Le due metà del cielo

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Due personaggi (il sole e la luna), due copertine (una notturna e una diurna), due versi di lettura del libro (una dal dritto e una dal rovescio): come anticipa efficacemente il titolo, ne Le due metà del cielo tutto è doppio e solo un opportuno cambio di prospettiva consente di cogliere il pieno significato della storia. Solo capovolgendo il volume, a metà del racconto, è possibile scoprire il segreto della stella e del satellite di cui si narrano i tratti e assistere al loro eccezionale rendez-vous. Da un lato e dall’altro del libro si descrivono infatti proprietà e azioni tipiche dei due corpi celesti – l’uno aiuta i fiori a crescere, è il mago dei colori e vive al caldo, l’altro cambia forma, si nasconde talvolta e fa crescere i capelli – ma solo nella pagina centrale in cui entrambi compaiono si compie la magia dell’incontro. Così, attraverso la storia di due mondi apparentemente inconciliabili e distanti ma in realtà capaci di trovarsi e unirsi, gli autori celebrano il valore dell’integrazione e della differenza.

Il libro, stampato su cartoncino spesso e maneggevole, è pensato per risultare accessibile anche a giovanissimi lettori con disturbi della comunicazione, è un adattamento dell’omonimo volume già pubblicato dall’associazione Need You onlus tra il 2012 e il 2014 in diverse lingue (tra cui l’italiano, il francese, l’inglese, il portoghese e l’arabo) e diffuso gratuitamente in luoghi di accoglienza del disagio infantile. Rispetto alla versione originale, il volume è frutto di un grosso e preciso lavoro di semplificazione e traduzione in simboli WLS (Widgit Literacy Symbols) che un opuscolo allegato spiega sinteticamente come utilizzare. Ricco di immagini metaforiche e personificazioni che possono risultare un po’ difficili per lettori con poca dimestichezza col figurato, Le due metà del cielo risulta dotato di illustrazioni evocative ma al contempo attente a rendere i fenomeni scientifici cui si accenna (dalle fasi lunari alle maree, dalla rotazione dei pianeti all’eclisse). Ne risulta un prodotto non semplicissimo ma significativo sia sul piano didattico sia su quello narrativo.

Il libro è reperibile presso l’associazione Need You onlus e presso alcune sedi convenzionate come la Libreria Terme di Acqui Terme e viene offerto al pubblico a fronte di un’offerta minima volta a coprire le spese di produzione e supportare le iniziative future legate alla pubblicazione.

Jésus Betz

C’è un albo dalle tinte chiaroscure, dal testo asciutto e dalle immagini avvolgenti che non ha paura di guardare e dire la disabilità. È un albo pubblicato per la prima volta in Francia ormai quasi 15 anni fa e proposto al pubblico italiano di lettori dalle età diverse dalla Logos edizioni. Jesus Betz, il protagonista che dà il titolo al libro, è tra i personaggi disabili più emblematici e forti che la letteratura possa offrire. La diversità di Jesus, nato senza braccia e senza gambe, si manifesta d’impatto e con insistenza costringendo chiunque a fare i conti con pregiudizi e sentimenti contrastanti.

Il racconto procede per date significative – 33 in tutto, come a rivelare che il nome del protagonista non è poi tanto casuale: 33 pietre miliari che scandiscono una vita segnata dall’avventura e dal coraggio di rialzarsi. Sempre. Così Jesus, dopo un’infanzia sofferta allietata soltanto dalle cure premurose della madre, ricorda i suoi anni come vedetta a bordo delle navi, il calore generoso della compagna Mamamita, il lavoro come fenomeno da baraccone per il meschino Max Roberto, la fuga con l’amico Pollux, gli spettacoli con il Grand Cirque e l’amore felice con la splendida Suma Katra: una vita intensissima in cui gioie e dolori forse non si equilibrano ma in cui le prime prevalgono infine sui secondi, restituendo un’immagine della disabilità in cui il limite dipende in gran parte dalla maniera in cui ciascuno lo vive e dallo sguardo che gli altri vi dedicano.

L’albo, intenso e complesso, è un inno alla perseveranza e alla capacità di guardare avanti anche se paradossalmente il libro è costruito proprio come una lettera che ripercorre all’indietro dei ricordi.  Le parole scelte da Fred Bernard sono trasparenti e senza filtri: taglienti dove occorre, delicate dove serve. Ad esse si accompagnano le illustrazioni tutte giocate su toni caldi intorno all’ocra e votate a trasformare i sentimento turbolento di personaggi e lettori in un’atmosfera permanente di grande effetto.

Libri e ciambelle per Johnny

Ascoltare storie e divorare ciambelle: chi non scalpiterebbe di fronte a una prospettiva così deliziosa? Ecco perché immedesimarsi nel protagonista di Libri e ciambelle per Johnny, diventa cosa piuttosto immediata. Johnny è nella fattispecie un tenero criceto che si destreggia tra casa, scuola e biblioteca come potrebbe fare un qualunque bambino e che all’ultima pagina riesce a conciliare la sua passione smodata per letture e merende.

La sua storia, raccontata con grande semplicità da Giovanna Micaglio, è nata ed è stata largamente utilizzata con i piccoli frequentatori delle biblioteche romane all’interno di un progetto intitolato Il libro a portata di mano. L’origine artigianale giustifica le illustrazioni molto casalinghe ma non ha impedito ai curatori del lavoro di prestare un’attenzione professionale alla traduzione del testo in simboli PCS così che potesse risultare accessibile anche in caso di disturbi della comunicazione o deficit cognitivi. Il libro presenta inoltre una curiosa struttura in cui il testo tradizionalmente stampato appare capovolto in cima alla pagina di destra: un accorgimento a prima vista insignificante o al limite strambo che rivela però una destinazione d’uso precisa, all’interno di gruppi classe o gruppi di lettura, e una specifica abitudine da parte degli ideatori a fare delle letture condivise un momento agevole e piacevole. Questo stratagemma consente infatti al pubblico di godere di immagini e simboli senza costringere il lettore adulto ad acrobazie e salti mortali per leggere ad alta voce il testo.

Il risultato è un libretto piacevole da impiegare, resistente e funzionale anche al di là del contesto bibliotecario per il quale è nato. Lavori come questo, che nella stragrande maggioranza dei casi restano realizzati in copia unica presso le biblioteche che li mettono a punto, costituiscono un patrimonio estremamente prezioso per la lettura da parte di bambini con difficoltà comunicative e intellettive e meriterebbero possibilità di realizzazione in serie.

Caccia alla tigre dai denti a sciabola

Da quando Diego, personaggio burbero dal cuore di panna, ha fatto la sua comparsa nel film d’animazione L’era glaciale le tigri dai denti a sciabola godono di una fama solida e appagante. Parte quindi in discesa Il libro di Pieter Van Oudheusden, intitolato per l’appunto Caccia alla tigre dai denti a sciabola e dedicato a un mondo preistorico in cui il feroce felino fa tremare di paura intere tribù. Tra queste c’è anche quella del giovane Olun che, invitato dagli adulti a non immischiarsi nelle faccende di caccia, decide di avventurarsi da solo alla ricerca della famigerata tigre. La sua arma segreta: un misterioso sassolino bianco consegnatogli dallo stregone. Intimorito ma ben deciso a portare avanti la sua missione, Olun finisce per incontrare davvero la bestia feroce ma trova in extremis un modo originale per intrappolarla una volta per tutte. Il suo sassolino (di gesso) si rivela infatti uno straordinario e innovativo strumento da disegno che consente di immortalare l’animale esorcizzandone il potere terrificante. Da lì in avanti la passione per l’illustrazione dilaga tra i membri della tribù – bambini e adulti, uomini e donne – facendo cascare a sua volta Olun in una trappola: quella amorosa tesagli dalle bella e soprattutto furbissima Uma!

Caccia alla tigre dai denti a sciabola è un lavoro delizioso in cui si fondono una storia ben costruita, informazioni storiche accurate, piccole ma importanti ribellioni (dei giovani ma anche delle donzelle), idee di fondo interessanti sul potere dell’immagine e illustrazionii dal potere ipnotico. Le figuredi Benjamin Leroy brulicano infatti senza posa. Tratteggiate e irriverenti, costruiscono un mondo vivo intorno alla storia di Pieter Van Oudheuden invitando a sollazzarsi tra dettagli colmi di humour. Dagli animali che giocano a carte con le foglie alle iscrizioni rupestri in forma di coscia di pollo, dalle strategie di camuffamento del muflone alle illustrazioni sensuali di un gruppo goliardico di primitivi: ogni pagina è un invito a un sorriso, tanto meglio se condiviso in una lettura ad alta voce, resa peraltro più agevole dal piacevolissimo ricorso alla font maiuscola ad alta leggibilità leggimi.

La piscina

 

Tuffatevi! Ora, a bomba, senza timore e con tanto di spruzzi. Tuffatevi e trattenete il respiro, quest’albo da sogno firmato da Ji Hyeon Lee chiede a gran voce, ma senza parole, una bella immersione. Il pennello sofisticato della giovane autrice coreana va proprio in profondità per svelare al lettore audace quali meraviglie gli riserva l’oltre: quell’oltre che tanti non hanno tempo, voglia e intenzione di esplorare; quell’oltre che qui prende la forma di una piscina in cui si può decidere se immergersi vivamente o sguazzare banalmente in superficie.

I due protagonisti non hanno dubbi: immergersi a più non posso e così scoprire creature fantastiche, fondali a labirinto e mostri minacciosi ma anche individui a noi simili con cui nuotare e spartire il piacere della sorpresa.

La piscina è insomma un albo gourmand, una millefoglie letteraria da gustarsi strato a strato. Ciascuno vi trovi il suo gusto, il suo significato, il suo sapore: che sia quello di un divertimento condiviso, di una sfida alle convenzioni, di un inno al coraggio di vedere oltre. In ogni caso sarà un assaggio appagante e quasi quasi vi verrà voglia di fare il bis.

Storia di retta

La semplicità che anima Storia di retta è a dir poco strabiliante: sulle pagine a fisarmonica di questo nuovo libro curato da L’albero della speranza si muove infatti un filo banalissimo ma capace di attivare percorsi fantastici. Protagonista del racconto è una retta indomita e curiosa che si scatena in un susseguirsi senza posa di movimenti, emozioni, garbugli, azioni. Da piatta essa si fa infatti ondulata, a zig zag, a scale, a spirale e chi più ne ha più ne metta ascoltando l’istinto del momento, la voglia di cambiare, l’istinto di scoprire.

La sua è un’avventura, come suggerisce il titolo giocoso, non solo di retta ma anche diretta perché immediata, essenziale e facile da seguire anche da parte di chi esplora la pagina solo con le dita. E in questo senz’altro la forma insolita del volume, che consente un continuum illustrativo senza soluzioni di continuità, non è solo accattivante e piacevole a vedersi e maneggiarsi ma anche funzionale a favorire l’esplorazione tattile.

Un libro come questo, che solletica la fantasia con pochissimi elementi, è garanzia di piccole escursioni immaginative che colmano di soddisfazione proprio perché a misura di bambino e di dito inesperto. Storia di retta costituisce perciò un esperimento della casa editrice eporediese molto ben riuscito dal punto di vista tecnico oltre che molto felice nel contenuto. Alla fine della lettura, si chiude infatti la fisarmonica convinti che – parafrasando Munari – se nasci retta, non è detto che resti tale tutta la vita!

La mia coperta

Coperte e copertine spiccano in cima alla classifica degli oggetti più rassicuranti. Linus docet. Calde e confortanti, la trapuntine popolano alcuni tra i momenti più intimi e sereni della giornata dei bambini. Ecco perché il libro tattile di Silvia Sopranzi, che a quest’oggetto e alle sue molteplici declinazioni è interamente dedicato, va a pescare tra le esperienze più familiari e condivisibili da lettori con disabilità visiva e non.

In una rassegna precisa e curata, le pagine del libro invitano ad esplorare diversi tipi di  coperte – quelle da sonnellino e quelle da picnic, quelle di lana e quelle a pois, quelle sotto cui ci si nasconde e quelle da personalizzare con etichette e bottoni. Della stessa forma ma di materiali diversi, ben scelti e facilmente riconoscibili, le copertine presentate da Silvia Sopranzi richiamo alle dita, agli occhi e alla mente piccole gioie quotidiane. Ad ognuna infatti si lega un’esperienza a misura di bambino, conosciuta e gioiosa, così da trasformare una morbida carrellata di oggetti in una toccante rassegna emotiva.

Vincitore come miglio libro tattile italiano al concorso “Tocca a te” del 2013, La mia coperta è stato messo a punto nella sua versione definitiva dalla Federazione Nazionale Delle Istituzioni Pro Ciechi e  inserito all’interno della collana “Sotto a chi tocca”.

Flora e il pinguino

In Flora e il pinguino, titolo, personaggi, uso del colore, atmosfere e idea di fondo richiamano apertamente Flora e il fenicottero. Come nel primo silent book firmato da Molly Idle e uscito per Gallucci nel 2013, anche qui c’è una bambina tutto pepe alle prese con uno sport pieno di grazia e con una nuova insolita amicizia.

Dopo l’incontro danzerino con il fenicottero, la protagonista incappa qui in un elegante pinguino dalle movenze leggiadre. Tra i due scatta all’istante un sodalizio e una performance a due: sui pattini lei, sulle zampette lui. Le prime pagine sono perciò tutte una giravolta, uno slancio, un salto: con un’armonia senza pari di colori, linee e movenze i due atleti compongono una coreografia davvero buffa e raffinata.

E qui l’autrice si e ci diverte da matti, con quella sua abilità strepitosa di esaltare simmetrie e giochi di sguardi, anche grazie all’intramontabile meccanismo delle alette. La sua capacità di trovare delle insospettabili somiglianze tra il mondo degli umani e il mondo naturale, poi, genera stupore, diletto e piacere narrativo. Sicché, ci si tuffa con gioia in una successione di pagine ben costruite con pochi elementi e tonalità ma molta attenzione per i dettagli, i cambiamenti e le espressioni, condividendo la piccola baruffa che verso la fine coinvolge personaggi e l’ingegnosa soluzione che trovano per superarla. Si riemerge così, dopo un gran finale degno di Carolina Kostner, forti dell’idea che incomprensioni e bronci siano affare quotidiano ma che sorrisi e piroette siano decisamente da preferirsi.

I cinque malfatti

“Erano cinque. Cinque cosi malfatti.” Bastano cinque parole (guarda un po’, tante quanti i malfatti stessi!), per spalancare le porte all’invenzione. In cinque parole e una doppia pagina Beatrice Alemagna ci catapulta in un mondo in cui la stramberia impazza. Qui i protagonisti sono talmente insoliti che meglio di “cosi” non si possono definire: uno è bucato, uno è molle, uno è a pieghe, uno è capovolto e uno è così malfatto che assomma su di sé un grande mucchio di stranezze. E le illustrazioni dell’autrice, forti di quel mix così esplosivo e caratteristico di disegno e collage, regalano a questi cinque personaggi forme memorabili e surreali.

Quello dei cinque malfatti è un mondo brioso e sorridente in cui ci si sollazza ciondolando per casa (una casa sbilenca, casomai ci fosse bisogno di dirlo!) e sfidandosi in una gara all’ultima imperfezione. La vita qui è un inno all’ozio, alla diversità e all’autoironia: perché quando si sanno riconoscere i propri difetti e si impara come scherzarvi su, le rispettive diversità diventano occasione di confronto e diletto. Chi entra nella casa dei cinque malfatti conosce la differenza tra ridere di qualcuno e ridere con qualcuno: quella differenza, neanche tanto sottile, che separa il divertimento dallo scherno. Perché il primo funziona solo se tutti si mettono in gioco.

Ma il gioco, il difetto, il divertimento fine a se stesso sono del tutto estranei al tipo straordinario che, con la sua bella capigliatura e tutte la parti del corpo al loro posto, piomba un giorno nella dimora dei malfatti pretendendo di dare loro lezioni di vita. Per lui ci va assolutamente un progetto, ma quei corpi così mal assortiti gli paiono poco idonei a sviluppare idee. Totalmente inutili, in definitiva. A dispetto dei suoi perfettissimi principi, i cinque malfatti rivendicano però la loro straordinaria utilità: nel far passare la rabbia attraverso i buchi, nel conservare i ricordi tra le pieghe, nel vedere le cose da prospettive insolite e nel gioire di insoliti successi (o nel sapere fare pisolini in condizioni estreme. Per me, il migliore in assoluto!). E forti di un personale e condiviso orgoglio riprendono con sollievo la loro vita di sempre.

Il libro, vincitore non a caso di numerosissimi premi tra cui quello attribuito dalla giuria di esperti di Liber, porta nella testa del lettore una ventata di squisita e onesta leggerezza. L’attenzione appassionata dell’autrice per i dettagli nelle illustrazioni (anche l’imperfezione richiede cura!) e per il ritmo del racconto suscitano sana curiosità e autentico divertimento. A sbagliare le storie, ce lo ha insegnato Rodari, non sempre si ha da perdere. E a sbagliare i personaggi, state pur certi, il risultato è identico!

Album per i giorni di pioggia

Può l’ultimo giorno di vacanza suscitare gioia e diventare, tra tutti, il giorno più bello dell’anno? Verrebbe da dire di no ma il protagonista di Album per i giorni di pioggia è pronto a smentire noi tutti. L’ultimo giorno di vacanza coincide infatti con il suo compleanno e fa rima quindi con corona di carta, candeline, torta e famiglia. Quest’anno ancor di più, perché lo zia Ramon ha portato un dono davvero speciale, capace di rendere indelebile un momento tanto felice. Uno, due tre, click: armato della sua nuova macchina fotografica rosso fiammante, il festeggiato non perde tempo e trasforma una giornata potenzialmente malinconica in una collezione di attimi felici da ricordare.

Seguendo il sempreverde insegnamento di Federico, il topo di Lionni che metteva da parte raggi di sole per l’inverno, il protagonista del libro di Torrent raccoglie e immortala momenti preziosi – una corsa con gli aquiloni, una moltitudine di bolle di sapone, un tuffo tra le onde o un salto sul molo – attività spensierate che diventeranno ossigeno e sorrisi quando le attività frenetiche della brutta stagione prenderanno il sopravvento. Ciò che le rende così speciali è il fatto che siano condivise con le persone più care con la leggerezza che solo una vacanza ormai agli sgoccioli può riservare. Il libro omaggia cioè il piacere delle piccole cose, rese straordinarie da coloro con cui vengono vissute.

C’è insomma una nota malinconica tra le pagine di quest’albo, una sorta di presentimento di ciò che verrà da lì a poco, sottolineato da toni ambrati, crepuscolari, prediletti dall’autore nelle illustrazioni. D’altra parte, però, l’ottimismo finisce per avere la meglio, forte della consapevolezza che in qualche modo siamo quello che ricordiamo.

Che c’entra però la disabilità con questo quadro? C’entra nella maniera migliore possibile! Senza che il testo dica nulla, le immagini ci mostrano un protagonista in sedia a rotelle: la disabilità trova posto cioè senza esasperazioni, strepiti, messaggi a effetto o lezioni pedagogiche. Essa figura come un dettaglio tra tanti che influenza certi aspetti della vita (come il modo di correre nel vento, l’altezza da cui si scattano le foto o la maniera di godersi un bagno in mare) senza comprometterne l’essenza (come il piacere di vivere e registrare quei momenti, l’affetto dei cari, il sorriso di fronte al bello di una giornata di sole). Un albo come questo, che sfrutta al meglio le peculiarità del genere facendo dire a testo e immagini cose complementari, lascia delle piccole e discrete tracce di riflessione rispetto alla disabilità, che solo l’occhio attento registra, portando con naturalezza e quasi senza accorgersene la mente a realizzare che l’emozione di un abbraccio tra fratelli, il divertimento di un gioco in spiaggia, la gioia di uno spruzzo marittimo sono  piaceri condivisibili che ci avvicinano straordinariamente.

Visioni nuove della disabilità e dell’inclusione vengono proprio dalle lenti precise e dagli obiettivi potenti che libri come Album per i giorni di pioggia montano sui nostri occhi, come fossero macchine fotografiche. Parole ben scelte e illustrazioni portentose, ricche di inquadrature particolari e prospettive insolite, come quelle di Dani Torrent sono ciò di cui necessitiamo per guardare alla realtà con lo sguardo illuminato di un buon fotografo, che è ben altra cosa da quello piatto di chi, semplicemente, scatta fotografie.

Arturo colleziona mostri

C’è chi colleziona cartoline, francobolli, orologi. E poi c’è chi, come Arturo, colleziona mostri: mostri che servono a sconfiggere le paure perché una volta disegnati le fanno dissolvere. Come il Papestrega, per esempio, che una volta messo su carta fa volatilizzare la paura degli animali col becco. E come lui tanti altri, riportati fedelmente dal protagonista che apre ai lettori la sua personalissima raccolta. Fino a un’ultima pagina, lasciata vuota affinché paure ancora in agguato possano trovare un adeguato mostro che le sconfigga a suon di matite colorate.

Arturo colleziona mostri è un libro insolito per molti aspetti. Perché parte dall’esperienza reale di un ragazzo con autismo e diventa una storia fantastica che parla all’immaginazione ma che allo stesso tempo non smette di parlare di cose vere. Perché trova nei disegni di quello stesso ragazzo le illustrazioni per dare forma al racconto. Perché mette insieme generale e particolare, personale e universale, in un modo stranamente semplice ed efficace. Perché è prima di tutto un libro sulle paure ma è poi anche un libro sull’autismo e assume questa sfumatura soprattutto una volta letta la storia di Antongiulio Preziosa sul risvolto di copertina.

Versatile e d’impatto, il libro si presta non solo a una lettura piacevole ma anche un lavoro di condivisione e riflessione che prosegua oltre l’ultima pagina. In esso si trovano molti atteggiamenti tipici dei bambini autistici e sovente difficili da raccontare ai compagni, si trovano timori singolari e timori comuni, si trovano ingegnose soluzioni per superarli. Al centro, l’idea che per poter sconfiggere una paura occorra poterla visualizzare, riconoscere e nominare altrimenti resta troppo astratta e inafferrabile.

Tutto giocato sul rovesciamento, il libro trasforma i mostri in strumenti di serenità e restituisce al protagonista, così come a chi, in modo analogo, appare strano e diverso per via di atteggiamenti insoliti, un’umanità e un’abilità spesso negate. Le paure del tutto condivisibili e le illustrazioni molto espressive contribuiscono infatti ad avvicinare, dare valore e rendere meno enigmatico qualsiasi Antongiulio entri in qualche modo a far parte della nostra vita. Lo fanno in maniera molto semplice, senza velleità artistiche mirabolanti. Sta proprio nella naiveté, infatti, la forza originale di questo libro.

Storie di Dulcinea

Storie di Dulcinea è un albo surreale ed evocativo che riflette, attraverso la forza immaginifica delle parole e delle illustrazioni, su una realtà realissima e concreta come quella della disabilità. Lo fa parlando di storie che, proprio come alcune persone, hanno bisogno di cavalli reali o di legno per poter correre.

Nato da alcune tavole di Jacopo Oliveri, vincitrici del Premio Ronzinante 2014 per la promozione della cultura della diversità attraverso l’illustrazione per l’infanzia, il libro ha accolto le parole di Francesco Gallo ed è stato pubblicato dalle Edizioni Secop con una bella introduzione di Dario Fo.

Ricchissimo di rimandi chiari ma non insistenti alla disabilità, come le ruote delle sedie a rotelle e le mani che le fanno avanzare, Storie di Dulcinea suggerisce ma non spiega, evoca ma non sancisce, richiama ma non descrive. La sua forza sta nelle innumerevoli citazioni, non solo letterarie, che popolano le immagini – dal Don Chisciotte cui si ispirava il concorso a Cenerentola, da Alice a Guernica di Oicasso. Il risultato è un albo tutt’altro che semplice (e per questo forse anche indicato per una lettura matura), ma straordinariamente suggestivo e risonante. È perciò facile che lo si apra, lo si legga e lo si richiuda con la sensazione di non aver afferrato esattamente il filo logico degli autori ma di portarsi a casa un tramestio di stimoli ed echi dentro.

Insieme più speciali

I colori di Annalisa Beghelli con cui Insieme più speciali accoglie il lettore sono una vera festa per gli occhi e un invito stuzzicante ad andare oltre la copertina. Invito sincero e affidabile: la promessa di incanto non viene infatti delusa, quando si inizia a voltare le pagine dell’albo. Popolate da vivacissimi animali più o meno selvaggi, queste offrono una cornice dal sapore batik che accende la curiosità e trasporta in un altrove esotico avvolgente.

Qui il lettore si confronta con la variegata cricca del giaguaro. Il felino e i suoi amici, di ritorno da una festa in maschera, si confidano tra loro raccontando debolezze e desideri di ciascuno. Sono solo parole malinconiche, le loro, fino a quando il saggio gufo non aiuta tutti quanti a mettere a fuoco che dietro o a fronte di una debolezza si può scoprire una ricchezza e che la collaborazione può aiutare ciascuno a migliorare e sentirsi bene con sé stesso. Sarà così, grazie al lavoro di squadra, che il giaguaro e la lucertola potranno per esempio tornare ad avere delle macchie brillanti ouna coda lunga: magari più fragili e meno perfetti di come immaginati ma comunque utili e importanti.

A raccontare tutto questo, con la misura e la raffinatezza consuete, sono le parole di Beatrice Masini: scelte e combinate con cura, queste cantano il coraggio di essere se stessi, di provare ad aggiustare ciò che fa soffrire chi ci sta accanto, di unire le forze per fare della solidarietà un’arma potente contro la rassegnazione e l’indifferenza. Il libro, che richiama alla memoria volumi bellissimi più e meno recenti – da La cosa più importante di Antonella Abbatiello a Chi vorresti essere? di Arianna Papini -, si spinge oltre la valorizzazione della differenza e dell’unicità di ciascuno, per sollecitare un atteggiamento attivo e collaborativo che migliori le condizioni di un singolo e di una collettività. Insieme più speciali nasce infatti per dare voce alla realtà di bambini colpiti da malattie rare e per sottolineare la necessità, pratica ed etica, di raccontarle, studiarle e curarle anche se i numeri e i ritorni economici direbbero il contrario.

Il barbaro

Il barbaro, silent book fresco di stampa firmato dal brasiliano Renato Moriconi (autore di un altro curatissimo senza parole, Telefono senza fili), è come quel gelato che andava tanto di moda negli anni ’90, quello che “du gust is megl che one”. Perché lettura e rilettura hanno qui due sapori diversi ma ugualmente ghiotti, e a leggere e poi rileggere il libro si gode di un piacere davvero variegato.

Ma andiamo con ordine. Il libro, stretto stretto e alto alto, ci mostra in prima battuta un fiero cavaliere pronto a saltare in groppa al suo destriero. Ci pare impavido e imperturbabile, il prode, che con fare ardito va incontro al suo destino. Da lì in avanti è tutto un montare e scendere, in un susseguirsi di lotte e combattimenti contro rapaci agguerriti, piante carnivore, serpenti sibilanti e mostri di ogni sorta. Con ritmo cadenzato e immutabile imperturbabilità, il protagonista figura ora a piè di pagina e ora in cima, in una battaglia che si rinnova ad ogni pagina. Solo a fine lettura, in un colpo di scena da vero maestro, questo movimento altalenante troverà la sua insospettabile ragione. Ed è proprio a quel punto che tutti i pezzi della narrazione si ricompongono, trovando un nuovo senso e trascinando il lettore in una rilettura nuova, consapevole, disincantata.

Piccolo gioiello di tecnica, grafica e racconto, Il barbaro sa proporre una lettura appassionante e divertente per i più piccoli, che sono chiamati a prestare la loro voce ad avventure pazzesche, ma sa anche stupire i grandi, con una raffinata strizzata d’occhio a Suzy Lee e a quella sua Trilogia del Limite in cui tanta importanza narrativa assumono il silenzio e il confine tra pagine adiacenti e tra realtà e invenzione.

Orizzonti

In apertura non vi è che uno sfondo aranciato caldo e assolato, qualche ombra confusa e un paio di occhi sbarrati che fissano il lettore con effetto disarmante. Sono occhi di terrore, di sgomento, di impotenza: gli occhi di un ragazzo che fugge al di là di un filo spinato incontro a un destino incerto, come sveleranno le pagine successive.

Orizzonti, uno dei libri finalisti del Silent Book Contest 2014, propone con la sola e potentissima forza delle immagini, una storia drammaticamente attuale di fuga, di viaggio, di timori e di speranze. Ogni doppia pagina è un pezzo di strada – la corsa nel deserto, l’ammassamento nel cassone di un camion, il miraggio di un barcone, il buio della notte in mare – e ogni pezzo di strada è una tappa che si chiude ma anche un nuovo interrogativo che si apre, in un continuo rincorrersi di orizzonti, ora di ottimismo e ora di sconforto.

È un libro sull’oltre, questo di Paola Formica, inteso come possibilità, come futuro, come percorso che si snoda un ostacolo dopo l’altro. È un libro non facile ma fondamentale, un libro in cui il destino di un individuo diventa il destino di molti, in cui uno sguardo tra le tenebre si confonde tra mille altri e in cui un traguardo può assumere una pluralità di accezioni. Orizzonti, al plurale: il titolo non è casuale.

Le illustrazioni, evocative e coinvolgenti, si appellano a una conoscenza di ciò che accade a pochi passi da noi, nei nostri mari. Dall’aspetto quasi anticato, a tratti frusto, le ampie pagine in successione ricordano una pellicola d’altri tempi, come un cortometraggio intenso che racconta una storia tanto vicina al nostro passato e che vorremmo non costituisse il presente di nessun altro essere umano.

 

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In linea

Parola d’ordine: minimalismo. Anche in questo silent book firmato Jimi Lee essenzialità e linee pulite la fanno da padroni. Come già in Un pianeta che cambia, anche In linea Jimi Lee fa del togliere il suo principio ispiratore, lasciando campo libero a figure nette ed essenziali.

Non ci sono parole a popolare le poche e robuste pagine di questo albo, ma una serie di illustrazioni unite da una comune linea orizzontale posta al centro. Proprio quella linea diventa il filo conduttore di una narrazione per sole immagini che procede leggera e impalpabile come un’associazione di idee. Così da un’altalena si può rapidamente passare a un cheeseburger e da qui a degli spaghetti di soia, a un tuffo in piscina e a una scrivania sgombra. Fino ad arrivare a una trave su cui una ginnasta spicca un salto leggiadrissimo. Un salto e via, verso nuovi pensieri e nuove trovate.

Grazie a questa costruzione priva di parole, il libro risulta accessibile anche a lettori che, per ragioni diverse, fanno a pugni con il testo scritto. La sua rinuncia a fronzoli e dettagli, poi, contribuisce a sua volta a fare di ogni pagina un rinnovato invito a scoprire, stupire, inventare. Quante nuove cose riuscireste a rappresentare a partire da una sola linea dritta?

Voglio tutto rosa

Vestiti, giocattoli, oggetti e desideri della coniglietta Emma hanno una caratteristica comune: sono tutti, rigorosamente, rosa. Dallo spazzolino alla bicicletta, dai calzini agli alberi immaginati, tutto ha un che di confetto nel mondo della protagonista di Voglio tutto rosa. Fino a quando in una rosa giornata di un rosa compleanno, un invitato non arriva con regalo rosa fuori ma verde dentro. Sorpresa! Dopo un attimo di smarrimento Emma scopre che tonalità diverse possono rivelare un buon sapore e che i colori cui prestare attenzione sono prima di tutto quelli degli affetti.

Voglio tutto rosa è un albo semplice – nelle parole, nelle illustrazioni e nella trama – ma proprio per questo capace di piantare semini di curiosità nei guardaroba monocromatici e aprire sguardi socchiusi alla bellezza di un mondo in multicolor. Stampato con la font Leggimiprima, appositamente messa a punto della Sinnos insieme all’università di Camerino per risultare più leggibile, il volumetto ha un robusto formato quadrato e un piacevole aspetto grafico.

Mr. Ubik!

A voler andare per il sottile, il libro di David Wiesner non dovrebbe figurare tra i silent book in senso stretto: sei fumetti in tutto sono infatti disseminati tra le pagine. Ma ad andar proprio per il sottile, si rischia di perdere occasioni preziose, come quella di leggere un libro pregevole, (comprensibilmente) pluripremiato e, nei fatti, più che accessibile anche da parte di chi sperimenta difficoltà di lettura. Ecco perché vale la pena di segnalare questo libro anche all’attenzione di chi non va a nozze con le parole scritte ma sa gustare il buon sapore di una storia.

Perché qui la storia c’è eccome, così come ci sono dei personaggi strambi che ancor più strambamente si incontrano, e lo sviluppo narrativo è (quasi) del tutto affidato al potere delle immagini. E forse non è un caso, soprattutto se si considera che la comunicazione attraverso il disegno ha un ruolo centrale anche a livello della trama. Quando dei misteriosi extraterrestri finiscono con la loro astronave tra le grinfie di Mr Hubik e si rifugiano a rotta di collo in un buco della parete di casa, sono proprio dei disegni sul muro a permetter loro di stringere amicizia  con una serie di insetti, a loro volta vessati dal gatto. Grazie a questa forma universale di comunicazione, i due gruppi dalle lingue differenti escogitano e condividono un piano di fuga ingegnoso che lascerà il felino a bocca asciutta.

Il libro offre un’esperienza di lettura molto coinvolgente e appagante, tutta basata su luci e ombre, colori tenui e forti, inquadrature distanti e ravvicinate, riquadri marcati e illustrazioni a tutta pagina. I dettagli narrativi disseminati qua e là, solleticano poi lo spirito d’osservazione del lettore. In più, ad alieni e insetti sono attribuiti fumetti apparentemente incomprensibili, fatti di simboli e forme geometriche, a cui è in realtà possibile attribuire un significato piuttosto evidente basandosi sul contesto. La lettura diventa così anche un gioco di decodifica interattiva che appassiona e diverte. Non a caso l’autore di Mr Ubik!, David Wiesner, ha alle spalle una lunga esperienza nel campo dell’illustrazione e ben tre medaglie Caldecott, uno dei più prestigiosi premi americano nell’ambito dei libri per l’infanzia.

Il puzzle di Matteo

Due grandi nomi della letteratura e dell’illustrazione per l’infanzia – Luigi Dal Cin e Chiara Carrer – per raccontare con le parole e i toni giusti una sindrome rara come quella di Prader Willi. Più che una vera e propria storia, con un importante impianto narrativo, Il puzzle di Matteo sceglie di fare dell’incontro tra due bambine l’occasione per dire con garbo quali sintomi manifesta chi è affetto dalla sindrome – dall’assenza di sazietà al ritardo psicomotorio – e quali gesti quotidiani possono aiutare a renderli meno d’impiccio. Un ritratto a misura di bambino, insomma, più che una trama articolata: quel che serve per ricomporre un quadro, o per meglio dire un puzzle identitario, senza lasciare indietro nemmeno un pezzo.

Interessata a conoscerne la storia del compagno Matteo per potervi stringere amicizia, la piccola Maria chiede aiuto alla sorella del bambino, Ilaria. Con parole pacate e profumate di vita vissuta, quest’ultima traccia i contorni di una malattia e delle sue implicazioni attraverso la figura, le abitudini e le peculiarità del fratello. Conoscenza e attenzione sono le parole d’ordine che il libro velatamente suggerisce, invitando a scavare più a fondo della superficie per comprendere ed accogliere comportamenti apparentemente spiazzanti. Le crisi di rabbia, l’insaziabile appetito o le domande ripetute di Matteo iniziano così ad assumere un aspetto diverso, più riconoscibile e comprensibile. A sottolineare questa trasformazione nella percezione, lo stile soppesato dell’autore e il tratto insieme inquieto e sorridente dell’illustratrice.

Il puzzle di Matteo nasce dalla collaborazione di Kite editore, attento da tempo a tematiche delicate come la diversità, con l’Associazione Uniti per Crescere ONLUS, attiva per migliorare la vita dei bambini con problemi neurologici e delle loro famiglie, mediante la sensibilizzazione di insegnanti, genitori, compagni di classe. Il libro è in qualche modo, quindi, il racconto di esperienze reali che vale la pena di portare a galla la risonanza di penne e matite importanti come quelle degli autori  coinvolti è senz’altro un’alleata preziosa.

A casa – Primi segni

Collana Primi segni

Che leggere ad alta voce fin dai primi mesi di vita sia fondamentale per la crescita del bambino è fatto ormai assodato, così come instancabilmente ricordato e promosso da Nati per Leggere. Ma che leggere “a chiari segni” sia altrettanto importante per bambini piccoli sordi è cosa meno evidente e diffusa. Eppure se l’auspicio è che anche chi non percepisce i suoni che compongono storie e poesie possa imparare a godere del loro succo immaginifico, è necessario che quanti più libri accessibili si rendano disponibili fin dalla più tenera età.

Ecco perché la pubblicazione della collana Primi segni, proposta dalla cooperativa romana Il treno, è una notizia non lieta ma lietissima. In un colpo solo 8 libretti cartonati, quadrati e resistenti, si offrono a piccole mani curiose. Sono pagine che si sfogliano (facilmente perdipiù!) e porte che si aprono: piccole occasioni per incontrarsi, per condividere, per comunicare. Ogni libretto ha un tema – dai giochi alla tavola, dai vestiti alla città – che rispetta l’esperienza reale e quotidiana del bambino.

Senza pretese letterarie ma con una forte motivazione inclusiva, la collana nasce su iniziativa di una mamma che ha immaginato l’utilità di libricini che raccogliessero oggetti, parole e segni, così da agevolare l’avvicinamento dei figli sordi al testo scritto e alla lingua segnata. I libri sono pensati infatti per la fascia di età 0-3 anni: il periodo in cui i bambini in generale iniziano a nominare il mondo che li circonda e in particolare i bambini con disabilità uditiva iniziano a segnare gli oggetti che lo compongono. Un’esigenza concreta e fortemente avvertita è dunque alla base di questo lavoro, nato grazie a una serie di sponsor ma anche grazie a un progetto di crowdfunding che ha visto la vendita di un centinaio di copie prima ancora che fossero prodotti.

La realizzazione della collana ha seguito un lungo percorso in cui sono stati coinvolti diversi partner, primo fra tutti il Laboratorio di Ricerca Language and Communication Across Modalities (LaCam) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR che ha contribuito alla scelta dei vocaboli più significativi, utili e riconoscibili da inserire all’interno di ogni volume. Le illustrazioni sono state invece realizzate da disegnatori sordi, a loro volta implicati nel processo progettuale e creativo. Questa scelta risulta piuttosto diffusa nell’ambito dei volumi per l’infanzia in Lingua dei Segni e se da un lato ha il vantaggio di garantire attenzione alle esigenze di comprensione, riconoscimento e associazione al testo implicate dalla disabilità uditiva, ha tuttavia dall’altro lo svantaggio di mettere in secondo piano la reale qualità artistica del lavoro. La speranza è che pubblicazioni di questo genere, utilissime e coraggiose, possano via via moltiplicarsi provando a conciliare la cultura della sordità con l’esperienza dell’illustrazione professionale, così da arrivare a produrre volumi sempre più accattivanti e per questo condivisibili.

I volumetti possono essere acquistati tramite il sito della cooperativa Il Treno o presso alcune librerie convenzionate (altre librerie eventualmente interessate a distribuirli possono mettersi in contatto con la cooperativa stessa).

 

A casa

Il librotto dedicato alla casa seleziona alcuni degli oggetti più familiari per qualunque bambino. Dal divano al frigo, dal lavabo al letto: mobili ed elettrodomestici sono scelti in modo tale da non tralasciare alcuna stanza e sono rappresentati con tratto schizzato e senza fronzoli.

Viaggio

“Quando la strada non c’è – ci ha insegnanto Baden Powell, fondatore dello scoutismo – inventala”. Detto fatto! Come ispirata da questo pensiero e armata di un pennarello rosso e stufa di genitori distratti o troppo occupati, la protagonista di Viaggio crea porte là dove non ci sono e parte per un’avventura a dir poco straordinaria. Un’avventura che nasce come scoperta e diventa una vera e propria impresa, nel momento in cui un misterioso uccello dalle piume viola viene imprigionato da guerrieri in volo su macchine chimeriche. È lì che l’insolita escursione della protagonista assume un valore più profondo, uno scopo più chiaro, e un gusto più pieno. Non solo, infatti, il desiderio di liberare il pennuto la porta a inventare e disegnare al volo nuovi mezzi di trasporto, nuove vie di fuga e nuovi paesaggi ma la ricompensa per di più con un ritorno a casa inaspettato e una nuova amicizia in carne ed ossa.

L’albo, completamente senza parole, è costruito con una minuzia e una cura strabilianti. L’autore, che non a caso ha una lunga esperienza nel campo del cinema d’animazione, fa un uso profondamente incisivo del colore, scivolando dal grigio monotono delle prime pagine annoiate al verde brillante dell’apertura sul mondo immaginario, dal bruno del palazzo-prigione alle tinte rosse e viola di quel paesaggio orientale che riaprirà la via verso casa, senza scordare il tocco rosso che contraddistingue non solo il pennarello dell’incanto ma anche tutto ciò che sa di speranza, divertimento, desiderio (come i giochi delle prime pagine o i mezzi di trasporto in quelle successive). Ma non è tutto: la narrazione si nutre qui di un gioco ancora più stratificato, basato sulla presenza e sull’assenza di sfondi, sull’alternanza di figure di interno e di esterno, sullo sviluppo di edifici fantastici di vaga memoria escheriana e su una trama fittissima di rimandi tra pagine. Certo, la narrazione fluisce anche se non vi si presta grande attenzione, ma la miriade di dettagli che Becker dissemina con pazienza e perizia rendono la lettura un’esperienza straordinaria. L’autore aggancia infatti ogni pagina alla seguente, anticipandone o mostrandone da una diversa distanza o prospettiva un dettaglio, un elemento, una finezza. E lo fa fino all’ultimo, fino a quando cioè alla radice di una palma in mezzo al deserto, non si scorge una minuscola porta che conduce tra i familiari muri della città.

A quel punto il cerchio – del viaggio, della storia così come della ruota che in ultimo lampo di genio la ragazzina disegna nel vuoto – si chiude. E si sa, il bello del cerchio è che proprio là dove si chiude, riinizia. Così – presto fatto – con due cerchi si fa una bici, con una bici si fa un’amicizia, e con un’amicizia si fa una nuova avventura nuova, questa volta più reale che mai. E il lettore ha appena il tempo di vedere schizzare via la protagonista. Con in testa l’idea che, più spesso di quanto immaginiamo, gli amici si nascondono proprio dietro l’angolo. E – manco a dirlo – a guardar con attenzione il frontespizio, tra un credito e l’altro, ci si accorge che l’autore ce lo aveva già suggerito!

Bravo!

Quadrato, solido, semplice: già da fuori Bravo! strizza l’occhio, amichevole, al potenziale lettore (o ascoltatore) curioso. Il papero svolazzante che figura in copertina ispira un’immediata simpatia e invita a seguirlo in un breve viaggio che lo porterà di pagina in pagina a fianco di amici più o meno diversi da lui: una lepre, una pecora, un cigno e una farfalla. Ognuno compie un’azione particolare – chi salta, chi corre, chi vola e chi nuota – azioni che il protagonista, in un’ultima pagina, scopre di poter fare altrettanto bene. Il suo viaggio diventa così un percorso di piacevoli scoperte, di nuove abilità, di piccole soddisfazioni e di confronti positivi con sé e con gli altri. Lo stesso che, pur in assenza di piume, può coinvolgere e far crescere un qualunque giovanissimo lettore del libro di Leen Van Durme.

Già pubblicato da Clavis nel 2010 in versione tradizionale, Bravo! approda ora sugli scaffali di librerie e biblioteche con una traduzione in simboli del testo, curata dal Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa e Alternativa di Milano. Il volumetto rinuncia cioè al font buffo della prima edizione per privilegiare l’utilizzo regolare di simboli WLS e garantire così una maggiore leggibilità e partecipazione da parte di bambini con esigenze diverse. Questa attenzione, unita a un testo semplice e dalla struttura ricorrente e a immagini piacevoli, chiare e pulite, dà vita a un libro attento a gusti e bisogni di lettori alle prime armi, che iniziano a scoprire il piacere di avere tra le mani un libro e di decodificare il suo magico contenuto. Il bello è che non si tratta solo di familiarizzare con l’oggetto-libro ma anche con i diversi codici – testi, immagini e anche simboli – che esso racchiude, a tutto vantaggio di chi, più avanti, di quegli stessi codici farà uso. Si tratta quindi di scoprire, di sperimentare, di impratichirsi con la lettura, autonoma o condivisa che sia, fino a poter dire anche ”io so fare tutto quello che fate voi”. (con un libro in mano). Ecco, l’intento di inclusione e condivisione che sta alla base dell’IN-book non potrebbe essere più chiaro!

Bravo, dunque, Clavis, primo editore non specializzato ad aprire il suo catalogo a un libro in simboli (dal prezzo per di più invariato rispetto all’edizione originale!). Bravo il progetto Nati per leggere che, facendo rete con un realtà attivissima sul fronte dell’inclusione come il Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa di Milano e Verdello e patrocinando questo prodotto, ha riconosciuto e promosso il valore di un IN-book per qualunque bambino in tenerissima età. E Bravo, non da ultimo, il lettore che sfoglierà, ascolterà e proverà a leggere e rileggere il bell’albo di Leen Van Durme fino a consumarne, forse, le ben robuste pagine. Il titolo è infatti anche un azzeccatissimo riconoscimento per la piccola grande fatica che la straordinaria avventura del leggere porta con sé.

Piccolo uovo – Nessuno è perfetto

Piccolo Uovo non sta mai fermo: il suo è un viaggio instancabile alla scoperta delle piccole grandi diversità che fanno colorato e interessante il mondo. Così, dopo i tipi di famiglie (Piccolo Uovo), i tipi di attività (Piccolo uovo – Maschio o femmina?) e i tipi di ricchezza (Piccolo uovo – Chi è il più ricco del reame?) che ci rendono unici, l’ovetto più curioso degli ultimi tempi non si arresta nemmeno di fronte ai territori delle diverse abilità.

 

Con il garbo e l’interesse consueti, il protagonista si interroga su come si possa trovare la strada senza vedere, riconoscere uno starnuto senza sentire, percorrere lunghe distanze senza camminare e comunicare senza parlare: quesiti elementari e comuni, in linea con il più naturale desiderio di sapere dei piccoli lettori. A rispondere, sono improvvisati compagni di viaggio che vivono e incarnano le rispettive mancanze con una serenità contagiosa: una talpa che scava precise gallerie al buio, una lumachina attenta a cogliere segnali non verbali, una foca instancabile arrivata dal Polo Nord, un pesce abilissimo a disegnare e un gatto ingegnoso animati dalle parole pulite di Francesca Pardi e dai disegni accoglienti di Altan.

 

Quel che c’è di bello e più che mai veritiero, in queste coloratissime pagine, è che il superamento degli stereotipi più elementari che circondano le disabilità si attiva grazie a incontri fortuiti, a conoscenze dirette, ad amicizie inaspettate. Ne scaturisce un invito fortissimo anche se silenzioso a fare di ogni viaggio un’occasione preziosa per rendersi aperti e sinceramente curiosi nei confronti dell’altro, di qualunque tipo questo “altro” sia.

Facciamo che io ero?

Chi non ha mai giocato al Facciamo che io ero? alzi la mano! L’inventare e il vestire i panni di qualcuno o qualcos’altro ha segnato in effetti l’infanzia di generazioni le più disparate, soddisfacendo un naturale desiderio di evasione narrativa. Fa centro dunque, l’autrice, quando decide di partire da questa comunissima esperienza per raccontare una storia verosimile e familiare di bambini, di gioco e di inclusione.

 

In Facciamo che io ero? ci sono i supereroi, i musicisti, i professionisti e le principesse che il protagonista e i suoi compagni amano impersonare. E c’è pure il trenino che tutti insieme, sotto la guida della maestra, compongono muniti di sedie e pronti a partire per destinazioni ogni giorno diverse. È solo a questo punto, quando giochi e riti di classe sono svelati, che fa la sua comparsa Pippetto (certo, un nome meno fittizio non avrebbe guastato…): il nuovo compagno che si muove in sedia a rotelle. Nemmeno il tempo di presentarlo che il protagonista che dà la voce al libro si attiva per far sentire accolto e partecipe il nuovo arrivato, trasformando la sua carrozzina nella più potente delle locomotive.

 

Storia (firmata da Anna Baccellieri) e illustrazioni (curate da Liliana Carone) non stupiscono per originalità o qualità pur avendo il merito di valorizzare esperienza realmente vicine al mondo dei potenziali lettori. La disabilità, che pur è centrale, trova posto in corsa, quasi di sfuggita, attraverso l’atteggiamento positivo e inclusivo del protagonista che porta avanti un implicito invito a riconoscere nella diversità una vera ricchezza.

Bzzzzz

Munita di delizioso abito a pois rosa e di sorriso sincero e amichevole, l’ape protagonista di Bzzzzz parte per un viaggio ronzante tra fiori, funghi, rami, abissi, coperte e nuvole. In visita ad amici animali – dall’elefante al pesce palla, dal gatto alla gallina – l’insetto dai tratti garbati condivide una bevanda calda, sferruzza un calzino, rosicchia un’anguria o consulta una mappa stradale mostrando un’energia davvero invidiabile.

 

Il piccolo lettore segue così il suo volo tratteggiato lasciandosi incuriosire e ispirare non solo dalle forme graziose e baby-friendly e dai colori brillanti ma anche dai buchi di forme diverse che preannunciano o dissimulano i disegni in arrivo.

 

Il libro, firmato nel progetto e nelle illustrazioni da Luisa Rinaldi, fa parte della collana Ullallà di Emme di cui presenta la tipica robustezza e attenzione per contenuti e soggetti apprezzabili dai lettori meno esperti. La totale assenza di parole scritte fa inoltre sì che il volume lasci totale spazio alla fantasia del lettore e di chi lo accompagna nella scoperta di immagini dall’alto potenziale narrativo

Girotondo

Ritrovarsi per un girotondo insieme ad amici diversi: scoiattoli, foche, gufi e topini si danno appuntamento nel libro di Francesco Zito per condividere il più diffuso e amato dei giochi per l’infanzia.

 

A ogni pagina l’incontro con uno o alcuni dei protagonisti del volume, rappresentati nel loro habitat tout court (come le lumachine tra le foglie), nel loro habitat con qualche dettaglio umano (come l’orsetto in gonna e t-shirt in mezzo al bosco) o su un mezzo in tutto e per tutto non naturale (come la giraffa, la scimmia e l’ippopotamo fermi al semaforo sul loro pulmino). Questa mescolanza può confondere il lettore alle prime armi che apprezza tuttavia, con buona probabilità, le illustrazioni coloratissime, non troppo affollate e animate da bestiole disparate.

 

Le pagine, arrotondate, spesse e robuste invitano a una lettura appassionata, fisica e concretamente vissuta come quella che spesso coinvolge i lettori piccolissimi. Ciascuna è arricchita inoltre da una fessura che invita a indovinare e scoprire cosa si nasconde nella pagina seguente.

La chitarra di Django

La chitarra di Jango è un albo illustrato che non parla semplicemente di jazz, lo suona. Con parole e illustrazioni misurate ma colme di ritmo, l’accoppiata Silei e Alfred dà vita a pagine che fanno muovere il capo e tamburellare le dita. Il loro è un racconto al contempo drammatico e incredibile, tutto incentrato sulla storia straordinaria di Jean Reinhardt , per gli amici e il pubblico: Django.

Talento del banjo di origine sinti, nella scintillante Parigi degli anni ruggenti, Django resta ferito a causa di un incendio nella roulotte in cui vive. Una gamba ma soprattutto due dita della mano sinistra compromesse: il peggior destino per chi si guadagna da vivere suonando uno strumento. A meno che questo qualcuno non sia in possesso di una tenacia inconsueta e di un dono fuori dal comune. Guarda un po’, questo è proprio il caso di Django che dopo l’incidente mette a punto una tecnica tutta sua per suonare la chitarra, segnando con forza lo sviluppo della musica jazz. La sua diventa così la storia non solo di un prezioso talento ma anche della capacità di sfruttarlo a dovere, trasformando una situazione di profonda difficoltà in un’occasione per reinventarsi a partire da risorse inattese.

Autore e illustratore raccontano questa rinascita con l’abilità di chi sa cogliere una traccia musicale in un gran trambusto. Di Django, del suo stile inimitabile e della sua vita fenomenale, i due sanno rendere prima di tutto l’irresistibile ritmo manouche, grazie a dialoghi scanditi, suoni e sonorità selezionate, toni e tinte che si accendono all’occorrenza. Offrendo all’albo di Uovonero non solo il titolo ma anche il punto di vista narrativo, La chitarra di Django mostra il protagonista da distanza ravvicinatissima, quasi intima, tanto da far vibrar corde insolite e profonde del lettore. Lo si percepisce soprattutto se ci si concede una lettura ad alta voce che fa davvero prender corpo alla storia. Perché una storia così merita di risuonare non solo nella testa ma anche nelle orecchie.

Chi vuole un abbraccio?

Quando la tenerezza infusa in un libro è gioiosa ma non stucchevole vien naturalmente voglia di sfogliarlo e risfogliarlo, facendosi carezzare da parole e immagini. Ecco, più o meno questo succede a chi si lascia incuriosire da Chi vuole un abbraccio?, albo ad alta leggibilità creato da Przemysław Wechterowicz e Emilia Dziubak.

La storia è semplice: papà orso e figlio orso, tra i più mansueti che si possa immaginare, vanno a zonzo per la foresta alla ricerca di creature da abbracciare. Nessuna restrizione sui destinatari – conigli, donnole, anaconde e persino cacciatori armati di fucile! – e nessun doppio fine – l’abbraccio non è che il segreto per (far) avere un giorno perfetto. Uno dopo l’altro, i due incontrano e stringono affettuosamente chiunque capiti loro a tiro, superando perplessità (per esempio del castoro), diffidenza (per esempio del lupo), difficoltà tecnica (per esempio con il bruco), e fifa blu (per esempio, manco a dirlo, dell’umano), trasformandoli in sentimenti di segno positivo come leggerezza, felicità e commozione. Una stretta e un sorriso trova posto nella giornata: è matematico, succede sempre (o quasi… il cacciatore è ancora troppo tramortito per dire la sua).

Questa genuina carrellata di emozioni è racchiusa in un albo dal formato quadrato poco comune. Le illustrazioni spiritose e curate, amplificano il sottile humour suggerito dal testo e invitano il lettore a fare caso a posizioni e sguardi più che mai espressivi, stuzzicanti e divertenti. Instancabili trasformiste, assumono la forma di vignette, di disegni a tutta pagina, di cornici e di sfondi regalando alle pagine un dinamismo che solletica. Con fare irriverente si intrufolano in mezzo, accanto, sopra e sotto pezzi di testo, li incorniciano, li interrompono, li completano, li arricchiscono andando a nozze con quella varietà grafica fatta di colori, dimensioni, maiuscoli e grassetti. Studiati e ben dosati questi concorrono ad alleggerire la lettura e a far riconoscere le diverse parti del racconto, arricchendo l’alta leggibilità di una tavolozza tipografica davvero interessante e originale.

Bounce bounce

La carta da pacchi ha un fascino tutto particolare. È un piacere da toccare, è un invito a scrivere ed è l’involucro più stuzzicante per un regalo coi fiocchi. Ecco perché, forse, Brian Fitzgerald l’ha scelta come base per il suo originale albo: per farne ai suoi lettori un regalo gradito e tutto da scoprire.

Bounce Bounce, vincitore non a caso del primo Silent Book Contest  indetto nel 2014, si sviluppa su pagine quadrate e naturalmente rigate, dalle quali affiorano, quasi in trasparenza, i singolari personaggi che popolano il libro. Protagonista, in particolare, è un insetto stravagante, un po’ apetta e un po’ astronauta, che svolazzando tra i fiori incappa in un palloncino, lo gonfia e ci finisce dentro, come inghiottito. Inizialmente intimorita, la bestiola impara presto a godersi il viaggio e le meraviglie che da un velivolo così speciale si possono osservare: pesci, mongolfiere, navicelle spaziali e stelle. Fino a quando il palloncino non si stappa, peraltro grazie a quello che si potrebbe considerare il famoso “gancio in mezzo al cielo”! Fine della corsa, avanti il prossimo: il palloncino è pronto a caricare un altro passeggero e un millepiedi freddoloso si fa subito avanti. Il libro si chiude così, con la promessa di un nuovo meraviglioso viaggio e dei mille altri che potrebbero seguirgli.

Capace di accompagnare, con la levità di un palloncino leggerissimo, attraverso mondi lontani – terresti, stratosferici e subacquai –  Bounce bounce unisce un sapore vintage, con i suoi toni bruni e carta da zucchero, a una sfumatura moderna, con la sua scelta di forme surreali e di un racconto silenzioso. La combinazione è davvero piacevole e fa di questo libro un piccolo e prezioso diario di viaggio.

Cappuccetto rosso

La storia di Cappuccetto Rosso la conosciamo tutti. Per questo realizzarne una versione nuova e capace di stupire e appassionare non è cosa da ridere. L’illustratore Juanjo G. Oller ha però colto la sfida con risultati interessanti. Il suo è un Cappuccetto rosso moderno e minimalista, che, con solo effetto delle immagini e senza alcuna parola, riesce a suscitare curiosità e inquietudine.

Il libro è tanto essenziale quanto complesso. Le sue linee, profonde e dense, invitano a uno sguardo attento e poco frettoloso, capace di cogliere il valore dei dettagli che spuntano da sfondi netti e il significato di una cornice che diventa cuore dell’illustrazione.

Il tratto insolito e una tavolozza ristretta usata con sapienza danno a una storia senza tempo una nuova chiave di lettura che può intrigare i piccoli lettori e forse ancor più i grandi che li accompagnano. Non a caso, il volume strizza l’occhio agli adulti non solo con una veste grafica raffinata ma anche con la scelta di far seguire al racconto per immagini la versione originale della fiaba firmata dai fratelli Grimm e un saggio di Gustavo Martin Garzo sui significati che essa può celare.

Tutti i colori

È un libro con i buchi dei più classici, Tutti i colori. È un libro con i buchi ma senza le parole: due validissimi motivi per esplorarlo con curiosità, provando a indovinare cosa si nasconda sotto ogni foro e dando la propria voce ai personaggi che popolano le pagine. Orsi polari, vermi, balene e civette sono solo alcune delle creature che sorridono al lettore, immortalate in situazioni più o meno strambe.

Federico Mariani le racconta con semplicità, in una successione che non presuppone una vera e propria storia. Al di là del foro che unisce a due a due le pagine consecutive, il libro fa infatti del colore l’unico vero elemento di connessione tra le diverse facciate. Il tratto dell’autore è netto così come  le tinte, il che contribuisce a rendere la decodifica delle immagini elementare e soddisfacente anche per i lettori meno esperti.

Roarrr! Ruggiti pericolosi

Questo libro parla di puzza, e già con questo getta liscio liscio un amo per il pubblico più giovane.  Poi sceglie un protagonista grazioso –  un leone dalla chioma imponente e dagli occhi minuscoli –, e così consolida il suo potere attrattivo. Da ultimo, predilige un tratto scarabocchiato irresistibile e dalle tinte tenui, così da completare l’opera.

Voilà, il gioco è fatto: il libro dell’impronunciabile Monika Filipina Trzpil è pronto per conquistare i piccoli lettori. Metteteci poi che Roarrr! è scritto in carattere maiuscolo e ad alta leggibilità e troverete in un albo come tanti un autentico invito alle lettura anche per i bambini che sperimentano le prime difficoltà legate alla dislessia.

Il nuovo albo targato Sinnos racconta del leone Rupert e della sua passione per i ruggiti. Mostra anche però il fuggi-fuggi generale che si genera nella foresta quando l’animale apre bocca. Colpa di un insopportabile problema d’alito facilmente risolvibile dopodiché… roarrr a tutta birra, con somma gioia dell’intero vicinato!

Senza che la storia strabili o sbalordisca, Roarrr! si candida a diventare un albo da leggere e rileggere. Quel che è certo, poi, è che la grafica accattivante e il testo espressivo, ne fanno il libro ideale per rendere il lavaggio serale e/o mattutino dei denti un momento piacevole, inaugurato da una lettura coinvolgente.

Il ciglio del camaleonte

Dove si nasconde l’irresistibile camaleonte uscito dal pennello di Alessandro Sanna? Il suo ciglio birichino ricorda molto l’orecchio dell’elefante, la coda della giraffa e lo spruzzo della balena… che sia proprio lui ad assumere quelle forme in un viaggio attraverso oceani e savane? Al lettore la mimetica decisione…

L’autore si limita infatti a offrire le illustrazioni, senza aggiungere una singola parola. La storia vien dunque fuori da sé, alimentata dall’immaginazione di chi sfoglia le poche pagine del librino cartonato. Fondamentali, per seguire il gioco narrativo, sono il titolo e la copertina del volume dove il ciglio pronunciato del rettile compare in tutta la sua centralità.

Maneggevole e compatto, raffinato e insolito, Il ciglio del camaleonte è adatto a solleticare la fantasia dei più piccoli, facendo delle illustrazioni prive di fronzoli e delle tinte acquerellate il suo vero punto di forza. 

Telefono senza fili

Che sia un libro prezioso e raffinato lo si deduce non solo dal prezzo, ma anche dal grande formato, dal profumo antico e dalla sensazione che danno al tatto le sue pagine lisce. Telefono senza fili si presenta da subito così, nella sua veste nobile e patinata. Ma dietro la benda del pirata in copertina c’è forse un occhio che si strizza, consapevole che sotto la foggia distinta di un libro può celarsi un autentico inno al divertimento.

Tra la prima e l’ultima pagina dell’albo nato dalla mente di Ilan Brenman e della mano di Renato Moriconi, si dipana infatti uno dei giochi più vecchi del mondo: un gioco semplice e universale, per cui non servono altro che parole e silenzi. I silenzi – eloquentissimi però – è il libro a metterle, con la sua scelta di procedere per sole immagini; le parole invece sta al lettore trovarle, ispirato dalla successione di personaggi implicati nella trasmissione del messaggio. Disposti rigorosamente uno per pagina e tratteggiati con un gusto estetico raro, questi sono scelti con cura e minuzia a condensare in poche pagine secoli interi di storia e di storie.

Giullari, re e cavalieri si incontrano con nonnine, rossi cappuccetti e cacciatori, dando vita a un passaparola irresistibile che richiede sottile attenzione per i dettagli. Una lettura distratta scorre via piacevole e affascinata (che già non è poco!) ma una lettura accorta tira fuori davvero il meglio di un albo come questo, rivelando la logica sottesa agli abbinamenti delle doppie pagine, la circolarità del gioco narrato e la tensione infine spezzata con i limiti imposti dalla pagina.

Il bradipo dormiglione

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Al mondo ci sono pigri e pigri. Ci sono i pigri di bassa lega, quelli che scansano fatiche e compiti. E poi ci sono i pigri veri, quelli che fanno del pisolino la loro religione, che conoscono l’autentico valore di una sonora ronfata e che scambierebbero tesori e gemme con una siesta degna di questo nome. Ecco, il bradipo di Ronan Badel è un adorabile esemplare di questa seconda categoria. Non solo come i suoi simili dorme con gusto e fa della pennica la sua attività principale, ma dimostra anche la rara capacità di perpetrare quest’occupazione in condizione davvero avverse.

Non c’è caduta d’albero, viaggio in rimorchio, discesa tra le rapide, cascata impetuosa o naufragio che tenga: il bradipo dormiglione non schioda di un millimetro. Impassibile e saldo, mantiene la posizione come un fedele soldato del sonnellino. E per fortuna che anche nella foresta esistono amici coraggiosi e leali, pronti a fare follie per mettere in salvo un compagno appisolato. È infatti un temerario serpente, caldamente supportato da un ranocchio e da tucano, a lanciarsi in uno spericolato viaggio per riportare a casa il bradipo assopito, quando lo sciagurato albero su cui tutti loro vivono viene abbattuto.

Il tutto, in un albo molto verde, poco impegnativo e per nulla scritto. Il bradipo dormiglione è infatti un silent book, il quarto della collana per ragazzi di Terre di mezzo che con buona mira e ottimo gusto pesca dal ricchissimo catalogo della francese Autrement Jeunesse. Come nell’inseguimento di volpi, polli e bestie varie di Béatrice Rodriguez, anche qui personaggi buffi animano una narrazione per immagini schizzata ma limpida, su pagine più larghe che alte, dai paesaggi sconfinati e dai dettagli salienti: al lettore lo sfizio di scovarli, decifrarli e dar loro voce. L’intera storia prende infatti forma in base alle parole di chi legge fino a quando, giunto all’ultima pagina, questi lascia in punta di piedi la placida foresta. Shhhh, silenzio: c’è qualcuno che vuole dormire!

L’albero

Un obiettivo fisso che punta a un albero dall’aspetto secolare e ai pochi metri che lo circondano. Fine. Non ci sono stravolgimenti, cambi di prospettiva o strampalate invenzioni in questo libro: tutta la magia del racconto è già contenuta infatti nello scorrere ciclico della natura. E come una spettatrice rispettosa, Iela Mari, non fa che prenderne atto e condividere con il lettore la sua scoperta.

Con il suo tratto preciso e misurato, l’autrice mostra perciò a filo di pagina come sopra, sotto e intorno all’albero vadano e vengano inquilini diversi – un ghiro, una coppia di uccelli e la loro prole – che con esso interagiscono secondo i ritmi dettati dalle stagioni. Neve, nebbia e sole si inseguono, i nidi si riempiono e si svuotano, i germogli sbocciano e appassiscono: tutto trova un compimento che è insieme anche occasione per un nuovo inizio

Pacato e privo di parole, il libro costituisce un intramontabile invito a cogliere il meraviglioso custodito ma anche offerto generosamente dalla natura a chi le conceda un occhio curioso e attento.

Noi

Noi è uno di quei libri che si fanno notare poco – sarà per la stazza sottile o per la promozione contenuta – ma che meriterebbero invece massima diffusione. Noi è infatti un piccolo gioiello, confezionato con cura minuziosa e sentimenti autentici, capace di raccontare degli incontri, dei timori, e delle emozioni che spesso restano taciuti per imbarazzo o pudore.

Noi è la storia di un bambino come tanti che la vita scolastica porta a imbattersi in un compagno diverso. Un compagno strano nell’aspetto, con un occhio di dimensioni spropositate, che suscita paura, interrogativi e persino disgusto. È quel compagno che resta sempre solo, poiché il gruppo lo tiene a distanza facendosene beffe e fantasticando sulle cause della sua difformità. Perché, com’è normale, la diversità fa porre domande e serve che queste trovino ascolto e risposte per non sfociare nella diffidenza. Quando questa si insinua sono le occasioni fortuite a permettere talvolta di superare le barriere e i pregiudizi. Così accade al protagonista che, trovatosi solo con il compagno, inizia a scoprire i tesori che, dentro e fuori, questi nasconde.

Commovente nella sua schiettezza, percepibile non solo nelle parole ma anche nelle immagini (cosa tanto più insolita), l’albo è reso palpitante dal testo misurato di Elisa Mazzoli e dalle illustrazioni evocative di Sonia MariaLuce Possentini. Retto da una sapiente struttura in cui si bilanciano il prima e il poi e soprattutto  il lui e il noi, il libro racconta di come l’occasione faccia l’uomo, non sempre ladro, ma anche, talvolta, umano.

Chicolo

In Chicolo si trovano un bimbo speciale, un mago, un incantesimo potente e un paese insieme distante e vicino: tutti ingredienti essenziali per dare alla storia un sapore fiabesco e alleggerire il suo intento  di portare un messaggio ben preciso.

Nell’albo di Coccole books, si racconta di un bambino fantastico con le labbra a quadrifoglio ma si legge di bambini reali con un problema complesso come la labiopalatoschisi, più comunemente nota come labbro leporino. Il libro nasce proprio dall’esperienza di una mamma di un bimbo colpito da questa malformazione e vuole essere un contributo appassionato per diffonderne la conoscenza, così da arginare i timori che essa genera e da dare sostegno a chi la sperimenta sulla propria pelle.

A questo concorrono senz’altro le pacate illustrazioni pastello di Sonia Cattaneo che, come una carezza, invitano a scoprire senza paura i molti volti della differenza.

Flora e il fenicottero

Attenzione attenzione, non fatevi ingannare dal rosa imperante di Flora e il fenicottero. Sotto le diffuse tonalità pastello – dalla copertina alle decorazioni, dai protagonisti agli elementi di sfondo –  questo silent book racchiude ben altro che un racconto stucchevole tutto confetti e sdolcinerie da smorfiosette. Ad apprezzarlo non saranno perciò solo le piccole amanti della danza e della femminilità a tutti i costi ma anche e soprattutto coloro che vogliano tuffarsi (metaforicamente e letteralmente) in una storia buffa e ironica di amicizia.

Lo si intuisce fin dalla prima pagina in cui, alla postura elegante e seriosa del fenicottero si unisce e contrappone il passo goffo di un piedino munito di pinna. Fa così la sua comparsa Flora, una bambina ostinata e spiritosa, che trasformerà le pagine seguenti in un passo a due insolito con il pennuto. Dalle prime velate schermaglie sino all’eclatante finale, i due si esibiscono in una danza in cui gli sguardi, i movimenti e i reciproci avvicinamenti creano una coreografia e un legame divertenti e teneri.

Molly Idle dà insomma vita in quest’albo a due personaggi deliziosi che tirano fuori il meglio di sé nel reciproco rapporto di contrasto e condivisione, invitando a scoprire ciò che, con spirito aperto, dagli altri possiamo apprendere e agli altri possiamo insegnare.

Guarda guarda

Guarda guarda è una storia di sguardi e di silenzi. Una storia in cui l’incomunicabilità di chi parla lingue diverse si stempera nel comune senso di meraviglia per qualcosa di straordinario come un cielo che si anima di colori e immagini. Protagonisti di questa storia sono una giraffa e un ghepardo che si incontrano nella savana e che, dopo un primo avvicinamento furtivo e diffidente, scoprono di poter condividere un pezzo di strada, un’emozione e un’amicizia senza dover per forza usare le parole.

Lucidando le stelle e godendo insieme del loro spettacolo, i due animali raccontano della possibilità di capirsi con gli occhi e lo fanno, non a caso, all’interno di un libro di sole immagini. La storia (non proprio immediata) procede infatti attraverso illustrazioni evocative che toccano corde profonde e lasciano ampissimi margini all’immaginazione del lettore.

Guarda guarda nasce da un progetto condiviso tra associazioni che promuovono il riconoscimento e il diritto all’uso della lingua dei Segni (come il gruppo SILIS o la cooperativa il Treno), un istituto tecnologico che studia l’acquisizione del linguaggio (come il CNR di Roma) e una casa editrice impegnata nel sociale come Carthusia. Il libro è cioè a sua volta un incontro tra realtà che parlano lingue diverse ma che, forti di un comune intento, possono dar vita a un risultato sorprendente.

Quindi ci penserà il polipo

Quindi ci penserà il polipo è un libro tattile tenero e semplice. Racconta di due pesci dalle code aggrovigliate che vengono liberati da un polipo astuto grazie a una soluzione originale e ingegnosa. Attraverso pagine colorate ricche di spugne in forma di alga, tessuti glitterati in forma di pesce e carta vetro in forma di spiaggia, i giovani lettori hanno la possibilità di farsi coinvolgere da una piacevole storia di amicizia, esplorabile sia con lo sguardo sia con le dita.

Nonostante l’aspetto artigianale e la precarietà di alcuni elementi attaccati alla pagina, la qualità della ricerca profusa in questo volume è davvero rimarcabile. La scelta dei materiali è in effetti azzeccata ed evocativa e l’attenzione riservata all’esplorabilità  e all’impiego interattivo dei soggetti è stimolante e ben calibrata.

Se poi si aggiunge che il racconto è nato da un percorso di scrittura che ha visto protagonisti numerosi bambini e che la sua realizzazione ha coinvolto diversi soggetti in difficoltà, non si può che considerare questo prodotto davvero prezioso, sperando che possa trovare un’ampia e meritata diffusione.

Tortinfuga. Ma le torte dove vanno?

Lo aspettavamo da mesi e ora, finalmente, la seconda rapina di torte firmata da Thé Tjong-Khing è bell’e sfornata, pronta da gustare! Torna all’attacco la truppa di fortissimi personaggi già noti ai lettori di Tortintavola, questa volta tutti intenti ad affrontare una scarpinata per godersi un ghiotto pic-nic.

Ciascuno col proprio carico (dai ferri da maglia all’ombrellone) e con il proprio mezzo (dalla sedia a rotelle ai trampoli), gatti, conigli, lucertole e bestiole di ogni sorta si avviano su per la collina. Quando, a fatica ultimata, si accorgono che le torte sono scomparse, si scatena un autentico parapiglia. Facile incolpare i topolini in tuta da Diabolik, già macchiatisi del reato la prima volta. Ma a voler andare a fondo della faccenda si scopre che i pregiudizi possono giocare brutti scherzi e che qualche insospettabile può rivelarsi meno innocuo del previsto.

Anche a questo giro l’autore non perde l’occasione di intrecciare tra loro piccole e sfiziose trame individuali e proprio qui, forse, sta il bello di un libro senza parole come questo. Senza una direzione unica di lettura, ci si può infatti sbizzarrire a (ri)percorrere il volume a piacimento, svelando d’un fiato il mistero del furto o scorrazzando, piuttosto, tra le pagine, dietro le angherie di un coniglietto-bullo, le sventure di un’elegantissima barboncina o le indigestioni dei un ingordo topino a righe.

Una pesca straordinaria

Ci sono personaggi che rallegrano la giornata e allargano il sorriso. È il caso di Volpe e Gallina (ndr. i nomi sono di fantasia!), già protagonisti de Il Ladro di polli e ora nuovamente a caccia di avventure in Una pesca straordinaria. Dopo essersi sistemati in un albero-casa in riva al mare, a seguito di un fuga amorosa come non se ne gustano spesso, l’insolita coppia creata da Béatrice Rodriguez se la vede, in questo nuovo episodio, con un uovo da accudire e con un frigo da riempire.

Constatata la desolante situazione alimentare di casa, la gallina affida senza indugi la futura prole alla volpe e si lancia a procacciare la cena. La sua sarà una pesca tutt’altro che tranquilla: straordinaria, come recita il titolo, ma anche spassosa e travolgente. Un attimo e il ghiotto pesce palla da lei catturato tira, infatti, in ballo un uccellaccio spaventoso, una nidiata famelica e un mostro marino in un turbine  di corse e rincorse davvero irresistibili. Gli sforzi, però, vengono giustamente ripagati e a fine giornata la famigliola – ormai cresciuta – può godersi una cena davvero speciale.

Senza deludere le aspettative di chi si è innamorato della prima avventura vol-pennuta, l’autrice torna a divertire con un albo senza parole che strizza continuamente l’occhio al lettore. E che questi voglia o meno leggere tra le righe un ribaltamento sottile e silenzioso dei ruoli e degli stereotipi di genere (peraltro, in francese, la volpe è proprio maschile – le renard – mentre la gallina è proprio femminile – la poule), si troverà comunque tra le mani un racconto capace di stupire e mostrare con ironia il reale potere narrativo delle immagini. Azioni e sentimenti si dipanano, infatti, qui con grande limpidezza, grazie a un tratto essenziale che attribuisce significati netti a impercettibili variazioni di linee. A sostenerlo, un ritmo e una ripresa squisitamente cinematografici che grazie a sequenze ravvicinate e piani lunghi ben alternati restituiscono a ogni momento un’intensità mai noiosa.

Indovina chi ha ritrovato Orsetto

Indovina chi ha ritrovato Orsetto è un elogio silenzioso ai dettagli apparentemente senza valore. Come le tracce nella neve che, a prima vista insignificanti, possono in realtà svelare a chi le osservi con cura molte cose a proposito di chi le ha lasciate. Le tracce del libri di Gerda Muller raccontano per esempio di una passeggiata di tre persone nel bosco, di piccole deviazioni per raccogliere frutti, di girotondi intorno agli alberi, di soste per riposarsi e di sofisticate operazioni per costruire capanne. Ma lo fanno senza dire una parola così che il lettore possa divertirsi a seguire le orme e a indovinare le storie che esse celano e rivelano allo stesso tempo.

Così, raccogliendo gli indizi che l’autrice non manca di disseminare lungo le pagine, ci si ritrova a seguire una mamma premurosa e due bambini curiosi in gita sulla neve, riconoscendone via via l’andatura, gli interessi e i percorsi. Ma non è tutto. Come volendo strizzare l’occhio al lettore fino alla fine, l’autrice attribuisce particolare valore a quelle parti del volume normalmente bistrattate, come la terza e la quarta di copertina. È proprio qui, infatti, che si concentra il maggior numero di soffiate sul senso della storia, come la possibilità di conoscere i personaggi e di scoprire (o verificare se si è già stati molto bravi) le loro azioni.

Lo straordinario signor Qwerty

Il signor Qwerty ha la casa piena zeppa di invenzioni e la testa piena zeppa di idee. Queste ultime le tiene però nascoste sotto il cappello, per paura che gli altri possano vederle e giudicarlo male, ritenendole strambe. Cosa potrebbero pensare, infatti, di fronte ai progetti di marchingegni elaborati, fatti di cucchiai ad elica, lampadine ad artiglio e ingranaggi a pressione? Quello che il signor Qwerty non immagina neppure è che anche sotto i copricapi lucchettati delle altre persone si celino pensieri variegati: pensieri matematici, lungimiranti, giocosi o scientifici, visibili in trasparenza al solo lettore. Quel che è certo è che pensieri così costretti, senza possibilità alcuna di prender aria e librarsi, sono condannati a stagnare in solitudine. A meno che, come capita proprio al signor Qwerty, le idee non finiscano per esplodere e scappare. E quando un’idea scappa, può generarsi un’autentica baraonda: i serratissimi cappelli dei passanti iniziano, infatti, a scricchiolare e a cedere a loro volta, perché il pensiero genera pensiero e le idee che si incontrano non possono che dare frutto. Così, come il La di uno strepitoso concerto, l’incidente del signor Qwerty dà vita ad un’invenzione  che esaudisce desideri, asseconda passioni e stimola progetti nuovi, invitando a schiudere i cappelli e a condividerne il contenuto.

Un’invenzione straordinaria, insomma, come il suo creatore ma anche come l’albo firmato da Karla Strambini che ne racconta la storia. Incredibilmente ricco, stratificato, aperto a molteplici interpretazioni, questi fa di ogni rilettura una possibilità di scoperta. Si riconosce, in particolare, una rara alchimia tra le parole e le immagini, poiché nelle seconde si nasconde un mondo che le prime accennano ma non svelano. Il lettore si trova così a cercare e ricercare i dettagli più nascosti e stuzzicanti per interpretare meccanismi, invenzioni e pensieri del protagonista. Prendendosi il tempo di cogliere tutti gli ingranaggi, si arriva perciò ad apprezzare a pieno l’idea che la diversità possa generare possibilità di condivisione e felicità. Così, attraverso immagini portatrici di senso, personaggi sui generis, e pensieri che prendono forme inusitate, l’autrice sembra voler fare un omaggio tutto personale a Temple Grandin, suggerendoci a suo modo che “il mondo ha – davvero – bisogno di tutti i modi di pensare”.

Un pianeta che cambia

Un buco con una storia intorno: parafrasando una nota pubblicità di mentine, questo potrebbe essere lo slogan del bon bon editoriale firmato da Jimi Lee. Un pianeta che cambia è infatti un libro sui generis, tutto costruito sul contorno di un buco che più centrale non si può e che rappresenta il nostro bistrattato pianeta.

Intorno ad esso, a partire da un germoglio, si sviluppa dapprima la vita, sopraggiunge poi la distruzione in forma di fumi e grattacieli, e ristabilisce infine un equilibrio una crescita armoniosa tra natura e progresso. In questo modo, riprendendo la linea curva del pianeta, il cerchio si chiude. E la storia, mostrandoci gli effetti nefasti di una cementificazione selvaggia, ci invita a non riaprirlo mai più, perché non è detto che la natura strapazzata ci conceda nuovamente un’occasione di riscatto.

Senza bisogno di ricorrere all’uso di parole, Un pianeta che cambia fa della sobrietà la sua forza, risultando maneggevole e accattivante per i lettori più piccoli ma al contempo raffinato e suggestivo per i lettori un po’ più cresciuti.  Nel libro di Jimi Lee, poi, la forma è già contenuto e partecipa del significato trasmesso. Innovativa e insolita, essa stimola la curiosità del lettore invitandolo a esplorare in libro da ogni lato e a rimettere – simbolicamente e fisicamente –  al centro delle sue priorità il pianeta che ci ospita.  Il rispetto della nostra casa naturale appare qui fondamentale, per scongiurare l’eventualità che essa si ribelli e ci costringa, nella migliore delle ipotesi, a ricominciare tutto daccapo.

C’era una volta un topo chiuso in un libro…

Come le persone, ci sono libri capaci di mantenere uno spirito fresco e spensierato anche superata la soglia dei trent’anni. È il caso di C’era una volta un topo chiuso in un libro di Monique Felix: un libricino senza parole dal sapore un po’ vintage ma estremamente stuzzicante, concepito e pubblicato per la prima volta in Francia negli anni ’80 e riproposto 2009 in Italia dalle Edizioni EL nel. Un’intuizione non da poco quella della casa editrice triestina, dal momento che da lì a un anno il volume avrebbe vinto l’Andersen come miglior libro mai premiato.

Il formato del volume– piccolo e quadrato – non è consueto e genera un primo silenzioso invito a dare una sbirciatina tra le pagine. Il titolo poi, così sospeso e curioso, porta il lettore con un piede dentro il volume prima ancora di averne girata la copertina. Da lì, seguire le avventure del topino protagonista è un minuscolo e gustoso piacere: ci si ritrova infatti a essere impazienti – quanto e più di lui – di scoprire il mondo che brulica sotto la pagina bianca e che affiora via via che la bestiola rosicchia la carta.

Tutto basato su questa paziente e progressiva rivelazione illustrata, il libro propone un gioco delicato e moderno con i limiti imposti dalla pagina, in un crescendo ben calibrato di curiosità. Se ne esce deliziati e persuasi dall’idea che tra le tante cose che può essere un libro, non c’è una prigione da cui scappare ma un mondo nuovo, talvolta migliore di quello in cui ci si trova, nel quale tuffarsi a capofitto.

Vicino Lontano

Forma quadrata, colori brillanti, sagome elementari, personaggi buffi: la cifra dei libri Minibombo è così netta che si riconosce da lontano e così stuzzicante che invita a dare una sbirciata da vicino. Voilà! Vicino lontano è non a caso il titolo del nuovo volume senza parole marchiato dall’insettino emiliano e pronto a far ronzare le menti più curiose.

Tutto giocato sulla ricomposizione di un’immagine a partire da inquadrature via via più ampie, il libro invita a scoprire sette animali misteriosi di cui vengono forniti indizi prima birichini e poi chiarificanti. Quelle che sembrerebbero le mammelle di una mucca fucsia si rivelano così, inaspettatamente, le zampette corte di un coniglio stralunato e l’apparente  proboscide tozza di un elefante risulta infine la coda di un uccellino.

Privo di una vera e propria storia ma forte di un meccanismo ludico tanto semplice quanto inesauribile, Vicino lontano mescola in maniera arguta i tratti più tradizionali di un libro e quelli più moderni di una app, trasformando ogni giro di pagina in una sorta di zoom che rivela dettagli inattesi. Come al solito, poi, il divertimento non si chiude con la quarta di copertina ma prosegue a volontà, grazie agli spunti ispirati al libro che il sito di Minibombo propone. Un modo intelligente e piacevole di diventare autori, illustratori e protagonisti, dando la propria personalissima interpretazione di dettagli dal senso enigmatico.

Le parole di Bianca sono farfalle

Le parole di Bianca sono farfalle è un Albo Illustrato con la A e la I maiuscole. Evocativo, profondo, colmo di suggestioni che riecheggiano dentro il lettore senza gridare forte, il libro edito dalla Giralangolo è grande nel formato e nella portata: “un libro pieno di riverberi”, insomma, volendo rubare le parole  allo scrittore David Almond.

Al suo interno, tra collage a tinte pastello e racconti che paiono avere le ali, le autrici raccontano il mondo di Bianca e la sua maniera tutta particolare di sentire con la pelle, di parlare con le mani, di vedere aspetti impercettibili e di fare cose fantastiche in buona compagnia.  Il libro prova, cioè, a mostrare più che a spiegare che possono esserci tanti modi di vivere, interpretare e comunicare con il mondo, anche quando la natura non concede la possibilità di farlo convenzionalmente. La sordità di Bianca diventa così un’occasione anche per il lettore di dare una veste nuova ai propri e agli altrui sensi.

Bravissima, in questo, Chiara Lorenzoni, ricercatrice minuziosa di parole, che racconta il quotidiano con una musicalità che culla e ristora. E meravigliosa Sophie Fatus, illustratrice della positività, che porta suggestione e trasporto gioioso nelle sue forme spensierate e impalpabili. L’unione dell’opera delle due artiste è un inno alla leggerezza del pensiero e dell’azione, un invito ad ascoltare e narrare il mondo facendo ricorso a tutte le nostre possibilità.

Ti racconto… 5 storie con i segni

Cinque storie da raccontare con le parole e con le mani, da leggere e da guardare, da scoprire per imparare e per condividere. Il progetto editoriale proposto dalla Cooperativa romana Le Farfalle narra infatti in Lingua Italiana dei Segni cinque famosi albi illustrati editi da Lapis e Babalibri: un modo straordinariamente semplice ed efficace per far sì che il patrimonio fantastico dei bambini possa superare le barriere linguistiche.

Grazie al DVD in cui un segnastorie racconta in LIS, anche i bambini sordi hanno modo di far propri i personaggi di Zou la zebra e di Marco l’orsetto o di seguire con passione le piccole scoperte di uova di tartaruga o di piccoli pettirossi. Per ogni storia, le pagine dell’albo originale scorrono sullo sfondo e il lettore può scegliere il livello di difficoltà dei sottotitoli, accordandolo alla sua competenza linguistica e alle sue specifiche esigenze.

In questo modo il testo scritto cessa di costituire un ostacolo per divenire piuttosto un elemento da scoprire progressivamente, che si arricchisce via via arricchendo di riflesso il bagaglio del lettore. Non a caso gli stessi curatori del DVD invitano caldamente all’utilizzo del supporto multimediale insieme al volume vero e proprio, per far sì che l’esperienza della lettura si arricchisca di strumenti di comprensione indispensabili, come la traduzione in LIS, ma non perda il fascino del rapporto tra parole e immagini e soprattutto la possibilità di essere condivisa con familiari e compagni.

Ecco, in estrema sintesi, il contenuto delle storie incluse nel dvd:

Ho trovato un pettirosso narra dell’amicizia tenera e bislacca tra un bambino e un pettirosso, nata in una fredda e nevosa sera d’inverno. Privo di parole, l’albo racconta attraverso le sole immagini il ritrovamento dell’uccellino e le cure che il bambino gli riserva.

Che meraviglia è la storia di una piccola grande scoperta fatta in spiaggia da una bambina curiosa: il ritrovamento fortuito di uova di tartaruga. Il volume, che è totalmente privo di testo, è recensito nel catalogo a questo link.

No, no e poi no parla di capricci e di emozioni attraverso il personaggio di Marco, un orso che dice no a tutto – maestra, giochi e caramelle – fino a che un gesto speciale non gli fa cambiare dolcemente idea.

Zou racconta dell’esuberante e omonima zebra, desiderosa di svegliare i genitori per affrontare insieme a loro una giocosa giornata. Ma cosa accade se i genitori sonnecchiano ancora? E se i tentativi di destarli rischiano di diventare pasticci?

Ti ho visto è la storia buffa di una torta da consegnare e dei piccoli incidenti di percorso che costringono Paolino a mangiarla prima di arrivare dalla nonna.

Ghiribizzi

Ghiribizzi è un inno all’invenzione più sfrenata. Traduzione del polacco Rozmanitosti, il titolo è un primo onomatopeico assaggio del viaggio fantastico che il libro propone al suo lettore. Attraverso nove quadri dalle forme, dai colori e dai materiali più disparati, questi accede infatti, a un percorso tattile che può plasmare a suo piacimento dando alle sagome che incontra ad ogni pagina il significato che ritiene più appropriato.

La varietà mirabolante di textures, ritagliate e assemblate in figure astratte e mai ripetitive, non è infatti accompagnata da alcuna parola che rischierebbe di vincolarne l’esplorazione e l’interpretazione. Non c’è insomma un senso giusto o sbagliato qui: ogni strada è buona perché è il lettore in  tutto e per tutto a tracciarla.  L’artista, dal canto suo si limita  – se così si può dire – a proporre stimoli straordinari che generano sensazioni che si trasformano in immagini che a loro volta animano storie sempre nuove e soprattutto personali.

Con questo volume, già vincitore nel 2006 del prestigioso premio internazionale di editoria tattile Typhlo & Tactus, la cura, la perizia e la visionarietà dei prodotti proposti dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi in collaborazione  con Les Doigts Qui Rêvent raggiungono esiti davvero superlativi. E come se non bastasse, la scelta insolita di affidarsi al solo potere evocativo delle immagini tattili rende il volume appetibile anche a chi rischia di inciampare nel testo scritto, per esempio in caso di disabilità uditiva o DSA.

Bonjour Monsieur Hulot

Bonjour monsieur Hulot è un omaggio spassionato al mondo bizzarro creato dal regista francese Jacques Tati. Hulot è infatti, in origine, un personaggio cinematografico anni cinquanta che a bordo della sua scoppiettante autovettura raggiunge un’affollata località balneare e travolge i villeggianti con le sue movenze, il suo umorismo e il suo carico di poetica e buffa attitudine a portare scompiglio.

Nell’albo che l’editore Excelsion 1881 ha scelto di dedicargli si ritrova proprio la leggera ed insolita predisposizione del personaggio a stupire, divertire, commuovere o fare tutte e tre queste cose insieme. Così, quando Hulot fa uscire bolle di sapone dalla sua pipa, quando trasforma una passeggiata nella neve in una rievocazione armstronghiana  o quando risolve i problemi idraulici di casa allagando l’intero quartiere, lascia stampato in viso al lettore un sorriso leggero che si rinnova di pagina in pagina.

Ogni scena, che richiama per concisione e ritmo proprio le gag del film, si sviluppa su due pagine: l’una a fronte e l’altra a retro. In questo modo, il senso dei diversi nonsense arriva solo a pagina svoltata, così che non si rischi di sbirciarlo, guastandosi irrimediabilmente la sorpresa. Ogni brevissimo capitolo diventa un piccolo delizioso enigma in cui scovare la logica sui generis del protagonista, senza che alcuna parola si renda davvero necessaria.

Migrando

Migrando è un dei libri senza parole più complessi ed evocativi finora pubblicati in Italia. Proposto non a caso da una casa editrice raffinata come Orecchio Acerbo, il volume richiama l’attenzione di un pubblico che ha già una buona dimestichezza con le decodifica delle immagini e che sa apprezzare la suggestione più sfuggente in luogo della rappresentazione più netta. Il libro creato da Mariana Chiesa Mateos è insomma, in tutto e per tutto un libro controcorrente: perché sperimenta con forza e successo la forma dell’albo illustrato per un pubblico di lettori esperti, perché accetta la sfida di trattare un tema di scottante attualità e infine perché segue le direzioni dei movimenti migratori, nel loro andar contro certezze, affetti e radici.

A sottolineare questo aspetto, il fatto che il libro non abbia un verso privilegiato ma si legga in parte in un senso e in parte capovolto, come a tradurre in un espediente grafico e narrativo l’idea che ruoli e traiettorie di migrazione non siano mai fissi. Così, chi sessant’anni fa partiva ora accoglie e chi ora parte forse domani accoglierà. E se da un lato dell’albo troviamo figure che riportano alla mente la Lampedusa più drammatica degli ultimi mesi, dall’altro riconosciamo nonni e bisnonni del secolo scorso con le valigie colme di speranza. A far da cornice comune c’è una natura dal forte valore simbolico: l’acqua che, a seconda dei punti di vista,  separa e unisce paesi, ma anche gli alberi e gli uccelli, gli uni dalle radici profonde e gli altri dalla vita volubile.

Il libro si presta ad una lettura molteplice, che sveli di volta in volta dettagli e possibilità interpretative nuove. L’assenza di parole e la scelta di fili narrativi e scenari labili lasciano infatti ampi margini al contributo di ciascun lettore, stimolando emozioni prima che riflessioni.

Il palloncino rosso

A quasi cinquant’anni dalla prima pubblicazione in Francia, e a quasi dieci dalla ripubblicazione italiana a cura di Babalibri, Il palloncino rosso continua a essere non solo l’albo più straordinario firmato da Iela Mari ma anche uno di quei rari libri che non smetteresti mai di ricominciare da capo.

Perché porta con sé un invito velato ma contagioso a inventare e reinventare il mondo, facendo di un palloncino una mela, di una mela una farfalla, di una farfalla un fiore e di un fiore un ombrello, in una girandola creativa che potrebbe continuare all’infinito. E il bello, forse, è proprio quello: che al lettore si offre tutto ciò che occorre – una bella miscela di meraviglia e semplicità inventiva – per far sì che diventi a sua volta ideatore di insolite metamorfosi.

Ecco perché sfogliare questo libro senza parole, così discreto nella sua sobria veste editoriale sia esterna che interna, costituisce un’esperienza preziosa, in cui la fantasia trova casa nelle più ordinarie delle cose.

Il mio leone

Può essere un leone dolce e feroce allo stesso tempo? Senz’altro sì, almeno quanto una storia può essere insieme reale e fantastica, se ad animarla è la mano seducente di Mandana Sadat.

L’autrice e illustratrice de Il mio leone infonde nel gustoso albo senza parole edito da Terre di Mezzo un buon sapore d’Africa, di leggende senza tempo, di pregiudizi stolidi, di lotte e affetti smisurati. Quella che racconta è la storia di un bambino che, ritrovatosi solo in mezzo al deserto, incappa in un leone in prima battuta selvaggissimo ma poi tenero fino alla commozione e capace di incarnare la migliore delle figure genitoriali: quella che ti nutre nello stomaco e nello spirito, che presta attenzione ai sentimenti e alle loro manifestazioni più minute, che condivide momenti di serena intimità, che accompagna alla scoperta della vita e che non esita a proteggere strenuamente dalle minacce. Bambino e leone coltivano così un affetto profondo che adulti guerrieri, nel loro miope istinto difensivo, costringono a relegare nella dimensione intangibile del sogno. Qui, avvolti dal favore del buio, i due protagonisti ritrovano e rinnovano la loro familiarità che si nutre di ricordi condivisi.

Animato da campi larghi che distendono lo sguardo, da colori caldi che avvolgono la lettura e da un racconto variegato che combina doppie pagine quasi immobili ad altre dal ritmo cinematografico, la storia de Il mio leone occupa un albo piccino picciò, che sta in uno zainetto, in un cruscotto o persino in una tasca. Un’ottima soluzione per avere sempre appresso una porta immaginaria da aprire a volontà.

La mela e la farfalla

Un piccolo mistero della natura scoperto e narrato in una veste che più essenziale non si può. Le linee sottilissime e i colori intensi che contraddistinguono lo stile di Iela (ed Enzo) Mari raccontano l’incontro ciclico tra frutti e animali in un susseguirsi di pagine pulite che paiono un documentario minimalista su carta.

Sono pagine prive di fronzoli e parole, quelle de La mela e la farfalla: l’album procede, infatti, per sole immagini senza dettagli eccessivi e fuori posto, seguendo in silenzio la trama di una minuscola meraviglia naturale.

Qui tutto concorre da formulare senso – i colori, i particolari, le somiglianza e le differenze tra una pagina e la successiva – e il gioco di inquadrature sancisce il potente sodalizio tra curiosità scientifica e genio creativo, che è poi forse la cifra di quegli albi senza parole di cui i coniugi Mari sono intramontabili testimoni.

Oh oh

Pagine spesse e illustrazioni leggere: ottima combinazione per rendere un libro accogliente e confortevole, come si addice a un buon rifugio per la fantasia. Così Oh oh, l’albo firmato da Sophie Fatus e già vincitore del premio Andersen 2011 come miglior libro 0-6 anni, incanta per la qualità narrativa delle immagini e convince per la robusta maneggevolezza del supporto. Anche in caso di difficoltà di manipolazione, quindi, la scoperta delle illustrazioni da sogno, delle tinte ammalianti e dei fori misteriosi proposti dall’autrice sarà più pratica e piacevole.

Quello che il volume propone, infatti, ai suoi lettori è un viaggio alla scoperta di personaggi buffi, raffinati, divertenti o graziosi attraverso buchini dalle forme disparate che velano e svelano il contenuto delle pagine successive, che assumono via via significati differenti e che soprattutto invitano a esplorare ogni scena sbirciando non solo con gli occhi ma anche con le dita.

Non c’è una vera e propria storia – o almeno così pare – ad animare il volume pubblicato dalla Emme, ma una carrellata di personaggi, ciascuno protagonista di un quadro dalle tinte pastello ben calcate. Tante piccole storie possono nascere, accendersi ed esaurirsi nel raggio di una doppia pagina, se il lettore curioso ne assembla e interpreta i dettagli. Così, la farfalla colorata che annusa il fiore dai petali a cuore è forse innamorata e la mucca dalle macchie in forma di nuvola è forse un bovino volante. Chi può dirlo?  Sta al lettore e a chi lo accompagna dare un senso ad ogni particolare e sfumatura, scovando attraverso fessure fantastiche spiragli di narrazione del tutto personali.

Si vede non si vede

Ad ogni pagina sfogliata del nuovo libro di Minibombo pare di spegnere e riaccendere la luce, ritrovandosi di fronte uno scenario sempre nuovo: una volta un prato, un’altra il cielo, un’altra ancora una strada o un campo di fragole. Non solo, in ogni nuovo contesto si ritrovano anche il coccodrillo, la gallina con prole, l’ippopotamo, il topino e le altre bestiole protagoniste del volume: sempre nella stessa posizione, con le  forme accennate e gli occhi strabuzzati.

Restano immobili questi personaggi, come allo scoccare del tic-tac dell’orologio di Milano, e danno luogo a scene bizzarre in cui l’elefante fa bolle sott’acqua o l’orso attraversa la strada a due corsie. Ma quel che è più buffo, in questo libro senza parole, è che i colori netti e vivaci che caratterizzano non solo lo sfondo ma anche gli animali, li rendono a turno invisibili se non per qualche dettaglio, come una zanna, un becco o due narici sparpagliate qua e là. Lo sa bene il camaleonte che – sfortuna sua e spasso nostro – non compare che in prima pagina e sbuca in seguito solo con gli occhi.

Così, attraverso pagine che non raccontano una storia complessa ma che suggeriscono possibili viaggi immaginari, Si vede non si vede stimola un’interazione giocosa con l’oggetto-libro. La stabilità, poi, delle figure, delle loro posizioni e dei loro colori rende la fruizione del volume piuttosto agevole e rassicurante.

Il mare

Ne Il mare di Marianne Dubuc ci sono un gatto bianco e nero, dagli occhi tondi e dal naso a carota, e un pesce rosso brillante, dalle pinne pazzerelle che si trasformano in ali. Per diverse pagine i due si scrutano con sospetto da un lato all’altro della boccia di vetro, solido e invisibile confine di avventure illimitate, fino a quando la zampa del gatto si infila furtiva e vorticosa nell’acqua, dando una svolta alla giornata di entrambe le creature.

Quello che inizia a questo punto è infatti un viaggio magico, che attraversa tetti, cieli, boschi, grotte, montagne e persino crateri lunari. Il gatto segue il pesce – che poi, straordinariamente, è un po’ pesce ma anche un po’ uccello – con la curiosità e la flemma che si addicono più a un  affascinato viaggiatore che a un temibile cacciatore. Così, quando la sua preda si tuffa infine nel mare, non gli resta che restare ad ammirare incantato quell’ultimo panorama che gli si staglia in fronte.

Anche il lettore, dal canto suo, rimane ammaliato da un libro che si presenta davvero come un silent book, non solo perché fa a meno delle parole ma anche perché il tratto placido dell’autrice sa ricreare una quiete del tutto adatta a un vero viaggio di scoperta. Tutto giocato sui contrasti di trame, colori, inquadrature e distanze, il volume approfitta delle sue numerosissime pagine per seguire passo passo, e dunque in maniera molto chiara ed evidente, un volo dell’immaginazione insolito e fantastico.

 

 

Il ladro di polli

Il ladro di polli è una coccola a colori che fa bene all’immaginazione e all’umore: una storia senza parole che stuzzica e cattura, invitando il lettore a una corsa sfrenata sulle tracce di coniglio, galletto e orso, a loro volta sulle tracce di volpe e gallina. Voilà, i protagonisti irresistibili dello squisito libro di Béatrice Rodriguez sono tutti qui: i primi inseguono i secondi a causa di un apparente rapimento della pennuta.

Ma le cose stanno davvero come sembra? Attraverso montagne, tunnel, mari e boschi si scopre che il rapimento ha in realtà le fattezze di una fuga d’amore e che lo stereotipo per cui creature diverse non possono volersi bene si dissolve alla velocità di un bacio.

Il libro, nutrito di avventure a perdifiato e animato da un tratto spiritoso, si presta a una piacevole lettura con replica soprattutto perché ogni volta che si ricomincia si rivelano dettagli curiosi sfuggiti in precedenza. Diventa così un piacere scoprire mano a mano la gelosia del galletto, la leadership del coniglio o i diversi stati d’animo della gallina e farsi da essi guidare nell’interpretazione di una storia tanto semplice quanto avvincente.

Il libro bianco

Che da padrone la facciano le illustrazioni, in questo silent book delizioso, lo si può intuire persino a libro chiuso: il titolo, infatti, assume piena forma solo quando il rullo da pittura del protagonista ha tinteggiato l’intera superficie della copertina, retro compreso. Con la rapidità e la malizia di una strizzata d’occhio, l’involucro anticipa così al lettore furbetto il principio essenziale che ne anima il contenuto.

Ogni pagina è un muro bianco sul quale un bambino dal buffo taglio a scodella stende uno strato di colore da cui emergono, per magia, creature di ogni sorta. Come dipinte a inchiostro simpatico sulle pareti, esse fanno prima capolino e si manifestano poi nella loro interezza, solo quando i colori della fantasia prendono il sopravvento. Con tutte le controindicazioni del caso, però! Perché si sa: gli uccelli spiccano rapidi il volo, i pesci possono guizzar via, gli animali esotici sono imprevedibili per non parlare dei dinosauri… per fortuna, tra le tante, c’è una bestiola che non fugge e non ringhia, ma riempie anzi di feste il protagonista, accendendo il più grande dei sorrisi sotto la sua frangetta impertinente.

Schietto e spensierato, Il libro bianco è un libro dai contenuti freschi e dallo stile davvero irresistibile. È proposto da Minibombo, una casa editrice arguta e stuzzicante, decisa a solleticare i piccoli lettori  (ma anche i grandi dal sorriso allenato), grazie a libri curati e curiosi la cui risonanza fantastica si allarga nelle applicazioni online e nelle attività creative di cui ciascuno è corredato. Un invito genuino a fare della lettura una piccola miccia per esplosioni di fantasia portentose.

Lola e io

Lola e io è un albo illustrato intenso e coinvolgente, un lavoro raffinato e capace di parlare a un pubblico ampio che non esclude i ragazzi più grandi.

Perché qui le immagini sofisticate e di ampio respiro e il testo misurato e aperto ai sensi dialogano davvero, senza posa, intessendo tra loro un rapporto costruttivo e dinamico. Non c’è semplice sovrapposizione o rispecchiamento tra i due linguaggi, ma un continuo rincorrersi e stuzzicarsi a vicenda, svelando di soppiatto ciò che l’altro non vuol dire. Per esempio, che a raccontare la storia, non è, come si potrebbe credere, la giovane Lola, bensì il suo cane Stella.

Non un cane comune ma un cane guida, uno di quelli che trasformano affetto e dedizione in un aiuto imprescindibile per le persone cieche che accompagnano. E al centro del libro c’è proprio questo: il rapporto intimo e simbiotico, profondo e complesso, commuovente e quotidiano tra un essere a due e un essere a quatto zampe. Un rapporto che nasce da un’esigenza pratica, legata alla disabilità visiva di Lola, ma che si nutre di un affetto sincero e che giorno dopo giorno si fa forte di piccole felicità tutte da condividere.

Lola e io è scritto e illustrato da Chiara Valentina Segré e Paolo Domeniconi, che abbiamo visto lavorare insieme in maniera felice anche in L’albero, la nuvola e la bambina, sempre edito da Camelozampa. Entrambi gli albi, per scelta apprezzabilissima dell’editore, vengono proposti al pubblico con caratteristiche di alta leggibilità come il font EasyReading, la spaziatura maggiore e l’allineamento a sinistra: caratteristiche queste che, unite alla forma dell’albo illustrato in cui le immagini assumono un ruolo determinante, offre una possibilità di lettura ricercata e non banale ma allo stesso tempo amichevole e fruibile anche da parte di bambini e ragazzi dislessici.

Storie con la CAA 2

Le storie di Anna, Marco e degli altri protagonisti del cofanetto Storie con la CAA 2 sono storie di vita quotidiana: storie di gioco, di altalene, di capricci, di biciclette, di minestre, di paure e di somiglianze in famiglia. Sono storie che, con semplicità e ironia, toccano da vicino tutti i bambini e proprio per questo è bello pensare che tutti  bambini possano in esse riconoscersi. Ecco perché l’idea di trasformarle in libri in simboli WLS, accessibili anche in caso di autismo e di disturbi della comunicazione, pare calzare a pennello.

L’iniziativa è firmata dalla casa editrice Erickson, da anni attenta alle tematiche dell’handicap, che propone un secondo cofanetto, dopo Storie con la CAA 1, composto da tre mini-volumi. Accomunati da una struttura snella, da una grafica essenziale e buffa e da una cura lessicale, sintattica e narrativa attenta ai bisogni di giovani lettori con difficoltà espressive, i tr libretti offrono uno strumento pratico e davvero spendibile per allargare le possibilità di lettura a chi normalmente ne viene escluso e per incuriosire con un linguaggio efficace chi alla lettura inizia ad avvicinarsi.

I disegni della principessa Annabella

Ci sono libri che sfoggiano validi intenti e buone idee ma che rischiano di smarrire gli uni e le altre lungo la strada. Sono libri che si concentrano forse troppo su un tema da trattare, che tradiscono tono e genere prescelti o che affiancano con cura singhiozzante il testo scritto alle illustrazioni. Ecco, I disegni della principessa Annabella sembra proprio uno di questi: si scorge, in effetti, in questo albo illustrato una storia di diversità delicata e a misura di bambino, ma un moralismo troppo diretto sgonfia la vaporosità della cornice fiabesca.

La storia è quella della giovane principessa Annabella, fortemente  voluta dal re e dalla regina, manifestamente diversa dagli altri bambini, straordinariamente abile con i pastelli colorati e le facce buffe tanto da far tornare il sorriso all’inconsolabile re Guglielmo.  Semplice nella ciccia e nella crosta, questo racconto sorridente di Peggy Van Gurp cede purtroppo alla tentazione di lanciare messaggi espliciti e rinuncia a illustrazioni che carichino di senso nuovo le parole, raccogliendo solo in parte la bella sfida di raccontare la sindrome di Down attraverso l’immaginazione.

Chi vorresti essere?

Chi vorresti essere?, l’ultimo gustoso albo firmato da Arianna Papini,  è un inno alla fantasia che sa giocare con la realtà. La domanda che dà il titolo al volume scatena, infatti, una catena di invenzioni grazie alle quali Rebecca può diventar pesce che può diventar barbagianni che può diventar coccodrillo e così via all’infinito. O meglio, e così via fino a quando il gatto non vorrebbe diventar a sua volta Rebecca invitando a ripercorrere a ritroso l’intera successione di trasformazioni, a constatare la fortuna di poter esser immaginariamente qualunque cosa ma anche a notare come ciò che ci rende differenti e originali susciti il fascino di chi ci circonda. La diversità come pregio, dunque, strizza l’occhio al lettore tra un tucano camaleontico e un camaleonte felino.

Chi vorresti essere? propone insomma una fiera colorata e gioiosa di cose, animali e persone che sono qualcosa o qualcuno ma sembran qualcosa o qualcun altro. A partire dall’involucro esterno: l’albo si sfoglia infatti come un calendario e come tale lascia in ogni pagina un richiamo a ciò che c’è prima e un’avvisaglia di ciò che c’è dopo: un promemoria e un’anticipazione, insomma, come quando alla pagina di marzo si affiancano le miniature di febbraio e di aprile. Il risultato è così un lavoro perfettamente incatenato che sottolinea senza posa l’evoluzione funambolica dell’immaginazione che parole ben composte in una litania ammaliante  e illustrazioni degne di un bestiario fantastico sanno rendere incantevolmente.

Chiuso per ferie

Chiuso per ferie ma aperto per storie. Il volume senza parole di Maja Celija è un invito senza parole a lanciarsi in capriole narrative sulle cose di tutti i giorni, guardando il mondo dal basso in su. In copertina c’è una porta con tanto di serratura: non resta, insomma, che infilare la chiave ed entrare. Cosa si cela dietro la soglia? Apparentemente niente di speciale: una famiglia in partenza, valigie e scatole, un bagagliaio aperto. Ma il bello deve ancora venire. Con effetto sorpresa ritardato, la luce si accende, il libro si anima e il lettore viene tirato per la manica, accolto in un’avventura piccola ma incredibile.

Quello che accade è che i protagonisti delle foto in bianco e nero, sistemate con cura sulla cassettiera, prendono vita d’improvviso restituendo un significato insolito ad ambienti, azioni e oggetti. Ciliegie e camicie diventano palloni e rete da pallavolo, il forno si fa solarium, il cucchiaio funge da padella e la spugnetta s’improvvisa imbarcazione. Le pagine ospitano, insomma, una festicciola domestica in miniatura da godere fino a quando la chiave non rigira nella toppa, i padroni non rientrano in casa e tutto (o quasi) non torna al suo posto…

È un gioco di dettagli e inquadrature, quello che orchestra abilmente l’autrice costringendo il lettore a regolare a ogni pagina il proprio punto di vista e a ritarare misure e prospettive per riconoscere prima e risignificare poi gli oggetti dipinti. Il risultato è una carrellata di scene colorate e festose che si svelano a poco a poco e con sorpresa, solleticando anche il lettore più riluttante, insospettito magari da un tratto cupo solo in apparenza. E forse anche questo contrasto tra linee malinconiche e contenuti briosi, rafforza l’invito a varcare la soglia delle apparenze e osare immaginare, nella vita come nella scelta di un buon libro.

Tortintavola. Ma la torta dov’è?

Un libro che è anche un gioco-giallo ricco di indizi, una carrellata di quadri in cui smarrirsi,  un invito senza posa a seguire avventure sopra, sotto e attraverso le radure della foresta. Tortintavola è tutto questo, non c’è dubbio, ma è anche un libro meraviglioso che racchiude una storia divertente, appassionante e garbatamente deliziosa.

Non ci sono parole a raccontarla ma due manciate ben scelte di personaggi illustrati le cui vicissitudini si affiancano e s’intersecano a tratti alterni. Tra camaleonti innamorati in vista di un galante rendez-vous, topi che sgraffignano torte alla panna, peluche a forma di coniglio smarriti da conigli in forma di coniglio, famigliole suine in gita di piacere, scimmie dispettose a caccia di piume e cappelli e ranocchi scatenati dalla pallonata facile, quello che si anima sotto gli occhi del lettore è un quadro brulicante di protagonisti e imprevisti, come un Bruegel contemporaneo, molto buffo e  spiritoso.

Vestendo panni insoliti, da spettatore-narratore che s’improvvisa detective, chi si accosta alle pagine irresistibili di questo libro senza parole, già finalista del Premio Andersen 2012, scopre il piacere di una lettura senza una direzione e un ritmo unilaterali. L’invito silenzioso ma travolgente è a seguire la storia a modo proprio – d’un fiato fino in fondo, in parallelo o a ritroso – , accompagnati dalla piacevole sensazione che ci sia sempre qualche dettaglio nascosto ancora da scovare.

Che fretta c’è

Prendersi il tempo di riscoprire le cose piacevoli della vita quotidiana – fare merenda, giocare, guardare un film, amare, concedersi un bagno – senza dimenticare di sorridere, però. Questo ricordano le lumachine nate dalla penna scherzosa e inconfondibile di Agostino Traini: creature minuscole che escono direttamente dalla fantasia dell’autore, divertente e divertito, e che un’analoga porta dischiudono nel lettore. Quest’ultimo, incuriosito dalle protagoniste di Che fretta c’è, si ritrova così in un mondo ricco di dettagli umani ma lumachescamente trasformato, in cui la lentezza diventa la chiave della comprensione e del diletto.

Ciò che compare a ogni pagina voltata è il racconto di un’azione, frammentato in nove piccole scene dalle insolite inquadrature – dettagli, scorci e primi piani soprattutto – seguiti da un’ultima scena a tutta pagina, dallo sguardo più ampio e risolutivo. La tacita sfida è a raccogliere e assemblare gli indizi disseminati in ogni frammento per coglierne il senso globale: una sfida tutt’altro che scontata poiché nessuna parola viene in aiuto del lettore-investigatore. Che fretta c’è è infatti un delizioso libro senza parole che rende l’esperienza della lettura personalizzata e accessibile anche a chi ha difficoltà con l’espressione scritta.

E proprio in questo sta il bello, forse. Perché ognuno può seguire i suoi sentire fantastici, ricostruire la storia che più gli piace, raccontare un evento molto semplice da punti di vista differenti o semplicemente con parole nuove ogni volta, come in un libro-game insolito e rudimentale in cui si legge, si scorre, si fa attenzione a non perdere i dettagli, si scoprono finezze, si risolvono misteri e poi, soprattutto, si torna indietro e si ricomincia con nuova consapevolezza e rinnovata curiosità. Con tutta calma, però. D’altronde, che fretta c’è?

Diverso come uguale

La diversità ha tante facce: quella della disabilità, quella della religione, quella dell’etnia e quella dell’orientamento sessuale, per esempio. Ciascuna condiziona a suo modo le persone senza mai, tuttavia, esaurirne la personalità. Così, chi è epilettico come Erica, può anche amare vestirsi di rosso e non avere paura del buio, chi è cieco come Marcel può anche conoscere un sacco di canzoni a memoria e ballare benissimo o chi è musulmana come Fathia può anche avere i capelli liscissimi e festeggiare il compleanno in un giorno speciale. Certo, occorre essere sufficientemente attenti e curiosi per notare con naturalezza questi aspetti senza farsi ingannare dalle etichette.

Così fa Leone, protagonista del bell’album illustrato proposto da Beccogiallo, che in quarantotto pagine di una specie di diario, con tanto di disegni annessi, clips e post-it, racconta ai lettori somiglianze e stramberie degli amici. Qui, tra illustrazioni a tutta pagina e commenti che tanto sanno di fumetto, scorre una carrellata di personaggi, tutti portatori di una forma di diversità, non nascosta né negata bensì accolta e mescolata ad altre caratteristiche. Anche l’handicap, così, smette per una volta di essere quella parola vuota o quella situazione ineffabile che perlopiù spaventa gli adulti per assumere i contorni pieni, benché soggettivi, dell’esperienza pratica di un bambino.

La disabilità, cioè, viene nominata e contestualizzata, e qui sta il vero merito di Diverso come uguale: nel coraggio inusuale di chiamare le cose con il loro nome, nella responsabilità di dar loro un risvolto pratico e comprensibile e nella capacità di mettere in luce come la diversità non annulli ciò che la circonda. Raccontare l’autismo di Luca, per esempio, come la sua insofferenza agli abbracci e alle chiacchiere non è certo esaustivo ma offre ai piccoli lettori l’opportunità di confrontarsi con una forma di differenza dalla fisionomia finalmente riconoscibile. Se in più si sa che Luca è il bambino più alto e forte della classe, che colleziona bottoni, che odia i gatti e che ride con la bocca tutta aperta come Superobotman si intuisce che la sindrome che lo ha colpito non è sufficiente a definirne in pieno l’unicità.

Quel che si legge tra le righe, insomma, è che essere bambini, con o senza disabilità, significa essenzialmente coltivare desideri, avere e superare paure, mostrare stranezze, giocare, condividere esperienze e sognare. Evviva, dunque, perché di una simile convinzione abbiamo ancora tanto bisogno!

L’isola

Se, come sostiene Suzy Lee, “un buon libro illustrato lascia spazio all’immaginazione” permettendo al lettore e all’artista di “godersi comodamente l’ambiguità”, L’isola di Ronald Tolman e di sua figlia Marije non sfugge alla categoria. Con quel suo lasciarsi leggere e rileggere disseminando tracce di suggestioni sempre nuove, questo silent book si presenta, infatti, come un invito caloroso ma non invadente a scendere con una scaletta da una nuvola spumosa e a immergersi curiosamente in scenari distesi a perdita d’occhio su cui si stagliano figure dai tratti delicati.

Quello che viene proposto, qui, è un viaggio tra isole misteriose in compagnia di un placido orso bianco, dai tratti noti agli affezionati del premiatissimo La casa sull’albero. Al suo fianco il lettore senza fretta ha modo di incontrare distese popolate da pulcinella di mare, banchine rotanti come giostre in forma di sole, lingue di terra regno di dodo e avvoltoi, ricordi d’Africa e di animali equatoriali e, infine, un’isola-palafitta che sa tanto di casa, di approdo e di rifugio in cui condividere la serenità e la meraviglia con qualcuno di vicino. Come un procione violinista, per esempio.

In una successione di vedute a tinte pastello che divengono cornice per l’immaginario, il volume si anima di quella poesia che è propria dei viaggi dalla meta ignota e di quella magia caratteristica dei luoghi così indistinti da poter esser dappertutto e in nessun posto. Ne risulta un gioiellino editoriale indefinito e insieme affascinante, certo non facile da cogliere in un’interpretazione univoca, ma forse proprio per questo capace di stimolare un rapporto personale con le immagini e un dialogo inventivo con e tra grandi e piccoli lettori.

Pistaaaaa!

Pistaaaaa!, arriva un libro  spericolato e difficile da frenare! Fresco dai tipi dell’editrice Il Castoro, il sottile volume scritto da Robert Munsch e illustrato da Michael Martchenko travolge un po’ il lettore, con un fare insolito e dissacrante. Niente poesia o senso di meraviglia, in questo libro, che si fa notare piuttosto per la disinvoltura con cui rivolta la disabilità come fosse un calzino.

La brevissima storia, surreale e assurda, di una bambina che su una sedia a rotelle turbo salva il fratello infilzatosi con una forchetta lascia dapprima spaesati ma si impone poi per la sottesa capacità di ribaltare lo stereotipo del disabile mogio e di costruire occasioni di divertimento sopra un mondo forzatamente serio quale quello dell’handicap motorio.

Malgrado il disorientamento iniziale, ci si accorge che la disabilità finisce per uscire rafforzata da una storia illustrata come questa che, pur non essendo un capolavoro, osa come poche altre trattare il bambino disabile come un bambino qualunque ammettendo che possa desiderare divertirsi, provare brividi e persino esagerare, ispirando personaggi strampalati.

Chi è stato?

Siamo sicuri che carote, pomodori e insalata siano soltanto verdure da condire e pappare? A scorrer le pagine di Chi è stato? si direbbe proprio di no! Nel giro di qualche decina di pagine, tutte colorate e senza parole, i semplici ortaggi riescono a trasformarsi in nasi e capelli di un pupazzo di neve ma anche in oggetto di furti scherzosi e soprattutto in strumento per fare nuove amicizie insolite. Senza che ci sia bisogno di accostare alle immagini alcuna parola, il volume proposto dalla Lapis, cattura, stupisce e appassiona il giovane lettore.

Già, perché si inizia ad essere lettori non quando si scopre il piacere della parola scritta ma quando il libro diventa un oggetto familiare, al centro di un rito estremamente intimo ed arricchente.  Non è detto, allora, che le parole debbano essere per forza stampate poiché a trovarle può essere il bambino che sfoglia le pagine o l’adulto che lo accompagna in questa esperienza di trasporto e invenzione. Ecco allora che libri composti di sole immagini e privi di testo divengono strumenti fondamentali per avvicinare alla lettura e al suo oggetto principe qualunque bambino, compresi quelli che hanno o potrebbero avere difficoltà legate alla comprensione delle frasi.

Che meraviglia!

Storie semplici, illustrazioni deliziose, sviluppi chiari e pagine attraenti: così si presentano i libri della collana “I senza parole”, proposta con passione e cura da Lapis edizioni. I volumi, caratterizzati da una maneggevole forma quadrata e da un rassicurante layout a riquadri, raccontano a lettori curiosi e alle prime armi storie di scoperte, di affetti e di piccole avventure quotidiane.

In Che meraviglia!, per esempio, le strane sfere ritrovate in spiaggia e impiegate con inventiva come biglie, decori o bijoux, svelano all’improvviso il loro contenuto speciale alla protagonista del libro che, per aiutare mille neonate tartarughine a riconquistare la via del mare, si trova a inventare soluzioni bizzarre e ingegnose.

Tutto questo scorre sotto gli occhi senza che le parole siano mai scritte ma lasciando invece che quelle più adatte, sentite e improvvisate vengano fuori proprio dal lettore o da chi, con lui, condivide l’esperienza affettiva della lettura.

Il libro nero dei colori

Un libro tutto nero per parlare di colori e un libro sui colori per parlare ai non vedenti: niente di più stravagante si potrebbe immaginare, eppure le autrici de Il libro dei colori – Menena Cottin e Rosana Farìa –  lo hanno immaginato eccome, dando vita a un albo originale e capace di aprire, attraverso lo spiffero delle curiosità, le porte della scoperta e della riflessione.

Proprio dalle pagine buie del volume balenano, infatti, illuminazioni che solleticano i sensi del lettore e lo chiamano a sperimentare le cose in maniera insolita, provando a prescindere dalla vista. Che consistenza hanno i capelli neri di una mamma che ti abbraccia? Che rumore fanno le foglie marroni sotto i piedi? E che sapore sprigionano le fragole rosse mature?

Queste e altre domande trovano risposta tra le illustrazioni di inchiostro nero in rilievo, mostrando al lettore accorto come i colori non siano, in fondo, che un semplice pretesto per condividere un’esperienza. Ed è in questo, in particolare, che l’albo rivela il suo senso più autentico: nella convinzione che i colori siano vestiti leggeri poggiati sulla superficie delle emozioni e che siano queste ultime, in definitiva, le cose su cui val la pena confrontarsi.

Tutt’altro

Il camaleonte in copertina invita il lettore a districarsi tra contrari di ogni sorta: in altezza, morbidezza, peso o grandezza. Affidandosi alla percezione delle dita, questi può sperimentare così concetti elementari e fondamentali che da sempre costituiscono soggetto privilegiato dei volumi per la prima infanzia.

Anche questo album, in effetti, è pensato per i bambini ciechi più piccoli, che lettori magari non sono ancora, proponendo loro un piccolo percorso tattile che pagina dopo pagina stimola la curiosità. E poiché la curiosità, per fortuna, è carattere comune a tutti bambini, anche i vedenti possono lasciarsi facilmente attrarre da Tutt’altro.

Il volume completa la collezione “A spasso con le dita”, realizzata dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi e destinata gratuitamente a centinaia di biblioteche, enti e istituti italiani: un progetto straordinario e degno di nota, per il grosso sforzo economico e tecnico profuso per realizzarlo, per l’inscalfibile passione con cui è stato portato avanti, e per il forte segnale che con esso viene lanciato a difesa dell’integrazione.

Amiche d’ombra

Con la sua penna soffice e le sue figure come scolpite e sospese, l’autrice di Amiche d’ombra regala al lettore un racconto di amicizia di rara autenticità. L’incontro tra Arianna e Michela, nel caos spensierato, spaesato ed esplosivo delle medie, riflette infatti una quotidianità comune in cui la cecità di una delle due protagoniste si inserisce come tassello insolito ma non intruso.

Arianna impara pian piano a entrare nel mondo senza vista dell’amica e a condurre quest’ultima attraverso il suo sguardo. Ma lo fa senza quasi accorgersene, con l’intimità spontanea che è tipica dell’infanzia. E proprio questo scolpisce nello scorrere queste pagine: come la condivisione di esperienze, sensazioni, momenti e timori tra universi apparentemente non comunicanti trovi una sua naturale dimensione tra le faccende di ogni giorno.

Arianna Papini dà vita a tutto questo con una scrittura dai forti contrasti in cui ironia pungente e tristezza velata, frammenti di vita e flussi di coscienza, voci levate e pensieri sussurrati si mescolano senza soluzione di continuità lasciando traccia di un’emotività piacevolmente smossa.

È non è

Matita a carta da parati. Così Chiara Carrer interpreta le ombre e i collages di sensazioni che popolano la vita di Sara, protagonista del raffinato album È non è, edito da Kalandraka. Quella che ci consegna è la storia-non storia di una bambina autistica e del forte straniamento che si genera intorno a lei. E’ il racconto per schegge e frammenti di una quotidianità spesso inspiegabile che non ha una vera trama ma che testimonia un’esperienza diffusa.

La voce che narra è del fratello di Sara, sospesa a mezz’aria tra incanto e disincanto. Perché Sara è e non è una sorella come le altre: abbraccia, si illumina e accarezza, infatti, ma il più delle volte si isola, si perde e scoraggia. Il contrasto anima il suo modo d’essere e si fa cifra e valore di questo libro, così lieve e così pesante insieme.

Tutto giocato sull’alternanza di presenza e assenza, l’album restituisce una protagonista, un po’ fuori e un po’ dentro, un po’ simile e un po’ diversa, un po’ vicina e un po’ distante. E nelle parole di Marco Berrettoni Carrara, asciugate all’osso e spogliate del superfluo, si trovano la forza e l’equilibrio capaci di puntellarne la realtà.

Banchogi solo metà

Una fiaba coreana tradizionale per parlare di diversità e farlo con voce alta e ferma. Per dire semplicemente che la differenza non significa per forza assenza di coraggio, animo e generosità, come dimostra bene l’eroe Banchogi, “dimezzato” per uno scherzo del destino. Col suo occhio solo, il suo solo braccio e la sua sola gamba – stilizzazione semplice ma incisiva di una concezione diffusa della disabilità come “mancanza di qualche pezzo” – il piccolo protagonista incarna una filosofia di vita più che una condizione fisica, un modo di stare al mondo valorizzando ciò che si ha piuttosto che sottolineando ciò di cui si difetta.

Questa avventura minima, fatta di parole piene ed essenziali e di disegni ben marcati e graffianti diventa perciò un omaggio alla determinazione e alla fermezza. I massi che Banchogi solleva, le astuzie che escogita, le fiere che annienta, le guardie che beffa, le partite che vince – e gli ostacoli di ogni tipo che in generale supera – delineano in definitiva una figura a tutto tondo di cui il lettore appassionato coglie soprattutto la forza risoluta. Quella forza che porta alla conquista finale dell’amata, facendo dell’intera vicenda una questione d’accento, in cui ciò che conta non è la metà ma piuttosto la meta.

Serena la mia amica e la buffa storia della balena Rosina

Serena, la mia amica, narra di un’amicizia nata sui banchi di scuola. Chiara è una brunetta simpatica, occhialuta e chiacchierina, Serena è bionda, buonissima, mangia un sacco di caramelle e sa disegnare con gli acquarelli. Le due bambine trascorrono insieme anche il tempo libero, ma solo quando Serena è libera dai suoi molti impegni: la piscina, i boy scout, il laboratorio di pittura… Chiara è un po’ gelosa delle sue tante attività, dei suoi due fratelli grandi, della mamma così paziente, dell’insegnante “tutta per lei” che la aiuta a scuola… lei invece è spesso sola, e allora si annoia! Certo, Serena non è molto brava in matematica, e in alcune cose non riesce proprio come gli altri. Ma ama dipingere le farfalle e andare in bicicletta ed è sempre di buon umore, anche quando i compagni la prendono in giro.
La storia, ideata da Anna Genni Miliotti e arricchita delle bellissime illustrazioni di Cinzia Ghigliano, tratta con delicatezza il tema della diversità: solo all’ultima pagina scopriamo che Serena è una bimba Down, che nonostante i limiti e le difficoltà, riesce a essere autonoma, ad avere tanti amici e a farsi voler bene da tutti.
E il tema della diversità si ritrova anche in una storia dentro la storia: al centro del libro c’è un divertente racconto a fumetti, La Buffa storia della balena Rosina, che un bel giorno si stufa dei ghiacci polari e va in vacanza in Sardegna, dove ci sono tanti fenicotteri tutti rosa, proprio come lei….

Storia curiosa di re, principi e inventagiochi

Tutti i bambini hanno il diritto di divertirsi e tutti i bambini hanno il diritto di giocare. Anche se non afferrano bene gli oggetti, se sono più piccoli e deboli degli altri o se non capiscono perfettamente che i giochi più semplici. La sfida dei grandi dovrebbe essere quella di costruire giocattoli su misura per tutti loro anche se questo comporta un grande dispendio di sforzi e fantasia. Ma quando la fantasia la vince sugli sforzi ecco che le fiabe possono diventare realtà o la realtò può diventare una fiaba.

Come è accaduto con la Storia curiosa di re, principi e inventagiochi che non è soltanto un racconto fantastico dal sapore delicato ma anche il frutto maturo e dolce di un cammino condiviso che Fondazione Paideia, Carthusia edizioni e Spielmittel hanno portato avanti insieme all’autrice e all’illustratrice del libro. La storia che si narra, infatti, non fa che mettere dei panni magici e incantevoli ad un’esperienza realmente vissuta e ad un progetto effettivamente realizzato: i workshop creativi durante i quali, nel 2008, decine di persone da tutti il mondo si sono ritrovate a Torino per confrontarsi, immaginare, discutere e inventare nuovi giochi capaci di superare le differenze.

Ecco dunque che gli anomali figli del re di Tortolonia e gli straordinari Inventagiochi chiamati a corte nel libro assumono tutto un altro spessore. Il principe Giandellaria che fluttua a mezz’aria come un uccello, la principessa Astice che possiede due chele di granchio al posto delle mani e la sorella Rosafiore che è così minuscola da potersi nascondere con le api spalancano le porte ad un’idea di creatività che non discrimina e che anzi, nell’immediata condivisione del divertimento, sa portare una ventata di allegria a un intero regno, disseminando sorrisi tra adulti e bambini, senza alcuna distinzione di sorta.

A partire dai workshop realizzati e dall’idea del libro Storia curiosa di re, principi e inventagiochi, Fondazione Paideia Carthusia edizioni hanno realizzato anche un gioco da tavolo dal titolo Che talento! Giochiamo insieme nel curioso regno di Tortolonia, cha vuole parlare in maniera diretta e far giocare in modo pratico con le differenze. Il libro singolo si trova in libreria. Il kit libro + gioco da tavolo può essere invece ordinato presso la Fondazione Paideia.

Sii amorevole con Eddie Lee

Sii amorevole con Eddie Lee”, è il monito che Christy si sente ripetere dalla mamma ogni volta che esce a giocare. E lei lo sarebbe anche amorevole con Eddie Lee, ma chissà cosa penserebbe, poi, quel bulletto di JimBud se la vedesse divertirsi con quello strano bambino così tozzo e malfatto, dagli occhi un po’ a mandorla e i movimenti impacciati. Così capita che Christy faccia finta di non sentire e lasci che Eddie Lee, pur così gentile e delicato nei suoi confronti, resti in giardino da solo mentre lei e JimBud se ne vanno al fiume.

C’è poca attenzione e tanta scortesia verso questo bambino down. Ma il suo desiderio di condividere scoperte e avventure con i coetanei si mescola con un’ingenua garbatezza nei confronti di qualunque persona, gentile o prepotente essa sia. Nulla importa, perciò, che JimBud l’abbia scacciato via con un ruvidissimo “Sciò”. Varrà lo stesso la pena di svelare a lui e Christy quei segreti del lago che solo lui ha scoperto e conservato.

Le delicatissime uova di rana che si nascondono tra le ninfee e che proprio una mano così goffa ha saputo trovare, diventano allora ancor più preziose poiché svelano come il pregiudizio possa sciogliersi con incredibile semplicità, laddove le acque smosse di un fiume aiutano a rendere ogni viso simile e incantevole nella sua imperfezione.

Storie con la CAA 1

Le storie di Anna, Paolo e Luigi sono storie di vita quotidiana: storie di gioco, di altalene, di capricci, di minestre, di capelli e di somiglianze in famiglia. Sono storie che toccano da vicino, con semplicità e ironia, tutti i bambini e proprio per questo è bello pensare che tutti  bambini possano in esse riconoscersi. Ecco perché l’idea di trasformarle in un libro in simboli WLS, accessibile anche in caso di autismo e di disturbi della comunicazione, pare calzare a pennello.

L’iniziativa è firmata dalla casa editrice Erickson, da anni attenta alle tematiche dell’handicap, che propone un cofanetto composto da tre mini-volumi: Paolo e i capelli ribelli, Anna e l’altalena e Luigi e il Minestrone . Accomunati da una struttura snella, da una grafica essenziale e buffa e da una cura lessicale, sintattica e narrativa attenta ai bisogni di giovani lettori con difficoltà espressive, i tre libretti offrono uno strumento pratico e davvero spendibile per allargare le possibilità di lettura a chi normalmente ne viene escluso e per incuriosire con un linguaggio efficacissimo chi alla lettura inizia ad avvicinarsi.

Il grande cavallo blu

Ci sono, in questo libro, cavalli amici dei bambini e uomini trottola che passano il loro tempo a ruotare. Ogni cosa e ogni persona non ha insomma un solo volto ma cambia aspetto a seconda dei punti di vista: il cavallo è, sì, un cavallo ma per il protagonista Paolo è davvero un amico, il solo che ha tra le mura dell’ospedale psichiatrico di Trieste dove lavora sua madre; e l’uomo trottola crede, sì, di dover ruotare su se stesso tutto il giorno ma è davvero un uomo, almeno per chi lo sa vedere come tale. Come il dottor Basaglia che, quando arriva nell’ospedale della città, prova a restituire ai malati psichiatrici quella dignità umana che era stata loro tolta e che si scopre non avere granché a che fare con la necessità di annullarli e tenerli rinchiusi in una struttura alienante.

Chi sia Basaglia e quale sia la sua vicenda, l’autrice non lo racconta ai giovani lettori (anche se la maggior parte di loro non ne ha probabilmente mai nemmeno sentito il nome), ma lo suggerisce attraverso parole e immagini evocative che trovano il loro simbolo in un grande cavallo blu che rompe le porte pur di riuscire a uscire in strada per celebrare l’apertura dell’ospedale. Perché in questa faccenda, i simboli sono forse più importanti della comodità pratica, i fatti sono più importanti dei nomi e le storie sono più importanti delle diagnosi.

Ciò che Orecchio Acerbo propone al suo pubblico è non a caso un libro insolito che prima di tutto  tocca, emoziona, turba e scombussola. Un libro coraggioso che decide di raccontare un tema difficile e che soprattutto decide di farlo con una delicatezza e una forza che raramente sanno convivere così naturalmente. Non escono risposte o giudizi, dalle pagine, ma suggestioni e speranze sì: merito delle immagini sfumate e sfuggenti ma capaci di lasciar un segno incisivo firmate da Maurizio Quarello e delle parole  pesate come gemme preziose da Irène Cohen-Janca e tradotte con la stessa cura da Paolo Cesari. Come tele, le pagine si animano di forme espressive che si intersecano in un gioco mai scontato di grassetti, maiuscoli, spaziature e invasioni spaziali che più di ogni altra cosa sanno modulare una melodia malinconica e gioiosa insieme.

C’è posto per tutti

“… il gatto, il topo, l’elefante, solo non si vedono i due liocorni”. Già, i due liocorni non si vedono nell’albo firmato da Massimo Caccia e ispirato alla storia dell’Arca di Noè, ma forse sono soltanto strizzati tra l’opossum e il lama, o restano in ombra dietro l’elefante e il bufalo. Difficile a dirsi: in C’è posto per tutti nulla è scontato e all’occhio attento possono riservarsi sorprese continue. L’ironico albo senza parole proposto da Topipittori gioca infatti con instancabile divertimento sulla proposta di dettagli curiosi da cogliere con fortuna o da ricercare con minuzia.

Tutto è frutto, qui, di una meticolosa e spiritosa attenzione a fare di pagine apparentemente elementari il teatro di un vedo-non-vedo molto intelligente. Quella che sembra una carrellata di animali buffi e variegati manifesta, infine, il suo senso più pieno e dissacrante in un’arca finale stipata all’inverosimile. L’autore dissemina, insomma,  qua e là le tracce del suo intento, stuzzicando il lettore, ma svela la soluzione più autentica dell’opera in un’ultima doppia pagina che è un tripudio di particolari da trovare e ritrovare. Così, proprio quando sembrava conclusa, la caccia al dettaglio si riapre, invitando a scovare nuovi elementi significanti.

Quello che si genera, dall’inizio alla fine, è un incastro perfetto: tra le pagine che, senza soluzione di continuità, fanno scorrere una sorta di unico lunghissimo fondale; tra le inquadrature che assumono un senso solo quando sono messe in successione;  e infine tra gli animali imbarcati che formano nell’arca il più spassoso e insolito dei mosaici.

Il mio amico Tartattà

Quarantatre pagine che sembrano trascritte con fedeltà dalla testa di un bambino: il ritmo è incalzante, la digressione è dietro l’angolo e qualche parola viene rielaborata in maniera del tutto personale. Così, tra le lezioni di “logovattelapesca, con una specie di maestra che ti insegna a parlare bene”, i cavoletti di Bruxelles furbescamente schiacciati e spalmati nel piatto, e piccole quotidianità scolastiche disastrose, veniamo a conoscere Basilio Tamburo, il protagonista del bel libro scritto da Béatrice Fontanel e illustrato da Marc Boutavant.

A presentarcelo è il suo compagno di banco Ferdinando Ponpon che, con un cognome così, conosce bene le prese in giro ma ha imparato ad arginarle con la minaccia di un cazzotto alla ricreazione. Sarà per questa sua esperienza o per il piglio sveglio che lo contraddistingue, ma è proprio Ferdinando a cogliere dei sentimenti dietro le azioni di Basilio e a mettere il lettore nella condizione di condividerli. Raccontando di come il compagno sia arrivato il primo giorno di scuola con i capelli selvaggi, abbia mentito sul suo vero nome, si sia chiuso in bagno per non partecipare alla recita scolastica o sia salito sul tetto per starsene un po’ da solo, il giovane narratore trova il modo più schietto di svelare le difficoltà dovuta alla balbuzie e il dolore dovuto a un lutto in  famiglia.

La sua forza è lo stile a tratti ingenuo e a tratti cinico, che non dribbla la crudeltà ma nemmeno l’inimitabile empatia tipica soltanto dell’infanzia.

Pela la mela e bela

Parola d’ordine: lettura divertente. Pela la mela e bela si presenta infatti come una raccolta curiosa, singolare e avvincente di storie spassose, il cui senso-non senso trova sempre un appiglio nei suoni e nelle suggestioni ad essi correlate. Accade così che il fondamento educativo e riabilitativo su cui poggia il libro, pensato per agevolare il lavoro terapeutico sui disturbi fonologici nei bambini, finisce per scomparire del tutto agli occhi dei lettori, ben sovrastato da una proposta di lettura solida, autentica e coinvolgente.

Dalle sfilate della mucca Carolina alle danze del gallo Gugu, passando a tutta birra per le bolle che un giorno invasero il cielo di Roma, ci si trova catapultati in una girandola di invenzioni fantastiche tutte nate dal potere evocatore della parola. Pela la mela e bela, oltre a dare il titolo al volume e a inaugurare una serie di libri preziosi marchiati Sinnos Editore, diventa così una vera e propria formula magica capace di far scaturire emozioni e occasioni di comunicazione del tutto inaspettate.

Pinocchio ed. CAM

Tutti conosciamo la storia di Pinocchio, ma conoscerla e leggerla da sé non sono esattamente la stessa cosa. Leggerla da sé significa anche, infatti, padroneggiare le strutture del testo che la racconta distinguendo agevolmente i diversi elementi che lo compongono e il ruolo che essi svolgono al suo interno: operazione piuttosto immediata in condizioni consuete di percezione e apprendimento ma non in caso di sordità. Questo handicap non coinvolge, infatti, il solo senso dell’udito ma implica difficoltà anche nella comprensione dei testi scritto.

È con questa consapevolezza, dunque, che nasce un libro come Pinocchio, messo a punto dalla Cooperativa Allegro con Moto. La celeberrima storia di Collodi è infatti qui rivista e adattata affinché le frasi risultino più semplici e affinché i loro meccanismi di coesione siano marcati visualmente. Frecce, colori e font differenti sono perciò impiegati per agevolare il riconoscimento di connettivi, possessivi ed elementi grammaticali diversi cosicché il piacere della lettura si renda accessibile anche grazie al pieno possesso del testo.

Matteo è sordo

Une storia, una grafica e delle illustrazioni di una semplicità estrema, per un libro che non fa fantasticare ma racconta bene cosa capita quando la sordità di un bambino viene riconosciuta. Attraverso la sequenza di quadri essenziali, accompagnati da testi chiari e sintetici, l’esperienza di Matteo ci porta a scoprire difficoltà e successi quotidiani di chi come lui deve imparare a comunicare con mondi che parlano lingue diverse.

La LIS –  Lingua italiana de Segni – viene allora presentata a  bambini e genitori come ponte possibile di collegamento tra quei mondi. Stimolando la curiosità e il gioco, il libro offre una serie di tessere sul modello del classico memory che aiutano chiunque ad avvicinarsi con semplicità a questo linguaggio perché sia davvero una forma di comunicazione e non di distacco, per gli adulti come per i bambini.

Perché l’accettazione, la comprensione e la reazione alla diagnosi di un handicap come quello uditivo richiedono il superamento di sbarramenti e incertezze indipendentemente dall’età. Ecco allora che una storia semplice come quella di Matteo, raccontata prima per i più piccoli, con le immagini e poche parole, poi  per i più grandi, in maniera diffusa e dettagliata, e infine per tutti, con lo stratagemma del gioco, diventa strumento universale di accompagnamento alla scoperta di piccole ma importanti conquiste comunicative.

Storia di una stella

Storia di una stella è un libro tattile, al contempo essenziale e non immediato, prodotto da L’Albero della Speranza, casa editrice dalla recente ma ostinata e meritevole attività. La storia che narra è delle più lineari, senza grossi colpi di scena o complicazioni, come si confà ad un libro come questo, destinato ai lettori meno esperti. Tutto giocato su sparizioni, ricomparse e trasformazioni della protagonista che dà il titolo al volume, questo appare nel complesso di facile esplorazione.

Il soggetto è, ciononostante, quanto di più distante si possa immaginare dall’esperienza di un bambino cieco, principale beneficiario del libro. Lontane e percepibili essenzialmente per la loro luce puntiforme e flebile, le stelle restano oggetti difficili da concettualizzare, immaginare e riconoscere, tanto più nella loro caratteristica e stilizzata rappresentazione a cinque punte. Il libro può perciò rappresentare una sfida ardua per le dita alle prime armi per le quali può diventare, però, con l’adeguato accompagnamento, occasione di scoperta di cose esistenti anche se non percepibili al tatto.

Quadrato e i suoi tanti amici

Ci sono libri che vale la pena segnalare non solo per le storie e le immagini che racchiudono al loro interno ma anche e soprattutto per ciò che significano al di fuori: per il segnale positivo che lanciano, per esempio, al mondo editoriale e alla collettività tutta. È il caso di Quadrato e i suoi tanti amici, primo titolo prodotto da L’albero della Speranza.

Con la storia del piccolo Quadrato, oltre a raccontare l’amicizia e la diversità con grande semplicità e ad avvicinare i bambini, vedenti e non, alla forme geometriche, la casa editrice eporediese raccoglie infatti la sfida di produrre volumi tattili bimodali (stampati in nero e in Braille) i cui costi e le cui caratteristiche tecniche richiedono perseveranza, passione e delicata competenza. Si allarga e si arricchisce così l’offerta editoriale aperta al mondo di chi non vede, grazie a proposte che portano finalmente alla luce lavori troppo spesso circoscritti alla produzione artigianale e in copia unica.

Morbidino e Ruvidino

Un libro che è prima di tutto un viaggio di scoperta, un percorso tra dettagli quotidiani, un susseguirsi di tocchi e carezze. Morbidino e Ruvidino è infatti la storia di due amici dalla texture differente che incontrano animali, oggetti e paesaggi, di volta in volta più simili all’uno o all’altro. Questi incontri conducono il lettore-esploratore a sperimentare sensazioni, a mettere in relazione tra loro cose diverse e ad arricchire il proprio immaginario con particolari che in buona parte prescindono dalla vista.

A contatto con il soffice pelo del gatto, con gli aguzzi aculei del porcospino o con i fruscianti fili d’erba, il bambino conosce e riconosce superfici differenti che stimolano acquisizioni o ricordi, che assumono valenze singolari a seconda dell’esperienza di ciascuno. Ancora una volta, quindi, un esemplare di libro tattile illustrato si presta a letture e manipolazioni alla portata dei piccoli lettori ciechi senza dover essere per questo riservato esclusivamente a loro.

Versi tra versi

Strisce, punti e poco più. La straordinarietà di questo albo illustrato, già vincitore dell’International Tactile Book Competition 2008, sta forse proprio in questo: nella capacità di trasformare un numero limitatissimo di forme ed elementi in una molteplicità strabiliante di quadri, soggetti e suggestioni. Sono labirinti, code, scale, finestre e percorsi quelli che spuntano dalla mano creativa dell’artista norvegese, popolando le pagine di Versi tra versi di immagini da esplorare e con cui interagire senza sosta.

L’intero libro, a dire il vero, anche nella sua componente testuale, è un invito irresistibile a farsi coinvolgere, inseguendo la storia nelle sue spericolate giravolte. Quello che si propone al lettore è in definitiva un’esperienza immaginativa in cui è chiamato a seguire le sue dita per scoprire il senso dei versi. Il risultato è senz’altro stimolante, inconsueto e curioso non solo per i bambini ciechi ma anche per i loro compagni vedenti e per tutti coloro che, nonostante l’età adulta, restino affascinati dal piacere di un’insolita scoperta.

Il volume non è acquistabile ma è consultabile presso un gran numero di enti, biblioteche e scuole cui è stato distribuito gratuitamente dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi grazie al progetto EnelCuore.

Tre scalini per Serena

Una storia di piccole grandi paure per un piccolo libro di grande portata. Tre scalini per Serena è infatti uno dei primissimi libri pubblicati in Italia con attenzione alle esigenze di lettura dei bambini autistici o con gravi difficoltà di comunicazione. Costruito a partire da una storia molto semplice, il libro riporta infatti il testo di Guido Quarzo stampato tradizionalmente e unito, oltre che alle illustrazioni a tutta pagina, alla traduzione in simboli PCS (Picture Comunication Symbols).

Anche i bambini le cui capacità comunicative sono limitate sono così agevolati nel seguire il testo grazie alla rappresentazione simbolica che lo accompagna passo passo. Essi beneficiano, inoltre, di una storia molto intensa e significativa pur nella sua estrema essenzialità. Quella di Serena che ha difficoltà a muovere le gambe ma che a poco a poco impara a superare la paura delle scale che sono per lei come un autentico mostro, costituisce in effetti un vera e propria avventura che invita chiunque a calibrare il proprio metro di giudizio su esperienze e sensibilità reali anche differenti da quelle abituali.

Nicola a modo suo

L’attenzione che Nicola a modo suo rivolge alla questione della diversità è senz’altro degna di nota. Il libro scritto da Guido Quarzo e illustrato da Orietta Brombin abbraccia infatti da fuori e da dentro il mondo dei bambini con difficoltà motorie e comunicative attraverso un contenuto dedicato al tema dell’handicap e una forma ampiamente accessibile.

La storia di Nicola, che fatica a compiere autonomamente azioni quotidiane anche molto semplici e che vede venire in suo soccorso nientemeno che il mago Belmodo, è infatti corredata dai simboli impiegati nella Comunicazione Aumentativa e Alternativa, utile in caso di autismo e di patologie dalle implicazioni comunicative affini.

Messo a punto dagli operatori del Centro Benedetta d’Intino di Milano e dell’Uliveto di Luserna San Giovanni, il libro fa parte di una collana pensata per stimolare, attraverso racconti semplici ma pregnanti, dinamiche interattive e relazionali laddove queste siano fortemente limitate. Il risultato si fa dunque strumento utilissimo per aprire importanti occasioni tanto di identificazione quanto di confronto.

Mia sorella è un quadrifoglio

Viola e Mimosa sono due fiori e due colori, ma soprattutto sono due sorelle. Viola, la più grande, è una bambina curiosa, attenta e riflessiva. È lei che accompagna il lettore, con sguardo minuzioso e appassionato, a conoscere Mimosa e a raccontare come il suo arrivo in famiglia abbia generato scompiglio, gioia e difficoltà in misure variabili.

Mimosa, dal canto suo, è solare, creativa e diversa dagli altri bambini. La sua diversità non ha un’etichetta precisa ma prende man mano forma dal gioco di attese disattese dei parenti, dalla maniera buffa di sorridere che pare tipica di un altro pianeta, dalle prese in giro di qualche compagno, dall’abitudine insolita di abbracciare gli sconosciuti, dai modi lenti nel fare le cose e dall’attenzione particolare che genera negli adulti. È una diversità la sua che c’è ma che agli occhi e nell’esperienza di Viola, che pur non la nega, perde di peso e assume i contorni più morbidi e accoglienti dell’unicità. Così, quella di Mimosa diviene la storia di un quadrifoglio che rende il prato della vita e della famiglia meno monotono e meno piatto.

Ma ci vogliono parole esperte e delicate e linee dolci e sfumate per raccontare a dovere una storia tanto speciale e tanto comune come questa. Così, con perizia impagabile, le illustrazioni di Svjetlan Junaković sostengono e accompagnano come una musica armoniosa le riflessioni della giovane Viola che per mano delicata ed esperta di Beatrice Masini trovano voce e spazio per esprimersi. Con lei sono i fratelli e le sorelle di bambini disabili che parlano e raccontano le emozioni belle e brutte dell’esperienza che è capitata loro, con quel punto di vista del tutto privilegiato e palpitante che forse a nessun altro spetta.

Amici per la buccia

Le Edizioni Fabella sono da poco presenti nel panorama editoriale per l’infanzia ma si fanno fin da subito notare con un progetto coraggioso. Il primo libro stampato dai loro tipi – Amici per la buccia – si propone infatti di raggiungere il pubblico dei lettori più inesperti e dei lettori con difficoltà di comunicazione. Attraverso la traduzione della storia in PCS (Picture Communication Symbols), il codice base della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, il libro ne semplifica infatti l’approccio e la comprensione.

Le avventure dei fruttini amici di Simone il limone sono dunque messe a punto per risultare apprezzabili soprattutto da chi necessita di supporti speciali per stabilire e seguire un’interazione. Più che per la storia, che è molto elementare, il libro si impone perciò all’attenzione per il ruolo chiave che può svolgere nell’attivazione nello stimolo di dinamiche relazionali. In questo senso anche la semplificazione estrema che lo contraddistingue – tanto a livello narrativo quanto a livello iconico – pare significativa perché contribuisce ad aprire delle possibilità di contatto estremamente significative.

I tre porcellini

La forza è senz’altro la cifra della suggestiva collezione “I pesci parlanti” proposta dalla neonata casa editrice Uovonero. Forti, sono infatti, i libri che la compongono nell’aspetto, nel contenuto e nel progetto. Sono forti innanzitutto perché sono libri robusti e resistenti al tatto, capaci cioè di sfidare il vigore dei lettori più entusiasti e le difficoltà di maneggio dei lettori con problemi motori. Ma sono libri forti anche perché, nonostante le storie arcinote, sanno mostrarsi attraenti con delle illustrazioni e un formato particolari. E sono forti, infine, perché sono il frutto di un’idea degna di nota.

L’idea è quella di avvicinare alla lettura i bambini con difficoltà di apprendimento e con difficoltà comunicative, legate per esempio all’autismo, proponendo loro libri accessibili oltre che accattivanti. Ogni storia è infatti qui minuziosamente semplificata e corredata passo a passo da simboli PCS (Picture Communication Symbols) che favoriscono l’incontro tra Comunicazione Aumentativa e Alternativa e mondo dell’immaginazione. In questo modo, semplice ed elaborato al contempo, un immaginario collettivo e universale quale quello animato dai tre porcellini e dal lupo che ne vuol fare la sua cena, si apre finalmente a orecchie e occhi nuovi.

Per venire incontro a esigenze diverse di lettura, dal 2018 I tre porcellini e e le altre fiabe de I Pesci parlanti sono proposte dall’editore cremasco anche in una nuova collana chiamata I Pesciolini i cui volumi, identici nel contenuto ai loro “fratelli” maggiori, fanno a meno del formato Sfogliafacile e della cartonatura, risultando così più snelli ed economici (12.90 €).

Cappuccetto rosso

– Che occhi grandi che hai…

– È per guardarti meglio…

Già, per guardarti meglio: perché guardando si scoprono molte cose e si colgono significati. Questo accade a tutti e in particolare a quelle persone affette da autismo o più in generale da disturbi della comunicazione, per le quali i codici iconici, basati su simboli e immagini, risultano più immediati ed efficaci nel loro intento di trasmettere messaggi o raccontare storie.

Ecco perché, finalmente, anche i libri hanno iniziato ad aprirsi a forme di narrazione basate su sistemi simbolici da tempo utilizzati come tecnica di Comunicazione Aumentativa e Alternativa. I simboli PCS (Picture Communication Symbols), in particolare, sono impiegati con perizia dalla casa editrice Uovonero che li accosta al testo e alle illustrazioni tradizionali in tutti i libri che compongono la collana dei Pesci parlanti.

Cappuccetto Rosso, in particolare, è il primo titolo che fa la sua comparsa in questa insolita collezione e che stupisce al primo sguardo per il complesso lavoro di elaborazione testuale e di traduzione in simboli che lo rende davvero fruibile a orecchie e soprattutto occhi molto esigenti. Alla faccia del lupo, sono i lettori questa volta che si tolgono lo sfizio di divorare (il libro)!

Per venire incontro a esigenze diverse di lettura, dal 2018 Cappuccetto rosso e e le altre fiabe de I Pesci parlanti sono proposte dall’editore cremasco anche in una nuova collana chiamata I Pesciolini i cui volumi, identici nel contenuto ai loro “fratelli” maggiori, fanno a meno del formato Sfogliafacile e della cartonatura, risultando così più snelli ed economici (12.90 €).

Orecchie di farfalla

Le illustrazioni splendide, divertenti, sospese ed illuminanti di André Neves varrebbero da sole un’immersione in questo libro. Detto fatto: dalla copertina in poi è tutto un tuffo in apnea tra pagine-quadro senza cornice. Ma voilà, sorpresa: si scopre ben presto che a segnare un sentiero tra colori pastello e prospettive oniriche c’è anche un testo intenso e calzante, costruito ad arte come un ritornello d’altri tempi. E così, nel bel mezzo della lettura, si finisce per non capire più chi, tra parola e disegno, effettivamente accompagni l’altro nella rivelazione del prezioso segreto di Mara.

Quale segreto? Forte e stravagante, questa bambina dai capelli di spinacio e dall’orchestra nella pancia svela come liberarsi dalle prese in giro, spalancando la porta di un mondo all’incontrario. Un mondo in cui, a strizzar l’occhio alla realtà, si trasformano buchi nei calzini in dita curiose, vestiti insoliti in tavoli da gioco e difetti fisici in slanci fantastici. La realtà non si nasconde, dunque, ma si guarda da un altro punto di vista che apre squarci insoliti su aspetti sorprendenti.

Le orecchie di farfalla che danno il titolo al libro altro non sono perciò che delle orecchie a sventola capovolte e riscoperte. E proprio questo capovolgimento, svelato da un pensiero rodarianamente divergente, si fa chiave di un’accettazione di sé che stupisce e fa sorridere. Così, con un’attualità e una concretezza inattese, questo libro mostra come scattare fotografie insieme realistiche e poetiche delle differenze che popolano il nostro quotidiano. Con un guizzo fantastico, uno sguardo curioso e una leggerezza da mariposa.

Un bacio per Bicio

La storia di Bicio è una storia schietta, lineare, quotidiana: è la storia di un bambino dislessico che scopre il suo disturbo e trova il modo per evitarne le trappole grazie al supporto di adulti attenti e preparati. Non c’è molta invenzione, molta suspance e molta avventura, dunque, tra queste pagine, benché le illustrazioni a collage che le animano invitino a sperimentare slanci originali.

Bicio non è che un bambino dislessico come tanti, la cui condizione piuttosto comune e indistinta ispira facilmente un’identificazione tra ilettori che come lui non ricordano quande gambette abbia ogni lettera o che come i suoi compagni vivono indirettamente questa strana peculiarità.

Un bacio per Bicio vuole, dunque, prima di tutto essere una storia di normalità: una storia di baci, di peluche, di paure, di dottori, di scuola e di giochi. Una storia la cui dimensione reale, seppur poco travolgente, si rivela interessante per scuotere dalla dislessia quel velo di ineffabilità e incomprensione che ne amplifica spesso, ingiustificatamente, gli effetti.