Il sole fra le dita

Testa calda, famiglia problematica e una certa propensione a infrangere le regole: questo è il ritratto di Dario. Almeno quello che tanti adulti dipingono concordi, guardando quel ragazzo tanto scontroso e strafottente. Una mela marcia, per dirla con due parole di cui la professoressa Delfrati fa un certo abuso. Mela marcia. Mela marcia. Mela marcia. A furia di sentirselo dire anche lo stesso Dario inizia a pensare di esserlo per davvero, e questo non aiuta certo a migliorare il suo atteggiamento. Così, all’ennesima insinuazione dell’insegnante – “Sei una mela marcia. Anche tuo padre lo sapeva. Per questo se n’è andato” -, il ragazzo sbotta e se ne va dalla classe sbattendo la porta. In questo modo si guadagna suo malgrado un periodo indeterminato di “assistenza volontaria ai portatori di handicap della scuola”, leggi: passare del tempo insieme a Andy, un ragazzo in carrozzina che fatica a parlare, mangiare, gestirsi in autonomia.

Per Dario è proprio quello che mancava per completare una vita rancorosa e insopportabile. Dopo i primi giorni di insofferenza – verso la punizione in sé in giusta e insensata, verso quel compagno forzato con cui non si può nemmeno parlare e soprattutto verso quella sua educatrice tutta moine e compassione – il ragazzo fa una bravata senza pensarci troppo: afferra la carrozzina di Andy e parte per il mare sulle tracce di quel padre che anni prima ha inspiegabilmente abbandonato lui e la madre. Quello che lo aspetta è un viaggio molto diverso da quello immaginato: un viaggio in cui fare i conti con un passato difficile da digerire, in cui scoprirsi amorevole e premuroso di fronte alla fragilità, in cui entrare senza mezze misure nel quotidiano di un coetaneo così diverso da lui  benché ugualmente solo.

L’incontro con Andy finisce quindi per aprire squarci inattesi di crescita, pensiero e scoperta per il giovane Dario, trasformando la punizione in un’autentica occasione di riscatto. Un riscatto bilaterale, a dire la verità: perché se Dario trova in Andy la chiave per guardarsi dentro e ricalibrare la sua vita, è altrettanto vero che Andy trova in Dario chi sa vedere in lui la persona prima del disabile. E se entrambi trovano nel compagno un amico inaspettato non è per buonismo o political correctness ma per effetto diretto della condivisione di attimi, avventure, divertimenti e difficoltà.

Il sole fra le dita è una lettura estiva per data di pubblicazione e atmosfere dipinte (fin dal titolo) ma meritevole di abitare scaffali, comodini, classi e divani per quattro intere stagioni all’anno. Scorrevole e ricco, il romanzo di Gabriele Clima sa parlare di ragazzi e ai ragazzi con la schiettezza e la sensibilità di chi non ha paura di frequentarli e conoscerli davvero.  Con lo stesso spirito l’autore offre inoltre una lettura rara della disabilità in cui la difficoltà non cancella necessariamente la possibilità e in cui la vita necessita di reali sfide a migliorarsi e obiettivi da raggiungere per potersi dire tale. In cosa consistano tali sfide e obiettivi in un caso come quello di Andy, spetta spesso capirlo agli assistenti e ai genitori, il cui ruolo di  educatori, per il quale competenze e qualità umane non possono che abbracciarsi, è qui reso in tutta la sua importante delicatezza.

Hank Zipzer. Tiratemi fuori dalla quarta

Mayday mayday, allarme rosso! Si avvicinano i famigerati colloqui insegnanti-genitori: incontri ad alto rischio che possono segnare il futuro degli allievi della Scuola Primaria 87, decretandone o meno il passaggio alla classe successiva. Ecco allora che Hank, il cui profitto scolastico non è dei più brillanti, deve necessariamente ingegnarsi per evitare che la signorina Adolf e i coniugi Zipzer riescano a incrociarsi. Non basta, tuttavia, fingere di dimenticare l’avviso o tentare di distruggerlo o occultarlo: qui serve un piano degno di una mente geniale, tipo vincere due biglietti per un concerto rock a Philidalphia a cui spedire  i genitori proprio il giorno del colloquio. Detto fatto! Hank si mette all’opera con una dedizione e un impegno invidiabili ma come al solito ad aspettarlo c’è una montagna russa di panico ed euforia capace di suscitare una divertita empatia  in chi legge.

Settima avventura della serie creata da Henry Winkler e Lin Oliver, Tiratemi fuori dalla quarta sfrutta un impianto e una squadra di personaggi ben consolidata e ormai familiare al lettore. Insieme ad Hank, spumeggiante protagonista bambino con difficoltà di apprendimento, trovano spazio gli amici di sempre (Ashley e Frankie) che cercano di aiutarlo a boicottare il colloquio con gli insegnanti, la solida e insolita famiglia Zipzer che rivela qui tratti inaspettati (dall’indole benevola della sorella allo spirito rockeggiante dei genitori) e il corpo docente (in particolare la ferrea signorina Adolf e la comprensiva dottoressa Berger) che offrono un’immagine in definitiva sorprendente dell’istituzione scolastica.

Tiratemi fuori dalla quarta ha inoltre il merito di mostrare come la scuola non sia per i bambini solo un anonimo luogo in cui si apprende ma il luogo principe in cui ci si confronta, in cui ci si diverte, intorno a cui ruotano la vita sociale, l’autostima, molte relazioni e il giudizio dei pari. La scuola, insomma, come piccolo microcosmo in cui si affollano ansie, emozioni e tormenti impegnativi da gestire, che possono però trovare un contenitore e una forma positiva se ben gestite dagli adulti e ben affrontate dai piccoli. “Vogliamo darti tutte le possibilità di riuscire, Hank”, è la frase significativa che pronuncia la dottoressa Berger durante il colloquio, condensando in una riga il valore di un punto di riferimento educativo che sappia accogliere le difficoltà, valorizzando le risorse di ognuno.

Martino ha le ruote

Martino ed Emma sono due compagni di scuola. Lei è una coltivatrice di storie e fa uso della parola come di un dono straordinario da non sprecare. Lui è invece un “bambino zitto” – così lo definisce esattamente Emma – un bambino che si muove con le ruote, che non si esprime parlando e che talvolta manifesta delle reazioni difficili da comprendere. Tra i due non ci sono molti contatti fino a quando Emma non trova in Martino l’ascoltatore ideale dei suoi racconti: un ascoltatore paziente, attento, rispettoso. La narrazione alimenta così un’intimità fatta di piccoli e delicati gesti. Emma, e con lei il lettore, scopre infatti che non parlare non significa necessariamente non ascoltare o non comunicare e inizia a fare delle sue storie di draghi, gatti, principesse e lupi il motore di un’amicizia tutta particolare, capace anche di sciogliere le remore dei compagni e di rivelarsi straordinariamente contagiosa.

Nato in versione bilingue (italiano e inglese) dalla collaborazione tra Corsiero Editore e Reggio Children (già sperimentata, peraltro, in occasione dell’uscita de Il pinguino senza Frac), Martino ha le ruote è un racconto delicato e poetico che dà voce a una storia vera e palpitante conosciuta da vicino dall’autrice. La vicenda di Martino che ascolta in paziente e appassionato silenzio le storie che Emma ama raccontargli prende infatti le mosse dalla quotidianità dei suoi due figli e dalla stretta e toccante relazione che tra essi si instaura. E proprio un fitto e paziente gioco di legami, sguardi e modi unici di comunicare è il fulcro di questo albo illustrato che celebra il valore della diversità e soprattutto del tempo investito per riconoscerla, accoglierla, e comprenderla. Le ruote su cui Martino si muove sono il simbolo di una circolarità che abbraccia tutti e restituisce a ciascuno un posto di pari dignità: nel cerchio tutti i punti sono diversi ma, distando egualmente dal centro, acquistano infatti il medesimo valore. Ma servono parole sedimentate e immagini magistrali per rendere a fondo tutto ciò, ragion per cui il lavoro di Annalisa Rabitti e Sonia Maria Luce Possentini costituisce davvero un piccolo dono aggraziato messo nelle mani del lettore.

 

Una scuola mostruosa

Spilungo-Frankie, Stecco-Lecco e Fagiolone gigante sono solo alcuni degli spiacevoli nomignoli che Frankie, bambino piuttosto alto e magro, si sente affibbiare ogni giorno a scuola. Le giornate in classe sono tutte una presa in giro e  farsi un amico gli appare un’impresa pressoché titanica. Che fare? Mamma e papà hanno una soluzione a dir poco insolita: iscriverlo per qualche tempo a una scuola di mostri! Potrebbe sembrare strambo, in effetti, ma gli insegnamenti dei professori Paletto, Furioso, Conte Fantasmino e Ombra regaleranno a Frankie la possibilità di farsi notare e apprezzare dai compagni che prima lo snobbavano. Chi l’avrebbe detto che due denti insanguinati, un muso peloso,una testa svitata e muri attraversati potessero rivelarsi così utili per fare amicizia?

Con un racconto leggero e divertente, Jeremy Strong prova e invita a ridere della paura e a trovare soluzioni creative alle difficoltà di socializzazione che spesso affliggono i bambini (ma anche i grandi). La sua storia, inserita da Sinnos all’interno della collana ad alta leggibilità leggimi! a colori, costituisce un incentivo alla lettura basato sul sorriso anche per lettori non troppo esperti o con difficoltà. In più, quasi tre le righe, si legge in questo libro del valore dell’amicizia tra maschi e femmine – spesso bistrattato o oggetto di pregiudizi – che non fa male e anzi qui dà una bella spinta alla narrazione. Nella piccola (di statura) Molly, il giovane Frenkie troverà infatti un’alleata, un’amica e una spalla tosta come poche se ne scovano in giro!

 

Manuale del piccolo aviatore

Un libro di narrativa certo non è, ma data la particolarità del progetto che lo supporta Il manuale del piccolo aviatore merita senz’altro una segnalazione. Il libro è un concentrato di informazioni utili e interessanti, soprattutto per quei bambini e quelle bambine che amano stare con il naso all’insù e che vedono nel volo, nella tecnologia aeronautica e nell’esplorazione dello spazio una realtà a dir poco affascinante. Qui si trovano riunite e spiegate in modo chiaro informazioni variegate relative alla storia del volo, alla flotta della nostra Aeronautica, al mestiere di Pilota, alla Frecce Tricolore, ai record spaziali e all’esperienza dell’ormai notissimo capitano Samantha Cristoforetti. Provvisto di diversi box di curiosità e di un glossario riassuntivo, il libro si chiude con il test del piccolo aviatore e un attestato ritagliabile che valorizza le conoscenze acquisite dal lettore. La ricchezza dei contenuti qui raccolti è dunque notevole benché la grafica non renda loro effettiva giustizia. Molto semplice e a tratti dall’aspetto casalingo, questa agevola la comprensibilità delle informazioni pur a scapito dell’appeal estetico.

Il manuale del piccolo aviatore è disponibile in cinque versioni diverse – tradizionale, Braille (senza illustrazioni ma con doppio testo nero-Braille), a grandi caratteri, ad alta leggibilità (con utilizzo della font Puntidivistafacile), in simboli – così da soddisfare bisogni di lettura differenti. Diverse nel formato, nell’adattamento testuale, nell’aspetto grafico oltre che nel tipo di codice impiegato, queste rispondono all’idea che strade diverse possano condurre al medesimo contenuto, garantendo a tutti i bambini le medesime opportunità di scoperta. Frutto di un progetto inclusivo che vede partner l’Aeronautica militare e la casa editrice Puntidivista, i cinque volumi si ispirano all’idea che , così come il cielo, anche il diritto alla lettura debba essere di tutti.

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La rapina del secolo

Il furbo, Carlone e Luigino lo svelto sono tre ladri e hanno in mente quella che potrebbe rivelarsi la rapina del secolo: rubare la torta di nozze del figlio del presidente del Cile dalla pasticceria del celebre Rolando per chiedere un sostanzioso ricatto. Ma il furbo, Carlone e Luigino lo svelto – come lasciano facilmente intuire i nomi – sono una banda scalcinata tutta da ridere con un boss alto un soldo di cacio che fa il duro che più duro non si può e due gregari di cui uno un po’ tonto e l’altro intento solo a mangiare. Inutile dire che, date le caratteristiche del trio, l’impresa incontrerà qualche intoppo, a tutto guadagno del divertimento del lettore.

Davide Calì racconta infatti questa brevissima storia sottolineando i tratti più comici dei suoi protagonisti, i dialoghi surreali che prendono vita tra loro e la piega rocambolesca che assume l’intera faccenda. Lo fa con una scrittura semplice e ben calibrata che ben si sposa con illustrazioni essenzialissime, anch’esse a firma sua,  tutte giocate su forme minime e sui toni del bianco, del nero e del verde salvia.  Il risultato sono pagine non solo dal contenuto ma anche dall’aspetto ammiccante che si mostrano fin da una prima occhiata accessibili e amichevoli anche per chi non bazzica la lettura con frequenza o con facilità. Lo stesso accade anche nell’altro libro firmato dall’autore e intitolato La casa di riposo dei Supereroi che con La rapina del secolo inaugura Minizoom, la fresca collana ad alta leggibilità per giovanissimi lanciata da Biancoenero nel 2016.

 

 

Geranio, il cane caduto dal cielo

E se un giorno come un altro, camminando placidamente per strada, un cane piombasse dal cielo e arrivasse dritto dritto sulla vostra capoccia? Di fatto è proprio quello che succede ad Alberto, quel giorno che pieno di speranza si dirigeva verso l’edicola con la speranza di acquistare la bustina fortunata di figurine. L’impatto è rovinoso ma una volta ripresosi dal colpo il bambino non può che cedere alle affettuose insistenze del cane piovuto da chissà dove e portarlo con sé a casa. Non sarà un’impresa facile perché il colonnello Marziali, che abita nello stesso palazzo di Alberto, non vuole nemmeno sentire parlare di animali domestici. Allettato però da una ricca posta in gioco, l’austero condomino accetta la sfida lanciatagli dal bambino, da sua sorella Ines e dall’amico Marcello: se entro una settimana i tre dimostreranno che il cane sa fare qualcosa di speciale potranno tenerlo, altrimenti finirà dritto al canile e il colonnello otterrà un raro francobollo. Inizia così per i tre un conto alla rovescia appassionante che li vede impegnati a testare le abilità di Geranio – questo il nome, più che mai azzeccato, del cane piovuto come un vaso dal cielo – in fatto di soccorso acquatico, traino di slitte e caccia alla selvaggina. Ma niente da fare: il cane pare non eccellere in nulla. Solo in extremis, quando tutta la famiglia si è ormai affezionata alla bestiola e ogni possibilità di successo sembra svanire, qualcuno si rende conto che una qualità speciale può essere qualcosa di semplice ma importante cui talvolta non diamo abbastanza peso…

Geranio, il cane caduto dal cielo, racconta del legame stretto che si può instaurare tra animali ed essere umani e dell’affetto che, in entrambe le direzioni, viene troppo spesso sottovalutato. Lo fa attraverso pagine che accolgono caratteri di alta leggibilità (il font leggimi mutuato dalla Sinnos, la spaziatura ariosa, la carta color crema e la sbandieratura a destra), invitando così alla lettura anche un pubblico di ragazzi con difficoltà legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Giochi di luce

Giochi di luce è un colpo di fulmine: impossibile non restarne folgorati! L’originalità e la vicinanza con il sentire bambino di questo splendido albo senza parole – già vincitore del prestigioso Bologna Ragazzi Award nel 2015 – lo rendono infatti un piccolo e insolito gioiello, in cui il lettore è chiamato ad agire con poca fretta e molta curiosità.

Sull’inconsueto sfondo nero delle pagine – che sfida le convenzioni editoriali e suscita un immediato effetto stuzzicante – si stagliano contorni grigio chiaro di piante, fiori e animali di ogni sorta. A esplorare questa natura misteriosa, fianco a fianco al lettore, c’è un intraprendente  bambino dagli sgargianti stivali giallo limone. Torcia alla mano questi si avventura tra cespugli, fronde e radure illuminando ogni volta un particolare del sottobosco.

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Il cono di luce bianco della torcia porta così allo scoperto dettagli arborei e creature del buio indaffarate, mentre tutt’intorno, nella penombra, la luna avanza nel cielo e la natura si anima pensando forse che nessuno la scorga. Gufi, cerbiatti, pipistrelli e roditori di varia taglia portano avanti le loro consuete attività notturne o si arrestano – tra timore e interesse – a fissare l’insolito ma rispettoso visitatore. Il loro è un incontro discreto e quieto, fatto di reciproche attenzioni che si risolvono in un buffo colpo di scena finale.

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Tutto accade nel massimo silenzio: quello che serve per osservare per benino il bosco e i suoi abitanti e per godere appieno di una storia fatta di minuzie, di dettagli brulicanti, di stupore per le piccole cose. Giochi di luce invita proprio a fare questo, offrendo quadri pullulanti tra i quali muoversi alla ricerca di bestiole nuove o già incontrate, di finestrelle che svelano particolari prima non scorti e di interazioni tra i personaggi che fanno del libro un’avventura vera e propria, in cui meraviglia e libertà di esplorazione vanno felicemente a braccetto.

 

 

 

Pois

In un atelier vivace e colorato qualcosa di strano sta per accadere. Tra manichini e tessuti dalle tinte sgargianti, quando la sarta meno se lo aspetta, i pois di un bell’abito giallo prendono il largo e scappano altrove. Gasp, disastro! Che ne sarà del bell’abito? Ma soprattutto dove si saranno cacciati gli intrepidi pois? Con un finale surreale e sorprendente il libro di Cristina Bazzoni lascia un sorriso sulla bocca del lettore, invitandolo a cogliere nell’imprevisto una nuova possibilità creativa!

Finalista del Silent Book Contest 2015, Pois si distingue nel variegato mondo degli albi per il suo marcato aspetto grafico e per l’influenza marcata di ambiti (pubblicitario per esempio) e periodi (gli anni ’50-’60 in primis) molto particolari. Il colore puro la fa qui da padrone, concorrendo non solo a restituire un complesso piacevole e insolito, ma agevolando anche la messa in rilievo degli elementi cardine della narrazione e dei richiami interni al libro. Questo contribuisce a rendere la storia ben comprensibile nonostante l’assenza di parole e pertanto godibile anche da parte di chi si approccia con difficoltà al testo scritto.

Eugenia l’ingegnosa

Metti un’isola in cui gli abitanti hanno smesso di sognare e di domandarsi cosa ci sia oltre il mare. Ma metti anche una bambina intraprendente e determinata, che non si accontenta di muoversi entro limiti prefissati. Conoscerai così l’isola dei Nascondoni – popolo mite e rassegnato – ma anche Eugenia –bambina dalle idee chiare ben intenzionata a raggiungere l’ormai dimenticata isola di Nonsodove. Per farlo dovrà faticare non poco e avvalersi dell’aiuto di insoliti assistenti, dal fratellino Nicola a schiere di disponibili animali locali come castori, ragni e lucciole. Il risultato sarà così sudato ma varrà senz’altro gli sforzi, rivelando ad Eugenia e ai Nascondoni tutti, occasioni di conoscenza e arricchimento inaudite.

Eugenia l’ingegnosa dipinge con freschezza la voglia e il diritto di sognare, di essere curiosi e soprattutto di impegnarsi per diventare ciò che si desidera. Maschi o femmine che si sia. Ma racconta anche con forza che i ponti non solo strutture asettiche che collegano luoghi ma soprattutto possibilità di incontro tra persone. Tutto questo in un piccolo e apparentemente innocuo libretto che sa fare di una semplice metafora un messaggio potentissimo dalla veste frizzante (merito delle numerose e vivaci illustrazioni) e dall’aspetto amichevole (grazie ai criteri di alta leggibilità, garantiti dalla rodatissima collana leggimi di Sinnos). Agli spunti di cui il libro è già colmo di per sé si aggiungono quelli messi a punto da un’équipe di architette e ingegnere che ha fortemente voluto dar vita alla storia di Eugenia: una sfiziosa serie di semplici attività, scaricabili gratuitamente qui, sono infatti messe a disposizione di insegnanti, genitori e adulti in genere che vogliano farne uso con i piccoli lettori.

The big swim. La grande prova

Presentatosi ai lettori i italiani con La strana collezione di Mister Karp (finalista del premio Andersen 2014), Cary Fagan torna a farsi notare con un nuovo libro ad alta leggibilità destinato ad un pubblico analogo o di poco più grande. Pubblicato con la consueta attenzione alle esigenze di lettori con dislessia dalla Biancoenero, The big swim. La grande prova racconta di un’estate a un campo estivo per ragazzi, così come vissuta dal protagonista Ethan.

Timido e poco predisposto a farsi notare, Ethan cerca dapprima di mantenere un basso profilo e non farsi dei nemici ma scopre pian piano di potersi spingere più in là, trovando compagni che lo apprezzino, occasioni per mettersi alla prova e coraggio per mostrare i propri talenti e per esternare i propri sentimenti. La settimana di campo estivo diventa così per lui una piccola ma intensissima esperienza di crescita, con compagni di avventura che val la pena di scoprire a fondo e possibilità di toccare da vicino l’emozione palpitante e contrastante dell’adolescenza che bussa alla porta. La stessa palpitante e contrastante emozione che si prova, forse, a cimentarsi in piena notte, con la Grande Traversata a nuoto verso l’isola di Downing…

 

Officina Millegiri

Sono tante e sfaccettate le storie a due ruote che si intrecciano in questo fumetto: una moltitudine di personaggi, epoche, panorami, contesti, vicende ed emozioni si fanno largo a suon di pedalate. È proprio la passione per le biciclette dei suoi protagonisti – dall’aggiustatutto al corridore, dall’orsa equilibrista al ciclista acchiappanuvole, dalla band a pedali al tifoso sfegatato – a fare da filo conduttore a un fumetto che dice tra le curve di sogni, amori, progetti e amicizie.

Le parole sono scelte dal cantante dei Tête de Bois Andrea Satta e trovano forma visiva nella matita di Eleonora Antonioni (anche se è proprio da quest’ultima che l’idea di portare tante biciclette in un solo libro è partita). L’incontro tra le due voci è ben calibrato e non scontata: tale insomma da lanciare un amo insolito a lettori adolescenti, soprattutto se amanti delle corse in velocità.

La brevità delle storie, unita alla consueta attenzione di Sinnos per l’alta leggibilità (qui applicata al genere del fumetto grazie alla font leggimi graphic), rende Officina Millegiri particolarmente fruibile anche da parte di giovani lettori poco a proprio agio tra le pagine fitte.

La casa di riposo dei supereroi

Dei supereroi così, di certo, non li avete mai visti! Acciaccati, smemorati, mollicci e un po’ rimbambiti, alcuni dei più intrepidi paladini della giustizia sono ritratti da Davide Calì al tramonto della loro carriera, tra un apparecchio acustico e una pappetta adatta alle dentiere. Quando meno se lo aspettano, però, una nuova (e forse non ultima) avventura bussa alla porta della loro casa di riposo, obbligandoli a riscoprire il gusto della sfida e il valore della collaborazione.

La casa di riposo dei supereroi, uscito insieme a La rapina del secolo (anch’esso a firma del bravo Davide Calì), inaugura la nuova e apprezzabilissima collana Minizoom della casa editrice Biancoenero: una collana di librini agili nel formato e nel contenuto, con testi e illustrazioni amichevoli e divertenti. L’ideale insomma per avvicinare alla lettura anche i bambini più poco esperti o riluttanti che possono ritrovare qui la consueta attenzione per l’alta leggibilità a cui la casa editrice romana si è da sempre dedicata.

Il cavaliere saponetta

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Il cavaliere Saponetta si chiama così per la sua sfrenato attitudine alla pulizia: sempre lindo e profumato, non perde occasione per strofinarsi per bene dopo una battaglia condotta con lealtà e ardore. Ad accompagnarlo nelle imprese il fido ma ancora inesperto Elmo e a circondarlo presso la sua magione una sfilza di personaggi buffi, primo fra tutti il maestro inglese di quick step.

La vita del protagonista è insomma sufficientemente avvincente e vivace di per sé ma sarà un’improvvisa e urgente lettera del re a renderla davvero travolgente. Incaricato di sconfiggere un drago che sta terrorizzando il regno, il cavaliere Saponetta si trova ad affrontare molti pericoli, la maggior parte dei quali predisposti dal malfido conte Grigio che come lui punta alla mano di Linda, la soave figlia del re. Il finale sarà tutta una sorpresa, capace di rivelare intrighi ma anche di dare una scossa agli stereotipi che spesso si nascono nelle fiabe.

A rendere ancora più piacevole una storia già così molto gustosa, entrano in campo i disegni frequenti, colorati e irresistibili di Mattias de Leeuw che illustrano con pazienza i vari passaggi del racconto e ne sottolineano bene il tono scherzoso. Gli accorgimenti tipografici caratteristici (font leggimi, spaziatura maggiore, carta avoriata, sbandieratura a destra, a capo in linea con la punteggiatura) della collana ad alta leggibilità I narratori a colori di Sinnos, di cui Il cavaliere Saponetta fa parte, completano infine il quadro, garantendo una più agevole lettura anche in caso di dislessia.

Ti regalo la luna

Quale regalo può essere all’altezza di un amore è così grande come quello tra un bambino e la sua mamma? Forse solo la luna, o almeno questa è la risposta che si dà il piccolo Riccardo, desideroso di fare un dono speciale alla sua mamma. Ma la luna è così in alto che gli servirà salire sulle spalle del papà, e poi ancora dei vicini, e poi ancora dei cugini e così via prima di poter arrivare all’agognato obiettivo. Ma con tutti questi aiuti, che andranno in qualche modo ricompensati con un pezzetto di luna – resterà infine un regalo abbastanza degno per la mamma? Le parole affettuose di Alice Brière-Haquet accompagnano il lettore a scoprirlo con i toni, l’essenzialità e le atmosfere sospese tipiche delle fiaba. Accanto ad esse, le immagini sognanti di Célia Chauffrey, persin sacrificate in un formato così ridotto, danno una forma silenziosa a tutto il sentimento contenuto nella narrazione.

La struttura a iterazione che caratterizza il racconto dona un ritmo cullante alla lettura e contribuisce forse a renderla più agevole, costruendo una rete di richiami e riprese amichevoli anche per il lettore con qualche difficoltà. Di certo a questo scopo concorrono le scelte tipografiche operate dall’editore Gribaudo all’interno di questo volume così come degli altri che compongono la collana Facile! Leggere bene. Leggere tutti: font ad alta leggibilità leggimi mutuato dalla Sinnos, spaziatura maggiore tra le righe e le parole e sbandieratura a destra. Un piccolo dono per i lettori con e senza disturbi specifici dell’apprendimento, almeno prezioso come quello di Riccardo alla sua mamma.

Il signor Paltò

Il signor Paltò era un omino che aveva sempre freddo. Ma freddo freddo freddo, tanto che stava sempre in casa e anche il giorno in cui decise di avventurarsi fuori dovette coprirsi con così tanti indumenti da diventare un’attrattiva. Fu allora che ebbe l’occasione di incontrare finalmente un essere simile a lui e scoprire che il freddo – fuori e dentro – si combatte meglio se non si è da soli. Il libro dell’olandese Sieb Posthuma, piacevolissimo nei testi e nelle immagini, offre così una storia d’amore tenera e delicata che scalda il lettore almeno quanto i personaggi.

Il signor Paltò fa parte di una valida collana edita da Gribaudo che propone storie brevi e semplici capaci di possono catturare lettori poco esperti e che segue criteri di alta leggibilità tra cui l’utilizzo del font leggimi messo a punto da Sinnos in favore di lettori con dislessia. Che font come questo  inizino a diffondersi e vengano concessi da un lato e richiesti dall’altro è un segnale forte e importante di come l’offerta di una lettura più aperta costituisca una questione sempre meno di nicchia.

Piccolissimo me

Con un attacco fulminante che senza mezzi termini introduce al nocciolo della questione (che disastro, esser piccolissimi di statura!) e scalda la lettura (che sia individuale o ad alta voce!), Piccolissimo me si presenta ai lettori come un romanzo delizioso e fragrante. Protagonista è un bambino il cui nome è inversamente proporzionale all’altezza: Michelangelo è infatti bassissimo e per questo viene sovente preso in giro dai compagni e preferisce alle giornate in compagnia dei pari la solitudine della campagna. Qui trascorre le vacanze estive insieme ai nonni e conosce una bizzarra signora americana che crea cappelli mirabolanti. Ma qui ha anche modo di riflettere e mettere il lettore a parte dei suoi crucci su una crescita che sembra averlo dimenticato e su due genitori altissimi che sottovalutano piè pari le sue difficoltà. Sarà un intervento del tutto inaspettato a dare speranza ai suoi pensieri, capaci così finalmente di coprirsi di colori e fantasia in luogo di nubi minacciose.

Vincitore del premio Il Battello a Vapore 2015, Piccolissimo me nasce con l’intento di dare visibilità alle difficoltà e alle risorse a disposizione dei bambini colpiti da deficit dell’ormone della crescita (da qui il senso della collaborazione con l’A.Fa.D.O.C per la sua stesura), ma l’autrice Gigliola Alvisi lo confeziona con tanta cura e capacità narrativa che ciò che resta prima di tutto impresso nella mente del lettore sono i suoi personaggi deliziosi e dall’aspetto familiare, l’eccentrica figura della signora dai magnifici cappelli e quell’atmosfera placida estiva che l’autrice restituisce nei paesaggi e nei pensieri di chi li vive e li anima. Complici della penna abile di Gigliola Alvisi, le illustrazioni freschissime di Antongionata Farrari.

Ci si sente quindi prima di tutto rilassati tra queste pagine che profumano di campagna; poi vicini ai sentimenti di inadeguatezza di Michelangelo che, al di là della questione dell’altezza, sono propri di molte infanzie; e infine colpiti da quella folgorante rivelazione di nonno Nini, secondo cui ogni bambino, discostandosi inevitabilmente dall’idea di figlio che un genitore si fa, finisce in fondo per essere la più grande delle rivoluzioni.

La torta in cielo

È una storia semplice (ma quale storia di Rodari, in fondo, non lo è?) ma saporitissima, quella racchiusa tra le pagine de La torta in cielo: una storia che a distanza di anni sa ancora ammaliare perché parla di dolci che piovono come per magia, perché si fa leggere con gusto e senza fatica e perché, ancora una volta, mette la saggezza dei bambini al centro.

Sono infatti due ragazzi – Paolo e Rita – a svelare l’arcano del misterioso oggetto volante che un giorno primaverile sorvola i cieli di Roma, scatenando panico e assurde reazioni nella popolazione adulta della città. Proprio i due giovani curiosi incontrano infatti per primi lo scienziato pasticcione che trasforma le bombe atomiche in torte squisite e si fanno ambasciatori di un delizioso invito alla pace rivolto ai lettori.

Raccontata da Claudia Pandolfi in questa versione audio, La torta in cielo arricchisce la collezione rodariana promossa dalla Emons e già composta da Il pianeta degli alberi di Natale, Il libro degli errori, Favole al telefono, Filastrocche in cielo e in terra e La freccia azzurra: capolavori capaci ancora di parlare agli “orecchi acerbi” e pertanto meritevolissimi di riscoperte e riproposte come questa che ne allargano le possibilità di fruizione.

Harry Potter e la pietra filosofale

Primo capitolo di una saga che ha conquistato grandi e piccoli lettori in ogni angolo del mondo, Harry Potter e la pietra filosofale ha spalancato le porte alla costruzione di un immaginario comune ben radicato e fertile. Da lì in avanti, le avventure di Harry, Ron, Hermione e della miriade di personaggi corollari nati dalla mente geniale di J.K. Rowling hanno iniziato a popolare fantasie, discorsi e ricordi che diventano oggetto di condivisione e confronto tra pari. Per questo appare particolarmente importante rendere accessibile questo patrimonio anche a ragazzi con disabilità, così che la ricchezza narrativa contenuta nella penna dell’autrice non sia per loro esclusivamente ridotta alle pur apprezzatissime versioni cinematografiche.

Ecco allora che gli audiolibri Salani, che propongono una registrazione del testo, interpretato da voci solide e capaci (qui quella di Giorgio Scaramuzzino è una garanzia!), vengono incontro a questa precisa esigenza offrendo a lettori con disabilità visiva, con disturbi specifici dell’apprendimento, con necessità di leggere e al contempo fare altre cose o con predilezione per il racconto orale, la possibilità di godere delle vicende di Hogwarts al pari di un lettore tradizionale. Già uscito nel 2008 in formato audio (inciso perciò su un numero consistente di Cd, addirittura 8!), la prima avventura di Harry Potter viene ora riproposta in formato MP3 che ne snellisce e rende più fruibile l’ascolto.

Le avventure di Tom Sawyer

Sono avventure con la A maiuscola quelle che Marc Twain confezionò nel 1976 e che cucì intorno al personaggio di Tom Sawyer. Avventure che si dipanano lungo il fiume Mississippi e che vedono protagonista un ragazzo intraprendente ed esuberante dedito a una vita spericolata in cui tesori, cadaveri, grotte misteriose non mancano. Per i primi 140 anni di questo libro che ha solletico e solletica le menti affamate di storie avvincenti, Biancoenero lo ripubblica, in versione ridotta e semplificata, all’interno della collana Raccontami.

L’alta leggibilità, che da sempre contraddistingue la produzione della casa editrice romana, non beneficia qui solo di un font specificamente messo a punto per chi ha problemi di dislessia, di un’impaginazione più spaziosa, di righe irregolari che seguono il ritmo del racconto e di una carta color crema ma anche di un adattamento del testo a cura di Giulia Avallone che privilegia scelte sintattiche e lessicali più fruibili rispetto al testo originale. Il libro è inoltre accompagnato da un CD MP3 che offre al lettore, con o senza difficoltà, di scoprire le avventure di Tom Sawyer anche attraverso l’ascolto

Melody

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Trascorrere i primi 11 anni della propria vita senza poter esprimere una sola parola: questa è la dura, durissima, esperienza di Melody, costretta in sedia a rotelle e al silenzio perenne da una tetraplegia spastica. Ma a dispetto delle apparenze, il suo cervello funziona alla grande e le parole animano prepotentemente la sua vita interiore. Non tutti sono in grado di accorgersene, tuttavia – specialisti e insegnanti in primis – ed è solo grazie alla tenacia, alla pazienza e alla fiducia dimostrate dai genitori e da un’affettuosissima vicina di casa che Melody può tenersi al passo con l’apprendimento dei coetanei e maturare come qualunque preadolescente, sviluppando gusti estetici, letterari, musicali quant’altro. Ed è l’arrivo di un facilitatore della comunicazione che rivoluziona davvero la sua vita consentendole da un certo punto del racconto in poi di relazionarsi con chi le sta intorno, di partecipare attivamente alle lezioni scolastiche e di dimostrare di poter far parte della squadra che parteciperà a The Annual Whiz Kids Quiz Competition. Piccole grandi conquiste – come poter esprimere sentimenti, tessere amicizie e dimostrare le proprie capacità – segnano da quel momento la vita di Melody, senza risparmiarle tuttavia le conseguenze di un’ignoranza e di pregiudizi ben radicati che molto, troppo spesso circondano l’handicap.

Dentro Melody si percepisce tutta la sensibilità e l’esperienza personale di Sharon Draper, autrice, insegnante e mamma. La scrittrice americana riesce infatti a far risuonare nell’espressione computerizzata della protagonista la voce di tanti bambini e ragazzi reali che cercano ogni giorno un modo di riscattarsi ed esprimersi. Melody racconta con una lucidità e un’emozione rare la difficoltà di relazionarsi con il mondo quando la parola viene a mancare, la gioia di dare finalmente voce a un ricchissimo pensiero e la frustrazione di vedere la propria disabilità non circoscritta ad alcuni aspetti – nel caso della protagonista il movimento e la parola – ma automaticamente estesa all’intero funzionamento umano. La forza di questo romanzo, toccante, coinvolgente e ben scritto, sta proprio nel mettere il lettore a confronto con interrogativi, emozioni e preconcetti magari sommersi che capito spesso, anche involontariamente di mettere in atto, invitando a coglierne l’irrazionalità e l’insensatezza. Dando voce a un’interiorità autentica in presa diretta, inoltre, Melody sa coinvolgere il lettore al di là del tema della disabilità, perché dà modo di vedere la persona sotto e prima del suo handicap, perché tocca corde profondamente umane e perché fa vivere sentimenti ed esperienze che riguardano chiunque di noi. E questo, forse, fa del lavoro di Sharon Draper un piccolo gioiello che ha il sapore persistente della letteratura con la L maiuscola.

Storie di straordinaria dislessia. 15 dislessici famosi raccontati ai ragazzi

Dalla storia all’arte, dallo spettacolo alla scienza: i campi esplorati da Rossella Grenci e Daniele Zanoni sono davvero molteplici e in ciascuno i due autori hanno saputo individuare figure esemplari che non hanno trasformato la loro dislessia in un sinonimo di sconfitta certa. Tom Cruise, Pablo Picasso, Carlo Magno e Isaac Newton, solo per citarne alcuni, si incontrano e ritrovano tra le pagine di Storie di straordinaria dislessia (già nato in casa Angolo Manzoni e ora riproposto in una veste nuova da Erickson), accomunati da una condivisa tenacia, voglia di riscatto e capacità di trovare risorse nonostante le difficoltà che una forma di dislessia inevitabilmente impone.

Di ogni personaggio gli autori forniscono una biografia di qualche pagina accompagnata da una caricatura che aiuta a riconoscere il personaggio, di certo già visto dal lettore in qualche altra occasione. Alcune più e alcune meno avvincenti, le biografie proposte vogliono mettere in luce il fatto che dietro un disturbo specifico dell’apprendimento non si cela una forma di stupidità (è vero, lo si sente dire in continuazione ma per arrivare a una consapevolezza diffusa forse un po’ di insistenza si rende ancora necessaria) ma piuttosto un modo differente di funzionare del cervello: un modo che si rivela spesso funzionale a esplorare strade insolite, a inventare ciò che ancora non esiste, a indovinare teorie innovative e rivoluzionarie.

La ballata di Jordan e Lucie

Jordan e Lucie: due adolescenti dalle vite complicate, lontane anni luce l’una dall’altra. L’incontro tra di esse avviene grazie a un programma di integrazione scolastica che mette in contatto ragazzi con handicap mentale e ragazzi normodotati in cui i secondi si prestano a fare da padrini o madrine ai primi, agevolandone l’inclusione a scuola e tra i pari.

Così Lucie – con una situazione familiare turbolenta e poco serena per via del licenziamento del padre e dei continui litigi tra i genitori –  entra in relazione con Jordan – colpito da un deficit intellettivo e da un lutto familiare importante. I loro tormenti si avvicinano non senza ostacoli – le prese in giro dei compagni, la diffidenza iniziale, la difficoltà a esporsi, la differenza nei modi e nei pensieri – fino intrecciarsi saldamente, offrendo a ciascuno dei protagonisti una forma di serenità e calore a lungo ricercati.

La scrittura di Chistrophe Léon dipinge molto da vicino il mondo degli adolescenti, restituendo storie credibili e ritratti palpitanti. Come già era accaduto in Reato di fuga (Sinnos, 2015), i personaggi emergono qui in tutta la loro fragilità ma anche ricchi di un universo interiore multisfaccettato, complesso e degno di una rappresentazione tutt’altro che banalizzante. Così anche la disabilità di Jordan – elemento chiave della narrazione e della portata emotiva del libro – trova qui uno spazio adeguato e schietto, che non nega né limiti né possibilità.

Il libro di Christopher

I lettori che hanno amato Wonder non faticheranno a ricordare il personaggio di Christopher: l’amico d’infanzia di Auggie che cresce fianco e fianco a lui fino a quando un trasferimento non prova ad allentare le maglie della loro amicizia. In questo nuovo volume scritto da R.J. Palacio Christopher diventa voce e protagonista del racconto. Messo a dura prova dalla separazione dei genitori, il ragazzo affronta al contempo il primo anno di scuola media, con i suoi alti e bassi, i suoi fallimenti e i suoi successi. Il testo riporta episodi già narrati nel romanzo capostipite della serie, qui ripresi da un’altra prospettiva, ma presenta anche e soprattutto una nuova esperienza di vita (quella di Christopher, appunto) in cui Auggie non manca di comparire con una certa regolarità e con un ruolo infine decisivo.

Il libro è insomma abbastanza autonomo quanto alla trama rispetto a Wonder, anche se senza quest’ultimo perde senz’altro di senso e compiutezza. Il libro di Christopher, così come quello già uscito di Julian e quello in uscita di Charlotte, nasce infatti per rendere conto di un punto di vista diverso rispetto a una medesima situazione di diversità, incarnata da Auggie. Il punto di vista di Christopher, in particolare, è quello dell’amico di sempre che cresce accanto a Auggie, imparando con naturalezza a convivere con la sua difformità e scontrandosi, una volta cresciuto, con l’incapacità altrui di guardare oltre le apparenza. Oltre a essere un libro che sottolinea il valore della vera amicizia, anche a distanza, Il libro di Christopher offre quindi ottimi spunti per riflettere con i ragazzi sull’importanza di un’educazione consapevole allo sguardo.

Garrincha. L’angelo dalle gambe storte

La storia di Garrincha – mitica ala destra del Brasile e stella del Botafogo – ha fatto impazzire migliaia di appassionati di calcio degli anni cinquanta e sessanta. Con tutta probabilità, gli adolescenti del nuovo secolo il nome di Manoeal Franciscos Dos Santos non dice assolutamente nulla ma la sua parabola esistenziale è talmente avvincente che tempo e periodo storico finiscono per contare proprio poco quando ci si addentra tra le pagine che Uovonero dedica a questa figura dalle tinte chiaroscure, instancabilmente altalentante tra povertà e ricchezza, dedizione e sregolatezza, talento e disabilità. Quella dell’uccellino Garrincha, che con le sue gambe storte ha saputo conquistare un’intera generazione di tifosi, diventa così facilmente una figura emblematica di contraddittoria umanità fornendo inoltre una rappresentazione piuttosto inedita dell’handicap e dei suoi inattesi risvolti.

La composizione di questa graphic novel, firmata nei testi e nelle illustrazioni da Antonio Ferrara, è affascinante. I baloons veri e propri, ridotti nel numero in verità, portano alle orecchie del lettore voci autentiche e un parlato stringato che sa di vero. Il racconto che invece sta fuori dalle nuvole riporta puntualmente il punto di vista del protagonista, seguendo un ritmo tormentato che calza a pennello sulla sua vicenda personale. La scelta di immagini dal tratto serigrafico sottolinea il sapore leggendario di quanto narrato, mentre l’uso sapiente di riquadri di diversi dimensioni, di vuoti e pieni, di figure abbozzate che rinunciano ai dettagli per privilegiare l’espressività, regala a questo volume un aspetto originale e intrigante.

Il deserto fiorito

Squadra che vince non si cambia. Così, dopo la pubblicazione de Il puzzle di Matteo – albo dedicato alla Sindrome di Prader Willi – Luigi Dal Cin e Chiara Carrer tornano a raccontare una sindrome rara, attraverso parole ben scelte e immagini toccanti.

Il deserto fiorito mette in luce, in particolare, le caratteristiche della sindrome di Angelman e lo fa attraverso la figura di Davide, un bambino affettuoso che non può parlare ma ha imparato come esprimersi e farsi capire con altri mezzi: primo fra tutti il contatto fisico. A incontrare per caso questo bambino dai modi insoliti e farsi illuminare dalla sua spontaneità è Madame Sahara, una donna inaridita e abituata ormai a etichettare ogni persona seconda precisi canoni. La differenza di Davide la costringerà tuttavia a riscoprire il valore della differenza e a riconoscere l’insensatezza di qualsivoglia tentativo di classificazione umana univoca.

Il libro, pubblicato da Kite editore su iniziativa dell’Associazione Uniti per Crescere onlus fa parte di una collana che porta il nome dell’associazione stessa e che mira a far conoscere alcune sindromi rare e a ridurre così il senso di smarrimento e diffidenza che, nella realtà quotidiana, esse tendono a generare. Tra queste pagine la divulgazione va dunque a braccetto e spesso prende il sopravvento sulla fantasia, privilegiando la chiarezza della spiegazione rispetto all’acrobazia dell’invenzione.

Pinocchio – ed. tattile

Le avventure del burattino collodiano sono tra le vicende fantastiche più note, amate e feconde del nostro immaginario. Anche per questo, forse, quello di Pinocchio è uno de testi più frequentemente ripresi, esplorati e adattati della letteratura per l’infanzia. Alle numerose versioni che popolano i nostri scaffali se ne aggiunge ora una particolarmente preziosa e importante. Si tratta della versione tattile – con testo in nero e in Braille e illustrazioni da toccare – curata dalla casa editrice eporediese L’albero della Speranza e destinata ad aprire le vicende del burattino di legno anche a un pubblico di giovani lettori con disabilità visiva.

Se il testo in questo Pinocchio non è proprio eccezionalmente curato benché funzionale al riconoscimento delle immagini, le illustrazioni (che nei libri tattili tanta parte hanno e tanto cruciali sono) appaiono molto valide. Decisamente classiche nella forma e dallo stile rintracciabile negli altri volumi della collana “Il tocco magico”, queste risultano sufficientemente spesse e solide, curate nei dettagli, piacevoli da toccare e contraddistinte da una scelta dei materiali compositivi scrupolosa e suggestiva.

L’attenzione dedicata inoltre alla loro esplorabilità (il burattino con gli arti mobili, il Pinocchio finale in versione bambino staccabile, il martello estraibile per schiacciare il grillo, il vestito della fata a più strati e così via…), in favore di una loro più agevole comprensione al tatto, è nettamente superiore rispetto ai precedenti lavori della casa editrice e ne segna perciò un felicissimo salto di qualità!

Pinocchio (ed. Erickson)

Nasce dai tipi di Erickson una collana che si propone di rendere più ampio l’accesso ad alcuni testi fondamentali della nostra tradizione per l’infanzia. Capofila, in questo senso, è il volume dedicato al capolavoro collodiano Pinocchio. Il lavoro fatto dai curatori al fine di rendere il testo più fruibile e largamente condivisibile, anche da parte di chi sperimenta difficoltà di lettura, di attenzione e di decodifica sintattica, si basa su un’attenta semplificazione, non tanto della trama, che mantiene qui invariati i suoi episodi chiave – dal teatro dei burattini alla prigione, dall’avventura in mare al Paese dei Balocchi – quanto del testo che risulta contraddistinto da espressioni più comuni, frasi meno articolate, forme verbali attive e soggetti esplicitati.

La semplificazione testuale non è tuttavia l’unica accortezza messa in campo per aumentare il grado di accessibilità del racconto di Collodi. Questa operazione passa anche infatti attraverso l’evidenziazione e la spiegazione degli elementi lessicali meno noti, la sintesi dei capitoli, la registrazione audio del testo (che l’editore sceglie di non incidere su cd ma di rendere scaricabile tramite QR code o passaggio sul sito) e l’aggiunta di illustrazioni poco elaborate ma eloquenti. Frequenti, ben integrate con il testo e indispensabili per identificare i protagonisti e tenere il filo della narrazione, queste mettono bene a fuoco i momenti salienti della storia.

Sia Il piccolo principe sia Pinocchio sono curati da Carlo Scataglini, insegnante e autore di numerosi testi tra cui figura anche Adattamento dei libri di testo. Semplificazione progressiva delle difficoltà, edito dalla stessa Erickson. Il volume (138 pagine, 24,90 €) mette in luce i principali ostacoli di comprensione testuale in cui si imbattano alcuni allievi, soprattutto (ma non soltanto) in caso di disabilitadattamento dei libri di testoà cognitive e difficoltà di concentrazione. A partire da queste considerazione, gli autori (insieme a Scataglini figura anche Annalisa Gustini) provano a individuare ed evidenziare alcune strategie di adattamento dei testi che ne consentano un accesso più ampio e paritario, e di conseguenza inclusivo. A seguire, nella parte più corposa del libro, vengono proposti alcuni esempi di analisi delle difficoltà citate, ma anche di evidenziazione, schematizzazione, ristrutturazione e riduzione di testi adatti a classi diverse dalla terza elementare alla terza superiore e afferenti a materie diverse (dalla storia alla geografia, dalle scienze alla narrativa). Il libro può fornire quindi utili spunti a insegnanti di scuole di diverso ordine e grado che con sempre maggiore frequenza si trovano di fronte alla necessità di personalizzare e rendere più accessibili determinati contenuti didattici.

 

 

Nel paese delle parole

L’idea che sta alla base della collana Tandem è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Nel Paese delle parole protagoniste sono proprio queste ultime. Nel primo racconto (L’albero delle parole) Federico e Tommaso scoprono che poche semplici parole possono condurre l’immaginazione molto lontano, facendo inventare persino mostri puzzoni che si nascondono nelle tane buie. Nel secondo racconto (Il ladro di parole) gli stessi protagonisti si imbattano davvero in una creatura fantastica: non si tratta però di un mostro puzzone bensì di un bizzarro folletto mangiaparole. Famelico e astuto, questi ruba le parole più ghiotte prima che le persone riescano a pronunciarle ma dopo un primo momento di smarrimento, i bambini trovano un’ingegnosa soluzione che  non solo sfama il folletto ma migliora anche la loro padronanza lessicale! I racconti firmati da Lodovica Cima – un vero inno al potere nutritivo e fantastico della parole, in pieno stile rodariano –  invitano con garbo a giocare con le parole e trovano qui un delicato accompagnamento nelle illustrazioni di Chiara fiorentino.

Martina e il suo cappello

L’idea che sta alla base della collana Tandem è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

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All’interno di Martina e il suo cappello le storie sono scritte da Sofia Gallo e illustrate da Silvia Baroncelli. La prima, intitolata Il compleanno di Martina, vede la protagonista al centro dei festeggiamenti in famiglia insieme al nonno che compie gli anni il suo stesso giorno. I due ricevono alcuni regali speciali – un libro, degli stivaletti di gomma e un cappello di paglia lei, un paio di occhiali, un cappello di tela e una canna da pesca lui – che consentono loro di trascorrere insieme del tempo prezioso e costruire così  dei ricordi felici. Non a caso quegli stessi doni tornano protagonisti anche nella seconda storia contenuta nel volume e intitolata Il cappello di Martina. Qui il cappello di paglia nuovo di zecca della protagonista vola via per un colpo di vento e finisce nelle mani di una bambina che vorrebbe usarlo come cestino. Sarà l’intervento paziente e affettuoso della nonna di Martina a sistemare la faccenda lanciando un bel messaggio sul valore della condivisione.

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Un pesce sull’albero

Non è facile per Ally: scuola nuova, compagni nuovi, professori nuovi e, come se non bastasse, quell’insopportabile sensazione di essere diversa dagli altri, stupida forse. Gli sforzi che la dodicenne fa per eguagliare i compagni in fatto di lettura e scrittura non trovano infatti un’adeguata soddisfazione (“Se cercare di leggere servisse a qualcosa – dice a un certo punto – sarei un genio”), tanto che Ally arriva più di una volta a un passo dal gettare la spugna. A remarle contro, almeno inizialmente, ci sono un’insegnante e una preside incapaci di leggere realmente il suo disagio e dei compagni di classe che, poco guidati ad accogliere la diversità, scivolano facilmente nella presa in giro. A casa, d’altro canto, il morale non si solleva granché: il fratello di Ally le manifesta un affetto enorme ma manca concretamente degli strumenti per aiutarla, la mamma riconosce i sui pregi e cerca di contenere i suoi insuccessi ma non ha molto tempo da dedicarle e il padre, pur amorevole e gran punto di riferimento, è fisicamente lontano per via di una missione militare. Tutti i venti paiono insomma soffiarle contro, almeno fino a quando la signora Hall non viene sostituita da un nuovo insegnante – il signor Daniel – strenuamente deciso ad aiutare i talenti di ciascun allievo a emergere. Inizia così per Ally un anno scolastico rivoluzionario in cui sperimentare nuove attività, in cui costruire amicizie autentiche e in cui scoprirsi e rivalorizzarsi. Intorno a lei ruotano moltissimi personaggi – compagni e familiari soprattutto – di cui Lynda Mullaly Hunt offre fin dalle prime pagine una rappresentazione eloquente (capiamo fin dall’inizio, insomma, da chi guardarci le spalle e in chi riporre invece fiducia). Quello dell’autrice è un tocco suggestivo che dipinge dapprima pochi tratti essenziali e dettaglia poi col tempo, offrendo un quadro chiaro fin da subito ma invogliando anche a riconoscere che dietro ogni persona – piacevole e antipatica che sia – si nasconde una storia che val la pena scoprire prima di emettere giudizi definitivi.

Dalla sua penna esce un ritratto illuminante non solo dei personaggi che entrano in campo ma anche e soprattutto del problema che affigge fin dalle prime pagine Ally e che segna in qualche modo lo sviluppo del racconto. Mirabile è la maniera chirurgica in cui Lynda Mullaly Hunt disseziona e restituisce i sentimenti della protagonista di fronte alla squilibrata bilancia sforzi-successi della sua vita e al profondo senso di inadeguatezza (parola chiave che forse ben condensa il preciso focus del libro) che la dislessia le provoca, arrivando a minare la stessa capacità di desiderare. Con spunti interessanti sulla vergogna provata (che può portare a preferire l’apparire cattivi piuttosto che stupidi), sul sentirsi soli (cosa che ben si distingue dall’essere solitari) o sull’enorme potere riconosciuto alle parole (che come le uova vanno trattate con prudenza, “perché nessuna delle due cose può essere riparata”) , Un pesce sull’albero appare un prezioso concentrato di riflessioni sui disturbi specifici dell’apprendimento e sui vissuti che ad essi si associano: un piccolo saggio, insomma, nascosto in un bellissimo romanzo, che molti insegnanti e operatori troverebbero utile per la loro professione.

L’autrice riesce a costruire questo effetto, ricorrendo tra le altre cose a un uso efficace e ricorrente di immagini e metafore, come quella della moneta con un’imperfezione che vale più di una perfetta o delle farfalle che non volano in modo lineare cime gli uccelli ma va un po’ di qua e un po’ di là. Questa precisa scelta stilistica, mantenuta per l’intero corso del racconto, contribuisce a rendere incisiva la narrazione, rinvigorendo l’effetto coinvolgente già dovuto ad alcuni personaggi memorabili e ad una rara lucidità esplorativa di argomenti complessi. Si capisce chiaramente, prima ancora che l’autrice lo espliciti in terza di copertina, che le pagine trasudano un vissuto personale, che c’è consapevolezza e competenza tra le righe. Non solo, il libro guadagna credibilità anche dall’inserimento della dislessia in un contesto scolastico variegato, in cui le difficoltà e le diversità sono tante e differenti. La classe di Ally è in qualche modo una classe reale, dove c’è chi mangia in mensa grazie al contributo della scuola, chi fatica a mantenere la concentrazione, chi ha origini straniere, chi ha a che fare con i bulli e chi, appunto, ha difficoltà con la lettura.

In questo contesto, ciò che rende esemplare e straordinario un professore come il signor Daniels – vera figura chiave del romanzo, che tanto felicemente esprime il bisogno di maestri pazienti, caparbi e lungimiranti – è la capacità di riservare un occhio di riguardo a ogni allievo e alle sue specificità, di dedicare la giusta attenzione a ogni situazione e di cercare la strategia più adeguata per supportarla. Così, il professor Daniel insiste perché Ally si cimenti in un corso di scacchi che le renda chiaro il suo modo di pensare fuori dagli schemi, concorda con Oliver un segnale segreto per ricordargli di non farsi travolgere da parole e pensieri, e più in generale riserva una parola di incoraggiamento per ognuno dei “suoi fantastici”. Ecco, forse della parola “fantastico” il signor Daniels fa un uso un tantino eccessivo ma val la pena di perdonarlo. Irresistibile e travolgente è infatti il suo modo di fare, tanto che a stento si può resistere al desiderio di averlo (o averlo avuto) come insegnante. In lui ritroviamo prima di tutto la figura di un educatore – colui che ex-duce, che tira cioè fuori dai suoi alunni la loro personalità, la fiducia in loro stessi, la consapevolezza delle proprie capacità, dei propri limiti e del proprio “funzionamento”, piuttosto che limitarsi a ficcare nozioni dentro le loro zucche.

Ciliegina sulla torta, come gli altri volumi della collana in cui è inserito, Un pesce sull’albero è pubblicato ad alta leggibilità così da risultare più fruibile anche in caso di dislessia. Così come la serie di Hank Zipzer (peraltro ormai divenuta un classico in America e citata dall’autrice nel libro, creando un simpatico e involontario gioco di rimando interni per la casa editrice Uovonero) anche questo volume impiega un Verdana modificato (leggermente più piccolo rispetto ai libri di Lin Oliver e Henry Winkler, come si conviene ai lettori delle medie cui il libri principalmente si rivolge), una carta avoriata, una spaziatura maggiore e un’assenza di giustificazione testuale. Tutto questo contribuisce a fissare la lettura e a renderla meno ballerina agli occhi di chi come Ally si chiede “come faranno gli altri a leggere lettere che si muovono?”. Mai collana fu in qualche modo più azzeccata di questa delle Abbecedanze (il cui sottotitolo è per l’appunto: Quando le lettere non vogliono saperne di restare ferme, possiamo imparare a danzare con loro), per un libro che sulle lettere che “sembrano scarabocchi danzanti”, ha costruito un racconto davvero significativo.

L’uomo che piantava gli alberi e altri racconti

Quella dell’Uomo che piantava gli alberi è la storia di un pastore quieto ma tenace che nel corso della sua intere pacata esistenza si prodiga per trasformare in meglio il luogo in cui vive curando la crescita di una vera e propria foresta. Caparbio e infaticabile, l’uomo pianta ogni giorno 100 ghiande con l’idea che possano negli anni nascerne migliaia di maestose querce. L’uomo che piantava gli alberi è forse il racconto più celebre di Jean Giono, Giono. Semplice ma penetrante, la storia parla con grande efficacia di rispetto della natura e delle creature che la popolano, di possibilità creatrici dell’uomo e di responsabilità, utilizzando un linguaggio insieme poetico e concreto, capace di parlare e generazioni diverse.

Rispetto all’edizione cartacea, edita sempre da Salani, la versione in audiolibro si arricchisce di altri quattro racconti meno noti, e forse più complessi, ma altrettanto suggestivi. Firmati anch’essi dall’autore francese e pubblicati su carta sotto il titolo di uno di essi – Il nocciolo dell’albicocca – i quattro racconti sono fiabe dai toni orientali che echeggiano e richiamano esplicitamente Le mille e una notte.   Così, nel primo racconto si legge di vendette, magie, trasformazioni e nei successivi – Il cespuglio di issopo, Il principe annoiato e La principessa aveva voglia d’uva – piante, fiori e frutti, con proprietà reali o immaginarie, si fanno il centro di storie dal sapore leggendario e fantastico. Lette da quattro voci diverse, che contribuiscono a variegare e animare il racconto, le quattro fiabe offrono uno spaccato più ampio della produzione di Giono: ricca e multiforme ma costantemente animata da un solido e spassionato interesse per la straordinarietà della natura.

Le valigie di Auschwitz

Le valigie di Auschwitz è una raccolta di racconti sulla Shoah che Daniela Palumbo ha scritto con l’intento di dare voce ad alcune delle tante storie che si sono mescolate e spesso perse in uno dei momenti più drammatici della nostra storia recente.

Accomunate dalla giovanissima età dei loro protagonisti – Carlo il figlio del ferroviere, i fratellini Hannah e Jacob, la ribelle Émeline e il violinista Dawid sono tutti bambini negli anni in cui la follia nazista prende piede in Europa – queste mettono in particolare a fuoco il momento in cui la quotidianità di ciascuno di essi prende improvvisamente una piega nuova e preoccupante: quando cioè le nuove leggi razziali impediscono loro, in quanto ebrei, di frequentare la scuola, intrattenersi con ariani, frequentare spazi pubblici come i parchi gioco. Un momento ben preciso, insomma, della storia di diversi paesi europei (qui rappresentati ci sono l’Italia, la Germania, la Francia e la Polonia): quello che segna il precipitare della situazione politica e che prelude i rastrellamenti e le deportazioni da cui nessuno dei personaggi esce del tutto indenne. La maggior parte di loro saluta drammaticamente il lettore quando la polizia bussa alla porta di casa, solo Émeline pare salvarsi trovando rifugio presso la nonna materna. Il momento in cui vengono in fretta e furia riempite le valigie, con destinazione ignota, è dunque quello su cui si chiude ogni vicenda lasciando in sospeso ma ben immaginabile l’epilogo di ciascuna. La valigia, fin dal titolo e dal prologo in cui l’autrice riassume il dramma dell’Olocausto e racconta della stanza di Auschwitz in cui sono raccolti i bagagli vuoti delle vittime, diventa così simbolo di una tragedia tuttora priva di un senso.

Nel libro, forte e toccante, trovano spazio alcune delle discriminazioni portate avanti dal nazismo accanto a quella rivolta agli ebrei:  quelle indirizzate ai disabili, per esempio, o agli oppositori politici del regime. Vengono inoltre dipinte con voluta insistenza quelle figure come i delatori che con il loro comportamento apparentemente marginale ebbero in realtà un ruolo determinante nel destino di molte vittime. Dai nazisti alle spie, dai simpatizzanti del fuhrer agli individui che decisero di non schierarsi per non compromettersi, Daniela Palumbo prova a mostrare le diverse figure che giocarono un ruolo nella partita nazista e a dare un volto alle diverse sfumature della meschinità che in questa trovarono espressione.

Le valigie di Auschwitz è stato pubblicato nella prima volta da Piemme nel 2011, a seguito della vittoria del premio letterario Il Battello a Vapore. Questa nuova edizione, pubblicata nel 2016, arricchisce il testo, già forte e importante, di una stampa ad alta leggibilità con font specifico, spaziatura maggiore, carta opaca e testo sbandierato, che ne consente una fruizione più ampia e meno discriminante. Dal libro è stato inoltre tratto uno spettacolo teatrale che da diversi anni viene replicato e proposto a un pubblico di giovani spettatori.

Susan ride

Ci sono libri che vengono pubblicati, lasciano un segno e poi malauguratamente finiscono fuori catalogo. Si tratta spesso di libri curati e preziosi, il cui valore non viene risparmiato tuttavia dal continuo rinnovamento dell’offerta editoriale. Susan ride, scritto da Jeanne Willis, illustrato da Tony Ross ed edito prima da Mondadori ora da Piemme, è uno di quelli. Irreperibile, se non in biblioteca, per alcuni anni, il volume torna ora in libreria in una forma differente che assomiglia più al racconto illustrato che non all’albo benché il rapporto efficace e ben giocato tra testo e immagini costituisca la sua più caratteristica chiave di lettura.

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Costruito per quadri semplici e significativi che ritraggono la piccola protagonista intenta a fare le cose quotidiane tipiche di una bambina della sua età – ridere, cantare, dipingere, andare in giostra, sbagliare, provare emozioni – Susan ride non racconta una vera e propria storia ma dipinge piuttosto un personaggio significativo. Il testo impiegato dall’autrice è minimo – soggetto ripetuto e verbo – e trova grande ampliamento ed eco nelle illustrazioni non solo perché proprio queste chiariscono le numerose espressioni figurate impiegate (Susan vola, per esempio, quando il papà la fa piroettare in aria o Susan vince la sua battaglia  quando fa di un compito ostico una barchetta di carta) ma anche perché è proprio nelle immagini che il mondo di Susan prende vita popolandosi di parenti e compagni in carne e ossa, di oggetti e situazioni riconoscibili, di emozioni ed espressioni rassicuranti. Ed è proprio sulla familiarità di queste immagini e sul senso di empatia che esse felicemente generano che il volume fa leva per rendere l’immagine finale in cui compare la carrozzina e la frase di chiusura (questa è Susan / ecco com’è / proprio come me / proprio come te) di più facile assimilazione.

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L’approccio al tema della disabilità, basato sull’esplicita considerazione che una bambinain situazione di handicap come Susan è prima di tutto una bambina e come tale è uguale a tutte le altre, lascia trapelare  gli anni (non pochi) della pubblicazione (edita per la prima volta nel 1999 sia in Inghilterra sia in Italia). Ciononostante Susan ride  continua a ben prestarsi a letture di classe e semplici lavori sulla diversità. Sia il testo essenziale sia le illustrazioni delicatissime ma straordinariamente espressive rendono infatti il testo molto fruibile oltre che piacevole, invitando a una riflessione sulla diversità che muova dalle piccole cose che i bambini possano realmente e direttamente conoscere.

 

Mia sorella è un mostro

I libri per bambini e ragazzi che danno spazio, senza edulcorazione, alle ombre che accompagnano la disabilità si contano poco più che sulle dita di una mano. Di questi, quelli che fanno delle salite, delle difficoltà, degli aspetti inspiegabili e il loro focus principale sono ancora meno. Mia sorella è un mostro rientra tra questi ultimi e si presenta come uno dei libri più più scomodi e meno abituali sul tema reperibili in Italia.

Protagonista è Stella, sorella maggiore di Nelly, una bambina di 5 anni con problemi cognitivi, relazionali e comportamentali. Il libro ripercorre alcuni momenti quotidiani o straordinari della vita delle due bambine – il rapporto con i nonni, episodi di mutismo a seguito di litigi, l’arrivo poi non arrivato a termine di un nuovo fratellino, la scoperta di un nido di merli nel giardino – mettendo in luce il carico di lavoro, di pressione, di frustrazione e talvolta di vergogna che la presenza di una sorella così diversa molto spesso reca con sé. Voce narrante e punto di vista sono proprio quelli di Stella che, come sovente accade in questi casi, mostra un senso di maturità e una capacità di gestione delle situazioni decisamente più sviluppati rispetto ai coetanei. In ogni occasioni la sua pazienza, la sua dolcezza e la sua empatia con la sorella stupiscono e lasciano ammirato il lettore che difficilmente potrà aver sperimentato un’esperienza simile. La figura di Stella è dipinta in tutta la sua forza, ma lascia vedere chiaramente quelle crepe che la stanchezza incide poco a poco. Emblematici, benché lasciati più sullo sfondo, i personaggi di Hanna e Jos, due genitori segnati da un amore profondo e da una grande frustrazione.

Coraggioso e controcorrente, il romanzo di Martha Heesen non è facile né da proporre né da digerire. E’ uno di quei libri che rimestano da dentro e che lasciano un senso di amaro durante ma soprattutto al termine della lettura. L’ultima pagina, in particolare, dove la protagonista si chiude in camera con il proposito di non uscirne fino a quando la famiglia non si libererà della sorella, si conclude con un caustico Peccato, Hanna e Jos, peccato davvero, ma non vi rimane che una sola figlia. Indovinate quale. Che disdetta, eh?” che rende bene l’idea di una sorellanza dal peso specifico elevatissimo. Ma forse proprio per questo, per la prepotenza con cui si fa strada tra decine di volumi dall’approccio opposto, Mia sorella è un mostro si presta a suscitare confronti, riflessioni e racconti che muovano dal profondo.

Il pompiere di Lilliputia

Raro esempio di volume adatto all’infanzia che raffigura personaggi affetti da nanismo, Il pompiere di Lilliputia è un albo illustrato ispirato a una storia vera ma dal sapore eccezionale. Protagonista è Henry MacQueen, figlio di un noto e impegnato politico newyorkese, che a partire dai sei anni cessa di crescere incontrando lo scherno della gente e  faticando a conquistare il favore del padre. Le cose peggiorano dopo che Henry causa accidentamente un incendio in casa, suscitando così il progressivo distacco e timore di familiari e vicini. Quell’episodio, però, segna anche una svolta nella vita del giovane Henry, iniziandolo a un rapporto particolare e privilegiato con il fuoco: da lì a poco Henry si trasferisce infatti a Lilliputia – un’intera cittadina a misura di nani – ed entra nel corpo dei vigili del fuoco di Coney Island. Attivo in spettacoli con il fuoco nel parco di Dreamland, Henry si trova un giorno, inaspettatamente, a domare un incendio vero. Sarà propriuo la sua piccola stazza e il coraggio enorme che questa non  limita, a farlo uscire vittorioso da un’impresa ad alto rischio e a trasformarlo in un autentico eroe agli occhi del padre e della cittadinanza intera.

Il pompiere di Lilliputia nasce dall’incontro suggestivo tra la penna di Fred Bernard e dal pennello di François Roca, già strette in un promettente sodalizio marchato Logos nell’abo Jesus Betz. Quel che colpisce nell’unione tra questi due tratti è la capacità di ricreare atmosfere d’altri tempi che guardano alla realtà con un gusto tutto particolare per l’insolito. L’attenzione riservata dai due autori a ciò che esula dalla norma e la fermezza di un racconto – verbale e iconico – che sa cogliere il lato positivo della diversità senza occultarne le ombre attribuiscono ad albi come questo un fascino originale e una rara capacità di trattare il tema con una dignità che non soffoca èperò la meraviglia.

Nessuno vince!

Ispirato a un gioco di parole di omeriana memoria, Nessuno vince! racconta del fortuito incontro tra un bambino e un cane (che per un equivoco diventa, appunto, Nessuno) e dello scompiglio che portano all’interno di una ingessatissima fiera canina. Convinti di recarsi in una sorta di luna park per quadrupedi (con tanto di montagne russe, ruota panoramica e tiro al bersaglio) e di poter lì rinvenire una casa felice per il trovatello, i due incappano invece in un evento serio e triste dove solo il parapiglia da loro causato – tra salsicce volanti e giudici squalificati – porterà un po’ di diversivi e buonumore.

Le illustrazioni di Pablo Zweig, buffe e stilizzate, accompagnano puntualmente il testo di facile lettura, in forma di piccole miniature o sfondi a tutta pagina. Il rapporto tra immagine e parole è particolarmente ben studiato e alterna momenti in cui la prima dice quel che le seconde tacciono a momenti in cui l’una accentua o le altre. Questa raffinatezza compositiva, unita a una storia semplice, a tratti surreale e molto coinvolgente (quale bambino, in fondo, non ha desiderato di portarsi a casa un cagnolino almeno una volta?) fa sì che Nessuno vince! invogli spontaneamente alla lettura spianando il terreno anche a chi non affronti i testi scritti in maniera proprio spedita.

 

 

 

Dragon Boy

Un apparecchio ai denti piuttosto vistoso; un problema osseo che implica l’uso sistematico di una stampella, uno scarso equilibrio e una spina dorsale a forma di cresta.; un impianto per compensare un disturbo uditivo: voilà quel che a prima vista è Max Stanghelli, protagonista e narratore di Dragon Boy. Se a questo quadro già di per sè poco invidiabile (uno schifo, più precisamente, direbbe lui) si aggiunge anche che Max è iscritto in prima media (con tutti i rischi, i compagni nuovi e le difficoltà di sopravvivenza che questo comporta), si capisce bene perché il superpotere che più di tutti il ragazzo vorrebbe possedere è quello dell’invisibilità. Invisibilità per sfuggire alle interrogazioni della prof Nicolini, alle prepotenze di Serracchiani e Ronchese e soprattutto alle insistenze della Ferri che lo vuole a tutti i costi nel musical scolastico de Il mago di Oz. Decisa ad attribuirgli la parte del boscaiolo di latta, perché come quest’ultimo Max sembra “fatto di ferro ma in realtà ha un cuore grande”, la professoressa gli sta alle calcagna nel tentativo di convincerlo a prender parte alla recita. Ma per nulla al mondo Max vorrebbe calcare quel palco, finendo osservato e probabilmente deriso dall’intero pubblico.

Il fatto è che si sente perlopiù inadeguato il ragazzo  – quando all’ora di ginnastica viene esonerato dalla lezione per le sue difficoltà fisiche o scelto per ultimo nelle squadre, quando al gioco della bottiglia le ragazze si rifiutano di baciarlo o quando casca negli scherzi cinici dei bulli di classe – tutto il contrario di come appare e di come si deve sentire Dragon Boy, il supereroe di un fumetto che Max trova per caso (prima in un cestino in sala professori e poi nella fessura di un muro vicino a casa) e a cui si appassiona follemente. Dragon Boy è infatti un supereroe coraggioso, forte e ammirato da tutti. Quel che è strano, però, è che le sue avventure richiamano misteriosamente episodi davvero accaduti nella scuola di Max. Per il protagonista, travolto dalla curiosità, questo enigma richiede delle indagini che porteranno ad esiti seriamente inaspettati. Non solo Max sarà stupito nello scoprire chi è il fantomatico autore dei fumetti di Dragon Boy, ma finirà per imbattersi in inattese dichiarazioni d’amicizia e nello scoprirsi più speciale di quanto non si aspettasse. Un ruolo importante, in questa svolta – seppure il testo lo sottolinei scherzando – viene giocato dalla letteratura in generale e da singoli personaggi immaginari: proprio quelli che difficilmente immagineremmo venire in nostro aiuto in caso di bisogno.

Sulla fortunata scia di Diario di una schiappa e del meno noto ma altrettanto significativo Diario assolutamente sincero di un indiano part-time, il libro di Guido Sgardoli segue i pensieri e i resoconti di vita scolastica del dodicenne Max, che fedelmente li riporta all’interno del diario che gli ha regalato sua sorellaDomitilla. Questa forma consente all’autore di regalare freschezza e naturalezza al racconto, cui contribuiscono anche gli schizzi, le cancellature, i disegnini a bordo pagina e i caratteri di varie dimensioni e stili. La capacità dell’autore sta poi nel mantenersi fedele allo sguardo di un ragazzino e di fare dell’ironia un’arma narrativa seducente e potentissima. La maniera in cui Max racconta delle sue disavventure scolastiche fa infatti costantemente sorridere e molto spesso ridere di gusto: quando resta incastrato nella macchinetta delle merendine, tanto per dirne una, è davvero difficile contenersi. Questo contribuisce (più di quanto non faccia, a dire il vero, l’esplicitazione della morale) a togliere alla sua diversità il peso di una condizione verso cui provare una distaccata tristezza e a favorire con leggerezza, invece,  l’empatia e la simpatia da parte del lettore. I fumetti di Enrico Macchiavello,che di tanto in tanto inframmezzano la narrazione, sono dal canto loro gustosi e animano ulteriormente la lettura, strizzando l’occhio anche ai lettori che normalmente non amerebbero un volume come questo, più spesso di un dito

Di che colore è il vento

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Di libri che raccontano la cecità attraverso l’espediente dei colori e della loro rappresentazione nella mente di chi non vede ce ne sono diversi (tra questi, per esempio, Il libro nero dei colori o Marcolino, Ciccciopalla e la voce dei colori) ma quello di Anne Herbauts, recentemente pubblicato da Gallucci,  è senz’altro uno dei più suggestivi e riusciti perché fa dell’interrogativo il pretesto per un’esplorazione sensoriale ricca e poetica della natura. Protagonista di Di che colore è il vento? è un piccolo gigante che si pone proprio la domanda riportata dal titolo e che si avventura per il mondo per trovare una risposta. Il suo è un lungo cammino durante il quale, con naturale spirito animistico, interpella animali e cose traendo da ciascuno una personale interpretazione: tutte stimolanti e ben accolte, nessuna giusta o sbagliata. La sua ricerca diventa così un catalogo variegato di esperienze in cui il vento assume l’odore brusco del bosco (a detta del lupo), l’aspetto di tende, panni stesi e insegne (per bocca del villaggio), il colore della linfa e della granatina (stando alle radici) o quello del tempo (opinione della finestra). C’è anche chi non sa rispondere, come la pioggia, o chi trova la risposta nel frusciare delle pagine, come l’enorme gigante che incontra il protagonista in chiusura e lo invita a sperimentare la carezza del vento. Così, con il “vento del libro” che lo stesso lettore può saggiare, si conclude questo lavoro delicatissimo e potente.

Anne Herbauts è un’autrice e illustratrice straordinaria. La poesia scivola con naturalezza dalla sua penna e dal suo pennello, come dimostrato anche da titoli precedenti come Lunedì e Cosa fa la luna di notte?.  La sua capacità fuori dal comune sta nel cogliere le parole come fossero piccoli frutti delicati, nel comporre immagini che rimandano a una dimensione altra e di costruire libri che oggetti interessanti oltre che contenitori di storie. Di che colore il vento concretizza bene questa capacità, offrendo al lettore un’esperienza di scoperta e riflessione che chiama in gioco sensi e sentimenti diversi. Le pagine ampie, piene o vuote a seconda delle necessità espressive, parlano non solo attraverso i brevi testi e le figure composti dall’autrice ma anche attraverso i materiali di fondo di cui si compongono; le texture sottili (troppo per una lettura solo tattile ma abbastanza per una lettura multisensoriale) che fanno emergere figure e cornici;  le sagome ritagliate che danno fisicità ad alcuni elementi e i rilievi che riecheggiano, indicano dettagli, suggeriscono stati d’animo. Sono pagine che raccontano, a chi si prenda il tempo di prestar loro attenzione, il senso della scoperta e dell’indugio; pagine che danno rilievo alla pratica dell’ascolto e alla complessità del mondo che ci accoglie.

Il libro porta lo stesso titolo di una bellissima manifestazione promossa qualche anno fa dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi che ha portato in diverse città italiane un’esposizione internazionale di libri tattili e momenti di approfondimento di altissimo livello sulle tematiche dell’illustrazione per le dita. L’iniziativa ha coinvolto in diverse forme anche la casa editrice francese Les Doigts Qui Rêvent di cui più volte su Di.To abbiamo parlato, che molto strettamente collabora con la Federazione e che un ruolo importante ha giocato anche nella nascita del libro stesso di Anne Herbauts. L’interrogativo da cui il volume prende le mosse rappresenta infatti una curiosità realmente espressa da un bambino cieco durante una passeggiata con il papà e raccolta con attenzione dalla casa editrice di Dijon che l’ha condivisa con l’autrice e che ha supportato quest’ultima nella cura degli aspetti tecnici del volume. Pur non confluendo, in definitiva, in un libro tattile vero e proprio – con tanto di testo in Braille e illustrazioni totalmente fruibili al tatto –  Di che colore è il vento? mostra un occhio di riguardo per le sensazioni non solo visive che la pagina può offrire, divenendo non tanto una reale possibilità di lettura per chi non ci vede quanto un omaggio prezioso a chi sa ascoltare e riconoscere la realtà delle cose anche a occhi chiusi.

 

 

 

Chi è stato?

Un adulto e un bambino viaggiano a bordo di un’autovettura e gettano una bottiglia vuota fuori dal finestrino. Così si apre il volume di Magdalena Armstrong Olea dal titolo Chi è stato? e che da lì in avanti segue una sorta di viaggio istruttivo: non quello dei due maleducati automobilisti, però, ma quello dei rifiuti che come la loro bottiglia atterranno in natura provocando piccoli grandi disastri ambientali.

Il libro, interamente senza parole, procede solo per immagini a matita in bianco e nero. L’assenza di testo chiama a gustare i dettagli narrativi con cui Magdalena Armstrong Olea popola le ampie pagine del volume e a seguire la struttura circolare con cui l’autrice crea il racconto. A ogni pagina si scoprono infatti rifiuti abbandonati dall’uomo in cui incappano sfortunati animali: scatolette di tonno che tagliano le zampe dei castori, vasetti di yogurt che appesantiscono le lumache, copertoni che imprigionano cinghiali e bombolette spray che stordiscono volpi. La maniera in cui l’importante questione è trattata non disdegna l’ironia – come testimoniano le soluzioni adottate per liberare un topolino da un barattolo o per estrarre un tappo di alluminio dalla bocca di una lepre  – senza che per questo la delicatezza e la gravità del tema ne risentano.

Pubblicato dall’editore Terra Nuova, particolarmente attento ai temi dell’ecologia (come anche dimostrato ne I due pappagalli pigliatutto), il libro sceglie la via della schiettezza per portare all’attenzione del lettore le conseguenze di piccoli grandi gesti quotidiani. Il titolo scelto – Chi è stato? – pone inoltre l’accento sulle responsabilità individuali che ciascuno di noi può prendersi, invitando a farsi in prima persona difensori dell’ambiente. La struttura circolare del racconto – che parte dai protagonisti umani e vi torna nelle ultime pagine – sottolinea infine l’idea che i gesti di inciviltà che compiamo si ritorcono contro quel pianeta di cui  noi stessi facciamo parte.

Klaus e i ragazzacci

Che cosa sia la libertà non è facile a rendersi, soprattutto nello spazio ristretto di una cinquantina di pagine. Eppure la penna esperta di David Almond riesce a darcene un assaggio, tanto concentrato quanto importante, all’interno di Klaus e i ragazzacci, un racconto breve pubblicato da Sinnos all’interno della collana ad alta leggibilità leggimi!. Ambientato nell’Inghilterra degli anni ’70, quando la seconda guerra mondiale era alle spalle ma non ancora così lontana e quando la divisione fra est e ovest assumeva un significato politico molto forte, il racconto segue i pomeriggi annoiati di una banda di ragazzini che ammazza il tempo compiendo scherzi e atti vandalici più o meno innocenti.

A promuoverli è soprattutto  Joe, un ragazzo grande e grosso e dai modi prepotenti. A metterli in atto, tra gli altri, è il narratore, un ragazzo combattuto tra il timore di venire rifiutato dal gruppo e la sensazione che quanto fatto non sia davvero giusto. La sua ribellione prende forma fin da quando Joe passa il segno intimando ai suoi di dare fuoco alla siepe del signor Eustace, preso di mira perché obiettore di coscienza durante la guerra, ma fiorisce davvero solo quando in città arriva Klaus, un ragazzo tedesco della Germania Est la cui capacità di prendere posizione diventa un modello positivo e contagioso. Arrivato da solo in Inghilterra (la madre è scomparsa e il padre, un cantante lirico, è prigioniero in un campo di lavoro russo), Klaus è amichevole, impegnato, imbattibile con un pallone al piede ma soprattutto capace di fare tesoro della sua storia personale e familiare e di quella del suo paese. Klaus “cammina e canta e mostra al mondo che è libero”, proprio come gli ha raccomandato il papà, e onora la sua memoria e i suoi insegnamenti chiedendosi il perché delle cose e non piegandosi alla logica dell’arroganza.

La sua è una figura incisiva benché o anzi forse proprio perché condensata in pochi ma significativi quadri. Spedito ma centrato, il libro offre uno spunto interessante non solo per accennare a un periodo storico poco noto au giovani lettori ma anche per dire con una storia intensa che la libertà è preziosa e ciascuno di noi la stringe a suo modo in pugno. Se poi si considera che il volume – per brevità, qualità stilistica e caratteristiche tipografiche – risulta davvero fruibile ad ampio raggio, il goal del rispetto è senza dubbio segnato.

 

 

Hai preso tutto?

Procrastinatori, udite udite: un paladino del savoir renvoyer è in arrivo tra le pagine di Sinnos. Campione inarrivabile di posticipazioni, il signor Cinghialetti guadagnerà senz’altro la vostra simpatia per la nonchalance con cui rimanda compiti odiosi come alzarsi o riordinare la casa. Protagonista del racconto firmato da Alice Keller e Veronica Truttero, il signor Cinghialetti, per gli amici Osvaldo, prende temporaneo possesso insieme alla moglie Fernanda della casa dei signori G. Questi ultimi, partiti per una breve vacanza, scordano infatti di chiudere la porta e consentono ai due inattesi ospiti – nella fattispecie un cinghiale e una cinghialessa – di entrare e fare i propri comodi per 24 ore buone. Sarà per i due umanizzatissimi suini un’occasione ghiotta per gustare tazze di caffè accompagnate da fette di ciambellone, esercitarsi al violoncello, scrivere al pc racconti spassosi e cucinare prelibate frittate. Ma 24 ore passano in fretta e le odiose pulizie, più volte rimandate, diventano un’incombenza frettolosa a cui il signor Osvaldo dovrà trovare una soluzione degna di un vero cinghiale prima di lasciare la casa di villeggiatura!

Il racconto, inserito all’interno della collana ad alta leggibilità pensata per lettori poco scafati, è buffo e fa sorridere, soprattutto se si considerano le corrispondenze più o meno celate tra i protagonisti maschili e tra le protagoniste femminili: gli uni disordinati e dediti all’arte del differimento, le altre precise e fanatiche dell’ordine. Le illustrazioni, poi, delicate e spiritose, accompagnano con piacevole frequenza il testo accentuandone gli aspetti più divertenti. Nel complesso, il libro appare sfizioso e adatto a sostenere e premiare gli sforzi di lettori alle prime armi o in difficoltà, con una storia semplice ma gustosa in cui facilmente ciascuno potrà ritrovare sé stesso o qualcuno dei suoi cari.

I fantastici cinque

I superpoteri che si nascondono nelle persone normali sono tanti, diversi e talvolta inaspettati. C’è per esempio chi vede lontanissimo, chi ha un udito davvero fine e chi solleva pesi straordinari, come i primi quattro protagonisti ideati da Quentin Blake: Angela, Ollie, Simona e Mario. E poi c’è chi, come Eric, pensa di non avere nulla di speciale. Timido e impacciato, Eric compare silenziosamente nelle prime pagine del volume  accompagnato da un incerto bofonchiare (“ehm…ehm”) mentre tutti i suoi compagni mostrano capacità straordinarie, persino durante una semplice gita in montagna. Sarà proprio in questa occasione, e in particolare al momento del bisogno  (quando l’autista Big Eddy, forse per colpa dei panini del pranzo, diventa verdastro e tomba a terra svenuto) che Eric scoprirà e farà scoprire ai compagni la sua peculiarità tutt’altro che superflua: quella che lo includerà a tutti gli effetti nel gruppo dei Fantastici cinque e che dice forte al lettore che anche saper trovare le parole giuste al momento giusto, senza sprecarle o distribuirle a vanvera, è un vero talento troppo spesso sottovalutato.

I fantastici cinque è scritto e illustrato dallo strepitoso Quentin Blake noto, tra le altre cose, per aver dato un’insostituibile forma ai personaggi creati da Roald Dahl. Il suo stile è diretto ed essenziale, sia nel tratto che nel discorso, e proprio la combinazione di parole – non una più del necessario – e illustrazioni  – dinamiche e sorridenti –  suggerisce una lettura positiva della diversità, tema trasversale del racconto. Non solo ogni personaggio vanta abilità eccezionali (sottolineate soprattutto a livello testuale, con una prevalenza di verbi come potere e riuscire) ma non nasconde nemmeno le sue eventuali disabilità (dipinte soprattutto a livello iconico,attraverso dettagli significativi ma discreti). Così, per esempio, senza che il testo dica nulla in merito, Mario si sposta sulla sedia a rotelle e Ollie, munito di occhiali scuri, cammina sempre per mano a uno degli amici. Abilità e disabilità vanno insomma serenamente a braccetto impastando un racconto genuino ed efficace. L’idea forte che ne emerge è che talenti e straordinarietà possano celarsi in ognuno di noi: un messaggio chiaro e incisivo che la versione originale del libro condensa bene nel titolo Five of us.

 

La leggenda di Zumbi l’immortale

Per chi ha avuto la fortuna di assaporare dal vivo la straordinaria cultura brasiliana, La leggenda di Zumbi l’immortale è un concentrato di richiami e madeleines proustiane (al doveroso profumo di cocco!). Per chi invece è totalmente digiuno di capoeira, divinità del candomblé e villaggi nella foresta amazzonica La leggenda di Zumbi l’immortale è un’occasione interessante per raccogliere qualche spunto, godendo al contempo di un racconto forte e piacevole.

Tutta incentrata sulla vita di una figura cardine della storia del Brasile (e non solo), la nuova graphic novel edita da Sinnos accende un faro sui valori della libertà e delle scelte atte a difenderla. Zumbi è infatti un ragazzo del XVII secolo che si ribella alla conquista portoghese e guida la lotta durata decenni per mantenere libero e autonomo il Quilombo dos Palmares. La sua figura è diventata quasi mitica in Brasile, come il libro lascia ben intendere fin dal titolo, e viene commemorata da statue, intitolazioni e celebrazioni in tutto il paese (il 20 novembre, che corrisponde al giorno della morte di Zumbi, si festeggia, per esempio,  il Giorno della Coscienza Nera). Dalla nascita che già recava tratti di soprannaturalità all’infanzia trascorsa presso i gesuiti, dalle innumerevoli battaglie fino al tradimento che lo porterà alla morte, la vita di Zumbi è raccontata attraverso i testi asciutti di Fabio Stassi, che si focalizzano sui fatti ma lasciano anche spazio a riflessioni e magia, e attraverso i disegni inconfondibili di Federico Appel (già noto ai fedelissimi delle graphic novel Sinnos per aver firmato Pesi Massimi), che trasformano il bianco e il nero in uno strumento efficacissimo per rendere i chiaroscuri di un periodo così tormentato come quello della conquista e schiavizzazione.

Anche grazie a questa attenzione stilistica, la storia narrata si fa esemplare e risuona forte nella nostre orecchie in questi tempi in cui la schiavitù e la libertà assumono semplicemente forme e aspetti diversi. Non a caso la stessa casa editrice, da anni impegnata in favore dello scambio tra culture e dell’inclusione (qui sostenuta sia nei temi sia nella forma, dato il carattere di alta leggibilità del volume), racconta come il libro dovesse originariamente riportare le vicende di moderni migranti e abbia solo in un secondo momento abbracciato la storia di Zumbi che in qualche modo le riecheggia e omaggia egregiamente. Perché come ricorda bene uno dei personaggi della cornice del libro proprio in chiusura: “Finché ci sarà un uomo in catene, da qualsiasi parte, nessun uomo sarà libero davvero “.

 

Scoperta

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Lo aspettavamo, e molto. Dopo aver letto e trattenuto il fiato di fronte a Viaggio, non vedevamo l’ora di scoprire cosa avesse in serbo Aaron Becker per il secondo volume della sua trilogia senza parole. Autoconclusivo e perciò godibilissimo anche senza conoscere o avere sottomano gli altri pezzetti dell’insieme, Scoperta ci fa ritrovare la coppia di amici formatasi alla fine di Viaggio pronta per sgattaiolare in una nuova impresa dalle tinte accese. Muniti di due preziosi pastelli magici – uno rosso e l’altro viola – i due protagonisti incontrano il lettore durante un temporale cittadino. Le prime pagine (quelle del titolo e dei credits, per intenderci), dove ancora (erroneamente) crediamo di non esserci davvero addentrati nella storia, ce li mostra in corsa sotto le prime gocce  e poi al riparo sotto un ponte di pietra maestoso ma apparentemente insignificante. A ben guardare, sotto una delle volte, si cela  una porta di legno dalla cornice scolpita. La bambina – forse attratta proprio dai decori, forse colpita da un impercettibile movimento di chiave – ce la segnala con lo sguardo: è un dettaglio, quasi impercettibile ma estremamente importante: è quello che ci sommessamente ci annuncia che qualcosa di straordinario sta per succedere. L’avventura inizia.

Impazienti volgiamo la pagina ed ecco che un misterioso re dalla cappa arancione esce di soppiatto proprio da quella porta e consegna ai due ragazzi una mappa, una sorta di cartuccera e un terzo pastello arancione, prima che alcune guardie armate lo costringano a rientrare. La cartuccera si rivela presto essere un portapastelli (non male come idea antibellica, detto tra le righe!) e la mappa, criptica, riporta sei cerchi di sei colori differenti. Il legame tra i due oggetti è forte e si mostra con evidenza lampante qualche pagina più avanti, quando uno zoom sulla mappa lascia scorgere che i cerchi disegnati, uniti da linee colorate, racchiudono paesaggi che chiedono solo di essere esplorati: qui si nascondono, infatti, i tre pastelli mancanti. Ecco allora che i due protagonisti si lanciano alla loro ricerca, sfruttando la più potente arma in loro possesso: l’immaginazione. Con i loro pastelli disegnano ora un paio di pinne, ora un rinoceronte, ora un’altalena volante che li conducono in un mondo sottomarino, in una fitta giungla e infine su una montagna innevata dove l’impresa si compie e l’arcobaleno torna a risplendere… nel regno fantastico come nella città reale.

Se il primo volume della trilogia conquistava a spron battuto per la stupefacente inventiva, questo secondo fa dell’avventura condivisa il suo punto di forza. A ogni pagina è l’immaginazione congiunta dei due amici, che con i loro pennarelli magici disegnano le soluzioni per avanzare, esplorare o salvare la pelle, a consentire lo sviluppo della storia e il chiudersi del cerchio (narrativo e sulla mappa!). Senza fronzoli o moralismi, è semplicemente la forza dell’unione a vincere grazie a un’impresa rigorosamente a due.

E’ un libro travolgente e mozzafiato, Scoperta, un Silent Book con la S e la B maiuscole che fa dell’assenza di parole non un tratto qualunque ma una cifra stilistica precisa e significativa. La magia che Becker svela sotto i nostri occhi nasce infatti da una moltitudine di dettagli che si intrecciano e dipanano con una frequenza e rapidità tale che difficilmente un racconto scritto e fisso potrebbe starvi dietro. E poi ci sono i richiami cromatici, in cui l’autore è un vero talento e che qui rendono protagonisti i toni del viola; le meraviglie architettoniche che si compongono di elementi stratificati e si popolano di personaggi brulicanti; e i rimandi tra le pagine che costruiscono una trama sottesa e trasparente che dona unità e coerenza.  La libertà di movimento e scoperta di tanta ricchezza concessa al lettore dal ricorso alle sole immagini, non solo spalanca le porte a una fruizione allargata della lettura – consigliatissima per esempio a ragazzi delle elementari con difficoltà di decodifica del testo ma pronti e attratti (e raramente accontentati) da narrazioni articolate -, ma consente anche di godere appieno del piacere di assaporazione lenta offerto dal libro.

 

Smart

Colin è un uomo di Nottingham senza troppi amici e senza fissa dimora. Un giorno viene trovato morto in mezzo al fiume che lambisce la città, nella zona in cui vive Kieran, un ragazzino singolare che la maggior parte dei compagni deride chiamandolo “down”, “ritardato”, “spostato” o “bavoso” a seconda delle circostanze. Che cosa abbia esattamente il protagonista l’autrice non ce lo dice mai ma dalla presenza costante dell’insegnante di sostegno, dai comportamenti insoliti, dalle ristrette doti relazionali compensate da una grande attenzione ai dettagli, capiamo che possa facilmente trattarsi di un disturbo autistico. Ma Kieran è soprattutto un ragazzino curioso, appassionato di indagini (da Sherlock Holmes a CSI), desideroso di diventare un giornalista di Sky News e dannatamente bravo a riprodurre cose e persone attraverso il disegno, il che lo aiuterà non poco quando deciderà di fare luce sulla morte di Colin per supplire alla negligenza della polizia locale. Lo farà di nascosto dalla mamma, che gli mostra grande affetto nonostante il poco tempo e le poche energie che riesce a dedicargli, e di nascosto dal compagno di quest’ultima che invece, violento e losco, lo maltratta facendogli chiaramente capire che non lo vorrebbe tra i piedi. Lo farà correndo pericoli tutt’altro che trascurabili e trascorrendo molto tempo fuori casa, nella cornice di una periferia piuttosto degradata che tanta parte assume nelle brutte vicende che invischiano il protagonista e chi gli sta intorno. E lo farà con tenacia e ironia, appuntando ogni particolare sul suo prezioso taccuino e contando sull’aiuto di amici più o meno datati (come Jean, divenuta senzatetto dopo la morte del figlio o come il compagno Karaamat, giunto da poco dall’Uganda) ma in ogni caso insoliti e accomunati dalla sperimentazione diretta della discriminazione: il loro supporto – morale e pratico – si rivelerà fondamentale per dare non solo un esito positivo alle indagini ma anche una nuova forma all’esistenza quotidiana del giovane protagonista.

Il personaggio di Kieran è tenero e simpatico allo stesso tempo, ispira coraggio e ottimismo, in una parola: piace! Con quel suo modo di fare un po’ buffo e un po’ ostinato e con quel suo modo di narrare che non trascura i dettagli ma non annoia, sa tenere il lettore appeso alla storia e fargli riconoscere emozioni e temi dalle tinte anche scure che non compaiono così frequentemente nella letteratura per ragazzi. La somiglianza con Christoper de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte e con Ted de Il mistero del London Eye – entrambi capaci di risolvere casi intricati grazie a un modo di pensare fuori dagli schemi tipico della sindrome di Asperger  – è lampante (e tra l’altro sottolineata dalla stessa casa editrice fin dalla fascetta che correda il volume). E questo, forse, è l’aspetto che apre maggiori interrogativi  in un romanzo ben costruito e davvero piacevole come quello dell’esordiente Kim Slater: ci si chiede infatti se l’insistente ricorso  alla figura del ragazzino con disturbo autistico – qui dipinto forse con minore accuratezza e verosimiglianza rispetto ai due volumi sopracitati – che si riscatta ricomponendo casi irrisolti non finisca per compromettere l’originalità narrativa e soprattutto per costruire, a lungo andare, uno stereotipo che riduce e fissa la sindrome di Asperger in una capacità straordinaria di risolvere situazioni complesse. La questione sta tutta lì, nel sottile confine che separa la valorizzazione delle diversabilità dal loro congelamento in una visione reiterata.

Kieran, dal canto suo, ha e suggerisce il suo personalissimo sistema per collocarsi fuori dagli schemi e non restare imbrigliati nella maglie di un pensiero stereotipato: immaginarsi come Albert Einstein a cavalcioni di un raggio di luce   – baffi grigi e capelli indisciplinati compresi – per favorire l’emergere di idee divergenti. Lettori e scrittori sono avvisati: chissà che una rappresentazione davvero libera della disabilità non possa passare proprio da lì…

Passi di cane

Tornano in azione i 2+1, alias Marta, Eugenio e Franci, i giovanissimi investigatori già protagonisti de Le finestre del mistero. Spediti dai genitori in campagna per due settimane di istruttive e salutari vacanze a contatto con la natura, i tre si godono (o si fanno andare a genio, nel caso di qualcuno!) la vita spartana, i bagni al fiume, la presenza di animali e la compagnia dei due gentili ospiti, Ettore e Dario. Quando però, si imbattono in una cagnolina stremata che porta con sè una misteriosa richiesta di aiuto, i tre non possono resistere e si buttano a capofitto in una nuova indagine. Si troveranno così invischiati in una losca vicenda che richiederà loro una rischiosa serie di appostamenti, deduzioni e incursioni. Anche in questo caso, come nel precedente, un film (FBI operazione gatto) ispira le avventure dei ragazzi allestendo un interessante ponte di contatto con i lettori reali che vi assistono.

I personaggi sono ben  assortiti (impulsiva e sensibile Marta, sapientino e prudente il fratello Eugenio, accomodante e sereno l’amico Franci), il testo scorre veloce (persin troppo, vien quasi da pensare quando il succo dell’ intrigo si dipana in poche righe), e le illustrazioni appaiono davvero calzanti (grazie a un tratto sfumato e a un gioco di bianchi e neri che ben si adatta al racconto). Tutto ciò, unito a una stampa ad alta leggibilità e a un lavoro redazionale che ha coinvolto direttamente alcuni giovani lettori, mira e contribuisce ad avvicinare Passi di cane a un pubblico ampio che non escluda chi fa più fatica a confrontarsi con la narrazione scritta. Un’impegno – quello in favore della lettura inclusiva – che la casa editrice Bianco0enero porta avanti con tenacia da ormai dieci anni (auguri!).

 

Arturo e l’uomo nero

Da tempo immemore, la figura dell’uomo nero trova spazio nell’immaginario collettivo declinato in molte forme. Quella proposta da Daniela Valente in Arturo e l’uomo nero richiama un uomo selvatico, schivo e apparentemente pericoloso perché come tale lo descrivono innumerevoli leggende e dicerie.  Ingrugnito, collerico e cupo, vive nel folto del bosco nutrendosi di erbe selvatiche e frutti, distante da ogni forma di compagnia e civiltà. Ma il giovane e temerario Arturo, spintosi in mezzo al bosco per vincere una gara di raccolta di funghi, scopre che la realtà può essere diversa da come la dipinge la gente e che dietro comportamenti strani possono semplicemente nascondersi storie di tristezza. Proprio come nel caso dell’uomo selvatico, all’anagrafe Tiberio, che di lavoro riparava biciclette e che aveva scelto la via della solitudine boschiva in seguito al doloroso tradimento di un amico. Incontratolo per caso, Arturo sceglie di non lasciarselo alle spalle fuggendo a gambe levate ma torna anzi più e più volte a cercarlo, da solo e accompagnato, assistendo in prima persona a una sua positiva trasformazione: di fronte al calore dell’amicizia l’aspetto ferino di Tiberio si mitiga, restituendogli un’umanità da tempo dimenticata. Arturo e l’uomo nero è insomma una storia di coraggio: quello che si manifesta avventurandosi in un bosco buio ma anche e soprattutto superando i timori che si fondano su pregiudizi.

Il volume conferma la felice apertura di Coccole Books verso l’alta leggibilità inaugurata dalla pubblicazione di S.O.S. Supplente in arrivo di Isabella Paglia. Il font impiegato sottolinea in maniera marcata, infatti, la distinzione tra le lettere che più frequentemente vengono confuse dai lettori dislessici e si accompagna a una spaziatura maggiore la lettere, parole e righe. Un contributo ulteriore, in termini di accessibilità, potrebbe venire dalla scelta di una carta meno lucide, dalla rinuncia alla giustificazione del testo e dalla concordanza tra gli a capo e la punteggiatura.

Breve storia di un lungo cane

Formato più grande, testo più grande, illustrazioni più grandi: così – all’insegna di dimensioni più consistenti – si presenta la nuova serie ad alta leggibilità di Uovonero (Vi presento Hank) rivolta a lettori alle prime armi. L’effetto è senz’altro rassicurante per i sette-ottenni che si avvicinano alla lettura e che possono trovare nelle avventure del giovanissimo Hank Zipzer uno stimolo spassoso a leggere in maniera sempre più sciolta. Le storie scritte da Lin Oliver e Henry Winkler e qui condensate in pagine più contenute rispetto alla serie base con lo stesso protagonista, hanno infatti il pregio di scorrere veloci e parlare dritto alle orecchie dei ragazzi.

In Breve storia di un lungo cane (intrigante fin dal titolo, bisogna proprio dirlo!) il giovanissimo Hank deve a tutti i costi migliorare la sua pagella scolastica: in ballo c’è la possibilità di far visita al canile e portarsi a casa un cagnolino da accudire e coccolare. Stufo di avere tra i piedi la squamosissima iguana della sorella Emily e desideroso di avere una bestiola tutta per sé, Hank ce la mette tutta per trasformare le insufficienze in voti degni di un eroe scolastico. La motivazione è forte (cosa da non sottovalutare!) ma sarà sufficiente a compensare le difficoltà di lettura che affliggono il protagonista e che sono il motore delle sue più note avventure e disavventure? In questo caso sì! Complice anche una maestra comprensiva e lungimirante che sa valorizzare l’ingegno e la creatività di Hank (diversamente dalla signorina Adolf che qualche anno più tardi casserà in pieno il suo tema vivente sulle Cascate del Niagara), il ragazzo riesce a raggiungere i suoi obiettivi e a portare a casa un adorabile salsicciotto di pelo di nome Cheerio. Da lì in poi la vera sfida sarà mostrarsi davvero responsabile agli occhi dei genitori insegnando al cucciolo come comportarsi fuori e dentro casa, dove guai e imprevisti sono sempre dietro l’angolo

Anche questo libro, come gli altri dedicati ad Hank Zipzer, è stampato ad alta leggibilità ricorrendo a un Verdana modificato, a una carta avoriata e a una spaziatura e sbandieratura particolari. Questo agevola senz’altro la lettura anche in caso di dislessia ma la rende altresì più agevole laddove non ci sia alcun tipo di disturbo. Il testo concorre a questo scopo con frasi perlopiù brevi e non troppo ostiche da seguire mentre le grandi illustrazioni firmate da Giulia Orecchia e sistemate qua e là lungo il testo e in apertura di capitolo contribuiscono dal canto loro a fare del volume un oggetto davvero appetibile e amichevole.

La gita di classe

Le pagine di Moni Nillson, autrice svedese poco conosciuta nel nostro paese ma piuttosto affermata all’estero, sono uno spaccato di vita da ragazzi: La gita di classe, in particolare,  parla la lingua dei ragazzi, ricalca i pensieri dei ragazzi e racconta pezzi di vita dei ragazzi. Accentuando (fin troppo forse per un occhio adulto) questa sintonia con il giovane lettore, l’autrice gli racconta una gita di classe al lago con tutte le aspettative, gli amori, i litigi, i carichi familiari e i guai che questa può portare con sè.

A tenere le fila del racconto, é la penna di Malin che in forma di diario riporta eventi ed emozioni dei giorni al lago, ricavando uno spazio di pensiero privilegiato per ciascuno dei suoi compagni di classe. Le parole, infatti, sono sempre quelle della ragazza ma il punto di vista, capitolo dopo capitolo, sembra passare di mano in mano come un testimone. Così, il lettore viene a sapere qualcosa in più sulla vita e sulla storia delle timida Emelie, del duro Rasmus, della frignona My, dell’insicuro Elliot o della robusta Josefine. Dietro e dentro gli amori giovanili, le piccole bravate, le amicizie altalenanti e i grandi sogni adolescenziali de La gita di classe c’è una moltitudine variegata di  personaggi, dipinti in tutta la loro fragilità, tipica di quell’età di passaggio in cui i richiami all’infanzia si fanno ancora sentire ma il desiderio di sentirsi grandi tende ad imporsi. L’autrice mette in particolare a fuoco, pur senza ricorrere ad ammonimenti e riflessioni esplicite, come amicizie e relazioni possano far cambiare le persone, come gli individui possano risultare più spesso del previsto sorprendenti e come ciascun0 di noi sia il frutto di una storia, spesso difficile da immaginare, che non merita di essere giudicata superficialmente.

Il libro sfrutta un font ad alta leggibilità open source chiamato OpenDyslexic e reperibile online anche dai lettori. Questo contribuisce senz’altro a facilitare la lettura in caso di dislessia benché il ricorso a spaziature e sbandierature mirate avrebbe a sua volta rafforzato questa possibilità. E’ bello in ogni caso che inizino a moltiplicarsi le case editrici attente alla questione dell’accessibilità di lettura. La Qudu, che ha pubblicato La gita di classe, è molto piccola ma disponibile alla sperimentazione. Anche a livello di traduzione, non a caso, proprio il libro di Moni Nillson è frutto di un lavoro di gruppo che ha visto coinvolti ben dodici professionisti.

 

 

Quadrato al mare

Che i libri in casa Minibombo profumino di gioco è ormai felicemente noto. La dimensione ludica è componente essenziali di tutti i titoli per i piccolissimi firmati dalla casa editrice emiliana. Che si tratti di trovare somiglianze e differenze (Si vede non si vede), riconoscere un animale da un dettaglio (Vicino Lontano) o seguire una storia che procede per iterazione (Il libro bianco) o accumulazione (Dalla chioma), quel che è certo è che il lettore avrà un ruolo attivo nella lettura e non avrà modo di annoiarsi.

Così accade anche negli ultimi due libri curati da Silvia Borando: Triangolo al circo e Quadrato al mare. Qui, come nei suoi silent book precedenti, l’autrice trasforma geometrie elementari in oggetti che raccontano storie. In Triangolo al circo, per esempio, un apparentemente insignificante triangolo rosso si fa prima tendone, poi trombetta, e ancora strumento da giocoleria, cravattino, serpente da ammaestrare e – per il gran finale – uomo-cannone. Il gioco è ritrovare, a ogni voltar di pagina, l’equilatero sornione che si mimetizza senza perder la posizione, e ricontestualizzarlo in virtù delle forme che lo circondano. Sono infatti cerchi, rettangoli, quadrati e altri triangoli dalle dimensioni e dai colori variegati a comporre le figure circensi del libro e a fornire al lettore indizi stilizzati per risemantizzare il protagonista. È una storia di realtà e apparenza, di somiglianze e differenze, di forme e significati, insomma, quella che si nasconde tra queste coloratissime pagine al semplice ma eloquente motto di “Tienimi d’occhio!”.

Allo stesso modo, in Quadrato al mare, fisso e immobile qualunque cosa accada, un quadratino blu assume i panni di cravatta, di pipa o di paletta o di boccaglio. Anche qui, definito il tema del volume, il protagonista diventa dettaglio di una moltitudine di figure differenti unite da una sola ambientazione. Al lettore la scelta di leggere ogni pagina come a sé stante o di rintracciare un filo narrativo che unisca i diversi personaggi. L’assenza di parole, in questo senso, non solo favorisce la fruizione anche in caso di difficoltà di lettura, ma spalanca le porte all’invenzione meno imbrigliata. Come da tradizione, inoltre, non mancano il ricorso a una tavolozza di colori densi e ben marcati e la predilezione per forme non solo semplici e riconoscibili ma anche facilmente riproducibili.

Perché il gioco della lettura deve poter continuare anche una volta che il libro si chiude e i Minibombo’s, in questo, sono davvero imbattibili. Il lettore è naturalmente portato a proseguire le avventure dei protagonisti, trovando loro nuove collocazioni e nuove storie, e in questo, viene sostenuto e incentivato. Sul sito della casa editrice si trovano infatti spunti di attività per creare, in grande semplicità, a partire da un comune triangolo o da un banale quadrato. Il tutto a reale misura di bambino, per una nuova geometria dell’immaginazione.

Triangolo al circo

Che i libri in casa Minibombo profumino di gioco è ormai felicemente noto. La dimensione ludica è componente essenziali di tutti i titoli per i piccolissimi firmati dalla casa editrice emiliana. Che si tratti di trovare somiglianze e differenze (Si vede non si vede), riconoscere un animale da un dettaglio (Vicino Lontano) o seguire una storia che procede per iterazione (Il libro bianco) o accumulazione (Dalla chioma), quel che è certo è che il lettore avrà un ruolo attivo nella lettura e non avrà modo di annoiarsi.

Così accade anche negli ultimi due libri curati da Silvia Borando: Triangolo al circo e Quadrato al mare. Qui, come nei suoi silent book precedenti, l’autrice trasforma geometrie elementari in oggetti che raccontano storie. In Triangolo al circo, per esempio, un apparentemente insignificante triangolo rosso si fa prima tendone, poi trombetta, e ancora strumento da giocoleria, cravattino, serpente da ammaestrare e – per il gran finale – uomo-cannone. Il gioco è ritrovare, a ogni voltar di pagina, l’equilatero sornione che si mimetizza senza perder la posizione, e ricontestualizzarlo in virtù delle forme che lo circondano. Sono infatti cerchi, rettangoli, quadrati e altri triangoli dalle dimensioni e dai colori variegati a comporre le figure circensi del libro e a fornire al lettore indizi stilizzati per risemantizzare il protagonista. È una storia di realtà e apparenza, di somiglianze e differenze, di forme e significati, insomma, quella che si nasconde tra queste coloratissime pagine al semplice ma eloquente motto di “Tienimi d’occhio!”.

Allo stesso modo, in Quadrato al mare, fisso e immobile qualunque cosa accada, un quadratino blu assume i panni di cravatta, di pipa o di paletta o di boccaglio. Anche qui, definito il tema del volume, il protagonista diventa dettaglio di una moltitudine di figure differenti unite da una sola ambientazione. Al lettore la scelta di leggere ogni pagina come a sé stante o di rintracciare un filo narrativo che unisca i diversi personaggi. L’assenza di parole, in questo senso, non solo favorisce la fruizione anche in caso di difficoltà di lettura, ma spalanca le porte all’invenzione meno imbrigliata. Come da tradizione, inoltre, non mancano il ricorso a una tavolozza di colori densi e ben marcati e la predilezione per forme non solo semplici e riconoscibili ma anche facilmente riproducibili.

Perché il gioco della lettura deve poter continuare anche una volta che il libro si chiude e i Minibombo’s, in questo, sono davvero imbattibili. Il lettore è naturalmente portato a proseguire le avventure dei protagonisti, trovando loro nuove collocazioni e nuove storie, e in questo, viene sostenuto e incentivato. Sul sito della casa editrice si trovano infatti spunti di attività per creare, in grande semplicità, a partire da un comune triangolo o da un banale quadrato. Il tutto a reale misura di bambino, per una nuova geometria dell’immaginazione.

Mentre tu dormi

Mentre tu dormi di Mariana Ruiz Johnson è l’albo vincitore del Silent Book Contest 2015. Aprite, sfogliate, fate vostro questo volume e non vi sarà difficile capire le ragioni del riconoscimento. Le immagini dell’autrice argentina contenute nel libro sono a dir poco ipnotiche e raccontano in punta di pennello di un confine labilissimo tra realtà e sogno.

L’albo si apre con un’inquadratura ristretta su un bambino e sulla sua mamma, ripresi con garbo nel rito della buonanotte. Nei loro sguardi c’è attesa e dolcezza e un libro dalla copertina intrigante pare suggellare l’intimità del momento. Qualcosa sta per succedere ma per scoprirlo occorre forse abbandonarsi ai sogni.. è a quel punto, proprio quando il piccolo protagonista chiude gli occhi, che l’inquadratura infatti si allarga – sulla stanza, sulla casa, sull’isolato, sul quartiere, fin sull’intera citta – spalancando lo sguardo del lettore su pagine sempre più ampie e dettagliate. Qui, esseri umani alle prese con faccende quotidiane – una festa, una passeggiata, una mail di lavoro – si mescolano a creature fantastiche dai tratti animaleschi (un coniglio, una volpe, un orso, un cervo, un uccello e un ghepardo) non del tutto estranee all’occhio attento. Sono proprio questi ultimi, a un certo punto, a dominare la scena prendendo il mare e conducendo chi legge in un mondo meravigliosamente surreale. Qui, tra luci e colori strabilianti, hanno luogo folleggiamenti che tanto sanno di ridda selvaggia e anche per questo solleticano ricordi e fantasie di lettori più o meno grandi. È festa grande, a centro pagina. Poi però tutto finisce, la città si sveglia mostrando gli esiti della notte e restituendo alla vista protagonisti più terreni. Il mondo fantastico si è dissolto, ma forse non sarà così difficile ritrovarlo quando calerà di nuovo la sera…

In una canzone dal titolo quasi identico (Mentre dormi) all’albo di Mariana Ruiz Johnson, Max Gazzè canta “Le piume di stelle sopra il monte più alto del mondo a guardare i tuoi sogni arrivare leggeri”. Ecco, è quasi un caso ma la sensazione di leggera felicità che questo albo lascia tra le dita al termine della lettura non potrebbe forse essere espresso meglio..

Gli alberi volano

L’unione fa la forza: ce lo hanno insegnato libri senza tempo come Guizzino di Lionni e ce lo ricorda ora Gli alberi volano di Tessaro. Nel suo bel libro senza parole, finalista del premio Silent Book 2014, l’autore racconta infatti una storia di rivolta giocosa contro un nemico comune ad esseri apparentemente indifesi. Appena uscito dalle candide uova, uno schieramento di uccellini si fa gioco di uno stolido cacciatore camuffandosi da foresta e suscitando una reazione tanto ingenua quanto divertente.

Senza rinunciare al sorriso, Gek Tessaro prende posizione sul tema della caccia regalando alla natura l’ultima parola in una lotta secolare e offrendo un chiaro esempio di quanto possa essere ottuso l’essere umano. Lo fa peraltro ricorrendo alla sola narrazione per immagini che parla un linguaggio comprensibile anche a chi fa normalmente a pugni con il testo scritto.

Pur richiedendo alcune inferenze non proprio banalissime, Gli alberi volano propone una storia fruibile e spiritosa. In questo senso, l’abilità di Gek Tessaro sta nel rendere straordinariamente espressivi piccoli dettagli all’interno delle illustrazioni. Così, gli occhi prima circospetti, poi confusi e infine disperati del cacciatore la dicono lunga su quel che sta succedendo tra le pagine e offrono indizi preziosi per decodificare l’inganno ai suoi danni. Allo stesso modo, il crescendo iperbolico di uccellini messi in scena dall’autore paiono proprio risuonare nelle orecchie del lettore, aiutandolo a godere del piacevole ritmo del volume.

S.O.S. Supplente in arrivo

Luca – protagonista e narratore di S.O.S. Supplente in arrivo – è un bambino di 9 anni ciarliero, fantasioso e pieno di iniziativa. Basti pensare che per ingraziarsi la famigerata supplente Celli detta Lametta, poco ben disposta a causa delle sue pessime performance in italiano, raccoglie per strada fiori e spighe di grano da regalarle (e chi poteva sapere che Lamette fosse proprio allergica alle graminacee) o che per dissuaderla dal continuare a interrogarlo, le recapita una lettera minatoria zeppa di errori ortografici. In un susseguirsi di simpatici quadri scolastici, conditi da qualche gustosa invenzione linguistica (irresistibile l’ “Oh, santa play-station” di pagina 22), Luca fa emergere con il sorriso gli ostacoli e i timori che moltissimi bambini con DSA condividono con lui.

Isabella Paglia racconta una storia di normale dislessia regalandole però un tono leggero e sorridente. Centrale, sia ai fini della narrazione sia ai fini del rimando alla realtà, la figura della supplente che, pur mostrandosi inflessibile (cosa che dà un divertente sprint alla storia) si rivela infine capace di cogliere le difficoltà del protagonista e di aiutarlo a superarle. A quelle stesse difficoltà, peraltro, il libro dedica un’attenzione supplementare grazie a un font specifico e a una spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe. S.O.S. Supplente in arrivo è infatti il primo volume (si spera di una lunga serie) pubblicato dalla casa editrice Coccole Books con caratteri di alta leggibilità.

S.O.S. Supplente in arrivo

Luca – protagonista e narratore di S.O.S. Supplente in arrivo – è un bambino di 9 anni ciarliero, fantasioso e pieno di iniziativa. Basti pensare che per ingraziarsi la famigerata supplente Celli detta Lametta, poco ben disposta a causa delle sue pessime performance in italiano, raccoglie per strada fiori e spighe di grano da regalarle (e chi poteva sapere che Lamette fosse proprio allergica alle graminacee) o che per dissuaderla dal continuare a interrogarlo, le recapita una lettera minatoria zeppa di errori ortografici. In un susseguirsi di simpatici quadri scolastici, conditi da qualche gustosa invenzione linguistica (irresistibile l’ “Oh, santa play-station” di pagina 22), Luca fa emergere con il sorriso gli ostacoli e i timori che moltissimi bambini con DSA condividono con lui.

Isabella Paglia racconta una storia di normale dislessia regalandole però un tono leggero e sorridente. Centrale, sia ai fini della narrazione sia ai fini del rimando alla realtà, la figura della supplente che, pur mostrandosi inflessibile (cosa che dà un divertente sprint alla storia) si rivela infine capace di cogliere le difficoltà del protagonista e di aiutarlo a superarle. A quelle stesse difficoltà, peraltro, il libro dedica un’attenzione supplementare grazie a un font specifico e a una spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe. S.O.S. Supplente in arrivo è infatti il primo volume (si spera di una lunga serie) pubblicato dalla casa editrice Coccole Books con caratteri di alta leggibilità.

Allora non scrivo più

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Margherita è una bambina solare e socievole che ama più di tutto i giochi e le corse in bicicletta con il suo amico Paolo. Ciò che odia più di tutto, invece, è dover scrivere alla lavagna o sul quaderno, perché malgrado si concentri intensamente c’è sempre qualcosa di sbagliato che esce dalla sua penna. Margherita è disgrafica, anche se questa parola non viene mai pronunciata in Allora non scrivo più, e questo – complice una maestra poco preparata – la rende lo zimbello della classe. Margherita subisce così prese in giro e forme di esclusione guidate con furore dalla perfida compagna Daniela. Solo Paolo, anch’egli a suo modo schernito per via di una grossa cicatrice sulla mano, si mostra comprensivo e affettuoso nei suoi confronti a dispetto della cattiveria circostante. Grazie al suo supporto e a una diagnosi finalmente arrivata a scuola che le consente di usare uno strumento come il computer, Margherita riesce infine a trovare la sua dimensione in classe.

Annalisa Strada, con quel suo modo di scrivere pacato e accorto, lascia grande spazio alle emozioni della protagonista, restituendo loro il ruolo cardine che giocano nell’accettazione di un disturbo specifico dell’apprendimento. Aprendo il racconto con la ripresa diretta di un momento di grande imbarazzo e rabbia, dettato dall’incapacità della protagonista di scrivere correttamente una frase alla lavagna,  l’autrice manifesta l’intenzione di sezionare il carico emotivo che una diversità marcata come la disgrafia reca con sé. Indugiando poi sui pensieri di Margherita in diverse situazioni di vita scolastica e domestica,  ha il merito di mettere a fuoco la grande influenza esercitata dal giudizio degli altri (o anche solo l’ipotesi del giudizio degli altri) sul comportamento di chi si sente fuori posto, e di sottolineare come gli adulti – insegnanti e genitori soprattutto – possano fare la differenza affrontando in maniera positiva una difficoltà scolastica molto diffusa.

A fronte di una lettura piacevole e attenta ai sentimenti, rimane l’interrogativo, già avanzato in occasione dell’uscita di Ti volio tanto bene circa la ragione di un’impaginazione ad alta leggibilità che la collana de Il Battello a Vapore limita ai libri che trattano il tema dei DSA. Benissimo – sia chiaro – che questi ultimi possano raggiungere anche chi da dislessia è direttamente colpito, ma ci si chiede se non sia un po’ miope e posticcia questa scelta che lascia presumere un interesse del dislessico per le sole storie che trattano il disturbo. La speranza è che un numero sempre maggiore e sempre più variegato di titoli possa beneficiare di una carattere più friendly così da sancire con determinazione l’interesse ad allargare le possibilità di lettura di bambini con difficoltà.

 

 

Avventura all’isola delle foche

Quando si è abituati a due genitori separati – un papà distratto e una mamma rompiscatole, nella fattispecie – l’idea di trascorrere un’intera vacanza con la propria amica del cuore e con la sua avventurosa famiglia anglo-italiana arriva come una ventata di aria fresca. Aria fresca come quella dell’isola di Texel, a nord dell’Olanda, dove la famiglia Regoli, in compagnia della protagonista e narratrice Teresa, è diretta per un soggiorno rilassante alla scoperta delle splendide foche di Bajkal che proprio lì vivono sfidando l’estinzione.

Ma il viaggio riserva ben altre sorprese alla strana comitiva – formata oltre che da Teresa e dall’amica Maddy, anche dai fratelli di quest’ultima (Anthony il cafone e Mark il solitario) e dai coniugi Regoli (il papà dai tratti vintage e la mamma fan delle uova sode). Sull’apparentemente tranquilla isola delle foche che dà il titolo al volume le due ragazze incappano in un pericoloso affare di rapimenti, bottini e loschi individui. La curiosità, il desiderio di fare colpo sul nuovo amico olandese Georg e la capacità di non farsi ingannare dai pregiudizi consentirà loro di portare a termine una missione da vere eroine ambientaliste.

In poche e scorrevoli pagine, Arianna di Genova (già attiva per i tipi ad alta leggibilità di Biancoenero con Mamma in fuga e Ecovendetta) condensa un’avventura facile da seguire e accattivante per un pubblico di ragazzi in crescita ai cui interessi, atteggiamenti e pensieri l’autrice dedica attenti riferimenti. Le illustrazioni di Sarah Gavioli, dal canto loro, spezzano e vivacizzano la lettura con un tratto minimal e un uso dei bianchi e dei neri che ben si adatta alla narrazione.

Armanda, Elvis e gli altri

Mettetevi comodi e preparatevi a una lettura breve ma traboccante di capriole linguistiche e inventive. Dalla penna di Emanuela Da Ros esce infatti un personaggio impetuoso – la vecchia ma arzilla strega Armanda – le cui trovate per animare la vita del figlio Gianperfetto e della nuora Ersilia sono un concentrato di buonumore.

Descritte dalla protagonista all’interno di lettere inviate all’amica Mirtilla, queste spaziano dall’invenzione di una sedia a motore alla trasformazione del te pomeridiano in gustosi cocktail magici, dalla metamorfosi della nuora in una statua di marmo all’utilizzo degli elettrodomestici come sistemi di posta rapida. Nella sua breve permanenza a casa di Gianperfetto ed Ersilia (mago non praticante lui e umana lei), Armanda si dà un gran da fare per dare una mano e una sferzata di energia alla vita dei due mosci sposi. Purtroppo (per loro, ma per fortuna per noi) la sua dimestichezza con le tecnologie moderne è tutt’altro che brillante sicché equivoci e gag nati da oggetti quotidiani sono dietro l’angolo. Se a questo si aggiungono i ricordi di giovinezza di Armanda, sposa nei suoi 1453 anni di innumerevoli personaggi famosi – da Cavour a Elvis, da Mongolfier a Darwin – si ottiene un quadro narrativo davvero surreale.

La lettura di Armanda, Elvis e gli altri è insomma piacevole (anche le biografie di molteplici sposi sono frequenti ma non invasive anche perché tipograficamente distinte dal resto del testo), il ritmo è serrato, le invenzioni incessanti e l’impaginazione ad alta leggibilità: questo racconto nel segno dell’iperbole, in cui ogni pagina sfida l’immaginazione del lettore, è davvero un gustoso invito alla lettura rivolto anche a chi di lettura vuol saperne poco, sia per disabitudine sia per oggettiva difficoltà.

 

 

 

Miramuri

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Si può scrivere una poesia solo con le figure? Forse sì, o almeno così vien da pensare scorrendo le insolite pagine di Miramuri.  Il bizzarro libro ideato da Massimiliano Tappari e Alessandro Sanna procede infatti per quartine illustrate in cui le pagine sono come versi a rima incrociata: disegno-fotografia-fotografia-disegno. Quel che accade all’interno di questo silent book è che il dettaglio fotografico di un muro – una crepa, una macchia o una texture – suggerisca un soggetto e che l’insieme suggerisca una storia. Così, i particolari fotografati da Tappari diventano pesci, palazzi, coccodrilli e montagne coi quali interagiscono personaggi dalle linee essenziali in pieno stile Sanna.

Ogni quadro narrativo, perciò, si apre con lo schizzo di un ambiente o di un protagonista accostato all’inquadratura singolare di un pezzetto di muro: una lepre e un pavé, un domatore e una serratura, una tela e dei graffi. Come si legheranno?  E che avventura potrà nascerne?  Il lettore è chiamato a fare le sue ipotesi dopodiché, tempo di un voltar di pagina, potrà verificarle e compiacersi del proprio intuito o sorridere della sorpresa trovata. L’assenza totale di testo lo lascia inoltre libero di dare voce alla storia, animando dettagli apparentemente insignificanti con parole ricche di personalità.

La presenza di sole immagini, unita alla brevità delle storie, godibili anche singolarmente prese, rende il volume particolarmente apprezzabile anche in caso di dislessia, sordità o disturbi legati alla decodifica delle parole scritte. Facendo leva sul solo fortissimo potere narrativo racchiuso nelle immagini Miramuri si fa incentivo di incontro nel segno dell’immaginazione,  invito alla curiosità e strumento di educazione allo sguardo. Attraverso i suoi micro-racconti di strada solletica l’invenzione e la capacità di vedere oltre il quotidiano e i suoi muri per scorgere spiragli rinvigorenti di storie, avventure e vitalità.

 

La principessa e lo scheletro

Chi non ha nemmeno uno scheletro nell’armadio alzi la mano! Figurarsi, persino i sovrani più adulati e venerati dai sudditi nascondono qualche macchia del passato e il papà di Lulù, principessa di un regno un po’ moderno e un po’ no, non fa di certo eccezione. Nel suo armadio vive uno scheletro fatto e finito che custodisce per conto del re un misteriosissimo segreto in un cofanetto da cui non si separa mai. Il segreto è quindi salvaguardato fino a quando Lulù non incontra per caso lo scheletro che di nome fa Ossi intento a fare incetta di dentifricio nel bagno del castello. Da quel momento il signor Ossi viene presentato alla regina e alla servitù come una famosa star del cinema in visita, viene agghindato a dovere dalla principessa e portato a zonzo per il regno. Ma proprio durante una passeggiata tranquilla lo scheletro, coinvolto in un imprevisto attacco canino, perde di vista il cofanetto e il suo prezioso contenuto. Lui e la principessa Lulù si mettono quindi sulle tracce del ladruncolo coinvolgendo inconsapevolmente nella loro ricerca una schiera di personaggi davvero variegata: dai compagni di scuola che credono Lulù controllata dagli alieni, a Luigi che rovista nei bidoni, dal professore universitario ormai dedito alla tessitura di tappeti all’intero corpo di polizia del regno. In una caccia al tesoro ricca di colpi di scena Lulù finirà per conoscere suo papà sotto una luce diversa dando un valore nuovo ad apparenza e realtà.

Il libro di Piret Raud, caratterizzato da tinte surreali e stravaganti, offre un’avventura intrigante, fruibile anche da parte di lettori colpiti da dislessia. Gli accorgimenti tipografici ad alta leggibilità a cui ormai da tempo Sinnos ci ha abituati vengono qui applicati a un testo piuttosto lungo e corposo che offre una bella sfida di lettura.

La baraonda di Corradino

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La generazione cresciuta con Dov’è Ubaldo? (meglio noto ai più come Dov’è Wally?) proverà di certo una sensazione familiare alla vista dell’albo La baraonda di Corradino. Le 32 pagine che compongono l’originale libro di Jan Von Holleben brulicano infatti di figure e invitano a gran voce alla ricerca di dettagli ancora non scorti.

Quello che l’autore tedesco si è divertito a fare è costruire una semplice trama e svilupparla attraverso personaggi e oggetti reali fotografati in posa, rimpiccoliti e inseriti in un contesto fotografico composto da innumerevoli altre persone e cose in movimento. Risultato: la lettura diventa una caccia minuziosa alla ladra Miss x che fugge da Tom il poliziotto o a Giusy (la cui t-shirt a righe rosse e bianche strizza l’occhio al capostipite dei personaggi-camaleonte) e Finn che scorrazzano tra scuole, strade e zoo stravaganti.

Vicenda e personaggi chiave sono condensati nelle dieci righe in quarta di copertina, il che con buona probabilità porterà il lettore a scorgerle solo una volta chiuso il libro. Tanto meglio: sarà la più intrigante delle scuse per riprendere il volume da capo e immergersi in una nuova e diversa esperienza di lettura, guidata questa volta da un canovaccio narrativo. Se c’è una cosa di cui si può star certi, infatti, è che con un libro come questo difficilmente si resta a corto di sorprese anche dopo due, cinque, dieci letture. Ci sarà sempre una giraffa fatta di bambini, un robot fatto di circuiti e scatole o un animale fatto di pinne e tessuti che acchiapperà il nostro occhio e la nostra curiosità. E sarà ancor più divertente analizzarne più a fondo i componenti nella pagina successiva, giacché il volume alterna pagine a campo largo che illustrano un ambiente con tutti i suoi elementi (la scuola, per esempio, con tanto di classi, allievi, cortile, scuolabus e zona merenda) e pagine più zoomate che rivelano minuzie di alcuni di quegli elementi (cosa contiene l’armadio di classe, come viene dipinta la cartina appesa al muro o chi ha fatto una brutta fine nella partita di basket). Un’inesauribile caccia al tesoro, insomma, che ipnotizza con umorismo.

La vera singolarità del libro sta nel fare della fotografia uno strumento espressivo estremamente creativo (come i fedelissimi di Art Attack hanno imparato da Neil il grande artista); nell’offrire possibilità variegate di lettura poiché ognuno può gustare a piacere il complesso della pagina e i suoi particolari; e nel conciliare con grande intelligenza opposti interessanti quali grandezza e piccolezza, movimento e stasi, vicinanza e distanza, frenesia e indugio: perché un silent book come La baraonda di Corradino è un gioco divertente e divertito di spazi e di tempi, che regala a cose e persone una nuova vita e che restituisce al lettore il diritto di far propria la pagina.

Libro fiore

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Le persone, come le piante, sono tante e diverse. Timide, diffidenti, generose, incontentabili: tutte si distinguono per un modo particolare di affrontare l’esistenza, come raccontano con piacevole stupore Isabella Christina Felline e Elena Martini all’interno del Libro fiore. L’albo, edito da Ouverture Edizioni, raccoglie una carrellata di tipi umani differenti, a ciascuno dei quali viene dedicata una breve poesia e un’illustrazione a tutta pagina. Fanno così la loro comparsa personaggi come Emi, tenace seminatore anche in terreni ostili e come Sim che, diffidente, vuol tenere il suo seme tutto per sé; personaggi come Asi, coltivatrice di fiori per gusto estetico e Opa che, al contrario, non pianta un bel niente perché poco avvezzo a faticare; o ancora personaggi come Cin che da vero materialista coltiva pensando solo al guadagno e come Sam che, impaziente, non vede l’ora di far crescere la sua pianta.

Il filo sottile ma efficacissimo che unisce umani e piante, per ricchezza, varietà e straordinario potenziale di crescita è affascinante e lascia spazio a interessanti riflessioni per e con i possibili lettori. Che tipo di coltivatore, di seme e di albero potrebbe essere ognuno di noi? Sulla scia dello straordinario albo Saremo alberi Di Mauro Evangelista, pubblicato qualche anno fa da Artebambini, Libro fiore vede nel modo in cui ci si può prendere cura di un seme una metafora del modo in cui si può stare al mondo. Stimolante e originale, il libro strizza anche l’occhio anche a bambini e ragazzi colpiti da dislessia grazie all’impiego del carattere ad alta leggibilità Dyslexie font (peraltro scaricabile gratuitamente dai lettori per uso domestico). Il largo spazio concesso all’illustrazione e i testo contenuti e in rima costituiscono dal canto loro un’ulteriore esca appetibile per lettori riluttanti.

Sibilla nel cappello

Un saliscendi tra picchi e insuccessi scolastici portano mamma e papà al verdetto: obbligatorio per la figlia un soggiorno dalla nonna per rimettersi in carreggiata e concentrarsi sullo studio. Così Nina, la protagonista di Sibilla nel cappello, si trova in quattro e quattr’otto in un paese in cui non c’è né connessione né il mare (che peraltro è in cima alla sua personalissima top ten delle cose preferite) e in cui le persone sembrano noiose o matte. Già, matte come Gigi, l’uomo che porta quattro cappelli uno sull’altro e che si lava i piedi alla fontana con i calzini e tutto il resto. L’uomo che una sera come tante corre a perdifiato nel buio della notte per venire in soccorso di un riccioluto ragazzino. Cosa nasconderanno i due? E per quale motivo saranno in rotta continua con l’affascinante Tito dai capelli rossi?

Mossa dalla curiosità, Nina non tarderà a scoprirlo e si butterà a capofitto in un’operazione di salvataggio di Sibilla, un’insolita creatura lacustre oggetto di grandi dispute. È una piccola grande avventura, insomma, quella che travolge la ragazzina e che si consuma in poco più di cinquanta pagine. Ma è anche e soprattutto un’esperienza di conoscenza, prima di tutto di sé stessa. È attraverso il confronto con personaggi tanto particolari come Gigi, Tito o Mimmo il ricciolino che Nina inizia a definire ciò che vuole e ciò che non vuole essere. Così, grazie alla penna sempre incisiva e diretta di Luisa Mattia il suo diventa un breve ma intenso percorso di crescita e consapevolezza che ci tocca nel profondo, colpendo al nocciolo di pensieri e sentimenti.

 

Mamma, anche le rondini sognano?

Un libro che ha il ritmo e e l’andamento fluido di un sogno, che procede per immagini e passa in scioltezza da un’evocazione all’altra, che sfida gli ostacoli della razionalità per esplorare le terre dell’immaginario. Ecco, Mamma, anche le rondini sognano? ha un po’ questa veste e si propone come un viaggio sospeso tra  cielo e terra, sulla scia dei pensieri, dei desideri e delle curiosità di una bambina di nome Uori. Appesa al filo di un grande e leggero cuore rosso, la protagonista si solleva sopra la città e sulle distese d’erba, tra le nuvole e in mezzo alle onde, fino a quando non fa ritorno nella sua “conchiglia con le ruote”, metafora di una disabilità motoria che il lettore nota soltanto alla fine del racconto. A quella conchiglia, che protegge e al contempo imprigiona,  le parole di Sandra Dema e le illustrazioni di Anna Curti non fanno infatti cenno fino a quando il sogno di Uori non è finito e la lettura non volge al termine, come a sottolineare che i sogni appartengono a tutti e possono donare slancio e vitalità preziosi anche a chi si scontra con barriere fisiche di vario tipo.

Quella di Mamma, anche le rondini sognano? è una lettura non semplice e immediata ma capace di avvolgere e generare sintonie tra pari ma soprattutto tra grandi e piccoli. Raffinato e rarefatto, il libro di Sandra Dema e Anna Curti chiede pazienza e silenzio, gli stessi che esige un sogno ben fatto. A muoversi tra “cuori in corsa nelle scatole di latta” e “sbuffi di panna montata” serve dimestichezza poetica e disponibilità all’ascolto, poiché sono terreni ricchissimi ma poco battuti. Le parole ben scelte e le immagini impalpabili dell’albo invitano insomma all’indugio, a “far prendere aria” ai sogni come all’immaginazione, nel cui segno ci sentiamo accomunati e determinati a dissolvere costrizioni e limiti.

 

 

 

Hank Zipzer e il peperoncino killer

San, ni ichi…via: la due giorni nel segno del Giappone sta per iniziare nella scuola SP 87 e Hank Zipzer, come tutti i suoi compagni, ne è elettrizzato. Figuratevi quando il suo nome viene estratto dal cappello a brillantini di Ashley assegnandogli ufficialmente il compito di ospitare a casa sua Yoshi,  il figlio del signor Morimoto, preside della scuola gemellata. Hank non sta più nella pelle e si dà un gran daffare per organizzare un soggiorno indimenticabile con l’aiuto dell’intera famiglia Zipzer e dello schieramento al completo di amici storici. Per di più Yoshi si rivela essere estremamente socievole e simpatico perciò le premesse per la sua visita newyorkese non potrebbero essere migliori.

Ma i guai non tardano a farsi avvistare quando Yoshi, Hank e la sua cricca si cimentano con la preparazione di speciali enchiladas messicane per il pranzo multiculturale della scuola. Tra un’iguana su di giri, una ricetta difficile da decifrare e il desiderio di fare colpo su un nuovo amico,  la dose di peperoncino scappa di mano e le enchiladas si trasformano in potenziali finger food incendiari. Ne scaturisce un pranzo tutto pepe(roncino) davvero esilarante in cui tuttavia l’onestà e l’amor proprio di Hank vengono messi a dura prova.

Più dei precedenti episodi della serie, Hank Zipzer e il peperoncino killer mette a fuoco in effetti il disagio che un disturbo specifico dell’apprendimento può portare con sè. Messo alle strette e forzato a render conto delle proprie difficoltà davanti a tutti, Hank rivela chiaro e tondo al lettore: “ Non penso che nemmeno i miei amici sappiano  veramente come ci si sente nei miei panni. Odio la sensazione di non essere intelligente come gli altri. Odio provare continuamente vergogna di me stesso. E odio non poter contare sul mio cervello per poter far bene le cose”. Nelle sue parole, pur inserite in un contesto spiritoso e leggero in pieno stile Winkler-Oliver, si leggono tutto il malessere emotivo e tutta la sfiducia in sé stessi che la dislessia può generare, soprattutto quando ci sono di mezzo amicizie, affetti o più in generale rapporti sociali. Per fortuna esistono insegnanti lungimiranti ed empatici capaci di cogliere anche una difficoltà non detta e di trasformare un momento di potenziale imbarazzo in una conversazione piena di sprint!

 

Il cane e la luna

Quando si sperimentano difficoltà di lettura, possono rivelarsi molto utili quei libri ad alto contenuto iconico e a bassa frequenza testuale. Il problema che si pone è tuttavia quello di trovare volumi che ricorrano a questa formula pur mantenendo un livello di complessità narrativa adatto anche un pubblico di lettori non piccolissimi. Ecco perché Il cane e la luna, freschissima proposta di Orecchio acerbo, ci pare una novità davvero stuzzicante.

Il libro è un omaggio al visionario padre della cinematografia George Méliès, reso noto al grande pubblico da uno degli ultimi film di Martin Scorzese: Hugo Cabret. Protagonista è in particolare la luna che in uno dei più celebri lavori di Méliès finisce infilzata: compagna di esibizione di un cane circense viene raccolta da quest’ultimo quando il circo si sbarazza di lei. I due affrontano intemperie e difficoltà, fino a quando il destino non riserva loro un incontro straordinario: al cane con un nuovo affettuoso padroncino e alla luna con un nuovo creativo proprietario.

Intenso e tenero, ma anche malinconico e introspettivo, Il cane e la luna racconta con l’evidenza delle immagini una storia di amicizia e fedeltà, di solitudini e destini incrociati. Le illustrazioni, cui gran parte della narrazione è affidata fatto salvo per poche, pochissime frasi disseminate qua e là, sono raffinate e tutt’altro che banali ma ciononostante comprensibili anche ad un occhio giovane e non troppo esperto. Certo, i rimandi alla storia del cinema, alle atmosfere fantastiche di Méliès e a un tempo in cui garantiscono un fascino particolare a un pubblico più maturo.

Jésus Betz

C’è un albo dalle tinte chiaroscure, dal testo asciutto e dalle immagini avvolgenti che non ha paura di guardare e dire la disabilità. È un albo pubblicato per la prima volta in Francia ormai quasi 15 anni fa e proposto al pubblico italiano di lettori dalle età diverse dalla Logos edizioni. Jesus Betz, il protagonista che dà il titolo al libro, è tra i personaggi disabili più emblematici e forti che la letteratura possa offrire. La diversità di Jesus, nato senza braccia e senza gambe, si manifesta d’impatto e con insistenza costringendo chiunque a fare i conti con pregiudizi e sentimenti contrastanti.

Il racconto procede per date significative – 33 in tutto, come a rivelare che il nome del protagonista non è poi tanto casuale: 33 pietre miliari che scandiscono una vita segnata dall’avventura e dal coraggio di rialzarsi. Sempre. Così Jesus, dopo un’infanzia sofferta allietata soltanto dalle cure premurose della madre, ricorda i suoi anni come vedetta a bordo delle navi, il calore generoso della compagna Mamamita, il lavoro come fenomeno da baraccone per il meschino Max Roberto, la fuga con l’amico Pollux, gli spettacoli con il Grand Cirque e l’amore felice con la splendida Suma Katra: una vita intensissima in cui gioie e dolori forse non si equilibrano ma in cui le prime prevalgono infine sui secondi, restituendo un’immagine della disabilità in cui il limite dipende in gran parte dalla maniera in cui ciascuno lo vive e dallo sguardo che gli altri vi dedicano.

L’albo, intenso e complesso, è un inno alla perseveranza e alla capacità di guardare avanti anche se paradossalmente il libro è costruito proprio come una lettera che ripercorre all’indietro dei ricordi.  Le parole scelte da Fred Bernard sono trasparenti e senza filtri: taglienti dove occorre, delicate dove serve. Ad esse si accompagnano le illustrazioni tutte giocate su toni caldi intorno all’ocra e votate a trasformare i sentimento turbolento di personaggi e lettori in un’atmosfera permanente di grande effetto.

Reato di fuga

La capacità di Christophe Léon di dipingere l’adolescenza con vividezza e sentimento è probabilmente la chiave di volta di un romanzo intenso come Reato di fuga.  In questo suo recente lavoro, pubblicato ad alta leggibilità da Sinnos, l’autore francese riprende infatti da vicino gesti ed emozioni di due ragazzi le cui esistenze sono stranamente destinate ad intrecciarsi.

L’uno, Sébastien, ha quattordici anni, è figlio di genitori divorziati, vive giorni piuttosto abitudinari con la madre e trascorre spesso il weekend in campagna col padre. L’altro, Loïc, ha diciassette anni, vive con la madre e lavora presso una fattoria vicino alla cittadina di campagna in cui il padre di Sébastien possiede la casa. Ed è proprio qui, un venerdì sera come tanti, che quest’ultimo spinge un po’ troppo sull’acceleratore per arrivare in tempo a un appuntamento e investe involontariamente la mamma di Loïc lungo la strada. L’incidente è piuttosto violento, tant’è che la vittima viene portata d’urgenza in ospedale e  qui rimane a lungo prima in coma e poi con grossi deficit di memoria, ma l’investitore non manifesta alcuna intenzione di fermarsi e prosegue la sua corsa con il figlio a bordo. Questo, più ancora che l’incidente stesso, travolge  Sébastien nelle settimane successive allo scontro. Ciò che il ragazzo sperimenta è lo strano tormento del senso di colpa quale sentimento trasferibile e accollabile per conto terzi, qualora questi mostrino di non volervi avere a che fare. E proprio a causa di questa sensazione così ingombrante e della frantumazione di un modello adulto fino ad allora solido e forte che Sébastien inizia a manifestare astio e attrito nei confronti dei genitori e a rivendicare spazi di autonomia. Ottenuta una settimana di vacanza in solitaria presso la casa di campagna, accade però che il ragazzo non resista dal prendere contatti con la famiglia della signora investita dal padre. Nasce così un’amicizia intensa con Loïc, fatta di momenti semplici ma importanti da condividere, di pomeriggi di svago, di parole giuste e di silenzi al momento opportuno. Fino a quando la verità, inevitabilmente, non viene  a galla.

La lettura di Reato di fuga, adatta a ragazzi dalle scuole medie in su, ha dalla sua una narrazione pulita e avvincente. Sentimenti forti, dialoghi senza fronzoli, figure e relazioni delicate e un gioco alternato tra punti di vista (a un capitolo narrato dalla voce di Sèbastien ne segue uno narrato da una voce esterna che dà del tu a Loïc) aiutano a tuffarsi con interesse nella storia. Il font ad alta leggibilità leggimi, poi, fa come al solito la sua parte per rendere valido tutto questo anche per i lettori dislessici.

 

 

 

Libri e ciambelle per Johnny

Ascoltare storie e divorare ciambelle: chi non scalpiterebbe di fronte a una prospettiva così deliziosa? Ecco perché immedesimarsi nel protagonista di Libri e ciambelle per Johnny, diventa cosa piuttosto immediata. Johnny è nella fattispecie un tenero criceto che si destreggia tra casa, scuola e biblioteca come potrebbe fare un qualunque bambino e che all’ultima pagina riesce a conciliare la sua passione smodata per letture e merende.

La sua storia, raccontata con grande semplicità da Giovanna Micaglio, è nata ed è stata largamente utilizzata con i piccoli frequentatori delle biblioteche romane all’interno di un progetto intitolato Il libro a portata di mano. L’origine artigianale giustifica le illustrazioni molto casalinghe ma non ha impedito ai curatori del lavoro di prestare un’attenzione professionale alla traduzione del testo in simboli PCS così che potesse risultare accessibile anche in caso di disturbi della comunicazione o deficit cognitivi. Il libro presenta inoltre una curiosa struttura in cui il testo tradizionalmente stampato appare capovolto in cima alla pagina di destra: un accorgimento a prima vista insignificante o al limite strambo che rivela però una destinazione d’uso precisa, all’interno di gruppi classe o gruppi di lettura, e una specifica abitudine da parte degli ideatori a fare delle letture condivise un momento agevole e piacevole. Questo stratagemma consente infatti al pubblico di godere di immagini e simboli senza costringere il lettore adulto ad acrobazie e salti mortali per leggere ad alta voce il testo.

Il risultato è un libretto piacevole da impiegare, resistente e funzionale anche al di là del contesto bibliotecario per il quale è nato. Lavori come questo, che nella stragrande maggioranza dei casi restano realizzati in copia unica presso le biblioteche che li mettono a punto, costituiscono un patrimonio estremamente prezioso per la lettura da parte di bambini con difficoltà comunicative e intellettive e meriterebbero possibilità di realizzazione in serie.

Il volo del riccio

Un papà che perde il lavoro è cosa drammaticamente attuale di questi tempi e ciononostante non sono molti i libri per ragazzi che col garbo e la sensibilità necessari sappiano trasformare in narrazione una situazione tanto diffusa. Eppure un cambiamento così significativo nella vita di un adulto porta con sé conseguenze importanti anche nella vita dei piccoli e dei giovani che gli ruotano intorno, come testimonia Eugenia, protagonista e voce narrante de Il volo del riccio.

Sono i suoi occhi inesperti ma attenti a registrare come mutino in famiglia gli equilibri e gli umori, oltre e più che le possibilità economiche, quando suo  papà viene licenziato. Nelle parole semplici della bambina si leggono tutta la frustrazione di un adulto ancora nel pieno delle sue capacità che vede il futuro annebbiarsi e l’annichilimento progressivo che questa porta con sé. Ma le occasioni di risollevarsi assumono a volta forme insolite: sta all’intraprendenza di ciascuno riconoscerle e coglierle. Così, il pretesto di un concorso artistico cui partecipa la classe di Eugenia diventa per il papà l’occasione per spendere il largo tempo libero a disposizione per dare vita a un’invenzione curiosa. Ne nasce un riccio volante per il quale tutta la classe dà il suo contributo, un secondo posto al concorso artistico e soprattutto un nuovo spiraglio per il papà di Eugenia che scorge nella creatività una possibile nuova strada da percorrere per risollevarsi.

La vicenda è raccontata con pacatezza e sincerità dalla penna raffinata di Agnès de Lestrade, che ha già abituato il lettore a storie misurate e toccanti con La grande fabbrica delle parole e Domani inventerò. In poche contenutissime pagine, l’autrice francese dà forma qui a una storia intensa ma alla portata di tutti, tanto più che le illustrazioni minimal di Umberto Mischi ne valorizzano la leggerezza e l’impaginazione ad alta leggibilità di Biancoenero ne apre la lettura anche a chi è colpito da dislessia.

Weekend con la nonna

Metti un weekend con la nonna ma scordati torte di more, telenovela e calzini all’uncinetto. C’è piuttosto da tirare fuori fegato e spirito di avventura per soggiornare nella casa del gigante, scongiurare l’incontro ravvicinato con un cinghiale e andare a caccia di grigni. L’insolito Weekend con la nonna raccontato da Stefan Boonen è così, tutto brividi e follie, prendere o lasciare. Lo si intuisce fin da pagina 11, quando il pullmino dell’anziana inizia a sgommare su strade impervie con i bagagli sui sedili e i nipoti sul tettuccio. Si parte a tutta birra, non c’è tempo da perdere…

Tre giorni passano in fretta e ci sono storie horror della buonanotte da ascoltare, frittelle di letame da digerire, balli da guerrieri selvaggi da fare, passi (centomila!) nel bosco degli alberi storti da affrontare. Ma anche – perché no? – arrampicate sulla grondaia e riflessioni silenziose da gustare. Perché il bello di una tre giorni filata dalla nonna è proprio quello: prendersi il proprio tempo e dedicarlo a piacere a ciò che fa stare bene, peripezie e pensieri che siano, insieme a una persona tanto cara quanto spericolata.

Familiarità e stramberia si respirano in parti uguali tra le pagine di Weekend con la nonna. Il gusto per le situazioni insolite e spiazzanti coltivato dall’autore non toglie posto infatti al senso di condivisione e intimità affettuosa noti anche al lettore la cui nonna risulti in qualche modo più convenzionale. Quel che si celebra qui è il valore delle piccole trasgressioni e dei segreti a fin di bene, del sapore dell’avventura che è migliore se non la si vive in solitudine, delle esperienze iniziatiche che da “piccoletto” ti fanno diventare grande e del senso di casa e famiglia che ciascuno si costruisce a modo suo e dei suoi cari.

In questo libretto smilzo ma intenso, profondamente divertente e curato nei dettagli, si legge di un rapporto inimitabile come quello tra nonni e nipoti: un rapporto che si nutre di leggerezza e spirito ludico. Stefan Boonen lo racconta con dialoghi incalzanti che strappano di continuo sorrisi, amplificati a dismisura dalle illustrazioni spiritose firmate da Melvin. Ma a rendere davvero straordinaria questa lettura, più che consigliata anche a lettori riluttanti, è la forma grafica davvero originale ed efficace.

Tutta giocata sulla combinazione di arancione, bianco e blu, la veste grafica di Weekend con la nonna sfrutta con perizia l’integrazione di testi e immagini (dove finisca uno e inizi l’altro è proprio difficile a dirsi!), il ricorso a caratteri di dimensioni e colori differenti e l’impiego dell’azzeccatissima font ad alta leggibilità leggimigraphic. C’è da scommettere che un esperimento come questo – il primo della casa editrice in cui la font caratteristica dei fumetti viene applicata a un testo rivolto ai più piccoli – intercetti facilmente i gusti dei lettori meno esperti, magari colpiti da dislessia, e più in generale che amino le storie spassose, quelle che poi, più spesso del previsto, costituiscono il ponte più solido per approdare a letture più complesse.

Caccia alla tigre dai denti a sciabola

Da quando Diego, personaggio burbero dal cuore di panna, ha fatto la sua comparsa nel film d’animazione L’era glaciale le tigri dai denti a sciabola godono di una fama solida e appagante. Parte quindi in discesa Il libro di Pieter Van Oudheusden, intitolato per l’appunto Caccia alla tigre dai denti a sciabola e dedicato a un mondo preistorico in cui il feroce felino fa tremare di paura intere tribù. Tra queste c’è anche quella del giovane Olun che, invitato dagli adulti a non immischiarsi nelle faccende di caccia, decide di avventurarsi da solo alla ricerca della famigerata tigre. La sua arma segreta: un misterioso sassolino bianco consegnatogli dallo stregone. Intimorito ma ben deciso a portare avanti la sua missione, Olun finisce per incontrare davvero la bestia feroce ma trova in extremis un modo originale per intrappolarla una volta per tutte. Il suo sassolino (di gesso) si rivela infatti uno straordinario e innovativo strumento da disegno che consente di immortalare l’animale esorcizzandone il potere terrificante. Da lì in avanti la passione per l’illustrazione dilaga tra i membri della tribù – bambini e adulti, uomini e donne – facendo cascare a sua volta Olun in una trappola: quella amorosa tesagli dalle bella e soprattutto furbissima Uma!

Caccia alla tigre dai denti a sciabola è un lavoro delizioso in cui si fondono una storia ben costruita, informazioni storiche accurate, piccole ma importanti ribellioni (dei giovani ma anche delle donzelle), idee di fondo interessanti sul potere dell’immagine e illustrazionii dal potere ipnotico. Le figuredi Benjamin Leroy brulicano infatti senza posa. Tratteggiate e irriverenti, costruiscono un mondo vivo intorno alla storia di Pieter Van Oudheuden invitando a sollazzarsi tra dettagli colmi di humour. Dagli animali che giocano a carte con le foglie alle iscrizioni rupestri in forma di coscia di pollo, dalle strategie di camuffamento del muflone alle illustrazioni sensuali di un gruppo goliardico di primitivi: ogni pagina è un invito a un sorriso, tanto meglio se condiviso in una lettura ad alta voce, resa peraltro più agevole dal piacevolissimo ricorso alla font maiuscola ad alta leggibilità leggimi.

G.E.K.A. Il mondo dietro gli occhi chiusi

Faticare ad addormentarsi alla vigilia di un importante compito in classe e ritrovarsi all’improvviso in un mondo fantastico: con tutta la stranezza del caso, questo è proprio ciò che succede a Giulio, una notte come tante. Sperso e frastornato, il protagonista di G.E.K.A non si ritrova tuttavia solo ad affrontare uno insolito viaggio in un mondo popolato da bizzarre creature e animato da misteriosi enigmi. A dividere con lui lo stupore e il desiderio di decifrare tante stranezze ci sono altri bambini incontrati via via da Giulio lungo il suo percorso e ad uno ad uno divenuti parte di una solidissima banda di amici.

La loro è una corsa avventurosa e avvincente in cui occorre districarsi tra mappe incomplete, messaggi cifrati, filastrocche apparentemente campate per aria e luoghi pericolosi. La forza della squadra sta tutta nelle peculiarità dei singoli che diventano ricchezza (e persino salvezza) per l’intero gruppo: così, per esempio, l’abitudine di Alice, cieca, a orientarsi senza l’uso della vista guida i ragazzi fuori da una caverna buia; Kevin, sordo, decodifica il messaggio trasmesso con i gesti da alcune statue del giardino; o ancora la memoria prodigiosa di Edoardo, autistico, consente a tutti di risolvere il mistero racchiuso in un quadro. Certo, le caratteristiche di ciascuno richiedono spesso accortezze supplementari (come prestare attenzione a non strepitare per non turbare chi come Edoardo patisce i rumori forti o come leggere ad alta voce per Alice ciò che gli altri possono tranquillamente leggere sulla carta) ma non accade forse lo stesso – sembra suggerire il libro – con le caratteristiche di ciascuno di noi?

G.E.K.A. Il mondo dietro gli occhi chiusi racconta così, attraverso prove straordinarie ma al contempo facilmente riconducibili al quotidiano di un bambino che abbia accanto un compagno con disabilità (penso per esempio al muoversi in classe, al giocare insieme, al trovare forme di comunicazione condivise) l’importanza di scoprire e dare senso al valore aggiunto che ciascuno può dare a una relazione di amicizia, ribaltando l’idea che chi sperimenta la disabilità possa solo ricevere e non anche dare. La storia è ben congeniata e minuziosa nel rendere un’idea tanto delicata. Peccato solo, forse, per quella scivolata in extremis sulla buccia di banana pedagogica che porta a sottolineare, con l’intervento della mamma al risveglio del figlio, il senso di quanto da questi appreso durante il sogno. Il messaggio era davvero molto forte e chiaro senza che occorressero parole supplementari. Il più delle volte, infatti, le storie vanno ben oltre quello che esplicitamente dicono.

Contro i cattivi funziona

Avere 13 anni è già di per sé piuttosto impegnativo: scuola, amicizie, cambiamenti, prime cotte e contrasti con i genitori (magari separati) danno un bel da fare a chiunque. Se poi ad aggiungersi c’è anche un fratello gravemente disabile mantenersi in piedi può diventare un’impresa per via delle prese in giro, degli atti di bullismo, degli sguardi compassionevoli o dei giudizi sprezzanti che affollano il quotidiano. Tutte cose molto familiari a Matteo Galbiati, la cui identità fatica a sganciarsi da quella del fratello Guido: 14 anni anagrafici e uno e mezzo celebrale, con gravi difficoltà comunicative e motorie.

Per questo la possibilità di cambiare scuola e ripartire da zero – quanto a conoscenze e reputazione – costituisce per il protagonista di Contro i cattivi funziona un’occasione imperdibile. Matteo decide di presentarsi ai nuovi compagni nascondendo a tutti l’esistenza del fratello. La cosa sembra funzionare, dal momento che il ragazzo riesce a entrare nelle grazie di Francesco, il più temuto e rispettato della scuola, e della sua banda di scagnozzi. Ma tenere in piedi una bugia tanto grossa si fa via via più difficile, soprattutto quando Guido inizia a frequentare la stessa scuola di Matteo, quando l’affettuosa vicina di casa Selene scopre la vita reale della famiglia Galbiati e prova piano piano a entrarvi e quando la banda di Francesco comincia a manifestare, con parole ma anche con i fatti, la propria avversione verso i più deboli e verso chi, avario titolo, li difende. Sarà dura per Matteo fare i conti con una situazione che rapidamente precipita e scoprirsi di colpo migliore di quanto non si mostrasse e più attaccato al fratello di quanto non credesse.

Attraverso una trama coinvolgente e dei dialoghi serrati, che guardano all’adolescenza con occhi disincantanti, Massimo Canuti offre un bel ritratto di un legame fraterno quanto mai complesso e travagliato. Dando voce ai siblings, ossia ai fratelli di persone con disabilità, l’autore sceglie di non abbandonarsi alla neutralità politically correct che spesso invade i libri sul tema per far emergere piuttosto il magma emotivo che spesso travolge chi vive una situazione di questo tipo, in bilico tra un affetto smisurato e un’insofferenza che porta a rimorchio il senso di colpa. La schiettezza, al servizio della complessità, è dunque la vera forza di un volume coraggioso come questo.

 

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L’isola di Peter pan

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Il mondo incantato descritto da Barrie, in cui trovano posto Peter Pan, la fatina Trilli, la dolce Wendy e i suoi fratelli oltre a una vasta gamma di personaggi fantasiosi inclusi Capitan Uncino e il famelico coccodrillo, non è certo facile da ridurre ai minimi termini e sintetizzare in una versione semplificata. La cooperativa rietina Puntidivista si è ciononostante cimentata nell’impresa con l’ammirevole volontà di rendere accessibile un immaginario largamente condiviso anche a chi soffre di disturbi dello spettro autistico.

Inserito all’interno della collana “Libreria magicaa”, L’isola di Peter Pan si rivolge perciò, prima di tutto, a bambini con difficoltà di comunicazione e decodifica del testo scritto. Fortemente ridotta, sia nel contenuto che nell’espressione, la storia dell’eterno fanciullo prende forma attraverso i simboli caratteristici della Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA – da cui il titolo della collana).

I libretti che compongono la serie sono compatti e resistenti, stampati con colori brillanti su carta plastificata. All’interno dei simboli il testo è maiuscolo per venire incontro alle esigenze di giovani lettori alle prime esperienze e il riquadro dei simboli cambia colore a seconda che si tratti di sostantivi, verbi o altre parti del testo. Tasto dolente sono senz’altro le immagini che corredano il testo: nelle intenzioni sufficientemente semplici da agevolare la lettura in caso di difficoltà, nei risultati eccessivamente spoglie, amatoriali e poco accattivanti.

All’interno del volume sono inserite anche tutte le illustrazioni in formato cartolina e in bianco e nero che i lettori possono autonomamente colorare. Ad esso è inoltre possibile unire, con acquisto separato (3,80 €), una confezione contenente tutti i simboli impiegati per raccontare la storia, utilizzabili per prendere familiarità con il codice simbolico e per giocare a ricostruire la vicenda: una semplice ma utile idea per prolungare il piacere e le possibilità di arricchimento della lettura.

La mela di Biancaneve

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Tra gli sparuti libri in simboli che il mercato italiano mette a disposizione, sono diversi quelli che attingono al patrimonio di fiabe tradizionali. Causa principale è la difficoltà a ottenere il permesso di tradurre in un codice dalle esigenze piuttosto rigide testi coperti da copyright. Allo stesso modo giocano un ruolo fondamentale l’essenzialità e il carattere asciutto di questo particolare tipo di narrazione, che ben si presta ad una traduzione in simboli. Così accade che, pur nella generale penuria di titoli in CAA, della stessa fiaba possano nascere versioni differenti. È il caso di Biancaneve, che dopo aver trovato posto nel catalogo di Uovonero, viene ripresa e adattata anche da Puntidivista.

Inserita all’interno della collana “Libreria magicaa”, La mela di Biancaneve si rivolge prima di tutto a bambini con difficoltà di comunicazione e decodifica del testo scritto. Raccontata in forma semplice, attraverso frasi brevi e non troppo articolate, la storia della fanciulla avvelenata e dei sette nani, prende forma attraverso i simboli caratteristici della Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA – da cui il titolo della collana).

I libretti che compongono la serie sono compatti e resistenti, stampati con colori brillanti su carta plastificata. All’interno dei simboli il testo è maiuscolo per venire incontro alle esigenze di giovani lettori alle prime esperienze e il riquadro dei simboli cambia colore a seconda che si tratti di sostantivi, verbi o altre parti del testo. Tasto dolente sono senz’altro le immagini che corredano il testo: nelle intenzioni sufficientemente semplici da agevolare la lettura in caso di difficoltà, nei risultati eccessivamente spoglie, amatoriali e poco accattivanti.

All’interno del volume sono inserite anche tutte le illustrazioni in formato cartolina e in bianco e nero che i lettori possono autonomamente colorare. Ad esso è inoltre possibile unire, con acquisto separato (3,80 €), una confezione contenente tutti i simboli impiegati per raccontare la storia, utilizzabili per prendere familiarità con il codice simbolico e per giocare a ricostruire la vicenda: una semplice ma utile idea per prolungare il piacere e le possibilità di arricchimento della lettura.

Il gatto carboncino

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Quella del gatto Carboncino è una storia semplice con protagonisti un bambino e un micio. Il primo trova il secondo per strada, gli si affeziona, lo porta a casa, viene sgridato dalla mamma che non vuole animali in casa ma che finalmente si ricrede quando il nuovo arrivato fa scappare uno sgradito topo.

Lo sviluppo lineare, la presenza di un numero molto contenuto di personaggi e il ricorso a testi elementari rende abbordabile la comprensione dei fatti, anche in presenza di difficoltà cognitive o di decodifica del testo. In entrambi i casi, risultano di supporto i simboli impiegati dalla casa editrici per raccontare la storia e ispirati al sistema WLS (Widgit Literacy Symbols). Il volume rientra non a caso all’interno della collana Libreria magicaa che ricorre all’utilizzo della Comunicazione Aumentativa e Alternativa per offrire occasioni di lettura fruibili anche in caso di disturbi della comunicazione.

Il volume de Il gatto carboncino si presenta maneggevole e robusto, grazie alle pagine spesse e  plastificate. Di minore qualità, invece, le illustrazioni che corredano regolarmente il testo. Benché utili nell’agevolare la comprensione del testo, non spiccano infatti per personalità e attraenza.

 

Piuma bianca

Quante sorprese possono nascondersi in un libretto di una spanna per una spanna? Più di quante si possa pensare… aprire Piuma bianca per credere! Il volumetto scritto e illustrato dall’argentino Pablo Sweig e dedicato da Sinnos ai lettori alle prime armi racchiude infatti in poche e ridotte pagine un’esplosione di colori avvolgenti, una girandola di forme stilizzate irresistibili, una storia semplice e tenera e una cura tipografica che rende intrigante l’approccio autonomo alla lettura anche da parte di chi non ha grande dimestichezza con il testo scritto o sperimenta difficoltà legate alla dislessia.

La storia è quella di Piuma Bianca, stella del circo di Buffalo Bill, che un giorno fa tappa con la sua compagnia nella terra d’origine della sua famiglia e lì sceglie di ricominciare una nuova vita che concili le sue radici e il suo talento originale. L’autore la racconta con parole semplici e frasi brevi, rese chiare sulla pagina dal ricorso alla font maiuscola leggimiprima intelligentemente messa punto dall’editore. Quello che ci si ritrova tra le mani è perciò un libretto essenziale – nei contenuti e nelle forme – ma di grande coinvolgimento sia per i ricchissimi dettagli che l’autore dissemina sulla pagina sia per la profusione di sforzi volti a rendere i primi tuffi autonomi nella lettura un’esperienza piacevole e appagante.

Hank Zipzer. Una gita ingarbugliata

Tempo di gita scolastica alla SP87, la scuola frequentata da Hank Zipzer e dalla sua cricca di amici. Non pensate al solito polveroso museo: ad attendere gli allievi dell’inflessibile signorina Adolf c’è una notte a bordo del veliero ormeggiato nel porto di New York. L’eccitazione in classe è alle stelle e i preparativi sono tutt’altro che rilassati: prima ancora di partire Hank deve fare i conti con l’autorizzazione firmata dai genitori e dimenticata chissà dove. Per fortuna i suoi storici amici Ashley e Frankie così come l’energico Papà Pete non perdono occasione di aiutarlo a togliersi dai pasticci. Ma la corsa contro il tempo per riuscire ad andare in gita con cui si apre il nuovo episodio della serie scritta da Henry Winkler e Lin Oliver non è che un assaggio degli imprevisti che seguiranno da lì a qualche pagina. È solo quando i bambini mettono piede del Pilgrim Spirit, infatti, che l’avventura prende letteralmente il largo!

Alle prese con nodi impossibili da replicare, capitani farlocchi di vascello che soffrono il mal di mare, piccole vendette al gusto di Twix e nuove amicizie che rischiano di far naufragare le vecchie, Hank non risparmia il consueto ingegno che oltre a salvare situazioni complicate fa di lui un validissimo testimonial contro i pregiudizi sulla dislessia. Al disturbo dell’apprendimento il libro guarda inoltre, come di consueto, anche nell’aspetto tipografico grazie alla scelta di un font più leggibile e di una spaziatura più agevole. Questi accorgimenti, uniti a uno stile sempre frizzante, a illustrazioni spiritose (firmate come sempre da Giulia Orecchia) e ad avventure che non lasciano il tempo di annoiarsi concorrono seriamente a rendere l’invito alla lettura intrigante anche per chi con il testo scritto ha un rapporto burrascoso. L’abilità degli autori sta inoltre nell’accendere un sincero attaccamento nei confronti dei protagonisti che di volta in volta il lettore ritrova tra le pagine della serie, senza scordare però di far via via aumentare la complessità della storia e la varietà dei personaggi coinvolti, di pari passo con il crescere di Hank&co e con l’acquisire dimestichezza di lettura da parte di chi ne segue le vicende.

Il libro di Julian

Il libro di Julian, che segue e strettamente si lega al bellissimo Wonder, è un racconto gustoso che lascia tuttavia nella bocca del lettore un sapore strano, forse amaro. Nato come una sorta di appendice del primo romanzo di R. J. Palacio, il libro riprende i fatti qui narrati dal punto di vista del personaggio che vi prende parte col ruolo più negativo. Julian è infatti il bulletto che rende difficile la vita scolastica di Auggi e dei suoi amici e di cui mai, tuttavia, in Wonder vengono resi il pensiero e la prospettiva. L’autrice dà corpo quindi a questo nuovo lavoro proprio per dar voce al cattivo di turno.

L’idea è bella e coraggiosa. Come si può sentire il lettore, infatti, di fronte a un personaggio di cui già ha un’idea sfavorevole e i cui comportamenti sono così lontani dal comune e giusto sentire? La Palacio si cala in questo terreno minato portando alla luce la situazione familiare che alimenta l’arroganza e l’incapacità del protagonista a confrontarsi con le difficoltà e le responsabilità. Emergono così, in maniera molto accentuata, una madre miopemente iperprotettiva e un padre per cui soldi e buona immagine costituiscono una priorità assoluta. La loro abitudine a giustificare ogni atto del figlio, a ribaltare ogni situazione in modo che questi ne esca pulito e illeso e a scaricare qualunque colpa sulle spalle altrui si delinea agli occhi del lettore come la causa principale del modo di fare meschino e irriverente di Julian. Ciò che accade quindi è che di pagina in pagina Julian finisce per riabilitarsi agli occhi del lettore facendo ricadere le ombre che fino ad allora ne avevano oscurato la figura sui suoi genitori.

E se questo da un lato ha il merito di invitare ad andare sempre al di là delle apparenze, anche per capire il perché di comportamenti indegni e deprecabili, e di portare all’attenzione il caldissimo tema dell’emergenza educativa che coinvolge genitori e insegnanti su di un fronte troppo spesso separato, dall’altro inciampa nel rischio di giustificare a tutti i costi un atteggiamento da bullo per favorire la trasformazione di Julian da cattivo tout court a “cattivo soprattutto non per colpa sua e comunque in definitiva pentito”. Il libro di Julian resta comunque una lettura godibile (senz’altro molto di più se si è letto Wonder, su cui si regge in buona parte la sua ragion d’essere), scorrevole e non privo di qualche colpo di scena narrativo del tutto in linea con il gusto dell’autrice per le trame appassionanti e a tratti commuoventi.

La piscina

 

Tuffatevi! Ora, a bomba, senza timore e con tanto di spruzzi. Tuffatevi e trattenete il respiro, quest’albo da sogno firmato da Ji Hyeon Lee chiede a gran voce, ma senza parole, una bella immersione. Il pennello sofisticato della giovane autrice coreana va proprio in profondità per svelare al lettore audace quali meraviglie gli riserva l’oltre: quell’oltre che tanti non hanno tempo, voglia e intenzione di esplorare; quell’oltre che qui prende la forma di una piscina in cui si può decidere se immergersi vivamente o sguazzare banalmente in superficie.

I due protagonisti non hanno dubbi: immergersi a più non posso e così scoprire creature fantastiche, fondali a labirinto e mostri minacciosi ma anche individui a noi simili con cui nuotare e spartire il piacere della sorpresa.

La piscina è insomma un albo gourmand, una millefoglie letteraria da gustarsi strato a strato. Ciascuno vi trovi il suo gusto, il suo significato, il suo sapore: che sia quello di un divertimento condiviso, di una sfida alle convenzioni, di un inno al coraggio di vedere oltre. In ogni caso sarà un assaggio appagante e quasi quasi vi verrà voglia di fare il bis.

Il pianeta degli alberi di Natale

Ci sono libri di Natale che vanno bene tutto l’anno, anche molti anni dopo la loro pubblicazione. Il pianeta degli alberi di Natale è uno di questi perciò il fatto che sia da poco uscita una sua versione in formato audiolibro è senz’altro una bella notizia. Arricchito dalla voce di Angela Finocchiaro, il racconto di Rodari è disponibile su Cd mp3 o scaricabile direttamente dal sito della Emons.

La storia è quella di un bambino di nome Marco che si ritrova su di un pianeta fantastico retto da regola del tutto dissimili a quelle terrestri, basate sulla solidarietà, sulla gentilezza e sul rispetto degli altri abitanti. Finitoci quasi per caso, in sella a un cavallo a dondolo inizialmente indesiderato, Marco scopre nel Pianeta degli alberi di Natale una terra dalla quale,  tanto cinquant’anni fa come ora, tutti avremmo tanto da imparare.

In pieno stile rodariano, con una morale chiara e distinta, il racconto fa parte di una bella selezione di opere dell’autore di Omegna rese ora accessibili in formato audio anche a tutti quei lettori che per difficoltà visive o dislessia faticano  seguire il testo scritto. Tra queste anche Favole al telefonoFilastrocche in cielo e in terra o Il libro degli errori.

Favole al telefono

Favole al telefono ma anche – perché no –  all’autoradio, al lettore cd o al lettore mp3: perché la tecnologia avanza ma le buone storie, per fortuna, restano. Dopo le numerose edizioni cartacee della raccolta fantastica di Rodari, è disponibile ora anche una versione audio pubblicata da Emons.

Quale testo più di questo, in cui un papà racconta a distanza e ad alta voce le favole della buonanotte alla figlia, vale la pena trasformare in audiolibro? La voce esperta ed espressiva di Claudio Bisio rende egregiamente lo spirito ironico e divertito del distratto che passeggia, della donnina che conta gli starnuti o del topo dei fumetti: tutti personaggi che a stento dimostrano i loro cinquant’anni suonati.

Questa nuova versione delle Favole al telefono è una preziosa occasione di scoperta e condivisione di un patrimonio letterario davvero attento all’infanzia, anche da parte di chi sperimenta difficoltà di lettura. Ben vengano dunque gli altri titoli rodariani usciti tra il 2014 e il 2015 come Il pianeta degli alberi di Natale, Filastrocche in cielo e in terra o Il libro degli errori.

Flora e il pinguino

In Flora e il pinguino, titolo, personaggi, uso del colore, atmosfere e idea di fondo richiamano apertamente Flora e il fenicottero. Come nel primo silent book firmato da Molly Idle e uscito per Gallucci nel 2013, anche qui c’è una bambina tutto pepe alle prese con uno sport pieno di grazia e con una nuova insolita amicizia.

Dopo l’incontro danzerino con il fenicottero, la protagonista incappa qui in un elegante pinguino dalle movenze leggiadre. Tra i due scatta all’istante un sodalizio e una performance a due: sui pattini lei, sulle zampette lui. Le prime pagine sono perciò tutte una giravolta, uno slancio, un salto: con un’armonia senza pari di colori, linee e movenze i due atleti compongono una coreografia davvero buffa e raffinata.

E qui l’autrice si e ci diverte da matti, con quella sua abilità strepitosa di esaltare simmetrie e giochi di sguardi, anche grazie all’intramontabile meccanismo delle alette. La sua capacità di trovare delle insospettabili somiglianze tra il mondo degli umani e il mondo naturale, poi, genera stupore, diletto e piacere narrativo. Sicché, ci si tuffa con gioia in una successione di pagine ben costruite con pochi elementi e tonalità ma molta attenzione per i dettagli, i cambiamenti e le espressioni, condividendo la piccola baruffa che verso la fine coinvolge personaggi e l’ingegnosa soluzione che trovano per superarla. Si riemerge così, dopo un gran finale degno di Carolina Kostner, forti dell’idea che incomprensioni e bronci siano affare quotidiano ma che sorrisi e piroette siano decisamente da preferirsi.

Pioggia di primavera

La collana di graphic novel ad alta leggibilità targata Sinnos, arrivata ormai al suo quarto titolo, ci ha abituati a un’attenzione particolare alle tematiche dello sport e della parità di genere. Con l’ultima uscita, Pioggia di primavera, le due tematiche convergono in una storia tutta orientale che parla di kung-fu, di dignità e di riscatto femminile.

Qui si incontrano le storie di due ragazze. Una, Shu Mei, è una monaca guerriera che scappa dal suo monastero sotto attacco e trova rifugio presso un’altra congrega di monache. L’altra, Chun Yu, si trasferisce a vivere dal vecchio zio dopo la morte della madre e si trova a dover respingere la violenta proposta di matrimonio del boss del quartiere, Wong la tigre. Guidata dalla Shu Mai, Chun Yo apprende le basi dell’arte Kung-fu e sfida Wong in un combattimento. In palio c’è la sua stessa libertà, duramente e onorevolmente conquistata dalla ragazza.

Scritta di Paolina Baruchello e illustrata da Andrea Rivola, Pioggia di primavera adotta i criteri dell’alta leggibilità (font leggimigraphic e carta color crema, soprattutto) che rendono il volume particolarmente fruibile anche in caso di dislessia. Rispetto ai precedenti titoli, poi, quest’ultimo presenta testi meno fitti e predilige un’impaginazione più ariosa e a primo impatto più amichevole. Se questo da un lato rende più azzardati alcuni passaggi da una vignetta alla successiva, dall’altro lascia campo più libero al segno grafico e ai significati che, anche senza testo, può portare con sé.

Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno (CAA – semplificata)

Parola d’ordine: versatilità! Il principio che ispira il lavoro della cooperativa rietina Puntidivista è proprio che ogni bambino possa accedere a una medesima storia attraverso la via che gli è più congeniale, perché esistono modi diversi di raccontare le storie e modi diversi di goderne. Attraverso versioni differenziate, che sfruttano molteplici codici come la Lingua Italiana dei Segni o i simboli WLS, molteplici supporti come il libro cartaceo o i DVD, e molteplici forme di narrazione, orale o scritta, i libri di Puntidivista abbracciano un pubblico che vuole essere il più ampio possibile.

L’idea e l’iniziativa sono degne di interesse e di nota soprattutto perché si tratta di un primissimo originale tentativo di proporre un grado di accessibilità davvero esteso che non guardi alle esigenze imposte da un solo tipo di disabilità ma che, al contrario, scelga la strada della varietà. Le storie sono scritte ad hoc e corredate da illustrazioni casalinghe. Apripista, in questo progetto, sono le avventure di due personaggi – Dino detto Lampadino e Nella detta Caramella -: due fratelli che, attraverso un misterioso passaggio segreto nel parco arrivano in un mondo fantastico popolato da animali parlanti.

In Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno, i due bambini aiutano Zampacorta, il figlio del re del Magiregno, a trovare le api arcobaleno, catturate secondo il dire comune, da malvagie creature che abitano la Grotta dei mille Orsi Feroci. Nonostante le temibili premesse i ragazzi decidono di intraprendere una spedizione di ricerca delle api, scortati dalla guardia reale, l’elefante Sansone.  Sarà la loro capacità di andare oltre pregiudizi ed apparenze a permettere di scoprire che gli Orsi della grotta sono tutt’altro che feroci e che le api si sono spontaneamente trasferite in quello che pare essere un luogo paradisiaco.

La storia, che come nel primo episodio è caratterizzata da una messaggio educativo marcato ed esplicito, viene raccontata in questa versione riducendo e semplificando il testo rispetto all’originale e ricorrendo all’uso dei simboli caratteristici della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, così da venire incontro alle esigenze di giovani lettori con disturbi della comunicazione e con autismo. Gli interventi effettuati dagli autori sono in questa versione piuttosto marcati così da offrire un risultato decisamente più essenziale, facile da seguire e in definitiva adatto a chi fatica a seguire storie lunghe, non ha grossa dimestichezza con i simboli e la lettura e sperimenta difficoltà di comunicazione e attenzione significative. Altr due versioni in simboli, una ridotta e l’altra estesa, sono altresì rese disponibili dall’editore in modo da venire in contro a gradi di esperienza e competenze di lettura diverse.  La stessa storia è inoltre disponibile in una versione standard, semplicemente scritta in italiano e illustrata, cui si unisce un DVD con il video racconto il LIS che agevola la comprensione da parte di lettori sordi segnanti.

Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno (CAA – ridotta)

Parola d’ordine: versatilità! Il principio che ispira il lavoro della cooperativa rietina Puntidivista è proprio che ogni bambino possa accedere a una medesima storia attraverso la via che gli è più congeniale, perché esistono modi diversi di raccontare le storie e modi diversi di goderne. Attraverso versioni differenziate, che sfruttano molteplici codici come la Lingua Italiana dei Segni o i simboli WLS, molteplici supporti come il libro cartaceo o i DVD, e molteplici forme di narrazione, orale o scritta, i libri di Puntidivista abbracciano un pubblico che vuole essere il più ampio possibile.

L’idea e l’iniziativa sono degne di interesse e di nota soprattutto perché si tratta di un primissimo originale tentativo di proporre un grado di accessibilità davvero esteso che non guardi alle esigenze imposte da un solo tipo di disabilità ma che, al contrario, scelga la strada della varietà. Le storie sono scritte ad hoc e corredate da illustrazioni casalinghe. Apripista, in questo progetto, sono le avventure di due personaggi – Dino detto Lampadino e Nella detta Caramella -: due fratelli che, attraverso un misterioso passaggio segreto nel parco arrivano in un mondo fantastico popolato da animali parlanti.

In Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno, i due bambini aiutano Zampacorta, il figlio del re del Magiregno, a trovare le api arcobaleno, catturate secondo il dire comune, da malvagie creature che abitano la Grotta dei mille Orsi Feroci. Nonostante le temibili premesse i ragazzi decidono di intraprendere una spedizione di ricerca delle api, scortati dalla guardia reale, l’elefante Sansone.  Sarà la loro capacità di andare oltre pregiudizi ed apparenze a permettere di scoprire che gli Orsi della grotta sono tutt’altro che feroci e che le api si sono spontaneamente trasferite in quello che pare essere un luogo paradisiaco.

La storia, che come nel primo episodio è caratterizzata da una messaggio educativo marcato ed esplicito, viene raccontata in questa versione semplificando il testo rispetto all’originale e ricorrendo all’uso dei simboli caratteristici della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, così da venire incontro alle esigenze di giovani lettori con disturbi della comunicazione e con autismo. Gli interventi effettuati dagli autori restituiscono  un testo più snello e basato sull’azione più che sul dialogo. Le frasi mantengono invece una certa lunghezza e articolazione. Tale versione costituisce una sorta di via di mezzo tra quella estesa e quella semplificata, entrambe in simboli. La stessa storia è inoltre disponibile in una versione standard, semplicemente scritta in italiano e illustrata, cui si unisce un DVD con il video racconto il LIS che agevola la comprensione da parte di lettori sordi segnanti.

Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno (CAA)

Parola d’ordine: versatilità! Il principio che ispira il lavoro della cooperativa rietina Puntidivista è proprio che ogni bambino possa accedere a una medesima storia attraverso la via che gli è più congeniale, perché esistono modi diversi di raccontare le storie e modi diversi di goderne. Attraverso versioni differenziate, che sfruttano molteplici codici come la Lingua Italiana dei Segni o i simboli WLS, molteplici supporti come il libro cartaceo o i DVD, e molteplici forme di narrazione, orale o scritta, i libri di Puntidivista abbracciano un pubblico che vuole essere il più ampio possibile.

L’idea e l’iniziativa sono degne di interesse e di nota soprattutto perché si tratta di un primissimo originale tentativo di proporre un grado di accessibilità davvero esteso che non guardi alle esigenze imposte da un solo tipo di disabilità ma che, al contrario, scelga la strada della varietà. Le storie sono scritte ad hoc e corredate da illustrazioni casalinghe. Apripista, in questo progetto, sono le avventure di due personaggi – Dino detto Lampadino e Nella detta Caramella -: due fratelli che, attraverso un misterioso passaggio segreto nel parco arrivano in un mondo fantastico popolato da animali parlanti.

In Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno, i due bambini aiutano Zampacorta, il figlio del re del Magiregno, a trovare le api arcobaleno, catturate secondo il dire comune, da malvagie creature che abitano la Grotta dei mille Orsi Feroci. Nonostante le temibili premesse i ragazzi decidono di intraprendere una spedizione di ricerca delle api, scortati dalla guardia reale, l’elefante Sansone.  Sarà la loro capacità di andare oltre pregiudizi ed apparenze a permettere di scoprire che gli Orsi della grotta sono tutt’altro che feroci e che le api si sono spontaneamente trasferite in quello che pare essere un luogo paradisiaco.

La storia, che come nel primo episodio è caratterizzata da una messaggio educativo marcato ed esplicito, viene raccontata in questa versione ricorrendo all’uso dei simboli caratteristici della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, così da venire incontro alle esigenze di giovani lettori con disturbi della comunicazione e con autismo. La scelta operata dagli autori di non modificare pressoché in nulla il testo originale, trasponendolo semplicemente in simboli, fa sì che il volume risulti piuttosto corposo e che la lettura si presenti come molto impegnativa, adatta perlopiù a lettori con una buona esperienza. Alla base di questa scelta c’è l’idea che per i lettori meno esperti e con maggiori difficoltà possano risultare più congeniali altre due versioni del testo, anch’esse basate sull’uso di simboli, ma rispettivamente ridotta e semplificata. La stessa storia è inoltre disponibile in una versione standard, semplicemente scritta in italiano e illustrata, cui si unisce un DVD con il video racconto il LIS che agevola la comprensione da parte di lettori sordi segnanti.

Album per i giorni di pioggia

Può l’ultimo giorno di vacanza suscitare gioia e diventare, tra tutti, il giorno più bello dell’anno? Verrebbe da dire di no ma il protagonista di Album per i giorni di pioggia è pronto a smentire noi tutti. L’ultimo giorno di vacanza coincide infatti con il suo compleanno e fa rima quindi con corona di carta, candeline, torta e famiglia. Quest’anno ancor di più, perché lo zia Ramon ha portato un dono davvero speciale, capace di rendere indelebile un momento tanto felice. Uno, due tre, click: armato della sua nuova macchina fotografica rosso fiammante, il festeggiato non perde tempo e trasforma una giornata potenzialmente malinconica in una collezione di attimi felici da ricordare.

Seguendo il sempreverde insegnamento di Federico, il topo di Lionni che metteva da parte raggi di sole per l’inverno, il protagonista del libro di Torrent raccoglie e immortala momenti preziosi – una corsa con gli aquiloni, una moltitudine di bolle di sapone, un tuffo tra le onde o un salto sul molo – attività spensierate che diventeranno ossigeno e sorrisi quando le attività frenetiche della brutta stagione prenderanno il sopravvento. Ciò che le rende così speciali è il fatto che siano condivise con le persone più care con la leggerezza che solo una vacanza ormai agli sgoccioli può riservare. Il libro omaggia cioè il piacere delle piccole cose, rese straordinarie da coloro con cui vengono vissute.

C’è insomma una nota malinconica tra le pagine di quest’albo, una sorta di presentimento di ciò che verrà da lì a poco, sottolineato da toni ambrati, crepuscolari, prediletti dall’autore nelle illustrazioni. D’altra parte, però, l’ottimismo finisce per avere la meglio, forte della consapevolezza che in qualche modo siamo quello che ricordiamo.

Che c’entra però la disabilità con questo quadro? C’entra nella maniera migliore possibile! Senza che il testo dica nulla, le immagini ci mostrano un protagonista in sedia a rotelle: la disabilità trova posto cioè senza esasperazioni, strepiti, messaggi a effetto o lezioni pedagogiche. Essa figura come un dettaglio tra tanti che influenza certi aspetti della vita (come il modo di correre nel vento, l’altezza da cui si scattano le foto o la maniera di godersi un bagno in mare) senza comprometterne l’essenza (come il piacere di vivere e registrare quei momenti, l’affetto dei cari, il sorriso di fronte al bello di una giornata di sole). Un albo come questo, che sfrutta al meglio le peculiarità del genere facendo dire a testo e immagini cose complementari, lascia delle piccole e discrete tracce di riflessione rispetto alla disabilità, che solo l’occhio attento registra, portando con naturalezza e quasi senza accorgersene la mente a realizzare che l’emozione di un abbraccio tra fratelli, il divertimento di un gioco in spiaggia, la gioia di uno spruzzo marittimo sono  piaceri condivisibili che ci avvicinano straordinariamente.

Visioni nuove della disabilità e dell’inclusione vengono proprio dalle lenti precise e dagli obiettivi potenti che libri come Album per i giorni di pioggia montano sui nostri occhi, come fossero macchine fotografiche. Parole ben scelte e illustrazioni portentose, ricche di inquadrature particolari e prospettive insolite, come quelle di Dani Torrent sono ciò di cui necessitiamo per guardare alla realtà con lo sguardo illuminato di un buon fotografo, che è ben altra cosa da quello piatto di chi, semplicemente, scatta fotografie.

Downtown

Downtown è un fumetto per ragazzi curato da due pubblicitari spagnoli – Noel Lang e Rodrigo Garcia. Ispirato alla figura dello zio di uno degli autori, affetto da Sindrome di Down, il racconto segue un bambino di nome Edo affrontare insieme ai suoi amici diverse situazioni quotidiane, più o meno complesse, in oltre un centinaio di sketch grafici ironici e leggeri.

Il titolo del volume – Downtown – e la frase di apertura – “Il brutto dell’avere la Sindrome di Down è che il giorno in cui nasci i tuoi genitori diventano un po’ tristi. Il bello è che, dopo quel giorno, non lo saranno mai più” – lasciano intendere che la Sindrome costituisca il fulcro del racconto e che a farla da padrone, a riguardo, sia un certo atteggiamento tutto rose e fiori. In realtà, addentrandosi nella lettura, la sindrome non viene pressoché più citata, intenti moralistici non trovano spazio e tutta l’attenzione è concentrata sulla maniera buffa e originale in cui Edo affronta la vita. Il suo essere Down emerge cioè, sottilmente, da un certo modo di parlare e dare senso alle situazioni, nel suo modo di relazionarsi con le cose e con le persone, nella sua fatica e concentrarsi e nel sistema originale che adotta per isolarsi all’occorrenza dal mondo. Ma è bene o male il suo essere bambino – un bambino fantasioso, affettuoso, a tratti petulante come d’altronde sono tutti i bambini –  ciò che emerge in primo piano. Il che costituisce forse la maniera più efficace per lanciare un messaggio positivo a proposito della Sindrome di Down (o più in generale di una qualunque disabilità) poiché invita a considerare la persona prima dell’etichetta.

Attraverso un tratto asciutto e spiritoso, in linea con testi essenziali e arguti, il fumetto di Noel Lang e Rodrigo Garcia offre un ritratto scanzonato e sorridente del mondo infantile. Insieme a Edo, a popolare le vignette di Downtown, altri amici tutt’altro che comuni: da Michelone, buono come il pane e imponente come una montagna a Bea, la fidanzata preferita nonché unica del protagonista; da Ben, timido e gentile, a Noemi, effervescente e frivolamente sognatrice. La loro è una quotidianità ingenua e briosa, proprio come il disco di Petula Clark che dà il titolo al volume e che, non a caso, Edo porta sempre con sè.

Arturo colleziona mostri

C’è chi colleziona cartoline, francobolli, orologi. E poi c’è chi, come Arturo, colleziona mostri: mostri che servono a sconfiggere le paure perché una volta disegnati le fanno dissolvere. Come il Papestrega, per esempio, che una volta messo su carta fa volatilizzare la paura degli animali col becco. E come lui tanti altri, riportati fedelmente dal protagonista che apre ai lettori la sua personalissima raccolta. Fino a un’ultima pagina, lasciata vuota affinché paure ancora in agguato possano trovare un adeguato mostro che le sconfigga a suon di matite colorate.

Arturo colleziona mostri è un libro insolito per molti aspetti. Perché parte dall’esperienza reale di un ragazzo con autismo e diventa una storia fantastica che parla all’immaginazione ma che allo stesso tempo non smette di parlare di cose vere. Perché trova nei disegni di quello stesso ragazzo le illustrazioni per dare forma al racconto. Perché mette insieme generale e particolare, personale e universale, in un modo stranamente semplice ed efficace. Perché è prima di tutto un libro sulle paure ma è poi anche un libro sull’autismo e assume questa sfumatura soprattutto una volta letta la storia di Antongiulio Preziosa sul risvolto di copertina.

Versatile e d’impatto, il libro si presta non solo a una lettura piacevole ma anche un lavoro di condivisione e riflessione che prosegua oltre l’ultima pagina. In esso si trovano molti atteggiamenti tipici dei bambini autistici e sovente difficili da raccontare ai compagni, si trovano timori singolari e timori comuni, si trovano ingegnose soluzioni per superarli. Al centro, l’idea che per poter sconfiggere una paura occorra poterla visualizzare, riconoscere e nominare altrimenti resta troppo astratta e inafferrabile.

Tutto giocato sul rovesciamento, il libro trasforma i mostri in strumenti di serenità e restituisce al protagonista, così come a chi, in modo analogo, appare strano e diverso per via di atteggiamenti insoliti, un’umanità e un’abilità spesso negate. Le paure del tutto condivisibili e le illustrazioni molto espressive contribuiscono infatti ad avvicinare, dare valore e rendere meno enigmatico qualsiasi Antongiulio entri in qualche modo a far parte della nostra vita. Lo fanno in maniera molto semplice, senza velleità artistiche mirabolanti. Sta proprio nella naiveté, infatti, la forza originale di questo libro.

Siate gentili con le mucche

La figura di Temple Grandin è tra le più affascinanti e straordinarie che la storia, non solo della scienza, abbia conosciuto. Enigmatica e tenace, originale e visionaria, è a lei che si deve un fondamentale contributo alla comprensione dell’autismo, grazie alla testimonianza sulla sua personale condizione, e al miglioramento del trattamento degli animali da allevamento, grazie ai suoi studi di psicologia e scienze animali. Ecco perché la sua biografia entra a buona ragione tra quelle dedicate alle grandi scienziate dalla collana “Donne nella scienza”.

Siate gentili con le mucche ripercorre le tappe fondamentali della vita di Temple, dall’infanzia all’età adulta, mettendo in luce le sue difficoltà e le sue soddisfazioni, intrecciando i fili degli studi con quelli delle relazioni. Ne emerge il ritratto di un successo personale segnato da moltissimi ostacoli. Tra questi, la parte del leone la fa l’autismo da cui Temple è affetta e che all’epoca – siamo all’inizio della seconda metà del ‘900 – costituiva un mistero pressoché assoluto. Nonostante tale condizione ma soprattutto grazie alla diversità che questa impone, Temple raggiunge importanti traguardi accademici ed esistenziali, facendo tesoro in modo straordinario del suo modo di essere sui generis.

Il libro sottolinea questo aspetto con garbo, grazie alle parole attente di Beatrice Masini, che guardano ai fatti ma anche alle emozioni, e alle illustrazioni appassionate e profonde di Vittoria Facchini che completano con grande intensità il quadro di una personalità complessa come quella di Temple Grandin. Il tentativo è anche quello di dare dell’autismo una spiegazione comprensibile a misura di ragazzino, senza rinunciare alla correttezza scientifica. Per questo il racconto è chiuso da diverse pagine di approfondimento, in facili parole ma di alto livello, curato da persone che di autismo si occupano quotidianamente. Più di qualunque altro libro per ragazzi che affronti in qualche maniera la sindrome autistica, Siate gentili con le mucche tiene al rigore e alla schiettezza, pagando eventualmente il prezzo della comprensibilità immediata e superficiale. In accordo con la linea della casa editrice, infatti, il focus è prettamente scientifico e va dritto a soddisfare domande e desideri di comprensione di ragazzi curiosi ed esigenti.

Un segnalibro in cerca d’autore

Se una collana di libri per ragazzi funziona, perché forte di storie buone e ben raccontate, è bello pensare che lettori con età, esperienze e abilità di lettura diverse possano avervi accesso. Ecco perché l’arrivo della nuova serie proposta da Uovonero, intitolata “Vi presento Hank” e inaugurata dal volume Un segnalibro in cerca d’autore costituisce una buona notizia per chi legge e per chi la lettura la promuove. Cronologicamente successiva ma narrativamente antecedente alla fortunata serie di Hank Zipzer destinata ai lettori più esperti della scuola elementare (e perché no, della scuola media), “Vi presento Hank”si  rivolge a un pubblico leggermente più giovane proponendo le avventure del medesimo protagonista in seconda elementare. Le storie sono qui più brevi e meno articolate, oltre che stampate in formato più grande, ma mantengono la freschezza, l’ironia e l’impianto narrativo che costituiscono il vanto della serie originale. Ciò che viene mantenuto, inoltre, è l’attenzione all’alta leggibilità del testo (qui a corpo maggiore) grazie all’uso di un Verdana senza grazie e modificato nella spaziatura e nelle proporzioni e grazie a caratteristiche di impaginazione più amichevoli.

In Un segnalibro in cerca d’autore, Hank e la sua classe sono alle prese con la messa in scena di un testo scritto dall’amabile maestra  Flowers, ed Hank, in difficoltà con la lettura del copione, si vede attribuire una parte apparentemente meno impegnativa: quella del segnalibro tra le tante parti di libri. Il suo estro e la sua creatività gli torneranno utili, come spesso gli accade, per salvare una situazione critica durante lo spettacolo e per mostrare a tutti che dietro una mancanza si nascondono spesso abilità differenti. In questo senso tanto il titolo originale (Bookmarks are people too) tanto quello tradotto con un’eco pirandelliana (Un segnalibro in cerca d’autore) condensano bene l’idea che le etichette appiccicate alle persone possono fortunatamente venire capovolte e stracciate da personalità insospettabilmente talentuose.

La dislessia, qui non ancora citata ma ben riconoscibile nell’ostacolo che il protagonista vede nella lettura, trova come d’abitudine una rappresentazione realistica ma tutt’altro che didattica, offrendo lo spunto per una godibile narrazione. A questa prendono parte alcuni dei personaggi che popolano le avventure precedenti di Hank, tra cui soprattutto l’amico del cuore Frankie, il compagno prepotente Nick McKelty e l’amica Ashley, da poco trasferitasi nel palazzo. Qualcuno ancora manca invece all’appello, come il compagno sapientino Robert, e c’è da aspettarsi di incontrarlo a breve in un prossimo episodio. Le basi perché la serie possa proseguire felicemente ci sono infatti tutte e c’è da scommettere che i fedelissimi di Hank più grandicelli non resisteranno alla tentazione di dare una sbirciata ai volumi dei loro fratelli più piccoli!

Federico il pazzo

Nato a Napoli e trasferitosi al nord da piccolissimo, Angelo torna nella città natale a tredici anni insieme a sua mamma. Il trasferimento, peraltro in un quartiere periferico e difficile della città, impone al ragazzino un grande sforzo di ambientamento: non solo la città e la scuola sono nuove, ma anche la lingua, le regole, il sentire comune e gli atteggiamenti diffusi sono diversi da quelli cui era abituato. Qui ci sono strade da evitare, sguardi da evitare, persone da evitare. Ci sono regole non scritte che sanciscono chi comanda, chi ha il diritto di pestare qualcun altro o chi decide se si possa passare o meno dalle scale del palazzo. Dopo un primo smarrimento, il protagonista prende le misure con la sua nuova realtà, anche grazie alla guida di Mimmo e di Giusy: un vicino di casa più grande, buono ma assuefatto alla logica della prepotenza, e una compagna di classe molto carina, originale e combattiva. Anche grazie a loro Angelo inizia a conoscere i pericoli di certe vie, di certi banchi e di certi compagni, come Capa Gialla e la sua gang. Questo non lo risparmierà da uno scontro doloroso con il bullismo ma lo aiuterà a capire da che parte vuole stare e che essere coraggiosi non significa non avere paura o mostrarsi necessariamente sbruffoni.

I difficili mesi della terza media, di per sé già un momento piuttosto critico, diventano perciò per Angelo e il lettore  l’occasione per realizzare che ci si può nel proprio piccolo ribellare alla logica del sopruso, che ciascuno ha la sua diversità e che vale la pena conoscerla e difenderla. Emblematica, in questo, è la figura di Federico il pazzo che dà il titolo al libro. Vicino di pianerottolo e compagno di classe di Angelo, questi si chiama in realtà Francesco ma viene indicato da tutti come Federico il pazzo per quella sua strana abitudine di atteggiarsi a Federico II, del quale studia giorno e notte le vicissitudini su corposi volumi. Il suo personaggio, così fuori dagli schemi e difficile da omologare, è un inno alla libertà di essere alla propria maniera ma anche una manifestazione di insofferenza nei confronti di una realtà che vorrebbe dei “cervelli fatti in serie” (come direbbe la saggia Giusy del racconto). Ma è proprio quando più di un’insofferenza e più di una diversità si incontrano che il coraggio prende voce e le cose possono iniziare a cambiare.

Sorridente e realisticamente drammatico insieme, il libro di Patrizia Rinaldi racchiude una forza portentosa. Senza strepiti o manifesti, Federico il pazzo offre un ritratto autentico di una Napoli difficile (ben conosciuta dall’autrice)  in cui non manca però la voglia di riscatto, in cui la ristrettezza di orizzonti  non offusca del tutto barlumi di giustizia. Tutta condensata in poco più di 100 pagine c’è cioè una storia di passaggi, di diversità, di solitudini che si incontrandosi cambiano nome, di bullismo e di coraggio A completare un volume già di per sé validissimo, la stampa ad alta leggibilità e i disegni in bianco e nero di Federico Appel: mai così pertinente la prima, che nel suo piccolo difende un diritto importante come quello di tutti alla lettura; e perfettamente calzanti i secondi, che colgono e restituiscono con poetica ironia pensieri ed emozioni del narratore.

Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno (audio e LIS)

Parola d’ordine: versatilità! Il principio che ispira il lavoro della cooperativa rietina Puntidivista è proprio che ogni bambino possa accedere a una medesima storia attraverso la via che gli è più congeniale, perché esistono modi diversi di raccontare le storie e modi diversi di goderne. Attraverso versioni differenziate, che sfruttano molteplici codici come la Lingua Italiana dei Segni o i simboli WLS, molteplici supporti come il libro cartaceo o i DVD, e molteplici forme di narrazione, orale o scritta, i libri di Puntidivista abbracciano un pubblico che vuole essere il più ampio possibile.

L’idea e l’iniziativa sono degne di interesse e di nota soprattutto perché si tratta di un primissimo originale tentativo di proporre un grado di accessibilità davvero esteso che non guardi alle esigenze imposte da un solo tipo di disabilità ma che, al contrario, scelga la strada della varietà. Le storie sono scritte ad hoc e corredate da illustrazioni casalinghe. Apripista, in questo progetto, sono le avventure di due personaggi – Dino detto Lampadino e Nella detta Caramella -: due fratelli che, attraverso un misterioso passaggio segreto nel parco arrivano in un mondo fantastico popolato da animali parlanti.

In Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – Le api arcobaleno, i due bambini aiutano Zampacorta, il figlio del re del Magiregno, a trovare le api arcobaleno, catturate secondo il dire comune, da malvagie creature che abitano la Grotta dei mille Orsi Feroci. Nonostante le temibili premesse i ragazzi decidono di intraprendere una spedizione di ricerca delle api, scortati dalla guardia reale, l’elefante Sansone.  Sarà la loro capacità di andare oltre pregiudizi ed apparenze a permettere di scoprire che gli Orsi della grotta sono tutt’altro che feroci e che le api si sono spontaneamente trasferite in quello che pare essere un luogo paradisiaco.

La storia, che come nel primo episodio è caratterizzata di una messaggio educativo marcato ed esplicito, viene  raccontata anche in Lingua Italiana dei Segni sul DVD allegato al volume che comprende anche la traccia audio del racconto e una serie di contenuti aggiuntivi come canzoni e giochi. La stessa storia è inoltre disponibile in tre versioni in simboli con tre gradi diversi di complessità (base, ridotta e semplificata) .

Lampadino e Caramella nel MagiRegno degli Zampa – La riscoperta del Natale (audio e CAA)

Parola d’ordine: versatilità! Il principio che ispira il lavoro della cooperativa rietina Puntidivista è proprio che ogni bambino possa accedere a una medesima storia attraverso la via che gli è più congeniale, perché esistono modi diversi di raccontare le storie e modi diversi di goderne. Attraverso versioni differenziate, che sfruttano molteplici codici come la Lingua Italiana dei Segni o i simboli WLS, molteplici supporti come il libro cartaceo o i DVD, e molteplici forme di narrazione, orale o scritta, i libri di Puntidivista abbracciano un pubblico che vuole essere il più ampio possibile.

L’idea e l’iniziativa sono degne di interesse e di nota soprattutto perché si tratta di un primissimo originale tentativo di proporre un grado di accessibilità davvero esteso che non guardi alle esigenze imposte da un solo tipo di disabilità ma che, al contrario, scelga la strada della varietà. Le storie sono scritte ad hoc e corredate da illustrazioni casalinghe. Apripista, in questo progetto, sono le avventure di due personaggi – Dino detto Lampadino e Nella detta Caramella -: due fratelli che, attraverso un misterioso passaggio segreto nel parco arrivano in un mondo fantastico popolato da animali parlanti.

In Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – La riscoperta del Natale, i due bambini aiutano Zampacorta, il figlio del re del Magiregno, a individuare il furfante che da tempo ormai fa razzia delle provviste per l’inverno. L’impresa riesce grazie a un po’ di creatività e a un’intuizione di ispirazione natalizia che aiuterà gli stessi protagonisti a riscoprire il vero significato della festa. La storia, dall’esplicito e noto messaggio educativo (non sono i giocattoli a fare bello il Natale ma i nostri cari che ci vogliono bene), è piuttosto semplice e lineare. Questo agevola senz’altro la traduzione in simboli, utili in caso di autismo e disturbi della comunicazione. Il testo così tradotto, frutto di limitati interventi, rispetta abbastanza fedelmente l’originale e si mantiene in definitiva piuttosto lungo, cosa che costituisce forse un vantaggio più per lettori con una certa dimestichezza con la CAA che per lettori inesperti. Allegato al volume si trova un CD che, oltre a disegni da colorare e canzoncine ispirate al testo, propone una versione audio del racconto utile anche in caso di dislessia. La stessa storia è inoltre disponibile in una versione standard, semplicemente scritta in italiano e illustrata, cui si unisce un DVD con il video racconto il LIS che agevola la comprensione da parte di lettori sordi segnanti.

L’uomo lupo in città

La penna di Michael Rosen (papà di A caccia dell’orso), si sa, è irresistibile. Bene, unitela alla matita di Chris Mould e tappatevi le orecchie: un’esplosione narrativa è senz’altro in arrivo! A provarlo è una delle novità targate Sinnos e intitolata L’uomo lupo in città: una storia brillante e paurosamente divertente, adatta a lettori inesperti ma con coraggio e risate da vendere.

Protagonista è un temibile lupo mannaro fuggito dalla sua gabbia (come mostra un eloquentissimo cartello svolazzante che recita, per l’appunto, “Attenti al lupo”) che si aggira per la città ruggendo e urlando. Il panico si dissemina rapidamente non solo tra i comuni cittadini ma anche tra le equipaggiatissime forze dell’ordine sicché il tozzo primo ministro (dalla peraltro sorprendente somiglianza con una vecchia conoscenza della politica italiana!)si trova a fronteggiarlo vis-à-vis. E proprio quando il mostro attraversa il vialetto di casa, sale le scale, bussa alla porta e si affaccia alla buca delle lettere in un climax di brividi e fremiti, l’autore dà spazio a un insospettabile e irresistibile colpo di scena di sicuro successo tra i piccoli.

Stampato ad alta leggibilità, grazie ad un’impaginazione più ariosa e a un font maiuscolo più amichevole anche in caso di dislessia, L’uomo lupo in città si inserisce nella validissima collana Leggimi prima di Sinnos, offrendo un’occasione di lettura non solo accessibile anche a lettori inesperti, riluttanti o con qualche difficoltà ma anche estremamente funzionale e funzionante per una condivisione ad alta voce. Il testo conciso, il racconto in presa diretta, il ricorso a meccanismi di ripetizione e interrogazione e il connubio con illustrazioni buffe e capaci di animare un intero mondo narrativo con 5 soli colori si prestano infatti a garantire piccoli successi di lettura ad alta voce.

Il barbaro

Il barbaro, silent book fresco di stampa firmato dal brasiliano Renato Moriconi (autore di un altro curatissimo senza parole, Telefono senza fili), è come quel gelato che andava tanto di moda negli anni ’90, quello che “du gust is megl che one”. Perché lettura e rilettura hanno qui due sapori diversi ma ugualmente ghiotti, e a leggere e poi rileggere il libro si gode di un piacere davvero variegato.

Ma andiamo con ordine. Il libro, stretto stretto e alto alto, ci mostra in prima battuta un fiero cavaliere pronto a saltare in groppa al suo destriero. Ci pare impavido e imperturbabile, il prode, che con fare ardito va incontro al suo destino. Da lì in avanti è tutto un montare e scendere, in un susseguirsi di lotte e combattimenti contro rapaci agguerriti, piante carnivore, serpenti sibilanti e mostri di ogni sorta. Con ritmo cadenzato e immutabile imperturbabilità, il protagonista figura ora a piè di pagina e ora in cima, in una battaglia che si rinnova ad ogni pagina. Solo a fine lettura, in un colpo di scena da vero maestro, questo movimento altalenante troverà la sua insospettabile ragione. Ed è proprio a quel punto che tutti i pezzi della narrazione si ricompongono, trovando un nuovo senso e trascinando il lettore in una rilettura nuova, consapevole, disincantata.

Piccolo gioiello di tecnica, grafica e racconto, Il barbaro sa proporre una lettura appassionante e divertente per i più piccoli, che sono chiamati a prestare la loro voce ad avventure pazzesche, ma sa anche stupire i grandi, con una raffinata strizzata d’occhio a Suzy Lee e a quella sua Trilogia del Limite in cui tanta importanza narrativa assumono il silenzio e il confine tra pagine adiacenti e tra realtà e invenzione.

Orizzonti

In apertura non vi è che uno sfondo aranciato caldo e assolato, qualche ombra confusa e un paio di occhi sbarrati che fissano il lettore con effetto disarmante. Sono occhi di terrore, di sgomento, di impotenza: gli occhi di un ragazzo che fugge al di là di un filo spinato incontro a un destino incerto, come sveleranno le pagine successive.

Orizzonti, uno dei libri finalisti del Silent Book Contest 2014, propone con la sola e potentissima forza delle immagini, una storia drammaticamente attuale di fuga, di viaggio, di timori e di speranze. Ogni doppia pagina è un pezzo di strada – la corsa nel deserto, l’ammassamento nel cassone di un camion, il miraggio di un barcone, il buio della notte in mare – e ogni pezzo di strada è una tappa che si chiude ma anche un nuovo interrogativo che si apre, in un continuo rincorrersi di orizzonti, ora di ottimismo e ora di sconforto.

È un libro sull’oltre, questo di Paola Formica, inteso come possibilità, come futuro, come percorso che si snoda un ostacolo dopo l’altro. È un libro non facile ma fondamentale, un libro in cui il destino di un individuo diventa il destino di molti, in cui uno sguardo tra le tenebre si confonde tra mille altri e in cui un traguardo può assumere una pluralità di accezioni. Orizzonti, al plurale: il titolo non è casuale.

Le illustrazioni, evocative e coinvolgenti, si appellano a una conoscenza di ciò che accade a pochi passi da noi, nei nostri mari. Dall’aspetto quasi anticato, a tratti frusto, le ampie pagine in successione ricordano una pellicola d’altri tempi, come un cortometraggio intenso che racconta una storia tanto vicina al nostro passato e che vorremmo non costituisse il presente di nessun altro essere umano.

 

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