Le parole scappate – nuova edizione

Due patologie differenti: Alzheimer e dislessia. Due età opposte: un’anziana e un bambino. Due difficoltà distinte: decifrazione e ricordo. Mariadele e suo nipote sembrerebbero aver poco in comune. Eppure…

Con Le parole scappate, Arianna Papini immagina e fa immaginare come possano convergere storie apparentemente diverse e prive di un binario condiviso. Attraverso un racconto poetico ed essenziale e illustrazioni dal tratto marcatamente sospeso, le parole si scoprono infatti elemento di incontro tra una nonnaa che difetta nella memoria e un ragazzino che stenta a leggere correntemente.

In entrambi i casi le parole si fanno protagoniste di perdite, di mancanze e talvolta di autentiche forme di sofferenza, ma diventano al contempo anche stimolo e strumento di riscatto. La narrazione, verbale e più genericamente artistica, diventa in effetti una possibilità di contatto attraverso la quale nonna e nipote trovano una personale e comune strada per l’accettazione di sé.

Ripubblicato a quasi dieci anni di distanza dalla prima edizione (quando Coccole books si chiamava ancora Coccole e Caccole!), Le parole scappate trova ora un nuovo formato, leggermente più ampio e con copertina rigida, ma anche una nuova grafica interna che valorizza figure e capitoli, che così proposti paion quasi poesie. Niente di più azzeccato: la mano di Arianna Papini, quando scrive e quando dipinge, ha infatti una grazia poetica di fronte alla quale è difficile restare indifferenti.

Le avventure di Augusta Snorifass

Augusta Snorifass è, in tutto e per tutto, una creatura di carta. Lo è in senso metaforico, perché si anima e vive straordinarie avventure grazie alla parola scritta di Chiara Carminati, e lo è nella realtà poiché, come spiega quest’ultima, nasce dalla fantasia di Hans Christian Andersen in persona, che la ritagliò con un bel corredo di vestitini, per fare un dono alla figlia di un caro amico. E proprio da questo aneddoto, poco noto ma molto suggestivo, Chiara Carminati prende le mosse per costruire un personaggio delizioso e intraprendente, che vive nella casa di un certo conte in compagnia di un vanitoso soldatino di piombo e di una fitta schiera di topolini.

A lei che ama ritagliarsi meravigliosi abiti in carte di volta in volta differenti e che non nasconde una certa dose di coraggio, l’autrice dedica otto racconti incantevoli, due per ogni stagione. Troviamo così Augusta in sella all’amico corvo nel tentativo di recuperare gli abiti sparpagliati dal vento, in fuga da un rospo intenzionato a papparsela per cena, alla ricerca di un topolino disperso nel labirinto del castello, all’inseguimento della sua ombra in compagnia di uno scoiattolo o intenta a sfidare il freddo del giardino pur di spedire la sua lettera dei desideri natalizi. Il suo è un mondo piccolissimo in cui succedono cose, in proporzione, straordinariamente grandi.

I racconti di cui si compone Le avventure di Augusta Snorifass sono piccini e deliziosi come dolcetti mignon. Ognuno è in sé gustoso e pieno, oltre che facilmente abbordabile per la lunghezza, ma unito agli altri compone un quadro di ampio respiro, minuzioso e ricchissimo. Esperta tessitrice di parole, Chiara Carminati confeziona delle fiabe moderne molto saporite, che uniscono un certo gusto per i vezzi e le preziosità con una buona dose di peripezie avventurose. E la cura con cui l’autrice cuce i suoi racconti è in fondo la stessa con cui la sua Augusta inventa, taglia, imbastisce e impreziosisce i suoi abiti straordinari.

Nella versione del libro edita da Mondadori le illustrazioni sono firmate, con una scelta a dir poco azzeccata, da Clementina Mingozzi, autentica maestra del ritaglio della carta. Le sue immagini intagliate accompagnano alla perfezione le vicende di un’eroina che di carta è per l’appunto fatta, aggiungendo al volume un tocco fiabesco di grandissimo valore.

Un audiolibro de Le avventure di Augusta Snorifass sembrerebbe partire con uno svantaggio, non potendo evidentemente contare sul prezioso contributo delle immagini. Eppure la versione che ci offre Locomoctavia, in file audio scaricabile o cd MP3, trova il modo di restituire al lettore, per altra via, quel medesimo incanto. Anche stavolta Daniele Fior, che della piccola casa editrice udinese è l’anima e il motore, compie una piccola magia, immergendo il lettore in un’atmosfera che profuma di meraviglia. Lo fa con un uso sapiente della voce, capace di modellarsi su una moltitudine di personaggi differenti, e con l’accompagnamento musicale di Marco dell’Acqua che con il suo pianoforte fa passeggiare, correre, volare ed emozionare il lettore di pari passo con Augusta. L’incontro studiato e accorto di voce e strumento musicale – così come abbiamo imparato ad apprezzare in lavori precedenti come Pinocchio, Il giornalino di Gianburrasca o Il drago di K e altre fiabe polacche – fa in qualche modo quello che su carta fanno le figure di Clementina Mingozzi: amplifica il sapore incantevole delle parole di Chiara Carminati in cui ritaglia una possibilità di immersione ancor più profonda.

È possibile ascoltare un assaggio dell’audiolibro sul sito della casa editrice.

 

Le avventure di Augusta Snorifas, così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, sono inoltre fruibili tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Amiche d’ombra – nuova edizione

Con la sua penna attenta e le sue figure inafferrabili, Arianna Papini sa come catturare il lettore. Quel suo tocco inconfondibile a cui ci ha abituati da tempo e che le è valso moltissimi premi, tra cui l’Andersen come miglior illustratrice nel 2018, lo ritroviamo senza eccezione anche in Amiche d’ombra, storia di un’amicizia che è insieme ordinaria e fuori dal comune.

Qui si racconta dell’incontro e del legame profondo che si instaura tra Arianna e Michela, nel caos spensierato, spaesato ed esplosivo delle scuole medie. In una quotidianità sincera e spiccia, fatta di compiti e concerti, piccole ribellioni e gite scolastiche, amori acerbi e confidenze, le due ragazzine riconoscono l’una nell’altra un’affinità che travalica due caratteri molto diversi – impulsiva ed esuberante la prima, riservata e silenziosa la seconda – e due modi differenti di approcciare il mondo. Michela, infatti, non vede ma la sua cecità si fa spazio nel racconto e nella vita dell’amica come un tassello sì insolito ma non intruso.

Arianna impara pian piano a entrare nel mondo senza vista dell’amica e a condurre quest’ultima attraverso il suo sguardo. Ma lo fa senza quasi accorgersene, con l’intimità spontanea che è tipica dell’infanzia. E proprio questo colpisce nello scorrere queste pagine: come la condivisione di esperienze, sensazioni, momenti e timori tra universi apparentemente non comunicanti trovi una sua naturale dimensione tra le faccende di ogni giorno.

Arianna Papini dà vita a tutto questo con una scrittura in cui ironia pungente e malinconia, frammenti di vita e flussi di coscienza, voci levate e pensieri sussurrati si mescolano senza soluzione di continuità. L’autrice segue, in particolare, il corso di un intero anno scolastico: periodo durante il quale l’amicizia tra Arianna e Michela si consolida. Lo fa attraverso la voce schietta di Arianna che lascia spazio a un ventaglio di sentimenti che riflette bene la complessità emotiva tipica della preadolescenza. Ad amplificare questo aspetto concorrono le splendide ed espressive illustrazioni realizzate dalla stessa autrice, che accompagnano con frequenza il racconto a parole. Sincero e profondo, il ritratto che Arianna Papini offre di una giovinezza e dei legami che la sostengono sa far specchiare i lettori del 2020, nonostante i  vent’anni pieni appena compiuti dal libro e resi qua e là evidenti da riferimenti volanti per esempio ai registratori di una volta e alle canzoni di Elton John.

Pubblicato per la prima volta nel 2000 da Fatatrac nella raffinata collana degli Ottagoni, Amiche d’ombra è ora riedito da Uovonero, che lo propone in un nuovo e leggermente più ampio formato, con una grafica differente e illustrazioni rinnovate. In questa nuova veste i singoli capitoli si esauriscono perlopiù in una doppia pagina e le figure occupano una facciata intera che ne valorizza l’intensità e il concorso emotivo alla narrazione. L’iniziativa è apprezzabilissima perché in un periodo storico di bulimica produzione editoriale fa sì che un racconto vivo e fuori dall’ordinario come questo non vada perduto o dimenticato. A gran voce gridiamo, insomma: bentornate, Amiche!

Il cavaliere saponetta e la terribile strega

L’avevamo lasciato al termine di una avventurosa caccia al drago, più lindo e scintillante che mai, ed ora eccolo di nuovo qui, il lustro e illustre Cavaliere Saponetta! Innamorato della sua Lucy, disordinata quanto basta per mettere alla prova la sua insofferenza per la confusione, il Cavaliere più pulito del reame è diventato papà. La faticosa e itinerante vita da paladino, tuttavia, lo ha tenuto a lungo fuori casa e lontano dal piccolo Max che nel suo ingenuo immaginario altro non è che un galantuomo in miniatura. Grande è, dunque, il suo sconcerto quando Lucy parte per il tradizionale Ballo delle dodici principesse e lui, rimasto da solo ad occuparsi del pargolo, scopre la vera natura del suo pupetto. Quel poppante non sa mangiare con le posate, pulirsi la bocca col tovagliolo, dire pardon quando gli scappa un ruttino né lavarsi con il sapone! Per non parlare dell’odore insopportabile che con frequenza lo avvolge: per il Cavaliere Saponetta è davvero troppo e così si convince a cercare l’aiuto di una strega. Scoperto, però, che questa intende recarsi al Ballo delle dodici principesse per avvelenarne almeno una e prenderne il posto, il Cavaliere rivede le sue priorità, si carica il puzzolente figliolo a cavallo e insieme al fido apprendista Elmo parte all’inseguimento della strega. Segue un’incalzante catena di tallonamenti, travestimenti e rivelazioni che fino all’ultima riga fa fare al lettore il pieno di risate.

Con questa nuova avventura dedicata al paladino della pulizia, intitolata Il Cavaliere Saponetta e la terribile strega, Mattia de Leeum si conferma abilissimo nel tessere trame tutto sommato semplici ma dal ritmo galoppante e dallo spirito irriverente. Stare al passo del Cavaliere Saponetta significa lasciarsi travolgere da imprevisti spassosi e situazioni buffe che rovesciano il côté più prevedibile delle fiabe pur conservandone ambientazioni, personaggi e motivi. Con un effetto divertente e spiazzante, l’autore riesce a mettere in discussione alcuni cliché di genere, ma più in generale sociali, tenendosi però alla larga dalla pesantezza delle storie a tema così come dal rischio di trasformare il rovesciamento di uno stereotipo in uno stereotipo nuovo, solo di segno opposto. E questo accade perché le sue sono prima di tutto buone storie con ottimi personaggi: tutto il resto viene dopo, di conseguenza. Anche per questa ragione il libro scorre così liscio e piacevole, solleticando anche chi della lettura proprio non vuole saperne.

Sinnos, che di solletico al lettore se ne intende eccome, lo colloca non a caso tra I narratori a colori, una collana che propone storie spigliate e ricche di immagini, oltre che stampate con font leggimi e con caratteristiche tipografiche di alta leggibilità. Il lettore a cui Il Cavaliere Saponetta e la terribile strega idealmente si rivolge, che potrebbe essere un bambino dagli 8 anni in su che con la lettura inizia a prendere dimestichezza ma che può ancora facilmente inciampare, viene così stuzzicato con una storia di un certo corpo ma al contempo rassicurato con un’impaginazione gradevolissima e incoraggiante. Perché diventare genitori è un’impresa epica (che si sia o meno Cavalieri Saponetta), ma crescere lettori può non essere da meno!

Tempesta

Instaurare un’amicizia può richiedere tempo. Molto tempo. E insieme al tempo può richiedere pazienza, perché per coltivare una sintonia occorre procedere con cautela, avanzando per tentativi e movimenti talvolta incerti, come in una danza a due improvvisata. E così i due protagonisti di Tempesta – un adorabile cagnolino dal pelo arruffato e una ragazza dai modi gentili – vedono passare più di un giorno prima di potersi avvicinare davvero. Dopo alcuni pomeriggi al parco, popolati di lunghi attese, sguardi e silenzi, sarà un evento inatteso come un forte temporale a dare una svolta al racconto, offrendo ai due protagonisti il pretesto perfetto per darsi finalmente fiducia.

Frutto del lavoro dell’artista cinese Guojing, Tempesta è un albo incantevole che sa rendere tangibili i sentimenti. Il suo gioco attentissimo di inquadrature e punti di vista, distanze e movimenti, rende infatti palpitante l’incontro tra la ragazza e il cagnolino, rendendo chi legge estremamente partecipe. Grazie a immagini dalla potenza silenziosa, quei tramonti malinconici prima e quella notte tempestosa poi, li si avverte sulla pelle, facendo proprio il ventaglio emotivo che muove di pagina in pagina  i protagonisti. Quella che potrebbe apparire come una storia minima, si rivela così oltremodo densa e dilatata, capace di nascondere tra le sue pieghe un autentico tesoro di dettagli e sfumature da cogliere e di cui godere.

Intensissimo e tenero, l’albo di Guojing si presenta come un fumetto senza parole. La sua, infatti, è una scansione in quadri di dimensione variabile che evidenziano minimi passaggi del racconto e rendono molto chiaro cosa accade tra una vignetta e quella successiva. Questa continuità narrativa, unita a uno stile molto realistico, agevola una possibilità di immersione piena e appagante anche da parte di bambini che faticano a compiere inferenze raffinate o a seguire acrobazie stilistiche. L’assenza di parole, dal canto suo, amplia le possibilità di accesso al libro a tutti coloro che trovano un ostacolo nel testo scritto per ragioni legate a disturbi o disabilità come la dislessia o la sordità. Oltre che perché estremamente bello ed emozionante, Tempesta merita dunque un’attenzione particolare per la capacità di abbracciare un pubblico davvero ampio, facendo risuonare corde comuni e profonde.

Il grande libro delle navi

Appassionati di navi di ogni genere, forma e funzione, unitevi: si salpa! Fresco di carpenteria tipografica, Il grande libro delle navi ideato e realizzato da Luogo Comune ed edito da Sinnos propone un minuzioso viaggio tra i diversi tipi di imbarcazioni che nelle diverse epoche, zone geografiche e culture hanno solcato i mari.

A mezza via tra il manuale tecnico, l’enciclopedia e la raccolta di curiosità, Il grande libro delle navi unisce la precisione del primo, la ricchezza della seconda e lo sguardo solleticante del terzo. Le sue pagine presentano brevi testi che raccontano in pochissime e semplici parole le caratteristiche di determinate imbarcazioni e che si accompagnano ad accuratissime immagini dal tratto a pennarello – vere protagoniste dello spazio compositivo – che ne illustrano i dettagli. Opportunamente numerate, queste rimandano a didascalie minime a bordo pagina che riportano il nome preciso, il luogo e il periodo di azione delle diverse navi.

C’è dunque di che perdersi tra navi da carico, pescherecci, case galleggianti e navi pirata. Il punto di forza e di originalità di questo libro sta proprio nel tessere collegamenti non solo tra navi e barche apparentemente molto diverse tra loro ma anche nel creare un ponte galleggiante tra ambiti diversi: dalla storia alla letteratura, dalla geografia all’antropologia. La lettura de Il grande libro delle navi si presta così ad assumere forme, modalità e scopi anche molto differenti tra loro, a seconda di ciò che potrebbe maggiormente catturare l’attenzione del lettore. Come in un viaggio avventuroso a tutti gli effetti, questi può seguire rotte diverse, lasciandosi trasportare dalla corrente o zigzagando qua e là a sentimento.

Supportato da immagini affascinanti e minuziose e da un’impostazione grafica ad alta leggibilità, con font specifico leggimi, sbandieratura a destra e testo poco esteso, il libro di Luogo Comune attira e accoglie il lettore anche con dislessia, attraverso pagine amichevoli che non spaventano ma al contrario chiamano all’immersione.

LeggiXme

LeggiXme può essere definito come un software compensativo per le difficoltà nella lettura, nella scrittura e nel calcolo adatto a ragazzi con disturbi dell’apprendimento. In realtà, è attualmente il più valido progetto di software con strumenti compensativi gratuito e sempre aggiornato, grazie all’instancabile lavoro del suo sviluppatore, Giuliano Serena. Non è assolutamente un fattore di poco conto, anzi. Usare LeggiXme permette di approcciarsi alla sintesi vocale e alla creazione di mappe concettuali con uno strumento semplice ed essenziale, ma valido, permettendo ai ragazzi di provare con un unico programma due strategie di metodo di studio diverse: una maggiormente verbale (l’ascolto del testo con la sintesi vocale) e una maggiormente visiva (la creazione di mappe concettuali).

E’ quindi un programma utile sia come editor di un testo, sia come strumento di sintesi vocale, sia come editor di mappe concettuali.

È possibile ascoltare il testo o parte del testo digitando i tasti “play” e “stop”. Inoltre l’utente può aumentare o diminuire la velocità di riproduzione delle frasi o del testo e cambiare voce. Alcune voci di riproduzione sono a pagamento, altre sono gratuite. Si può impostare la riproduzione per sillabe, oppure far fare lo spelling di una frase o di un testo.

E’ possibile modificare, inserire i disegni, cambiare il carattere di ciò che è stato scritto. L’utente può evidenziare delle frasi o delle parole con colori diversi. Nella parte destra della schermata sono elencati gli errori ortografici con una lista di suggerimenti per modificare le parole oppure con la possibilità di aggiungere le parole non riconosciute dal sistema, come se fossero dei neologismi.

Il software ha la capacità di leggere anche i numeri, è presente la funzione “sinonimi e contrar”. E’ presente la funzione per ingrandire.

Si può evidenziare una parola o una parte di un testo anche in base ai propri obiettivi. È un editor di testo per cui consente di far riassunti e mappe interattive.

Traduzione di parole dall’inglese all’italiano (funzione disponibile solo se è presente una connessione internet). Si possono anche raggruppare i concetti in dei gruppi e catalogarli con numeri e colori diversi. Si possono importare file pdf, jpeg o in altri formati.

La sintesi vocale può essere utilizzata anche per la lettura di testi direttamente su internet, dopo aver fatto una ricerca su internet per esempio.

Il software si presenta come un programma completo e intuitivo, adatto per gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento. I punti di forza sono rappresentati dal controllo ortografico, dalla possibilità di importare altri file (pdf, jpeg etc.) e dallo strumento di elaborazione di mappe concettuali interattive.

Il sogno di Martin

Ci sono figure storiche la cui forza, il cui carisma e la cui storia sono a dir poco ammalianti ed emblematici, e che in quanto tali meritano di arrivare alle orecchie e all’immaginario dei ragazzi. A loro dedica un’attenzione speciale una collana di biografie proposta da Coccole Books e curata da autori diversi: una collana che ha il pregio di mettere in luce il lato squisitamente umano di personaggi che potrebbero apparire distanti dai più giovani, anche solo per ragioni anagrafiche, e che invece approdano su carta con tutta la loro iconicità. Si va da Gianni Rodari a Wangari Maatha, da papa Francesco a Muhammad Alì: profili, esperienze e contesti molto variegati e di grande impatto.

Tutti i volumi che ne fanno parte presentano il font ad alta leggibilità Testme di più agevole lettura anche in caso di dislessia.

Uno di questi volumi – Il sogno di Martin – è dedicato alla figura di Martin Luther King. Il simbolo della lotta pacifica contro il razzismo e per l’uguaglianza dei diritti viene ritratto attraverso alcuni momenti particolarmente significativi della sua vita: da quando ancora ragazzo si ribella a un episodio di discriminazione razziale sul bus a quando vince il premio Nobel per la pace, da quando riesce a portare a Washington 250.000 persone e pronuncia il suo celebre discorso a quando viene ucciso a Memphis in una delle fasi più delicate della sua battaglia non-violenta.

Il libro di Dino Ticli non propone una fotografia dettagliata e puntigliosa dell’intera biografia di Martin Luther King ma preferisce concentrarsi su alcuni momenti, ben scelti e descritti, capaci di restituire ciò che più conta: la forza rivoluzionaria delle sue idee, il valore morale delle sue scelte, la capacità rara di contagiare positivamente le persone intorno a sé così da rendere la lotta indipendente dalla sua figura. E in questo senso appare efficace e apprezzabile la scelta fatta dall’autore di intervallare gli episodi narrati con altrettanti racconti che vedono dei protagonisti diversi dal pastore di Atlanta, distanti da lui sia temporalmente sia geograficamente, ma profondamente vicini ai suoi insegnamenti o capaci di farci cogliere l’estrema attualità e trasversalità di questi ultimi. C’è, per esempio, la storia di Sankar, che in India si mobilità per cambiare il suo destino e quello di tanti bambini del luogo, dalit come lui; c’è la storia di Aziz che sperimenta sulla sua pelle come l’odio tra israeliani e palestinesi vacilli se messo alla prova degli affetti personali; e c’è la storia di Azibo che dall’Africa riesce ad arrivare in Italia, dopo un viaggio terrificante in cui l’umanità appare soffocata e calpestata in molti modi.  Storie multiformi e diversissime con un comune denominatore: la consapevolezza che la battaglia per i diritti non si è interrotta a Memphis nel 1968, che tanta strada ancora e in tanti luoghi c’è da fare e che la forza di una figura come Martin Luther King sta proprio in un messaggio che ha germogliato ovunque e ancora continua a germogliare.

Se la scelta di Dino Ticli complica un poco, da un lato, il compito del lettore di seguire lo sviluppo narrativo, ha dall’altro il merito di rendere omaggio al protagonista del libro, nella maniera più fedele possibile al messaggio da questi lanciato e difeso a costo della vita.

Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (I libri per tutti)

Sulla scia del successo riscosso dalla celebre Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, la produzione di Luis Sepulveda rivolta all’infanzia e pubblicata in Italia da Guanda si è arricchita di altri tre titoli, tutti di stampo simile, a partire dal titolo. Tra questi, figura Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, che vede protagonista una lumaca poco avvezza ad accettare lo stato delle cose senza porsi domande e proprio per questo mal tollerata dai componenti più anziani della sua colonia, da sempre abituati a vivere sotto un calicanto senza mai interrogarsi su di sé o sul mondo circostante. Per trovare le risposte agli interrogativi che le rimbalzano in testa – Perché sono così lenta?, in particolare – la lumaca si allontana dalla colonia e durante il suo viaggio incontra una tartaruga. Grazie alla sua guida, la lumaca scopre cosa c’è poco oltre il prato della colonia e quanto possono essere pericolose le auto degli uomini che sfrecciano a tutta velocità. Per questo si attiva per portare la colonia in salvo, in un posto più sicuro, ma solo le lumache più giovani decidono di seguirla. Il viaggio non è per nulla semplice, tanto che a ogni tappa il numero delle lumache superstiti scende. Ciononostante Ribelle – così la tartaruga chiama la lumaca prima di scomparire – porta a termine la sua missione, trovando infine una terra felice in cui sentirsi al sicuro.

Trasformato in un ebook in simboli dalla Bottega editoriale della Fondazione Paideia, grazie al progetto I libri per tutti, il libro viene ora proposto in una versione accessibile anche a giovani lettori con difficoltà di decodifica del testo alfabetico. Rispetto agli altri titoli della collana I libri per tutti, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza si rivolge ad un pubblico con abilità cognitive e comunicative più sviluppate e appare senz’altro più impegnativo sia da leggere sia da simbolizzare. Più lungo, più articolato e più filosofico, il testo non risulta semplicissimo da seguire anche a causa di alcuni tagli e semplificazioni che rendono un po’ oscuri alcuni passaggi e che in parte sottraggono all’originale il suo velo poetico (mentenuto intatto, invece, nelle tavole di Simona Mulazzani, preziose e affascinanti come nella versione tradizionale). Appare tuttavia apprezzabile l’intento di proporre occasioni di lettura appetibili e su misura anche per lettori un po’ più grandi e abituati a leggere in simboli di quelli cui normalmente si rivolgono i volumi ispirati alla CAA. In questo senso anche le attività ludiche proposte in coda al testo sono un po’ più complesse e prevedono l’individuazione, tramite simboli da tappare, delle caratteristiche più pertinenti ai diversi personaggi; la composizione di frasi composte da 5-4 simboli; e la memorizzazione e l’unione di carte identiche secondo il meccanismo tipico del memory.

 

I libri per tutti

Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, in questa nuova versione digitale e in simboli, rientra nel progetto I libri per tutti, promosso da Fondazione Paideia in collaborazione con quattro grandi gruppi editoriali: Gems, Mondadori, Giunti e DeA Planeta libri.

I titoli che fanno parte del progetto, messi a disposizione dai rispettivi editori per l’adattamento e la simbolizzazione, vengono proposti in formato digitale: scelta questa che amplifica le possibilità di personalizzazione, cosa non da poco quando si parla di bisogni speciali di lettura. Allo stesso tempo questo nuovo formato incentiva l’interazione e il coinvolgimento e questo può costituire allo stesso modo un vantaggio o uno svantaggio a seconda del lettore che ci si trova davanti. La possibilità di compiere azioni sullo schermo – tappando i simboli che attivano così il modeling o toccando i punti sensibili delle illustrazioni che attivano così un movimento – può costituire infatti fonte di distrazione o al contrario motivo di aggancio al testo. In questo senso particolarmente significativi e versatili risultano quei titoli – come Brucoverde o I tre porcellini – che all’ebook uniscono anche il libro cartaceo, a sua volta adattato e simbolizzato.

La simbolizzazione dei testi, curata dall’équipe della Bottega Editoriale di Fondazione Paideia, prevede l’utilizzo della collezione WLS (Widgit Literacy Symbols) e non segue un modello particolarmente rigido di traduzione, optando piuttosto per la valutazione di soluzioni diverse – per esempio rispetto all’accorpamento di più elementi testuali all’interno di un  unico simbolo – a seconda dei casi. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra rispetto della complessità ed effettiva leggibilità del testo: equilibrio che può variare sensibilmente in base al tipo di testo e al target di riferimento.

Tutti gli ebook de I libri per tutti comprendono 3 sezioni, denominate ModelingLeggi e Gioca. La prima propone il testo in simboli nella parte bassa della pagina mentre in quella più alta colloca le illustrazioni, animabili in certi punti al semplice tocco o trascinamento. Il modeling dal canto suo può essere attivato in una duplice modalità: quella automatica, per cui l’audio scorre fluido e i simboli vengono evidenziati man mano che sono pronunciate le parole corrispondenti; e quella manuale, per cui l’audio si attiva solo nel momento in cui viene toccato il singolo simbolo. La seconda sezione propone una pagina divisa in maniera analoga ma qui il testo è esclusivamente alfabetico. L’audio può essere attivato o disattivato. Nel primo caso scorre in maniera automatica mentre simultaneamente vengono evidenziate le parole pronunciate. L’ultima sezione, infine, propone 3 attività ludico-didattiche che – seppur diverse nel contenuto da libro a libro – prevedono quasi sempre l’ordinamento o la scelta di simboli per completare una frase, l’ordinamento o la scelta di simboli e illustrazioni in base a specifiche istruzioni (trovare il colore giusto, ordinare per grandezza…), il completamento cromatico di un’immagine tramite passaggio del dito dello schermo.

Ogni ebook prevede in apertura una pagina essenziale che riassume e anticipa il significato delle icone che il lettore potrà trovarsi davanti durante la lettura e delle azioni che potrà compiere per districarsi tra le pagine. Tra queste, non manca per esempio il movimento per voltare pagina che prevede lo spostamento di un quadrato colorato all’interno di un quadrato bianco: azione studiata per risultare più agevole del più comune gesto di sfogliatura.

Personalizzazione la lettura, interazione, moltiplicazione degli spunti ludici e degli strumenti in un’ottica di accessibilità costituiscono in definitiva i veri punti di forza di questo progetto che ha senz’altro il merito di mettere in valore le specificità del digitale e di accendere un faro sulle possibilità aperte da quest’ultimo in favore dell’inclusione.

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Madelief. I grandi, buoni giusto per farci il minestrone

Avevamo lasciato la vulcanica Madelief, al termine del volume Madelief. Lanciare le bambole, in procinto di salutare la sua casa e i suoi amici e di traslocare in un’altra città con la mamma. E proprio in questa nuova città la ritroviamo ora, all’inizio del secondo volume che la vede protagonista, intitolato Madelief. I grandi, buoni giusto per farci il minestrone.

Senza i suoi compagni storici di giochi – Roos e Jan-Willem – e nel pieno della chiusura della scuola, Madelief rimugina sull’ingiustizia di quel trasferimento e si guarda intorno alla ricerca di qualche appiglio che restituisca alle sue giornate vuote una parvenza di normalità. Impegnata più del solito nel suo lavoro, la mamma di Madelief è particolarmente assente e, nonostante sia affidata per alcune ore al giorno a una giovane tata di nome Mieke, la bambina lamenta con insistenza questa assenza ai suoi occhi ingiustificata.   Animata da un sentimento di incomprensione e di insofferenza verso il mondo degli adulti, così ottusi e noiosi, Madelief allarga il raggio delle sue esplorazioni e si spinge fino a una casa abbandonata: un rifugio misterioso, un luogo perfetto per starsene in pace e coltivare una nuova amicizia con un bambino da poco conosciuto di nome Robbie. Con lui Madelief condivide segreti, scorribande e sentimenti contrastanti: piccoli avvenimenti ordinari che, grazie al talento inestimabile di Guus Kujer, dipanano un fluire narrativo che sembra di poter toccare e vivere da dentro.

Stampato con caratteristiche di alta leggibilità, proprio come l’episodio precedente, Madelief.  I grandi, buoni giusto per farci il minestrone si caratterizza però per una struttura leggermente differente. Mentre nel primo volume, infatti, ogni capitolo proponeva un’avventura quasi a sé stante, qui i capitoli risultano più legati tra loro a formare un’unica vicenda. Rimane invariata, tuttavia, la loro brevità che ne agevola l’approccio anche da parte di bambini che percepiscono il testo scritto come un possibile ostacolo con cui cimentarsi.

 

 

 

 

 

 

Le disavventure del Barone Von Trutt

Il Barone Von Trutt è un tipo raffinato e a tratti irresistibilmente snob. Abituato a lussi inauditi e accudito da una schiera di servitori inconsapevoli, il Barone coltiva una passione straordinaria per la poesia e vanta un lessico a dir poco forbito, soprattutto se si considera che è un bassotto!

Nato dalla penna di Alice Keller e dalla matita di Veronica Truttero, il Barone Von Trutt esordisce nel 2018 sul giornale per bambini Lo Spunk. Da qui grazie a Sinnos, che delle due autrici aveva già pubblicato Hai preso tutto? e Contro corrente, l’elegante bassotto approda alla sua prima avventura libresca che sa mantenere ed esaltare a pieno il suo surreale aplomb nobiliare. Sarà bello, dunque, per i suoi fan, ritrovarlo protagonista di un lungo racconto illustrato, ma sarà altrettanto piacevole, per chi ancora non l’ha incontrato, farne la conoscenza tra queste pagine di grandissima ironia.

Le disavventure del Barone Von Trutt vedono il bassotto, suo malgrado, al centro di una vacanza di famiglia in direzione mare. Compagni di viaggio dell’insofferente Barone sono i componenti della famiglia Sigismondi: papà e mamma, l’adolescente Giovanni detto John Lennon, la giovane Antonia che più di tutti è affezionata al cane e i due piccoli gemelli Duccio I e II. Il viaggio parte con le peggiori premesse: il Barone viene catapultato in macchina senza preavviso, chiuso in un misero trasportino. Come se non bastasse, il traffico intenso, il meteo instabile, le lamentele infantili e gli smarrimenti di rotta rendono il percorso particolarmente difficile. Per non parlare della scadenza del concorso di poesia cui Von Trutt tanto tiene: decisamente vicina, lo costringe a optare per partecipare in extremis nella sezione Viaggi. Peccato che la vacanza si riveli infine più breve del previsto, costringendo tutti – famigliari a due e a quattro zampe – a una ritirata a tratti fantozziana.

Moderno e blasonato Snoopy dalle analoghe sorti letterarie, il Barone Von Trutt regala al lettore un originale punto di vista sulla realtà che rende divertenti e appassionanti anche gli eventi più ordinari. Ad accentuarne l’eccentricità sopraggiunge, poi, la frequente citazione da parte sua di poesie auliche opportunamente distorte che offrono una scherzosa riscoperta di grandi voci del passato, da Petrarca in poi. Così, a leggere Le disavventure del Barone Von Trutt ci si lascia solleticare dall’idea di parlare ai più giovani di poesia a partire da spunti tanto inaspettati quanto stuzzicanti. Un motivo in più per apprezzare un volume tutt’altro che prevedibile, la cui forma grafica difficilmente trova soddisfazione in un’etichetta tradizionale. Il libro mescola infatti racconto illustrato e fumetto, rendendo così la lettura estremamente dinamica e piacevole: aspetto questo che gioca un ruolo non marginale nella costruzione di una proposta accessibile e accattivante anche per quei lettori che per ragioni diverse – dislessia in primis, ma non solo – vedono il libro come un possibile nemico.

Il vestito dei sogni di Rose

Che siate bambine degli anni ’80, armate di fogli, pastelli e ruote da girare, o che siate figli di un millennio più giovane, a cui il gioco Gira la moda non dice proprio nulla, poco importa: Il vestito dei sogni di Rose saprà trasmettervi il fascino di un mondo fantastico in cui forme, textures, tessuti e colori possono dare vita a meraviglie da indossare.

Qui si viene catapultati grazie a Rose, ragazza di fine settecento appassionata d’abiti e desiderosa fin dalla più tenera età di creare vestiti sorprendenti. Tenace e visionaria, Rose non si fa condizionare dalla sfiducia dei familiari e un giorno parte per la capitale francese, decisa a coronare il suo sogno. Qui inizia a lavorare presso la boutique di Mademoiselle Pagelle ma è la fortuna – quella che in effetti aiuta gli audaci – a offrirle l’occasione giusta per fare il salto di qualità. L’incontro sotto mentite spoglie con la principessa de Conti farà infatti di lei la prima vera stilista della storia.

Ispirato alla storia vera di Marie-Jeanne Rose Bertin, di cui si riporta alla fine del volume una breve biografia, Il vestito dei sogni di Rose è un libro piacevole e di agevole lettura, sia per la vicenda narrata sia per le caratteristiche compositive e di stampa. Il libro fa parte infatti della collana leggimi di Sinnos e si contraddistingue, oltre che per font ad alta leggibilità e spaziatura particolari, anche per la frequenza e il brio delle illustrazioni. Dominate dai toni di rosa, queste strizzano chiaramente l’occhio a lettori e lettrici amanti della moda. La storia che supportano va però ben oltre la passione per modelli e bozzetti: Rose è infatti un personaggio femminile forte ed emancipato, capace di seguire un sogno e di coltivarlo nonostante gli ostacoli posti dalla cultura dominante. In sintonia con la fitta schiera di donne esemplari – dalle Cattive ragazze ad Annie Kopchovsky di Annie e il vento – raccontate con intensità e impegno da Sinnos, Rose dà vita a un racconto da cui lasciarsi ispirare e avvolgere.

La porta

Dopo averci incantato con La piscina, l’autrice coreana Ji Hyeon Lee torna a deliziarci con un libro di grande impatto: La Porta, sempre edito da Orecchio Acerbo.

Protagonista di questa nuova avventura per sole immagini è un bambino che un giorno incappa casualmente in una grossa chiave. Il mondo in cui si muove è un mondo in bianco e nero e le persone che lo circondano hanno tutte un’espressione torva, diffidente. Ma il bambino no. Lui si guarda intorno, mosso piuttosto da un misto di curiosità e stupore: quelli che probabilmente gli consentono di scorgere una porta a cui nessun’altro ha badato. È una porta misteriosa, apparentemente abbandonata da anni, coperta di ragnatele e a ben vedere, nella sua toppa, la chiave trovata gira. Aperta la porta, quello che si schiude davanti agli occhi del bambino è un mondo straordinario. È un mondo a colori, tanto per cominciare, in cui si muovono creature fantastiche che parlano lingue ignote. Incuriosito, il bambino entra in relazione con queste figure, dapprima in maniera un po’ spaventata, poi circospetta, e infine sempre più coinvolta e sorridente. Queste lo accompagnano alla scoperta di una realtà per lui nuovissima in cui quasi tutto ha un che di sorprendente, fatto salvo per le relazioni che si attivano e che si manifestano nelle piccole azioni quotidiane. Così, anche in un paese in cui gli skateboard si realizzano con le foglie, i cocomeri più succulenti sono verdi dentro e gialli fuori e soprattutto le porte disseminate un po’ dappertutto non conducono in casa ma in luoghi e tempi surreali e inattesi, l’amicizia e l’affetto appaiono del tutto riconoscibili e autenticamente possibili anche tra creature dissimili, per aspetto o per lingua parlata. Tra un picnic al parco, una passeggiata nel verde e una sbirciata al villaggio, il bambino fa dunque esperienza di una diversità multiforme – cromatica, estetica e linguistica, per esempio – in cui si cala e da cui si lascia positivamente accogliere, fino a prender parte a quella che appare come una festa: una festa di matrimonio, nello specifico, ma più in generale una vera e propria festa dell’immaginazione. Da questa, infine, il bambino si congeda, rientrando nel suo mondo originario, non prima però di essersi premurato di lasciare aperta la porta misteriosa. In questo modo, si lascia intendere, potrà tornare in quel mondo fantastico, ma allo stesso tempo – perchè no? – anche quel mondo fantastico potrà venire da lui. Perché l’incontro è un movimento che segue sempre due direzioni, e prima della quarta di copertina qualcuno pare confermarcelo…

Stratificato nelle possibilità di senso e disseminato di dettagli che difficilmente si esauriscono in una, due o tre letture, La porta è un libro che sospende il tempo e fa librare l’immaginazione. Lo stile sussurrato di Ji Hyeon Lee si presta perfettamente a una narrazione che fa a meno delle parole e che come tale predispone un terreno accogliente e ricco di soddisfazione anche per giovani lettori normalmente ostacolati dalla presenza vincolante di un testo scritto ma del tutto a loro agio nel leggere immagini e compiere attraverso di esse viaggi fantastici anche di una certa complessità. In quest’ottica, i balloons che spesso accompagnano i personaggi, riempiti di scritte del tutto illeggibili e facenti capo a una lingua immaginaria,  non risultano esclusivi nei confronti di nessun lettore ma arricchiscono piuttosto la narrazione e ne delineano alcuni possibili percorsi, invitando chi legge a immaginare i dialoghi che contengono.

È un libro illuminante, La porta, sopratutto per chi crede nel potere dei libri come ponti. E non solo perché vi si legge della possibilità di costruire legami oltre le differenze, ma anche perché dà spazio alla curiosità come motore imprescindibile di scoperta; perché pone l’accento sulla varietà di modalità comunicative che possono esistere e sulla necessità di trovare tra di esse una convergenza; e perché interpreta con forza la pagina come soglia che divide da mondi altri ma che al contempo può spalancarli, se solo si possiede la chiave giusta da girare nella toppa (o se qualcuno ha la sensibilità di lasciare la serratura aperta): riflessioni che, ben al di là probabilmente delle intenzioni dell’autrice, rivelano una puntualità e una pertinenza particolarmente sorprendenti soprattutto se messe in relazione alla questione del diritto alla lettura e della sua concretizzazione in caso di disabilità. Quest’ultima invita infatti a chiedersi come si possa far partecipare tutti a quella straordinaria festa dell’immaginazione che è la lettura e quali chiavi consentano a lettori con esigenze diverse di superare davvero l’uscio oltre il quale la festa si svolge: perché la lettura è o dovrebbe essere partecipazione piena, immersione travolgente, esperienza di ricchezza.

Pasticci fra le nuvole

Dimenticate gli angeli pacati e serafici di tradizionale memoria: il protagonista di Pasticci fra le nuvole è sì un angelo, ma decisamente di altro stampo. Irrequieto e impertinente, con una certa propensione a escogitare scherzi e dispetti, Gabriel è un giovane cherubino che frequenta il collegio Castel Nuvola. Nelle sue giornate si alternano a identico ritmo lezioni angeliche – si va dal canto al volo, dall’invisibilità alla lettura – e punizioni di varia entità. A ogni marachella combinata da Gabriel segue infatti, puntualmente, il castigo inflitto dalla rigida Madame Longbec, preside dell’istituto. Un giorno Gabriel la combina particolarmente grossa, rovinando il concerto scolastico, e Madame Longbec gli impedisce di andare in gita con i compagni. Non tutti i mali vengono per nuocere, però: la sua reclusione diviene infatti l’occasione di mettersi alla prova come angelo custode di un giudizioso bambino rimasto sprovvisto del suo protettore e di dimostrare a tutti il suo talento.

Ironico e leggero, Pasticci fra le nuvole si fa apprezzare per le gustose invenzioni narrative che trasformano in ottica celestiale attività e oggetti tipicamente umani e per un ritmo scanzonato e dinamico che allontana il pericolo di una lettura noiosa. Questo, unito alle caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono il libro – font leggimi, spaziatura maggiore tra lettere, righe e paragrafi, sbandieratura a destra e carta color crema -, ne favorisce l’approccio anche da parte di bambini con difficoltà di lettura legate per esempio alla dislessia.

Grimms Marchen ohne worte (Germania)

Parola d’ordine: rimescolare le carte e rompere gli schemi. Questo, in soldoni, lo spirito di Grimms Marchen ohne worte, divertentissimo libro di origine tedesca. Dedicato alle fiabe popolari più note (letteralmente il titolo significa Le fiabe dei Grimm senza parole), il volume raccoglie 16 fiabe di ampia diffusione – da Cappuccetto Rosso a Biancaneve, dai Musicanti di Brema a Raperonzolo – raccontate in una maniera a dir poco originale.

Scandita da vignette riquadrate, dallo stile minimale e collegate tra loro da frecce che evidenziano il percorso di lettura, ogni fiaba sfrutta una tecnica narrativa ibrida che mescola racconto per immagini e racconto in simboli, rivestendo i pittogrammi di un ruolo comunicativo differente rispetto a quello che siamo abituati ad attribuirgli all’interno dei libri ispirati alla Comunicazione Aumentativa e Alternativa. In luogo di fungere da rafforzamento del testo alfabetico, i pittogrammi diventano qui il contenuto di efficacissimi balloons non verbali. Così, laddove presenti, le nuvolette tipiche dei fumetti vengono riempiti da icone singole o da combinazione di icone che danno vita a una vera e propria lingua per immagini ampiamente condivisibile, incisiva e dall’alta qualità sintetica.

La lettura, forte soprattutto di una pregressa conoscenza delle fiabe, acquisisce così gusto e sfizio poiché assume i contorni di una continua sfida a interpretare un codice nuovo: un codice che permea la nostra quotidianità (dalla segnaletica stradale agli emoji del cellulare), ma che esula dalle nostre consuetudini letterarie; un codice la cui immediatezza diventa la chiave per stimolare una forma di lettura nuova che superi barriere linguistiche e comunicative, malgrado il volume non nasca con questa precisa intenzione. Alla luce di questo, il libro apre riflessioni interessanti in merito alle possibilità narrative generate e generabili dall’incontro e dalla contaminazione tra codici e generi differenti.

Ma la sperimentazione e il sovvertimento delle regole sono cosa cara a Frank Flothmann anche da un punto di vista contenutistico. E così, oltre a stuzzicare il lettore con una lettura (o una rilettura) insolita di storie sedimentate, l’autore lo sorprende con irresistibili dettagli umoristici o gustosi cambi di trama. Così, per esempio, la matrigna di Hansel e Gretel esce di scena a causa di un accidentale colpo d’ascia del marito boscaiolo o il lupo di Cappuccetto rosso, graziato dal cacciatore, si ritrova a far da cameriere alla gaia tavolata di famiglia della bimba incappucciata.

L’unione di questi elementi fa sì che un libro come Grimms Marchen ohne worte si presti a una lettura stimolante da parte di pubblici anche molto diversi tra loro per età (adulti tutt’altro che esclusi!), abilità e abitudini comunicative. Il libro offre inoltre un terreno fertilissimo per avviare attività, didattiche e non, su codici, fiabe e narrazione che non prescindano da un certo divertimento.

 

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Le secret de la maîtresse (Francia)

È senza dubbio un libro tattile illustrato, Le secret de la maîtresse, ma fin dal formato si distingue da quelli cui siamo abituati. Non è infatti un volume di grosse dimensioni, dalla forma rettangolare, dalla copertina rigida e dalla presenza massiccia di figure da esplorare con le dita. Tutt’altro, e proprio per questo merita un’attenzione particolare. Snello e maneggevole, il libro pubblicato dall’editore francese Mes Mains en or si presenta poco più grande di tascabile, con alcune illustrazioni tattili di piccola dimensione sparse qua e là tra le pagine e diverse altre raccolte in una borsina (elemento chiave della narrazione in questione). Le pagine sono dunque perlopiù composte da testo – in nero e a grande carattere da un lato e in Braille dall’altro – e raccontano uno storia dalla misura, dalla struttura e dal contenuto perfetti per prime letture autonome. Non si tratta insomma di un albo tattile ma piuttosto di un breve racconto illustrato che offre anche a bambini con disabilità visiva alle prime armi con la lettura autonoma, l’opportunità di godere, al pari dei loro coetanei, di un libro davvero adatto alle loro esigenze: non troppo semplice, breve o focalizzato sulle figure, quindi, ma nemmeno del tutto privo di illustrazioni.

La storia narrata, dal canto suo, è buffa e leggera. Protagonista è una maestra che, ingrassata un po’ negli ultimi tempi, desta i sospetti dei suoi alunni che iniziano a fare ipotesi sul suo stato di salute. Tra tesi da verificare, tentativi di origliare e misteri svelati a causa di una borsetta rovesciata, il racconto si sviluppa con ritmo agile e avvincente. Adattata a partire da un volume di grande successo in Francia, scritto da Sylvie De Mathuisieulx e illustrato da Benjamin Chaud, questa versione de Le secret de la maîtresse presenta degli elementi tattili tanto semplici quanto efficaci sia nel rendere riconoscibilissimi i soggetti cui si riferiscono (una mela, un barattolo di vernice, oggetti da borsetta come ferri da maglia, blister di pastiglie, cuffiette e lettore mp3), sia nel rendere la lettura una piccola avventura che solletica la curiosità e l’immaginazione.

Boucle d’or – collana Raconte à ta façon (Francia)

La collezione Raconte à ta façon è, già nel titolo, un piccolo manifesto di lettura che condensa bene la filosofia dei silent book. Raccontare la storia alla propria maniera, a piacimento insomma, è infatti una delle caratteristiche che rendono i libri senza parole così intriganti e così accessibili poiché ciascuno può trovarvi la sua personalissima strada per dare forma al racconto. Ma la collezione di Flammarion va forse anche un poco oltre perché i silent book di cui si compone, tutti dedicati a fiabe tradizionali, asciugano a tal punto la storia di base, grazie a una rappresentazione simbolica  ed essenziale di personaggi, oggetti e ambienti, che restituiscono davvero al lettore la massima libertà narrativa.

Nel caso di Boucle d’or, per esempio, Riccioli d’oro diventa un triangolo dorato, i tre orsi tre cerchi marroni di dimensione crescente e tutti gli elementi chiave della storia – dalla foresta alla casa, dalla tavola al letto – trovano rappresentazione in forme stilizzatissime. Questo fa sì che anche una fiaba arcinota come Riccioli d’oro (o come Cappuccetto Rosso, I tre porcellini e Il gatto con gli stivali per citare alcuni altri titoli della collana) possa ritrovare una veste nuova e un’interpretazione originale capace di gettare nuovi semi e nuovi stimoli nell’immaginario del lettore. Inoltre, l’accessibilità dettata dall’assenza di parole si rafforza qui in virtù di una rappresentazione minimal e del tutto priva di fronzoli che aiuta il lettore a non perdersi: caratteristica, questa, che predisporrebbe infine il volume anche a un’agevole trasposizione tattile così come dimostrato in passato dal magistrale lavoro di Les Doigts Qui Rêvent sul Cappuccetto Rosso di Warja Lavater.

Favole di pace

Qualche decina di anni sulle spalle ma uno spirito bambino inscalfibile: così le Favole di pace scritte dal maestro Mario Lodi continuano a mantenere una freschezza che le fa gustare con autentico piacere. Ispirate dagli stessi bambini che di Mario Lodi erano allievi e insieme a loro composte, così come accaduto per il forse più celebre Cipì, le Favole di pace sono 14 racconti brevi, perlopiù in prosa ma qualcuno anche in versi, che gettano uno sguardo fantastico ma anche molto lucido sulle storture del mondo che l’uomo crede a torto di possedere e sugli esiti luminosi che una cultura della solidarietà, del rispetto e della pace potrebbe invece portare con sé.

Macchine che permettono lo scambio dei pensieri, intere classi di bambini in volo al motto di “basta volerlo”, prati che custodiscono segreti musicali, isole sospese in cui ritrovare i propri cari perduti, bambini capaci di entrare nel televisore: i personaggi e le cornici messe in scena da Mario Lodi sono i più variegati e dinamici. Ad accomunarli, il ruolo decisivo che bambini e animali hanno nel rimettere in sesto un mondo  sottosopra. E così, intorno alla penna lievissima ma pungente dell’autore crescono foreste rigogliose e invenzioni straordinarie, scoperte sensazionali e ribellioni salvifiche che trasformano uno sguardo disinteressato e curioso come quello infantile in un’occasione di riscatto per il pianeta intero.

Pubblicate in precedenza da la meridiana, le Favole di pace vengono ora riproposte dalle Edizioni Terra Santa in una deliziosa versione illustrata da Desideria Guicciardini. Impreziosita e irrobustita da una copertina rigida così come gli altri titoli della bella collana Gli Aquiloni, il volume presenta un’impaginazione tutt’altro che claustrofobica che grazie a una spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, alla sbandieratura a destra del testo e all’adozione di un font ad alta leggibilità (Easyreading) si presenta amichevole e invitante anche agli occhi di lettori riluttanti o meno a loro agio di fronte a un libro, per ragioni di abitudine o di difficoltà di lettura. L’invito d’altro canto non è ingannevole: i testi di Mario Lodi sono infatti godibilissimi, con guizzi fantastici che accendono l’immaginazione e tocchi ironici che schiudono sorrisi. Le figure di Desideria Guicciardini  che li affiancano passo passo, minuti nei centimetri occupati e nei dettagli colti, spargono dal canto loro una vivace allegria sulla pagina, cogliendo con finezza la leggerezza pensosa del maestro di Vho.

Il volo di Nura

Con Il volo di Nura, racconto illustrato dal sapore antico, le Edizioni Terra Santa inaugurano una collana interessante, intitolata Gli Aquiloni e contraddistinta da veste grafica molto curata e da caratteristiche di stampa ad alta leggibilità. Insieme al libro di Paola Caridi e Maria Teresa de Palma, vi si trovano da gennaio 2020 anche le Favole di pace di Mario Lodi e figureranno a breve due titoli dalle firme significative quali quelle di Daniela Palumbo e Roberto Piumini.

Il volo di Nura, dal canto suo, anticipa bene le qualità della collana, presentandosi come un volume raffinato dalla copertina rigida, dall’impaginazione ariosa e dalle illustrazioni suggestive. La storia che contiene è quella della giovane Nura, amante del racconto orale e animata da un sentimento misto di incanto e timore nei confronti dello zio Abu-Elias da tutti apprezzato come cantastorie. Anche Nura vorrebbe seguire le sue orme ma la tradizione non prevede una simile carriera per le donne. A trasformare il sogno della bambina in una realtà adatta a tempi moderni, sarà l’incontro onirico con un personaggio misterioso e un po’ inquietante: un baffo parlante di Abu Elias. In sua compagnia, Nura compie un viaggio notturno sulla città di Gerusalemme scoprendone da una prospettiva insolita bellezze e ferite e trovando nella cultura profonda che la città custodisce l’ispirazione necessaria per seguire il suo destino.

Suggestivo ma non immediatissimo, per via di una narrazione riflessiva più che votata all’avventura e di una profonda ricchezza di riferimenti alla storia e alla cultura araba, il racconto di Paola Caridi propone una lettura sospesa tra dimensione reale e dimensione onirica, la cui commistione viene amplificata dalle affascinanti e armoniche illustrazioni di Maria Teresa de Palma. Se può risultare un po’ ostico, soprattutto se proposto a lettori che vedono nel libro un potenziale scoglio, Il volo di Nura si presta però bene a offrire uno spunto intrigante per approfondire insieme ai giovani lettori  la complessità della cultura racchiusa in una città straordinaria come Gerusalemme.

Shotaro. Il bambino che voleva diventare samurai

C’è il fascino dell’antica cultura giapponese. C’è il brivido della battaglia e dello scontro senza concessioni. C’è una bella riflessione sui limiti e sul loro superamento, per nulla appesantita da moralismo spicci. E c’è il calore dell’amicizia e dell’affetto più profondi. Tutto questo c’è in Shotaro, il bambino che voleva diventare samurai, avvincente romanzo per ragazzi e ragazze coraggiosi e prima prova d’autore della scrittrice umbra Maria Giulia Cotini.

Protagonista è un ragazzo di nome, per l’appunto, Shotaro. Nato in una famiglia di samurai molto nota e rispettata, Shotaro desidera con tutte le sue forze seguire le orme del padre. Nessuno intorno a lui sembra però credere che possa riuscirci. Shotaro presenta infatti una disabilità motoria che gli rende difficoltoso camminare e reggersi in piedi e questo sembrerebbe impedirgli una carriera da guerriero e destinarlo piuttosto a quella da monaco. La determinazione di Shotaro, la guida di un saggio abate e l’incontro decisivo con alcuni coetanei e maestri rimescolano però le carte in gioco, costringendo tutti a rivedere i propri pregiudizi.

Al monastero in cui viene accolto Shotaro arrivano infatti un giorno un ronin, ossia un samurai disonorato, di nome Kenwa  e suo figlio Akira. Ripudiati dalla comunità, i due ricevono comunque la fiducia dell’abate e vengono da questi incaricati di addestrare i giovani del villaggio, così che possano essere pronti a difendere la comunità dall’imminente attacco di un dispotico signore feudale. La condizione posta dall’abate è che anche Shotaro riceva gli insegnamenti e da qui, per il ragazzo, inizia un percorso del tutto inatteso che lo porterà a imparare tecniche di combattimento adatte alle sue abilità, riconoscendo e sfruttando i suoi punti di forza, a frequentare la più prestigiosa accademia per Samurai della zona, resistendo a prove durissime e sfidando con coraggio bulli e prepotenti, e infine a prendere parte a un piano rischiosissimo da cui dipenderà la salvezza del padre e la libertà del villaggio.

Bellissima e significativa, in particolare, la scena in cui Shotaro incontra per la prima volta Akira. Qui emerge infatti l’indole tenace di chi cerca di sfuggire al proprio destino, quell’indole che unisce nel profondo i due personaggi nonostante la loro apparente diversità e che fa la differenza nel portare il racconto verso un lieto fine: un lieto fine avventuroso e travolgente in cui Shotaro si mostra in tutta la sua forza, senza mai tuttavia sposare l’idea che nulla sia impossibile. L’idea che permea l’intero romanzo è infatti che i limiti non siano necessariamente superabili ma piuttosto che ciascuno debba avere l’opportunità di sfidarli.

Pomodori da scartare

Il signor Ennio è grande e grosso, i suoi capelli sono un po’ brizzolati, ma il suo sguardo assomiglia piuttosto a quello di un bambino. È uno sguardo curioso e attento il suo – capace di riconoscere in un istante i pomodori buoni da quelli da scartare – che si accompagna a movenze istintive, talvolta ingenue, così come a parole semplici e circoscritte. Il suo apparire e comportarsi in maniera non ordinaria non sfugge alla piccola narratrice, figlia del proprietario dell’azienda agricola per cui Ennio lavora, che con lui instaura una conversazione profonda che parla di libertà e dignità, possibilità e riscatto. Tra le righe ma non troppo scopriamo infatti che il signor Ennio è stato rinchiuso per anni dentro un ospedale psichiatrico e che l’opportunità di lavorare tra pomodori e ortaggi è per lui l’occasione preziosissima di ritrovare un po’ di respiro in mezzo la nebbia calata in tanti anni di reclusione sui suoi pensieri.

Scritto in punta di piedi da Valentina De Pasca e illustrato con altrettanto sospeso garbo da Brunella Baldi, Pomodori da scartare è un libro forte e delicato al contempo, in cui si percepiscono una grandissima e rispettosa attenzione nei confronti di quel complesso processo che ha portato alla chiusura degli istituti psichiatrici a seguito della legge Basaglia e dell’impatto che quel tipo di esperienza può aver avuto sulle persone come Ennio. Il ricercato equilibrio tra il detto e il non detto, tra la schiettezza e la metafora, che autrice e narratrice coltivano in sincrono predispone il volume a una lettura di grande suggestione e stimolo per lettori di età anche moto diverse tra loro. A concorrere a una lettura il più possibile ampia concorre inoltre la scelta delle Edizioni Gruppo Abele di stampare il volume con caratteristiche di alta leggibilità che ne agevolano la fruizione anche in caso di dislessia. Pomodori da scartare si fa così notare per una generale sensibilità nei confronti delle fragilità, tanto nel contenuto quanto nella forma.

Il segreto di Isabella

Ambientato nel secondo dopoguerra, quando nuove possibilità di svago e incontro hanno iniziato a farsi largo per i bambini italiani, Il segreto di Isabella vede protagoniste tre ragazzine e la loro stretta amicizia cresciuta in seno allo scoutismo. Da poco ricostituitosi ufficialmente dopo la chiusura forzata imposta dal fascismo, il movimento scout accoglie, infatti, Serena e Cecilia, vicine di casa e amiche per la pelle. Le due bambine sono a dir poco elettrizzate all’idea di vivere nuove esperienze di gioco, amicizia e avventura nei boschi: l’appartenenza al gruppo scout è un modo, per loro, di consolidare il  legame che le unisce e di viverlo al di fuori della cornice domestica dove le apprensioni dei genitori e la presenza assillante dei fratelli più piccoli limita il piacere di condividere battute e segreti. Quando arriva però il momento di dormire per la prima volta con il gruppo scout, Serena e Cecilia si ritrovano una tenda da tre e un’ospite in più del previsto: la solitaria ed enigmatica Isabella. Sarà proprio il mistero che circonda quest’ultima e la cartella marrone che porta sempre con sé, a spingere le due bambine ad avvicinarsi a lei, riuscendo a conquistarne la fiducia e l’amicizia: condizione fondamentale perché Isabella possa metterle a parte del suo ricordo, al contempo affascinante e doloroso, della guerra appena conclusa. Si tratta di un ricordo confidenziale e intimo in cui giocano un ruolo centrale la musica e il suono del clarinetto, di cui il libro non manca di dare un gustoso assaggio nella versione audio di cui è corredato.

Il volume de Il segreto di Isabella è arricchito infatti dal relativo audiolibro, scaricabile dal sito dell’editore Curci grazie a un codice stampato sul retro di copertina. Questa aggiunta, oltre a favorire l’incontro del lettore con uno strumento poco comune come il clarinetto, rende il testo più fruibile anche in caso di disabilità visiva o disturbi specifici dell’apprendimento.

Tipi

Il 2020, anno rodariano per eccellenza, è appena iniziato ma le proposte editoriali che celebrano lo scrittore di Omegna hanno già iniziato a moltiplicarsi, in un tripudio di bollini e fascette che ne marcano gli intenti. E tuttavia è nel 2019 e senza tanto frastuono che ha visto la luce un libro delizioso che tra i suoi tanti meriti ha quello di apparire, nell’essenza più che nell’aspetto, un bellissimo e ficcante omaggio a Rodari e alla sua poetica. Si tratta di Tipi scritto da Cristina Bellemo e illustrato da Gioia Marchegiani: un libro-catalogo che, nutrito di feconde invenzioni linguistiche e narrative, trasforma la descrizione di diverse tipologie di individui in occasioni per dar forma a micro-storie gustose e profonde.

Qui, in una sorta di mappa catastale human edition, ci muoviamo tra i piani del Condominio Giardini, periferia sud di un’indefinita città, alla scoperta dei diversi tipi che lo popolano. A guidarci è Luce, giovane inquilina del quarto piano che brilla (nomen omen!) per curiosità e acutezza di sguardo. Di ogni tipo che abita sopra o sotto di lei, la bambina riporta infatti le caratteristiche, le abitudini, gli aneddoti più insoliti: tratti che concorrono a dare vita a piccoli racconti sospesi tra il reale (difficile non riconoscere sé stessi o i propri conoscenti in alcuni dei ritratti offerti) e il surreale. Grazie alle accurate annotazioni che Luce riporta sui suoi taccuini, incontriamo, o per meglio dire sbirciamo dall’uscio, tipi di ogni genere: sicuri di sé come il tipo che ha tutte le risposte e pieni di interrogativi come quello che ha tutte le domande, sfuggenti come il tipo sempre assente o brontoloni come il tipo delle proteste, premurosi come il tipo che aggiusta le cose non ancora rotte o ricchi sfondati come il tipo che  compra tutto.

Nel censimento narrativo del Condominio Giardini si trova insomma uno straordinario catalogo di personaggi da cui scaturiscono racconti che paion fatti per far germogliare nuove idee narrative. Come non inventare un ipotetico dialogo con la signora Celestina, che capisce una cosa per un’altra e per questo finisce per perdersi un marito? O come non prolungare l’elenco di cose da cui la signora Savia, che ha paura di ciò che cade, si tiene alla larga? O, ancora, come non immaginare nuove storie a partire dai campanelli di un condominio qualunque, sulla scia della signora Lucia? Dal tipo che collezione barattoli di vento a quello che coltiva parole aromatiche, dal tipo che ha tantissime scarpe ma non va nessuna parte a quello con quattro pensieri, Cristina Bellemo dà vita a una carrellata di personaggi che stuzzica, diverte e fa riflettere. Lo fa con un gusto sapiente per i giochi di parole, per le liste, per le ipotesi fantastiche e per gli errori creativi, che pare proprio un bellissimo e silenzioso omaggio a quell’arte di inventare storie a cui tutti siamo debitori.

Ad arricchire poi il racconto, sottolineando quanto i dettagli possano dirci sul tutto, intervengono le illustrazioni di Gioia Marchegiani, tutte giocate sui toni del salvia e del beige e intrecciate strettamente ai testi, proprio come figurassero su autentici taccuini. L’effetto d’insieme è efficacissimo e intrigante: autrice e illustratrice paiono una coppia fatta per danzare insieme. Una pacatezza gentile, infatti, e una quieta predisposizione a guardare le cose quotidiane con occhio accorto accomuna parole e figure, dando forma a una chicca editoriale da rileggere più volte senza il rischio di stufarsi, da prendere e riprendere in mano, da cui lasciarsi avvolgere e ispirare.

Tipi costituisce in definitiva un placido invito a riconsiderare con una certa relatività l’idea di stramberia e unicità, poiché ciascuno a suo modo non vi sfugge, a cogliere il potere narrativo sopito nell’ordinario e a riconoscere il valore delle etichette solo quando non mirano a incasellare e definire le persone a cui si applicano ma, al contrario, a incentivarne la conoscenza. Tipi ci aiuta, insomma, a ricordare che le persone sono prima di tutto storie e che foss’anche solo per questo meritano di essere scoperte e ascoltate.

Curioso, infine, è il fatto che proprio un volume dedicato ai tipi umani, si caratterizzi per un altro genere di tipo: quello inerente alla stampa. Tipi è infatti pubblicato con caratteristiche di alta leggibilità, ossia con font EasyReading, spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra. Al rendere il volume più fruibile anche in caso di dislessia concorrono inoltre la costruzione stessa del libro, che risulta come composto da tante micro-storie godibili non solo nell’insieme ma anche nella loro individualità e come tali capaci di soddisfare anche una lettura più dilatata o frammentata nel tempo, e la scelta di una carta color crema, che oltre ad affaticare meno la vista, predispone una cornice dal sapore antico a testi e immagini dalla preziosa cura artigianale.

L’acchiappaidee

Parola d’ordine: acchiappare. Acchiappare le idee, come indica chiaramente il titolo del cofanetto progettato da Fabrizio Silei, ma anche acchiappare il lettore, con una proposta originale e coinvolgente, e infine acchiappare un progetto, provare a definirlo, cioè, nel suo essere vivacemente sfuggente. Perché tale appare L’acchiappaidee, che libro non è, gioco neppure, libro-gioco forse sì ma che è anche qualcosa di più.

Il suo contenuto è presto detto: un libro e un set da 144 tesserine illustrate fronte-retro. Il modo in cui i due elementi interagiscono tra loro e in cui è possibile, per il lettore-inventore, farli propri, beh, quella è tutta un’altra storia. Il libro propone infatti un racconto, il racconto di un pianeta su cui accadono cose, crescono foreste, compaiono creature bislacche e si formano città, un racconto che si sviluppa come un dialogo, che chiama il lettore ad attivarsi, e che viene illustrato proprio combinando le tesserine che accompagnano il volume, unite a qualche sparuto tocco di matita. Il libro è dunque una prima idea acchiappata, in questo caso dall’autore, e un manuale di istruzione sui generis che, una volta chiuso, lascia al lettore il testimone per dar vita a nuovi personaggi e nuove avventure.

Ciò che si può creare con le tesserine messe a disposizione, accuratamente studiate nei motivi e nei colori, è impossibile (oltre che probabilmente del tutto inutile) da circoscrivere: robot, mostri, animali e creature fantastiche non chiedono che di uscire allo scoperto ma anche gli ambienti e gli oggetti più disparati e, perché no, concetti astratti, possono prendere forma dalla giusta combinazione di tessere. Giusta per il lettore, chiaramente, perché se c’è una cosa certa di fronte all’Acchiappaidee è che il giusto e lo sbagliato sono categorie che sta al lettore definire sulla base della sua personalissima sensibilità e immaginazione. L’acchiappaidee – spiega lo stesso Silei in chiusura di volume – nasce proprio con questo scopo: restituire ai bambini la possibilità di “vedere e immaginare in piena libertà”, offrendo terreno fertile alla germinazione della “nostra unicità di esseri simbolici e metaforici”.

Secondo lo stesso principio di libertà, si sviluppa inoltre il processo creativo innescato dal contenuto del cofanetto. Poco importa, infatti, che le tesserine diano vita a singoli personaggi o a narrazioni complesse; che la loro combinazione ispiri lo sviluppo della storia o che al contrario sia la storia a stimolare la ricerca delle tesserine più adatte a rappresentarla: ciò che conta è che ciascuno sia messo nella condizione e si senta legittimato a esprimere la propria creatività. In questo senso L’acchiappaidee offre una possibilità di gioco, e in particolare di gioco inventivo e narrativo che tanto ha a che vedere con il piacere della lettura, ampiamente accessibile anche in caso di disabilità intellettiva o comunicativa. Non a caso il raffinato e attento progetto di Fabrizio Silei ha trovato calda accoglienza proprio in casa Uovonero che dell’accessibilità ha fatto la sua bandiera e la sua missione più potente. Dal confronto con l’esperienza della casa editrice in materia di autismo il progetto si è infatti arricchito, sviluppato, perfezionato, offrendo ora a un pubblico davvero trasversale, per età e abilità, uno strumento estremamente versatile e interessante con cui inventare, disegnare, raccontare. Da acchiappare, insomma!

Incubi al formaggio

Che il formaggio mangiato la sera sia causa di incubi notturni è convinzione comune. Ben più che una convinzione, tuttavia, è per Hal: per lui, infatti, la correlazione tra latticini e brutti sogni è una vera e propria ossessione! Da quella sera in cui la cena a base di formaggio francese ha scatenato nel suo sonno vampiri vestiti da cowboy, il bambino non si dà infatti pace e intende risolvere una volta per tutte il famigerato mistero degli incubi al formaggio. Partendo dal venditore locale, Hal risale l’intera filiera degli alimenti incriminati. La scoperta che fa però a questo punto è a dir poco sorprendente: all’interno della Casa del formaggio della Contessa (per-niente-malvagia) Von Udderstein le mucche non solo producono il latte, ma lo rendono deliberatamente perfetto per causare i peggiori incubi ai bambini. Stufi di vedersi rubare la materia prima in nome delle scorpacciate di mascarpone e brie, i bovini hanno deciso, infatti, di vendicarsi in segreto. La fuga di Hal dalle grinfie – o per meglio dire dagli zoccoli – della contessa Von Udderstein, contribuirà a mettere fuori gioco la fabbrica dei sogni puzzolenti (non senza causare, tuttavia, qualche remora del bambino a continuare a divorare pennette ai formaggi!).

Scritto e illustrato da Ross Collins, Incubi al formaggio mescola in maniera insolita e a tratti perturbante (il che non è sempre cosa negativa) avventura, ironia e pensiero critico sullo sfruttamento degli animali. Incisivo e interessante, in questo senso il ruolo delle illustrazioni  che affiancano e talvolta sostituiscono completamente il testo, contribuendo a rendere l’approccio al libro meno ostico. La stampa ad alta leggibilità – apprezzabile consuetudine della casa editrice Biancoenero – completa infine il quadro di una lettura (letteralmente) appetibile per un pubblico di bambini anche alle prese con difficoltà legate alla dislessia.

I gatti dell’Hermitage

Le pericolose missioni segrete dell’Agente Sharp non sono nuove ai lettori della casa editrice Biancoenero. Il gatto soriano in servizio per l’agenzia felina Gattaka ha dato prova, infatti, della sua astuzia e del suo coraggio in occasione dell’offensiva contro l’evaso Karlos Gnam e delle indagini parigine sul dottor Robotec. Ma per un agente segreto l’allerta è sempre massima e così, proprio mentre Sharp si gode la quiete di casa Martini, arriva via citofono la parola d’ordine: “C’è un pacco per Mario”. Pochi minuti per dedificare il messaggio cifrato contenuto nel pacco ed ecco che Sharp è sulla via di San Pietroburgo. Direzione: Hermitage! Qualcosa di losco sta infatti accadendo al famoso museo: vari reperti e opere d’arte sono stati spostati senza apparente motivo. Per capire cosa si nasconda sotto quegli strani movimenti, la squadra di Gattaka inizia a collaborare con i colleghi russi, dando vita a una missione internazionale che sgominerà una banda e riporterà al suo posto un quadro di inestimabile valore.

Ispirato dagli insoliti guardiani felini, che da anni proteggono dai topi il museo simbolo di San Pietroburgo, Agente Sharp. I gatti dell’Hermitage propone una nuova avventura ad alta leggibilità. Stampato con tutte le caratteristiche più utili a rendere il testo amichevole anche a lettori con dislessia, il racconto di Alessandro Cini appare gustoso e non troppo impegnativo, ideale in particolare per piccoli amanti di indagini e misteri.

La tredicesima fata

Che alla Bella Addormentata sia toccato un sortilegio soporifero bello lungo, causato da una strega cattiva, è storia nota. Meno noto, invece, è il dietro le quinte di quel gesto dalle conseguenze eclatanti. Chi è davvero la strega che lo ha compiuto? E perché lo avrebbe fatto? Ecco, La tredicesima fata di Kaye Umansky nasce da questi interrogativi bislacchi a cui risponde con un racconto a dir poco irriverente.

Protagonista è Grimbleshanks, una fata fuori dal comune che agli abiti pizzi e merletti, alle festicciole fru fru e alle tazze di tè tra i pettegolezzi, preferisce un look total black, la compagnia di un corvo e una quotidianità più spartana. Per questo le altre dodici fate del regno tendono a isolarla e a parlarle alle spalle, senza perdere occasione di punzecchiarla e farla ingelosire. Proprio come quella volta in cui le fanno sapere di non essere stata invitata al battesimo della principessina, a causa dei suoi modi rudi e poco eleganti. La rabbia di Grimbleshanks è tanta che la fata si reca a palazzo intenzionata mettere in atto una vendetta spettacolare ma innocua. Qualcosa però va storto, un qui pro quo prende la scena e trasforma la piccola rivincita in un grande, grandissimo malinteso della durata di 100 anni!

Ironico, sfacciato e per nulla politically correct, La tredicesima fata va perfettamente incontro alle ritrosie di bambini poco avvezzi alla lettura. Il racconto si legge infatti con gusto e si esaurisce in un tempo ragionevole. Inoltre, la stampa ad alta leggibilità – con font biancoenero, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, illustrazioni frequenti e carta color crema – contribuisce a rendere le condizioni di lettura più amichevoli e meno ostiche per tutti, soprattutto per chi si confronta con le difficoltò imposta della dislessia.

Cole Tiger e l’esercito fantasma

Da quando la famiglia di Cole Tiger si è trasferita a Everseen, lui ed Aquima sono diventati grandi amici. Molto diversi nell’aspetto – carnagione chiara e vistosi capelli rossi lui, carnagione scura ed evidenti lineamenti indiani lei –  i due condividono una certa solitudine legata al pregiudizio e alla diffidenza che la cittadina riserva a chi viene percepito come diverso. Lo stesso trattamento – scopriranno – ha toccato due ragazzi come loro di nome Aylen e Samuel, vissuti molti anni prima. Le loro storie non sono solo simili bensì destinate a intrecciarsi strettamente. Vittime di una maledizione, Aylen e Samuel necessitano, infatti, dell’aiuto dei due ragazzi per romperla e liberarsene per sempre. Questo, però, non si scopre che alla fine. In mezzo è tutto un tumulto di misteri, inseguimenti, tracce e rivelazioni che coinvolgono non solo i famigliari (anche quelli più insospettabili!) di Cole Tiger e Aquima ma anche personaggi straordinari dai caratteri sovrannaturali. La vicenda accelera quindi progressivamente il ritmo fino a culminare in uno scontro accesissimo, in cui le vere qualità di ciascun personaggio non mancano di venire a galla.

Il racconto scritto da Federica D’ascani è avvincente e coinvolgente. L’intreccio tra presente e passato, in particolare, richiede un po’ di abitudine a destreggiarsi all’interno di narrazioni complesse, ma offre al lettore una sfida di lettura intrigante. A rendere quest’ultima più fruibile anche a bambini con dislessia, interviene la consueta attenzione di Sinnos a proporre caratteristiche di stampa ad alta leggibilità, quali la font specifica leggimi, l’uso accorto di colori, grassetti e maiuscolo, la spaziatura maggiore, la carta color crema e la sbandieratura a destra.

La conferenza degli animali

In giorni come questi in cui la parola memoria riecheggia con frequenza, risvegliando la necessità di ricordare l’orrore che è avvenuto e che, anche in forme diverse, può continuare a ripetersi, un libro come La conferenza degli animali non passa inosservato. Scritto nel 1949 da Erich Kästner, oppositore del regime nazista e fervente pacifista, il libro nasce su sollecitazione di Jella Lepman, visionaria fondatrice di Ibby, con l’intento di denunciare le grandi sofferenze imposte ai bambini dalle guerre e dai deliri di potere dei grandi. Nutrito dunque di un pensiero strenuamente antibellico oltre che profondamente convinto del potere della buona parola scritta, il libro di Erich Kästner lancia forte e chiaro ai suoi lettori un messaggio di pace, che a tutt’oggi risuona attuale e necessario.

Protagonisti del racconto sono alcuni animali che, stufi di vedere i capi di stato riunirsi in inutili conferenze prive di concreti accordi ed effetti, decidono di organizzarne una loro per rimettere al centro dell’attenzione il bene dei bambini. Così, grazie a un tam tam di grande efficienza, le delegazioni bestiali di tutto il mondo si ritrovano al Grattacielo degli animali per il loro primo incontro ufficiale, proprio in concomitanza con l’ottantasettesima conferenza dei capi di stato umani. Tra i due consessi si innesca a suon di telegrammi un braccio di ferro durissimo: gli animali chiedono infatti di trovare un accordo che garantisca ai bambini un futuro di pace mentre i governanti non si smuovono di un centimetro dalla pretesa di badare ognuno solo ai propri affari. Con grande ingegno, allora, gli animali passano dalle parole ai fatti costringendo gli umani ad accettare le loro condizioni grazie a un’escalation di azioni dimostrative che vedono documenti distrutti dai topi, divise polverizzate dalle tarme e bambini messi in salvo dall’intera combriccola di bestiole. Sarà una dura lotta, la loro, ma l’accordo che ne uscirà è un manifesto di straordinaria lucidità che non solo regala un lieto fine ai protagonisti ma che andrebbe anche appeso e appreso in ogni scuola, comune e palazzo di governo.

È dunque una splendida notizia che l’editore Piemme, che detiene i diritti dell’opera, abbia deciso di pubblicarla nella collana Il Battello a Vapore con caratteristiche di alta leggibilità. Il testo, certo datato per alcuni riferimenti ai costumi e alla cultura dell’epoca, rimane godibilissimo per il suo messaggio di fondo, per le invenzioni narrative che l’autore sfodera e per la sua grande capacità di trasformare le qualità di ogni animale in ghiotti spunti per episodi e digressioni di intermezzo. L’accessibilità del testo anche in caso di dislessia – data dall’uso del font leggimi mutuato da Sinnos, dalla spaziatura maggiore, dalla sbandieratura a destra e dalla carta color crema – viene ulteriormente supportata dalle frequenti e deliziose immagini di Walter Trier che, pur proposte in bianco e nero come consuetudine della collana in questione, mantengono intatte una certa freschezza.

La conferenza degli animali – audiolibro Locomoctavia

Quanta attualità scalpita tra le righe di quel capolavoro di Erich Kästner che è La conferenza degli animali. Scritto ormai più di settant’anni fa, quando le ferite della guerra erano frequenti come oggi ma certo più fresche e vicine ai bambini europei, il racconto che vede gli animali di tutto il mondo attivi in prima linea nel tentativo di far ragionare i capi di stato in nome del bene dei più piccoli, potrebbe tranquillamente svolgersi in questo preciso momento storico. Il suo fortissimo ed esplicito messaggio di pace, non a caso fortemente voluto e sollecitato dalla straordinaria Jella Lepman, non è affatto tramontato ma anzi, supportato da un delizioso gusto narrativo che trova una chiave di continua sorpresa nell’enumerazione e nell’interpretazione antropica delle caratteristiche dei diversi animali, parla ancora in maniera molto schietta la lingua dei bambini.

Per questo, la scelta di Locomoctavia di inserire La conferenza degli animali tra i suoi titoli in formato audiolibro (come sempre sia su cd sia scaricabile direttamente dal sito, a seconda delle preferenze) è non solo felice ma anche preziosa. Con la cura che la contraddistingue, la casa editrice triestina rende infatti nuova vita e nuova linfa al racconto di Kästner, compensando l’assenza delle storiche (e bellissime!) illustrazioni di Walter Trier con una sinfonia sonora che risulta molto coinvolgente alle orecchie dell’ascoltatore. Rispetto ai titoli precedenti, La conferenza degli animali si distingue infatti per la partecipazione di un numero maggiore di attori, utile a restituire con vivacità e sfumature il ricchissimo ventaglio di personaggi, umani e animali, che popola il racconto di Kästner. Anche questo titolo, dal canto suo, è sostenuto, accompagnato e interpretato musicalmente: in questo caso è il sapiente gioco di percussioni di Dody B a calarci in un mondo che si rivela surreale almeno quanto la politica dei grandi che l’autore denuncia.

 

La conferenza degli animali, così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è fruibile anche tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Il giornalino di Gianburrasca

Continua l’affascinante viaggio di Locomoctavia attraverso i classici della letteratura per ragazzi, riproposti in una versione estremamente curata che al rispetto dei testi – sempre offerti in versione integrale e/o in traduzione di pregio – sposa una ricerca musicale mai scontata e sempre calzante.

Così è stato per i primi titoli come Alice nel Paese delle Meraviglie e Pinocchio, e così non manca di essere anche per  il più recente Il Giornalino di Gianburrasca. Fedelissimo nello spirito all’indole indomita di Giannino Stoppani, novenne votato alla monelleria come pochi altri, l’audiolibro restituisce con gusto e perizia i guizzi, le imprese, i guai e i pensieri scarmigliati del protagonista. Lo fa soprattutto attraverso un’interpretazione movimentata, quale quella offerta da Daniele Fior, e da un accompagnamento incalzante quale quello di Tommaso Rolando al contrabbasso. Entrambe sottolineano, infatti, l’irrequietezza del racconto, la gioia delle marachelle, il loro effetto a sorpresa e l’immancabile senso di ingiustizia della sopraggiunta punizione.

Il rispetto del testo originale, oltre a garantire l’incontro del lettore con una straordinaria varietà di personaggi e invenzioni narrative, gustose pur nei loro 110 anni e più, offre un vantaggio interessante anche in un’ottica di accessibilità, peraltro già notevole dato il tipo di supporto scelto. La funzionale divisione in capitoli corrispondenti ai giorni del diario, così come previsto dal testo a stampa di Vamba, mette infatti il lettore di fronte a un numero cospicuo di tracce audio dalla durata circoscritta, cosa che ne agevola la fruizione e il godimento, anche laddove l’attenzione fatichi a essere mantenuta a lungo sul racconto.

 

Il Giornalino di Gianburrasca , così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è fruibile anche tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Dentro fuori

Ci avevano stupito e conquistato con Prima dopo, Anne-Margot Ramstein e Matthias Aregui che ora tornano per un gradito bis con un nuovo albo senza parole intitolato Dentro fuori. Costruito in maniera analoga al volume precedente sul dialogo tra due categorie contrapposte – in questo caso di tipo spaziale – il libro si sviluppa su doppie pagine, mostrando la medesima situazione dall’interno e dall’esterno. Quello che si crea è dunque un confronto tra due punti di vista che non è mai piatto e asettico ma anzi lascia spazio a sorprese sempre gustose, a colpi di scena inattesi, a echi lontani e a risvolti emotivi.

Così, per esempio, quella che da fuori parrebbe una grotta desolata, da dentro rivela uno spettacolo prezioso fatto di gemme; quello che da dentro sembrerebbe un anonimo naufragio, da fuori omaggia silenziosamente Pinocchio; o quello che da dentro appare come una semplice fuga dalla finestra, da fuori si arricchisce di intriganti particolari narrativi. Perché proprio in questo sta la bravura dei due autori francesi: nel fare leva su quello scarto tra interno ed esterno per costruire dei micro-racconti e suggerire la molteplicità di punti di vista da cui è possibile guardare la medesima situazione.

Il volume è ricco di richiami e rimandi anche interni che rendono la lettura e la rilettura particolarmente affascinanti ma si sviluppa perlopiù per quadri minimi che facilitano la fruizione anche laddove ci siano difficoltà a seguire e costruire fili narrativi piuttosto lunghi. L’assenza di parole consente dal canto suo di rendere il volume particolarmente accogliente nei confronti di lettori che decodificano con fatica il testo ma non manifestano difficoltà cognitive. Rispetto a chi invece sperimenta maggiori difficoltà, il volume può risultare più ostico ma può comunque offrire spunti efficaci per appropriarsi in maniera stimolante e tutt’altro che scolastica dei concetti spaziali su cui il libro si regge.

Annie. Il vento in tasca

Che forza, Annie! Classe 1970, Annie Cohen Kopchovsky compì più di 120 anni fa un’impresa memorabile: percorrere il giro del mondo in sella alla sua bicicletta. Nata per scommessa, la sfida di Annie diventa cosa serissima: perché decine di migliaia di chilometri su un sellino (peraltro d’altri tempi) non è propriamente una passeggiata; perché lungo il viaggio non sono pochi gli intoppi – dalle cadute alle reclusioni in prigione; e, non ultimo, perché Annie è una donna e questo porta con sé una fitta serie di complicazioni. Non certo fisiche, come dimostrerà il successo della sua impresa, ma di tutt’altro genere: Annie deve infatti fare i conti con giudizi e pregiudizi che la vorrebbero a casa a occuparsi di marito e figli piuttosto che in calzoni e abiti maschili a scorrazzare per il mondo. Ma già più di un secolo fa, per fortuna, l’opinione comune non era unica e così, dall’America all’India, Annie incontra personaggi moderni, attenti e rispettosi, che sposano la sua battaglia e le offrono appoggio: chi la scorta dopo una rapina, chi la accompagna nei tratti di mare, chi le offre abiti e mezzi più funzionali, chi le dona voce attraverso le pagine di un noto giornale. E così Annie, può finalmente fare ritorno in patria con nelle tasche un vento di libertà che ancora oggi è di grande ispirazione.

Intelligente e vigorosa è la scelta di Sinnos di dedicare ad Annie un volume della sua collana di graphic novel. Perché senza bisogno che lo si sottolineai e ci si giri intorno, la sua vicenda condensa una grandissima ricchezza di spunti e prospettive sulla delicata questione della parità di genere. E lo fa con lo sprint asciutto di un racconto avventuroso che attraversa settimane e continenti in poco meno di cento pagine, supportato da illustrazioni eloquenti, tutte giocate sul marrone e sul blu, che tanta parte hanno nell’aiutare il lettore a restare sulla scia di Annie. Frequentissime, talvolta frammentate al punto da immortalare con minuzia episodi particolari, le figure di Luogo Comune danno una spinta alla lettura, rendendola molto fresca e dinamica.

Campo Bravo

Presto, fate largo: torna in pista l’irresistibile duo composto da Boonen e Melvin! Noti ai lettori italiani per i divertenti Weekend con la nonna e Mammut!, entrambi editi da Sinnos, i due autori fiamminghi ripescano il personaggio di Teo per catapultarlo in una nuova e tutto fuorchè desiderata avventura.  La minaccia in vista è questa volta rappresentata dal campeggio: un’esperienza che il giudizioso Teo eviterebbe con piacere, tanto più che Campo Bravo sbandiera a destra e a manca la sua specialità in avventure grandiose e pericolose.

Ogni protesta del bambino, chiaramente, risulta vana: tutti – dai genitori alla Tata Pelosa – sono convinti che sarà per Teo un’occasione di grande divertimento. E così, caricata la valigia da 100 kg sullo scoppiettante sidecar della Tata, Teo parte alla volta di Campo Bravo. Qui le avventure in effetti non mancano, e con loro neppure la grandiosità e il pericolo promessi: arrampicate e tuffi mozzafiato sono all’ordine del giorno e Teo finisce in infermeria (dove – sorpresa! – lavora l’immancabile Tata Pelosa) più di una volta. Eppure a Campo Bravo Teo non trova solo questo. La compagnia dell’amico Jack, con cui divide la tenda e la malinconia di casa, e i test improbabili del capo Osvaldo al motto di “Immaginate che…” gli offriranno un’opportunità preziosa e inattesa: quella di vivere l’errore e le paure come una strada per il coraggio.

Strutturato, così come Mammut!, intrecciando vignette, fumetti senza balloons e didascalie, Campo Bravo si contraddistingue per un uso ironicissimo dei dialoghi e delle figure e per un gioco cromatico, che coinvolge sia il testo sia le illustrazioni, tutto basato sul salmone e sul blu. Rispetto alla precedente avventura che vede protagonista Teo, Campo Bravo ha però un ritmo più irregolare e imprevedibile che si riflette anche dal punto di vista grafico in una distribuzione meno regolare di testo e vignette. Ciononostante la pagina resta pulita e le parole non si affollano, lasciando così intatto il piacere della lettura. La stampa ad alta leggibilità, in cui giocano un ruolo prezioso gli spazi, l’uso del colore e l’impiego della speciale font leggimigraphic messa a punto da Sinnos, contribuisce dal canto suo a spianare la strada alla lettura anche a bambini la cui dislessia complica la decodifica del testo.

Il libro delle ore felici di Jacominus Gainsborough

30cmx35cm: tanto misura l’albo firmato da Rebecca Dautremer e dedicato alle ore più felici di Jacominus Gainsborough. È una dimensione inconsueta, importante, perfetta per invitare a prendere posto, sistemarsi comodi e prepararsi a un piacere di lettura che richiede tempo, pazienza e dedizione. Perché così è la meraviglia: non tollera passaggi frettolosi e occhiate distratte. Tra le pagine di Rebecca Dautremer sguardo e pensiero sono portati a rallentare per consentire alla cura con cui ogni immagine è preparata e perfezionata di sedimentare e fiorire nel lettore.

E così, con occhi spalancati e curiosità accesa, ci ritroviamo immersi in un mondo straordinario, popolato da molteplici creature animali realisticamente rappresentate se non per il fatto che vestono e si atteggiano esattamente come degli umani. Umani d’altri tempi, ad essere precisi, di tutto punto abbigliati con panciotti, gilet e foulard fantasia. In questo bizzarro contesto facciamo la conoscenza di Jacominus: un coniglio taciturno e con la testa fra le nuvole. Forse proprio a causa di questa sua sbadataggine, Jacominus fa un giorno un capitombolo dalle scale e che gli lascia per sempre in eredità una gamba stramba e la necessità di appoggiarsi a una stampella. Un po’ per questo suo impedimento fisico, un po’ per la rigida educazione imposta dalla madre, Jacominus dedica gran parte del suo tempo alla filosofia e alle lettere: abilità, quest’ultima, che lo porta presto ad imbarcarsi e compiere grandi viaggi, reali e immaginari. La sua è una vita piena, fatta di incontri e riflessioni, grandi avvenimenti e quotidianità, momenti di scoramento e piccole o grandi gioie: un mosaico al contempo ordinario e straordinario che gli fa infine dire “Ti ho amata vita mia. Mi hai dato un piccolo capitombolo, una zampa stramba e del filo da torcere, ma ti ho amata. E lo sai, vecchia mia? Valevi davvero la pena di essere vissuta!”.

È un libro trasversale come pochi, Il libro delle ore felici di Jacominus Gainsborough: un libro in cui livelli diversissimi di fruizione, interpretazione e inferenza sono resi possibili con tuttavia pari dosi di stupore e coinvolgimento. È un libro, questo, in cui ampio spazio viene riservato alla dimensione filosofica e contemplativa, che in maniera piuttosto insolita guadagna intere pagine bianche. Per contro, gli avvenimenti più o meno grandi che costellano la vita del protagonista vengono riassunti in ampie tavole a doppia pagina, corredate da minimo testo o in collage di riquadri con piccole didascalie che tanto margine lasciano all’immaginazione del lettore.

Le ampie e ricchissime illustrazioni piene zeppe di citazioni e riferimenti alla storia e alla letteratura, l’ampio ventaglio di personaggi precisamente identificati nei risguardi e in seguito solo citati, i frequenti richiami del testo a dettagli che si trovano in pagine precedenti concorrono nel complesso a rendere dinamica e mai passiva la lettura del libro, ad accompagnare il lettore avanti e indietro, dentro e fuori il mondo meraviglioso di Jacominus e delle sue riflessioni sulla vita. L’effetto è del tutto fuori dal comune, straniante per certi versi: il lettore si trova infatti costantemente sollecitato da cambi di rimi narrativi e spunti di riflessione importanti, non ultimo quello sulla disabilità di Jacominus che condiziona senza dubbio la sua vita senza per questo impedirne la realizzazione. Sostenuto dalla sua inseparabile stampella, Jacominus viaggia, ama, combatte, stringe amicizie, soffre, gioisce, si sposa, diventa padre, sogna a occhi aperti e chiusi: mette insieme, cioè, i tasselli di una bella vita normale, che tanto dicono del potere della letteratura di farci riconoscere nella diversità.

Ruggiti

Ci sono un leone, una bambina e un meccanico: non è l’inizio di una barzelletta ma il cuore di Ruggiti, un’avventura straordinaria scritta da Daniela Carucci e targata Sinnos. Il leone, in particolare, si chiama Leo e fa compagnia al meccanico Mario da quando la sua proprietaria – donna cannone di un famoso circo – si è trasferita oltreoceano senza poter portare l’animale con sé. Malgrado l’apparenza Leo non è pericoloso e infatti fa presto amicizia con la piccola Mia, compagna di giochi e abituale visitatrice dell’officina di Mario. Un giorno però dei loschi tizi di blu vestiti e denominati, per l’appunto, I Blu, portano via con la forza il povero Leo, innescando una girandola di eventi ad alto tasso di coraggio e divertimento.

Ispirato a una storia vera (!), ripescata dalle memorie d’infanzia dell’autrice, Ruggiti trascina il lettore in un inseguimento a rotta di colla, tra le grinfie di malviventi senza scrupoli, in sella a un’ape con le ali e nel folto di un bosco, il tutto senza scordare di trovare il lato buffo di ogni situazione e aggiungere un sorriso a ogni capitolo.

Complici anche le illustrazioni frizzanti di Giulia Tonelli e la stampa ad alta leggibilità che rende la lettura meno ostica, il libro si presta a far vivere più di un’emozione anche a bambini poco propensi alla lettura.

La tana nell’albero

Il 2019 è ufficialmente l’anno dei leoni addomesticati ad alta leggibilità! Dopo Ruggiti di Daniele Carucci, edito da Sinnos, esce ora per Biancoenero La tana nell’albero: un racconto lungo firmato da Cary Fagan che ci trasporta dritti dritti nella Toronto di inizio novecento. Qui un circo in trasferta perde due vagoni del treno su cui si sta muovendo: su uno di essi viaggiano un domatore e il suo affezionato leone Sunny. Scaraventati giù dal mezzo, i due si perdono di vista e l’attempato Sunny si rifugia in un albero cavo nel bel mezzo di High Park. Ma come può sopravvivere tra passeggiate ombrose e divertimenti per famiglie una creatura del suo genere? Per un po’ il leone si arrabatta cacciando di nascosto quel che può ma pavoni e visitatori a quattro zampe non sono sufficienti per la sua dieta. Come se non bastasse, le irrisolte sparizioni di animali nel parco e le misteriose apparizioni di creature mostruose che ad esse si accompagnano mettono sull’attenti polizia e opinione pubblica. Sarà allora provvidenziale l’incontro di Sunny con Sadie, la figlia del pasticcere Menke, noto in città per le sue prelibate crostate. Tra i due si instaura un rapporto di fiducia, solidamente basato su uno scambio di scarti di macelleria e coccole. Ma trovare abbastanza carne da saziare un leone non è semplice, soprattutto se in famiglia i soldi non scorrono a fiumi. Così, Sadie si convince a confidare il suo segreto felino a Theo Junior, un vicino di casa dell’alta società, dagli abiti buffi e i modi ossequiosi. La loro è un’amicizia nata per necessità, cresciuta con naturalezza e messa alla prova da un repentino precipitare dei fatti. Una soffiata costringe infatti i due ragazzini a trovare in fretta e furia una soluzione per Sunny che costringerà tutti quanti a fare i conti con ciò che è giusto e ciò che è sbagliato ma anche con la perdita che può diventare conquista. Di libertà, per esempio.

Scorrevole, avvincente e ricco di questioni importanti, mai tuttavia sbandierate o men che meno sezionate con intenti didascalici, La tana nell’albero è un racconto che accarezza e scuote, proprio come avrebbe fatto il vecchio Sunny. Stampato come di consueto con caratteristiche di alta leggibilità, agevola inoltre la lettura anche a ragazzi con difficoltà legate alla dislessia.

Io sono Bellaq

La penna di Vincent Cuvellier sa essere versatilissima: leggera e poetica come in La prima volta che sono nata, asciutta e cruda come in La zuppa dell’orco, spassosa e irriverente come in Giancretino ed io. E proprio perché è versatilissima, all’occorrenza questi tratti sa anche mescolarli. È quel che accade in Io sono Bellaq, l’ultimo lavoro dell’autore francese pubblicato da Biancoenero.

Spiazzante, audace e provocatorio, Io sono Bellaq racconta la disavventura di  Bellaq Mostaganem, bambino di origini algerine che una mattina viene prelevato dalla sua classe da una squadra di poliziotti in tenuta antisommossa, portato in luoghi segreti, interrogato, trasferito e messo alle strette con l’accusa di aver compiuto un attacco terroristico in un ristorante: evento del giorno di cui tutti parlano ma di cui lui pare non sapere nulla (la mamma infatti non gli permette di guardare la tv la mattina!). Passerà una giornata intera, tra insinuazioni minacciose e incontri degni di un film poliziesco, prima che Bellaq possa essere restituito alla sua famiglia e tornare, scagionato da ogni accusa, alla sua vita di bambino, dopo un’avventura ben oltre l’ordinario e senz’altro non priva di strascichi quotidiani.

Verrà fuori che a scatenare panico e azioni militari era stata una banale omonimia tra il protagonista e il reale autore dell’attacco: aspetto che accentua ulteriormente la surrealità del racconto, mettendo bene in evidenza la cecità di una giustizia a tutti i costi, disposta ad autentiche follie in nome della sicurezza nazionale. Senza rinunciare a quell’ironia che lo rende inconfondibile, Vince Cuvellier prende così di petto una questione scottantissima, soprattutto per un paese come la Francia all’indomani di diversi attacchi di matrice terroristica e più in generale di numerose manifestazioni di fallita integrazione. La storia di Bellaq, per quanto incredibile, diventa cioè un grido di attenzione, un richiamo a quell’umanità che emergenza e paura rischiano di mettere pericolosamente in secondo piano.

L’attualità del tema, unita allo stile accattivante dell’autore, offrono un buon aggancio a lettori desiderosi di confrontarsi con storie dense e tutt’altro che banali: storie da grandi, insomma. La stampa ad alta leggibilità, caratteristica della casa editrice romana, concorre inoltre, a sua volta, a rendere la fruizione più a misura anche di lettori con Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Flamel e la pietra magica

Re Edoardo è un re saggio e benevolo: per questo il suo regno prospera e tutti i suoi sudditi lo amano. Tutti tranne uno, a dire il vero: il perfido cavaliere Rolando non si fa infatti scrupoli a imprigionare il re e a impadronirsi del castello, al fine di diventare fortissimo e invincibile. Prima di essere rinchiuso nelle segrete Re Edoardo riesce tuttavia a far scappare l’amata figlia Isabella che si rifugia su suo consiglio dall’amico alchimista Flamel. Dotato di conoscenze preziose e in possesso di una pietra dai poteri misteriosi, Flamel accoglie la fanciulla che proprio grazie a un inatteso prodigio riesce a salvare sé stessa e il regno dalle mire del malvagio Rolando.

Pubblicata in simboli, scelti e disposti secondo le linee guida del modello inbook (simboli WLS in bianco e nero, tutti gli elementi della frase simbolizzati, testo e pittogramma racchiusi all’interno del riquadro), Flamel e la pietra magica propone in una versione accessibile anche a ragazzi con difficoltà comunicative una storia dal sapore fiabesco in cui si radica la leggenda della pietra filosofale. Il racconto, agevole da seguire e avventuroso, è accompagnato da illustrazioni in stile fumettistico, ispirate in particolare al genere dei manga, che lo rendono particolare nel panorama dei libri in Comunicazione Aumentativa e Alternativa e potenzialmente di maggiore appeal anche nei confronti di ragazzi oltre che di bambini.

Alice nel paese delle meraviglie (I classici con la CAA)

Di classici non se ne ha mai abbastanza. Con piacere registriamo dunque il continuo impegno di Erickson nell’adattamento in CAA di alcuni dei libri senza tempo più amati dai ragazzi. Dopo Il Piccolo Principe, Pinocchio e Il mago di Oz è ora la volta di Alice nel Paese delle Meraviglie: sfida delicatissima per chiunque si occupi di traduzione, anche e a maggior ragione se questa implica un codice così particolare come quello pittografico.

La scelta che viene fatta qui è quella di mantenere il più possibile intatta la vivacità narrativa, la varietà dei personaggi e la surrealtà degli avvenimenti che vedono protagonista la curiosa Alice, rinunciando però alla ricchezza di nonsense e di giochi linguistici che contraddistinguono e rendono indimenticabile l’originale: scelta che snatura in parte la peculiarità del lavoro di Carroll ma che risulta funzionale a un’effettiva fruizione del racconto anche da parte di bambini e ragazzi con difficoltà di decodifica del testo alfabetico e di padroneggiamento di un uso della lingua poco aderente al reale.

Come per i titoli precedenti, anche questo volume è frutto di un accurato lavoro di squadra che vede coinvolte diverse figure professionali. Il libro nasce infatti da un’opera di semplificazione testuale messa in atto da Carlo Scataglini (e ritrovabile nell’omonimo volume della collana I classici facili), di simbolizzazione a cura di Roberta Palazzi e di ricca illustrazione per mano di Cinzia Battistel e Giorgio Valentini.  Il risultato è un volume di grosso formato e di bellissimo aspetto, all’interno del quale le illustrazioni godono di un ampio spazio, ideale per supportare una lettura affascinante ma di per sé non facilissima e al contempo per offrire al lettore un libro che dica anche nella forma la preziosità del suo contenuto.

La voce

Da qualche giorno la mamma di Tobia non è a casa perché ricoverata in ospedale. Tobia resta con il papà, poco pratico in cucina ma molto affettuoso e amorevole. Nonostante le sue coccole e gli strappi alla regola del dormire da soli, l’assenza della mamma si fa sentire forte per Tobia. Ogni sera la stanza del bambino pare trasformarsi in una caverna popolata da mostri e una voce misteriosa lancia messaggi spaventosi. Non sarà facile, dunque, per Tobia affrontare il buio e le sue creature più terrificanti. Le cure comprensive del papà, i racconti sollevanti della nonna e, infine, il ritorno a casa della mamma lo aiuteranno tuttavia a fare pian piano i conti con i suoi timori e a ritrovare una serenità che pareva smarrita.

La voce, scritto da Luisa Carretti, è tratto da una raccolta precedentemente pubblicata per gli stessi tipi di Storie Cucite. Nato per affrontare con i più piccoli il tema della paura, il racconto viene qui reso in simboli così da poter raggiungere un più ampio bacino di lettori, compresi quelli che beneficiano di una narrazione supportata visivamente. Come da modello inbook, il testo viene integralmente simbolizzato, il che concorre a rendere la lettura in simboli molto ricca ma anche la pagina piuttosto affollata. Accompagnato da illustrazioni a matita molto delicate e rassicuranti, La voce si presta a una lettura condivisa con bambini la cui dimestichezza con i simboli WLS e con racconti di un certo corpo sia già consolidata.

Ma una bella notte

Di fronte allo straordinario albo Ma una bella notte non c’è tempo da perdere: il racconto, pur privo di parole, incalza e comincia a svelarsi fin dai risguardi. Qui incontriamo la protagonista della storia che con aria mesta saluta alcune coetanee dal sedile posteriore di un’auto in partenza. L’auto è stracolma, con persino una poltrona legata in cima, ed è seguita da un camion che lascia poco spazio agli interrogativi. Di mezzo ci deve essere un trasloco: ipotesi confermata prima ancora di arrivare alla pagina del titolo, dove ritroviamo la ragazza circondata da scatoloni, in quella che si presume essere la sua nuova casa. Da qui si parte: scuola nuova, insegnanti nuovi, compagni nuovi. Le misure sono tutte da prendere e le amicizie tutte da costruire: cosa tutt’altro che facile nonostante la buona volontà. Così, dopo qualche vano tentativo di approccio e un nostalgico accumularsi di sconforto, la ragazza inizia a rimuginare davanti all’affascinante paesaggio notturno che si staglia fuori dalla sua finestra. Quell’isola misteriosamente illuminata che dall’altro lato della baia scintilla, attira la sua attenzione e la spinge a compiere un viaggio avventuroso e sorprendente. L’isola – scoprirà infatti – è popolata da conigli luminosi, che si fanno avvicinare e coccolare, lenendo un poco la tristezza della solitudine. Uno di essi, portato a casa e poi a scuola, diventa più che un amico: grazie a lui molti compagni sdegnosi iniziano ad avvicinare la ragazza, interessandosi a lei e al suo insolito animale. Ma proprio perché di un amico si tratta, viene il momento di restituirgli la libertà: un cambiamento, questo, che nonostante la prima impressione, regalerà alla protagonista l’opportunità di scovare tra tante attenzioni superficiali un sorriso autentico e duraturo.

Menzione speciale al Bologna Ragazzi Award 2017, Ma una bella notte è un libro potente, che anche grazie allo stile particolarmente espressivo dell’autrice, si presta bene a coinvolgere (e finanche travolgere!) bambini, ragazzini e ragazzi di età anche molto diverse. Il senso di solitudine, la nostalgia degli affetti lasciati, il desiderio di poter contare su un amico vero sono infatti sentimenti trasversali che facilmente toccano quando si è piccoli così come quando si cresce. La totale assenza di parole, d’altro canto, rende il volume fruibile per un pubblico variegato e ampio anche rispetto alle diverse esigenze di lettura. La necessità di elaborare inferenze non banali richiesta dal volume non lo rende particolarmente adatto a lettori che presentino difficoltà cognitive o scarsa abitudine alla decodifica delle immagini. Grande soddisfazione può attendere invece coloro che, pur con difficoltà di decifrazione alfabetica, si muovano con agio nel mondo dei racconti per immagini, anche complessi, e che abbiano voglia di immergersi fino ai capelli in una storia densa e capace di risuonare a lungo.

I cuscini magici

C’è un re odioso che più odioso non si può che si chiama Arraffone I. Sovrano dispotico del regno di Uranopoli, Arraffone I si diletta a scrivere con la sua penna di corvo spaventose leggi: domeniche che diventano prelunedì, parchi giochi sempre chiusi, candeline di compleanno bandite e multe per grattate di naso o starnuti, solo per citarne alcune. Se si aggiunge poi che Arraffone I non esita ad appropriarsi di qualunque cosa veda col suo telescopio e gli piaccia, si capisce bene perché i suoi sudditi a dir poco lo detestino. Ma ad Arraffone quest’odio proprio non va giù: come ogni sovrano che si rispetti, vuole, infatti essere amato, adorato e perché no osannato dai suoi sottoposti. E così, quando uno dei suoi consiglieri suggerisce che il malumore sia dovuto al fatto che i sudditi la notte sognano, Arraffone I si adopera per impedir loro questa pratica e lo fa a suon di leggi, guardie, pedaggi e invenzioni malvagie. Per mezzo di speciali cuscini diabolici il re riesce per un po’ a tenere a bada il popolo indisponente, fino a quando un maestro intraprendente e i suoi solerti allievi non tiran fuori da fili di fiabe, tulle di bonboniere, piume di cigno e anelli di aquilone un’autentica magia che restituisce agli abitanti di Uranopoli la capacità e il diritto di sognare in pace.

È una fiaba lieve e ironica, quella scritta da Evghenios Trivizas: una fiaba che, sì, racconta del potere liberatorio dei sogni con un’attualità peraltro grandissima, ma che lo fa senza perdere il prezioso gusto del fantastico. Così il racconto scorre piacevole, con un bel ritmo e tante invenzioni divertenti, sia linguistiche sia narrative, che lo rendono particolarmente gustoso per una lettura ad alta voce ma anche molto invitante per una lettura autonoma. Lo stile snello dell’autore greco, la trama compatta e le caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono il volume lo rendono infatti amichevole anche nei confronti di lettori poco esperti e/o con difficoltà legate alla dislessia. Da non sottovalutare, poi, sempre in un’ottica di supporto alla lettura, le illustrazioni deliziose firmate da Noemi Vola che echeggiano alla perfezione le atmosfera fantastiche delineate dal racconto.

Che cos’è una sindrome?

Alla domanda Che cos’è una sindrome?, il dizionario Garzanti risponde secco: “il complesso dei sintomi che denunciano una situazione patologica senza costituire di per sé una malattia autonoma”. Ottimo, l’interrogativo può dirsi a questo punto soddisfatto da un punto di vista squisitamente medico. Ma siamo certi che basti a dirci cosa significhi, nella quotidianità delle azioni e dei sentimenti, avere una sindrome? Se è vero come è vero che una persona non è la sua disabilità o la sua malattia, è importante provare a scavare un po’ più a fondo per cogliere e mettere in luce ciò che della convivenza con una sindrome, dizionari e manuali non danno notizia. Ed è proprio quello che ha fatto Giovanni Colaneri per il suo progetto di tesi all’ISIA di Urbino che oggi è diventato un raffinato albo illustrato per i tipi di Uovonero.

25 doppie pagine intensissime si susseguono qui, ciascuna contraddistinta da un’illustrazione di grande dimensione e da poche parole che rispondono alla domanda del titolo. Perché una sindrome può essere tante cose: non solo può avere tante cause e tanti effetti, ma soprattutto può essere vissuta in tanti modi, anche da parte della stessa persona. Con le sue ricche figure, in sottile dialogo con le parole centellinate che le accompagnano, l’autore socchiude e talvolta spalanca finestre inattese nel lettore, non solo restituendogli prospettive poco battute (una sindrome come un attacco, per esempio, un sentiero o un movimento continuo) ma anche offrendo chiavi di lettura nuove per prospettive più sedimentate (una sindrome come qualcosa di raro, potenzialmente preziosa come una gemma, per esempio).

Di grande suggestione per lettori maturi o per gruppi guidati di lettori giovani e giovanissimi, ogni quadro è una possibilità di pensiero nuovo, uno spunto, uno slancio, che come suggeriscono bene i risguardi, non vuole dare risposte nette ma piuttosto far fiorire gli interrogativi.

Un compleanno fantastrofico

Teresa vuole, fortissimamente vuole, una festa di compleanno per i suoi imminenti 9 anni. A casa sua le feste non sono però ben viste: troppo impegnative, troppo caotiche, troppo fuori moda, per la sua inconsueta famiglia. Ma Teresa quest’anno è disposta a tutto pur di avere una festa come Dio comanda e per ottenerla si chiude a chiave nella legnaia. Ottenuto con scarso entusiasmo il sì dei famigliari, per Teresa iniziano i preparativi: ha una settimana davanti per rendere tutto perfetto. Le aspettative della bambina sono infatti altissime poiché da quella festa dipende la possibilità per lei di farsi conoscere meglio e apprezzare dai suoi compagni. Considerata un po’ strana per il suo modo di vestire e per i suoi interessi, Teresa ha infatti un solo vero amico mentre viene tenuta in disparte da tutti gli altri bambini. Inaspettatamente, saranno proprio imprevisti e stramberie di famiglia, nel giorno speciale della sua festa, a rimettere le carte in gioco e dare nuove chances ad amicizie apparentemente impossibili.

Scritto con piglio vivace, con grande empatia e con il coraggio di non zuccherare in eccesso la storia narrata, Un compleanno fantastrofico è un libro piacevole e capace di mescolare sentimenti realissimi con un pizzico di eccentricità. Pubblicato all’interno della serie azzurra de Il Battello a vapore, il racconto di  Annalisa Strada presenta caratteristiche di alta leggibilità che lo rendono più facilmente fruibile anche in caso di dislessia.

 

Due pirati come noi

Se c’è una cosa che rende piuttosto discutibili molti libri per bambini che affrontano il tema della disabilità è la generale bontà di sentimenti che tendono ad attribuire ai loro personaggi: una predisposizione ad accogliere il diverso senza porre domande, senza fare resistenza o senza sentirsi a disagio, che difficilmente rispecchia il vero. Perché la disabilità pone interrogativi scomodi e mette di fronte a sentimenti contrastanti che i giovani lettori hanno il diritto di ritrovare tra le pagine delle storie che offriamo loro. Anche e soprattutto per questo motivo Due pirati come noi è un racconto che non passa inosservato: perché quelle domande e quei sentimenti contrastanti che il lettore avverte, il racconto di Guido Quarzo non li cancella ma li accoglie pienamente, dando loro dignità e rappresentazione.

Protagonista del racconto è un bambino di nome Leo che in un noioso pomeriggio trascorso in solitaria si rende conto di non avere un amico che si possa davvero dire tale e di ricorrere per questo molto spesso all’immaginaria compagnia del Pirata Barban. Meglio questo – pensa Leo – piuttosto che passare il tempo con Massimiliano, il figlio di una cara amica della mamma. Massimiliano, infatti, ha la Sindrome di Down e per questo non parla bene, non sa fare i giochi ed è a dir poco appiccicoso. Così, quando si ritrova nella camera di Massimiliano, poco meno che costretto, Leo vorrebbe essere da tutt’altra parte e non nasconde al lettore i suoi pensieri ben poco lusinghieri nei confronti del compagno. Eppure, in quella camera qualcosa accade: senza la pretesa di annullare le differenze (ma quella di arrembare i pregiudizi, sì), il Pirata Barban compie forse la sua più straordinaria impresa, trasformando due bambini pressoché sconosciuti in una ciurma d’assalto che ha più di un’avventura da condividere. Guido Quarzo e Cinzia Ghigliano firmano così un racconto illustrato che è un inno alle seconde impressioni (quelle che si nascondono sotto le prime, spesso fallaci) e all’immaginazione come terreno fertilissimo di incontro e relazione.

Le mani di Anna

In una città che nasconde balconi rigogliosi e giardini erbosi, vive una bambina fuori dal comune. Si chiama Anna e ha un segreto: guarisce i pensieri con le erbacce. Le sue mani sapienti – di una sapienza che è insieme bambina e antica – sanno scegliere e raccogliere l’erba giusta per ogni affanno e donarla con cura riservatissima a chi ne ha bisogno. Così Anna trascorre le giornate tra steli e fiori, senza proferir parola se non alle erbe stesse e facendo uso accorto dei suoi strumenti: forbici, pinzette e fazzoletti. Gli altri bambini la reputano stramba ma c’è qualcuno nel palazzo che sa conoscere e riconoscere la preziosa ricchezza che della stramberia ha solo l’apparenza. Ogni sera, quindi, Anna trova ristoro e compagnia dietro la porta del settimo piano dove si celebra con garbo profondo il potere della selvatichezza – dei pensieri e delle persone -, e la capacità di trasformare la realtà con uno sguardo (o con un gesto).

Il testo composto da Sarah Zambello per Le mani di Anna è asciutto ma dal respiro ampio e nell’accompagnare il lettore a conoscere Anna e i suoi segreti getta minuscoli ma preziosi semi di riflessione: sul respiro, che in fondo non è altro che ricerca di un odore da seguire, sui ricordi che richiedono sguardi distratti, o sui pensieri, anche i più selvatici, che sono preziose possibilità da assaggiare. E così facendo predispone a una lettura quieta, che abbia il tempo di affondare radici e germinare nella testa di chi scorre le parole.

Complici indispensabili di questo invito al rallentamento di sguardo, sono le illustrazioni straordinarie di Daniela Iride Murgia. Capace di autentici prodigi con i colori e le figure, l’illustratrice riesce a rendere qui, con il suo tratto inconfondibile, tutta la saggezza dei gesti mossi dalla piccola Anna, la ricchezza immaginifica delle cose della natura e la sovrapposizione mai domita tra dimensione reale e fantastica. Nelle sue tavole che par quasi di poter odorare, le mani della protagonista sono sempre in primo piano e proprio questa prospettiva aiuta il lettore ad affiancare Anna nel suo raro dono di cogliere ciò che si nasconde nella natura più ordinaria.

Ma non è tutto. Con la sua fine capacità di interpretare nel profondo e dare nuova linfa ai racconti che illustra, Daniela Iride Murgia fa un’altra piccola grande magia, ossia trasforma i movimenti delle mani di Anna in segni eloquenti, segni cioè capaci di dire oltre che di fare. Così, oltre che a scegliere e raccogliere le erbe giuste per guarire i pensieri, ai pensieri le mani possono anche dare voce, tramite gesti silenziosi che ricordano molto da vicino la LIS. Ecco allora che con una delicatezza impalpabile, la diversità di Anna assume un contorno nuovo, ancor più ricco e sfumato. E lo fa attraverso dettagli disseminati qua e là (fin sui risguardi!), mai gridati ma anzi appena accennati, e apprezzabili dunque solo a un occhio accorto: una scelta significativa e fuori dagli schemi, questa, che dice bene di come la tanto declamata valorizzazione della diversità – tra le pagine dei libri così come nel nostro quotidiano – non possa prescindere da un’educazione allo sguardo e all’attenzione.

Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio

Vampiri, streghe, scheletri e mummie: tutti costumi triti e ritriti per una festa di Halloween. Niente a che vedere con un costume da tavola imbandita alla maniera di un ristorante italiano: proprio quello che Hank intende indossare per la sfilata del 31 ottobre a scuola. E a nulla valgono i tentativi di dissuaderlo degli amici Frankie e Ashley: determinato, Hank porta in classe un costume decisamente originale ma soprattutto ingombrante che finisce per causargli inciampi e incastri. Per non parlare delle prese in giro, soprattutto da parte di Nick McKelty che non perde occasione per dar pessimo fiato alla bocca. E così, infuriato come di rado è stato prima, Hank si lascia ispirare dal saggio Papà Pete e costruisce una casa degli orrori da far venire la pelle d’oca a chiunque. L’obiettivo è dare una bella lezione a quel bullo di Nick. Oltre a questa soddisfazione, però, ciò che Hank guadagna dal suo spaventoso progetto è la consapevolezza che essere sé stessi può risultare davvero molto divertente e che si può essere un bambino fantastico indipendentemente da come si legge.

Con Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio, l’ingegnoso personaggio creato da Lin Oliver ed Henry Winkler raggiunge la sua avventura numero nove: un traguardo non da poco, soprattutto se si considera che la coppia di autori americani ha saputo mantenere lungo il tragitto una verve stilistica, una vena inventiva e una capacità di raccontare le difficoltà e le risorse dei bambini, soprattutto (ma non solo) legate alla dislessia, con apprezzabilissima levità. Anche qui, per esempio, non si nasconde l’ostico rapporto di Hank con la parola scritta, con le cose da ricordare o con l’immobilità nei momenti di stress, ma il suo amalgamarsi a una trama spassosa e coinvolgente ne restituisce l’importanza senza caricarlo di inutile (e dannosa) pesantezza.

La bambina di ghiaccio e altre fiabe

Nani, folletti, fate e sirene: nel suggestivo mondo dipinto da Mila Pavićević c’è posto per un ventaglio variegatissimo di figure leggendarie che, leggere e impalpabili, si muovono in bilico sul filo del fantastico. Le loro sono storie di doni e vendette, di incantesimi e desideri, di tristi sorti e di magici riscatti: ingredienti sopraffini per racconti che spolverano e lavorano con sapienza un impasto fiabesco come tradizione comanda.

C’è tutto quel che ci si può aspettare da una raccolta d’altri tempi, infatti, ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe, comprese illustrazioni dal sapore misterioso e antico. Difficile immaginare un tratto più azzeccato di quello della bravissima Daniela Iride Murgia per dipingere protagonisti e cornici di vicende straordinarie e surreali quali quelle narrate dalla drammaturga serba: le sue illustrazioni in bianco e nero dal tratto finissimo, mescolano infatti realismo e dettagli fantastici, atmosfere oscure e personalità stravaganti, avvenimenti sovrannaturali e richiami al quotidiano, con un gusto e una minuzia rari da trovare.

Perfetti per amanti di atmosfere incantate, i testi raccolti da Camelozampa ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe si fanno apprezzare anche per la loro brevità e per la stampa ad alta leggibilità: caratteristiche che ne agevolano la fruizione anche da parte di bambini con difficoltà di lettura legate alla dislessia. La disponibilità del racconto anche in versione audiolibro (6,90 €), inoltre, ne amplia ulteriormente le possibilità di accesso anche da parte di bambini con disabilità visiva.

Tortartè. Ma la torta di che artista è?

Avevamo conosciuto la signora Scodinzoli tra le pagine di Tortintavola (e poi di Tortinfuga). Vittima di un famigerato furto di torte, la signora deve essere rimasta profondamente colpita dal fattaccio: di furti e inseguimenti si popolano, infatti, in questo nuovo albo firmato dal geniale Thé Tjong-Khing, persino i suoi sogni. Assopitasi in poltrona dopo aver consultato un discreto numero di libri d’arte, la signora Scodinzoli inizia a ronfare catapultando il lettore in un’animata scena museale tra quadri che vengono sistemati e quadri che vengono invece trafugati. E via, neanche il tempo di fermarsi a pensare che subito scatta un rocambolesco inseguimento.

Alle calcagna di quello che scopriremo essere un cane mariuolo, si lancia un folto e variegato gruppo di personaggi, tutti ben noti ai fan dell’artista indonesiano: cani, gatti, maiali, pecore ma anche conigli, rane e tassi, tutti egualmente infuriati. La fuga è precipitosa, il tallonamento senza posa e come sempre accade negli albi di Thé Tjong-Khing nella cornice di un unico grande avvenimento – la caccia al ladro per l’appunto – si dipana una moltitudine di avvenimenti più piccoli tutti da gustare: una mamma coniglio assai vendicativa, un figlioletto alle prese con piante pungenti, una pecora che non perde attimo per ricamare e un’infermiera senza un attimo di tregua, per esempio, contribuiscono a rendere la corsa ancora più saporita e dinamica. Fino all’agognata cattura che segna la fine del sogno e riporta la signora Scodinzoli a un inatteso e partecipatissimo vernissage casalingo.

Ciò che rende Tortarté del tutto nuovo rispetto agli albi precedenti, nonostante i personaggi in comune e la simile struttura narrativa, è il fatto che l’inseguimento procede in un paesaggio che ad ogni pagina si rinnova, ispirandosi a una gran varietà di quadri moderni: da Picasso a Braque, da Hokusai a Mondrian le  citazioni più o meno famose di opere d’arte sono più di cinquanta e rendono la lettura una vera e propria caccia al tesoro. Felice  e originale interpretazione della teoria di Květa Pacovská secondo cui “L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che il bambino visita”, Tortartè offre così non solo una ghiotta occasione di lettura accessibile per molti bambini che si scontrano con il testo scritto pur senza avere difficoltà cognitiva, ma anche un pretesto preziosissimo per avvicinare i bambini (ma anche i ragazzi!) all’arte e per farlo in un modo assolutamente convincente.

Il drago di K e altre fiabe polacche

Si potrebbe stare ore ad ascoltare Daniele Fior che legge fiabe. È un’interpretazione intensa e pulita, infatti, la sua, capace di delineare con la sola voce atmosfere lontane e misteriose e di calarvi l’ascoltatore con la facilità di un sortilegio. Lo si può scoprire con particolare piacere ascoltando Il drago di K e altre fiabe polacche: una delle più recenti pubblicazioni di Locomoctavia che raccoglie quattro fiabe tradizionali che arrivano dalla Polonia, paese puntualmente evocato nella cornice degli avvenimenti narrati.

Protagonisti, come nella più classica tradizione fiabesca, sono umani dalle sorti variegate – re, ciabattini, pescatori e principesse – e creature fantastiche come draghi o sirene. Dal loro incontro e confronto scaturiscono racconti in cui ingegno, compassione, onestà e coraggio delineano percorsi di grande suggestione. Così accade, per esempio, che il ciabattino di Cracovia sconfigga il terribile drago che assedia la città, ingannandolo con una finta pecora riempita di zolfo, o che quello di Varsavia trovi la leggendaria anatra d’oro nascosta nel castello ma getti al vento tutte le ricchezze da lei promesse per non rinunciare ai suoi ideali di condivisione e solidarietà. Ma così succede anche nella struggente vicenda che vede una sirena incantare i pescatori della capitale e venire da essi imprigionata prima di poter insegnare loro il valore del dono disinteressato o nella storia del duca avido e burlone che finisce per essere a sua volta turlupinato.

Cullate e accompagnate dalle musiche originali dei Gueppecartò (già felici interpreti anche dell’Alice nel Paese delle Meraviglie edito da Locomoctavia) che sottolineano con forza e discrezione i passaggi salienti del racconto,  le narrazioni curate da Francesco Groggia spargono tracce di realtà in impasti fantastici che sanno parlare con grande fascino a orecchie più e meno giovani.

L’audiolibro de Il drago di K e altre fiabe polacche è proposto al lettore sia in forma di cd audio (13 €) sia in forma di file mp3 (7,99 €) direttamente scaricabile dal sito della casa editrice.

 

Il drago di K e altre fiabe polacche, così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è inoltre fruibile tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Il giorno del nonno

Quando i miei genitori lavorano, sto dai nonni. Sono molto carini, ma a casa loro mi annoio da morire. Non c’è internet, non c’è la televisione, ci sono solo tre fumetti un po’ ammuffiti e tutt’intorno nient’altro che campi di mais. Dentro casa c’è odore di cavolfiore vecchio e di caccole di mosca.

Voilà, un incipit spassoso al punto giusto è bell’e servito! Difficile, una volta letto, immaginare che in quella casa in cui noia e muffa la fanno da padrone non stia per succedere qualcosa di straordinario e che Simone, lo sbuffante protagonista e narratore, non sia pronto a raccontarcelo con piglio ironico e divertente. Niente di più vero. Da lì a poco Simone scopre infatti che il nonno, apparentemente “alle fragole” e dalla memoria zoppicante, viene come attivato alla vista di particolari oggetti (una lente di ingrandimento, una spada di legno, una corona di cartone, una ventosa fluorescente…) che lo portano a raccontare storie passate a dir poco incredibili. Storie in cui il nonno arrestava il famigerato Jo Patatina, si faceva chiamare Pirata Barba-fifa, dava ordini da re o curava intestini pigri di extraterrestri: storie che mescolano realtà e fantasia, trasformando il mercoledì, il giorno in cui Simone va a trovare i nonni, nel giorno più atteso della settimana. Così Simone inizia a cercare oggetti via via più suggestivi da sottoporre al nonno e porta i suoi amici ad assistere allo show infrasettimanale, divenuto ormai ambitissimo e leggendario. Fino a quando, un mercoledì come tanti, il nonno non si fa stranamente trovare a casa: sarà quello, con la triste e realistica visita in ospedale che toccherà a Simone, il momento in cui il bambino parteciperà a un simbolico passaggio di consegne e allo svelamento di un segreto più che speciale.

Stampato con alcune caratteristiche di alta leggibilità (font specifico, spaziatura maggiore), Il giorno del nonno è un libro godibilissimo di Emmanuel Bourdier, capace di unire efficacemente divertimento e tenerezza. Contraddistinto da dialoghi serrati e descrizioni che sposano un punto di vista squisitamente bambino, il racconto è accompagnato dalle illustrazioni ironiche e buffe di Laurent Simon che ne sottolineano il tono brioso.

Hotel Bonbien

Un albergo a conduzione familiare su una strada di passaggio nella Marna: questa è la casa di Siri, la giovane protagonista e narratrice del romanzo. Qui la bambina vive con la mamma, impetuosa addetta alla cucina, il papà, remissivo addetto ai conti e alle reception, e il fratello Gilles, adolescente aspirante filosofo e cultore dell’hard rock. Le cose non vanno proprio a gonfie vele all’Hotel Bonbien: gli affari non decollano, i soldi scarseggiano, gli arredi iniziano a risultare datati e, soprattutto, a causa di tutto ciò mamma e papà litigano spessissimo a suon di piatti rotti e urla furibonde. Così Siri, tra un’amicizia volante con gli ospiti dell’albergo, qualche osservazione silenziosa di cuccioli di tasso e qualche coccola alle galline del pollaio, inizia a preoccuparsi che la famiglia possa sfasciarsi, complice anche la recente separazione dei genitori della sua più cara amica Sylvie. E come spesso accade ai bambini della sua età con famiglie in crisi, si sente in dovere di fare qualcosa, di trovare una soluzione. La soluzione sembra letteralmente cascare dal cielo, quando una brutta caduta da un albero dona a Siri una memoria prodigiosa: il fratello Gilles pensa infatti di sfruttarla per tirare su un bel bottino e risolvere così i problemi dei genitori. Inizia a quel punto un rocambolesco viaggio di famiglia verso un concorso di memoria con un bel gruzzolo in palio, che porterà a un inatteso lieto fine in cui i soldi hanno in realtà un ruolo più che marginale.

Con uno stile fresco e ironico, Enne Koens racconta l’anno di svolta di Siri (quello del suo decimo compleanno), mettendo bene in luce i crucci che possono accompagnare una crisi famigliare e il modo in cui possano amplificarsi entrando nella testa di un bambino. Lo fa con leggerezza, costruendo una cornice – quella dello scalcinato Hotel Bonbien e di tutte le figure che vi abitano o vi passano – animatissima e brulicante in cui è difficile annoiarsi e in cui gli imprevisti sono all’ordine del giorno. Il romanzo solletica insomma il lettore con una costante e delicata vivacità che ben si accompagna al tono sorridente delle illustrazioni schizzate di Katrien Holland che tanto ricordano il maestro Quentin Blake. Scrittura ritmata, personaggi a cui ci si affeziona presto, pensieri in cui ci si può riconoscere e piccole avventure quotidiane a filo di pagina rendono Hotel Bonbien un romanzo delizioso che più facilmente di altri può accogliere anche lettori con difficoltà legate per esempio alla dislessia o alla disabilità visiva, anche grazie all’impegno profuso dalla casa editrice Camelozampa nel rendere il testo disponibile in molteplici formati: a stampa ad alta leggibilità, audiolibro, ebook e audioebook.

Candido e gli altri

Delizioso, verissimo, umano. Quanto ti aspettavamo, Candido! Creato da Fran Pintadera e Christian Inaraja, Candido è il protagonista di un albo che in 46 coloratissime pagine riesce a mettere a fuoco le difficoltà implicate dal sentirsi diversi e al contempo a mostrare come proprio quelle difficoltà siano in fondo ciò che ci rende tutti simili. Il suo segreto è una leggerezza più unica che rara: qualità che permette alla storia, nella sua grande semplicità, di librarsi svincolata da briglie didascaliche, moltiplicando significati, riverberi e letture possibili. E così possiamo senz’altro inserire Candido e gli altri tra i libri più riusciti in circolazione sulla disabilità senza che tuttavia questa sia mai citata e senza che una lettura di tutt’altro genere e significato possa dirsi fuori strada.

Perché Candido, semplicemente, non è come gli altri, a volte si sente strano, fatica spesso a capire e a farsi capire dal mondo, e per tutte queste ragioni prova sentimenti controversi, tesi tra il desiderio di non essere osservato come una bestia rara e quello di non risultare del tutto invisibile. Con frasi direttissime e illustrazioni dai tratti mai fuori posto, l’albo dipinge questo suo ritratto in cui difficilmente un qualunque lettore non si riconoscerà almeno in parte, preparando al millimetro il terreno per un calzante finale a sorpresa. Un finale in cui entra in campo Fidel che, vestito di tutto punto in una spiaggia affollata amata da tutti, è evidente che non è come gli altri.  Con lui il libro si chiude ma il pensiero si spalanca, perché l’idea di una normalità tutta relativa che sta al centro dell’albo affiora con forza travolgente e invita senza possibilità di resistenza a una riflessione del lettore su quegli strambi personaggi, su di sé, e su coloro che lo circondano. Anche per questo il libro si presta perfettamente a una lettura condivisa, in classe per esempio, e ad avviare un lavoro profondissimo su cosa ci renda simili e dissimili dagli altri.

Vincitore dell’XI edizione del Premio Internazionale Compostela per gli albi illustrati, Candido e gli altri è un albo in cui i dettagli fanno la differenza. Dall’insolito formato (alto e stretto) alla costruzione di personaggi che stimolano la ricerca di tratti comuni e divergenti, dalle sottili citazioni di grandi artisti contemporanei all’uso pregnante dei colori, il libro edito da Kalandraka è un piccolo gioiello da non sottovalutare, capace di risuonare negli occhi e nelle orecchie di lettori di età anche molto diverse e di dare un volto indimenticabile all’idea mai sopita che “visto da vicino nessuno è normale”.

La grande rapina al treno

Chi l’ha detto che indiani, cowboy e assalti alla diligenza non possano più conquistare i giovani lettori? Leggere La grande rapina al treno per credere! Qui prende vita infatti un’avventura così travolgente che sarà difficile staccare gli occhi dal libro, in una lettura in corsa che avvicina la sequenza di pagine a una frenetica ripresa cinematografica.

Protagonista del racconto dall’ambientazione vintage, è un bambino a modino – calzoncini corti, cappello piatto e papillon – che in compagnia di una zia rigida e bacchettona sale a bordo di un treno del west. Il viaggio appare inizialmente noiosissimo: poco accade fuori dal finestrino e quel poco che accade pare non poter essere condiviso a meno di infrangere le ferree norme del buon viaggiatore riassumibili in “stare seduti” e “fare i bravi”. Ma a un certo punto qualcosa di interessante accade. Dal finestrino spunta dapprima un cavallo, seguito a ruota da svariati altri animali da fattoria cavalcati a pelo da quelli che appaiono a tutti gli effetti come dei banditi (la maschera sugli occhi non mente!). È la famigerata banda dei Tredici (di cui solo tre membri, però, risultano pervenuti): malviventi senza scrupoli che, armati di pistole e mattarelli, assaltano il treno e rapinano gli sventurati passeggeri. Sulla loro scia arriva anche il coraggioso sceriffo Nick Stecchetto che in un inseguimento senza esclusione di colpi (e di mezzi di trasporto) dà il via a una caccia ai ladri che coinvolgerà dal primo all’ultimo passeggero. Chi si arrampica sul tetto e sgancia i vagoni, chi tira con la fionda, chi attiva robot meccanici e chi familiarizza con orsi circensi: sul treno di Federico Appel ne succede di ogni e mentre l’occhio del lettore prova a seguire tutto quel che accade, la sua immaginazione va in sollucchero di fronte a tanta esuberante inventiva.

Succedono cose, infatti, dentro, sopra, intorno, sotto e dietro al treno, il che contribuisce a rendere la scena concitata e il ritmo narrativo irruente. L’autore allestisce così un racconto vorticoso che spinge il lettore a correre avanti e indietro lungo pagine e vagoni. Non c’è tempo da perdere, infatti: urge seguire, scoprire, collegare e risolvere tutto quello che freneticamente accade sul treno prima dell’arrivo (in orario perfetto!) alla stazione di destinazione.

Con grande divertimento, Federico Appel riesce in particolare a tenere agganciato il lettore grazie a una narrazione ingegnosa e originale che procede esclusivamente per discorsi diretti non attribuiti esplicitamente. Sta al lettore dunque riconoscere chi di volta in volta parla, facendo appello agli indizi forniti dall’illustrazione della pagina e dalla divertente presentazione dei personaggi posta in apertura di libro: scelta, questa, che (a margine ma neanche troppo) dice forte e chiaro come una difficoltà di lettura legata per esempio alla dislessia non debba necessariamente implicare una costruzione narrativa banale e scontata. Ne vien fuori una storia divertente, ad alta leggibilità e ad alto tasso di coinvolgimento che di certo non si esaurisce in una sola lettura. Sul treno della grande rapina, insomma, sarà difficile accontentarsi di un solo viaggio!

Hank Zipzer. Odio i corsi estivi

In Tiratemi fuori dalla quarta abbiamo lasciato Hank alle prese con un tormentato superamento della penultima classe e ora eccoci qui: è arrivata l’estate e con essa i temibili corsi estivi che Hank si trova a dover frequentare mentre i suoi migliori amici si godono lo spassoso programma dei Giovani Esploratori. Si aggiunga poi che i compagni di corso del povero Hank sono i peggiori in circolazione (compresa la fidanzata dello stolido Nick McKelty) e si capirà il perché dell’umore nero di Hank. Unica consolazione: a tenere i corsi estivi è il signor Rock, insegnante di musica e docente preferito di Hank. È lui a chiedere come compito la presentazione di un personaggio famoso ammirevole e ad Hank, in particolare, consiglia di scegliere Albert Einstein. Così il ragazzo inizia una forsennata ricerca di informazioni sullo scienziato: l’obiettivo è confezionare la più straordinaria introduzione mai vista alla SP 87 perché la posta in gioco è alta. In ballo, per Hank, c’è infatti la possibilità di partecipare al talent show finale dei Giovani Esploratori con la performance da urlo dei Magik 3.

Anche questa volta il protagonista brilla per la sua capacità di affrontare i problemi con creatività, per le sue associazioni mentali sorprendenti, per il suo saper fare di una motivazione forte un importante alleato. Ma rispetto agli episodi precedenti, il protagonista mostra qui un’ulteriore inattesa qualità: il saper accogliere con dolcezza persone indifese, come il piccolo Mason, riconoscendo nelle difficoltà altrui le proprie e vestendo i panni di un affettuoso e talentuoso insegnante.

L’invenzione che ho inventato

Se c’è una lezione che il Piccolo Principe ci ha insegnato bene è quella di guardare oltre le apparenze, perché quello che può sembrare un cappello può rivelarsi in realtà una pecora ingoiata da un boa. Ecco, un bell’omaggio a quella preziosa lezione ci pare di scorgerlo nel delizioso albo L’invenzione che ho inventato, da poco reso disponibile dall’editore Storie Cucite in versione tradizionale e in versione inbook.

Protagonista della storia è Tommaso, un bambino operoso e creativo che, armato di fogli e pastelli, disegna un’invenzione geniale da lui stesso messa a punto. In cosa consista non lo scopriamo fino all’ultimo (e non lo riveleremo certo qui!) perché tutte le persone che Tommaso incontra vanno troppo di fretta, hanno uno sguardo troppo superficiale o sono troppo supponenti per coglierne davvero il senso, liquidando presto l’invenzione come una casa troppo storta, dal comignolo troppo alto, dal design antiquato o addirittura fatta al contrario. Solo alla fine, quando ormai Tommaso è del tutto scoraggiato al punto da gettare il suo lavoro nel cestino, trova il sostegno dovuto nella sua compagna Clara che capisce senza indugi in cosa consista la sua invenzione  e ne coglie al volo tutta la genialità.

Rispettoso del più autentico spirito infantile, L’invenzione che ho inventato dice in maniera davvero delicata e puntuale l’importanza di mantenere uno sguardo fresco sulle cose e di prestare attenzione al loro senso più nascosto, restituendo a chi sa mostrare un pensiero divergente tutto il rispetto e il valore che merita.

Il libro si compone di pagine ampie in cui il testo in simboli WLS riquadrati trova adeguatamente spazio, agevolando così la lettura p. Adatto a un pubblico di lettori un pochino rodati – data per esempio la presenza di frasi piuttosto lunghe e di strutture sintattiche dalla linearità variabile – L’invenzione che ho inventato offre un’occasione per sperimentare non solo una lettura non scontata ma anche possibilità immaginative nuove.

Nel mio giardino il mondo

Un giardino, piccolo o grande che sia, è un piccolo teatro a cielo aperto. Qui accadono meraviglie di diversa taglia, avvengono scoperte straordinarie e si dipanano storie travolgenti: la natura offre infatti materie prime a iosa per trasformare pomeriggi qualunque in autentiche imprese da ricordare.

Lo sanno bene i tre protagonisti del delizioso albo senza parole Nel mio giardino il mondo, firmato da Irene Penazzi ed edito in Italia da Terre di Mezzo. Intercettati sul fare della primavera, quando gli uccelli si risvegliano e i primi germogli fanno capolino, i tre giovani si avviano fuori casa armati di una palla, una poltrona e un rastrello: tre oggetti simbolo di quel che un giardino può diventare. Cornice di giochi, relax e lavori all’aria aperta, il giardino si trasforma infatti fin dalla seconda pagina in un luogo del fare in cui è difficile annoiarsi. C’è da estirpare le erbacce, sistemare il pollaio, creare rifugi a prova di sole e di pioggia, curare bestiole, gustare ciliegie, fare gli indiani, creare dinosauri,  festeggiare compleanni e trovare tesori. Solo per fare qualche esempio, puntualmente fotografato dalla matita colorata dell’autrice. C’è da fare tutto questo e molto altro perché la bella stagione passa in fretta e non si fa in tempo a meravigliarsi di fronte alla magia delle lucciole in una calda sera d’agosto che è già ora di raccogliere fichi, creare tane per ricci, scaldarsi di fronte a un fuocherello e rassettare il giardino prima che la prima neve cada e l’inverno renda meno intensa (ma non certa nulla, come ci suggeriscono il pupazzo e la slitta!) la vita all’aria aperta.

Scorre insomma un anno intero tra le pagine di questo albo meraviglioso, scandito da ritmi diversi a seconda della stagione di volta in volta ritratta. Al breve e pacato inverno, reso attraverso due pagine silenziose prive di figure umane, si contrappongono le numerose e movimentate pagine dedicate alla bella stagione in cui i bambini protagonisti paiono non fermarsi mai, animati da un irrefrenabile spirito di creazione ed esplorazione che trova nello spazio del giardino un vero e proprio regno delle possibilità. Il tratto di Irene Penazzi, dal canto suo, è preciso e dinamico, capace di restituire tutta la vitalità delle giornate operose all’aria aperta e il brulicare di avventure più o meno immaginarie che nel cuore di un giardino possono prendere forma. Ci si può attardare con gusto e perdere con grande soddisfazione, dunque, tra le sue tavole ricchissime ma tutt’altro che soffocanti, nelle quali riconoscere con delizia gesti familiari, dettagli nascosti, spunti di gioco e  osservazioni importanti.

Anche in virtù di questa qualità oltre che dell’assenza di parole, risultano innumerevoli le letture che di questo albo si possono fare, a tutto vantaggio anche di un pubblico di giovani lettori con difficoltà (per esempio legate alla dislessia, alla sordità o ai disturbi della comunicazione) che possono qui trovare un terreno narrativo fertilissimo, aperto e stimolante.

Il mago di Oz

Il lavoro che negli ultimi anni Erickson ha portato avanti sul fronte dell’adattamento dei classici della letteratura per l’infanzia a uso di lettori con difficoltà comunicative è importante e prezioso. Lo è soprattutto perché condotto con grande rispetto a attenzione nei confronti dei testi originali e con il coinvolgimento di molteplici figure le cui diverse professionalità sono garanzia di un prodotto finale che unisce con efficacia accessibilità e qualità estetica. Lo avevano mostrato già i primi due titoli della collana I classici con la CAAPinocchio e Il piccolo principe – e tornano ora a confermarlo i titoli più recenti come Il mago si Oz.

Felicemente illustrato da Giulia Orecchia, il libro restituisce al lettore tutta la vivacità dell’immaginario di Lyman Frank Baum con tavole in cui i colori si fanno protagonisti e i personaggi  toccano nel vivo la fantasia del lettore. Le incisive illustrazioni dell’artista milanese sono frequentissime (una ogni doppia pagina), il che concorre a rendere il libro una vera delizia per gli occhi e a fare dell’immagini un elemento chiave per l’aggancio, la comprensione e la rappresentazione della storia nella mente del lettore.

Per quanto semplificato e adattato, infatti, il racconto non è affatto banale sia per la ricchezza di eventi e personaggi coinvolti, sia per la lunghezza e il corpo del testo. Dal punto di vista narrativo vengono mantenuti infatti tutti gli episodi principali del romanzo – dall’incontro con il Boscaiolo di stagno, lo Spaventapasseri e il Leone all’arrivo nel regno di Oz, dall’incontro con la strega dell’Ovest all’avventura con le Scimmie Volanti, dalle ricompense del grande Oz al ritorno a casa – mentre da quello sintattico non mancano frasi di una certa lunghezza o composte da subordinate ed elementi lessicali poco comuni. Il libro si pone dunque come proposta di lettura adatta a un pubblico con difficoltà non troppo marcate e/o con una certa dimestichezza già accumulata con la lettura in simboli.

Scelti all’interno della collezione di WLS (Widgit Literacy Symbols), questi coinvolgono tutte le parti del testo (non solo quelle lessicali, quindi) e comprendono sia l’elemento alfabetico sia l’elemento grafico all’interno del riquadro. La loro distribuzione sulla pagina, come da modello inbook, segue la punteggiatura della frase così da rendere più agevole la lettura. Allo stesso scopo va sottolineata l’iniziativa dell’editore di corredare il volume cartaceo di una registrazione audio del testo, scaricabile gratuitamente grazie a un codice inserito in prima pagina: un accorgimento tutt’altro che irrilevante nell’ottica di rendere la fruizione del racconto il più possibile ampia e adatta a esigenze differenti.

Una giornata di sole

Una giornata di Sole è una raccolta di microstorie quotidiane che vedono protagonista un cane di nome Sole. Pelo chiaro ed energia da vendere, Sole si trova ad affrontare diverse situazioni per lui perlopiù nuove – dall’incontro con il gatto neo-inquilino di casa al primo pomeriggio senza la sua padrona, dalla rottura del pupazzo preferito ai tuffi nel fiume – e le emozioni che da esse derivano. Attraverso ciò che accade al cucciolo peloso – soggetto capace di suscitare grande interesse e di rivelarsi familiare a numerosi bambini – il libro offre semplici e spendibili spunti anche per riflettere e riconoscere le emozioni umane. Non a casa al termine del volume si trovano alcuni suggerimenti di attività che genitori e insegnanti possono proporre sul tema ai loro bambini.

Pubblicato da Homeless Book in simboli WLS, Una giornata di Sole presenta un testo lineare ma non minimale, composto perlopiù di frasi brevi o coordinate e contraddistinto da un lessico quotidiano. Le illustrazioni semplici ma attente soprattutto a rendere con precisione le emozioni dei protagonisti – vero focus del libro – aiutano a rafforzare l’aggancio con il racconto il quale, grazie a una struttura frammentata in tante piccole storie, si presta agevolmente anche a una lettura in più momenti.

Il prigioniero senza frontiere

Ci sono libri piccoli piccoli che sanno dire cose molto grandi. E sanno farlo, talvolta, senza usare nemmeno una parola. È il caso del silent book Il prigioniero senza frontiere, firmato dall’autore canadese Jacques Goldstyn e proposto in Italia dall’editore Picarona: un albo tanto leggero quanto denso che illumina silenziosamente su quanto rivoluzionario sia il potere della parola e su quanto sacrosanto sia il diritto di esercitarla.

Protagonista del libro è un signore intento a partecipare a una manifestazione di dissenso. Non sappiamo quasi nulla di lui e dell’idea che difende ma la sua espressione gentile e la compagnia di una bambina sorridente che lo tiene per mano durante la protesta ci fanno presumere fin da subito che le sue intenzioni non siano cattive o bellicose. Eppure la manifestazione si trasforma in uno scontro, la polizia si prodiga in manganellate e arresti e così l’uomo si ritrova  improvvisamente e incomprensibilmente  in carcere. I valori per cui stava manifestando continuano ad animare i suoi pensieri anche se la solitudine della cella tenderebbe a portargli via la speranza. Ma un giorno qualcosa accade: l’uomo riceve una lettera che gli riporta il sorriso. Deve essere una lettera pericolosa, pensa la guardia, se quello è l’effetto, e così la lettera finisce in briciole. Ma poi le lettere diventano due, tre, dieci, cento… e per disfarsene la guardia è costretto a bruciarle.  Il problema parrebbe risolto se non che le tracce di fumo, cenere e brandelli di carta arrivano più lontano del previsto e tanti sconosciuti – vecchi e bambini, esquimesi e cow boy, marinai e clown e chi più ne ha più ne metta – iniziano a scrivere lettere al prigioniero, regalandogli una via di fuga tanto straordinaria quanto inattesa.

Costruito intorno a una potentissima metafora – quella delle parole che possono divenire ali – Il prigioniero senza frontiere si ispira a un’iniziativa reale promossa ogni anno da Amnesty International che invita i cittadini che hanno a cuore il rispetto dei diritti umani a scrivere missive ad alcune persone incarcerate ingiustamente così da non farle sentire sole e anzi a favorire la loro liberazione.  Questa maratona di lettere – così si chiama l’iniziativa – costituisce una forma di resistenza civile e manifestazione non violenta del proprio dissenso, in cui le parole reclamano a gran voce il loro peso e il loro valore. Goldstyn, dal canto suo, è riuscito a trasformare tale iniziativa in una storia di grandissima forza e peraltro ampiamente accessibile grazie a un racconto che oltre a fare a meno del testo, si sviluppa per quadri ben costruiti che rendono i passaggi narrativi  chiari e fruibili anche in caso di scarsa dimestichezza con la decodifica delle immagini.

 

Immagina

I silent book offrono spesso ai giovani lettori una libertà di movimento sulla pagina e nella storia più ampia rispetto agli albi che del testo sono invece provvisti. L’assenza di parole consente infatti al lettore di seguire una traccia narrativa che è certo ben presente ma meno vincolante e per questo più adatta a venir seguita con passo libero e personale. Questo in generale. Poi ci sono libri come Immagina, vincitore del Silent Book Contest 2018, che della libertà di interpretazione, immaginazione e racconto fanno in qualche modo la loro chiave. La giovane illustratrice russa Anastasia Suvorova dà infatti vita a una storia in cui è difficile se non impossibile individuare un percorso di senso incontrovertibile e di conseguenza il lettore viene a trovarsi nella posizione di stabilire in grande autonomia il significato più autentico, valido e proprio da attribuire alla vicenda. Si tratta di un’opportunità interessante anche per lettori con bisogni speciali: essa può certo, infatti, rivelarsi complessa se la dimestichezza con la decodifica delle immagini non è particolarmente affinata o se la presenza di una disabilità cognitiva limita l’attivazione di inferenze, ma che al contrario può risultare estremamente suggestiva e stimolante, se il tipo di difficoltà sperimentata non ha a che vedere con l’intercettazione del potenziale narrativo delle immagini.

Protagonista del volume è un ragazzino che, armato di matita, trasforma l’anonimo muro grigio che si trova alle sue spalle in un mondo fantastico pronto ad animarsi. È il delinearsi di un imponente pennuto rosso fuoco, in particolare, a dare vita all’avventura, conducendo il giovane disegnatore all’interno di quel mondo da lui stesso creato. Da qui in poi l’autrice inizia a  sciogliere le briglie del racconto, lasciando il lettore libero di seguire il protagonista in un viaggio sospeso tra reale e fantastico, tra visione ed emozione, tra fisico e metaforico. È la nota cromatica rossa che di pagina in pagina passa ad evidenziare elementi diversi – una casa, una barca, un fiore, un volpe – a suggerire in maniera davvero sottilissima, quasi impercettibile, un itinerario narrativo. Perché quei dettagli prendano colore, cosa succeda esattamente al ragazzino tra quei villaggi e quei boschi, cosa rappresentino le creature scelte per condurlo dentro e fuori da quel mondo dipinto non è dato saperlo con certezza e proprio questo pone delicatamente in bilico tra  smarrimento e rassicurante libertà, la sfida di lettura offerta a chi sfogli le pagine di questo libro.

Prima o poi

Un filo può raccontare tante cose: un percorso, degli incontri, delle emozioni, una crescita. La vita, insomma. Questo è, in particolare, quello che ha saputo vedere in un (apparentemente!) banalissimo  filo di cotone Isabella Christina Felline, autrice dell’interessante libro tattile Prima o poi. Protagonista del volume è infatti proprio un filo bianco che da groviglio iniziale, attraverso un cammino non privo di ostacoli e preoccupazioni, trova finalmente la sua strada e capisce come diventare qualcosa di speciale (cosa non lo riveleremo per amor di sorpresa!). Nelle sue incertezze e défaillance ma anche nel suo tirare fuori la grinta e conquistare la propria identità si legge tutta la  fragilità umana, soprattutto in un momento di crescita e passaggio, al punto che nonostante l’apparente semplicità il libro parrebbe adattissimo ad esser letto e apprezzato non solo da bambini ma anche e soprattutto da adolescenti e preadolescenti.

Sfruttando le potenzialità fisiche e figurate di un oggetto semplice ma versatile come un filo – la lunghezza, la districabilità, la sottigliezza, per esempio – l’autrice crea un personaggio simbolico che invita a cogliere l’unicità di ciascuno e il suo diritto a riconoscersi speciale. Elegante nella sua veste bianca e nera (pagina nera su cui poggiano il filo bianco e il riquadro del medesimo colore che riporta il testo tradizionale e in Braille), Prima o poi propone un’occasione di lettura tanto accessibile quanto suggestiva. Le illustrazioni interamente composte dal filo che cambia forma, posizione e aspetto facilitano il riconoscimento tattile senza per questo renderlo banale o privo di sfumature. Le peculiarità e il valore metaforico di un filo di volta in volta, per esempio, aggrovigliato, liscio, composto, sfibrato o sferruzzato rafforzano e amplificano infatti il senso di una storia che non dice ma suggerisce, non indica ma evoca.  Frasi fulminee e parole che come prismi moltiplicano le sfaccettature e le possibilità di significato del racconto, offrono infatti la chiave per agganciare il lettore e risuonargli dentro a lungo.

Il nonno bugiardo

Ne racconta di storie, il nonno di Andonis! E il nipote, comprensibilmente, si chiede di continuo se siano vere o meno. Racconta storie quando banalmente arriva in ritardo, nonno Marios, ma anche quando, più sentimentalmente, evoca il suo passato da giramondo. Attore di teatro esiliato durante la dittatura greca, il nonno ha vissuto sulla sua pelle grandi eventi come il ‘68 parigino, eventi che nei suoi racconti restano sospesi tra il reale e l’immaginario, sicché il decenne Andonis oscilla tra il fascino che emana un passato avventuroso  e il timore che qualcosa gli venga costantemente tenuto nascosto. Come tutto ciò che riguarda la nonna, per esempio, di cui nessuno in famiglia parla. Chi era? Dove è finita? Perché tutti tacciono quando viene citata? E così silenzi e  mistero alimentano una visione talvolta distorta e talvolta surreale della storia famigliare fino a quando, una serie di viaggi in cui il nonno porta con sé Andonis, gli consentono di ritrovare i pezzi mancanti a una visione d’insieme. Quei viaggi saranno l’occasione per conoscere direttamente alcune tracce di quel passato favoloso narrato dal nonno e per  rafforzare il legame che lo lega a quest’ultimo: un legame che si alimenta di esperienze sui generis, citazioni di classici, conversazioni da grandi e che rivela forse tutta la sua intensità proprio quando il nonno viene a mancare.

Scritto da una delle più affermate autrici greche, Il nonno bugiardo è un libro dall’andamento perlopiù placido (ma mai stagnante!) e capace di un’accelerata sul finale, quando i tasselli del puzzle famigliare vengono a ricomporsi. Animato da personaggi ben caratterizzati e da una capacità rara di intrecciare la Storia e le storie, il romanzo di Alki Zei invita il lettore a una lettura sorniona, resa più fruibile non solo da una stampa ad alta leggibilità nella versione cartacea ma anche dalla possibilità di optare per soluzioni variegate – ebook (in formato epub o mobikindle, 7.90 €), audiolibro (8.90 €) e una combinazione dei due (9.90 €) – che dimostrano ancora una volta la grande sensibilità dell’editore Camelozampa per la questione dell’accessibilità della lettura.

Il bambino con le scarpe rotte

Il protagonista di questa storia di nome fa Dario ma quasi nessuno dei suoi compagni lo chiama così. Per tutti è “il bambino con le scarpe rotte”: appellativo sprezzante che ne sottolinea la condizione di indigenza e ne ferisce profondamente i sentimenti. Dario però non reagisce alle prese in giro, tende a tenere un basso profilo e a incassare i colpi senza dare grandi soddisfazioni ai suoi tormentatori. Un giorno però Bob e la sua gang si avvicinano minacciosi e fanno per togliere la sedia su cui Dario è seduto e questi, in uno scatto di rabbia, spinge via con forza il compagno facendogli battere la testa. Spaventato dalla sua stessa reazione e dal dolore causato a Bob, Dario corre via finendo per rompere il suo unico paio di scarpe. Quella che pare una disgrazia, tuttavia, apre per il bambino delle possibilità nuove: Dario scopre infatti di poter correre molto veloce, da scalzo, e proprio una gara a piedi nudi gli offrirà la chance di riappacificarsi con Bob.  “Tutto si aggiusta”, dice con dolcezza la mamma di Dario, in una chiosa che non ha certo a che vedere con le sole scarpe.

Racconto di altri tempi, capace di portare a galla una piaga tutt’altro che scomparsa come la povertà, Il bambino con le scarpe rotte si presenta come un albo ad alta leggibilità, grazie all’impiego del font Easyreading e di una serie di caratteristiche tipografiche come la maggiore spaziatura tra le parole, le lettere e le righe o la sbandieratura a destra: tratti che lo rendono particolarmente fruibile anche in caso di dislessia. Da non sottovalutare, in questo senso, anche la scelta di proporre la storia in forma di albo: la combinazione di testi snelli e immagini protagoniste a tutta pagine costituisce, infatti, un incentivo significativo alla lettura da parte di bambini della scuola elementare – cui frequentemente si propongono solo racconti con poche immagini –  anche con difficoltà legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

 

Meno male che il tempo era bello

Che nessuno si azzardi più a dire che le biblioteche sono posti noiosi, polverosi e in cui non succede mai niente. L’incredibile vicenda della biblioteca Jacques Prévert, narrata abilmente da Florence Thinard, prova incontrovertibilmente il contrario. Ciò che accade è che un pomeriggio come un altro, durante un forte temporale, la biblioteca inizia a fluttuare come fosse una barca in mezzo al mare. Nessuna spiegazione plausibile, nessuna soluzione immediata: agli sventurati che si trovavano all’interno della biblioteca al momento del fattaccio non resta che rimboccarsi le maniche e fare fronte all’incredibile evento. E sì che la combriccola non potrebbe essere assortita in maniera più stravagante: insieme al personale – la solerte bibliotecaria Sarah, il direttore Patisson e la signora Perez addetta alle pulizie –  si trovano un utente fuori dagli schemi di nome Saïd e un’intera classe di scuola media accompagnata dal professor Daubigny.

Dopo i primi istanti di smarrimento, il gruppo si adatta alle avverse condizioni, trasformandosi in una ciurma a tutti gli effetti con tanto di mansioni specifiche, turni di guardia e insperato spirito da lupi di mare. Quando si è a bordo di una biblioteca fluttuante, tocca procurarsi il cibo, conservarlo e cucinarlo, raccogliere e immagazzinare l’acqua potabile, lavarsi, riposarsi, mantenere alti gli animi e, non ultimo, cercare di farsi notare da qualche potenziale mezzo di soccorso. Tutte piccole grandi imprese che la squadra riesce a portare a termine, in un crescendo di colpi di scena, imprevisti e svolte avventurose, grazie a un ammirevole spirito di gruppo, a una guida adulta intraprendente e mai scoraggiata, a un entusiasmo adolescenziale finalmente valorizzato a pieno, e ai preziosi spunti che i libri – da Robinson Crusoe ai manuali tecnici – sanno custodire e rivelare. Siamo pur sempre in una biblioteca!

Dopo un inizio calmo e pacato, che lascia al lettore il tempo di acclimatarsi nella Jacques Prévert e prendere confidenza con i visitatori di quel fatidico martedì 12 febbraio, il romanzo di Florence Thinard prende letteralmente il largo, portando con forza il lettore tra e sopra le mura di quell’insolita barca che dalla Francia raggiunge rocambolescamente le Azzorre. La molteplicità di personaggi coinvolti, i dialoghi serrati e spesso non attribuiti, le frasi non sempre brevi e talvolta ricche di coordinate non danno certo vita a una lettura banale ma la natura avvincente del racconto lo rende particolarmente appetibile anche a ragazzi che con le lettura non vanno proprio d’accordo, magari per difficoltà legate alla dislessia. A supporto di questi ultimi (ma in favore in realtà di tutti i lettori, dato il carattere universalmente amichevole dei tratti in questione) viene inoltre la scelta dell’editore di impiegare il font Easyreading e le principali caratteristiche di alta leggibilità per la stampa del volume ma anche di offrire la possibilità di scaricare il romanzo in formato mp3 così da immergervisi attraverso l’ascolto, esclusivo o affiancato  alla lettura.

Confini

Capita talvolta di imbattersi in libri così ricchi e folgoranti che dirne diventa cosa difficile. Difficile scegliere da dove partire, difficile trovare le parole aderenti alla meraviglia, difficile condensare una gran mole di spunti in poco spazio. Ecco, Confini è in tutto e per tutto uno di quei libri: un volume cioè su cui vale la pena attardarsi e lasciar sedimentare folgorazioni e lampi.

Di un’attualità purtroppo disarmante, il libro curato da Antonella Veracchi e Michela Tonelli percorre i diversi tipi di barriere che limitano o impediscono non solo gli spostamenti delle persone ma anche e soprattutto le loro relazioni. I confini, così come il libro illustra in maniera davvero incisiva, sono infatti geografici ma anche mentali, culturali e comunicativi. Così, sfogliando ed esplorando le pagine essenziali ma densissime di pensiero che compongono questo albo, ci si trova ad attraversa corsi d’acqua e catene montuose, distese desertiche e muri altissimi, barriere metalliche e labirinti di parole: linee “accoglienti o respingenti”, a seconda dello sguardo che vi si posa e dell’atteggiamento che ne nasce. “Apriamo i confini” è l’invito conclusivo, che accompagna una busta in cui si raccolgono le testimonianze di chi lunghi viaggi e duri superamenti di confini, negli anni, li ha sperimentati sulla sua pelle e a cui si possono aggiungere i racconti degli stessi lettori. Un invito schiettissimo, chiaro e netto – in pieno e voluto contrasto con il tono evocativo delle altre pagine – reso necessario da un tempo in cui dire a voce alta da che parte si sta si è fatto drammaticamente importante.

Ecco, già così, per la maniera fortissima in cui il tema dello sconfinamento viene trattato, Confini meriterebbe una certa attenzione. Ma ciò che lo rende davvero straordinario, in realtà, è la maniera in cui il libro è costruito, latrice a sua volta di un messaggio forse ancor più potente. Confini non è infatti un comune libro tattile – composto cioè di illustrazioni a collage materico esplorabili e decodificabili anche al tatto e proposto dall’editore anche in una versione arricchita dal Braille – ma è un libro tattile in cui le mani non servono solo per godere delle illustrazioni ma anche e soprattutto per tessere relazioni.  In che modo? Il libro è costruito per essere aperto in verticale e per essere letto in tandem, da due lettori posti l’uno davanti all’altro grazie a un testo e a delle immagini che si presentano specularmente su una pagina e su quella di fronte. Questo fa sì che tra i due lettori si debba necessariamente stabilire una connessione, quantomeno per capire chi legge cosa e con che ritmo. Si legge insieme? Si legge un pezzo ciascuno? Ciò che c’è scritto su una pagina è uguale a ciò che c’è scritto su quella del compagno? L’unico modo per trovare delle risposte è mettere in moto la lettura, buttarsi, sperimentare. E questo di per sé chiede un primo moto di avvicinamento, di empatia. Dopodiché la spinta vera viene dalle immagini e in particolare dalla loro forma e collocazione. Costruite sfruttando meccanismi insoliti e ingegnosi come il labirinto o il popup e poste sempre a cavallo tra le due pagine, queste portano infatti inevitabilmente le mani dei lettori ad approssimarsi, toccarsi, prendere le misure e financo intrecciarsi in quella che pare una danza solitaria che diventa poco a poco un passo a due. Così, senza precise indicazioni se non quella di affrontare il viaggio della lettura insieme a qualcun altro posto di fronte, il libro si anima e un vero e proprio sconfinamento si attua, restituendo al lettore il senso più autentico del volume che ha tra le mani. Perché sconfinare, letteralmente e metaforicamente, significa avere l’occasione di allargare il proprio orizzonte, di guardare oltre, di incontrare l’inatteso.

Chiedendo silenziosamente di essere agito, Confini dà avvio a una possibilità di incontro inattesa e capace di smuovere nel profondo. Si fa cioè vero motore di relazione, il che ne rivela una potenza davvero straordinaria. Imperdibile.

 

 

 

Clown

La caccia appassionata di Camelozampa a chicche editoriali del passato da proporre (o riproporre) in Italia ci ha regalato in poco tempo libri pazzeschi e per questo non smetteremo facilmente di dire un sentito grazie all’editore di Monselice. Un grazie che si fa ancor più accorato ora che i suoi tipi hanno reso disponibile anche nel nostro paese quel capolavoro silenzioso firmato da Quentin Blake che è Clown.

Pluripremiato, anche con il Bologna Ragazzi Award nel lontano 1996, Clown è un albo senza parole ormai più che trentenne che avrebbe potuto esser creato l’altro ieri. Nelle avventure del pagliaccio pupazzo in cerca di una casa per sé e per i suoi amici gettati nell’immondizia da una risoluta donna – madre, nonna, governante o chi lo sa? –, si ritrova infatti una visione d’infanzia puntuale e una rappresentazione del mondo adulto, capace di mettere in luce, con tutte le sue ombre, l’attualissima tendenza a controllare, strattonare, mettere in mostra e sterilizzare, letteralmente e metaforicamente parlando, i bambini e il loro mondo.

Dal bidone della spazzatura in cui viene buttato insieme ad altri giocattoli, il clown di Quentin Blake esce con una caduta rocambolesca che è anche, significativamente, l’inizio di una rimessa in piedi. Da qui, dopo aver trovato le scarpe giuste – un paio di buffi scarponcini malconci – questi inizia a rincorrere e interpellare una serie di bambini nel tentativo di farsi adottare, insieme ai suoi compari di sventura. La risposta è sempre positiva ma tra chi viene trascinato via distrattamente con una sorta di guinzaglio e chi viene allontanato dal pagliaccio presumibilmente perché zozzo, la ricerca di un nuovo compagno di giochi si fa più ardua del previsto. Fino all’incontro – al volo, è il caso di dirlo – con una bambina in una situazione di disagio famigliare il quale, pur costringendola a farsi grande più in fretta del necessario, non annichilisce la sua capacità di stupirsi, godendo di piccole magie quotidiane e rendendole forse apprezzabili anche a qualcuno dei grandi che girano nei paraggi.

Lo stile di Quentin Blake è come sempre freschissimo, irriverente e dinamico, al punto che vien da chiedersi se possa esistere un personaggio che meglio di un clown – sempre in movimento, a tratti goffo e con il suo carico di malinconica ironia – vi trovi espressione. Forse no. E forse anche per questo quest’albo che proprio un clown rende protagonista ci appare così stupefacente. Capace di coniugare uno sguardo sorridente e un grande rispetto per i temi e le vite ritratte, con i loro più o meno superficiali aspetti di povertà, Clown mette a nudo vizi e debolezze caratteristici dei grandi, rivelandone tutta la miopia dello sguardo, soprattutto quando rivolto ai piccoli.

Inimitabile nella capacità di far avanzare una narrazione  e di darle spessore emotivo affidandosi a dettagli minimi e minuziosi, Quentin Blake propone qui una storia non solo indomita – nel senso e nel ritmo – ma anche largamente accessibile. All’assenza di testo – ossia di quell’elemento che spesso preclude la possibilità di godere appieno di un bel racconto, soprattutto in caso di dislessia o sordità – si aggiunge qui una costruzione per immagini che richiede sì alcune inferenze ma che dissemina la pagina di indizi utili a compierle e che perlopiù immortala frammenti narrativi che accompagnano per mano il lettore nella decodifica dell’accaduto. Questa modalità a tratti cinematografica fa sì che al lettore si offra una certa libertà interpretativa – quella peraltro caratteristica dei silent book – senza che passaggi troppo ostici o oscuri facciano inciampare il lettore il quale dunque, anche in caso di lievi difficoltà, può godere di una performance narrativa degna di un grade artista come Blake e come il suo irresistibile Clown.

Col naso all’insù

Si può volare in tanti modi: con le ali, certo, ma anche con l’immaginazione, con le emozioni, con il pensiero e con i sogni. A riflettere su queste molteplici possibilità è la protagonista dell’albo Col naso all’insù, bambina curiosa e pensosa che si lascia affascinare dal movimento aereo di sinuosi pennuti. Alla sua domanda direttissima “Cos’è il volo?”, l’uccello da lei interpellato risponde indicando tutto ciò che occorre per librarsi – dalla leggerezza la coraggio, dalla pazienza alla fantasia – avviando un dialogo denso e insieme rarefatto su ciò che consente a un individuo di “abbandonarsi al proprio vento”. Non vi è dunque una storia vera e propria, tra queste pagine, ma piuttosto una riflessione ad alta voce che porta la protagonista a conoscersi e a conoscere un pochino di più le sue potenzialità.

Il libro, scritto da Simonetta Angelini e proposto dall’editore Il Ciliegio anche in una versione in simboli, schiude quindi possibilità di riflessione e interpretazione molto personali nel lettore, anche grazie ad affascinanti ed essenziali illustrazioni firmate da Cristina Lanotte. D’altra parte, proprio quest’animo fortemente metaforico della narrazione, rende la sua fruizione in simboli da parte di bambini la cui capacità di astrazione è spesso compromessa, una sfida molto ardua e rischiosa. Un’espressione come “Il coraggio è un cuore tanto grande da farci entrare nel cielo”, per esempio, condensa in pochissime parole diversi concetti molto complessi da cogliere e interpretare proprio per il loro carattere astratto, allusivo e simbolico che difficilmente intercetta e incontra il favore di lettura di bambini  con autismo. È senz’altro positivo, si badi bene, il fatto che anche grazie a libri come questo la varietà delle possibilità di lettura offerte ai bambini (e ragazzi) con bisogni comunicativi complessi sia sempre più ampia e che la difficoltà non diventi ostacolo insormontabile alla proposta di sfide e percorsi nuovi. Occorre però prestare attenzione, nel momento in cui si decide di proporre volumi così complessi e distanti da un modo molto concreto di conoscere il mondo, a valutarne la reale fruibilità da parte del singolo lettore.

Puzzetta e piccolo pirata

Chi da piccolo ha avuto un fratello o una sorella con cui condividere la cameretta, sa che il momento di dormire può offrire occasioni ghiottissime per far viaggiare la fantasia in piacevole compagnia. Se costruite e vissute insieme, le avventure fantastiche hanno infatti un sapore diverso, più ricco e travolgente, nutrito di immaginari che si intrecciano e si mescolano. Così è anche per Puzzetta e Piccolo pirata – nomi di battaglia per esplorazioni al chiaro di luna – che ogni sera tenendosi per mano vengono catapultati in situazioni bizzarre, talvolta paurose e talvolta buffe, da cui sempre riescono a uscire facendosi coraggio a vicenda.

Accade con l’incontro con l’orso bianco, apparentemente ferocissimo ma in realtà mansueto e persino delizioso; con la visita a casa della nonna mancata e rimpiazzata da una nonna farlocca a cui rubare fette di pizza; e con le performances di canto di fronte al grande pubblico interrotte da presunti rumori intestinali. A turno, è uno dei due bambini a modellare sui suoi gusti e sogni il set dell’avventura, raggiunta poi magicamente grazie all’intervento di misteriosi folletti. Sempre a turno, l’altro bambino fa dal canto suo da spalla, da accompagnatore e da completatore della fantasia. Nei sogni a occhi aperti dei due fratelli si mescolano così con attenta adesione al mondo infantile, sogno e realtà, ricordi e desideri, ricerca del brivido e bisogno di rassicurazione, individualità e legami forti, in un rito notturno potenzialmente senza fine e denso di significato.

Puzzetta e piccolo pirata è un racconto che strizza l’occhio al giovane lettore e ne sostiene la lettura – anche laddove questa sia poco abituale o resa difficoltosa da disturbi specifici dell’apprendimento – grazie a una struttura che assembla episodi  ben definiti e in parte autoconclusivi e a un aspetto grafico amichevole che sfrutta criteri di alta leggibilità. Più lento e distaccato nelle parti introduttive, più snello e sorridente nelle parti dialogate, il racconto di Julie Bonnie si accompagna alla illustrazioni di Charles Dutertre (già apprezzatissimo in coppia con Alex Cousseu nella creazione delle avventure di Lucilla Scintilla) che con pochissimi mirati tratti sanno cogliere ironicamente ma con grande rispetto quella sospensione tra reale e fantastico che è caratteristica del libro e dell’infanzia tutta.

La principessa che stava sempre seduta

Elisa non è una principessa come le altre. Costretta all’immobilità fin dalla nascita, trascorre le sue giornate seduta, covando rabbia e tristezza per una condizione di disabilità in cui non si riconosce. Le sue giornate si fanno interminabilmente lunghe e via via che il tempo passa il suo umore diventa più nero e i suoi modi più sgarbati, fino a generare una generale insofferenza da parte di tutti i sudditi e i servitori. Tutti tranne una. La fide ancella Dorotea non si fa scoraggiare, infatti, dalle maniera prepotenti della principessa e si presta ad assecondarne i desideri comprendendone il profondo dolore. Sarà proprio Dorotea a fare un giorno ad Elisa il dono che le cambierà l’esistenza: un tappeto magico capace di far compiere viaggi incredibili a patto che siano condivisi con una persona di fiducia. Grazie a quel tappeto e alle possibilità straordinarie che offre, tra Elisa e Dorotea si instaura un rapporto che va ben oltre quello che può legare un sovrano e un servitore, aprendo alla giovane principessa nuove prospettive sulla sua vita e sul valore dell’amicizia che consente di apprezzarne anche i pregi più nascosti.

Scegliendo la forma tradizionale della fiaba, pur narrata con toni non sempre distaccati e sospesi, Nadia Cerchi propone un racconto in cui la disabilità si fa motore narrativo, invitando il lettore a immedesimarsi nei personaggi e a condividerne le riflessioni. Proprio per venire incontro alla esigenze di lettura di bambini che, come la principessa protagonista, manifestano delle difficoltà di movimento La principessa che stava sempre seduta è reso disponibile anche in formato ebook. Inoltre Il testo è inoltre scaricabile in formato MP3 dal sito www.adov.it ad uso esclusivo di persone non vedenti, ipovedenti, dislessiche o impossibilitate a leggere in modo autonomo.

Mostro fai da te

Non è facile avere dieci anni, essere piccolo e magrolino e per di più andare bene a scuola. Il destino da zimbello, in quel caso, è infatti dietro l’angolo. Lo sa bene Paul, soprannominato con disprezzo Pulce e preso di mira dal bullo Jo Pappa, molto più grande e molto meno gentile di lui, più forte con le mani che con i numeri e le parole. Proprio per questo suo subire insistenti angherie, Paul desidera continuamente e ardentemente farsi un amico, così da sentirsi meno solo e in pericolo. Anche Jo, dal canto suo, ha un desiderio ed è quello di non venire trattato da stupido e non venire, come invece accade, maltrattato a casa. Le storie e i desideri dei due ragazzi, apparentemente così distanti, trovano un giorno una strada comune. Nel tentativo di costruirsi un mostro tutto suo, che possa accompagnarlo e difenderlo, Paul si caccia infatti in un guaio più grosso di lui in cui trovano posto adulti senza scrupoli e altri generosi, creature gommose al gusto fragola, incidenti scolastici da espulsione e prove di coraggio da veri eroi: tutte cose a cui il bambino è tutt’altro che avvezzo e che potranno sfociare in un lieto fine solo grazie alla più impensata delle alleanze, quella con Jo appunto!

Forte di una trama avventurosa, di uno stile snello e di una stampa ad alta leggibilità, Mostro fai da te si presta a catturare l’attenzione anche di bambini poco avvezzi alla lettura perché ostacolati da un disturbo specifico dell’apprendimento. Il connubio tra vicende avvincenti, personaggi memorabili, narrazione ironica e impostazione grafica amichevole – dettata soprattutto da  un font specifico denominato Junction, una spaziatura maggiore tra le lettere, le parole e le righe, una sbandieratura a destra e un uso di carta color crema – costituisce infatti un invito ghiotto per lettori curiosi, a scoprire nella lettura un piacere da non sottovalutare. Almeno quanto un gommoso Chumpa Chumpa!

Micromamma

Una mamma pret-à-porter: così diventa, in pratica, la mamma di Sander il giorno in cui inizia a rimpicciolire. Fenomeno strano davvero, il suo: la signora diventa infatti più piccola ogni volta che qualcosa va storto. E così, tra la notizia dell’operazione a cui deve sottoporsi, la fuga villana del fidanzato Allan e quell’incidente in pasticceria con la torta di nozze caduta dal tavolo, la mamma di Sander diventa a tutti gli effetti una micromamma che sta in un taschino, dorme in una scatola di fiammiferi e usa un bottone come piatto. Sander si occupa di lei con una tenerezza e una maturità fuori dal comune fino a quando la mamma sparisce dalla cartella in cui l’aveva riposta per portarla a scuola con sé. E da lì la situazione precipita in un turbinio di incursioni vietatissime in classe, corse al parco, indagini e inseguimenti fin nel mezzo di una festa di matrimonio. Complice delle ricerche e del lieto fine, il trovatello Zorro: un cane irresistibile, la cui generosa vivacità offrirà  un supporto più che mai prezioso a Sanders in un momento di grande fragilità.

Attraverso avventure rocambolesche e a tratti surreali, Piret Raud dà voce a una vulnerabilità non solo infantile ma più ampia, familiare: una vulnerabilità che nella vita vera ha tante facce, tante sfumature e tanti risvolti. Nello strano caso della micromamma, leggero e piacevolissimo per come è raccontato, si leggono per esempio il disagio di sentirsi sovrastati da avversità troppo grandi da affrontare, il dolore di apparire invisibile agli occhi di un genitore e un certo infantilismo dei grandi di cui i piccoli fanno le spese, il tutto attraverso una forma narrativa che trasforma felicemente in situazioni reali quelli che sono di solito solo modi di dire (sentirsi piccolo piccolo o invisibile, avere la testa tra le nuvole…).

Stampato ad alta leggibilità da Sinnos – con font specifico leggimi, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, sillabazione evitata, paragrafi distinti e illustrazioni frequenti – Micromamma offre un’occasione di lettura avvincente anche per chi non affronta il testo in maniera speditissima, forte di una veste grafica amichevole che si sposa a una trama senza posa.

Tredici cervi blu

Luna è una bambina solare e timida, poco avvezza ad alzare la voce e a far sentire le sue ragioni. Suo fratello maggiore Ralf è l’esatto opposto: irascibile e poco accomodante, ha spesso reazioni imprevedibili. Il loro è un rapporto non semplicissimo, fatto di poche parole e molti silenzi. Fino al giorno in cui i cervi fanno la loro comparsa. Da quel pomeriggio apparentemente come tanti, infatti, qualcosa cambia nella vita dei due fratelli. I piccoli cervi blu che Luna vede uscire dal vaso, che giocano con e su di lei e che improvvisamente, così come sono comparsi spariscono, non schiudono solo delle possibilità immaginative (Chi sono? Da dove vengono? Perché solo Luna riesce a vederli?) ma anche relazionali. Luna scopre infatti che anche Ralf, in passato, ha avvistato degli animali fantastici e che anche lui da quell’incontro si è sentito arricchito, rinvigorito, trasformato. Quello degli animali misteriosi diventa così un segreto tacito e condiviso – che tale deve restare per non causarne la scomparsa definitiva –, che avvicina i due fratelli più di ogni altra cosa in un momento di delicato equilibrio familiare come quello della nascita di un nuovo fratellino.

Contraddistinto da uno stile sospeso tra reale e fantastico – tanto nelle parole quanto nelle illustrazioni – I tredici cervi blu è un racconto in cui le emozioni, anche quelle più oscure come la paura e la rabbia, trovano posto senza essere giudicate, in cui la fantasia acquisisce pieno diritto di dimora nel quotidiano e in cui l’inspiegabilità di certi avvenimenti non cerca a tutti i costi una ragione forzata. Anche per queste ragioni nell’avventura straordinaria di Luna e di Ralf, il giovane lettore può facilmente rispecchiarsi e sentirsi compreso, interrogarsi sul proprio vissuto emotivo e riconoscere il valore straordinario della propria immaginazione.

Stampato da Sinnos con tutti i crismi dell’alta leggibilità – dal font meno confusivo leggimi all’impaginazione più ariosa, dalla sbandieratura a destra alla carta opaca – I tredici cervi blu si presenta come un racconto corposo ma al contempo leggero in cui il contributo delle strepitose e frequenti illustrazioni di Mattias De Leeuw (già apprezzatissimo per ragioni analoghe nel silent book La notte del circo), sottilissime e insieme dense di dettagli ed echi espressivi, amplifica a dismisura le possibilità evocative della narrazione.

Occhi da orientale

Ha un narratore insolito, Occhi da orientale. Alta e maestosa, sempre attenta a ciò che accade nel cortile, è infatti la vecchia quercia che fa ombra all’asilo a raccontare al lettore la storia di Chiara, bambina placida e taciturna che stenta a fare amicizia con i compagni. Di lei non sappiamo molto, se non che “ha qualcosa di diverso dagli altri bambini” – confermato in maniera appena accennata dal titolo del libro – e che se ne sta spesso sotto l’albero ad accarezzare il gatto Mattia. È gentile, Chiara, e la vecchia quercia la prende in simpatia a differenza di quanto fa con Goffredo, bambino prepotente e dispettoso. Così, quando il gatto Mattia si arrampica troppo in alto e non riesce a tornare a terra, la quercia non esita a sostenere Chiara nel suo coraggioso tentativo di arrampicarsi per salvare l’animale. È così che Chiara arriva in alto, dove nessun altro bambino è mai arrivato, fino a scorgere lo scoglio dei gabbiani in mezzo al mare. Ed è così che qualcosa, nella percezione dei compagni cambia, consentendo una prima felice possibilità di relazione.

Un po’ fuori dagli schemi a cui l’editoria per l’infanzia attenta alle tematiche della disabilità ci ha abituato, Occhi da Orientale sceglie la strada del sussurro, in parole ed immagini, per raccontare la sua storia. È una storia senza fretta, questa, e come tale viene narrata, chiedendo al lettore di prestare ascolto e prendersi il suo tempo per assaporare, cogliere, capire. I testi raffinati di Annamaria Piccione, votati talvolta al ricordo e alla riflessione pensosa, e le illustrazioni particolarissime di Monica Saladino, che uniscono in maniera efficace matita e collage, trovano un comune punto di incontro nell’apprezzabile scelta di mettere l’infanzia – tutta – al centro della narrazione, senza fare della questione della disabilità una bandiera forzatamente sventolata. Ne emerge un racconto pacato e poetico, che invita sommessamente a riconoscere le occasioni che la vita ci porge di superare e rimettere in discussione pregiudizi e distanze.

Mangia la foglia!

Anna, Magnus e Stina sono tre cugini. Durante i pranzi di famiglia il loro tavolo, piccolo e rotondo, diventa una postazione separata e privilegiata di osservazione degli adulti. È da qui che i tre assistono al grande litigio di maggio che porta lo zio Jan e la zia Betta, genitori di Stina, ad allontanarsi  per un po’ dalla famiglia. Ed è da qui che assorbono, più o meno inconsapevolmente,  le dinamiche divisive che gli adulti mettono in atto. Quelle stesse dinamiche non tarderanno a trovare una replica in scala ridotta anche tra i piccoli di casa, alimentate in particolar modo dalla dieta vegetariana di Stina. “Stina è una ragazzina inutile”, “Io una volta l’ho sentita fare muuuu”, dicono di lei Magnus e Anna, convinti così di consolidare la loro amicizia esclusiva. Fino al giorno del funerale della nonna di Stina, quando le prese in giro di Magnus passano il segno facendo correre un grosso rischio alla cuginetta e aprendo gli occhi di Anna su quanto un’amicizia che si regge sul dileggio altrui sia fragile e inconsistente.

Il racconto breve scritto da Bart Moeyaert (qui in una sorridente conversazione con l’editrice Della Passarelli in cui si racconta come nasce Mangia la foglia) è denso e avvincente, capace in pochissime parole di tratteggiare un’infanzia vera e palpitante, finanche politicamente scorretta. Nelle noiose ore a tavola, nei “facciamo finta che…” che si sviluppano sul prato, nelle promesse indissolubili, nella forza silenziosa del modello adulto, nella tentazione di costruire rapporti saldi su un comune nemico ma anche nella capacità di cogliere un’ingiustizia quando perpetrata, si leggono infatti quella fragilità e quella determinazione che rendono speciale l’età bambina. L’autore le coglie con un’efficacia rara, offrendo al giovane lettore un’occasione intensa di leggersi e riconoscersi. Le parole di Bart, stampate ad alta leggibilità e dunque rese più agevoli da scorrere anche in caso di dislessia, sono accompagnate dalle illustrazioni di Alice Piaggio che aggiungono una forte carica espressiva a una narrazione già molto intensa.

La costituzione in tasca

“Giovanni, tu lo sai che cos’è la Costituzione?”, chiede Emma.
“No e non me ne importa, ho dodici anni, ho tutta la vota davanti. La Costituzione è roba da vecchi”, risponde Giovanni.

Si apre così, con un dialogo che non potrebbe essere più credibile, La Costituzione in tasca: l’agile e denso volume ad alta leggibilità che Sinnos ha volute dedicare alla nostra Carta per il suo settantesimo compleanno. È un dialogo tra due ragazzini che con il pretesto di una ricerca scolastica si confrontano e si interrogano sul significato e sull’attualità del libro che sostiene e guida la nostra Repubblica. È roba da vecchi, dice Giovanni, interpretando quello che potrebbe essere un sentire diffuso. Quanti giovani e giovanissimi si interessano alle leggi fondamentali del nostro Paese? O meglio: quanti hanno occasione di incontrare la Carta in maniera comprensibile e attiva? Senz’altro pochi, sicché riconoscere e rispettare la loro posizione e offrire uno strumento utile per rivederla con cognizione di causa è un’azione civile di grande e silenziosa portata. Perché Giovanni – e con lui il lettore – scopra che nonostante i suoi 70 anni suonati la Costituzione è tutt’altro che roba da vecchi, serve che le parole difficili di cui si compone suonino più familiari e comprensibili alle giovani orecchie e che il contenuto che essa porta si cali concretamente nel quotidiano bambino.

Ecco, con questo scopo si muove La Costituzione in tasca, costruita come un dialogo incalzante, a cui prendono parte, oltre a Emma e Giovanni, anche personaggi di natura teatrale come Pausa e Tafferuglio – che marcano momenti riflessivi e di acceso dibattito – e di natura storica come Piero Calamandrei. Ai loro interventi si alternano poi le citazioni di alcuni articoli, presi in ordine sparso e citati nella loro forma ufficiale, ma anche notizie e riflessioni che aiutano a collocare la stesura della Carta in un preciso momento storico per mano di persone in carne ed ossa (bellissimo, per esempio, il riferimento alle 21 madri costituenti che si tennero per mano durante il voto per il ripudio alla guerra). Il risultato è un testo composito che potrebbe ben prestarsi a un’interpretazione su palcoscenico ma che al contempo sviscera con parole chiare un testo apparentemente antico e distante, rendendolo la base ideale per un confronto tra pari in classe. Non è, se vogliamo, una lettura di evasione, ma è una lettura che rende stimolante l’avvicinamento a un testo che merita di essere interiorizzato da tutti i cittadini, anche e soprattutto quelli del futuro. Il fatto poi che proprio un testo che promuove la conoscenza della Costituzione sia stampato ad alta leggibilità – con font leggimi e caratteristiche di impaginazione più amichevoli anche per il lettore dislessico – è una piccola importante attenzione a quello che è, non a caso, uno dei diritti – quello alla cultura – sanciti dalla Carta.

La Costituzione in tasca rispecchia in pieno l’impegno che da sempre Sinnos profonde in favore della legalità e della cittadinanza attiva attraverso il potentissimo strumento dei libri. Nato in seno a un progetto importante intitolato BILL – La biblioteca della legalità, il volume è stato scritto da due persone che il diritto lo conoscono a fondo e che con cura si dedicano a renderlo maneggiabile da bambini e ragazzi. Il lavoro di avvicinamento alla Carta costituzionale fatto da Valeria Cigliola ed Elisabetta Morosini, che di mestiere fanno i magistrati, è infatti attento e profondamente mosso dalla convinzione che il rispetto della Costituzione passa prima di tutto dal sentirla propria e vicina. In questo senso, interessante e apprezzabile è anche il gioco di carte proposto alla fine del volume, con tutto il necessario da staccare e ritagliare, per  far sì che le parole che raccontano i nostri diritti e doveri diventino qualcosa di concreto che muove con leggerezza pensieri e confronti.

“La Costituzione sono io.
La osservo, la leggo, la prendo, ci gioco, la mangio a colazione con la cioccolata calda e le frittelle.

Hank Zipzer mago segreto del ping-pong

Inizia un nuovo anno scolastico alla SP87, il quinto per Hank e i suoi amici di sempre, Ashley e Frankie. E inizia col botto, a dire il vero, se si considera che al posto della nuova attesissima insegnante, la classe di Hank si ritrova sulle croste l’arcinota signorina Adolf e che la prima iniziativa che coinvolge l’istituto è una Parata degli Atleti in cui ognuno può mettere in mostra i suoi talenti sportivi. E se la prima disgrazia in qualche modo è sopportabile (sono quattro anni, d’altronde, che Hank si allena a sopravvivere alla rigidità dell’insegnante), la seconda ha un che di catastrofico. La predisposizione sportiva non è infatti tra le qualità più spiccate di Hank, data la difficoltà di concentrazione e coordinamento associata al suo Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Non a caso le selezioni per la squadra di calcio fatte dall’allenatore Gilroy sono un vero e proprio fiasco per il ragazzo, a cui non resta che rassegnarsi a un vergognoso futuro da scaldapanchine e raddrizzatore di coni. O forse no?

Complice il premuroso nonno Papà Pete, Hank scoprirà una disciplina in cui non solo ha talento ma soprattutto si diverte: il ping pong. Da lì in poi sarà tutto un allenamento per sviluppare le tre fatidiche C – Concentrazione, Controllo e Convinzione – e soprattutto per accettare il fatto che il giudizio degli altri non ha il diritto di minare la soddisfazione e gli sforzi (sportivi e non) di qualcuno. Alla faccia del fastidioso Nick McKelty, fortemente motivato a denigrare la scelta sportiva di Hank, questi avrà l’occasione di dimostrare a tutti che il ping pong è uno sport con la S maiuscola e che chi lo pratica può essere molto coraggioso e altruista, oltre che atletico.

Nona avventura della serie ideata da Henry Winkler e Lin Oliver, Hank Zipzer mago segreto del ping-pong vanta le caratteristiche di alta leggibilità (font senza grazie, sbandieratura a destra, assenza di divisioni sillabiche, spaziatura maggiore, a capo secondo il ritmo e la struttura della frase) che, insieme a uno stile spassoso, a vicende avvincenti e a una squadra di personaggi irresistibile, ha reso il personaggio piuttosto noto e amato. Senza per nulla risentire di un appiattimento dovuto all’alto numero di episodi pubblicati – aspetto tutt’altro che trascurabile – la serie di Hank Zipzer ha l’apprezzabile merito di aprire possibilità di lettura soddisfacente e piena anche a bambini e ragazzi che con la lettura non vanno propriamente d’accordo, non solo grazie agli importanti accorgimenti tipografici indicati ma anche grazie a storie che sanno coinvolgere e divertire senza rinunciare alla ricchezza di contenuto . La dislessia, da cui il protagonista è emblematicamente contraddistinto, è qui trattata inoltre con un’ironia sempre rispettosa, quella che viene da una conoscenza diretta e che dà alle difficoltà un risvolto narrativo pratico, offrendo così strumenti preziosi per capire e per capirsi. In quest’ultimo episodio, per esempio, viene messa in luce la questione della concentrazione e del coordinamento occhio-mano che tanta parte ha nella definizione del disturbo di Hank. Le informazioni riportate sono utili e pertinenti ma mai posticce o dall’intento divulgativo fuori contesto ed è proprio la loro rielaborazione hankesca a renderle in definitiva davvero spendibili:

Mi chiedo se da qualche parte c’è un’officina meccanica per cervelli, dove puoi portare il tuo cervello e loro ci lavorano mentre aspetti. Riparatemi il meccanismo della concentrazione. E già che ci siete, controllatemi anche acqua e olio, grazie.

Io rispetto

C’è un paese di nome Armonia, in cui ogni persona vive serenamente, libera di giocare, crescere, imparare, esprimersi, realizzarsi nella maniera che le è più congeniale, anche nel caso in cui sia colpita da una disabilità. Armonia è certo un paese fantastico ma che traduce in immagini efficaci il senso di un documento importante come la Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità e che si vorrebbe non distasse molto dalla realtà. I suoi abitanti accoglienti, le sue leggi amichevoli e i suoi luoghi ospitali rendono bene l’idea di come dovrebbe costruirsi una società inclusiva quale quella raccomandata dal documento redatto dall’ONU nel 2006. Questo, reso a misura di bambino grazie a un lavoro intitolato “Parliamo di abilità” promosso dall’UNICEF, funge proprio da ispirazione per i quattordici componimenti in rima di Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità, scritti da BendettoTudino e illustrati da MariannaVerì.

Il volume nasce da un progetto dell’Unicef, dell’Agenzia Politiche a favore dei Disabili del Comune di Parma e dall’associazione Rinoceronte Incantato. Forte dell’idea che le norme vadano il più possibile fatte proprie e interiorizzate, il libro sceglie la via della rappresentazione poetica per dare un senso pieno, comprensibile e vicino al sentire dell’infanzia a norme rigorose e astratte. Così il diritto di ridere, scegliere, esserci o decidere acquistano un significato più vivo e palpitante, più facile da riscontare e forse mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Tra tanti diritto, poi, non manca quello a noi tanto caro, di leggere, che l’autore chiude così:

Impara così un Mondo felice

Quel che si fa, si pensa e si dice.

Con le mani, gli occhi e la mente,

studia il sapere di tutta la gente.”

Lucia

La giornata di Lucia inizia, come per tutti, con pochi automatici gesti quotidiani: lavarsi i denti, mettere a bollire il tè, infilarsi il giubbino, afferrare il bastone. Il bastone le serve per muoversi per strada ed è il dettaglio che ci fa capire con certezza che Lucia è una bambina cieca: una bambina che il libro di Roger Olmos intende accompagnare nel suo cammino da casa a scuola e qui dare voce a una piccola storia di bellezza che ha la possibilità di fiorire proprio grazie a quello che parrebbe il limite della protagonista. Dopo un suggestivo percorso in autobus e un eloquente percorso a piedi, accarezzata dal vento come in altalena, divertita da un legnetto su una staccionata che pare un organo e incuriosita da bizzarri personaggi dalla testa di colonia, pipa o foglie, Lucia arriva a scuola e condivide momenti preziosi con un compagno poco alla moda al cui aspetto Lucia non bada.

Frutto di un grosso e accurato lavoro condotto dall’autore per immergersi realmente nel mondo di una persona cieca, Lucia offre una storia delicata e una riflessione raffinatissima sullo scarto che separa la reale percezione di una persona non vedente e il nostro modo consueto di immaginarla. L’autore sottolinea, in particolare, e veicola questo scarto con un gioco sapientissimo e suggestivo tra immagini colorate e in banco e nero così come tra figure realistiche e figure fantastiche. Ecco allora che il consueto immaginario onirico di Olmos trova quindi qui un terreno fertilissimo e una possibilità di espressione nuova, funzionale a rappresentare un’esperienza fuori dal comune.

Nato dalla collaborazione tra CBM onlus, che si occupa di disabilità visiva nei paesi più poveri, e Logos edizioni, Lucia fa parte di una collana inaugurata da un altro grande illustratore – Lorenzo Mattotti – con un albo più astratto e adatto a un pubblico adulto intitolato Blind. Si tratta di una collana volta a esplorare il mondo della disabilità visiva nelle sue molteplici sfaccettature: un progetto importante in cui una riflessione profonda sulle possibilità d’inclusione nasce e si diffonde grazie alle matite più pregiate dell’attuale panorama editoriale.

La bambina che andava a pile

Quello con La bambina che andava a pile è stato amore a prima vista. Tutto subito per quel titolo curioso e quelle illustrazioni graffiate e graffianti, che non passano inosservate fin dalla copertina. Poi per la testimonianza preziosa di una sordità vissuta da dentro, la ricchezza di piani di lettura, l’unione commuovente tra ironia e profondità che, davvero, è raro trovare in un albo che tocca il tema della disabilità. Ma andiamo con ordine.

La bambina che andava a pile è l’opera prima di una giovanissima autrice bresciana (classe 1992!), cresciuta con una sordità profonda diagnosticata all’età di due anni e poi con un impianto cocleare posizionato all’età di dieci. Proprio quell’esperienza d’infanzia, così particolare e distante da quella della maggior parte dei bambini, è protagonista del libro che raccoglie in forma lapidaria una serie di riflessioni su cosa significhi, concretamente, essere sordi in un mondo di udenti: la rincorsa delle parole, l’ostilità del buio che crea un distacco netto col resto del mondo, le voci – molteplici – su cui può fare affidamento, la vita in equilibrio tra più dimensioni, il valore relativo del concetto di diversità, il peso variabile dei nomi con cui si dice e si dà forma a una realtà. Quello di Monica Taini è un ritratto personale ma scorre fluido e avvincente come una storia avventurosa, forse perché propria come un’avventura è pieno di rivelazioni e colpi di scena. Ogni pagina è una bordata di senso, talvolta illumina talvolta colpisce allo stomaco, ma sempre invita a soffermarsi un attimo (e più) anche grazie all’eco generato da immagini in cui incisione e collage risultano molto espressivi. A chiudere il tutto, un glossario semiserio di cultura sorda che introduce con straordinaria ironia al mondo della sordità, tra oralismo, protesi e logopedia: una chicca utilissima per spiegare termini difficili e dire questa particolare disabilità con una precisione sorridente.

Morale: non lasciatelo sfuggire. La bambina che andava a pile è uno di quegli albi da conoscere e far conoscere. Assolutamente. E per il quale non solo l’autrice ma anche un lungimirante editore come Uovonero merita un grazie a lunga durata.

Divisioni senza resto

Solare e intraprendente, Francesco è un bambino che si muove in sedia a rotelle a causa della distrofia muscolare. I suoi compagni sono perlopiù gentili con lui e spesso si fermano a giocare in classe per non lasciarlo solo. Ma Francesco sa che talvolta non è ciò che preferirebbero fare, e questo un po’ lo incupisce. Trovare un amico vero, con cui trascorrere il tempo per puro piacere, quello sì sarebbe pazzesco. Per questo quando in classe arriva Valentino, un bambino di origine cinese che condivide con Francesco l’insegnante di sostegno a causa delle difficoltà linguistiche, la sua vita si trasforma. Valentino è un tipetto vivace ma anche disposto a chiacchierare di sport (di motori soprattutto!) e a divertirsi con giochi tranquilli. Con lui le giornate di Francesco prendono una nuova spinta: quella verso alcuni guai, nuove relazioni  e soprattutto verso una nuova consapevolezza delle proprie possibilità.

Ben scritto e contraddistinto da un certo dinamismo, Divisioni senza resto è un bel racconto sull’amicizia in cui la disabilità ha tanta parte nella vicenda ma non appesantisce la narrazione portando a derive buoniste. La capacità di Caterina Frustagli è quella di raccontare i sentimenti e le situazioni anche complicati, con grande chiarezza, trovando immagini efficaci per dire anche i pensieri e i concetti più critici. Il titolo stesso ne è un esempio significativa, poiché come dichiara più avanti il protagonista: “Mi piacciono le divisioni, perché dividono e danno a tutti in parti uguali. Se ci sono venti caramelle e cinque bambini, stai sicuro che ognuno avrà quattro caramelle, senza ingiustizie. La vita dovrebbe essere una divisione senza resto: a tutti parti uguali e stop.

Viaggio incantato

Si è preso tanto tempo, Mitsumasa Anno, per comporre Viaggio incantato: lo racconta lui stesso in una nota che apre il volume. Un tempo lento, prezioso, sospeso: lo stesso che il lettore dovrebbe, a sua volta, potersi regalare per assaporare a modinoquesto albo così ricco e delizioso. Sarebbe tempo ben speso.

Viaggio incantato è infatti il racconto di un viaggio in un tempo e in luoghi lontani: un viaggio a misura d’uomo, senza la fretta di arrivare a una meta o l’incombenza di portare a termine un compito. È un viaggio in cui il protagonista lascia la sua terra su una barca e ne esplora una nuova su un cavallo, attraversando strade, villaggi, campi e città. Ma è soprattutto un viaggio in cui ciò che conta è davvero il gusto di viaggiare, di vedere, di scoprire. Protagonista, a dispetto delle aspettativa, non è infatti il cavaliere – quasi invisibile, talvolta apparentemente immobile, comunque discretissimo – ma ciò che questi di volta in volta incrocia e osserva. Sono quadri brulicanti quelli che lo accolgono senza che ci sia una vera e propria interazione: quadri in cui illavoro, la convivialità, il lato quotidiano e il lato eccezionale della vita, le città reali e quelle fantastiche, i riferimenti all’arte, al cinema e alle fiabe si mescolano attraverso figure minutissime tra le quali, letteralmente, ci si perde.

Che siate alla ricerca di un libro cerca-trova, di un albo che vi assorba completamente, di una storia che sembra sospesa, di un libro inclusivo in cui non ci siano barriere testuali, di una proposta trasversale per adulti e bambini o di un libro che lasci il lettore letteralmente a bocca spalancata, ecco in tutti questi casi (e molti altri ancora, a dire il vero) siete davanti al libro giusto. Viaggio incantatoè infatti uno di quei volumi straordinari che soddisfano attese diverse e che offrono possibilità di ingresso e sedimentazione molteplici. È uno di quei libri, frutto di una lunga gestazione, che ripagano con uno sguardo ampio e larga emozione il lettore che gli si accosti senza fretta e con una certa disponibilità allo stupore.

 

 

Che capolavoro!

Ci sono due storie che si incontrano e si intrecciano in questo libro originalissimo firmato da Riccardo Guasco: la storia del protagonista e la storia dell’arte. Come avviene quest’incontro è un’autentica magia: l’autore, infatti, racconta la giornata di un bambino, intento a portare il suo contributo a una grande scultura collettiva, attraverso pagine che omaggiano numerosi capolavori artistici di tutti i tempi. Man mano che il lettore sfoglia il libro, seguendo il sonno, il risveglio e il percorso del personaggio, si trova immerso in atmosfere che con un tocco di genialità mantengono intatto il filo narrativo ma al contempo strizzano l’occhio ad alcuni dei più grandi artisti di tutti i tempi

Così, per esempio, la notte con cui si apre il volume richiama con forza Klee e Van Gogh, la colazione in famiglia mette in scena Modigliani e Magritte e il viaggio in tram arriva persino a Banksy. È un continuo echeggiare di stili e opere – taluni davvero inconfondibili come gli orologi molli di Dalì, talaltri meno noti come l’Uomo che cammina di Giacometti, passando attraverso rivisitazioni libere de La primavera di Botticelli e riferimenti più pop, per esempio alla celebre immagine dei Beatles che attraversano la strada – quello che invita il lettore a partecipare a una piccola caccia al quadro ma anche a non trascurare il contributo che ciascuno di noi può dare alla bellezza del mondo.

Il risultato è un libro che non smette nemmeno un secondo di solleticare la curiosità del lettore, rievocando atmosfere e immagini a lui più o meno note o instillando la voglia di scoprire quelle che gli sfuggono. Che capolavoro!è insomma un volume che di consueto ha davvero poco: non solo perché la narrazione procede solo per immagini (ma d’altronde nell’arte non sono forse le immagini a parlare?), risultando fruibile e accattivante anche per molti lettori con difficoltà di decodifica testuale, ma anche perché sa giocare e far giocare con l’arte in una maniera deliziosamente intelligente!

La notte del circo

È sera tardi, le undici in punto, e dalla finestra aperta della sua stanza da letto una bimba fa entrare di soppiatto un cagnolino nero. La loro è amicizia a prima vista: insieme per più di un’ora giocano a si scatenano in numeri – con la palla, con i cerchi, col tamburo e con la sbarra – degni di un circo. E proprio a un circo, in effetti, l’animale torna, quando la piccola si addormenta. Il risveglio sarà brusco e triste per lei: la palla, i cerchi, il tamburo e la sbarra non hanno più lo stesso fascino senza un compagno di acrobazie. Il sonno riserva però una sorpresa straordinaria e la bimba, riaddormentatasi, si ritrova trasportata da un clown gigantesco sotto il tendone del più fantastico dei circhi. Qui non solo ritrova il suo amico a quattro zampe ma sperimenta l’euforia elettrizzante che le acrobazie circensi possono riservare. Sarà un sogno mirabolante il suo, pieno di ritmo, capriole e meraviglia, e se proprio solo di un sogno si tratti tocca al lettore stabilirlo.

In questo silent book che fa scintillare gli occhi e l’immaginazione, Mattias De Leeuw infonde tuttolo stupore e la magia del sogno. Ad occhi chiusi e ad occhi aperti. Il mondo circense a cui dà vita è pieno zeppo di particolari che fanno di ogni pagina un piccolo spettacolo. È un libro che tira e tesse una moltitudine di fili, il suo: fili su cui camminare con e come un equilibrista, fili che legano le pagine grazie a dettagli minuziosissimi, fili che animano le silhouette smilze dei personaggi e fili che creano una rete tra il mondo onirico e quello reale. L’assenza di parole, che ben si confà peraltro a un mondo come quello di clown e animali, dà vita a un racconto che richiede al lettore un’immersione profonda e sospende pressoché il tempo. Curatissimo nel ritmo, scandito da doppie pagine di ampio respiro che si alternano a pagine frammentatissime, La notte del circo va incontro a lettori curiosi e pazienti, le cui capacità di attenzione e decodifica delle immagini siano un pochino impratichite.

C’era due volte il barone Lamberto

La storia del barone Lamberto, come molte di quelle create da Gianni Rodari, fa un uso sapiente e gustoso del surreale. Qui, in particolare, questo aspetto trova espressione nel bizzarro meccanismo scoperto dal protagonista – ricchissimo nobile che vive sull’isola di San Giulio – per mantenersi giovane: sentire in continuazione ripetere il suo nome. Come anticipato da un’antica profezia, la ripetizione del nome consente di non morire e così Lamberto paga alcuni servitori per garantire la sua giovinezza. E già qui la fantasia ha di che essere compiaciuta. Ma è quando un gruppo di banditi fa irruzione sulla scena con lo scopo di rapire il barone per chiedere un riscatto che il romanzo trova un’ulteriore spinta: è a quel punto infatti che inizia una rocambolesca catena di avventure che comprende una fuga in mongolfiera, il provvido intervento di alcuni scout, la comparsa di un nipote con diabolici piani, una morte improvvisa e persino una resurrezione, fino a una conclusione che porta alle estreme spassose conseguenze l’astrusa corrispondenza tra nomina e giovinezza da cui il romanzo prende vita.

Dinamico e divertente C’era due volte il Barone Lamberto solletica la fantasia dei lettori da ormai quarant’anni e non c’è forse modo migliore di festeggiare tale traguardo con una nuova edizione del romanzo che ne consenta la fruizione anche a chi fatica o proprio non può leggere un testo tradizionalmente scritto, per esempio per difficoltà legate a una disabilità visiva o alla dislessia. Ecco dunque che l’iniziativa di Emons Audiolibri di proporre la storia di Rodari in formato audio, scaricabile o su Cd MP3, appare estremamente apprezzabile. C’era due volte il barone Lamberto va così ad arricchire la già cospicua collezione di testi rodariani realizzati dall’editore in una versione per le orecchie, per i quali sono stati scelti di volta in volta interpreti diversi. Qui la voce, piacevolissima e attenta, è quella di Massimo Popolizio che contribuisce a mantenere giovane un testo con qualche anno sulle spalle. Proprio come accade allo stesso barone!

Maionese, ketchup o latte di soia

Élianor è nuova a scuola: secca secca, pallida pallida e silenziosa come pochi, la ragazza è da subito vittima di scherni e angherie da parte dei compagni. Non che serva per forza un motivo per finire vittima dei bulli, ma questi pensano bene di bersagliarla per il suo presunto insolito odore. E così, in meno di un giorno di scuola, Élianor diventa per tutti la ragazza che puzza. Per tutti tranne uno, a dire il vero: per Noah, infatti, l’odore può raccontare a suo modo la storia delle persone, creando invisibili forme di relazione e contatto, e per questa ragione non esita ad avvicinarsi alla ragazza. Sarà un incontro turbolento il loro, sia perché li porta a sfidare la prepotenza di teppisti come Sylvester sia perché li porta a mettere faccia a faccia due quotidianità molto distanti tra loro. Come può una ragazza che vive con un guru scalzo e che si ciba di strani intrugli naturali  trovare qualcosa in comune con un ragazzo cresciuto a cola e merendine? Sarà necessario per i due andare più a fondo di una dieta per scoprire che ci si può incontrare nelle comuni esperienze di vita, emozioni e rispetto della diversità.

Fresco e avvincente, il racconto di Gaia Guasti parla in modo schietto e diretto alle orecchie dei giovanissimi, trovando così il modo più efficace di dare spazio a cose vere e complesse come il bullismo e la tolleranza. Nei pensieri di Noah ed Élianor, nelle dinamiche tra i banchi di scuola, nelle storie nascoste dei singoli personaggi, si percepisce infatti un’adolescenza palpitante. E brava davvero è l’autrice a coglierla e restituirla nella sua ricchezza. Già edito nel 2016 da Camelozampa, Maionese, ketchup o latte di soia è ora ripubblicato dall’editore padovano in una snella e apprezzabilissima versione ad alta leggibilità che sfrutta il font Easyreading e un’impaginazione più ariosa del testo.

Contro corrente

Emily è una ragazzina degli anni venti, curiosa e intraprendente. A differenza di molte coetanee, della madre e della sorella, non mostra grande interesse per pizzi e merletti ma coltiva una grande passione per il nuoto. È stata la cugina Gertrude, professionista della disciplina e vincitrice negli stessi anni di un’olimpiade e del record di traversata femminile della Manica, ad accendere la scintilla per questo sport il giorno in cui le ha regalato il suo costume da bagno. Come un segno del destino, quel dono sosterrà Emily nei suoi allenamenti segreti e osteggiati in compagnia dell’amico Leo, fino al compimento della sua piccola grande impresa di nuoto al lago.

La vicenda di Emily, inventata ma ispirata alla storia vera della nuotatrice newyorkese Gertrude Ederle, è portata all’attenzione dei lettori dal fumetto edito da Sinnos con un garbo e una cura rari. Alice Keller ha infatti la capacità speciale di raccontare le storie, vere o inventate che siano, con una pacatezza che ammalia e tiene sospesi, un po’ come quando si tira il fiato e ci si immerge in fondo a un lago. È un racconto pulito il suo, talvolta ironico e talvolta secco, un racconto che non prova mai a spiegare le emozioni preferendo di gran lunga lasciare che vengano a galla da sé, naturalmente. A sostenerlo, echeggiarlo e completarlo, le leggiadrissime tavole – ora a tutta pagina ora in formato mignon – di Veronica Truttero. Il risultato è un fumetto che appassiona con grande leggerezza, facendo dell’apprezzabilissima sintonia tra le autrici, la chiave di volta per tenere agganciato il lettore.

Lo sport non fa per te

Lettori goffi, atleticamente insoddisfatti o poco performanti, attenzione: questo libro è per voi! Maniaci dello sport, difensori della performance al top e professionisti del “tu non puoi giocare”, attenzione: questo libro è anche per voi! Lo sport non fa per te è infatti un inno scanzonato allo sport come contenitore di tante abilità e talenti diversi e come fonte di autentica gioia e appagamento. Tra le sue pagine si susseguono bambini di ogni sorta che, pur apparendo schiappe in uno sport, scoprono di potersi divertire con successo in un altro. Così Michele,a cui il pallone scappa dai piedi, si scopre un asso della pallanuoto; Viola, che a pallanuoto beve solo un sacco d’acqua, può esprimersi con grazia nella ginnastica; e Sara, che a ginnastica non fa che aggrovigliarsi, impara a sfruttare la sua altezza fuori norma per canestri vincenti. E così via, secondo una struttura ciclica che restituisce a tutti (i bambini perlomeno!) il diritto allo sport.

Un tema importante, questo dell’attività fisica prima di tutto come occasione di benessere: tema che gli autori di Lo sport non fa per te declinano in modo felicemente scanzonato e brillante. Federico Appel- che per Sinnos aveva già firmato un importante lavoro dedicato allo sport con la graphic novel Pesi Massimi – torna qui a occuparsene con uno sguardo e un approccio completamente diversi. Versatilissimo nel suo modo di dare forma a un contenuto, l’illustratore dà qui vita a figure dinamicissime, brulicanti e divertenti che danno un bel ritmo alla pagina e vanno a braccetto con i testi ironici di Paolina Baruchello, anche lei già nota all’affezionato lettore di Sinnos per la graphic novel Pioggia di primavera, di tutt’altro segno rispetto a questo volume. Il loro lavoro è vivace su tutti i fronti, anche quello dell’impostazione grafica della pagina che, unita alle consuete scelte tipografiche di alta leggibilità, concorre a offrire anche a lettori con poca dimestichezza o con qualche difficoltà di approccio al testo, una lettura snella che cattura e coinvolge.

Mira Kurz capelli rosso cuoco

Essere disortografici come Mira, la protagonista di Mira Kurz capelli rosso cuoco, può essere davvero molto faticoso e provante. Soprattutto se le persone – genitori, insegnanti e compagni – che ti circondano non danno troppo credito alle difficoltà che lamenti e anzi ci mettono del loro per complicarti la vita. Così, di fronte a una maestra poco attenta e un po’ superficiale, stanca dell’indisciplina degli alunni ma incapace o priva delle forze necessarie a porvi freno, una classe fuori controllo e guidata da alcuni bulli si accanisce contro Mira, deridendola per le sue difficoltà scolastiche. Dapprima sono prese in giro verbali, poi, esclusioni fisiche, atti di vandalismo ai danni dei suoi oggetti, menzogne riportate alla direttrice e vere e proprie trappole per metterla nei guai. Mira dal canto suo si guarda bene dal fare la spia e cerca di arginare la situazione elaborando piccole vendette, che peggiorano ulteriormente la situazione, e cercando il supporto di pochi amici rimasti. Sarà un adulto della scuola dalla spiccata sensibilità a cogliere per primo e per davvero il malessere della bambina, consentendo alla verità di saltare fuori e all’intera classe di rimediare a  quanto accaduto e a Mira di trovare il proprio posto e valorizzare le proprie capacità.

Contraddistinto da un tono leggero e scherzoso, forte anche del bel caratterino della protagonista, il libro di Anja Janotta affronta con brio il tema delicato delle difficoltà scolastiche e delle dinamiche di bullismo che spesso intorno ad esse si vengono a creare. Efficace e centrato è soprattutto il focus sull’escalation di gravità delle angherie, sull’impatto significativo che queste hanno sull’autostima dei bambini e sulla loro difficoltà a chiedere aiuto quando gli adulti si mostrano disattenti (più che sulla disortografia in sé, piuttosto calcata e in parte deformata per alimentare i giochi di parole che rendono particolare il racconto). Interessante e meritevole la capacità dell’autrice di rendere tutto questo con un racconto votato all’ironia, disseminato di piccole avventure e piacevolmente scorrevole nonostante le oltre 200 pagine che compongono il volume.

Alex e Axel

Se è vero che nomen omen, allora il legame speciale che unisce Alex e il cane Axel che abita vicino a lei pare predestinato dalla somiglianza tra i loro nomi. È tuttavia un legame tanto forte quanto osteggiato, il loro: il padrone di Axel è infatti un uomo scorbutico e scostante, tutt’altro che favorevole alle attenzioni che ogni giorno la ragazzina rivolge al suo cane. Alex non cede, però, alle proteste del signor Alberto, soprattutto quando si accorge che questi non offre al povero Axel la libertà di movimento che meriterebbe e che anche il cane – ringhioso e aggressivo verso chiunque tranne lei –  manifesta nei suoi confronti un attaccamento fuori dal comune. Da lì in poi, Alex farà di tutto per stare vicino al suo amico peloso e per fargli avere il dovuto svago: compreso scavalcare la recinzione del signor Alberto e portare Axel a spasso di nascosto. Quando però l’effrazione viene scoperta Alex passerà un brutto guaio e solo la sua straordinaria affinità con Axel riuscirà a ribaltare la situazione critica in cui la ragazzina viene a trovarsi, ricucendo rapporti compromessi e liberando da fantasmi del passato.

Alex e Axel è un libro che fa parte della serie azzurra del Battello a Vapore: è destinato ai bambini dai sette anni in su ma richiede una certa pratica di lettura. Il testo ha già infatti un certo spessore e non trascura parti riflessive e sottesi che richiedono una certa dimestichezza nel lettore. La scelta editoriale di pubblicare il libro ad alta leggibilità – con font specifico, paragrafi distanziati e non giustificati, spaziature maggiori e assenza di sillabazione – viene dal canto suo incontro alle esigenze di bambini con disturbi specifici dell’apprendimento che non vogliono rinunciare al gusto di storie appassionanti.

L’uomo che lucidava le stelle

L’uomo che lucidava le stelle è un uomo munito di secchi, stracci e  spazzolone con i quali si dedica – così  dice – a far brillare gli astri della notte. Non che Nicola, protagonista e narratore della storia, lo abbia mai visto all’opera ma quella figura adulta così strana e suggestiva segna profondamente i suoi ricordi di bambino e acquisisce una credibilità che stenta a trovare consensi nel mondo adulto. Non a caso quest’ultimo trova spazio nelle giornate e nei racconti di Nicola solo quando, per una ragione o per l’altra, dimostra di conservare uno spirito genuino e sognatore che è tipico dell’infanzia. Così, nei pomeriggio di gioco intorno al laghetto, insieme a Nicola e agli altri ragazzi, ci sono solo adulti sui generis – gli strambi del paese – quelli che avrebbero tante cose da dire ma faticano tra i grandi a trovare ascolto. Così le loro storie di matrimoni pluririmandati a cui i maialini, ahimé, non sono invitati, di incomprensibili reclusioni e di pietre da collezione capaci di parlare trovano ascolto solo negli orecchi acerbi dei piccoli come Nicola a cui appare molto chiara l’importanza di non fermarsi all’apparenza per guardare nel profondo degli individui.

L’uomo che lucidava le stelle è un libro dai toni spiccatamente onirici e metaforici, fuori dagli schemi abituali. Anche per questo, nonostante l’impaginazione ad alta leggibilità che lo rende più fruibile e amichevole alla vista anche in caso di DSA, non risulta immediatissimo e facilissimo da seguire. Si tratta però di un libro molto suggestivo e denso, che si presta a stimolare riflessioni, interpretazioni e confronti nei bambini e nei ragazzi.

Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità

C’è un paese di nome Armonia, in cui ogni persona vive serenamente, libera di giocare, crescere, imparare, esprimersi, realizzarsi nella maniera che gli è più congeniale, anche nel caso in cui sia colpito da una disabilità. Armonia è certo un paese fantastico ma che traduce in immagini efficaci il senso di un documento importante come la Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità e che si vorrebbe non distasse molto dalla realtà. I suoi abitanti accoglienti, le sue leggi amichevoli e i suoi luoghi ospitali rendono bene l’idea di come dovrebbe costruirsi una società inclusiva quale quella raccomandata dal documento redatto dall’ONU nel 2006. Questo, reso a misura di bambino grazie a un lavoro intitolato “Parliamo di abilità” promosso dall’UNICEF, funge proprio da ispirazione per i quattordici componimenti in rima di Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità, scritti da Bendetto Tudino e illustrati da Marianna Verì.

Il volume nasce da un progetto dell’Unicef, dell’Agenzia Politiche a favore dei Disabili del Comune di Parma e dall’associazione Rinoceronte Incantato. Forte dell’idea che le norme vanno il più possibile fatte proprie e interiorizzate, il libro sceglie la via della rappresentazione poetica per dare un senso pieno, comprensibile e vicino al sentire dell’infanzia a norme rigorose e astratte. Così il diritto di ridere, scegliere, esserci o decidere acquistano un significato più vivo e palpitante, più facile da riscontare e forse mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Tra tanti diritto, poi, non manca quello a noi tanto caro, di leggere, che l’autore chiude così:

Impara così un Mondo felice

Quel che si fa, si pensa e si dice.

Con le mani, gli occhi e la mente,

studia il sapere di tutta la gente.”

Cento passi per volare

Può un ghiro volare? Qualche leggenda sostiene di sì, anche se nessuno in effetti ci crede. Eppure un fondo di verità le leggende ce l’hanno sempre e infatti Lucio, soprannominato affettuosamente ghiro dalla zia Bea, sembra proprio trovare il modo di spiccare il volo. Tutto accade in alta quota, al rifugio Cento passi, dove Lucio e Bea si recano volentieri per camminare un po’ insieme nel silenzio della montagna. Qui Lucio trova la sua dimensione ideale: senza il frastuono della città, dove l’assenza della vista rende tutto molto confuso, i suoi sensi riescono a guidarlo con una precisione e un’affidabilità sorprendenti. Tanto che il ragazzo,  al mondo da quattordici anni e cieco da nove,  vorrebbe dimostrare di essere totalmente autonomo anche sui sentieri più ripidi, senza il bisogno di tenere salda la sciarpa di seta della zia che lo guida. Il desiderio di sentirsi e di mostrarsi come tutti gli altri, come se la disabilità non lo condizionasse affatto, emerge tanto più forte quando al rifugio Lucio incontra Chiara –  coetanea  nipote del gestore – che insieme a lui, a Bea e alla guida alpina Tiziano affronta una camminata fino al Picco del Diavolo, dove hanno nidificato due splendide aquile. Quella camminata, oltre a rendere i due ragazzi protagonisti del salvataggio di un aquilotto dal rapimento di due bracconieri senza scrupoli, spalanca le porte a un’amicizia inattesa, capace di fra conoscere e riconoscere a entrambi la parte più nascosta e controversa di sé.

Cento passi per volare è un romanzo asciutto e schietto, come le cose di montagna sanno e devono essere. E come tale serba un gusto autentico e pieno. Proprio come in una passeggiata nel bel mezzo della natura, a contatto diretto con la propria fatica, i propri pensieri e i propri limiti, il lettore si confronta e sente chiaramente il peso dei pregiudizi, del bisogno di presentarsi in una data maniera di fronte agli altri, del doversi sempre dimostrare all’altezza delle situazioni. È un peso che Lucio, con la sua disabilità, incarna a pennello ma che in realtà, come il personaggio di Chiara mostra bene, va ben oltre la questione dell’handicap per riguardare trasversalmente qualunque persona. Soprattutto se in crescita. Ecco dunque perché, oltre a dire tanto delle risorse che spesso inaspettatamente risiedono nella disabilità, Cento passi per volare dice altrettanto delle difficoltà che ciascuno incontra sul suo cammino e dell’importanza che può avere, per affrontarli, il saperli e volerli riconoscere, accettando serenamente l’aiuto che ci offre chi ci sta accanto.  “Nessuno dei due disse nulla. Lei gli prese dolcemente la mano e lo guidò attraverso lo stretto passaggio che si apriva tra l’albero caduto e il dirupo. Oltre l’ostacolo.

L’isola dei giocattoli perduti

L’orsetto Teddy, protagonista de L’isola dei giocattoli perduti, è un peluche dalla spiccata intelligenza che vive in una casetta graziosa in compagnia del saggio elefante Umpah. Umpah si prende amorevolmente cura di Teddy perché questi si può muovere solo su un carretto spostato pazientemente da zampe di un certo spessore. La loro vita scorre pacata, tra il profumo dei deliziosi muffin che Umpah sforna quotidianamente e gli insaziabili interrogativi che si pone Teddy. Tutt’intorno, un serpente dall’appetito insaziabile, una maialina rosa un po’ sciocchina e una maialina blu molto apprensiva, un pinguino solitario e brontolone e un coniglio dal colletto regale: una ciurma tenera e buffa, insomma, che accompagna dell’orsetto avventuriero nei suoi momenti di entusiasmo come in quelli più dimessi.

Quando Teddy si chiede che cosa ci sia oltre il fiume, quando diventa triste per essere l’unico a non poter nuotare, quando arriva sull’isola l’altezzosa Regina Clara che vuol dettare regole e leggi o quando piove per giorni interi rendendo impossibile ogni escursione, sono questi amici, ciascuno alla sua strampalata maniera, a rendere vitale l’isola insieme al protagonista. In questo senso L’isola dei Giocattoli perduti è un libro che, senza un fare troppo invadente, racconta il bello dell’amicizia nella diversità, il succo di relazioni che crescono non malgrado ma proprio in virtù della varietà di indoli, abilità e caratteri: relazioni in cui anche una limitazione motoria come quella di Teddy non preclude una straordinaria curiosità e capacità di porsi domande che allrgano lo sguardo e soprattutto la possibilità di condividerle e renderle contagiose nei confronti dei propri cari.

L’isola dei giocattoli perduti è un libro dal ritmo lento, pensoso: il ritmo forse che meglio si addice a una vita pacifica su di un’isola sperduta. Le piccole avventure che  coinvolgono i protagonisti vivono più di immaginazione che di colpi di scena e tengono salda la mano del lettore, come d’altronde si chiede a un fedele giocattolo di fare. Raffinate e dal coerente tono malinconico, le illustrazioni in bianco e nero di Fabio Sardo che accompagnano il testo di Cynthia Voigt conducono il lettore in un mondo fantastico, che profuma di esplorazioni nel bosco e muffin al lampone.

Con le ali di Aurora

Nella vita di Lorenzo qualcosa sta cambiando: il papà si è trasferito per lavoro in Australia, la mamma non è più solare come in passato e nella sua classe, da qualche tempo, tutto sembra più caotico e complicato. Una volta era diverso: la vita in famiglia nella tranquilla Pesaro era piacevole, la mamma Lola inventava storie buffe senza diventar matta per trovare un editore e il suo amico Maurizio stava bene con lui, sia a casa sia a scuola. Ma ora non più. E così Lorenzo si dedica in solitaria a passioni come il basket e prova a ritrovare una sintonia con chi gli sta accanto, alla disperata di ricerca di un equilibrio con sé stesso e con il mondo intorno. In questo delicato passaggio è l’arrivo in classe di una nuova bambina, Aurora, a fare la differenza. Affetta da sindrome di Down, Aurora ha modi e tempi tutti suoi, necessita di un insegnante di sostegno e crea non poco scompiglio in classe mettendo a dura prova la pazienza delle maestre e le dinamiche rodate del gruppo. Proprio questo suo modo insolito di stare al mondo porta però Lorenzo a una riflessione importante su cosa sia la normalità e a un’idea vincente che metterà insieme la passione di Aurora per il disegno e l’abilità di Lola nel narrare storie.

Con le ali di Aurora è un libro con un ritmo pacato che parte piano piano e accelera sul finale dopo essersi preso il tempo di far conoscere i suoi protagonisti al lettore. Le situazioni di vita scolastica che dipinge sono impastate di realtà e danno conto del ruolo determinante giocato, per una buona soluzione inclusiva, dalla personalità, dall’inventiva e dalla buona volontà delle singole maestre . Nel comportamento di Maurizio e di Aurora, ma anche dei loro compagni, c’è tutto lo scarto tra le etichette di cui sono infarcite le direttive e la pratica con cui gli insegnanti si trovano quotidianamente  ad avere a che fare, ci sono le soddisfazioni enormi di chi abbraccia la missione  educativa ma anche le sue difficoltà non trascurabili, c’è la necessità ben espressa di trovare spazi di conforto per ciascuno e possibilità di valorizzazione che travalichino i limiti imposti dall’handicap. Nel libro potranno trovare tracce di sé, quindi, sia gli adulti che i bambini, il che rende Con le ali di Aurora particolarmente adatto a una lettura in classe che stimoli il confronto e la condivisione di esperienze.

Vacanze

Trascorrere le vacanze in campagna con il nonno, godersi una libertà avventuriera che pare senza tempo ed esplorare la natura in una scatenata solitudine. Questa è l’estate per la bambina del libro di Blexbolex. Ma poi arriva lui: quell’elefantino in tenuta da marinaretto che giunge a bordo di un treno locale per occupare un posto importante in casa, al tavolo, in giardino e in definitiva nelle giornate e nelle notti della protagonista. Vissuta come una sgradita invasione di campo, questa sfocia in una serie di dispetti e scortesie, fino a quando l’ospite fugge nel bosco costringendo il nonno a una ardita ricerca notturna. Ritrovato il fuggitivo, all’adulto non resta che coinvolgere i due cuccioli nell’organizzazione di un’attesa festa in maschera. È qui che la bambina, come ipnotizzata dalle scintille che salgono al cielo da un falò, compie un viaggio immaginario e avventuroso in compagnia di un simpatico bambino: lo stesso che per un attimo rivedrà il giorno seguente, sul treno che riporta a casa l’elefantino tanto bistrattato.

Visionario e raffinatissimo come sempre, con figure e tinte dal sapore vintage (in cui si inseriscono però elementi di ordinaria modernità), Blexbolex sovverte qui alcune convenzioni legate alla rappresentazione dell’infanzia (chi non avrebbe desiderato un elefantino con cui giocare?), portando il lettore a non dare nulla per scontato e a interrogarsi sul reale significato di quella convivenza così tribolata. Chi è quel pachiderma e come mai il nonno lo accoglie nella sua casa? Ma soprattutto perché, per una frazione di secondo, sul treno del ritorno, assume le fattezze del simpatico bambino incontrato la sera della festa? Con fare ammiccante e mai invadente l’autore lascia a chi legge l’onere e l’onore di trovare le sue risposte, mostrando grande rispetto e dedizione per il delicato e prezioso ruolo interpretativo di chi sta dall’altra parte delle pagine.

Privo di parole, Vacanze procede per immagini in maniera molto chiara e lucida, rendendo a misura (anche) di bambino un racconto pur lungo (138 pagine sono un bel numero per un silent book) e contraddistinto da una sovrapposizione tra piano reale e fantastico. Alternando doppie pagine piene e riquadri più piccoli l’autore scandisce un ritmo variegato, anima la narrazione e rende a pieno il senso di relatività spazio-temporale(-sentimentale) vissuto dalla protagonista e caratteristico dell’infanzia.  “Vacanze è un minuscolo dramma – racconta non a caso Blexbolex in un’intervista – al quale ho tentato di dare una dimensione più importante di quella dei fatti effettivamente riportati  perché questo è per me tutto il sale e il valore dell’infanzia”.

Madelief. Lanciare le bambole

Ci sono tre ragazzini irresistibili – Madelief, Roos e Jan-Willem – e c’è un autore pluripremiato –Guus Kuijer – che ne immagina e racconta con grande ironia le piccole grandi avventure. Nasce così il primo volume di una serie gustosissima e divertente, capace di immortalare quel delicatissimo passaggio esistenziale che porta dall’infanzia a ciò che la segue, offrendo al lettore in crescita un piacevole ritratto in cui ritrovarsi.  Tra le pagine di Madelief. Lanciare le bambole i protagonisti vengono colti nel loro inventare giochi e coltivare hobby, affrontare sentimenti contrastanti, avere a che fare con adulti talvolta complici talvolta incomprensibili. E così i tre, di capitolo in capitolo, persuadono il lettore a seguirli mentre salvano un piccione, sfidano dei bulli, scampano vestiti imbarazzanti o si stuzzicano con innocui scherzi.

Che siano bambini degli anni settanta (le avventure di Madelief sono state pubblicate per la prima volta in Olanda nel 1975) lo si può evincere da alcuni dettagli (come la passione smodata per i cowboy, l’uso di una macchina da scrivere per redigere un giornale o l’incontro con un venditore di fiori porta a porta) ma son dettagli per davvero, a cui quasi non si bada, perché qui a colpire davvero il lettore è la freschezza del racconto e quello spirito irriverente tipico dell’infanzia che l’autore coglie con grande naturalezza. Con un sonoro ciao ciao agli stereotipi e ai buoni sentimenti (ah, come erano avanti nel nord Europa già quarant’anni fa!), il libro di Guus Kuijer conquista per la sua candida schiettezza che non teme di dare a una protagonista travolgente come Madelief una personalità complessa, fatta anche di difetti.

Non lasciatevi scappare questo libro e tenete d’occhio il suo seguito (altri quattro volumi fanno parte della serie ma non sono ancora pubblicati in Italia). Oltre a proporre personaggi davvero sinceri e fuori dal comune, Madelief offre una possibilità (rara!) di lettura realmente accessibile anche in caso di difficoltà legate alla dislessia o a una scarsa propensione a un’immersione tra le pagine. Non solo il libro presenta caratteristiche di alta leggibilità – grazie al font Easyreading,  la spaziatura maggiore tra righe e parole, la sbandieratura a destra, la sillabazione evitata e la separazione netta tra i paragrafi – ma si compone anche di capitoli molto brevi e perlopiù autonomi che consentono una flessibilità di lettura felicemente modulabile in base alle esigenze del lettore. Ogni capitolo corrisponde cioè a una micro-avventura, godibile in sé oltre che nella cornice generale. E questo aspetto, tra gli altri, non è da sottovalutare perché oltre a stuzzicare anche i lettori meno scafati, sotto sotto dice anche dell’impegno dalla casa editrice Camelozampa a non fare dell’alta leggibilità solo un’etichetta vuota ma una scelta frutto di un pensiero accorto.

I racconti dei vicoletti

Questo libro è una delizia. Per lo stile gioiosamente meravigliato dell’autore, per la tenerezza dei suoi personaggi e per lo sguardo insolito che ci regala sulla Cina. E infine, non da ultimo, per il modo delicato e rispettoso che ha di dare spazio alla disabilità nelle sue brevi narrazioni.

I quattro racconti a fumetti che compongono il volume – curato anche all’esterno, grazie alla copertina rigida che gli dona consistenza e valore – vedono infatti protagonista la piccola Yu’er che si muove tra i vicoletti del suo villaggio in sella a un tre ruote amorevolmente guidato dal florido nonno. Curiosa e tenace, la bimba conquista il lettore con grande facilità, contagiandolo con il suo modo vitale e positivo di affrontare ogni situazione, malgrado la difficoltà a camminare. Che si tratti di prepararsi alle paralimpiadi in una piscina immaginaria, ascoltare un concerto nel paradiso degli insetti, rispolverare la storia d’amore del nonno o cimentarsi con l’arte, Yu’er non manca di stupire il suo lettore con un’attitudine votata all’entusiasmo.

Intorno a lei, insieme al nonnino verso il quale manifesta un affetto smisurato e profondamente ricambiato, si attivano i personaggi più diversi – dai bulli di quartiere al burbero anziano con la passione della pittura – che nel bene e nel male rendono vivo il villaggio in cui tutto ha luogo. Quei vicoletti, non a caso citati anche nel titolo del libro, si fanno cornice viva e vitale di un’infanzia lontana migliaia di chilometri ma vicinissima al sentire di qualunque bambino.

Bosch – L’avventura magica del giovane artista, il berretto, lo zaino, la palla…

All’inizio c’è solo un ragazzo qualunque con un cappellino, una palla e un cane, che perde l’equilibrio e cade in mare da una scogliera. Ma già dalla seconda pagina tutto cambia e il lettore ha la netta percezione che il mondo in cui il bambino è precipitato afferisca più al fantastico che al reale. Creature marine e terrestri dalle strambe sembianze lo animano infatti: sono unicorni, lucertoloni dall’aspetto preistorico, angeli e creature che mescolano l’umano e l’animale. Il loro è un mondo in cui ciò che si vede e ciò che accade non sempre appare lineare e spiegabile,  ma in cui si percepisce netta la presenza di un fronte del bene e di un fronte del male che spesso si incontrano e si fronteggiano. Il protagonista, dal canto suo, vi si trova invischiato  e il banale tentativo di recuperare lo smarrito cappellino lo porta a incontrare aiutanti e nemici, a percorrere cammini inaspettati, a superare prove di grande coraggio, fino al ritorno a una piana quotidianità di cui il lettore si era praticamente scordato. Il tutto in una cornice surreale, popolata di figure oniriche di grande suggestione che irrompono nella storia principale, vivono piccoli vicende parallele o danno semplicemente  spessore a un immaginario fuori dall’ordinario. Un immaginario che evoca chiaramente il genio di Bosch, senza rinunciare al tratto caratteristico dell’autore indonesiano.

Se Thé Tjong-Khing ci aveva deliziati con il dittico TortintavolaTortinfuga, coccolando la nostra fantasia con avventure pullulanti e votate al puro divertimento per immagini, qui ci sorprende con un lavoro che riprende l’assenza di parole e la propensione alla moltiplicazione dei dettagli e dei relativi percorsi narrativi, sposandole a una raffinata trama di echi dell’opera di Hieronymus Bosch.

Piacevole e straniante se letto senza precisi riferimenti culturali, suggestivo e illuminante se fatto dialogare con l’opera del pittore olandese, Bosch rappresenta un raffinato omaggio di un artista moderno a un collega di qualche secolo più vecchio e un invito a far echeggiare dentro di noi le opere che più segnano il nostro immaginario. In questo senso, al pari e talvolta meglio di tante proposte dedicate all’arte, il libro di Thé Tjong-Khing suggerisce una pista insolita e accattivante di avvicinamento all’immaginario e allo stile di un artista di rara originalità. Quale che sia poi, per ciascun lettore,  il percorso che lega l’opera di Bosch e il libro a lui dedicato, poco conta: la conoscenza della prima può rendere irresistibile la lettura della seconda così come,  viceversa, la scoperta della seconda può suscitare la curiosità per la prima. Ciò che resta invariato è il gioco di stimoli che tiene viva la mente e quel gusto per la complessità – come diritto e come valore – a cui anche i libri accessibili non dovrebbero mai rinunciare.