che prendono forma con le figure. Inoltre – cosa non da poco – questa scelta contribuisce a rendere particolarmente vivaci e multiformi i contenuti della collana che pur mantiene una sua forte identità e coerenza.

Ogni volume presenta sette racconti, ciascuno dedicato a una deversa creatura fantastica che, come tornata dal passato, si intrufola con naturalezza in scenari e situazioni d’oggi . I racconti sono brevi, snelli e accattivanti. Alla fine di ognuno, il libro propone una sorta di carta di identità del mostro protagonista che ne riassume le caratteristiche e che fornisce tutte le informazioni necessarie per evitarlo, difendersi o guarire dai suoi poteri. Le illustrazioni che accompagnano i racconti sono frequentissime (praticamente a ogni pagina) e in generale contraddistinte da uno spiccato ed espressivo uso del colore.

A questo aspetto, che senz’altro supporta e incentiva la lettura anche da parte di quei lettori che mal digeriscono pagine fitte fitte e dall’aspetto ostico, si somma una serie di altre caratteristiche che agevolano la lettura anche in caso di difficoltà legate per esempio (ma non solo) alla dislessia. In primo luogo il testo, come da consueta cura della casa editrice Telos, presenta caratteristiche di alta leggibilità. L’impiego del font EasyReading, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe e la sbandieratura a destra rendono infatti la pagina più ariosa e il riconoscimento delle lettere meno faticoso. In secondo luogo le parole meno comuni vengono evidenziate cromaticamente secondo una legenda che distingue nomi, verbi e aggettivi. E infine l’intero testo è reso disponibile per l’ascolto grazie a un semplice qrcode che, inquadrato, rimanda all’audiolibro letto direttamente dell’autore di ogni volume.

Accessibilità, originalità e cura compositiva sono dunque tre caratteristiche chiave della collana 147 mostro che parla! E che ne fanno un prodotto estremamente versatile e spendibile, dentro e fuori la scuola.

Fuga in punta di piedi

Il cambiamento può iniziare in molti modi. Con una scarpa che si dà alla fuga, per esempio! E in effetti quando la scarpa preferita di Adele decide di scomparire proprio alla vigilia della partenza per le vacanze, l’abitudinaria pennuta è costretta suo malgrado a rimettere in discussione le sue amate routine. Impossibile per lei partire con il solito treno, il solito giorno di luglio per andare nella solita località di montagna con il marito Alfio: tocca rimettere in discussione i piani. E così, in quello che si rivelerà essere l’agosto più movimentato della vita dei due protagonisti, la caccia alla scarpa li porterà a frequentare i luoghi più disparati, dalle chiese alle discoteche, e a far la conoscenza dei personaggi più inattesi, dall’inquilino abusivo Aristide ai due poliziotti vicini di casa Assenzio a Anastasio. Alla fine la famigerata scarpa farà ritorno a casa. Niente però sarà più come prima per Adele e Alfio, ché per una scarpa smarrita c’è un mondo di cose da fare, scoprire e non lasciare (forse) mai più.

Fuga in punta di piedi, che fa parte della collana Prima graphic di Sinnos, attira prima di tutto per le sue illustrazioni dinamiche e particolareggiate, in cui il contrasto tra il bianco e nero di fondo e i dettagli in giallo vivace attirano l’occhio e accendono la curiosità. Su questa scia, ci si fa strada in una trama che impasta un sottile umorismo e uno spiccato gusto per l’assurdo, mettendo insieme personaggi buffi e ben assortiti. Il risultato è una storia coinvolgente che, imprevedibile com’è, ci si chiede di continuo dove possa portare. Costruito mescolando racconto tradizionale e narrazione a fumetto, il libro di Daniela Palumbo e Francesca Carabelli vanta inoltre un ritmo insolito e meno affaticante che, spostato ad altre caratteristiche di alta leggibilità come la font leggimi, la spaziatura maggiore e la grafica pulita, incentiva e supporta la letture anche da parte di lettori meno forti o con maggiori difficoltà legate alla dislessia.

Storie sulle dita

Definire Storie sulle dita semplicemente un libro tattile è a dir poco riduttivo. Perché oltre a questo, il titolo edito dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi è anche un libro senza parole, un gioco, uno strumento versatile per inventare, raccontare e ascoltare storie. Non stupisce dunque che il lavoro di Cristina Rivoir e Federica Bertagna abbia vinto il concorso di editoria tattile Tocca a te! nel 2019, conquistando la giuria per la sua originalità e versatilità.

Storie sulle dita si presenta come una solida scatola in legno, dotata di comodi manici e dipinta di un blu vivace su cui spiccano in giallo le lettere del titolo. Al suo interno stanno comodamente riposte due cose: un libretto dalle pagine in compensato, ciascuna dotata di un pezzetto di velcro, e un set di schede in compensato, ciascuna dedicata a un’illustrazione tattile.  Composte da oggetti reali o più frequentemente realizzate a collage materico, queste vanno da una bacchetta magica a un uccello, da una chiave a una ragnatela, da un orologio a un puzzle, in un mix di quotidiano e fantastico dall’enorme potere generativo. Nessuna parola, né sul libro né sulle schede: perché le storie possono nascere anche solo dalle figure e solo in un secondo momento trasformarsi in un racconto verbale.

A partire da questa dotazione, gli usi che si possono fare di Storie sulle dita sono molteplici: si possono scegliere le schede predilette e usarle per comporre il proprio libro, si può costruire una storia a partire da schede scelte a caso, si può giocare a indovinare la storia immaginata da un compagno e via dicendo…

La forza di questo progetto editoriale, così curato e così eclettico, sta proprio nel suo essere insaturo, nel suo accogliere cioè modalità d’uso e di appropriazione diverse che possono essere calibrate sulla situazione, sul contesto, sulle abilità dei partecipanti e sull’inventiva di chi propone l’attività. Dalle  schede che compongono il set possono nascere, così, non solo centinaia di storie diverse ma anche decine di modalità di esplorazione fantastica differenti, all’interno delle quali tatto e immaginazione interagiscono in maniere inaspettate.

Difficile, a quel punto, resistere alla tentazione di sperimentare nuovi binomi (tattili) fantastici, percorrere sentieri fiabeschi nutriti di sensazioni tangibilissime e lasciarsi trasportare dal piacere di mettere alla prova le proprie mani e la propria creatività. Perché a tutti noi è capitato di avere una parola o una storia sulla punta della lingua. Ma solo i più fortunati, conoscitori di questo prezioso cofanetto, potranno dire di averla avuta sulla punta delle dita!

Il mostro di neve

Difficile immaginare qualcosa di più tenere e pacioso di un pupazzo di neve. Certo, a meno che il pupazzo di neve non si animi di notte, non mandi messaggi inquietanti e non si scagli con pericolosa forza contro coloro che gli hanno dato forma. E questo, in effetti, è esattamente ciò che accade a Sam, Jack e Ryan. Durante una nevicata particolarmente copiosa, i tre amici si ritrovano infatti vicino al loro rifugio segreto e costruiscono un grande pupazzo di neve, decorandolo con rami, rifiuti e un vecchio cellulare di proprietà di uno di loro. La sera, però, accade qualcosa di inspiegabile: i tre ragazzi ricevono un sms che li sfida a tornare dal pupazzo. Chi l’avrà spedito? La spiegazione più plausibile è anche la più assurda, ma Sam, Jack e Ryan hanno ben poco tempo per stare ad arrovellarvisi su. Arrivati al rifugio inizia, infatti, la loro folle notte, animata da una creatura di neve che prende misteriosamente e mostruosamente vita. Sangue freddo, spirito di squadra e fish&chips saranno le armi decisive che aiuteranno i tre a salvare la pelle e trovare, forse, un insolito amico.

Per ragazzi che temono più gli ostacoli di lettura che le avventure da brivido, Il mostro di neve è una proposta ideale. Avvincente e tenebroso ma anche scorrevole, ritmato e snello, il libro di Gillian Cross offre una lettura che appaga senza risultate troppo impegnativa e che incentiva il lettore ad avanzare tra le pagine non solo grazie a una giusta dose di mistero ma anche e soprattutto grazie a una scrittura pulita e puntuale. A tutto questo si aggiungono poi le caratteristiche tipografiche di alta leggibilità messe in campo dall’editore Biancoenero che danno forma a una pagina ariosa e amichevole a cui è più agevole approcciarsi. Il risultato è un libro che convince e che accoglie i giovani lettori dagli 8 anni in su, con o senza difficoltà legate alla dislessia, e di certo dotati di un po’ di coraggio.

La compagnia degli animali estinti

In un periodo storico in cui il tema dei cambiamenti climatici e della tutela dell’ambiente si fa sempre più urgente, un libro come La compagnia degli animali estinti lancia un monito importante e al tempo stesso omaggia il coraggio delle nuove generazioni, senz’altro più attente al rispetto del pianeta di quanto non lo siano quelle precedenti. Lo fa attraverso una storia avvincente in cui si mescolano realtà e sogno, enigmi e crucci familiari, vicende individuali e questioni di interesse collettivo.

Protagonista è Lucia, che alla soglia del suo nono compleanno riceve dal padre, lontano per lavoro, una misteriosa collana con dei pendenti a forma di animali. Apparentemente casuali, questi ultimi si rivelano in realtà scelti in base al comune e triste destino legato all’estinzione e i pendenti che li raffigurano mostrano presto dei poteri insoliti. Guidata da loro, in compagnia del fratello Tommaso e dell’amica Alessia, Lucia si lancia in una frenetica indagine che la porterà a cercare indizi, risolvere rompicapo e sfuggire a creature minacciose, nel tentativo di venire a capo della misteriosa e improvvisa scomparsa dalla terra di ogni creatura animale. La sua tenacia e il gioco di squadra con i suoi compagni di avventura saranno premiati con un’inattesa sorpresa ma anche con la solida consapevolezza che la salvaguardia dell’ambiente dipende delle nostre azioni più di quanto possiamo aspettarci.

Scorrevole e avventuroso, La compagnia degli animali estinti offre una lettura da cui farsi catturare. Forte di questa piacevolezza, oltre che delle apprezzabili caratteristiche di alta leggibilità e della presenza di fumetti che con regolarità si alternano al testo, riassumendone gli eventi salienti, il libro di Chiara Valentina Segré può rappresentare una proposta interessante e stimolante anche per giovani lettori che trovano difficoltà nei testi tradizionalmente stampati.

Via della gentilezza

La gentilezza è contagiosa e ripaga sempre. In modi del tutto imperscrutabili, ma ripaga sempre. Per dare voce a questa idea semplice ma fortissima, l’autrice slovena Marta Bartolj confeziona una storia senza parole che appassiona e a tratti commuove.

Protagonista è una ragazza che si presenta al lettore piuttosto triste. Il suo sguardo sconsolato e i manifesti con un cane in primo piano lasciano intendere subito quale sia il motivo del suo stato d’animo. Non del tutto rassegnata alla perdita del suo cagnolino, la ragazza attraversa la città per affiggere i manifesti e lungo il percorso, senza nemmeno badarci troppo, fa dono dello spuntino che aveva portato con sé – una succulenta mela rossa – a un musicista di strada incontrato per caso. Click! È lì che si accende invisibilmente la miccia della gentilezza. Un ragazzo che assiste alla scena, sorride e poco dopo, nel parco, si ferma senza indugio a raccogliere una lattina rossa abbandonata per terra.  È un bambino intento a giocare sul prato, a quel punto, a rimanere colpito dal gesto e a lasciarsi ispirare da esso in un nuovo piccolo atto di premura verso una coetanea probabilmente sconosciuta. Click, click, click: la miccia della gentilezza è ormai inarrestabile e arriva senza posa a toccare le persone più disparate: dall’elegante vecchietto che legge il giornale sulla panchina al ragazzo seduto in caffetteria che aspetta che spiova. Di gesto in gesto, la gentilezza vista diventa gentilezza agita, in una catena di spontanea solidarietà che porta a un lieto fine dolce e a un cerchio che si chiude.

Delicato nel contenuto e nel tratto, Via della gentilezza racconta una storia che arriva dritta il lettore senza che le parole si rendano necessarie. Merito non solo della forza dei gesti ritratti ma anche degli espedienti narrativi messi in campo dall’autrice, come il contrasto tra il disegno a matita e i dettagli rossi (colore certo non casuale!) che innescano la sequenza di piccole attenzioni; il gioco di inquadrature che guida lo sguardo del lettore ora sugli oggetti chiave, ora sui gesti, ora sulle espressioni dei protagonisti; o la ripresa dettagliata delle singole scene attraverso riquadri strettamente collegati tra loro. In questo modo il lettore viene come accompagnato nella lettura visiva del racconto, senza che troppe inferenze gli siano richieste e che l’interpretazione del quadro si faccia troppo ostica. All’assenza di parole, che già allarga la fruibilità del volume, si aggiunge dunque questa particolare chiarezza narrativa che fa di Via della gentilezza una lettura decisamente accessibile, nonostante la sua lunghezza non indifferente.

30 giorni per capire i disturbi visivi

L’attenzione rivolta al tema della disabilità da parte dell’editoria per ragazzi è andata crescendo negli ultimi anni . Storie potenti e meravigliose hanno squarciato tabù, offerto rappresentazioni e allargato sguardi, andando di pari passo a libri di qualità decisamente più discutibile, in cui chiari intenti prescrittivi risultano camuffati da racconti deboli e posticci. Sono volumi in qualche modo sleali, questi ultimi, che pur assumendo una forma squisitamente narrativa, si prefiggono in realtà di spiegare la disabilità e di offrire, per quanto in buona fede, istruzioni e ammonimenti in merito. Ecco allora che anche e soprattutto rispetto a queste proposte, la serie 30 giorni per capire… di Uovonero porta una significativa ventata di novità. Perché qui non ci sono travestimenti o inganni, i libri intendono aiutare i ragazzi a conoscere l’autismo, i disturbi visivi o i disturbi dell’apprendimento e per farlo scelgono la forma che più è congeniale a uno scopo divulgativo: il manuale.

I libri di 30 giorni per capire… sono, infatti, tre manuali costruiti con grandissima intelligenza sulle esigenze dei ragazzi: chiarezza, ironia e praticità sono le loro parole chiave. Ogni volume sfida infatti i lettori a cimentarsi con una serie di challenge – dinamica, questa, molto presente nei contenuti video di cui i ragazzi sono avidi fruitori – con cui sperimentare alcuni aspetti peculiari del modo di stare al mondo di chi vive una certa condizione. Tutt’altro che tediose, le challenge sono molto creative e si rivelano particolarmente divertenti se condivise in un clima sereno con i pari. La serie in questione si presta, così, a dare i suoi migliori frutti se impiegata come strumento di azione e riflessione di gruppo: uno strumento decisamente accattivante e fuori dagli schemi consigliatissimo per le classi, per esempio. Target ideale: scuola media (ma i libri sono fruibili già dalla fine della scuola primaria), un ordine di scuola che tra l’altro è spesso bistrattato e all’interno del quale è talvolta difficile trovare delle proposte di attività davvero stimolanti.

Le challenge sono corredate da un breve approfondimento che collega l’esperienza fatta a una specifica caratteristica del disturbo trattato. In questo modo esse diventano un’occasione concreta per mettersi nei panni di qualcun altro e per capire il perché di alcuni comportamenti altrui che potrebbero altrimenti apparire strambi e indecifrabili. A chiudere ogni capitolo, l’invito a condividere sui social foto e video che attestino gli esiti delle singole challenge, con specifici hashtag: aspetto, questo, forse più critico, se si considera lo scarto tra l’età di riferimento dei volumi e l’età minima teoricamente richiesta per iscriversi ai social network più diffusi.

A rendere questo progetto davvero innovativo e meritevole ci sono tanti aspetti, di cui tre particolarmente significativi: la scelta di interloquire in maniera efficace con i reali destinatari dei volumi; la capacità di sposare un tono umoristico (mai forzato!) a un atteggiamento sempre rispettoso nei confronti di coloro che i diversi disturbi li vivono in prima persona; e l’attenzione a restituire la complessità di questi ultimi con una chiarezza estrema che non compromette, tuttavia, il rigore scientifico delle informazioni fornite. E qui viene davvero fuori tutta la solidità e la serietà di una realtà editoriale come quella di Uovonero, in cui competenze specifiche molto trasversali si integrano in maniera efficace e vincente.

 

30 giorni per capire i disturbi visivi, in particolare, guida il lettore tra i diversi tipi di difficoltà visive in cui è possibile incappare – dal daltonismo all’ipovisione fino ad arrivare alla cecità – mettendo in luce il fatto che le persone che ne sono colpite possono essere autonome ma che spesso debbano adattarsi, non senza fatica, a un mondo che non è progettato per agevolarle in questo percorso.

Rispetto agli altri volumi della serie, questo dedica maggiore spazio a una parte scientifica introduttiva che illustra i fenomeni ottici alla base del funzionamento della vista, prima di addentrarsi nello specifico tra le implicazioni quotidiane di una vita in cui questo senso sia più o meno compromesso. Buona parte delle prime challenge proposte sono funzionali, infatti, a capire cos’è la luce e come opera l’occhio e si basano, per esempio, sulla proiezione, sulle illusioni ottiche o sul riconoscimento di immagini. Le sfide che seguono, invece, invitano il lettore a sperimentare attività comuni – dalla preparazione di cibi all’orientamento nello spazio, dal riconoscimento dei compagni all’identificazione di fonti sonore – senza fare affidamento sul senso della vista. Fil rouge è sempre la proposta di attività che siano calate nell’universo di riferimento dei ragazzi, che sappiano spiazzarli, appassionarli, divertirli o incuriosirli: perché è proprio vero che se ascolto dimentico, se guardo capisco e se faccio imparo.

L’albero, la nuvola, la bambina

Chiara Valentina Segré e Paolo Domeniconi – la cui sintonia felice avevamo già apprezzato in Lola e io – torna a toccare il lettore nel profondo con un nuovo albo che è una specie di sussurro, un invito quieto a confrontarsi con timori complessi, come quello della fine e della vita esposta al cambiamento.

Nel dialogo tra una bambina preoccupata per la sorte del fratello malato e un pruno ormai prossimo all’abbattimento, i due autori indagano il legame che ci avvicina alla natura, lo scarto tra ciò che scompare e ciò che resta con la morte, il valore della trasformazione e la varietà di forme che possono assumere la cura e il ricorso. Con uno stampo squisitamente metaforico, che vede i pensieri cupi farsi nuvola tempestosa o una prugna succosa rappresentare la memoria che dà frutto – l’albo edito da Camelozampa esplora temi tutt’altro che banali e offre al lettore una forma di poesia che prescinde da versi e rime.

L’autrice sceglie e inanella, infatti, con grande misura le parole che dicono preoccupazione e speranza mentre l’illustratore dà vita a tavole magnetiche in cui tutto – dalle inquadrature alle palette, dalle ombre ai riflessi – concorre a dare spessore e intensità al dialogo tra la bambina e l’albero.

L’albero, la nuvola e la bambina chiede silenzio e tempo per sedimentare e rimestare dentro, offrendo una lettura di una certa complessità, nonostante il numero ristretto di pagine che lo compongono. Il libro costituisce dunque un esempio perfetto di come l’albo illustrato possa prestarsi a raccontare storie tutt’altro che banali che chiamano a sé un pubblico non proprio inesperto, capace di leggere non solo le parole, ma anche le figure e l’intreccio tra i due linguaggi. Questo, unito alla scelta di caratteristiche di alta leggibilità, ne fanno un volume particolarmente appagante e fruibile anche per bambini e ragazzi con dislessia.

Dante Pappamolla

Occhialetti da quattrocchi, nome-fardello in memoria dell’Alighieri, tendenza ad assumere il color peperone in viso, genitori fissati con l’alimentazione ultra-vega-vegetariana. A Dante Tertuliani – noto a tutti, non a caso, come Dante Pappamolla – non potevano capitare più sfortune. Tranne una, forse: la morte dell’adorata e scapestrata nonna Leopoldina, quella che sognava di comprare una moto col nipote o che lo rimpinzava di nascosto di ragù.

Alla sua scomparsa, però, Dante riceve un’eredità impareggiabile: una pietra magica che trasporta in luoghi lontani dove scoprire popoli e persone. Gli Inuit, per esempio, nel freddissimo e incontaminato Polo Nord. Qui Dante entra in contatto con una cultura, dei paesaggi, delle abitudini e soprattutto un sé del tutto nuovi. Quasi inavvertitamente si scopre eroe e capace di fare scelte coraggiose e rispettose che non tarderà a riportare anche nel suo vecchio mondo con risultati straordinari.

Malgrado gli insegnamenti risultino un po’ marcati, la sua è una storia di crescita gustosa, in cui non mancano episodi buffi e avventure impreviste e che beneficia per di più di un carattere tipografico più leggibile e meno stancante. Camelozampa propone infatti il libro di Isabella Paglia e di Adriano Gon all’interno della bella collana Peli di gatto che si avvale di caratteristiche di alta leggibilità, tra cui l’uso del font EsayReading, la sbandieratura e destra, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe e la stampa su carta opaca. Questi aspetti, uniti a una storia leggera, a illustrazioni frequenti e a capitoli brevi fanno di Dante Pappamolla  un libro assolutamente abbordabile e consigliabile anche in caso di difficoltà o di resistenza alla lettura.

La famiglia sgraffignoni. Il furto di compleanno

Se tuo papà si chiama Mariolo, tua mamma Fia e tua sorella Ale (diminutivo, ça va sans dire, di Criminale), è facile immaginare che la tua vita di onesto e probo figliolo possa essere un tantino in salita. Lo sa bene Fausto, che un giorno sì e l’altro pure si trova coinvolto suo malgrado in furti domestici di calzini, visite non autorizzate ai negozi di giocattoli e occultamento di piedi di porco: lui, che è buono fino al midollo e che di dire bugie proprio non è capace. Così, all’approssimarsi del suo compleanno, Fausto inizia a desiderare due cose soltanto: dei calzini tutti suoi e un lecca legga gigante regolarmente acquistato nel negozio di dolciumi. Inutile dire che la famiglia ha tutt’altri piani per procurarsi gli oggetti in questione, piani che causeranno un bel po’ di trambusto, qualche effrazione e un lieto fine rocambolesco in cui le forze dell’ordine, nella persona del vicino di casa Paul Iziotto, sono per una volta benvenute in casa Sgraffignoni!

Leggereo e spiritoso, La famiglia Sgraffignoni. Il furto di compleanno è il primo volume di una serie firmata da Anders Sparring e Per Gustavsson e portata in Italia da Sinnos. Di formato smilzo e dal ritmo svelto, il libro offre un’occasione di lettura poco gravosa e piuttosto divertente, capace di solleticare anche lettori meno spediti. Il formato maneggevole, le illustrazioni frequenti, il font leggimi e le caratteristiche di impaginazione ad alta leggibilità concorrono infatti in maniera sinergica a fare della pagina un luogo piacevole in cui sostare.

Io e Leo

Vi ricordate Max Halters? Bè, la sua carriera da stuntman è ormai al tramonto ma il personaggio creato da Boonen e Melvin ha ancora molto da fare e da dire. Così, a sorpresa, lo ritroviamo coprotagonista di Io e Leo, il nuovo racconto illustrato targato Sinnos. Il giovane Leo del titolo è un ragazzino con un grosso, grossissimo problema: da un giorno all’altro, infatti, dopo l’incidente in bicicletta che ha causato la morte del padre, si ritrova ad essere inspiegabilmente invisibile. La mamma, la maestra, i compagni e persino il cane del vicino sembrano all’improvviso non accorgersi o non ricordarsi di lui. E Leo, per questo, non si dà pace.  Per fortuna, nel suo vagare per la città, il ragazzino incontra proprio Max Halters. In veste di saggio clochard, questi lo accompagna in un viaggio sul filo della realtà, in cui incontri sorprendenti e conversazioni bizzarre lo aiuteranno a ritrovare un pochino sé stesso e farsi a sua volta ritrovare anche da chi gli sta intorno.

Intenso e forte, ma non per questo disposto a rinunciare a quel tocco di folle leggerezza che contraddistingue i lavori dei due autori, Io e Leo racconta di un’amicizia profonda, di un vuoto che pare impossibile colmare e di sentimenti forti che possono trasformarci. La storia di Leo e del lutto che deve affrontare arriva così al lettore, forte come un carrello della spesa giù per una collina ripida, coinvolgendolo in modo travolgente. Il testo non è banale ma le illustrazioni a ogni pagina e le caratteristiche tipografiche di alta leggibilità ne agevolano la lettura, consentendo anche a lettori più riluttanti di confrontarsi con un racconto corposo. Forte di illustrazioni dal sapore fumettistico e dal tratto inconfondibile, di atmosfere surreali (rese ben evidenti da diffusi toni aranciati) e di personaggi che lasciano il segno, Leo e io porta sulla pagina una piccola sfida che riserva grandi soddisfazioni e forti emozioni al lettore che deciderà di affrontarla.

Le felicità

Che delizia, la parola di Piumini quando scava nelle gioie a misura di bambino! Nel bel volume pubblicato dalle Edizioni Gruppo Abele, il giovane lettore può trovare una sfilza di piccoli grandi piaceri, cantati con la raffinatezza amichevole di cui il poeta bresciano è maestro. A ogni pagina, una poesia. A ogni poesia, una felicità. Non sempre l’oggetto della contentezza è esplicitato ma anche qui sta il bello: complici le illustrazioni inconfondibili e irresistibili di Sergio Olivotti, con le quali i testi di Piumini vanno a braccetto, sta al lettore intuire di cosa si parli, come in una sorridente caccia al tesoro linguistico. Da un regalo atteso alle feste di un cane, dalle figurine alle vacanze, da una nevicata notturna al ricordo di una nonna amata, i brevi componimenti che danno vita a Le felicità sono una coccola da gustarsi con parsimonia o da scartare una via l’altra come fossero cioccolatini.

Inserita all’interno della collana I bulbi dei piccoli, di cui presenta le consueta caratteristiche di alta leggibilità, questa raccolta stuzzicante di poesie suggerisce silenziosamente che anche i giovani lettori con maggiori difficoltà di lettura abbiano diritto a fare il pieno di parole ricercate e musicali, supportati da una grafica e da una stampa il più facilitante possibile ma al contempo stimolati da contenuti inattesi e generi che sono una vera appagantissima conquista.

Il fiore ritrovato

Tre bambini, un giardino, un vecchio giardiniere, un fiore: la quarta di copertina non dice altro a proposito di questo libro e, in effetti, in questi quattro ingredienti c’è tutto ciò che serve, c’è la promessa di un racconto che profuma di fiaba, di avventura e, un poco, di mistero. Promessa mantenuta, di fatto, poiché la storia senza parole confezionata da Jeugov conduce il lettore in un vero e proprio giardino segreto in cui avviene una sorta di magia: quella della natura che cura e trasforma.

In quel giardino segreto in cui cresce un meraviglioso e secolare albero giungono un giorno tre bambini con indole da esploratori. Alto e accogliente, l’albero diventa subito teatro di giochi irresistibili, cosa che non sembra apprezzata dal burbero uomo che abita lì vicino e che di punto in bianco decide di abbattere la pianta. Motivo apparente per questo gesto crudele sembrerebbe non esserci e così, incuriositi, i tre bambini si spingono di soppiatto fino alla casa dell’uomo. Qui scoprono un segreto che viene dal passato e che li porta a mettersi sulle tracce di un misterioso fiore. La ricerca non sarà facile, non sarà immediata, non sarà priva di rischi, ma i tre bambini la affrontano con determinazione, fino ad assistere e a partecipare a una strabiliante trasformazione che il profumo dei fiori, come una sorta di pozione magica, ha il potere di attivare.

Il libro di Jeugov procede per sole immagini, caratterizzate da uno stile squisitamente liberty, lo stesso che contraddistingue la villa di campagna che ha ispirato e in cui è nata la storia de Il fiore ritrovato. Colori saturi, contorni marcati, motivi grafici e gusto per la decorazione costituiscono dunque la cifra di questo libro senza parole che gioca essenzialmente sul contrasto tra nero, bianco, verde e arancione (con qualche lampo rosso e giallo là dove il finale celebra la trasformazione più piena) e che si compone di tavole dall’effetto ipnotico.  Raffinate e di grande impatto, queste ultime richiedono una certa capacità di districarsi tra figure stilizzate e composizioni affollate per godere a pieno del racconto. Per contro, quest’ultimo mette in campo tutti gli indizi di cui il lettore necessita per muoversi con agio tra le pagine, seguendo senza indugio il filo narrativo. Abilissimo nel disseminare dettagli significativi, l’autore guida, infatti, con perizia e pazienza il dipanamento della trama, offrendo una lettura appassionante e appagante per lettori dall’occhio attento.

30 giorni per capire l’autismo

L’attenzione rivolta al tema della disabilità da parte dell’editoria per ragazzi è andata crescendo negli ultimi anni . Storie potenti e meravigliose hanno squarciato tabù, offerto rappresentazioni e allargato sguardi, andando di pari passo a libri di qualità decisamente più discutibile, in cui chiari intenti prescrittivi risultano camuffati da racconti deboli e posticci. Sono volumi in qualche modo sleali, questi ultimi, che pur assumendo una forma squisitamente narrativa, si prefiggono in realtà di spiegare la disabilità e di offrire, per quanto in buona fede, istruzioni e ammonimenti in merito. Ecco allora che anche e soprattutto rispetto a queste proposte, la serie 30 giorni per capire… di Uovonero porta una significativa ventata di novità. Perché qui non ci sono travestimenti o inganni, i libri intendono aiutare i ragazzi a conoscere l’autismo, i disturbi visivi o i disturbi dell’apprendimento e per farlo scelgono la forma che più è congeniale a uno scopo divulgativo: il manuale.

I libri di 30 giorni per capire… sono, infatti, tre manuali costruiti con grandissima intelligenza sulle esigenze dei ragazzi: chiarezza, ironia e praticità sono le loro parole chiave. Ogni volume sfida infatti i lettori a cimentarsi con una serie di challenge – dinamica, questa, molto presente nei contenuti video di cui i ragazzi sono avidi fruitori – con cui sperimentare alcuni aspetti peculiari del modo di stare al mondo di chi vive una certa condizione. Tutt’altro che tediose, le challenge sono molto creative e si rivelano particolarmente divertenti se condivise in un clima sereno con i pari. La serie in questione si presta, così, a dare i suoi migliori frutti se impiegata come strumento di azione e riflessione di gruppo: uno strumento decisamente accattivante e fuori dagli schemi consigliatissimo per le classi, per esempio. Target ideale: scuola media (ma i libri sono fruibili già dalla fine della scuola primaria), un ordine di scuola che tra l’altro è spesso bistrattato e all’interno del quale è talvolta difficile trovare delle proposte di attività davvero stimolanti.

Le challenge sono corredate da un breve approfondimento che collega l’esperienza fatta a una specifica caratteristica del disturbo trattato. In questo modo esse diventano un’occasione concreta per mettersi nei panni di qualcun altro e per capire il perché di alcuni comportamenti altrui che potrebbero altrimenti apparire strambi e indecifrabili. A chiudere ogni capitolo, l’invito a condividere sui social foto e video che attestino gli esiti delle singole challenge, con specifici hashtag: aspetto, questo, forse più critico, se si considera lo scarto tra l’età di riferimento dei volumi e l’età minima teoricamente richiesta per iscriversi ai social network più diffusi.

A rendere questo progetto davvero innovativo e meritevole ci sono tanti aspetti, di cui tre particolarmente significativi: la scelta di interloquire in maniera efficace con i reali destinatari dei volumi; la capacità di sposare un tono umoristico (mai forzato!) a un atteggiamento sempre rispettoso nei confronti di coloro che i diversi disturbi li vivono in prima persona; e l’attenzione a restituire la complessità di questi ultimi con una chiarezza estrema che non compromette, tuttavia, il rigore scientifico delle informazioni fornite. E qui viene davvero fuori tutta la solidità e la serietà di una realtà editoriale come quella di Uovonero, in cui competenze specifiche molto trasversali si integrano in maniera efficace e vincente.

 

Nel volume 30 giorni per capire l’autismo, in particolare, le challenge proposte mirano a focalizzare l’attenzione sulla peculiarità delle percezioni sensoriali, dell’uso della memoria, delle abilità motorie e sociali e del rapporto con le parole e con la comunicazione non verbale da parte delle persone autistiche. Grazie ad attività curiose ma facilmente realizzabili nella pratica, come l’adozione di una routine giornaliera casuale, il trasporto di una lattina con uno spaghetto o una caccia al tesoro misteriosa, il lettore viene messo nella condizione di capire che l’autismo comporta un diverso modo del cervello di funzionare e di conseguenza un diverso modo di stare al mondo. Mettendo inoltre in evidenza le sensazioni, in particolare di disagio, che il lettore presumibilmente sperimenta nel corso di alcune challenge, il volume ha la capacità per nulla scontata di dare un senso a taluni comportamenti tipici e spiazzanti delle persone autistiche e di sottolineare il ruolo che ciascuno di noi può giocare nella costruzione di contesti di vita più a misura di neurodivergenti. Zero moralismi e tanta pratica, insomma: chapeau!

Olle

Olle non è un cane come tutti gli altri: non solo perché agli occhi del suo padrone ha un nonsoché di speciale (cosa, in effetti, piuttosto frequente), ma anche e soprattutto perché pensa e parla proprio come un umano. Le sue riflessioni sono spiazzanti e ironiche. Il suo è un modo di guardare al mondo che invita ad assumere prospettive nuove, mettendo in conto per esempio che le paperelle di gomma possano avere sentimenti, che il vento si possa leggere al pari di un libro stampato e che per farsi obbedire sia meglio spiegare le richieste più che dare ordini. Ecco allora che ogni giorno accanto a Olle diventa un’occasione per lasciarsi stupire e interrogare, godendo di una quotidianità condivisa da assaporare in leggerezza.

Breve ma appassionante, Olle si compone di aneddoti gustosi e mai debordanti, nei quali la penna leggera e pensosa di Guus Juijer trova uno spazio ideale. Con gli occhi ora di Olle, ora del suo padrone, il libro racconta di un’amicizia che dura una vita intera e in cui il punto di vista a quattro zampe offre uno sguardo insolito sui piaceri e sui dolori della vita, umana o canina che sia. Lo fa con una prosa asciutta e scorrevole, in cui si mescolano riflessioni e minuscole avventure quotidiane: dall’assalto cortese al panettiere al tentativo di accoppiarsi con l’amata Dien, dalle giornate pigre in giardino al rifiuto di occuparsi di cose ridicole come il riporto di una ciabatta.

Misurato e piacevole da seguire, il racconto è inoltre reso particolarmente amichevole nell’aspetto tipografico, grazie ad alcuni accorgimenti ispirati all’alta leggibilità adottati da Camelozampa. Il libro non solo si compone infatti di capitoli brevi e abbordabili che non scoraggiano il lettore, ma non giustifica il testo e fa uso del font EasyReading.

Tra le sorprese che ci riserva infine Olle c’è anche l’incontro con un Thé Tjong-Khing decisamente insolito e piuttosto distante, nel tratto e nella composizione, dall’illustratore che abbiamo conosciuto per esempio negli albi brulicanti editi da Beisler come Tortintavola, Tortinfuga o Tortarté. Qui, in pieno accordo con lo stile di Guus Kuijer, il suo segno è più placido, quasi schizzato: un segno sorridente e un po’ malinconico che omaggia con garbo il legame intensissimo che può legare un umano e il suo animale domestico.

Canto di Natale

Neve? C’è. Camino acceso? Pure. Abete con palline e stella? Fatto. Perfetto, siamo pronti. Perché Natale possa davvero dirsi tale manca solo una cosa: il più classico dei Canti, quello che porta la firma di Charles Dickens e la fumosa atmosfera delle ottocentesche vie di Londra. Interpretato e declinato negli anni nelle forme più disparate, Canto di Natale è da poco uscito in una convincente versione da ascoltare, per iniziativa della casa editrice Locomoctavia. In formato mp3  su cd o scaricabile dal sito della casa editrice, con la suggestiva copertina di Pietro Nicolaucich, questo Canto di Natale è l’ideale per godersi a pieno il clima delle feste, avendo le mani libere per sorseggiare una tazza di tè!

Contraddistinto dalla consueta cura con cui Locomoctavia confeziona i suoi audiolibri, Canto di Natale vede l’interpretazione di un bravissimo Daniele Fior, capace di valorizzare la musicalità del testo di Dickens e di restituire la trasformazione del vecchio Scrooge, colto in tutte le sfumature d’animo, dal risentimento più arido alla generosità più calorosa. La voce avvolgente e mai eccessiva dell’attore sono una coccola calda per dare il benvenuto all’inverno e godersi per tre ore buone il tepore della casa in festa. A completare una narrazione già di per sé ammaliante e piacevolissima da ascoltare – preziosa per chi sperimenti difficoltà di lettura come per chi semplicemente voglia ritrovare la magia del racconto orale – non va poi scordato l’accompagnamento musicale dei Gueppecartò.

Il gruppo perugino arricchisce infatti il testo (interpretato in versione integrale) con note discrete e coinvolgenti, che sottolineano a puntino l’atmosfera del racconto e il cambio di spirito del protagonista. Assolutamente azzeccata, in questo senso, la scelta di associare ogni strofa a un diverso strumento musicale: l’effetto è infatti quello di una traccia, ora inquieta ora dolce, che accompagna le capriole emotive dell’anziano banchiere e del lettore che con lui partecipa al miracolo di Natale.

Io parlo come un fiume

La poesia sa sorprendere e spiazzare, vestendo talvolta abiti insoliti e abitando case che di rado la vedono ospite. Così accade, per esempio, in Io parlo come un fiume, intenso albo a firma di Jordan Scott e Sydney Smith di recente pubblicato da Orecchio Acerbo. Qui, la scrittura intensa, cadenzata e capace di cantare l’inquieto convivere del giovane protagonista con la sua balbuzie, assume infatti la forma di una profonda melodia che prende dimora tra le pagine illustrate, ora tesissima ora lenta. La sua è una musicalità che attende discreta e che chiede di esser letta ad alta voce per spigionarsi a pieno.

È il miracolo delle parole, fatte sì di senso ma anche di suoni: proprio quelli che il giovane protagonista del libro fatica a pronunciare fluidamente, attirando gli scherni dei compagni e accumulando giorno dopo giorno vergogna e tormento. Ma proprio come possono causare ferite difficili da vedere e da dire, le parole sanno anche e soprattutto essere il balsamo che le lenisce: così, le parole di un papà attento e accogliente non trasformano la realtà ma possono certo offrire un modo diverso di osservarla in un’ottica di cura, intesa come riguardo più che come rimedio. Quel papà, taciturno ma capace di guardare con attenzione suo figlio e di vedere ciò che gli altri non scorgono – il pino che mette radici nella sua bocca, la cornacchia che si attacca al fondo della sua gola o la luna che gli spolvera le labbra con un incantesimo – riesce a trovare per lui le poche parole che servono.

Mio padre dice che parlo come un fiume, afferma il protagonista in una doppia pagina centrale che mozza letteralmente il fiato del lettore. Sotto un primissimo piano del ragazzo assorto, questa si sdoppia e si apre in quattro facciate, mostrandolo intento a immergersi tra acque placide e scintillanti. Si avverte una grande pace e insieme un forte coraggio di fronte a questa immagine. È un punto di autentica svolta. Riconoscersi balbettante come il fiume da lui tanto amato, è per il ragazzo l’occasione di ripensarsi diversamente e di accogliere difficoltà e irregolarità nel parlare come un modo del tutto naturale di stare al mondo. Cosa c’è di più naturale, in effetti, dell’acqua, di un fiume che scorre ora placido ora tumultuoso, vorticoso, gorgogliante, dirompente?

A far risuonare queste parole in tutta la loro potenza, dando un respiro poetico altissimo alla storia, sono le illustrazioni di Sydney Smith, illustratore che come pochi altri sa dare voce ai silenzi che dimorano tra le righe. I suoi acquerelli che giocano puntualissimi con primi piani e campi larghi, contrasti e trasparenze, immagini nette e dissolvenze fanno salire in superficie, proprio come la poesia, ciò che altrimenti resterebbe sommerso. Sono tavole commuoventi, le sue, in cui il confine tra il dentro e il fuori si fa cosa labile e indefinita.

Ed è così che la storia del protagonista arriva al lettore come un pizzicotto e una carezza, entrambi verissimi. Non solo e non tanto perché di storia reale si tratta – l’autore racconta infatti quella che è stata la sua esperienza di ragazzo balbuziente – ma perché in essa la complessità dei sentimenti e delle relazioni si fa palpabile e condivisibile. L’affanno della diversità, l’abbraccio della natura, la forza delle parole, la cura dello sguardo travalicano infatti il tema particolare della balbuzie per accogliere smarrimenti diversi e far sentire a chiunque un poco propria questa storia di identità e rappresentazione. Lungi dall’offrire una mera pillola di illuminazione e di conforto per chi nel disturbo del protagonista si identifica in maniera specifica, Io parlo come un fiume si presenta come luogo potenziale di ristoro e scossa per qualunque lettore e come tale merita di essere raccontato, letto, condiviso e promosso.

Barban, fate, tritoni e altri esseri fantastici della Liguria

Dell’editore Telos abbiamo già avuto modo di apprezzare la scelta di proporre al lettore testi ricercati ma di grande accessibilità e strumenti di lettura estremamente ben studiati, come nel caso dei libri cartacei e digitali Il mago Tre-Pi e L’archeologo delle parole. Con la nuova collana 147 Mostro che parla!, curata da Teresa Porcella e affidata nei testi e nelle illustrazioni ad autori sempre diversi, l’editore molisano conferma questa sua predisposizione alla cura per la qualità e la fruibilità dei suoi volumi.

I libri che compongono la collana si caratterizzano per una grafica accattivante, per l’unione di componenti narrative e divulgative, per la combinazione di testo cartaceo e audiolibro e per scelte tipografiche ad alta leggibilità concernenti non solo il font (EasyReading) e l’impaginazione ma anche l’adozione di colori diversi per identificare ed evidenziare i diversi tipi di parole chiave (nomi, verbi, aggettivi).

Dedicato ad una diversa regione, ogni volume rimpasta materiale folkloristico legato alla presenza di creature fantastiche come mostri, folletti e fate, inserendolo all’interno di cornici narrative moderne e attuali. Nascono così racconti brevi e godibili con personaggi e ambientazioni ben calati nel presente che interagiscono con creature e racconti senza tempo.

Così accade, per esempio, che due bambine perdano il sentiero proprio a causa del folletto Sciverto, che Mirta dissemini gusci di noce qua e là nella speranza che una fata ne scelga uno per dondolarsi in aria o che un Barban si decida a scrivere una lettera ai bambini che lo temono per metterli a parte delle vere e false voci che circolano sul suo conto. Protagoniste del volume dedicato alla Liguria, scritto da Anselmo Roveda e illustrato da Giulia Pastorino, queste creature ritrovano così nuova vitalità e invitano il lettore a riscoprire tradizioni e radici.

Storie di Querciantica

Benvenuti a Querciantica, un bosco affascinante in cui non mancano creature di ogni specie, emozioni in cui rispecchiarsi e avventure piccole e grandi. Qui abitano animali che, giorno dopo giorno, si scoprono protagonisti di nuovi incontri, misteri, salvataggi e profezie. All’ombra accogliente di questi alberi hanno luogo vicende selvatiche che dicono tanto anche della natura dell’uomo, invitandolo a confrontarsi con alcuni valori importanti come l’amicizia, il coraggio e la lealtà. Questo accade, per esempio, quando il procione Pascal compare per la prima volta nel bosco e deve conquistarsi la fiducia dei suoi abitanti; quando il saggio barbagianni Cuorebianco lascia la foresta per cercare una compagna o quando la curiosa volpe Amelia corre un brutto pericolo per inseguire il suo sogno di volare.

Con il volume scritto da Francesca Casadio Montanari e illustrato da Marina Cremonini, la produzione in simboli di Homeless Book fa un balzo enorme in termini di qualità e appeal. Complice anche la copertina rigida e il grande formato che dà ampio spazio a testo e illustrazioni, Storie di Querciantica presenta un racconto illustrato delicato e come sospeso nel tempo, in cui le piacevoli figure ad acquerello animano sulla pagina vicende semplici ma coinvolgenti e ricche di personaggi a cui affezionarsi.  Non solo: la scelta di prediligere un ampio formato e una grafica pulitissima fa sì che il racconto in simboli appaia chiaro sulla pagina, nonostante non sia affatto scarno. Ne risulta così una lettura piacevole e agevolmente fruibile, anche grazie alla distribuzione dei simboli che asseconda a pieno la struttura della frase.

Una bottiglia nell’oceano

Sulle montagne venete di inizio ‘900 la vita dell’undicenne Emilio è dura, a tratti durissima. Nelle sue giornate, che pur non mancano di svaghi tra coetanei e giochi da scavezzacollo tra boschi e contrade, si avverte forte il peso della miseria, di un padre partito per l’America in cerca di fortuna, di un inverno che sembra non finire mai e di una scuola che riserva trattamenti diversi in base alla classe sociale di appartenenza. Emilio è un tipo tosto, però. Presi molto seriamente gli insegnamenti del padre e il ruolo di “uomo di casa” che questi gli affida alla partenza, l’undicenne non china il capo di fronte alle ingiustizie e si danna per trovare un modo di aiutare sua mamma e i suoi tre fratelli a sopravvivere. La sua è una ricerca costante di equilibrio tra lo spirito indomito del ragazzo e la responsabilità dell’uomo in formazione: una ricerca che lo porta a farsi molte domande, a cercare scampoli di speranza nelle sparute lettere che arrivano dal padre e a battersi senza risparmiarsi per un sacco di patate o un po’ di dignità. Fino a che dall’America arriva una lettera che preannuncia per lui e per il resto della famiglia la possibilità di raggiungere il padre. Il tempo dei saluti agli amici di sempre e a chi oltre alle montagne non vedrà probabilmente mai nulla, ed Emilio si imbarca su piroscafo diretto a New York: una nuova tappa, anch’essa non priva di incontri e imprevisti emozionanti, nel suo cammino per costruirsi un futuro senza subirlo soltanto.

Fresco vincitore del Premio Bancarellino, il libro di Cinzia Capitanio ha tutto ciò che serve per catturare il lettore: personaggi ben marcati, emozioni in cui specchiarsi, una storia di formazione incisiva. A tutto questo si aggiunge il merito di raccontare in maniera molto scorrevole e accattivante una parte di storia del nostro paese, cruciale ed eppure spesso trascurata a scuola, come quella dell’emigrazione di inizio secolo. Ultimo, ma non per importanza: Una bottiglia nell’oceano, così come tutti i titoli della bella collana Il parco delle storie, vanta caratteristiche tipografiche di alta leggibilità – dall’uso del font EasyReading su carta color crema alla spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe, dalla sbandieratura a destra all’assenza di sillabazione – che ne favoriscono l’accesso anche a ragazzi con difficoltà di lettura legate alla dislessia.

Tonja Valdiluce

L’autrice norvegese Maria Parr ha un talento eccezionale nel creare personaggi (soprattutto femminili) dalla carica inesauribile, dallo schietto spirito libertario e dalla vitalità prorompente. Indomiti e mai immobili, nelle gambe e nel pensiero, questi abitano spesso luoghi immersi in paesaggi naturali che hanno un ruolo tutt’altro che marginale nelle loro dinamicissime avventure. Tipi irresistibili come Lena o Tonja sono le protagoniste di storie che turbinano a lungo e nel profondo di chi legge

Dieci anni quasi compiuti, Tonja vive in Valdiluce da quando è nata. I monti innevati fino a Pasqua, il villaggio a misura d’uomo e i sentieri d’acqua e terra fanno da cornice alle sue giornate in cui difficilmente mancano salti acrobatici con gli sci ed esplorazioni scatenate. Certo non si può dire che le sue occupazioni non generino un gioioso baccano, con buona pace di Klaus Hagen e del suo campeggio salutista child-free da cui vorrebbe tenere Tonja alla larga. In Valdiluce, Tonja è felice. Qui conosce tutti ma ha un rapporto speciale con il suo padrino Gunnvald: gigante buono, solitario e taciturno che condivide con lei l’amore per la montagna, per la cioccolata calda fatta con vere tavolette e per gli slittini che vanno velocissimi. Con Gunnvald, Tonja trascorre giornate intere, chiacchiere e silenzi, suonate di violino e storie. “Come faresti senza di me?”, gli chiede spessissimo, con una formula scherzosa che sfiora la verità più di quel che si potrebbe credere. Non a caso, quando a casa di Gunnvald piomba un donnone di nome Heidi che dice di essere sua figlia e minaccia di vendere la sua amata fattoria, Tonja si adopera senza risparmiarsi per evitarlo. I folli piani di sabotaggio che mette in piedi insieme al suo amico Ole danno certo una scossa alla situazione, ma sono soprattutto la sua cocciuta testardaggine, il suo innato senso della giustizia e la sua sincera capacità di parlare al cuore delle persone a rispolverare sentimenti sepolti e permettere finalmente a rapporti interrotti di riallacciarsi.

Irresistibile e incontenibile, Tonja detta il bolide della Valdiluce non lascia scampo e lascia il segno. La sua storia arriva dritta senza freni e si fa leggere con gusto. Avvolgente come una coperta calda, ha il potere magico di far risuonare sentimenti profondi senza stare a dare tante spiegazioni. Che poi è quello che fa la buona letteratura! Da leggere e rileggere senza stancare, Tonja Valdiluce è fortunatamente uno dei titoli che Beisler ha inserito nel suo progetto leggieascolta, rendendolo accessibile anche a chi non ama o fatica a seguire la storia sulla pagina. Grazie alla curata app leggieascolta, scaricabile gratuitamente per Android e Ios, la storia di Tonja, Gunnvald e tutti gli abitanti e avventori della Valdiluce può essere ascoltata con grande comodità semplicemente inquadrando il QR code che compare all’interno del libro. Intuitiva e funzionale, l’app consente di muoversi agilmente tra i capitoli del libro, sfruttando funzioni utili come la regolazione della velocità di lettura e i segnalibri.

I misteri di Mercurio. La tempesta

C’è un quadro di Giorgione intitolato La tempesta che da sempre solletica studiosi e appassionati d’arte per il suo soggetto misterioso. Dopo anni di ipotesi e dibattiti, la giusta chiave interpretativa sembrerebbe venire finalmente a galla: merito di Nina, Lorenzo e Jamal e del loro incredibile viaggio nel tempo. Reclutati da uno strano individuo di nome Mercurio che assume all’occorrenza le sembianze di un corvo, i tre ragazzi si trovano catapultati in pieno Rinascimento, proprio nella terra di Giorgione. Qui toccherà loro risolvere una serie di enigmi che li porteranno a svelare una volta per tutte i segreti custoditi dal celebre quadro. La ricerca di un preciso punto di verde, la presenza di un soldato sul lato sinistro del quadro, la scelta di un’atmosfera temporalesca con tanto di folgore che squarcia il cielo e infine la collocazione di un uccello sull’angolo del tetto: come pezzi di un intricatissimo puzzle, tutti questi elementi trovano infine un senso e una spiegazione, gli stessi che consentiranno finalmente ai tre giovani viaggiatori di fare ritorno a casa.

Avvincente e intrigante, La tempesta ha il pregio di rendere la storia e più precisamente la storia dell’arte qualcosa di vivo e appassionante. La felice contaminazione tra passato e presente, la scelta di personaggi ben riusciti, la composizione di dialoghi accattivanti e ironici, e la costruzione di un trama enigmatica intorno a un capolavoro della pittura catapulta davvero il lettore tra i costumi, le pratiche e la cultura del 1400-1500, senza però far sì che questo aspetto offuschi il piacere di un romanzo autentico, tutto da divorare.

La tempesta è il primo di una serie di volumi che compongono una collana molto intrigante intitolata I misteri di Mercurio. Progettata in casa Book on a tree e trasformata in realtà dalla casa editrice Emons, la collana unisce le voci di alcuni dei più noti e talentuosi autori italiani  per ragazzi – Pierdomenico Baccalario, Daniele Nicastro, Manlio Castagna, Giada Pavesi e Davide Morosinotto – accompagnate dalle illustrazioni di Kalina Muhova. La tempesta, così come i volumi successivi, inaugura un nuovo progetto di Emons – la collana Emons:raga – incentrato sull’integrazione tra libro cartaceo e audiolibro.

La collana Emonsraga

Specializzato nella pubblicazione di audiolibri di qualità, Emons propone da alcuni anni anche un’interessante selezione di libri per bambini e ragazzi su CD o in formato MP3. Si va da Gianni Rodari a Bianca Pitzorno, dai classici come Il libro della giungla ai bestseller più recenti come Il diario di una schiappa, tutti interpretati da attori d’esperienza.

Dall’autunno del 2020, l’offerta per i più giovani si è arricchita di una nuova collana, caratterizzata dall’unione di libro cartaceo e audiolibro, quest’ultimo fruibile tramite scansione di un QR code, posto all’interno del libro. Attraverso il medesimo sistema vengono inoltre offerti al lettore alcuni contenuti extra come curiosità e dettagli sulla storia dell’opera che è al centro del racconto, sul pittore che l’ha dipinta o sul periodo storico in cui questi ha lavorato. Interessantissima e innovativa per come è stata concepita, la collana vanta un’integrazione particolarmente felice tra supporti diversi a cui il lettore può ricorrere secondo le sue preferenze e necessità. La presenza della registrazione, peraltro molto piacevole da ascoltare, offre infatti una preziosa possibilità di lettura e approfondimento, tanto per chi presenta difficoltà legate al testo scritto, quanto per chi legge fluidamente. Il risultato è un libro multiforme di grande appeal che non solo abbatte un grosso ostacolo all’accesso alla cultura per molti bambini e ragazzi con disabilità o dislessia, ma lo fa puntando su un prodotto accattivante per tutti e dunque per nulla ghettizzante.

Odissea. I classici facili

Curata da Carlo Scataglini e illustrata da Flavia Sorrentino, la versione de l’Odissea proposta da Erickson all’interno della collana I classici facili rappresenta un compromesso interessante tra accessibilità e apertura a generi e testi complessi. Proposto senza sacrificare alcun episodio saliente del capolavoro di Omero, quest’Odissea opta per un testo in prosa di agevole approccio. Le illustrazioni, frequentissime e importanti per sostenere la lettura, richiamano nelle linee il gusto artistico ellenico, contribuendo a far immergere il lettore nell’atmosfera unica del capolavoro di Omero.

 

I classici facili

Quella dei Classici facili, curata da Carlo Scataglini, è una delle collane editoriali che più considera l’accessibilità una questione prioritaria. Lo fa mettendo in campo strumenti e accorgimenti diversi, che concernono il testo, le illustrazioni, il loro rapporto e le loro modalità di fruizione.

La peculiarità principale dei titoli che ne fanno parte consiste in una semplificazione sintattica e lessicale del testo. Ispirate ai principi della scrittura Easy-to-Read, le frasi risultano infatti brevi, dalla struttura preferibilmente lineare, e perlopiù composte da coordinate o al massimo da una subordinata. Le parole che le compongono sono selezionate in modo da essere facilmente comprensibili e, laddove risultino più ostiche o comunque meno comuni, vengono evidenziate e spiegate alla fine del capitolo. In questo modo l’autore aggira in maniera piuttosto efficace il pericolo di un appiattimento lessicale che limiterebbe fortemente il diritto all’arricchimento e alla complessità di cui anche i bambini con maggiori difficoltà sono detentori. In questa stessa direzione va inoltre la scelta, nel caso di classici dell’epica come per l’appunto l’Odissea, di selezionare alcuni versi particolarmente significativi e restituirli al lettore nella loro integrità, accompagnati da una puntuale perifrasi e spiegazione. In questo modo non solo si mantiene un legame diretto con il testo originale ma se ne incentiva la scoperta, supportandola solidamente con un preliminare approccio alle vicende in una forma più abbordabile.

A seconda delle reali possibilità del bambino, I classici facili possono così rappresentare un punto di arrivo ma anche un punto di partenza nella scoperta di grandi capolavori letterari. In entrambi i casi, a sostegno della lettura e del suo apprezzamento, vengono tre ulteriori elementi di spicco: in primo luogo la scelta di presentare capitoli brevi e puntualmente accompagnati dalle illustrazioni; in secondo luogo la presenza di un’anticipazione illustrata dei personaggi che il lettore incontrerà, posta in apertura di libro e di due righe di riassunto di ogni capitolo, poste all’inizio di quest’ultimo; e infine la disponibilità a rendere fruibile il testo anche tramite audiolibro. Ogni capitolo può essere infatti ascoltato in formato audio, grazie alla scansione del QRcode o all’inserimento di un codice fornito in apertura sul sito della casa editrice.

Cuori di waffel

Quando un libro inizia con due bambini che costruiscono una precaria funicolare tra le rispettive finestre si può star certi che la lettura riserverà sorprese memorabili: Cuori di waffel ne è la dimostrazione lampante! Tra le sue pagine, la scatenata Lena e il timido Trille si lanciano ogni giorno in imprese stravaganti e azzardate, secondo una ferrea logica che segue i binari dell’immaginazione  ben più che quelli della sicurezza. L’estate dei due bambini, nelle cui vene scorre inconfondibile sangue nordico, procede così a gran ritmo tra una festa di mezza estate sommersa dal letame, il tentativo di far salire un sacco di animali su una moderna arca di Noé e il salvataggio di una vecchia giumenta a bordo di un traghetto. A star dietro a Lena e Trille servono polmoni buoni e nervi saldi perché le corse nel cassone di una motocicletta, le discese ripidissime in bob, i giri in elisoccorso e gli schianti in canotto sono all’ordine del giorno. Qualche commozione cerebrale (per loro) e tanta commozione e basta (per il lettore) vanno così di pari passo, in un romanzo che fa lo slalom tra guai divertentissimi ed emozioni profonde.

Già vincitore di numerosi premi, tra cui l’Andersen nel 2015, il libro di Maria Parr è un concentrato irresistibile di avventure a rompicollo e di personaggi cui affezionarsi in un istante. Pieni di vita e tratteggiati con cura, questi si muovono tra i fiordi della baia e della vita con una naturalezza e un’autenticità palpabili. E se l’inarrestabile Lena è al centro di ogni scena con un’energia che di rado lascia cose, personaggi e lettore incolumi, il vero e insospettabile eroe è forse il giovane Trille, che accoglie paziente l’irruenza e le  follie di Lena, dando voce a emozioni che entrambi provano ma che l’amica non sa esprimere che con l’irrequietezza.  Con il suo carico di sensibilità sincera, Trille cementa profondamente l’amicizia con Lena, apre a domande importanti e – non ultimo – restituisce una rappresentazione bellissima e fuori dagli stereotipi di un’infanzia al maschile.  In quell’estate unica che vede protagonisti i due bambini, trovano posto cose piccole e grandi, comprese quelle scomode come la morte, la genitorialità imperfetta o gli addii. Queste ultime, proprio come le gioie che costellano le giornate più luminose a Martinfranta, figurano tra le pagine di Cuori di Waffel con impeccabile leggerezza, finendo così per bussare all’immaginario del lettore senza gravosa invadenza.

Imperdibile per lettori dagli 8-9 anni, Cuori di Waffel è reso disponibile dall’editore Beisler anche in formato audio così che anche chi non ama o fatica a seguire la storia sulla pagina possa godersi le avventure di Lena e Trille. Grazie alla curata app leggieascolta, scaricabile gratuitamente per Android e Ios, il romanzo può essere ascoltato semplicemente inquadrando il QR code che compare sul risguardo di copertina. Intuitiva e funzionale, l’app consente di muoversi agilmente tra i capitoli del libro, sfruttando funzioni utili come la regolazione della velocità di lettura e i segnalibri.

Emme come. Il meraviglioso mondo di MAssimo

È dura esser bambini, quando gli adulti non sembrano voler fare la loro parte! Almeno, questa è l’esperienza dell’undicenne Massimo, le cui giornate sono un continuo confrontarsi con due genitori che litigano e lo mettono in mezzo senza troppe remore, con una scuola che non sempre valorizza i talenti degli alunni e con un carattere che non facilita la nascita di nuove amicizie. Timido, sensibile e curioso, Massimo cresce nel pieno degli anni ’80, chiedendosi senza posa come fare a essere felice. Presto fatto: non trovando supporto nei grandi, Massimo elabora una sua personalissima strategia di sopravvivenza e riscatto. Autoproclamandosi Illustre Imperatore dell’Universo, una carica che gli consente di scrivere una costituzione tutta sua, Massimo può infatti costruirsi una realtà in cui i desideri si avverano per decreto, le nonne non scordano di preparare torte, le emozioni possono manifestarsi senza timore e la fantasia è riconosciuta come valore. In questo modo, le relazioni che Massimo coltiva – con i familiari, con gli amici vecchi e nuovi, con i professori o con gli adulti del catechismo – prendono pian piano una piega nuova, più autentica e vitale.

Emme come. Il meraviglioso mondo di Massimo è uno dei primi titoli proposti a catalogo da Read Red Road, libreria romana che dal 2018 è diventata anche casa editrice. In virtù di una particolare attenzione alla questione dell’accessibilità, il volume è pubblicato con alcune caratteristiche di alta leggibilità, come il font EasyReading e una spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe. Ulteriori vantaggi in termini di agio nella lettura potrebbero venire, sempre a livello tipografico, dal ricorso a un testo non giustificato e da una più marcata separazione tra paragrafi. D’altra parte, da un punto di vista sintattico, il testo si compone di frasi perlopiù brevi, paratattiche o con una sola subordinata, risultando così di più semplice lettura anche da parte di bambini con dislessia.

Il mago di Oz

Con i suoi audiolibri ad alto tasso di grazia, Locomoctavia ci ha abituati ad esperienze di ascolto davvero straordinarie. Da Pinocchio ad Alice, da Gianburrasca ad Augusta Snorifass, con la voce calda e versatile di Daniele Fior diversi classici della letteratura per l’infanzia (ma anche qualche chicca meno nota, come Il drago di K e altre fiabe polacche) hanno trovato una nuova rispettosa veste, oltre che una via piacevolissima per arrivare a chi fatica a confrontarsi con la pagina scritta. Se possibile, però, Il mago di Oz – l’ultimo titolo aggiunto a catalogo dalla piccola casa editrice udinese – stupisce ancor di più dei precedenti, per il curato e curioso percorso attraverso il quale è stato confezionato.

Rilasciata alla fine del 2020, questa versione tutta da ascoltare del libro di L. Frank Baum coinvolge un numero consistente di attori (ben 16!), la più piccola dei quali aveva all’epoca della registrazione solo 5 anni. Le voci registrate sono tutte ben cucite sulle rispettive parti e risultano molto variegate: aspetto, questo, non trascurabile sia dal punto di vista della gradevolezza dell’ascolto, sia da quello della fruibilità, soprattutto per chi fatica a seguire e a orientarsi in mezzo a storie molto articolate. Capaci di rendere con puntualità la moltitudine e l’assortimento di personaggi che contraddistingue il viaggio verso e dalla Città di Smeraldo, le diverse interpretazioni sono accompagnate da sottofondi sonori suggestivi, catturati durante un viaggio lungo lo Stivale.

Al gusto di una storia ricchissima, proposta come sempre in versione integrale, si aggiunge quindi il fascino di una narrazione che sfrutta minimi intramezzi musicali e che trasforma i suoni della natura e della città in puntelli acustici all’immaginazione del lettore. L’abbaiare di un vero cane che dà voce a Toto, il cinguettio degli uccellini che spesso cantano lungo il percorso di Dorothy, le campane che suonano in lontananza mentre il pallone del mago si solleva in volo: la minuzia con cui queste tracce ambientali vengono raccolte e inserite nel racconto contribuisce a fare di quest’ultimo un’immersione profonda nel meraviglioso regno di Oz.

Disponibile sia su Cd (13 €) sia in versione scaricabile (7,99 €), Il mago di Oz è inoltre fruibile come gli altri titoli Locomoctavia, tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store. Estremamente interessante in termini di accessibilità, l’app sfrutta un particolare sistema di scroll (già attivo per i titoli precedenti e presto disponibile anche per Il mago di Oz) che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Il bambino che faceva le fusa

Gatta curiosa e intraprendente, Pepe vive in una palazzina di città con i suoi due padroni (Mamma e Papi) e il loro bambino (Tato). Sui tetti, in cortile e dalla sua finestra al secondo piano, interagisce con diversi vicini a due e quattro zampe – l’odioso cane Crostino e il furbo piccione Nerone,  per esempio – e osserva molte cose con occhio attento. È lei, non a caso, la prima ad accorgersi che da pochi mesi al quarto piano abitano una donna e un bambino. Nessuno a parte lei, sembra averlo notato: la donna si vede poco e il bambino è sempre chiuso in casa. La faccenda ha un che di misterioso e il bambino un che di affascinante, così Pepe si convince ad andare in esplorazione per saperne di più. Le sue spedizioni al quarto piano gli rendono chiaro che il bambino ha un modo tutto suo di comunicare: un modo che gli altri umani spesso travisano o non colgono per nulla, costringendolo di fatto a una vita solitaria e reclusa. Pepe, che invece sembra riconoscerne facilmente intenzioni e sentimenti, mette  in atto un ingegnoso piano per consentire al bambino, da lei soprannominato No, a uscire e socializzare. Saranno necessari molti alleati, molta pazienza e molta inventiva ma alla fine il piano di Pepe si rivela efficace e l’intero condominio si ritrova coinvolto in una missione ad alto contenuto di fusa!

Gabriele Clima, che già con Roby che sa volare e con Il sole fra le dita  aveva felicemente e coraggiosamente portato la disabilità tra le pagine destinate ai bambini e ai ragazzi, trova anche qui un espediente interessante per raccontare l’autismo ai più piccoli senza trasformare la storia in un piccolo trattato didascalico. Facendo leva sull’idea che trovare la giusta chiave di comunicazione possa fare la differenza nel costruire relazioni autentiche e possibilità di incontro tra persone neurotipiche e persone neurodivergenti, l’autore racconta una storia ispirate a persone realissime (la sua famiglia e i suoi vicini di casa!) a cui il gatto Pepe aggiunge un tocco fantastico e un punto di vista originale.

Il bambino che faceva le fusa si distingue per un’attenzione particolare all’inclusione non solo da punto di vista contenutistico ma anche da quello formale: il libro è infatti stampato con caratteristiche di alta leggibilità quali il font leggimi, la spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi,  la sbandieratura a destra e l’assenza di sillabazioni, ed è fruibile con le medesime caratteristiche anche in formato ebook (costo: 2,99 euro). Come il libro in questione, diversi altri titoli della collana Il battello a vapore di Piemme, in tutte le sue serie – bianco, azzurro, arancio e rosso – presentano gli stessi accorgimenti tipografici, resi riconoscibili fin dalla copertina grazie al bollino “alta leggibilità”.

Dove c’era un prato

Una porzione di campagna – un laghetto, un pugno di case, prati e coltivazioni, alberi antichi e sentieri sterrati – può nascondere molto più di quel che si vede e di quel che ci si aspetta. Nello spazio di uno sguardo c’è il lavoro dei campi, lo svago all’aria aperta, la natura che esplode in tutta la sua bellezza. Ci sono i tempi lenti, la dimensione umana e le giornate lunghe. Jörg Müller parte proprio da qui, da questo brulicare di attività, movimenti e relazioni, per raccontare la sua storia. Lo fa con un’istantanea a campo largo, che immortala un luogo e un tempo precisissimi: siamo nella primavera degli anni ‘50 e il verde puntinato di fiori la fa da padrone. Lo stesso scenario compare anche nelle pagine seguenti ma via via che il libro avanza il paesaggio si trasforma. Non sono solo le stagioni a mutare le vesti del territorio. È l’impatto dell’uomo a fare davvero la differenza. Di pagina in pagina, infatti, i prati e i boschi iniziano a sparire, le case assumono nuove forme, la presenza umana è relegata all’interno degli edifici e il grigio si fa dominante. Così, in una carrellata tristemente verosimile, l’autore racconta vent’anni di cambiamenti ambientali, interrogando silenziosamente il lettore sui vantaggi e sugli svantaggi che questi portano con sé. Del tutto privo di parole, Dove c’era un prato mette, insomma, il lettore di fronte a una successione di fatti, senza aggiungervi commenti di sorta, ma lasciando piuttosto che siano le immagini a fare leva, con la loro potenza, sullo spirito critico di chi le osserva e mette in successione.

Dove c’era un prato fa la sua prima comparsa in Italia con la Emme di Rosellina Archinto, praticamente negli stessi anni in cui Adriano Celentano cantava che là dove c’era l’erba ora c’è una città. Contemporanei e attenti alle medesime trasformazioni paesaggistiche, Il ragazzo della via Gluck e Dove c’era un prato condividono uno sguardo malinconico e inquieto su un’urbanizzazione selvaggia che metro dopo metro finisce per mangiarsi non solo il verde ma tutto ciò che questo rappresenta: attività lavorative e ricreative, relazioni, orizzonti. Libro dalle tante vite, Dove c’era un prato torna ora sugli scaffali per iniziativa di Lazy dog. Nei quasi cinquant’anni che separano quest’edizione dalla prima, l’esperienza del paesaggio e delle sue trasformazioni fatta dal lettore è senz’altro cambiata. Difficile è, infatti, che oggi un bambino assista a un cambiamento radicale come quello raccontato nel libro ma questo non ne riduce il fascino e la portata attuale. Il libro diventa anzi l’occasione per guardarsi intorno, con uno sguardo al passato e uno al futuro, offrendo spunti interessanti anche per costruire percorsi didattici stimolanti e fuori dal comune, oltre che ampiamente accessibili a tutte quelle categorie di lettori che tendono a fare a pugni con il testo scritto.

La scuola è di tutti. Le avventure di una classe straordinariamente normale

Olmo fa terza elementare e la sua classe, come spesso accade, è una sorta di mondo in miniatura. Qui ci sono, infatti, bambini di ogni tipo: con origini diverse, culture diverse, abilità diverse, talenti e punti deboli diversi. Nella classe di Olmo, però, c’è anche una maestra con la M maiuscola che sa come far sì che quelle diversità suonino in maniera armoniosa, che dalla loro unione nasca qualcosa di positivo. E così ogni giorno, nella classe di Olmo, episodi ed esperienze apparentemente insignificanti diventano occasione per capire qualcosa di più del mondo al di fuori della scuola, per avvicinarsi agli altri con curiosità e per trasformare tanti io in un noi che affronta con più forza le difficoltà. Come quando in classe iniziano a sparire delle cose – caramelle, cartucce e persino libri -, quando Ravi scappa per i corridoi ripetendo meccanicamente le diciture dei cartelli antincendio, o quando Noah viene preso di mira dai bulli. In questa cornice, affiancato da amici fidati come la tostissima Gea, Olmo si pone domande serissime e condivide problemi apparentemente insormontabili, perché, come giustamente dice a un certo punto: nella vita di un bambino ci sono problemi enormi. In questa cornice, Olmo impara a riconoscere il valore degli altri ma anche il suo, venendo infine a patti con il suo fisico mingherlino e la sua odiata ipermetropia.

Come una ripresa in diretta di un anno scolastico, La scuola è di tutti si presenta come un racconto lungo che pullula di voci ed esperienze, che mette insieme cose piccolissime e questioni grandi, che parla di individui ma anche di società. Attraverso un modo attivo, coinvolgente e innovativo di fare lezione, la maestra di Olmo mette infatti i suoi bambini nella condizione di incontrare interrogativi importanti e di cercare con spirito critico e civico le risposte più giuste. È così che, per esempio, l’insegnante di sostegno viene presentata e vista come l’insegnante che sostiene l’intero gruppo classe e che, tra le altre presenze, quella di un bambino autistico come Ravi viene accolta con le sue esigenze senza concessioni compassionevoli. Anche in questo modo di raccontare la scuola si avverte la lunga esperienza scolastica dell’autrice Cinzia Pennati e il suo pluriennale impegno nello sperimentare una modalità di insegnare più inclusivo e rispettoso delle potenzialità e delle esigenze dei bambini.

Veglia su di me

Ci sono voci, come quella di Matteo Corradini, che sono un’autentica carezza. Nei suoi libri, le parole scelte con cura e le vicende profondamente umane, sanno come risuonare a lungo nel lettore. Veglia su di me, che del suonare e del risuonare fa elementi particolarmente significativi, non fa eccezione.

Protagonista del racconto è Dora, ragazzina cresciuta tra le note, contagiata nell’amore per la musica dai suoi genitori: l’uno pianista e l’altra cantante. Come una sorta di lessico famigliare, certe canzoni accompagnano la sua quotidianità e i momenti speciali di una esistenza senza troppi fronzoli e per molti versi originale. Basti pensare a quella volta in cui Dora accettò per denaro di fingersi pazza, per far sì che la sua classe fosse meno numerosa e ricevesse, quindi, un’istruzione migliore. Dora è felice della sua vita e della famiglia che le è toccata in sorte, anche se la mamma da qualche tempo è lontana, impegnata in un tour importante. Il papà, dal canto suo, si occupa di lei con grande dedizione, nonostante il lavoro al locale jazz che lo tiene impegnato fino a tardi. Ognuno a suo modo, i genitori di Dora crescono in lei un felice immaginario legato alla musica. Grande, grandissima è dunque la sua delusione  quando per caso scopre la verità sul mestiere del padre e sul motivo di assenza della madre: due non detti troppo ingombranti per la  ragazzina, che suonano stonatissimi e che la gettano in uno smisurato sconforto. Saranno l’amicizia e la saggezza del signor Vladimiro, vicino di casa noto a tutti come formidabile pianista, a permettere a Dora di guardare le cose dalla giusta prospettiva e di mettere in piedi un piano tenero e coraggioso per ricomporre una volta per tutte i pezzi della sua vita.

Delicatissimo e profondo, il racconto di Matteo Corradini, edito dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in collaborazione con Edizioni Curci, dà voce a un’idea di cura  che non è mai unilaterale e di famiglia come luogo in cui si cullano i desideri. La musica ha qui un ruolo centrale, non solo perché permea le vite dei protagonisti, nutrendo i loro sogni più profondi, ma anche perché suona in quel modo specialissimo che l’autore ha di scrivere. Splendida, dunque, è la possibilità che il testo di Veglia su di me possa essere ascoltato oltre che letto, grazie all’audiolibro scaricabile gratuitamente tramite un codice stampato sulla copia cartacea. Interpretato da Amanda Sandrelli, il libro nella sua versione per le orecchie è piacevole e avvolgente, arricchito com’è dalle musiche curate da Orazio Sciortino, che in qualche modo trasferiscono su pentagramma l’intensità delle illustrazioni di Lucia Scuderi.

Il sapore dei desideri. Betsy, Mr. Tigre e le bacche della felicità

Fate i bagagli, si parte per un luogo straordinario: “un’isola dimentica dalle mappe del mondo”. Poche parole e già si sente un profumo squisitamente fiabesco. È la bravissima Sally Gardner a confezionare per noi una storia magica, dando vita a un luogo sorprendente in cui incontrare creature minuscole e giganti timidi, principesse invidiose e sorelle rospe, sirene affabili e tigri eleganti. Ma andiamo con ordine.

Protagonista del racconto dell’autrice inglese è la piccola Betsy, figlia di un gelataio dalla sorprendente inventiva e di una sirena che conosce storie senza tempo. Betsy desidera sopra ogni cosa poter incontrare il famoso Mr. Tigre, felino dalla mise raffinata, con tanto di cappello a cilindro, che si dice viaggi per mare e diriga un circo delle meraviglie. Ogni giorno Betsy scruta l’orizzonte, speranzosa di avvistare tra le acque la cima del suo tendone da circo. Una mattina il tendone compare per davvero e lo fa, in effetti, proprio al momento giusto. Betsy e il suo papà, che di Mr. Tigre è amico di lunga data, hanno appena conosciuto la storia di una rospa che prima rospa non era e vorrebbero aiutarla a ritrovare le sue sembianze originali.  Per farlo, però, serve una vera e propria magia che si realizza solo quando la luna è blu, ossia una volta ogni mille mai. Ecco perché l’aiuto di Mr Tigre, che di autentici prodigi è capace, arriva provvidenziale. Insieme a lui, Betsy e i suoi genitori mettono in atto un delicatissimo piano che coinvolge i piccoli Gongalunghi, costretti alla macchia dalla perfida principessa Olaf, e il gigante Ivan, che da timido si trasforma in temerario. Grazie a loro e a un ingegnoso stratagemma, la luna si tinge per una notte di blu, consentendo al papà di Betsy di realizzare il prodigioso gelato alle bacche Gongalunghe e di regalare a molte creature dell’isola un prezioso desiderio ciascuna.

Primo episodio di una fortunata serie britannica che vede protagonisti Betsy e Mr. Tigre, Il sapore dei desideri scorre liscio liscio accarezzando l’immaginazione del lettore. Complici impagabili della penna di Sally Gardner, sono le fini illustrazioni di Nick Maland che, talvolta ampie, talvolta piccine, accompagnano, arricchiscono e dinamizzano ogni pagina. Anche grazie a loro il libro appare ricco di fascino e piacevolmente abbordabile, nonostante le 180 pagine abbondanti. L’impegno a far sì che la lettura assuma esattamente queste sfumature anche agli occhi di chi vede le parole scritte perlopiù come un nemico (impegno da sempre assunto anche dalla stessa Sally Gardner, che della dislessia parla e scrive spesso) si completa grazie alla scelta di Terre di Mezzo di ricorrere al font ad alta leggibilità Dyslexia, ad una spaziatura maggiore e a un inchiostro blu meno affaticante.  Il risultato di questa cura narrativa, grafica e iconografica è una lettura deliziosa che finisce più in fretta di quel che si vorrebbe, proprio come una pallina di gelato di bacche Gongalunghe

Max Halters

Un tipo come Max Halters, scommettiamo, non l’avete mai incontrato! Audace, spericolato e ingegnoso, Max Halters è il re degli stuntman e sa tirarsi fuori dai guai con piani a dir poco sorprendenti. Come quella volta in cui doveva andare il bagno ma questo era pieno zeppo di ragni o quella volta in cui la sua dottoressa ha rivelato le sue doti da lanciatrice di coltelli.  Ogni capitolo presenta un’improbabile quanto spassosa circostanza di pericolo in cui il lettore potrebbe trovarsi e, al motto di “Fai come Max Halters”, la più strampalata ed efficace delle soluzioni.

Max Halters è, insomma, un piccolo manuale di temeraria genialità, un concentrato di surreali situazioni che cattura il lettore con l’esca più succulenta: il divertimento. A completare l’opera intervengono le illustrazioni spassose di Melvin, il cui sodalizio con Stefan Boonen è sempre frizzante, e una struttura compositiva dinamica che difficilmente viene a noia. A brevi paragrafi di testo ad alta leggibilità si alternano infatti figure di varia dimensione, fumetti, infografiche e istruzioni per compiere specifiche imprese: il tutto mantenendo una pulizia grafica apprezzabile, senza che i diversi elementi si sovrappongano, mescolino o intralcino a vicenda. In questo Sinnos si dimostra sempre attentissima a rispettare le esigenze dei giovani lettori, soprattutto con difficoltà legate alla dislessia, per i quali possono fare la differenza non solo le caratteristiche tipografiche come il tipo di font e la spaziatura ma anche il tipo di contenuto e la forma con cui questo viene presentato sulla pagina.

Il grande caos dei telefonini

Cosa succede se un guasto alla rete viene riparato malamente e tutte le linee telefoniche di un villaggio finiscono per mescolarsi? Un grande caos – questo è certo – ma forse anche una grande opportunità! Se ne rendono presto conto Margareth, Will e tutti i loro concittadini, quando i rispettivi telefoni iniziano a squillare molto più o molto meno del solito, portando alla cornetta voci e richieste del tutto inattese. E se in principio sono lo sconcerto e il fastidio ad avere la meglio di fronte a situazioni surreali che scatenano il divertimento del lettore, pian pianino l’intraprendenza e l’ottimismo prendono il sopravvento. Accade infatti che, iniziando a recapitare i messaggi ricevuti per errore ai reali destinatari, chi è appena arrivato in città trovi nuovi amici e nuove occupazioni, chi è era sopraffatto dalle cose da fare possa contare su validi aiuti, chi cercava le parole per dichiarare il proprio amore incappi in un modo insospettabile per farlo e chi vive in solitudine incontri una sorta di famiglia adottiva per sé e per il proprio gatto. Possibilità di incontro e conoscenza nuove cominciano così a correre sui fili del telefono e il tasso di felicità del villaggio squilla più forte di quanto non abbia mai fatto prima.

Con uno stile fresco e una trama essenziale e ben costruita, Sally Nicholls confeziona un racconto davvero brillante che si legge in un soffio e fa sorridere il lettore. I personaggi de Il grande caos dei telefonini (peraltro accuratamente descritti in apertura, a tutto vantaggio anche di chi necessita di punti fermi per inoltrarsi nella narrazione) sono assortiti e accattivanti. Al loro fianco si seguono con piacere i molti equivoci che si vengono a creare e gli intrecci che da questi ultimi prendono forma.

Attento a valorizzare l’unicità dei diversi protagonisti, tra cui anche la giovane Aditi che nonostante un incidente alle gambe continua a praticare l’arrampicata, il libro si mostra inclusivo anche dal punto di vista formale. Contraddistinto da un testo scorrevole e dalla struttura sintattica perlopiù semplice e lineare, Il grande caos dei telefonini rientra infatti nella bella collana Zoom di Bianconero di cui presenta tutte le caratteristiche tipografiche di alta leggibilità che vanno dal font più leggibile alla spaziatura maggiore, dallo sbandieramento a destra alla carta color crema. A rendere infine particolarmente godibile e fruibile la lettura, concorrono le illustrazioni di Naida Mazzenga. Tutte giocate sul rosso, sul blu e sul bianco, queste sono infatti molto frequenti e restituiscono con tratto ironico tutta la simpatia dei personaggi di Sally Nicholls.

La signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi

Quella che vede protagonisti i due fratelli Merle e Moritz è una trilogia avvincente che prende forma in un mondo misterioso in cui reale e fantastico si fondono con sapienza. Dopo La signora Lana e il profumo della cioccolata, Beisler pubblica ora il secondo titolo della trilogia intitolato La signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi e lo inserisce tra i titoli fruibili dal lettore anche in formato audio, grazie all’applicazione gratuita leggieascolta.

In questo secondo episodio, troviamo i due fratelli ancora intenti a interrogarsi sulla vera identità della misteriosa signora Nuvolana Wolkenstein, che da qualche mese fa loro da bambinaia e su cui a scuola circolano inquietanti voci. Al centro delle loro indagini c’è inoltre l’inspiegabile scomparsa dalla biblioteca di casa del raro libro “La signora Lana e il gran teatro del mondo” che alla bambinaia, in qualche modo, sembra essere legato.

Come se non bastasse il loro compagno di classe Sebastian scompare misteriosamente nel nulla ed è mettendosi sulle sue tracce che Merle e Moritz si lanciano in una avventurosa operazione di salvataggio, facendo ritorno a Fanciullopoli. Anche in questo caso il mondo fantastico di cui  il papà  ha tanto ha parlato loro si apre e si chiude ai loro occhi in maniera enigmatica, popolandosi di creature insieme familiari e sfuggenti: aiutanti buoni come la giraffa di legno Fidibus o la volpe Lacrima d’argento, personaggi ambigui come la gatta voltagabbana e esseri insospettabilmente malvagi come gli gnomi Zannaguzza. In mezzo a loro si districano i due bambini, con l’aiuto di strumenti magici sorprendenti come gli ombrellini cinesi sistemati da Nuvolana Wolkenstein sulle loro cioccolate ghiacciate proprio qualche giorno prima. Che ruolo abbia precisamente Nuvolana nei misteri che travolgono Merle e Moritz e nelle loro spedizioni a Fanciullopoli non è ancora dato saperlo: sarà necessario, per il lettore, attendere il terzo e ultimo capitolo della saga per ricomporre un puzzle decisamente coinvolgente.

Avventuroso e con un tocco da brivido che lo rende particolarmente intrigante, La signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi offre una lettura molto avvincente per bambini coraggiosi e amanti delle storie fantastiche. Alla trama suggestiva e alla scrittura calibrata di Jutta Richter si uniscono le illustrazioni dai toni scuri di Günter Mattei, che amplificano l’atmosfera al contempo attraente e inquietante che pervade l’intero libro.

Quest’ultimo va, dal canto suo, ad arricchire l’interessante progetto leggieascolta di Beisler che prevede l’unione della versione cartacea e della versione audio di alcuni titoli. La versione audio è ascoltabile tramite l’app gratuita leggieascolta, messa a punto dallo stesso editore e disponibile per dispositivi Android e iOS. Inquadrando il QRcode che compare sul risguardo di copertina l’app apre infatti l’audiolibro, all’interno del quale il lettore può muoversi con grande libertà. A sua disposizione ci sono in particolare i tasti per scegliere il capitolo da leggere, per far avanzare la lettura di 60 secondi in 60 secondi, per accelerare o rallentare la velocità di lettura, per inserire dei segnalibri o prestabilire un tempo dopo il quale l’audiolibro si spegna automaticamente.

Molto intuitiva nell’uso e curata nella registrazione, l’app che rende disponibile la versione audio del libro segna un passo importante nel lavoro che pian piano alcune lungimiranti case editrici stanno facendo in favore dell’accessibilità. Mettere infatti il giovane lettore nella condizione di poter accedere al testo attraverso porte diverse, che sarà lui a scegliere a seconda delle necessità personali e del momento, concorre in maniera non indifferente a rendere la lettura più agevole e dunque più piacevole.

Il coraggio nel vento di montagna

È piccolo piccolo il protagonista de Il coraggio nel vento di montagna ma ha intraprendenza e fegato da vendere. Tra le pagine del silent book di Li Yao lo incontriamo senza preamboli, mentre corre riparandosi gli occhi in mezzo alla polvere sollevata da un forte vento. Ritrovatosi solo nel cuore di una brutta tempesta, il bambino sfida le intemperie con risolutezza crescente. Se all’inizio, infatti, si limita a resistere e aspettare paziente di fronte a tuoni, fulmini e una pioggia battente, a un certo punto decide di passare all’attacco. Man mano che il cielo si popola di vortici e nuvole dalle sembianze di draghi, guerrieri e mostri, il bambino fa di una piccola maschera che porta con sé la chiave per superare pericolo e paura.

Tutto giocato sulla sospensione tra dimensione reale e dimensione fantastica, con gli elementi naturali che diventano creature minacciose agli occhi del bambino, Il coraggio nel vento di montagna cattura il lettore con un stile concitato che richiama alla mente tradizioni, fumetti e disegni orientali.

Rispetto ad altri volumi nati dall’esperienza del Silent Book Contest, come per esempio Il tesoro di Nina o La serraIl coraggio nel vento di montagna presenta passaggi narrativi un po’ più oscuri e lascia molto più spazio all’interpretazione del lettore. Per questa ragione si presta ad essere affrontato con particolare soddisfazione da bambini un pochino più grandi o comunque che si sentano a loro agio di fronte a storie complesse e dal contenuto meno immediato. Se l’assenza di parole, da un lato, amplifica questo aspetto, spingendo il lettore a interrogarsi sul significato di ogni pagina, dall’altro accoglie una libertà di movimento narrativo piacevolissima  di ci possono finalmente godere anche bambini e ragazzi che di fronte al testo scritto potrebbero invece sentirsi costretti.

Chissà cosa stai pensando

Chissà cosa stai pensando? è un libro che moltiplica per tre l’impegno in favore dell’inclusione. Non solo, infatti, il testo è supportato visivamente dall’uso dei simboli, ma è reso anche fruibile all’ascolto, grazie alla possibilità di scaricare l’audiolibro tramite QRcode. Infine, la disabilità spunta a sorpresa anche a livello tematico: in chiusura – e solo in chiusura, quando il lettore difficilmente se lo aspetta – il protagonista  del libro viene, infatti, mostrato a bordo della sua sedie a rotelle.

È quello il momento in cui la sua mente, dotata di fervidissima immaginazione, torna sulla terraferma dopo aver compiuto un viaggio tra pianeti di caramelle, alieni famelici e razzi supersonici. Annoiato dalla conversazione tra la mamma e un’amica, il bambino al centro di Chissà cosa stai pensando lascia correre senza freni la fantasia. Il suo desiderio di evasione galoppa ben al di sopra delle ruote della sua carrozzina, assomigliando in tutto e per tutto a quello di chi corre sulle sue gambe.

Semplice e poco elaborato nel contenuto e nella forma, sia testuale sia iconografica, Chissà a cosa stai pensando è frutto di un lavoro collettivo condotto dalla Libera Compagnia di Arti & Mestieri Sociali. Simbolizzato dalla Homeless Book, con la supervisione del Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa di Milano e Vardello, il libro aderisce al modello inbook che prevede l’impiego di simboli WLS, la simbolizzazione individuale di tutti gli elementi della frase, la presenza di qualificatori e l’unione di testo e simbolo all’interno del medesimo riquadro. Il risultato è un libro adatto a lettori della scuola primaria, con una pregressa familiarizzazione con la lettura in simboli.

I quaderni di #intantofaccioqualcosa – Cruciverba

Durante il primo lockdown legato all’emergenza Covid-19, i social e più in generale il web hanno accolto centinaia di iniziative e proposte di attività per aiutare i bambini chiusi in casa a impiegare il tanto tempo vuoto a disposizione. Molte di queste si sono esaurite man mano con l’allentarsi delle misure restrittive. Altre, più rare, hanno trovato il modo di proseguire, magari assumendo una forma differente.

È il caso del progetto #intantofaccioqualcosa, ideato e promosso da Uovonero insieme alle associazioni Autismo è… e Spazio Nautilus di Milano: video e materiali scaricabili, postati quotidianamente durante la primavera del 2020, sono infatti diventati delle vere e proprie raccolte di attività, edite in forma di quaderno. Sono nati così, nel 2021, I quaderni di #intantofaccioqualcosa: 5 volumetti di stampo molto pratico che invitano a divertirsi con giochi, esperimenti scientifici, ricette, cruciverba ed esercizi, tutti fruibili anche in caso di autismo e difficoltà comunicativa perché costruiti sfruttando in larga parte la Comunicazione Aumentativa Alternativa.

Tutte le proposte sono infatti presentate con il supporto di PCS, fotografie e/o disegni che le rendono più immediate e fruibili anche da parte di chi non legge ancora autonomamente o di chi trova più congeniale una comunicazione di tipo visivo. Simboli e immagini non esauriscono completamente le spiegazioni delle attività ma il loro ruolo centrale concorre ad agevolarne la comprensione. Anche i testi, dal canto loro, risultano costruiti in modo da parlare in modo chiaro anche a chi non maneggia con facilità le parole, cercando di rimuovere il più possibile gli elementi di complessità lessicale e sintattica e privilegiando, al contrario, frasi lineari e termini usuali (ma rigorosi, soprattutto nel caso del quaderno scientifico).

I quaderni di #intantofaccioqualcosa si prestano così ad essere utilizzati in maniera relativamente autonoma da bambini e ragazzi anche con difficoltà di lettura o comunicazione, sia all’interno di un gruppo classe sia in un contesto familiare, a casa o in vacanza. Compagni affidabili e piacevoli, oltre che pratici nel formato, questi quaderni offrono una piccola ma sostanziosa scorta di spunti, ideali per pomeriggi oziosi o lunghe giornate di pioggia.

 

Cruciverba

Quando il tempo a disposizione non manca, il cruciverba è sempre una buona idea. Per divertire e soddisfare lettori con età, abilità e interessi diversi, questo quaderno di #intantofaccioqualcosa presenta 25 quiz e cruciverba dedicati a tematiche differenti e di complessità crescente. Si va dallo sport alla gastronomia, dalla geografia al cinema: in questo modo anche giovani lettori molto ferrati in un unico campo possono trovare pane per i loro denti.

Le definizioni sono tutte scritte in maniera molto lineare così da favorirne la comprensione e la soluzione. Di tutti i quiz e i cruciverba sono infine fornite le soluzioni in un’apposita appendice del volume.

Gli altri titoli della serie #intantofaccioqualcosa sono:

I quaderni di #intantofaccioqualcosa – Ricette

Durante il primo lockdown legato all’emergenza Covid-19, i social e più in generale il web hanno accolto centinaia di iniziative e proposte di attività per aiutare i bambini chiusi in casa a impiegare il tanto tempo vuoto a disposizione. Molte di queste si sono esaurite man mano con l’allentarsi delle misure restrittive. Altre, più rare, hanno trovato il modo di proseguire, magari assumendo una forma differente.

È il caso del progetto #intantofaccioqualcosa, ideato e promosso da Uovonero insieme alle associazioni Autismo è… e Spazio Nautilus di Milano: video e materiali scaricabili, postati quotidianamente durante la primavera del 2020, sono infatti diventati delle vere e proprie raccolte di attività, edite in forma di quaderno. Sono nati così, nel 2021, I quaderni di #intantofaccioqualcosa: 5 volumetti di stampo molto pratico che invitano a divertirsi con giochi, esperimenti scientifici, ricette, cruciverba ed esercizi, tutti fruibili anche in caso di autismo e difficoltà comunicativa perché costruiti sfruttando in larga parte la Comunicazione Aumentativa Alternativa.

Tutte le proposte sono infatti presentate con il supporto di PCS, fotografie e/o disegni che le rendono più immediate e fruibili anche da parte di chi non legge ancora autonomamente o di chi trova più congeniale una comunicazione di tipo visivo. Simboli e immagini non esauriscono completamente le spiegazioni delle attività ma il loro ruolo centrale concorre ad agevolarne la comprensione. Anche i testi, dal canto loro, risultano costruiti in modo da parlare in modo chiaro anche a chi non maneggia con facilità le parole, cercando di rimuovere il più possibile gli elementi di complessità lessicale e sintattica e privilegiando, al contrario, frasi lineari e termini usuali (ma rigorosi, soprattutto nel caso del quaderno scientifico).

I quaderni di #intantofaccioqualcosa si prestano così ad essere utilizzati in maniera relativamente autonoma da bambini e ragazzi anche con difficoltà di lettura o comunicazione, sia all’interno di un gruppo classe sia in un contesto familiare, a casa o in vacanza. Compagni affidabili e piacevoli, oltre che pratici nel formato, questi quaderni offrono una piccola ma sostanziosa scorta di spunti, ideali per pomeriggi oziosi o lunghe giornate di pioggia.

 

Ricette

Il quaderno di #intantofaccioqualcosa dedicato alle ricette omaggia quella che è probabilmente stata l’occupazione più diffusa tra gli italiani durante il lockdown. Il ruolo che manicaretti e impasti hanno avuto nell’intrattenere, rilassare e far dialogare tutti noi è stato in qualche modo straordinario e in questi mesi di strana reclusione anche i più piccoli, trascorrendo molto più tempo a casa, hanno avuto modo di cimentarsi spesso con pietanze e fornelli.

Le ricette contenute nel quaderno sono pensate proprio per loro, con l’idea che possano essere replicate quasi totalmente in autonomia o con la semplice supervisione di un adulto. Tutte le proposte sono infatti piuttosto semplici e abbordabili e non richiedono l’uso di strumenti particolarmente sofisticati o pericolosi (eccezion fatta per i coltelli). A ogni ricetta è dedicato un capitolo che comprende l’elenco degli ingredienti necessari e le istruzioni passo passo per preparare il piatto, il tutto presentato tramite fotografie e relative didascalie.

Le fotografie scelte, seppur realizzate in maniera artigianale data la situazione dettata dalla pandemia, sono molto chiare ed eloquenti, al punto che nella maggior parte dei casi le didascalie fungono da supporto non indispensabile. Redatte in maniera lineare e chiara, queste ultime sono dal canto loro molto dirette e non trascurano alcun passaggio, rendendo le proposte culinarie davvero alla portata di bambini molto poco esperti.

Gli altri titoli della serie #intantofaccioqualcosa sono:

Granpà

Christoph Léon è un narratore di razza: sa come tirare il lettore al cuore delle storie e come dipanare temi potenti senza che questi gravino sulla pagina come una zavorra. Accade sulla lunga come sulla corta misura, come ben dimostra Granpà, racconto breve recentemente uscito per Camelozampa.

In una manciata di pagine (poco più di settanta), Léon mette in piedi un appassionante racconto di vita, che attraversa tre generazioni e in cui echeggiano questioni importanti come il rapporto tra uomo e natura e lo scarto spesso esistente tra legge e giustizia. Protagonisti, che ci pare dopo poche pagine di conoscere a fondo, sono il giovane John e suo nonno Granpà. I due si aggirano furtivi per l’America dell’Ovest, intenti a sabotare gli impianti dell’Arizona Oil Company che con i suoi pozzi per l’estrazione del petrolio sta distruggendo opere millenarie della natura ed espropriando per pochi spicci i possedimenti di intere famiglie. Granpà ha già subito questo destino una volta ed è disposto a tutto, ora, pur di difendere la sua terra e i suoi ideali di tutela dell’ambiente. A un certo punto, però, la spedizione si mette male e John è costretto a separarsi dall’amato nonno  in un epilogo intensissimo, che è insieme straziante e pieno di speranza.

Ricercato ma molto fruibile, anche grazie alle scelte orientate all’alta leggibilità compiute dall’editore Camelozampa, Granpà offre ai ragazzi dalle medie in su una lettura densa e appassionante, che rifugge la banalità delle forma e della sostanza, senza per questo risultare ostica. Il racconto si legge infatti con piacere e con deciso coinvolgimento, come immersi nelle calde e polverose notti del Colorado.

Una specie di scintilla – audiolibro

Che tosta, Addie! 11 anni, autistica, appassionata lettrice, amante degli squali e testarda battagliera per le cause in cui crede, la protagonista di Una specie di scintilla è un personaggio a cui ci si affeziona subito e che si dimentica con difficoltà. La sua vita si svolge nella placida cittadina scozzese di Jupiter, dove nulla di eclatante pare mai accadere, dove la comunità si riunisce ancora periodicamente per prendere decisioni collettive e dove tutti sembrerebbero più interessati a difendere il buon nome del villaggio che a permettergli di essere ricordato per qualcosa di davvero buono.

E così, quando durante una lezione di Miss Murphy, Addie scopre che in passato, proprio a Jupiter, diverse donne sono state pretestuosamente condannate a morte perché ritenute streghe, inizia una determinata battaglia affinché un memoriale cittadino renda loro omaggio e ricordi a tutti gli effetti nefasti e senza tempo a cui possono condurre l’ignoranza e la paura della diversità. Addie si deve però scontrare non solo con il bigottismo che impera in paese ma anche con una insopportabile forma di bullismo e discriminazione in ambito scolastico, perpetrata da una compagna particolarmente ostile, da una classe odiosamente indifferente e da una professoressa abiettamente incapace di fare il suo mestiere.

Umiliata e trattata da inetta da chi dovrebbe saperne piuttosto cogliere bisogni e talenti, Addie trova conforto e supporto in una nuova compagna sensibile e leale e in una famiglia presente e attenta. Il rapporto con sua sorella maggiore Keedie, anche lei autistica e apparentemente più capace e avvezza a dissimulare la sua neurodiversità, costituisce in particolare per Addie un aiuto prezioso per capire che cosa accade dentro e fuori di lei, per conoscere il prezzo di un mascheramento forzato e per trovare il coraggio di portare fino in fondo la sua importante e simbolica battaglia.

Incredibilmente incisivo, Una specie di scintilla è il pluripremiato romanzo d’esordio della giovane scrittrice scozzese Elle McNicoll. La sua forza sta senz’altro in una serie di personaggi indelebili, di fronte ai quali è impossibile mantenere una posizione neutra, e nella capacità di raccontare ciò che la protagonista prova e pensa con chirurgica efficacia e assenza di retorica. L’autrice, che è a sua volta autistica, non ha infatti remore o difficoltà a spazzare via tanti luoghi comuni sulla sindrome che la contraddistingue – luoghi comuni legati, per esempio, all’intelligenza, all’autonomia, all’empatia o alla capacità di costruire legami – mettendo bene in chiaro che ci sono tanti modi di essere neurodivergenti e che tentare di inquadrare in maniera unica e stereotipata tutti coloro che rientrano nello spettro non ha dunque alcun senso. Nel solco di Temple Grandin, che echeggia chiaramente in quel “L’oceano ha bisogno di tutti i tipi di pesci, proprio come il mondo ha bisogno di tutti i tipi di mente” pronunciato da Keedie, Elle McNicoll fa del suo punto di vista interno una chiave efficacissima per offrire una lettura nuova e meno rigida dell’autismo, in cui multisfaccettatura e complessità trovino finalmente il loro posto.

Oltre a raccontare con grande chiarezza e semplicità cosa provano Addie o Keedie in determinate situazioni (per esempio di eccessivo affollamento, rumore o luminosità) e quanto per loro possa essere faticoso mascherare il proprio disagio per rispondere il più possibile alle aspettative dei neurotipici, la sua scrittura schietta ci mette costantemente nella condizione di chiederci come noi stessi ci poniamo di fronte a chi percepisce, registra e affronta la realtà in modo diverso da noi. In questo modo, a dispetto di tanta comunicazione e letteratura che tende a dipingerla in bianco e nero come una tragedia assoluta o come una superdote tout court, la neurodiversità viene piuttosto dipinta, con una fitta serie di sfumature, come una specie di scintilla.  “Il mio autismo – dice Addie durante un toccante discorso all’assemblea cittadina – non è sempre un superpotere. A volte è problematico. Ma nei giorni in cui sento l’elettricità nelle cose, quando vedo dettagli che altri potrebbero non vedere, mi piace molto.”

Una specie di scintilla è disponibile in una duplice versione: cartacea e audio. La prima è curata da Uovonero con caratteristiche di alta leggibilità. La seconda è invece proposta da Fabler audio, una nuovissima casa editrice specializzata in audiolibri. Nata nel 2020 per iniziativa di Carlotta Brentan che da anni, l’Italia e gli Stati Uniti, si occupa di teatro, cinema e doppiaggio, Fabler propone libri da ascoltare molto curati sia a livello di qualità della registrazione sia a livello di piacevolezza dell’interpretazione. Una specie di scintilla è il primo titolo per ragazzi inserito in catalogo.

Hank Zipzer. Su il sipario, giù i calzoni

Hank Zipzer torna sulla scena. Letteralmente! Nell’undicesima avventura che lo vede protagonista, il giovane personaggio creato da Lin Oliver ed Henry Winkler si trova infatti alle prese con lo spettacolo teatrale della scuola: esperienza tanto emozionante quanto impegnativa per chi, come lui, non va proprio a nozze con copioni da leggere e battute da imparare a memoria. Non solo: a complicare la faccenda sopraggiunge anche un certo patto che Hank stringe con il papà. Se non riuscirà a prendere almeno nove nel compito di matematica sulle divisioni lunghe, può dire addio al palcoscenico, alla recitazione e alla parte di re del Siam che si è talentuosamente conquistato.  E così non gli resta che accettare il tutoraggio alla pari offerto da miss perfettina Heather Payne. Contro ogni aspettativa, la motivazione di Heather ad avere successo con il suo allievo la spinge a trovare metodi di insegnamento alternativi che valorizzano l’intelligenza visiva di Hank. Quella che si apre di fronte al ragazzo è così una possibilità del tutto nuova di fare un pochino amicizia non solo con i numeri ma anche con qualcuno che credeva diversissimo e incompatibile con lui.

Spassoso e godibile come i dieci titoli precedenti, Hank Zipzer. Su il sipario, giù i calzoni mette in azione la consolidata schiera di personaggi che animano la scuola SP 87 – dall’inflessibile signorina Adolf ai fidatissimi Ashley e Frankie, dall’arrogante McKelty all’originale famiglia Zipzer – a cui il lettore è probabilmente già affezionato e da cui dipendono meccanismi narrativi ben rodati. Davvero apprezzabile il fatto che nonostante la collana dedicata ad Hank abbia ormai raggiunto il titolo numero 11, l’ironia che la contraddistingue non sia venuta meno così come la capacità di rendere i Disturbi Specifici dell’Apprendimento del protagonista parte integrante dell’avventura e non mero tema didascalico. L’attenzione alla dislessia viene inoltre confermata a livello grafico e tipografico, dal momento che il volume presenta le consuete e funzionali caratteristiche di alta leggibilità quali un font privo di grazie, una spaziatura maggiore, una sbandieratura a destra e l’uso di una carta color crema.

 

L’archeologo delle parole

L’archeologo delle parole è il secondo volume della felice collana Sottovento delle edizioni Telos e come il precedente – Il mago Tre-Pi–  si caratterizza per un’attenzione rara a fare della lettura un’esperienza pienamente fruibile e appagante anche per chi presenta difficoltà a decodificare e comprendere il testo scritto.

Punto di forza del libro, e più in generale dell’intera collana, è la libertà che viene offerta al lettore di muoversi tra diversi formati – cartaceo, digitale, audio o, perché no?, una combinazione dei tre – e tra diversi strumenti di sostegno alla lettura. Se, di per sé, la versione cartacea, presenta interessanti caratteristiche di alta leggibilità, legate alla scelta del font, della spaziatura, dell’allineamento del testo e della frequenza delle illustrazioni, la versione digitale amplia e valorizza queste caratteristiche grazie a un ricchissimo set di opzioni attivabili o disattivabili a piacimento dal lettore.

Tra queste spicca in particolare la possibilità di evidenziare unità minime di senso all’interno di frasi più complesse, di sfruttare le icone dei personaggi per mettere in evidenza chi di volta in volta parla o è al centro della scena, di attivare la registrazione audio su pezzi selezionati di testo o di rendere le parole meglio identificabili grazie alla sillabazione. Il lettore viene così accompagnato tra le pieghe di significato e significante e supportato sia a livello percettivo sia a livello cognitivo per godere a pieno del rapporto col testo.

Quest’ultimo, originale e raffinato, racconta di un oggetto magico e misterioso: un album di fotografie che si anima permettendo a chi lo sfoglia di entrare in contatto con personaggi del passato. Così Eki, intraprendente docente di musica, parte per un’avventura fuori dal tempo. Con animali e personaggi insoliti come uno zampognaro e un asino quali compagni di viaggio, Eki ripercorre il cammino compiuto tra la Calabria e la Germania da suo padre, meglio noto come il professor G. Come ne Il mago Tre-Pi, l’autrice Lilith Moscon si ispira a figure realmente esistite – in questo caso il linguista Gerhard Rohlfs – per confezionare un racconto in cui la storia, il folklore, la lingua e la tradizione aggiungono alla lettura sostanza e sapore. A questa si aggiungono le illustrazioni essenziali e suggestive di Francesco Chiacchio, contraddistinte da una forte carica espressiva.

Il mago Tre-Pi

Ci sono progetti editoriali apparentemente piccini ma così ricchi e curati che a volerli raccontare si fa difficoltà a decidere da dove iniziare. Ecco, il progetto editoriale di Telos, recentemente messo in piedi e diretto da Luana Astore, è esattamente uno di quelli.

La neonata casa editrice di Campobasso è infatti specializzata in libri che fanno dell’accessibilità una priorità e che per garantire quest’ultima nella maniera più proficua possibile valorizzano in modo innovativo l’interazione e l’integrazione tra cartaceo e digitale. I titoli finora proposti – due per la precisione – sono dunque frutto di un lavoro di ricerca e sperimentazione estremamente interessante rispetto agli strumenti che possono agevolare la lettura in caso di bisogni educativi speciali. Lavoro che, dal canto suo, si coniuga a un’attenta cura grafica, testuale e iconografia.

Il primo titolo messo in commercio, che inaugura la collana Sottovento, è Il mago Tre-pi scritto da Lilith Moscon. Il racconto è ispirato all’affascinante figura di Giuseppe Pitrè che qui compare in una veste intrigante, a ‘mo di fantasma o spirito guida, che a bordo di una originale carrozza-studio dialoga con il giovane e curioso protagonista di nome Nicola. Il loro è uno scambio in bilico tra sogno e realtà in cui viaggi,  aneddoti, tradizioni e quesiti filosofici sui sogni e sui pensieri si intrecciano e scorrono veloci, supportati dalle illustrazioni dal fascino antico di Marta Pantaleo. Il testo è originale e ricercato, le illustrazioni capaci di sottolineare il tono sospeso del racconto, impastato di storia e invenzione.

Ci troviamo dunque di fronte a un volume che non cede al luogo comune che vuole i libri accessibili – e i libri ad alta leggibilità soprattutto – come libri più semplici nella forma e nel contenuto. Tutt’altro! Qui il testo è orgogliosamente ricco, frutto della consapevolezza che la complessità è di fatto un diritto del lettore che non va sacrificato. Ciò che deve essere facilitato è piuttosto l’accesso al testo che, non a caso, è proprio il punto di forza della proposta di Telos.

Ciò che più di tutto colpisce in questo libro è infatti la ricchezza di possibilità offerte a sostegno di chi sperimenta maggiori difficoltà di lettura legate per esempio alla dislessia. Non solo il libro è stampato con font EasyReading e con caratteristiche tipografiche più amichevoli, come la spaziatura maggiore e lo sbandieramento a destra, ma la versione digitale di cui è corredato, accessibile tramite QR code e disponibile in quattro lingue, presenta una vera miniera di strumenti utili.

Oltre a disporre della registrazione audio del libro, il lettore può infatti modificare a piacere la dimensione del font e la spaziatura del testo, ma anche differenziare lo sfondo delle righe, dividere le parole in sillabe o evidenziare la riga che sta scorrendo. Originali ed estremamente utili sono poi gli strumenti a sostegno della comprensione del testo, come la possibilità di dividere le frasi più complesse in unità minime di senso, di visualizzare le icone che fanno riferimento ai personaggi quando questi compaiono o parlano, o ancora di scoprire il significato delle parole più inusuali grazie alla funzione dizionario.

Questa mole straordinaria di strumenti è messa disposizione del lettore in maniera molto agevole e intuitiva così da risultare effettivamente di supporto e non di intralcio. Il risultato è quello di mettere davvero chi si trova di fronte al libro nella conduzione migliore per affrontare con piacere la lettura, trovando e scegliendo gli strumenti che più gli si addicono. Perché l’accessibilità in fondo è esattamente questo: far sentire il singolo lettore sostenuto e accolto ma anche libero di trovare il percorso che gli è più congeniale.

 

I quaderni di #intantofaccioqualcosa – Piccoli scienziati

Durante il primo lockdown legato all’emergenza Covid-19, i social e più in generale il web hanno accolto centinaia di iniziative e proposte di attività per aiutare i bambini chiusi in casa a impiegare il tanto tempo vuoto a disposizione. Molte di queste si sono esaurite man mano con l’allentarsi delle misure restrittive. Altre, più rare, hanno trovato il modo di proseguire, magari assumendo una forma differente.

È il caso del progetto #intantofaccioqualcosa, ideato e promosso da Uovonero insieme alle associazioni Autismo è… e Spazio Nautilus di Milano: video e materiali scaricabili, postati quotidianamente durante la primavera del 2020, sono infatti diventati delle vere e proprie raccolte di attività, edite in forma di quaderno. Sono nati così, nel 2021, I quaderni di #intantofaccioqualcosa: 5 volumetti di stampo molto pratico che invitano a divertirsi con giochi, esperimenti scientifici, ricette, cruciverba ed esercizi, tutti fruibili anche in caso di autismo e difficoltà comunicativa perché costruiti sfruttando in larga parte la Comunicazione Aumentativa Alternativa.

Tutte le proposte sono infatti presentate con il supporto di PCS, fotografie e/o disegni che le rendono più immediate e fruibili anche da parte di chi non legge ancora autonomamente o di chi trova più congeniale una comunicazione di tipo visivo. Simboli e immagini non esauriscono completamente le spiegazioni delle attività ma il loro ruolo centrale concorre ad agevolarne la comprensione. Anche i testi, dal canto loro, risultano costruiti in modo da parlare in modo chiaro anche a chi non maneggia con facilità le parole, cercando di rimuovere il più possibile gli elementi di complessità lessicale e sintattica e privilegiando, al contrario, frasi lineari e termini usuali (ma rigorosi, soprattutto nel caso del quaderno scientifico).

I quaderni di #intantofaccioqualcosa si prestano così ad essere utilizzati in maniera relativamente autonoma da bambini e ragazzi anche con difficoltà di lettura o comunicazione, sia all’interno di un gruppo classe sia in un contesto familiare, a casa o in vacanza. Compagni affidabili e piacevoli, oltre che pratici nel formato, questi quaderni offrono una piccola ma sostanziosa scorta di spunti, ideali per pomeriggi oziosi o lunghe giornate di pioggia.

Piccoli scienziati

Piccoli scienziati è il quaderno di #intantofaccioqualcosa che propone le attività e i contenuti più complessi, raccogliendo 15 esperimenti scientifici che spaziano dalla fisica alla chimica. Dalla costruzione di un vulcano alla produzione di una schiuma effervescente, dalla trasformazione di un uovo in un oggetto rimbalzino allo studio delle onde sonore con chicchi di mais e farina di polenta, tutte le proposte prevedono l’uso di materiali comunissimi, in casa essendo nate durante un periodo di clausura.

A ogni esperimento è dedicato un capitolo che comprende l’elenco dei materiali necessari e le istruzioni passo passo, entrambi presentati tramite fotografie e relative didascalie, e una spiegazione finale che sfrutta invece il solo testo.

Redatto in maniera lineare e chiara, quest’ultimo richiede comunque una certa dimestichezza con la lettura o l’ascolto e una certa capacità di comprensione perché consta di termini tecnici e descrizioni articolate giocoforza non immediatissimi. Gli esperimenti sono però così curiosi e sfiziosi che non va sottovalutata la possibilità di godersi la loro lettura e riproduzione, senza dover necessariamente affrontare anche la spiegazione conseguente: caratteristica, questa, che rende il volume flessibile e facilmente adattabile a pubblici di età e con abilità differenti.

Pur essendo state scattate in modalità casalinga dettata dal momento di emergenza, le fotografie che illustrano gli esperimenti sono, dal canto loro, molto chiare e significative anche senza l’accostamento al testo. Grazie ad esse le istruzioni risultano dunque accessibili anche a chi non è in grado di decodificare le parole scritte.

Gli altri titoli della serie #intantofaccioqualcosa sono:

Lupo nero

Due occhi bianchi, insidiosi e penetranti si stagliano in copertina su uno sfondo nero intenso: è così che il Lupo nero di Antoine de Guilloppé inchioda subito il lettore. C’è qualcosa di ipnotico in quello sguardo netto: un fascino magnetico che sfida ad addentrarsi nel libro, tra le sue tavole in bianco e nero e del tutto prive di parole.

Qui compare un giovane che, nel fare rientro a casa in una notte invernale, si trova ad attraversare un fitto e intricato bosco. Nevica, fa freddo e avanzare nella coltre non è agevole ma soprattutto il percorso ha un che di inquietante: tra gli alberi si nascondono presenze misteriose, minacciose persino. Il giovane sembra accorgersene a poco a poco mentre il lettore riconosce e segue fin dall’inizio la sagoma del lupo tra i tronchi. La tensione è via via crescente e tangibile: ci si aspetta da un momento all’altro un assalto che, in effetti, non manca ma che, grazie a un sorprendente colpo di scena, cambia di segno e assume contorni del tutto inattesi.

Così, in un finale rapidissimo che chiude una sceneggiatura dal sapore cinematografico, la prospettiva si ribalta, la tensione si scioglie, le emozioni si capovolgono. All’estremità di una parabola emotiva ampissima, che parte dal sospetto, affronta la paura e approda alla rassicurazione, il lettore trova il sollievo di essersi sbagliato nell’attribuire ruoli e intenzioni ai personaggi, condizionato dalla forte valenza simbolica dei due colori usati e degli elementi fiabeschi richiamati.

L’apparenza inganna e queste pagine, con il loro abile gioco di inquadrature e illusioni percettive, consentono di sperimentarlo a fondo. Bianco e nero, vuoto e pieno, buono e cattivo: Lupo nero fa dei contrasti più essenziali e della loro capacità di rovesciarsi la sua chiave narrativa più potente che non solo mette a nudo pregiudizi e stimola interrogativi, ma amplifica la capacità di coinvolgere intimamente chi legge, facendolo sentire davvero immerso tra quei silenziosi tronchi innevati. Quello intagliato con perizia da Antoine Guilloppé – maestro indiscusso della tecnica del papercutting – diviene così un bosco da attraversare tanto fisicamente quanto simbolicamente, con spiazzante soddisfazione per lettori di età anche molto diverse.

Orlando non è più furioso

Tanti albi, diversi racconti, qualche fiaba e sparute rime: questo, finora, è stato il terreno di applicazione della Comunicazione Aumentativa e Alternativa al libro per l’infanzia. Originale e coraggiosa è dunque la scelta di Homeless Book di offrire ai giovani lettori che leggono in simboli un piccolo poema di ispirazione cavalleresca.

Scritto in rima e costellato di minimi riferimenti all’opera di Ariosto, Orlando non è più furioso racconta di un bambino che fatica a gestire la sua rabbia. A scuola, a casa o al parco, quando le sue richieste non vengono soddisfatte o le cose non vanno esattamente come lui desidera, Orlando va su tutte le furie. A venire in suo aiuto dopo una giornata particolarmente nera è il cavaliere Astolfo in sella all’Ippogrifo. L’eroe gli consegna infatti una scatola magica che contiene tre parole che, a suo dire, potranno rivelarsi preziose. E in effetti, messe subito in pratica dal giovane Orlando, pazienza, aiuto e coraggio lo rendono più disteso e saggio nell’affrontare le piccole difficoltà quotidiane.

Piacevole da leggere e ben costruito, Orlando non è più furioso offre una lettura di una certa complessità, rivolta a bambini che padroneggiano la CAA e che si destreggiano senza troppe difficoltà tra parole e costrutti sintattici non del tutto usuali. Il testo in rima prevede infatti una sintassi non sempre lineare e alcune parole poco ordinarie. Per contro, il racconto ben articolato e musicale, favorisce l’aggancio e l’attenzione, sostenendo il giovane lettore nella sua piccola impresa di lettura.

Tess e la settimana più folle della mia vita

Le vacanze più insospettabili possono riservare delle autentiche sorprese, anche quando si svolgono su un’isola remota e tuo fratello si rompe una caviglia durante un’esplorazione solitaria. Certo, perché una sorpresa degna di nota possa avere luogo e risollevare le sorti di un soggiorno piuttosto deludente, può rendersi necessario un incontro straordinario, come quello con Tess, per esempio. Ragazzina intraprendente e socievole, amante dichiarata delle cose strambe, Tess intercetta per la prima volta Samuel mentre questi attende che il dottore dell’isola visiti suo fratello, appena infortunatosi. L’approccio è a dir poco sui generis e comprende nel giro di pochi minuti una sessione di valzer in un parcheggio e l’organizzazione del funerale di un canarino. Ma anche Samule è a suo modo un culture della stramberia perciò ballo e cerimonia non lo scompongono di un millimetro. Allo stesso modo, il fatto di trovarsi in quattro e quattr’otto a far parte del piano di Tess per conoscere e conquistare il padre che non ha mai incontrato prima, gli appare più che normale.  E così i due neo-amici si buttano a capofitto in un folle ma minuziosissimo piano che cambia senz’altro la vita di Tess ma lascia anche una traccia indelebile nei ricordi e nel modo di Samuel di approcciarsi alle cose.

Avventuroso, divertente e popolato da personaggi indelebili, Tess e la più folle settimana della mia vita è un romanzo che coinvolge e sorprende, facendosi leggere davvero di gusto. Tra le dune dell’isola di Texel, al fianco di Samuele e Tess, il lettore non si fa solo travolgere da un incalzante susseguirsi di imprevisti, ma è portato a confrontarsi con questioni toste come la morte, l’assenza, la scelta e la responsabilità. Il tutto con una leggerezza profonda che rende la penna di Anna Wolz particolare e intrigante.

Grazie all’iniziaitva di Beisler, che del romanzo è l’editore italiano, Tess e la più folle settimana della mia vita rientra inoltre nell’interessante progetto Leggieascolta che prevede l’unione del testo cartaceo e del relativo audiolibro. Quest’ultimo è ascoltabile tramite l’app gratuita leggieascolta, disponibile per dispositivi Android e iOS. Inquadrando il QRcode che compare sul risguardo di copertina, l’app apre infatti l’audiolibro corrispondente al volume, all’interno del quale il lettore può muoversi con grande libertà. A sua disposizione ci sono in particolare i tasti per scegliere il capitolo da leggere, per far avanzare la lettura di 60 secondi in 60 secondi, per accelerare o rallentare la velocità di lettura, per inserire dei segnalibri o per stabilire un tempo predefinito dopo il quale l’audiolibro si spegna automaticamente.

Molto intuitiva nell’uso e curata nella registrazione, l’app che rende disponibile la versione audio del libro segna un passo importante nel lavoro che alcune attente case editrici stanno pian piano facendo in favore dell’accessibilità. Mettere infatti il giovane lettore nella condizione di poter accedere al testo attraverso porte diverse, che sarà lui a scegliere a seconda delle necessità personali e del momento, concorre in maniera non indifferente a rendere la lettura più agevole e dunque più piacevole.

Una specie di scintilla

Che tosta, Addie! 11 anni, autistica, appassionata lettrice, amante degli squali e testarda battagliera per le cause in cui crede, la protagonista di Una specie di scintilla è un personaggio a cui ci si affeziona subito e che si dimentica con difficoltà. La sua vita si svolge nella placida cittadina scozzese di Jupiter, dove nulla di eclatante pare mai accadere, dove la comunità si riunisce ancora periodicamente per prendere decisioni collettive e dove tutti sembrerebbero più interessati a difendere il buon nome del villaggio che a permettergli di essere ricordato per qualcosa di davvero buono.

E così, quando durante una lezione di Miss Murphy, Addie scopre che in passato, proprio a Jupiter, diverse donne sono state pretestuosamente condannate a morte perché ritenute streghe, inizia una determinata battaglia affinché un memoriale cittadino renda loro omaggio e ricordi a tutti gli effetti nefasti e senza tempo a cui possono condurre l’ignoranza e la paura della diversità. Addie si deve però scontrare non solo con il bigottismo che impera in paese ma anche con una insopportabile forma di bullismo e discriminazione in ambito scolastico, perpetrata da una compagna particolarmente ostile, da una classe odiosamente indifferente e da una professoressa abiettamente incapace di fare il suo mestiere.

Umiliata e trattata da inetta da chi dovrebbe saperne piuttosto cogliere bisogni e talenti, Addie trova conforto e supporto in una nuova compagna sensibile e leale e in una famiglia presente e attenta. Il rapporto con sua sorella maggiore Keedie, anche lei autistica e apparentemente più capace e avvezza a dissimulare la sua neurodiversità, costituisce in particolare per Addie un aiuto prezioso per capire che cosa accade dentro e fuori di lei, per conoscere il prezzo di un mascheramento forzato e per trovare il coraggio di portare fino in fondo la sua importante e simbolica battaglia.

Incredibilmente incisivo, Una specie di scintilla è il pluripremiato romanzo d’esordio della giovane scrittrice scozzese Elle McNicoll. La sua forza sta senz’altro in una serie di personaggi indelebili, di fronte ai quali è impossibile mantenere una posizione neutra, e nella capacità di raccontare ciò che la protagonista prova e pensa con chirurgica efficacia e assenza di retorica. L’autrice, che è a sua volta autistica, non ha infatti remore o difficoltà a spazzare via tanti luoghi comuni sulla sindrome che la contraddistingue – luoghi comuni legati, per esempio, all’intelligenza, all’autonomia, all’empatia o alla capacità di costruire legami – mettendo bene in chiaro che ci sono tanti modi di essere neurodivergenti e che tentare di inquadrare in maniera unica e stereotipata tutti coloro che rientrano nello spettro non ha dunque alcun senso. Nel solco di Temple Grandin, che echeggia chiaramente in quel “L’oceano ha bisogno di tutti i tipi di pesci, proprio come il mondo ha bisogno di tutti i tipi di mente” pronunciato da Keedie, Elle McNicoll fa del suo punto di vista interno una chiave efficacissima per offrire una lettura nuova e meno rigida dell’autismo, in cui multisfaccettatura e complessità trovino finalmente il loro posto.

Oltre a raccontare con grande chiarezza e semplicità cosa provano Addie o Keedie in determinate situazioni (per esempio di eccessivo affollamento, rumore o luminosità) e quanto per loro possa essere faticoso mascherare il proprio disagio per rispondere il più possibile alle aspettative dei neurotipici, la sua scrittura schietta ci mette costantemente nella condizione di chiederci come noi stessi ci poniamo di fronte a chi percepisce, registra e affronta la realtà in modo diverso da noi.

In questo modo, a dispetto di tanta comunicazione e letteratura che tende a dipingerla in bianco e nero come una tragedia assoluta o come una superdote tout court, la neurodiversità viene piuttosto dipinta, con una fitta serie di sfumature, come una specie di scintilla.  “Il mio autismo – dice Addie durante un toccante discorso all’assemblea cittadina – non è sempre un superpotere. A volte è problematico. Ma nei giorni in cui sento l’elettricità nelle cose, quando vedo dettagli che altri potrebbero non vedere, mi piace molto.

L’assiduo impegno della casa editrice Uovonero nel promuovere la conoscenza e il rispetto della diversità e nel facilitare processi di inclusione e partecipazione attraverso il potente strumento del libro trova in questa pubblicazione una delle sue manifestazioni più riuscite. Perché non solo Una specie di scintilla è un romanzo bellissimo e forte, ma anche perché prova a raggiungere quanti più lettori possibili grazie a caratteristiche tipografiche di alta leggibilità – con font testme, sbandieratura a destra, spaziatura maggiore – e alla possibilità di godere della storia anche in formato audio. In contemporanea all’uscita del romanzo in formato cartaceo è infatti previsto il rilascio della versione audiolibro, pubblicata dalla casa editrice indipendente Fabler Audio (scaricabile al costo di 13,99 € dal sito della casa editrice): una scelta, questa, che presenta almeno altre due implicazioni interessanti. Da un lato essa riflette anche nella forma l’attenzione di Uovonero alle diverse caratteristiche di bambini e ragazzi e dall’altro essa mette in pratica quello che è già un principio chiave del progetto I libri di Camilla, ossia che l’accessibilità più ampia non deve in alcun modo compromettere la qualità del prodotto e che, per garantire entrambe, spesso può essere necessario e utile mettere insieme le forze e collaborare con altre realtà. Anche questo, in fondo (ma non troppo), significa valorizzare la diversità.

Prima che sia notte

Ci sono libri che, solo a parlarne, si ha paura di sciuparli. Preziosi e densissimi, contengono tante gemme che ci si ritrova disorientati nel tentativo di restituirne a pieno la ricchezza. Prima che sia notte di Silvia Vecchini è proprio uno di quegli scrigni: 128 pagine per un racconto lungo di grande intensità che alterna con sapienza prosa e versi.

Protagonisti sono Emma e Carlo, due fratelli legatissimi. Carlo è sordo e cieco da un occhio ed è principalmente attraverso la LIS che comunica con il mondo esterno, famigliari in primis. Emma, dal canto suo, carica questa lingua di un valore affettivo straordinario: per lei non è solo una possibilità comunicativa tra le molte che sente proprie e che ama sperimentare, ma è la lingua più preziosa, quella che tiene aperte le maggiori possibilità di contatto e condivisione con Carlo e di cui, per questo, sente di non poter proprio fare a meno. Grande è dunque il suo timore quando il residuo visivo di Carlo peggiora, rendendo necessario un ennesimo intervento e tangibile la possibilità che anche la vista, così come già l’udito, venga persa del tutto dal fratello. Ma la forza di Emma è palpabile tra le pagine, così nel viaggio che porta Carlo oltre il mare, nei giorni del suo ricovero e nei mesi che seguono pregni di incertezza, lei gli è accanto. Come gli Hansel e Gretel protagonisti della poesia dell’autrice contenuta in In mezzo alla fiaba (Topipittori, 2015), Carlo ed Emma attraversano letteralmente e metaforicamente la notte, il momento buio per eccellenza, in cui chiunque ha bisogno di fidarsi di qualcuno. Ma chi di loro aiuta l’altro? In una vicinanza che dona sostegno a entrambi, si scopre una reciprocità tanto inattesa quanto commuovente. E intanto la vita intorno ai due ragazzi non si ferma: c’è la scuola, con enormi lacune e insperate sorprese come quella legata all’arrivo di un Maestro con la M maiuscola, ci sono le passioni, ci sono gli amici, ci sono gli amori.

Ecco allora che il cuore del libro si svela poco a poco ma in maniera evidente: per quanto abbia un ruolo narrativo di primissimo piano, non è la disabilità di Carlo ad essere al centro del racconto. Sono le emozioni, piuttosto, a condurre le danze, a dominare la scena e a tratteggiare il vero tema del romanzo. La paura, il senso di impotenza, la speranza, la rabbia, la gioia, il conforto: messi a nudo e a fuoco, questi risuonano profondissimi nel lettore, che si trova così a sperimentare una grande empatia verso i personaggi che si muovono tra le pagine. Carlo ed Emma esistono davvero, la loro è una storia reale che l’autrice conosce bene e racconta da vicino – questo si avverte con chiarezza man mano che la lettura avanza – ma è soprattutto la capacità di Silvia Vecchini di coglierne e restituirne gli aspetti più vicini a tutti noi, a renderla così vera e palpitante.

Insegnamenti e moniti sulla disabilità e su come comportarsi di fronte ad essa sono qui del tutto assenti (evviva!) e questa scelta, tanto apprezzabile quanto rara nel panorama della letteratura per ragazzi che alla disabilità dona spazio, amplifica la capacità del romanzo di risuonare autentico e forte dentro il lettore. Le parole misurate dell’autrice preferiscono in questo senso lasciare spazio a sentimenti riconoscibili da ciascuno, smuovendo pensieri individuali rispetto a tanti temi importanti, uno su tutti quello del bisogno innato e fortissimo di comunicare. Emma e Carlo trovano i loro modi per farlo, alcuni più codificati come la LIS altri più intimi e personali come i messaggi scritti a macchina ma senza inchiostro: ciascuno ha il suo ruolo e richiede un diverso grado di coinvolgimento e intenzionalità per essere colto.

Emma, poi, scova una lingua tutta sua per esprimere ciò che ha dentro, una lingua che la stessa Silvia Vecchini frequenta assiduamente e definisce una lingua sorella della LIS: è la poesia. Densa e potente, questa è per la protagonista come un modo di mettere la testa sott’acqua e guardare sotto la superficie. È una strada per dire l’indicibile – che nella disabilità, non a caso, trova ampio spazio – consentendo di pescarlo dal profondo, districarlo e tradurlo. Con i versi i pensieri assumono un nuovo ritmo e un nuovo punto di vista.

La storia, perlopiù narrata dall’esterno, assume infatti lo sguardo di Emma quando il racconto si fa poesia. Anche il font cambia in contemporanea, restituendo così all’occhio quello scarto narrativo che la mente e la pancia percepiscono altrimenti. Secondo un analogo principio di mutevolezza, quando il rischio di cecità totale si fa concreto per Carlo ossia nel momento più buio della storia, il libro sostituisce le pagine bianche a scritte nere con pagine nere a scritte bianche: una trasformazione grafica che corre in parallelo a quella emotiva e fisica, con un effetto tutt’altro che trascurabile sul lettore.

Da qualunque lato lo si guardi, insomma, Prima che sia notte rivela una preziosa cura compositiva, che investe tanto la forma quanto il contenuto e che lo rende un piccolo gioiellino. Quanto bisogno c’è, per i ragazzi e per gli adulti, di libri così: libri che sono insieme un balsamo e una scossa per l’animo, che aprono spiragli e talvolta vere e proprie finestre su realtà che spesso scorgiamo solo da lontano e che invece, attraverso le parole giuste, possiamo riconoscere, dire e sentire un poco nostri.

L’oca e suo fratello

Capita che libri piccoli piccoli contengano a sorpresa temi e domande grandissimi. È il caso de L’oca e suo fratello, volume targato Sinnos dalla raffinata e inconsueta estetica (a partire dalla copertina rigida) e dal singolare contenuto.

Composto da 45 racconti brevi e brevissimi, originariamente pubblicati su una rivista belga, il libro scritto da Bart Moeayert e illustrato da Gerda Dendooven segue le quotidiane vicende e conversazioni di un gruppo ben assortito di animali da fattoria. Tra questi, insieme a tacchini, pecore, un cane e qualche altra bestia che di tanto in tanto compare – una talpa e un alce, per esempio – spiccano due oche dall’inattesa indole introspettiva. Le situazioni di ogni giorno, dalle più comuni alle più inconsuete, assumono attraverso i loro occhi e i loro becchi una piega nuova, capace di accendere la riflessione del lettore intorno a questioni di tutto spessore. Tra un bucato al vento e una migrazione andata buca, un pranzo della domenica e un ratto stecchito, i due pennuti si interrogano e talvolta si danno risposte rispetto a temi ampi e profondi come la morte, il rapporto con sé stessi, gli altri e la natura, i sentimenti, l’amicizia e la vita nelle sue molteplici sfaccettature.

I racconti, arricchiti da eleganti e minimali illustrazioni quadricromatiche, sono individualmente godibili ma compongono nell’insieme un quadro articolato e armonico. Con la leggerezza e la perizia narrativa che gli sono proprie, il premio ALMA Bart Moeayert dà vita a un piccolo pamphlet filosofico in cui convivono semplicità della forma e complessità del contenuto. Trasversale per età di riferimento, il libro parla soprattutto a lettori che non cerchino avventure sfrenate e che abbiano la pazienza di lasciar sedimentare i racconti più pacati. La consueta attenzione della casa editrice ad adottare caratteristiche tipografiche di alta leggibilità, agevola la lettura de L’oca e suo fratello anche da parte di ragazzi con dislessia.

Su e giù per le montagne

Il tempo trascorso in montagna ha una scansione tutta sua. E così un anno tra cime e vallate può misurarsi in lamponi colti direttamente dai cespugli, dighe di sassi costruite sui torrenti, notti trascorse in tenda sotto le stelle, alberi abbracciati o scalati, temporali improvvisi scampati e creature dei boschi incontrate.

Questi e molti altri tempi preziosi, popolano lo splendido silent book di Irene Penazzi – Su e giù per le montagne –, seguito ideale del precedente Nel mio giardino il mondo, di cui conserva l’impianto, lo spirito e la freschezza. I tre ragazzini protagonisti, accompagnati da un fedele cagnone bianco, si muovono tra queste pagine proprio come lungo un sentiero che li conduce a godere di panorami sempre diversi e a cogliere possibilità di azione e ricreazione che non si ripetono mai. Come in una sorta di viaggio perenne senza soluzione di continuità, i tre attraversano, nell’ordine, la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno montani, con tutta la ricchezza di meraviglie e attività che ciascuna di queste stagioni sa regalare agli esploratori avventurieri di qualunque età.

La matita di Irene Penazzi restituisce questa ricchezza con grande brio e dinamismo, solleticando senza posa nel lettore l’immaginazione o la memoria di un tempo felice. La cura dei dettagli e la tangibilità delle atmosfere dipinte lasciano trasparire una conoscenza autentica della montagna, un sentimento appassionato in cui il lettore può riconoscersi e ritrovarsi. Il tratto inconfondibile dell’autrice sa cioè tirare fuori dalle immagini, che  si susseguono senza alcuna parola, i suoni, i silenzi, gli odori e le sensazioni con cui un’immersione piena nella natura investe il visitatore. In questo modo il lettore si trova calato dritto dritto tra boschi e masi, ruscelli e fontane, rocce e rifugi.

Anche in questo libro, il fluire del tempo che delinea il racconto non impedisce di godersi ogni scena come una fotografia a sé stante, in cui sostare e di cui gustare ogni particolare. Irene Penazzi dissemina infatti con perizia leggere una moltitudine di dettagli che raccontano molto senza strepitare: l’abbigliamento che cambia in funzione della stagione, la fauna curiosa che fa capolino qua e là, gli oggetti che ricompaiono a distanza di pagine creando un fil rouge tra momenti apparentemente indipendenti.

Così come ogni escursionista vive la montagna alla propria maniera e con i suoi tempi, soffermandosi su quegli aspetti che per lui e lui soltanto sono più significativi, allo stesso modo ogni lettore può qui muoversi tra i sentieri disegnati dall’autrice rivendicando una certa libertà e godendo delle singole tavole come quadri autonomi oltre che come parte di un percorso. Questo, unito all’assenza di parole e alla forte riconoscibilità delle situazioni e delle attività ritratte, fa di Su e giù per le montagne un libro estremamente versatile e accessibile.

La mossa del coccodrillo

Per leggere La mossa del coccodrillo servono un occhio fino, una grande attenzione e una certa predisposizione a non lasciarsi sfuggire alcun dettaglio in un quadro che ne è pieno zeppo. Il libro racconta infatti un piccolo giallo, con tanto di furto di diademi, indagini e inseguimenti, ambientato durante una festa in cui compare un numero altissimo di bizzarri e divertenti personaggi. Dentro, fuori, intorno e sopra la magione in cui la festa si svolge si muovono e interagiscono nobili e bambini, servitori, aviatori e detective in incognito, cani di ogni taglia e non di meno coccodrilli. Accuratamente introdotti e descritti in apertura, in quella che non è affatto solo una forma di orientamento per il lettore ma è parte integrante e gustosa del racconto, i personaggi danno vita a una storia dinamicissima e surreale che tiene inevitabilmente desto il lettore.

Sta a lui, infatti, attribuire gli sparuti dialoghi che compaiono qua e là sulla pagina alle figure che fanno capolino sulla scena. E non sempre, questa, è operazione semplice. Per comprendere e seguire davvero ciò che accade in ogni quadro e come si sviluppa la faccenda narrata occorre prestare attenzione agli indizi che l’autore fornisce nella descrizione dei personaggi e che dissemina all’interno delle illustrazioni. Sono queste, infatti, a parlare più dei dialoghi, offrendo un interessante terreno di sfida e appagamento a chi normalmente trova difficoltà nel testo ma manifesta una certa dimestichezza nella lettura visiva.

Federico Appel, che a questo libro ha dato forma nei testi e nelle immagini, è un autore versatilissimo e creativo che non ha paura di sperimentare forme narrative sorprendenti e poco o per nulla sondate. Lo avevamo appurato in La grande rapina al treno, sempre targato Sinnos, in cui la narrazione procedeva per soli dialoghi al seguito di immagini dal piglio cinematografico; e lo riscopriamo ora, ne La mossa del coccodrillo, dove nuovamente il testo si compone di soli dialoghi ma in cui il racconto assume i tratti di un insolito fumetto senza divisione in vignette.

Questo approccio fortemente visivo alla narrazione, unito alla scelta di sfruttare testi davvero minimi e di impiegare font, impaginazioni e spaziature ad alta leggibilità, rendono La mossa del coccodrillo una proposta editoriale originale e stimolante, forse non immediata da padroneggiare ma senz’altro dalle potenzialità interessanti nell’ottica di coinvolgere anche i lettori meno a loro agio di fronte a forme narrative più convenzionali.

Tanti intrecci

Finalista al Silent Book Contest 2019, Tanti intrecci è un albo senza parole dal segno incisivo e dall’indole spiazzante. Fin dalla copertina, dove spicca una squadra di lavavetri sospesi a mezz’aria, il tratto espressionistico e indefinito di Yan Xinyuan cattura l’occhio e smuove l’interesse. Il forte contrasto tra il minimalismo della pennellata e la sua ricchezza narrativa e semantica si ritrova in ogni pagina del libro ed è forse ciò che più di tutto lo rende intrigante.

L’autore cinese non racconta una vera e propria storia ma inanella piuttosto una serie di quadri legati tra loro da fili sottilissimi, fisici e metaforici. Ogni pagina dipinge in particolare una scena in cui, come suggerisce il titolo, trova spazio qualche tipo di intreccio: fili che sorreggono altalene o portano in alto palloncini, che traggono in salvo persone o calano secchi, che costruiscono yurte o trainano merci, che uniscono fascine o sollevano vele. Ma accanto ai fili più visibili trovano posto anche quelli più impalpabili: quelli che uniscono le persone in legami di amicizia, amore o solidarietà e quelli che uniscono situazioni apparentemente distanti in virtù di un dettaglio, un’atmosfera, un sentimento o una sensazione.

Così, se è vero che un racconto lineare non trova posto tra queste pagine, lo è altrettanto il fatto che un intreccio narrativo viene comunque offerto al lettore. Sta a lui, però, scorgerlo, dipanarlo e riallacciarlo secondo combinazioni differenti a seconda della sua sensibilità, della finezza del suo bagaglio culturale, del suo lasciarsi trasportare da immagini non semplici ma d’impatto.

Tutt’altro che banale e immediato, Tanti intrecci è un albo fuori dagli schemi che ben si presta ad essere letto, condiviso e – perché no? – sviluppato da lettori non proprio inesperti, magari delle scuole medie o superiori. L’assenza di parole, che agevola dal canto suo il moltiplicarsi di interpretazioni e significati, ha inoltre il grande valore aggiunto di rendere queste pagine fertilissime e accoglienti anche per lettori che, a causa di disabilità o disturbi diversi, faticano a relazionarsi serenamente con il testo scritto ma non trovano ostacoli nella lettura di immagini anche complesse.

Doppio passo

La storia del riscatto femminile e dei diritti delle donne è popolata da moltissime figure sportive emblematiche. Con Controcorrente (2017) e Annie. Il vento in tasca (2019), Sinnos ce ne aveva già fatte conoscere due di grande valore ed esempio – la nuotatrice Gertrude Ederle e la ciclista Annie Cohen Kopchovsky – protagoniste di due graphic novel avvincenti firmate da Alice Keller e Veronica Truttero. La stessa coppia autoriale rispolvera ora, con la stessa efficace modalità narrativa, una terza vicenda di sport e femminismo che merita di essere conosciuta, dando vita al racconto a fumetti Doppio passo.

Protagonista è, in questo caso, Lilian Parr, calciatrice inglese di inizio secolo scorso. La sua è una storia di talento e di amore per una disciplina sportiva, coltivati tra i cortili di St. Helens, cittadina industriale del Merseyside. Attiva in squadre femminili fin da giovanissima, Lilian Parr inizia una carriera da professionista e diventa una vera capocannoniera dopo essere stata notata da un osservatore calcistico. I suoi successi contribuiscono ad attirare attenzione e interesse per le prestazioni femminili sul campo, scatenando i timori dell’ala più conservatrice di questo sport. Ecco allora che a lei e alle sue colleghe viene vietato dalla Federazione di giocare nei propri impianti: un ostacolo che non ferma, tuttavia, la determinazione di chi come Lilian riconosce nello sport un diritto e un’impareggiabile occasione di autodeterminazione.

Con il garbo e la capacità di coinvolgimento a cui ci ha abituati nel tempo, Alice Keller decide di raccontare la storia di Lilian, concentrandosi non tanto sulla sua carriera, quanto piuttosto sul periodo che l’ha preceduta: quello in cui, essendo lei ragazzina, il lettore può più facilmente trovare interesse, agganci e rispecchiamenti.  Nel farlo, l’autrice introduce un personaggio fittizio – Martin Kell – che del racconto è voce narrante e di Lilian coetaneo. Costretto ogni domenica dai suoi fratelli a giocare a calcio contro i ragazzi del cortile a fianco, Martin cerca ogni volta di svicolare, mal disposto e del tutto privo di interesse com’è verso dribbling, parate e tutto il resto. Martin incontra, però, un giorno un ragazzino che gli assomiglia straordinariamente nell’aspetto e che con il pallone tra i piedi sembra fare magie. Poco importa se quel ragazzino di nome fa Lily ed è, in realtà, una ragazzina: Martin le cede subito in segreto la sua maglia e si gode di nascosto le partite domenicali da spettatore. Non passerà molto tempo però, prima che l’identità della sostituta venga a galla, tra lo stupore di tutti, dando inizio a una delle carriere calcistiche femminili più straordinarie di tutti i tempi.

Il racconto avvincente e vivace di Alice Keller si combina con le illustrazioni dai toni vintage e dal tratto delicato di Veronica Truttero, che immergono il lettore in un’atmosfera sfumata, in cui si respira la lontananza storica ma non si perde mai di vista l’attualità della storia. La forma narrativa che ne nasce mescola fumetto e racconto illustrato secondo una formula vincente che incoraggia e sostiene anche i lettori meno forti. La pagina risulta infatti ricca di figure e poco affollata di parole, oltre che dinamica, variegata nella grafica e accattivante. I testi, dal canto loro, appaiono essenziali e poco prolissi, ma curatissimi nella composizione oltre che stampati con font ad alta leggibilità leggimigraphic: scelte, queste, che rendono bene l’idea di cosa significhi promuovere il diritto alla lettura di qualità per tutti i bambini e i ragazzi.

Caro signor F.

Elvira e Concetta sono due amiche che vivono insieme sul cucuzzolo di una montagna. Molto diverse tra loro – sedentaria, golosa e amante della scrittura la prima; avventurosa, smilza e appassionata di navi la seconda – le due trascorrono le giornate con una certa placida ritualità. Su quel cucuzzolo, in effetti, non succede mai nulla. Un giorno però dei rumori sospetti le mettono in allarme, costringendole a fantomatiche ipotesi su cosa possa averli generati, a qualche accusa reciproca e infine a rocambolesche indagini. Verrà fuori che il responsabile è un misterioso signor F., che frattanto manda lettere ad amici, parenti e ditte di trasloco, per informarli del suo felice trasferimento in montagna.

A suon di equivoci e soluzioni di emergenza per liberarsi dell’inquilino abusivo, Elvira e Concetta finiscono per scoprire che un intruso a quattro zampe può essere estremamente amichevole e che, grazie al trambusto generato dalla sua presenza, si può persino pensare a una ristrutturazione, non tanto della casa quanto piuttosto della propria vita!

Scritto e illustrato dal collaudato duo Alice Keller e Veronica Truttero, Caro signor F. è un racconto delizioso che scorre piacevole, fa sorridere e che mette in scena un piccolo protagonista a cui è difficile non affezionarsi. Stampato con alcune caratteristiche di alta leggibilità, come il font EasyReading, la sbandieratura a destra e la spaziatura maggiore tra le lettere, le righe e le parole, il libro presenta frequenti illustrazioni a matita che consolidano il tono tenero e buffo del racconto.

 

I tre funerali del mio cane

A scrivere con ironia e garbo una storia che pone al centro un lutto, mica son tutti buoni. Guillaume Guéraud però lo è: il suo I tre funerali del mio cane è infatti un delizioso racconto in cui la morte di una creatura cara, come può essere un animale domestico, diventa il fulcro narrativo intorno a cui orbitano dialoghi autentici, piccole disavventure di cui sorridere e un’ampia gamma di sentimenti veri: il tutto senza quasi spostarsi dal giardino di casa dove il protagonista, sua sorella e i suoi amici decidono di seppellire il povero Babino, dopo che è stato malauguratamente investito da un’auto.

Alla serietà delle intenzioni e delle emozioni dei giovani personaggii fanno da contraltare una serie di piccoli imprevisti logistici e la spontaneità con cui Babino viene affettuosamente ricordato. Il racconto mescola così, senza soluzione di continuità, aneddoti buffi e schietta tenerezza. E alla morte, lungi da essere un tema su cui dissertare, viene restituito il ruolo di cosa della vita con cui prendere le misure tra una partita di calcio, uno scherzo tra amici e una corsa in un prato di tulipani.

Divertente e delicato, I tre funerali del mio cane è proposto da Biancoenero all’interno della bella collana Maxizoom dedicata a giovani lettori a cavallo tra la scuola primaria e la scuola media. Come gli altri volumi della collana, il libro vanta dunque un’impaginazione ariosa, una spaziatura maggiore, un font ad alta leggibilità e una stampa su carta color crema che ne agevolano l’accesso anche a bambini con dislessia. A tale scopo concorrono inoltre in misura non meno significativa anche scelte sintattiche e lessicali orientate alla linearità, oltre che una storia coinvolgente che sa parlare la lingua dei bambini.

Io sono sordo

Con un titolo schietto e diretto – Io sono sordo – l’albo di Manuela Marino Cerrato e Annalisa Beghelli mette subito sul tavolo il suo tema e il suo punto di vista: l’esperienza della sordità, vissuta e raccontata in prima persona. Più che contenere una vera e propria storia, l’albo edito da Carthusia raccoglie una serie di brevissime riflessioni a misura di bambino, su cosa implichi l’essere sordo, sulle emozioni che questa condizione reca con sé, sulle difficoltà e sulle opportunità che ne derivano. Ne viene fuori un ritratto composito che guarda e tiene insieme gli aspetti più bui e quelli più positivi della sordità, che della vita del protagonista è evidentemente una parte essenziale ma non totalizzante. Il libro dice cioè con grande chiarezza che la disabilità non può ridursi a un’etichetta e che le persone non sono mai – e mai devono essere viste – come la loro diagnosi.

Io sono sordo prende le mosse da un’esperienza reale e dal desiderio di una mamma di dare voce a un vissuto complesso e non sempre percepito come tale dall’esterno, quale è quello dei bambini sordi e delle loro famiglie. Nel racconto di Manuela Marino Cerrato, la cui autenticità arriva dritta al lettore a ogni pagina, trovano non a caso ampio spazio genitori e fratelli, oltre che amici e compagni, come persone toccate in maniera profonda e significativa dalla disabilità, seppur vissuta di riflesso. Questa viene tratteggiata in particolare da aggettivi forti come odiosa, spaventosa, deprimente ma anche intelligente, affascinante o buffa, che si svelano in una riga o due al massimo, attraverso situazioni quotidiane molto pratiche. Così, per esempio, la sordità è cattiva quando mi fa chiudere in me stesso o interessante perché fa imparare la lingua dei segni, in un succedersi di mini-quadri che la delineano come una presenza invisibile sì, ma per certi versi anche tangibile, quasi personificata.

Significativo, in questo senso, il contributo offerto dalle tavole di Annalisa Beghelli, tutte giocate sui toni del viola e dell’arancione, i cui tratti spigolosi restituiscono visivamente le tante sfaccettature emotive oggetto del libro. L’illustratrice interpreta  le parole dell’autrice, dedicando un’attenzione particolare alla gestualità e alla mimica facciale dei personaggi, così che la quotidianità priva di suoni di cui si parla possa emergere in tutta la sua forza e specificità.

Io sono sordo nasce dall’incontro tra l’Associazione Vedo voci, di cui fa parte la stessa autrice, e la casa editrice Carthusia, da tempo attenta a portare sulla pagina in forma di racconto illustrato tutta una serie di temi sociali. Rispetto a titoli precedenti di stampo analogo, Io sono sordo privilegia un approccio meno narrativo, prestandosi forse a destare più facilmente l’attenzione di chi della sordità ha già esperienza più o meno diretta. Per tema e struttura il libro offre in particolare uno spunto interessante per riconoscersi e riconoscere vissuti emotivi che la disabilità tende talvolta a ingarbugliare o coprire e che invece meritano di essere detti e conosciuti.

In viaggio con TopoNino

Una favola che fa da cornice ad altre tre: il viaggio esopiano di un topolino di campagna, intento a recarsi da un cugino di città, è l’espediente usato da Mariangela Balbo per riunire e cucire insieme altre tre favole di origine classica come Il leone e il topolino, La formica e la colomba e La cicala e la formica. Man mano che avanza nel suo percorso il topolino incontra infatti i protagonisti delle altre fiabe e narra il contenuto di queste ultime, premurandosi di esplicitarne in maniera chiara la morale. L’intento è quello di rendere fruibili anche a bambini con difficoltà comunicative alcune delle fiabe più note dell’autore greco: il libro presenta infatti testi adattati e accompagnati da simboli WLS.

Non proprio elementari – nella struttura sintattica, nell’uso di pronomi, nella scelta dei tempi verbali, per esempio – le rielaborazioni delle fiabe presentano in particolare simboli colorati, abitualmente poco utilizzati in editoria, font misti (perlopiù per distinguere i titoli delle diverse fiabe dal vero e proprio testo) e un’organizzazione grafica della pagina che può risultare un po’ confusiva, per come i riquadri dei simboli vanno a capo o per come tendano talvolta a coprire alcuni pezzi di illustrazioni. Queste ultime, dal canto loro, presentano un tratto acerbo e stili diversi che, se da un lato ben si adattano a distinguere le diverse favole, dall’altro sacrificano un po’ la coerenza visiva del volume.

L’aspetto generale di In viaggio con TopoNino riflette, insomma, la sua genesi multiforme che vede coinvolte una casa editrice, un’associazione impegnata nel sociale e la classe quinta di un liceo artistico.

Joker

“In fondo erano contenti di tornare a scuola”, così inizia Joker, il racconto di Susie Morgenstern da poco uscito per i tipi di Biancoenero (ma in realtà pubblicato per la prima volta nel 1999 in Francia e nel 2002 in Italia). Difficile immaginare un incipit più ficcante in questo preciso momento storico, se si considera che dopo mesi di DAD e scuole chiuse, il desiderio di tornare fra i banchi è quantomai acceso nei bambini e nei ragazzi. Ecco dunque che la loro attenzione ha subito di che esser catturata da una storia che non delude anche oltre la prima pagina. L’autrice, pluripremiata e di conclamata bravura, si conferma infatti abilissima nel mantenere accesa la curiosità del lettore con un racconto brillante e molto vicino al sentire dei bambini.

Protagonista è  Biagio Natale, anziano maestro che, nonostante l’apparenza dettata dall’età, sa come sorprendere la sua nuova classe. Il primo giorno, infatti, in luogo di sterili presentazioni, Biagio distribuisce ad ogni allievo un mazzo di Jolly, ciascuno valido per far fare o non far fare qualcosa a chi decida di giocarselo. In ogni mazzo c’è il jolly per ballare in classe, per esempio, quello per restare a letto, quello per dire una bugia o quello per fare una carezza a chi si vuole. Spiazzati e divertiti, i bambini scoprono presto il valore di quelle carte ma lo stesso non si può purtroppo dire dell’arcigna preside Candida Peres, perfetta incarnazione della didattica più stantia e meno empatica. Nonostante i suoi provvedimenti, i semi piantati da Biagio Natale finiranno tuttavia per germogliare, dando risalto all’imbattibile capacità dei bambini di fare tesoro di quanto vien loro con gioia trasmesso. E a quella di alcuni adulti di trasformare l’insegnamento in Educazione con la E maiuscola.

Coinvolgente e brioso, Joker lascia trapelare una profonda conoscenza dell’infanzia, del pensiero che la attraversa e degli interruttori che ne accendono la partecipazione. La sua lettura si fa così scorrevole e accattivante, complici anche i personaggi ben costruiti, la narrazione snella e gli accorgimenti con cui il libro è stampato. Le caratteristiche di alta leggibilità proprie della collana Minizoom di cui Joker fa parte, che coinvolgono la struttura testuale ma anche gli aspetti di stampa come la spaziatura, il font e la sbandieratura, concorrono infatti ad alleggerire il confronto con la pagina scritta e a sostenere l’avanzamento nella storia anche da parte di giovani lettori con dislessia.

Se un bambino

Sulla copertina di Se un bambino campeggia un bimbo smilzo dai vistosi occhiali tondi in sella a una tigre dall’aspetto bonario. Il loro sguardo è simile, vuoi per gli occhi sgranati del felino che richiamano la montatura del piccolo, vuoi per il sorriso abbozzato che caratterizza entrambi. C’è una complicità misteriosa tra i due, un’affinità elettiva che rompe le nostre consuetudini immaginative, prima ancora di aprire il volume. Un bambino amico di una tigre esce infatti dalle convenzioni e dalla norma e proprio per questo accende la curiosità e suscita un sentimento di positivo interesse.

Ecco, questo è in fondo esattamente ciò su cui il libro di Davide Musso e Anna Forlati ci propone di riflettere, invitandoci a osservare con attenzione ogni bambino, per conoscerne e riconoscerne le peculiarità, le difficoltà e i talenti nascosti prima di liquidarli con la frettolosa etichetta di “strani”. Perché di bambini che appaiono e vengono definiti tali ce ne sono a bizzeffe – chi non ha parole, chi non sa disegnare, chi arriva in ritardo, chi ha la testa al contrario e via dicendo – ma a ben guardare, quel loro modo di fare e di essere, ha spesso una ragione inattesa o denota un saper fare altro.  Un bambino che non ha le parole o non sa disegnare, per esempio, non è detto che non possa comunicare altrimenti e su questo, non a caso, lavorano i libri accessibili.

Se un bambino dice perciò molto della disabilità, pur senza citarla nel dettaglio, mostrandoci con garbo che, così come qualunque altra forma di diversità, dipende almeno in parte dall’occhio di chi guarda e da ciò che questi sa e vuole vedere. Il libro procede, nello specifico, per accumulazione, proponendo una sfilza di bambini dall’aspetto o dal comportamento insolito, tutti ritmicamente introdotti da quel “Se un bambino…” che contraddistingue anche il titolo. In questo modo le stranezze si susseguono, si affastellano e insieme iniziano a ronzare nella testa del lettore, rendendo particolarmente efficace il repentino cambio di prospettiva finale (di cui più non diremo!). Interessante e suggestivo, sempre nell’ottica di invitare chi legge alla riflessione, sono l’uso rarefatto delle parole dell’autore e il controcanto metaforico offerto dall’illustratrice, che riempiono di senso il volume senza appesantirlo con rigide soluzioni. Ne vien fuori un albo stimolante e suggestivo il cui messaggio è dunque molto chiaro ed esplicito ma la cui costruzione è tale da lasciare ampia possibilità di riconoscimento, interpretazione e pensiero.

Giacomo di Cristallo e altre storie

Tutti gli usi della parola a tutti, scriveva Rodari, non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo. A cent’anni dalla nascita dello scritto di Omegna la casa editrice la meridiana trova un ottimo modo per omaggiare questo credo ancora attualissimo dell’autore: proporre una versione di alcune delle sue fiabe con i simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa.

Terzo titolo della collana Parimenti, Giacomo di cristallo e altre storie declina in maniera molto concreta l’importanza di allargare l’accesso alla parola anche a chi normalmente ne viene escluso, e non lo fa solo diversificando i linguaggi con cui il lettore può accedere al testo ma anche privilegiando la traduzione di racconti dalla forte valenza civile.

Quello di Giacomo di Cristallo, per esempio, che anche rinchiuso in prigione ispira i suoi concittadini con trasparenti pensieri di protesta contro le ingiustizie della dittatura. Quello de La casa di tre bottoni, che pur essendo piccina piccina riesce a ospitare 13 persone e un cavallo, perché fatta con il cuore. Quello de La principessa allegra che vede le persone e le loro storie come unica possibilità di capire e compatire davvero i drammi della guerra. Quello di Re Mida e il brigante Fifone in cui la rinuncia all’oro porta a ricchezze ben più preziose. E quello di Teresin che non cresceva a causa del dolore ma che l’amore riesce a far diventare grande e che per amor di giustizia diventa persino una gigantessa.

Le storie contenute nel volume sono cinque e sono di diversa lunghezza. Tutte condividono una spiccata attenzione ai valori della solidarietà, dell’amore e della giustizia: caratteristica questa che le rende ideali per innescare una riflessione individuale e condivisa sulla storia e sull’attualità a misura non solo di bambino ma anche e soprattutto di lettore con qualche anno in più. I sentimenti positivi e negativi, le ingiustizie e il loro riscatto, la dittatura e il buon governo, la ricchezza e la povertà, solo per fare qualche esempio, sono infatti affrontati da Rodari con grande schiettezza e ben si prestano a solleticare l’immaginario e il pensiero di giovani adulti. Ecco dunque che l’inserimento di queste storie apparentemente semplici all’interno della collana Parimenti, che si rivolge principalmente ai preadolescenti e agli adolescenti e il cui sottotitolo è non a caso “Proprio perché cresco”, appare tutt’altro che stonata.

Come per i precedenti titoli, anche qui il testo è oggetto di una rielaborazione mirata a rendere alcune frasi più lineari, a esplicitare alcuni elementi sottintesi o metaforici e a contestualizzare alcuni dettagli: tutti accorgimenti che non intaccano la freschezza del racconto e la sua indole profondamente schierata. La linearità e la semplicità narrativa che sono proprie di Rodari, d’altro canto, si prestano con naturalezza a un lavoro di semplificazione e simbolizzazione che consenta l’accesso al testo anche da parte di lettori con autismo o difficoltà di comunicazione. La ricchezza del testo, dal canto suo, viene mantenuta grazie all’utilizzo della collezione di simboli letterariamente più versatili – quella dei simboli WLS – e alla scelta di simbolizzare tutti gli elementi della frase (compresi per esempio pronomi, articoli, preposizioni) e di inserire i qualificatori di tempo e plurale.

Il risultato è un volume che sposa semplicità narrativa ed espositiva e complessità di pensiero: un’ottima miscela per giovani lettori esigenti e curiosi.

Giacomo di cristallo e altre storie è reso disponibile dalla casa editrice anche in formato ebook, con le medesime caratteristiche compositive della versione cartacea.

Novelle fatte a macchina

Ci sono personaggi che fanno parte di un immaginario collettivo ben radicato. Ecco, gli extraterrestri che atterrano a Pisa per sgraffignare la torre, l’irriverente bambola a transistor che sa parlare o i due terribili gemelli Marko e Mirko che non mancano di coraggio fanno parte di quella schiera di figure fantastiche che in molti di noi evocano ricordi, accendono scintille e suonano familiari. Merito della penna straordinaria di Gianni Rodari che a quei protagonisti ha dato vita all’interno della raccolta Novelle fatte a macchina.

Chissà quale effetto sortiscono sul lettore di oggi. Se è vero infatti che le novelle di Rodari fanno riferimento a un precisissimo contesto storico – basti pensare alla centralità di un programma come Rischiatutto all’interno di uno dei racconti –  che può renderle un po’ distanti, è altrettanto vero che esse mescolano reale e fantastico in maniera così sapiente e lasciano spazio a domande e riflessioni così importanti e attuali che difficilmente, anche oggi, possono lasciare indifferenti. In più, la loro formula snella risulta particolarmente spendibile e vincente, anche pensando a letture frammentarie e lettori riluttanti.

Nate come racconti brevi commissionati dal giornale Paese sera, le Novelle fatte a macchina sono pubblicate negli anni ’70 da Einaudi. Oggi Emons le ripropone in formato audio (su Cd o scaricabili direttamente in file MP3) che ne allarga le possibilità di fruizione anche a bambini e ragazzi con difficoltà di lettura legate per esempio a una disabilità visiva o alla dislessia e a lettori desiderosi di godersi una bella storia anche quando gli occhi sono impegnati in altra attività. Con il suo piglio senza lungaggini, ecco che l’ascolto delle Novelle fatte a macchina potrebbe in un ipotetico viaggio in automobile riempire a meraviglia tratte medio-brevi!

 

La distanza dei pesci

La natura è custode di una saggezza silenziosa, quella che porta per esempio i pesci a mantenere una distanza ottimale, che non stringe ma non allontana, che non si misura solo in centimetri ma anche in sensazioni. La distanza dei pesci, che è “vicino e lontano insieme”, è anche la distanza di Marco che sulla superficie terrestre, in mezzo alle creature che all’apparenza più gli somigliano, si sente talvolta legato. Sotto le onde, invece, Marco prova un senso di libertà e quiete: una condizione ideale per godersi la ricchezza che la vita subacquea offre, con tutta la varietà di rumori, visioni, percezioni e fantasie che questa reca con sé. Così ogni tuffo dalla barca del nonno si trasforma in un’immersione fantastica (in tutte le accezioni del termine), che porta Marco a fare scorta di storie sottomarine: storie che parlano solo a orecchie attente e che chiedono parole nuove e giuste per essere raccontate.

Con uno spirito che richiama alla memoria La piscina e le meraviglie profonde che si svelano solo a chi sappia andare oltre la superficie, La distanza dei pesci racconta di un mondo misterioso e affascinante in cui servono occhi fuori dal comune per fare incontri con creature straordinarie e cogliere sfumature e vibrazioni altrimenti impercettibili. L’autrice Chiara Lorenzoni trova il modo di rendere tutto questo attraverso una narrazione che fa della sinestesia e del pensare in immagini – per prendere le parole a prestito da Temple Grandin – la propria chiave. L’illustratrice Giulia Conoscenti, dal canto suo, amplifica questa insolita prospettiva con tavole ricchissime, dai cromatismi accesi e dalle sfumature oniriche. Ne viene fuori una realtà sottomarina caleidoscopica di grande fascino nella quale il protagonista Marco sguazza perfettamente a suo agio e dalla quale il lettore può sentirsi da un lato ammaliato ma dall’altro anche frastornato, in un ipotetico scambio di posizione con tutti i Marco in carne ed ossa che si sentono invece sopraffatti dalla quotidianità apparentemente più ordinaria.

Il libro porta, così, a galla una rappresentazione interessante e vitale della diversità, facendo di un modo nuovo di guardare il mare l’occasione per guardare altrimenti anche la disabilità, in una rifrazione di sguardi che amplia gli orizzonti e fornisce spunti inediti. L’autismo narrato da Chiara Lorenzoni e Giulia Conoscenti, anche se mai esplicitamente nominato e messo sotto una lente, appare infatti ben riconoscibile tra le pagine dell’albo. Il racconto non resta tuttavia invischiato in rappresentazioni stereotipate, ma danza piuttosto con grazia tra le peculiarità di un modo atipico di stare al mondo, compresa quella raramente trattata  legata alla percezione sensoriale (peculiarità a cui, tra l’altro, l’editore Uovonero ha dedicato un bellissimo e prezioso saggio intitolato Le percezioni sensoriali nell’autismo e nella Sindrome di Asperger).

La distanza dei pesci nasce come completamento di un percorso creativo legato al Premio Ronzinante che mira a promuovere la cultura dell’alterità attraverso l’illustrazione per l’infanzia. A tale scopo, ogni due anni, viene proposto ai giovani illustratori partecipanti un tema su cui lavorare. Giulia Conoscenti, palermitana classe 1991, ha vinto l’edizione 2017 del premio, dedicata all’incontro tra il mondo di Jules Verne e quello dell’autismo. Le sue tavole hanno quindi potuto svilupparsi in un progetto editoriale vero e proprio, targato Uovonero. Unite alle parole di Chiara Lorenzoni, autrice che in più occasioni ha dimostrato una particolare sensibilità nei confronti delle tematiche sociali e una significativa capacità di trovare parole misurate e accorte, le figure dell’illustratrice hanno così dato vita a un albo ricco, denso e di ampio respiro.

Qui il booktrailer.

Cane, lupo e cucciolo

Ricordate Lupo e Cane, i due cugini a dir poco insoliti nati dalla penna di Sylvia Vanden Heede e dalla matita di Marije Tolman? Protagonisti di Lupo e Cane, insoliti cugini, uscito per Beisler nel 2015, i due animali tornano sulla scena con una nuova avventura ad alta leggibilità intitolata Cane, lupo e cucciolo.

Come il titolo lascia facilmente intuire, alla coppia di nemici-amici si aggiunge questa volta un terzo compare, più precisamente un giovane spitz di pura razza che poco sa del mondo e che necessita di molte cure. Il padrone di Cane lo ha preso perché questi avesse compagnia ma per Cane il nuovo arrivato è più che altro una scocciatura, dal momento che si trova a fargli da balia e a prendersi le sgridate al posto suo. Così, quando gli si offre l’occasione di togliersi di torno il cucciolo e al contempo di liberarsi delle angherie di Lupo, non gli par vero: subito Cane ne approfitta e torna a godersi la sua serenità. Non ha però fatto i conti con l’affetto che presto prende dimora anche nei confronti di chi ci pare distante e così, in quattro e quattr’otto, Cane torna sui suoi passi, dimostrando che anche i tipi più carini e coccolosi sanno e possono all’occorrenza tirare fuori i denti per difendere i propri cari.

Senza bisogno di dichiararlo e sbandierarlo tanto in giro (ottimo segnale!), il libro svela dunque un catalogo variegato e interessante di emozioni – dalla rabbia alla paura, dalla felicità alla nostalgia – con cui il lettore frequentemente si misura e in cui può facilmente riconoscersi. Le micro-vicende dei due cugini e del loro nuovo compagno, perciò, non solo compongono un racconto non convenzionale e a tratti ironico in cui immergersi, ma offrono anche un terreno fertilissimo per confrontarsi con e su un tema delicato come la gestione emotiva delle diverse situazioni.

Dotato di un umorismo tutto particolare e scritto in una forma originale che mescola prosa, cadenza poetica e indole teatrale, Cane, lupo e cucciolo si compone di 16 capitoli abbastanza brevi, il cui animo delicato viene amplificato dalle illustrazioni dalle linee sottili e dalle sfumature accese che frequentemente animano la pagina. Questo, unito alla scelta di un font meno affaticante per la vista come il TestMe e di caratteristiche di impaginazione ad alta leggibilità (spaziatura maggiore, testo allineato a sinistra…), concorre a rendere la lettura del libro più amichevole anche in caso di dislessia.

Non solo: Cane, Lupo e cucciolo rivela un alto grado di accessibilità anche per un’altra ragione. Il libro inaugura, infatti, l’interessante progetto Leggieascolta di Beisler che prevede l’unione del testo cartaceo e del relativo audiolibro. Quest’ultimo è ascoltabile tramite l’app gratuita leggieascolta, disponibile per dispositivi Android e iOS. Inquadrando il QRcode che compare sul risguardo di copertina, l’app apre infatti l’audiolibro corrispondente al volume, all’interno del quale il lettore può muoversi con grande libertà. A sua disposizione ci sono in particolare i tasti per scegliere il capitolo da leggere, per far avanzare la lettura di 60 secondi in 60 secondi, per accelerare o rallentare la velocità di lettura, per inserire dei segnalibri o per stabilire un tempo predefinito dopo il quale l’audiolibro si spegna automaticamente.

Molto intuitiva nell’uso e curata nella registrazione, l’app che rende disponibile la versione audio del libro segna un passo importante nel lavoro che alcune attente case editrici stanno pian piano facendo in favore dell’accessibilità. Mettere infatti il giovane lettore nella condizione di poter accedere al testo attraverso porte diverse, che sarà lui a scegliere a seconda delle necessità personali e del momento, concorre in maniera non indifferente a rendere la lettura più agevole e dunque più piacevole.