Le nid (Francia)

Un libro, soprattutto se accessibile, può assumere tante forme. Rilegature variegate, elementi removibili, storie non precostituite, confini labili tra gioco e lettura… Lucie Félix fa tesoro di tutti questi spunti e li mette a frutto contemporaneamente in un’unica proposta. Il suo Le nid, al momento edito solo in Francia grazie alle visionarie Editions des Grandes Personnes, è infatti un concentrato di caratteristiche fuori dall’ordinario. E ciononostante, non lo vediamo per nulla fuori luogo sullo scaffale dei libri.

Le nid è a tutti gli effetti un progetto editoriale originale che offre al lettore grande libertà di movimento, interazione e scoperta. Composto da 9 pagine di cartone spesso e robusto che possono essere piegate e spiegate in diversi modi, il volume può diventare un tappeto, un fortino, uno scenario, un contenitore… e chissà cos’altro! Grazie a questa versatilità, che di fatto è la sua forza, anche lettori molto piccoli e/o con difficoltà di approccio a proposte narrative e dispositivi di gioco troppo vincolanti possono trovare piacere e possibilità di partecipazione attiva.

Le pagine, dal canto loro presentano da un lato uno sfondo blu con alcuni dettagli bianchi, rossi e gialli che vanno a formare l’immagine di una colomba. Dall’altro, presentano sfondi di diversi colori, sempre accesi e pieni, su cui si stagliano ad alto contrasto figure minime e ben riconoscibili: un sole, delle nuvole, la pioggia, dei rami, un fiore, un uccellino, un nido, un fiore, dei semi, un uovo: tutti elementi semanticamente collegati tra loro e tra i quali è possibile tracciare un filo narrativo sottile, discreto e mutevole. Quegli oggetti si possono guardare, nominare, toccare, collegare. Ci si può salire sopra e li si può far interagire con le sagome di uccellini in carta che l’autrice stessa fornisce.  Li si può seguire come caselle di un gioco della campana sui generis, li si può nascondere a uno a uno piegando le rispettive pagine, li si può trasformare in soggetti di una canzone inventata su due piedi (o su uno!)…

In quella possibilità multiforme di abitare, letteralmente, pagine e figure, il bambino ha l’occasione di prendere dimestichezza con loro, di conoscerle in una forma accogliente, di sperimentarle secondo modalità che sono personali: un passaggio, questo, prezioso sia per costruire occasioni di benessere e piacere attraverso l’oggetto libro, sia per facilitare l’incontro con quelle che potranno essere forme di narrazione più codificate e di complessità via via crescente.

Semplicemente Maria

11 anni, indole tranquilla, ottimo rendimento scolastico: la vita di Maria, fuori e dentro la Marble City Middle, è votato al tenere un basso profilo. Niente colpi di testa, niente stramberie: l’obiettivo della ragazzina è apparire il più possibile normale e come tale farsi accettare. Niente di nuovo, in effetti, sotto il cielo della preadolescenza ma nel caso di Maria questa ostinata ricerca di ordinarietà socialmente accettabile muove da una ragione più profonda. Maria deve infatti fare i conti con una disabilità visiva importante che non solo impatta in maniera significativa sulla sua quotidianità ma soprattutto condiziona fortemente il modo in cui i pari la identificano. Maria si sente, nei fatti, solo “la ragazza cieca” della scuola. Nient’altro.

Forse per questo, quando il suo compagno e vicino di casa JJ le propone di lanciarsi reciprocamente delle sfide per dimostrarsi all’altezza di fondare l’Agenzia Investigativa Supereroica Ducrany, Maria si ritrova combattuta. Da un lato vorrebbe tenersi alla larga dal re degli adolescenti bizzarri che non brilla esattamente per popolarità. Dall’altro, quelle sfide un poco la attraggono, perché proprio facendo cose improbabili, sente di poter sperimentare la bellezza di essere altro dalla ragazza cieca. Pronunciare parole assurde durante l’ora di matematica, mettere un pollo di gomma sulla scrivania del preside, salvare l’amico da una spedizione in collegio e girare da sola per la città alla ricerca di una bambina smarrita, risultano cose folli ma utili per liberarsi almeno in parte da quell’etichetta invisibile e pesantissima.

Il nodo sta proprio lì: nelle etichette. Nel desiderio di scrollarsele di dosso per mostrare a tutti la propria personalità ma anche nella scoperta che nessuno di noi, Maria compresa, è immune dall’impulso ad attribuirle. Perché le etichette ci fanno comodo e ci rassicurano. Ma non c’è niente che ci allontani di più di esse, in effetti, dalla possibilità di costruire delle relazioni autentiche.

Ecco, Semplicemente Maria è esattamente questo: un romanzo spigliato e ironico sulle relazioni e sulle etichette, su ciò che la disabilità comporta e su ciò che, al contrario, non limita. È un romanzo sul desiderio, tutto umano, di essere visti per come si è e di essere trattati di conseguenza. Con il suo punto di vista determinato e schietto, Maria racconta un mondo in cui realtà complesse e sogni possono convivere, in cui l’idealizzazione è tanto pericolosa quanto il pietismo, e in cui fare zig dove tutti fanno zac può risultare una strada felice per scoprirsi e farsi scoprire.

Ho bisogno di spazio. Ho bisogno di spazio per crescere, per imparare, per cadere e per fallire, per urtare e per barcollare, per crescere e per conquistare. Per diventare quella che sono destinata a diventare.

Non sono fantastica.

Non sono magica.

Semplicemente Maria.

E questo mi basta.

Scorrevole, incisivo e capace di pungere in maniera chirurgica il lettore, Semplicemente Maria è un romanzo in cui una storia avvincente lascia di tanto in tanto spazio alle riflessioni della protagonista in cui emergono spunti preziosi sull’abilismo e risposte schiette ad alcune curiosità che spesso ruotano intorno alla disabilità. Jay Hardwig, l’autore, ha non a caso alle spalle una lunga carriera come docente di sostegno specializzato in disabilità visive, e questo concorre con tutta probabilità a garantire al racconto una tangibile credibilità e un’apprezzabile schiettezza.

Pubblicato da Uovonero all’interno della collana dei Geodi, Semplicemente Maria presenta, infine, interessanti caratteristiche di alta leggibilità (spaziatura maggiore, font Test me, sbandieratura a destra, carta opaca e color crema) che ne rendono la lettura più amichevole anche in caso di dislessia.

Giambattista la prima blatta sulla luna

Una blatta e la luna. L’una così prosaica e raccapricciante, l’altra così lirica e romantica: sono i termini perfetti per costruire un binomio fantastico. E, infatti, proprio come Rodari insegna, dall’incontro tra i due nasce una storia imprevedibile e intrigante.

La blatta, nella fattispecie, è Giambattista: un insetto sognatore e visionario. Da sempre Giambattista aspira a raggiungere la luna e si interroga sui segreti dell’universo, ispirato da antenati che hanno vissuto accanto a filosofi di fama. Tutti gli altri insetti, ben più banali, tendono a deriderlo. Tutti tranne Eloisa la mosca che, proprio come l’amico, vanta antenati illustri, però in ambito matematico. Il desiderio di conoscenza di Giambattista e il talento con i calcoli di Eloisa danno forma a un piano ambizioso: l’allunaggio! Tutto è studiato nei dettagli, i preparativi fervono, il conto alla rovescia inizia, il lancio ha inizio e Giambattista atterra finalmente su una superficie sconosciuta: missione compiuta! O almeno così sembrerebbe…

Con un finale a sorpresa che si svela pian piano grazie a un’efficace sinergia tra testo e illustrazioni, Giambattista la prima blatta sulla luna racconta una storia in cui immaginazione, scienza e filosofia si mescolano a puntino. Le autrici giocano in maniera felice con i diversi punti di vista e con le diverse interpretazioni del reale, attraverso parole e figure che dialogano, con condividono un tono sognante e che si strizzano reciprocamente l’occhio. L’esperienza di lettura che viene così predisposta è dinamica e intrigante poiché richiede una serie di inferenze e la capacità di muoversi agilmente tra i due codici.

Alla luce di questi aspetti, il libro di Elisa Lazzeri e Sara Cimarosti si presta bene a essere proposto non solo o non tanto in lettura condivisa con bambini in età prescolare ma anche e soprattutto come prima lettura autonoma, poiché unisce sostanza, relativa brevità e ampio spazio alla dimensione visiva. Da questo punto di vista è inoltre molto apprezzabile la scelta dell’editore Bohem press di pubblicare questo albo con caratteristiche di alta leggibilità. Il font EasyReading, la spaziatura ariosa e la sbandieratura a destra vanno infatti a rendere più amichevole la pagina, supportandone la decodifica anche da parte di bambini dislessici.

Dov’è Momo in giro?

Della genialità, accessibilità e trasversalità d’uso dei libri-gioco fotografici di Andrew Knapp abbiamo già detto quando per Topipittori uscì il primo volume della serie, Dov’è Momo?. Un libro non solo progettato con grande cura e capacità di catturare i lettori più piccoli, ma anche emblematico rispetto alla possibilità di scovare occasioni di lettura inclusiva al di fuori delle categorie canoniche di libri accessibili.

Le stesse considerazioni fatte a proposito di questo primo volume, dal canto loro, possono essere prese e riproposte pari pari anche per il secondo, Dov’è Momo in giro?. Pensiamo, in particolare, all’immediatezza delle immagini fotografiche, alla struttura grafica ricorrente e rassicurante (riquadri con soggetti e oggetti nominati a sinistra, fotografia a campo largo in cui cercarli a destra), alla dinamica ludica del cerca-trova che incentiva la verbalizzazione e all’accostamento minimale tra immagine fotografica e parola che ricorda il funzionamento dei simboli della CAA.

Qui, tuttavia, va forse rilevato anche un elemento aggiuntivo. Mentre le situazioni ritratte nel primo volume risultavano perlopiù slegate le une dalle altre, in Dov’è Momo in giro? si può registrare una sorta di sequenzialità. Momo viene, cioè, ritratto prima a casa e di fronte al van che lo porterà in vacanza, poi al lago, poi ancora durante la pausa pic-nic, poi al mare e nel bosco e infine al campeggio per il riposo serale. C’è un viaggio, c’è una giornata che scorre. Cosa vuol dire questo? Che ogni doppia pagina può essere goduta e fruita in sé, ma che allo stesso tempo, può essere letta come parte di un racconto più ampio. E anche in questo, la già citata dinamica interattiva sottesa al volume può nuovamente giocare un ruolo importante perché accompagna e sostiene il lettore nel padroneggiare narrazioni via via più articolate.

A vivacizzare ulteriormente questo secondo volume, contribuisce inoltre un co-protagonista. All’adorato Momo si unisce qui, infatti, un altro cane di nome Boo che come lui si nasconde, si mimetizza, si camuffa nei contesti e nelle maniere più disparate. Insieme a loro, benché non citato nei riquadri alla sinistra di ogni doppia pagina, c’è sempre anche uno special guest che aggiunge pepe e aumenta il grado di difficoltà della ricerca: l’orsetto di peluche. Già saltuariamente presente nel primo volume, l’orsetto diventa qui presenza fissa dal cuscino dell’inizio alla sdraio della fine. Deliziosamente irresistibile!

Animales salvajes – Nowordbooks (Spagna)

Nowordsbooks è un editore spagnolo specializzato nella pubblicazione di libri fotografici per bambini. La sua collana principale si compone di un’ampia serie di libretti di formato quadrato (15×15), maneggevoli e con un numero di pagine ridotto (10 ciascuno). Ogni volume è dedicato a un tema – perlopiù animali, oggetti, paesaggi e relazioni – sviluppato attraverso il medium fotografico.

Le fotografie impiegate – sempre e solo una per pagina – sono chiare, eloquenti e riconoscibili. I libri nascono infatti per soddisfare i gusti e le esigenze di lettori piccolissimi, la cui conoscenza del mondo e capacità di astrazione risultano ancora ridotte. Ad oggi ne sono stati pubblicati circa una cinquantina grazie ai quali i bambini possono esplorare con soddisfazione e ritrovare su carta alcune delle esperienze e dei soggetti a loro più vicini o per loro più attraenti.

Animales Salvajes, per esempio, propone una raccolta di immagini di animali selvatici di diverso tipo – rettili, mammiferi, rapaci – e tipici di diversi ambienti – foresta, savana, deserto, alta quota. Sempre posti al centro dell’inquadratura, rappresentai nella loro interessa e con elementi di sfondo poco confusivi, i soggetti appaiono netti e riconoscibili. Un supporto semplice e al contempo ben progettato per facilitare l’incontro con le pagine, la lettura visiva e la rappresentazione della realtà.

Ramona e la sua mamma

Quanto è cresciuta, Ramona! La bambina pestifera e irresistibile creata dalla penna di Beverly Cleary ha ormai sette anni e mezzo. Non sette, non otto: sette e mezzo. Un’età scellerata, a suo modo di vedere, in cui si è troppo piccoli per fare certe cose e troppo grandi per fare tutte le altre. Ramona frequenta dunque ora la seconda primaria, impara a scrivere correttamente, aiuta (un poco) in casa e va a scuola da sola. Fa tutte queste cose, Ramona, senza tuttavia aver perso per strada l’indole indomita, fantasiosa, intraprendente e testarda che da sempre la contraddistingue e la rende travolgente.

Travolgente per il lettore, che a lei si affezione con una facilità sorprendente, e travolgente per la sua famiglia – la mamma, il papà e la sorella Beezus ormai divenuta ragazzina – che con le sue trovate originali è quotidianamente alle prese. Come andare a scuola con il pigiama sotto i vestiti, per far finta di esser un pompiere. O inzupparsi completamente di acqua e tinta blu da bucato nel tentativo di far sembrare la vasca da bagno un vero oceano.

Rispetto ai primi volumi della serie, Ramona e la sua mamma ha un ritmo meno incalzante e un tono più introspettivo. L’autrice è molto brava, con la sua penna, a delineare il percorso di crescita e cambiamento dei suoi personaggi, rendendoli verosimili e amabili non solo nell’immediato ma anche sul lungo periodo. D’altronde Ramona si fa grande e anche il suo pensiero si fa più articolato, riflessivo. Lo stile della narrazione è però sempre fresco, pimpante e scorrevole. Pluripremiata autrice americana, Beverly Cleary sa come raccontare episodi di vita quotidiana, più e meno straordinari, con un tocco ironico e con uno sguardo che li rende irresistibili.

L’editore Il Barbagianni, dal canto suo, ha non solo il merito di aver portato in Italia un’autrice così valida e una serie così deliziosa, ma anche di aver scelto di pubblicarla con caratteristiche di alta leggibilità. Il font EasyReading, la dimensione non risicata del carattere, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe, la sbandieratura a destra e la carta opaca contribuiscono, infatti, a rendere l’esperienza di lettura più amichevole anche in caso di dislessia. Fine a cui, d’altro canto, concorrono in maniera decisiva le storie accattivanti confezionate dall’autrice e lo stile che privilegia una sintassi concisa e paratattica.

Intrusi

Bastien Contraire è un artista intrigante e fuori dagli schemi. Il suo libro-gioco Intrusi, uscito in Italia per Edizioni Clichy, ne è la prova. Il meccanismo, qui, è semplice ed è quello anticipato dal titolo: trovare in ogni pagina l’elemento che non c’entra nulla con gli altri. L’intruso, per l’appunto, tra una decina di soggetti.  E fin qui non ci sarebbe proprio nulla di stravagante o geniale. Ma è il modo in cui l’autore propone e declina questo gioco assai noto a fare la differenza.

Le figure che l’autore propone si caratterizzano, infatti, per due aspetti: le forme minimali ma eloquenti e i colori ridottissimi (fucsia, verde, bianco e marrone) ma ipnotici. La combinazione di questi due aspetti fa sì che la distinzione tra le diverse figure che popolano ogni pagina risulti tutt’altro che banale o immediata. Per venirne a capo occorre, infatti, osservare, confrontare, riconoscere, associare e discriminare, districandosi tra forme simili e tinte ricorrenti. Così, se a volte sembra più facile, come quando un pallone da calcio si mimetizza tra i frutti, talaltra è una discreta impresa, come quando un’aragosta si confonde tra gli insetti.

Ecco allora che tra quelle pagine dai dettagli fluo e dalla composizione ordinata si è portati a sostare a lungo. Si leggono le figure, si nominano eventualmente, si creano categorie, si notano somiglianze, si trova la soluzione: un esercizio di lettura visiva straordinario e insieme di catalogazione del reale. Sembra semplicissimo ma in realtà richiede abilità raffinate. E un libro come questo permette di affinarle con molto, molto, molto piacere. Non solo. Di fronte alle associazioni visive imbastite dall’autore potremmo iniziare a chiederci: che gusto può avere un gelato a forma di ombrello? Chi sono gli antenati dell’upupa? Il porta-scotch è ispirato alla forma delle chiocciole?, aprendo così una nuova possibilità di ricerca, dialogo e di invenzione. Se non è creatività questa…

Quanti problemi, Arvo!

Anti Saar è un autore estone con un talento ammirevole: riesce a trasformare eventi quotidiani assolutamente ordinari in avventure cosmiche e travolgenti. Qual è il suo segreto? Sa dare voce con minuzia puntuale e marcata ironia a un pensiero bambino che al lettore arriva vero e palpitante in tutta la sua ferrea e stravagante logica. Così accade, per esempio, in Quanti problemi, Arvo!, in cui il punto di vista e la voce narrante sono quelli di un bambino di 8 anni che, come spesso accade nella realtà, pensa non a 10 ma a 100 all’ora.

A ben guardare, infatti, Quanti problemi, Arvo! conta ben pochi avvenimenti in successione. E, ciononostante, il suo ritmo è serratissimo e scatenato. Può succedere, per esempio, che Arvo perda la fermata di casa una volta salito sul bus, che rimanga in coda da solo al supermercato per qualche minuto, che desideri a tutti i costi aggiudicarsi l’ultima fetta di torta della zia o che si ritrovi sulla testa una prugna caduta dall’albero: qualunque sia l’evento di partenza – tutto sommato un imprevisto o una situazione critica circoscritta e di poco conto – la sua mente cerca di farvi fronte, dando vita a un arzigogolato tumulto di pensieri che, di fatto, trasformano il reale. Arvo pensa, pensa, fortissimamente pensa, e le cose che immagina possano succedere ingigantiscono a dismisura le situazioni in cui si viene a trovare o fanno loro prendere una piega totalmente assurda.

Il risultato è sinceramente spassoso e piacevolmente coinvolgente. Se poi si aggiunge che lo stile di Saar ha un ritmo incalzante e un tono ironico di lunga tenuta, si capirà bene che potenziale attrattivo posso vantare un libro come Quanti problemi, Arvo!. Scorrevole e composto da cinque capitoli che di fatto riportano cinque avventure autoconclusive, il libro pubblicato da Sinnos si presta benissimo ad accogliere anche bambini refrattari alla lettura per ragioni di scarsa abitudine o di difficoltà di decifrazione. Apprezzabili, in questo senso, le scelte operate dall’editore in favore dell’alta leggibilità: dagli aspetti tipografici come il font leggimi, la spaziatura ampia e la sbandieratura a destra agli aspetti compositivi come la presenza di illustrazioni a ogni pagina, a loro volta leggere e accattivanti, perfettamente in linea con il tono scanzonato del testo.

Prendi e scopri

Prendi e scopri è un libro-gioco, ossia un libro che svela il suo senso più pieno solo in virtù della partecipazione attiva del lettore che qui, nello specifico, viene chiamato a prendere, togliere, spostare, ricollocare sulle diverse pagine una serie di elementi removibili. La prima pagina del libro spiega esattamente questo: offre cioè una breve e semplice istruzione di come leggere il volume utilizzando il tondo rosso che si trova lì a fianco e le altre forme removibili presenti nel libro. Quella pagina, vien da pensare, è probabilmente dedicata i grandi: una sorta di rassicurazione per agli adulti più timorosi che condividono la lettura insieme ai bimbi. Questi ultimi ne potrebbero fare a meno. E non perché all’età per la quale il libro è progettato – diciamo, indicativamente, tra i 2 e i 4 anni – non sappiano ancora leggere. Ma perché nella seconda pagina trovano effettivamente il tondo rosso di cui parlano le istruzioni, e quel tondo rosso si presenta infilato in un incastro della stessa forma, con una piccola apertura che ne facilita l’estrazione e con a fianco una parola: prendere.

Ecco, de dovessimo pensare al concetto di affordance, ossia alla qualità di un oggetto che ne rende intuitivo l’utilizzo, questa pagina di Prendi e Scopri potrebbe fare da manifesto. In quella forma minima e accattivante, color rosso accesso che spicca sullo sfondo bianco, in quell’apertura che invita a infilare il ditino e in quella parola che chiama all’azione c’è, infatti, già tutto ciò che serve. Il bambino sente, vede, tocca, esplora. E fa. E qui sta esattamente la forza e la genialità di questo libro: nella capacità di coinvolgere attivamente il lettore in maniera molto naturale e immediata, trasformando il suo agire in un motore di senso. Già, perché quelle forme essenziali che le sue manine estraggono e spostano sono esattamente ciò che con cui i concetti di rompere, costruire, aprire, chiudere, coprire, accendere o spegnere assumono concretezza.

Ci sono il potere del coinvolgimento attivo, il fare che diventa capire, il piacere di manipolare, intuire e trovare soluzioni (per esempio quando sono due triangoli a dover colmare una forma quadrata). Ci sono l’essenzialità delle forme, il contrasto dei colori, la pulizia grafica che orientano l’attenzione. Ci sono la familiarità dei soggetti, la praticità dei verbi e la curiosità della trasformazione che incentivano la scoperta. C’è tutto questo dentro Prendi e scopri e serve la genialità di un’autrice e designer come Lucie Félix per farcelo stare dentro pagine apparentemente semplicissime. L’autrice francese ha un talento vero nell’osservare da vicino i bambini che giocano, leggono, scoprono e nel progettare per loro dei supporti editoriali che ne abbraccino e solletichino l’indole. Libri come Coucou e Poesia in giallo ne sono altri due esempi eloquenti. È un approccio attento e rispettoso, il suo, profondamente e felicemente ispirato alla lezione di Munari. Un approccio in cui capacità di ascolto e osservazione fanno davvero rima con inclusione perché presuppongono la disponibilità a offrire proposte di gioco e letture in cui ciascuno possa trovare la propria dimensione.

In una recente intervista raccolta per Liber, Lucie Félix dice, non acaso: “Spesso fissiamo per i bambini dei traguardi altissimi e gli chiediamo di buttarsi e arrivarci direttamente. Credo, invece, sia importante offrire loro delle tappe e credo che sia molto interessante usare la nostra intelligenza adulta per fare tutto questo. È nostro compito predisporre le cose in modo progressivo. In Prendi e scopri, per esempio, abbiamo un’immagine con gli opposti, abbiamo concetti che possono essere un po’ complicati da capire, ma non dobbiamo per forza leggere padroneggiandoli subito. Per me, il fatto che il bambino possa iniziare a capire che si trova in un piccolo sistema, che ci sarà un insieme di regole e che giocheremo insieme, è già sufficiente e di per sé importante. All’inizio, magari, ci sarà solo il colore rosso che lo chiamerà. Poi si accorgerà che può prendere il pezzo tondo, che lo può spostare e che lo può ricollocare. E voilà: ecco la regola del gioco, si ricomincia!”

Le straordinarie avventure di Alice Tonks

Alice ha sempre vissuto insieme alla nonna nella piccola cittadina inglese di Lizzie. È, dunque, abituata a una realtà tranquilla, protetta e dalle dimensioni circoscritte. Per questo, non attende con molta gioia l’inizio del nuovo anno scolastico. Si tratta, infatti, per lei di cominciare il nuovo ciclo scolastico alla Pebblewood School, una rinomata scuola media che ha sede in un castello, che si trova su un’isola ben lontano dalla casa della nonna e che non vede la presenza di nessuno che Alice conosca: pessime premesse, considerando che i cambiamenti e le relazioni sociali non sono esattamente il suo forte. Alice è infatti autistica e l’idea di buttarsi in un contesto sconosciuto con persone ignote è per lei motivo di grande ansia.

Fin dalla giornata di inaugurazione le cose si mettono maluccio: la situazione è talmente sovraccarica di stimoli per Alice che in men che non si dica la ragazza si ritrova al centro dell’attenzione di tutti – studenti, genitori e professori – per aver manifestato in maniera piuttosto veemente il suo malessere. In quella stessa circostanza, però, ad Alice succede anche una cosa curiosa: un gabbiano le viene incontro e le parla. Non solo: nei pochi istanti in cui i due dialogano, il gabbiano mette a parte Alice delle misteriose sparizioni di animali che da un po’ di tempo si stanno verificando sull’isola di Pebblewood, chiedendole di aiutarlo a venirne a capo.

L’inizio delle lezioni continua, dunque, a essere una dura prova per Alice ma allo stesso tempo la ragazza trova nella missione affidatale una motivazione forte a cui aggrapparsi nel tentativo di trovare il proprio posto nella scuola.  La sua permanenza alla Pebblewood School si snoda, così, tra amicizie ora altalenanti ora sorprendenti, prese in giro da farsi scivolare addosso, visite salvifiche (fino a un certo punto) in biblioteca e intense ricerche di indizi. E, non da ultimo, incontri inaspettati e sempre più travolgenti con la magia. La verità che Alice riuscirà a far venire a galla rappresenterà, dal canto suo, non solo la soluzione di un mistero complesso in cui passato e presente si intrecciano ma anche l’occasione per (ri)scoprire la propria identità e dare un significato diverso al concetto di diversità.

Le straordinarie avventure di Alice Tonks ha il pregio di raccontare una storia avvincente e dal ritmo serrato, in cui la componente magica ha un ruolo centrale (con echi marcati alla saga di Harry Potter – dall’ambientazione alla presenza di ordini di difesa contro il male, dalla caratterizzazioni dei personaggi al ruolo delle trasfigurazioni in animali) e risulta funzionale a esplorare le tante facce del sentirsi al di fuori dei confini della norma. L’inadeguatezza, la stramberia, l’incomprensione e la solitudine, per esempio, sono tutti aspetti che l’autrice Emily Kenny, a sua volta neurodivergente, riesce a far emergere in maniera molto intensa e naturale attraverso le vicissitudini della sua Alice. Allo stesso tempo, unicità, talento e possibilità di sentire il mondo in una maniera nuova, sono altrettante implicazioni che trovano spazio nel romanzo e che invitano il lettore a confrontarsi con la ricchezza dell’identità di ognuno di noi. Neurodivergenti compresi.

A questo proposito, può valere la pena sottolineare come a differenza di altri romanzi in cui i protagonisti sono autistici, qui la neurodivergenza di Alice gioca un ruolo più marginale. Essa fa, infatti, capolino solo ogni tanto senza diventare il fulcro narrativo e senza condizionare troppo il comportamento della ragazza. Un aspetto, questo, che può contribuire, dal canto suo, a veicolare l’idea che l’autismo è di fatto uno spettro all’interno del quale abilità ed esigenze possono essere anche molto diverse fra loro: un mondo variegato e ricco in cui categorie ed etichette unilaterali lasciano il tempo che trovano.

Piccole donne

La collana Parimenti dell’editrice la meridiana, l’unica ad oggi composta da libri in simboli pensati per giovani adulti con bisogni comunicativi complessi e/o disabilità cognitive, si arricchisce di un nuovo titolo: Piccole donne.

Il testo di Louisa May Alcott viene qui ampiamente semplificato e ridotto, prima di venire simbolizzato. Il racconto che vede protagoniste le quattro sorelle March, ritratte nelle loro vicissitudini quotidiane e nel loro percorso di crescita in un arco temporale che va da un Natale a quello successivo, viene dunque riproposto nei suoi episodi salienti a scapito dei passaggi più descrittivi e psicologici. Non mancano perciò i temi chiave dei legami familiari, dell’amore, dell’amicizia, del passaggio all’età adulta e delle prove che la vita sottopone all’essere umano: temi forti e delicati che anche gli adolescenti con disabilità devono poter avere occasione di incontrare.

Ecco, dunque, che anche in questo caso emerge la peculiarità e l’importanza di una collana come Parimenti. Quest’ultima nasce, infatti, proprio per offrire narrazioni semplificate nella forma ma articolate nei temi, così da intercettare i bisogni e gli interessi dei giovani lettori con disabilità. I testo, pur non privo di subordinate e di forme sintattiche che richiedono un po’ di dimestichezza (discorsi diretti non attribuiti esplicitamente, incisi, soggetti sottintesi…), mira a risultare fruibile, privilegiando frasi brevi e paratattiche. La simbolizzazione, dal canto suo, va ad offrire un supporto visivo per ciascun elemento testuale (compresi pronomi, articoli e congiunzioni), dando vita a pagine molto fitte. Qua e là, all’inizio di ogni capitolo, fa capolino un’illustrazione. Molto asciutte e prive di elementi di contorno, le figure risultano sì comprensibili ma anche un po’ slegate dal testo di riferimento. Di fatto esse assumono un ruolo più decorativo che funzionale ad arricchire, sostenere o variegare la lettura.

Nel bosco

Che bello avventurarsi tra questi sentieri di carta! Il libro firmato da Charline Collette traccia diversi percorsi lungo i quali i segreti, gli abitanti, i cicli e i tesori del bosco a poco a poco si svelano. Realizzato a partire dai racconti di alcune persone che questo ambiente lo hanno profondamente vissuto, in diversi momenti della loro vita, Nel bosco si compone di 12 brevissimi racconti illustrati suddivisi in base alla stagione in cui si svolgono. Al loro interno si trovano mestieri di una volta ed esplorazioni selvatiche, questioni ambientali e ricordi d’infanzia, giochi senza tempo e incontri sorprendenti, conoscenze naturalistiche e avventure nella neve. Una delizia narrativa con un tocco di divulgazione!

Ogni racconto non occupa che una decina di pagine (spesso meno) e assume la forma intrigante di un fumetto senza balloons. Una serie di vignette rettangolari, disposte in maniera molto ordinata (da 1 a 6 per pagina) e accompagnate da una corta didascalia delineano, in particolare, lo sviluppo di ogni episodio che risulta a sé stante benché talvolta i personaggi ritornino.  Questa scelta grafica, unita all’appeal delle illustrazioni dal tratto e dalle tinte vivaci, rende la narrazione molto accattivante oltre che molto accessibile. Si tratta, in effetti, di un racconto che sfrutta in maniera significativa la dimensione visiva, attribuendole almeno pari importanza rispetto a quella verbale. Questo aspetto, insieme alla brevità dei racconti e alla scelta di Sinnos di adottare caratteristiche di alta leggibilità per il testo, rende il volume particolarmente apprezzabile anche da parte di lettori dislessici.

La scelta operata dall’editore, da sempre impegnato in favore di una pratica di lettura accessibile a tutti e dunque democratica, appare dal canto suo ponderata e felice. L’originale francese presentava infatti un font più vezzoso che restituiva alla pagina un aspetto abbastanza diverso. L’adozione, al contrario, di un font più pulito ed essenziale come il leggimi ha finito non solo per rendere la grafica più essenziale e leggibile ma anche per sposarsi in maniera più calzante con il carattere sobrio e concreto di questo racconti del bosco.

Soffia più forte!

Si dice, nel bosco, che se trovi un soffione, ci soffi forte e fai volare via i pappi (qui chiamati per semplicità petali), puoi esprimere un desiderio. Lo scoiattolo lo sa e per questo, appena avvista un soffione volare, non perde l’occasione di soffiarci su. Desidera, infatti, una bella scorta di ghiande! Il suo soffio, tuttavia, non è abbastanza potente perciò chiede rinforzi: prima la volpe, poi il lupo, e l’orso. Ma anche così non basta, perciò lo scoiattolo si gioca il tutto per tutto e va a chiamare la balena. Fu, fu, fu fu fu… Gli amici soffiano insieme ma ancora non basta. Serve un aiuto extra. E se venisse da un posto inaspettato, al di là della pagina, per esempio? Il lettore è così chiamato direttamente in causa a soffiare con i protagonisti. Le pagine dedicate al suo soffio sono ampie e lente: perché quel soffio è davvero importante! Inutile dire che farà la differenza verso un lieto fine con cui sognare, immaginare, desiderare…

Soffia più forte! è un libro che ha tante qualità, sia a livello di contenuto sia a livello di forma. È un libro, prima di tutto, che ha una storia piccola e semplice ma compiuta. Capace di dare soddisfazione al lettore, quindi. Una storia, poi, in cui ci sono almeno due elementi particolarmente funzionali a intercettare i bisogni e le preferenze dei lettori giovanissimi, anche e soprattutto qualora padroneggino con difficoltà delle storie troppo articolate e complesse: l’iterazione e la gradualità. Da un lato, infatti, l’autrice predispone un’ossatura narrativa modulare e dunque positivamente prevedibile (personaggio/i che soffia/no – fallimento del tentativo – ricerca di rinforzi) su cui può felicemente innestarsi la sorpresa finale. E dall’altro sfrutta la capacità rassicurante e facilitante di questa ossatura per ampliare via via la complessità del racconto e aumentare man mano il numero di personaggi coinvolti.

Le illustrazioni, dal canto loro, assecondano questo sviluppo, riservando spazio a un gruppo sempre più consistente di personaggi ed evitando dettagli superflui e distraenti. Delicate e dai contorni sfumate, queste possono risultare di decifrazione non immediatissima. Per contro, donano al volume un fascino interessante. Ben studiato, inoltre, è lo spazio dedicato al soffio del lettore: un’intera doppia pagina chiarissima e quasi vuota, fatto salvo per i pappi volanti, che rende visibile la sospensione che stanno vivendo gli animali del libro (e con loro il lettore) e che valorizza l’interazione richiesta al bambino. Quest’ultima, oltre a costituire un elemento di sorpresa molto appagante e piacevole, determina una significata possibilità di aggancio e partecipazione attiva alla lettura anche da parte di bambini con maggiori difficoltà di attenzione e comprensione.

Nella stessa direzione, peraltro, va la scelta di pubblicare il volume con il supporto visivo dei simboli. Questi ultimi, impiegati secondo il modello inbook (simbolizzazione individuale di ogni elemento testuale, testo in minuscolo racchiuso nel riquadro, simboli in bianco e nero…) hanno il pregio interessante di risultare piuttosto ampi: aspetto, questo, che gioca un ruolo importante nel facilitare la visione e la decodifica della parte grafica, anche e soprattutto in una situazione di lettura in piccolo gruppo.

Il fantasma della miniera (Mini Romanzi)

Quella dei Mini Romanzi, ideata e pubblicata da Il castoro, è una collana da tenere d’occhio perché ha diversi pregi. Il primo è sicuramente la grafica accattivante e ad alta leggibilità: font Easyreading, spaziatura ampia, carattere abbastanza grande, sbandieratura a destra, carta opaca e illustrazioni frequenti. Ma l’alta leggibilità, lo sappiamo bene, da sola non basta. Servono prima di tutto buone storie per catturare e motivare i giovani lettori, anche e soprattutto meno forti, a proseguire nella lettura. E qui viene il secondo pregio: i Mini Romanzi offrono avventure compatte ma compiute, brevi ma avvincenti. La loro misura breve, cioè, non inficia minimamente la qualità e la densità delle vicende narrate. Allora stesso tempo, però, gioca un ruolo fondamentale nell’attrarre e nel far sentire capace chi vede nell’alto numero di pagine un ostacolo insormontabile.

Si prenda ad esempio Il fantasma della miniera.  Qui troviamo tre protagonisti tra i 9 e i 10 anni alle prese con un piccolo mistero succulento. Astrid, suo fratello Ruggero e la loro cugina Giovanna si ritrovano, infatti, come tutte le estati dai nonni. Quelle che spendono insieme sono giornate di natura e scoperta, di giri in bicicletta e di avventure senza eccessivo controllo. È uno spazio-tempo a parte, quello, in cui riscoprire scampoli di selvatichezza, libertà e segreti. Come quello che i tre cugini coltivano e custodiscono progettando di visitare di notte la miniera in cui per tanti anni ha lavorato il nonno. Certo, bisogna fare il giuramento, dire qualche frottola, (fingere di) non avere paura e spingersi con le biciclette fino all’imbocco della grotta che porta nel cuore della miniera. Il piano è semplice: andare, scegliere un oggetto (un chiodo, un sasso, un verme stecchito) a ricordo dell’impresa e tornare indietro. Succede, però, che nella grotta qualcosa accade: un lamento tenebroso si leva dalle gallerie. Che sia il fantasma Romualdo, di cui tutti parlano in paese? Difficile dirlo. Quel che è certo è che l’avventura notturna, a quel punto, prende tutta un’altra piega…

Chiara Lorenzoni confeziona un romanzo breve con la giusta dose di brivido e avventura, senza lesinare sul colpo di scena finale. Il suo modo di narrare è accessibile ma sempre curato, attento a offrire al lettore parole ben scelte e all’occorrenza ricercate. Accompagnato dalle illustrazioni a colori piacevoli, frequenti e senza eccessi, firmate da Martina Brancato, il testo de Il fantasma della miniera si presta benissimo alle prime letture autonome di chi desideri sperimentarsi con libri da grandi, senza rinunciare al supporto e all’appeal preziosi delle figure.

Pimpa e la scuola di Tito

Quest’anno Pimpa festeggia 50 anni tondi tondi. C’è forse un modo migliore per celebrare un traguardo così importante di rendere accessibili le avventure della cagnolina più amata d’Italia anche a chi fino ad ora non ha potuto farlo? Probabilmente no! Ecco allora che l’iniziativa curata da Franco Cosimo Panini in collaborazione con la Fondazione Paideia appare quantomai felice: l’editore ufficiale di Pimpa e la fondazione torinese molto attiva nella creazione di supporti in CAA hanno infatti dato vita a una serie di storie di Pimpa con il testo supportato visivamente dai simboli WLS.

Si tratta di volumi al contempo molto fruibili e molto curati dal punto di vista compositivo ed estetico. La qualità della carta e della stampa, la grafica e l’impaginazione rendono, infatti, questi libri assolutamente equivalenti, in termini di aspetto oltre che di contenuto, ai libri di cui costituiscono un adattamento. E questo è un goal non da poco per una tipologia di libro – quella in simboli – che spesso deve fare i conti con pubblicazioni non strettamente editoriali e di conseguenza non propriamente di valore.

Non solo: i volumi così confezionati appaiono anche particolarmente rispettosi degli originali. L’aggiunta dei simboli implica di fatto una riduzione dello spazio dedicato alle illustrazioni, che risultano cioè poco più piccole ma egualmente di ampio respiro, ma non compromette l’equilibrio con cui originariamente testi e figure erano stati combinati sulla pagina. Per far sì che questo accada e al contempo per rendere la lettura più accessibile e meno ostica, alcune frasi vengono sintetizzate, eliminate o ridotte, mantenendo però intatto il senso del testo e in buona parte anche il ritmo.

Il processo di simbolizzazione, dal canto suo, appare ispirato a un certo equilibrio tra dettaglio ed economia: la maggior parte delle parole viene, cioè, individualmente simbolizzata, fatto salvo per quei casi in cui risulta più chiaro e comprensibile associare più elementi testuali allo stesso simbolo (es: “la lettera z”, “c’era una volta”…). In generale, articoli e aggettivi vengono sempre uniti al soggetto di riferimento (nel primo caso privi di specifico simbolo, nel secondo caso con il simbolo inserito nello stesso riquadro del simbolo del sostantivo), l’elemento di negazione (non) viene sempre associato al verbo a cui è associato (il cui simbolo appare quindi sbarrato), e le locuzioni verbali vengono sempre tenute compatte (talvolta in associazione a un solo simbolo, talvolta a più di uno).

In Pimpa e la scuola di Tito, Pimpa si prepara ad andare a scuola. Per Tito la faccenda è del tutto nuova perciò, mosso da sincera curiosità, tempesta Pimpa di domande su questo luogo così misterioso. Cosa si fa? Cosa ti insegnano? Come si chiama la maestra? A cosa servono le lettere? Cosa disegnate? Posso venire anch’io? Ma Tito è troppo piccolo, dice Pimpa mentre si appresta a saltare sul pulmino. Poco male: rimasto a casa, Tito trova nei mobili e nei complementi – animati, come sempre accade nelle storie di Altan – un validissimo aiuto per imparare a scrivere, a leggere e a disegnare. Grande sarà la sorpresa di Pimpa al suo ritorno e meritatissima la merenda che i due si concederanno dopo il duro lavoro!

Il cercatore di sirene

La vita di Lisa è tutto fuorché ordinaria. Fin da piccola, infatti, la bambina protagonista di questo libro gira per il mondo insieme al suo papà che fa il cercatore di sirene. Difficile immaginare un mestiere più favoloso! Nel momento in cui la storia ha inizio, i due si trovano per esempio in un’isola sperduta dell’Oceano Indiano: un posto incantevole che offre mille e un motivo per essere apprezzato. Tramonti magici, cibo delizioso, aneddoti intriganti… ma ciò che Lisa ama davvero è aver trovato un amico. Con Shanti, infatti, non solo si dedica a portare ogni mattina le offerte alle creature del mare, ma stila anche prove di coinvolgenti prove di coraggio e sfida gli spiriti maligni dell’isola. Tutto sorprendente, certo, ma mai come il segreto grande che l’isola e i suoi abitanti custodiscono…

Il cercatore di sirene unisce un racconto dal sapore fantastico a un apparato iconografico che cattura l’occhio del lettore e amplifica le atmosfere esotiche tratteggiate dal testo. I colori sgargianti scelti da Karina Vasiliu danno vita a illustrazioni vivaci che da un lato appaiono accattivanti e dall’altro supportano in maniera significativa l’eventuale lettura autonoma del libro. A questo aspetto, d’altro canto, l’editore dedica particolare attenzione. Per il libro è stato scelto, infatti, il font open source ad alta leggibilità OpenDyslexic che mira a rendere più amichevole la decodifica del testo grazie all’inspessimento della parte inferiore dei caratteri, a un design che facilita la discriminazione dei grafemi simili e a una spaziatura maggiore tra le lettere, le parole e le righe. Una scelta, questa, interessante e troppo poco battuta nel settore degli albi illustrati che pur costituiscono un terreno prezioso di prima lettura anche e soprattutto per lettori che sperimentano difficoltà nella decodifica alfabetica.

Il filo

La protagonista de Il filo è una bambina timida. Ce lo dicono con pochi tratti le prime due vignette del libro, dove la vediamo rannicchiata in disparte mentre guarda a distanza e con un po’ di tristezza le compagne che giocano insieme. La vediamo, la riconosciamo, ci immedesimiamo. E siamo pronti a seguirla! Dalla terza vignetta, infatti, la bambina diventa protagonista di un viaggio movimentato e ricco di incontri che cambierà non poco la sua sorte. Tutto merito di un filo viola, metafora consolidata della relazione che ci tiene uniti agli altri, che poggia accanto a lei e di cui lei, fino a quel momento, non pareva essersi accorta.

Un filo che spunta dal nulla e che porta chissà dove è cosa ben bislacca e merita senz’altro di indagare.  Così la bambina inizia a seguirlo e, contemporaneamente, ad arrotolarlo in una matassina, ritrovandosi ad attraversare labirinti sotterranei e boschi intricati, cieli nuvolosi e profondità marine. A ogni cambio di scenario la bambina fa degli incontri – una talpa, un lupo, dei gabbiani e delle sirene – segnati da un istintivo rapporto di mutuo aiuto. A volte è la bambina a venire in soccorso delle creature che incontra, a volte è lei stessa a beneficiarne. E intanto la matassa si infittisce, si infittisce, si infittisce. Fino all’incontro finale che qui non sveleremo. Del filo la bambina non trova, in effetti, il capo. Ma poco importa: è la trama e non la fine a renderci, come umani, felici e soddisfatti!

Il racconto per immagini di Sandrine Kao si caratterizza per uno stile minimale in cui gli sfondi servono essenzialmente a identificare i cambi di scena e a far risaltare le figure in primo piano; in cui i pochi tratti che animano i volti indirizzano in maniera significativa la comprensione di ciò che accade; e in cui il tratto fine che delinea le figure regala alla narrazione un passo lieve e piacevolissimo.

Della collana – Le nuvolette di Arka – di cui Il filo fa parte abbiamo già detto (per esempio qui) un gran bene. Si tratta, nella fattispecie, di un apprezzabile progetto editoriale francese che unisce le qualità inclusive dei libri senza parole a quelle dei fumetti. Assenza di testo, valorizzazione della comunicazione visiva, scansione regolare e rassicurante in vignette, passaggi narrativi dettagliati ed espliciti offrono, infatti, anche ai lettori con difficoltà legate alla decifrazione e alla comprensione una possibilità interessante, accessibile e appagante di lettura, sia autonoma sia condivisa.

Ulteriore valore aggiunto: la collana coinvolge autori da accomunati da una capacità narrativa per immagini molto spiccata ma allo stesso tempo dagli stili molto diversi. Troviamo così volumi più divertenti e altri più teneri, illustrazioni più nette e altre più schizzate, vicende più avventurose e altre più votate all’invenzione. E questo non è un aspetto da sottovalutare perché il diritto alla lettura si nutre anche della varietà di proposte che ai bambini possono essere offerte. Perché non tutti i gusti dei lettori sono uguali e perché uno scaffale più ricco, anche all’interno della medesima tipologia testuale, significa maggiori possibilità di scoperta, pensiero e immaginazione.

Una foto per Brett

Una foto per Brett è un racconto illustrato che fa parte della serie Il cuscino a pois edita da Erickson. Tutti i libri della serie sono accomunati da alcune caratteristiche formali e contenutistiche. Il testo è infatti sempre stampato in maiuscolo, mentre la storia prevede sempre un personaggio fisso (nonna Ada), un oggetto chiave (il cuscino magico) e un meccanismo narrativo consolidato (il protagonista, solitamente uno dei nipoti di Ada, ha un problema che si risolve dopo una notte di sonno sul cuscino magico della nonna. Il sogno, infatti, porta con sé la soluzione).

Nel caso di Una foto per Brett, per esempio, la giovane protagonista arriva a casa della nonna tutta corrucciata perché si vergogna del suo nuovo e (a suo parere) irrecuperabile taglio di capelli. L’umore è pessimo e la ragazzina è decisa a rinunciare a ogni contatto sociale. “Dormi serena, sogna che è meglio, la soluzione la trovi al risveglio”, le dice però la nonna. E in effetti, poggiata la testa sul cuscino a pois, qualcosa accade. Nel sogno, Brett incontra i suoi amici più cari che la informano di doversi recare in comune per un aggiornamento degli archivi: serve una nuova foto di ogni cittadino. Potrebbe accadere qualcosa di più detestabile proprio nel momento in cui Brett vorrebbe nascondere a tutti la sua testa? Per fortuna i suoi amici sono non solo pieni di inventiva ma anche capaci di far sentire Brett a suo agio, proprio così com’è. Perché a volte non serve per forza cambiare: serve trovare lo sguardo giusto!

La storia di Una foto per Brett è dunque piuttosto semplice e piana. Ciò che rende il libro particolarmente intrigante e originale è invece il suo elevato grado di innovazione e personalizzazione dei contenuti. Il volume cartaceo offre, in primo luogo, la possibilità di fruire gratuitamente del racconto anche in formato audio (scaricabile o attivabile tramite qr code) e in formato ebook, condensando in un unico supporto un’ampia varietà di opzioni di letture tra cui è possibile muoversi con facilità senza che l’una debba escludere le altre. In secondo luogo (non certo per importanza), il lettore può scegliere di adattare le caratteristiche testuali, tipografiche e iconografiche alle sue esigenze, tanto nella versione ebook quanto in quella cartacea.

Cosa significa in concreto? Diverse cose. In fase di ordine, il lettore può segnalare, per esempio, all’editore le sue preferenze e ricevere così una copia cartacea in cui le opzioni relative allo stampato (maiuscolo/minuscolo), alla complessità del testo (standard/ridotto) e alla complessità delle illustrazioni (standard/semplificate) rispecchiano il più possibile le sue capacità e le sue esigenze. Analogamente, l’ebook, attivabile con un codice presente sul cartaceo, offre la possibilità di adattare le caratteristiche tipografiche (font, grandezza del carattere, contrasto…) e soprattutto la complessità delle illustrazioni. Quest’ultima, nella fattispecie, dipende da numero di dettagli presenti, dalla nettezza dei contorni e dalla possibilità di isolare dei soggetti e di zoomarvi.

Questo aspetto della personalizzazione delle illustrazioni è, in particolare, molto interessante e innovativo. Non a caso, è frutto di un articolato progetto europeo condotto da partner molto competenti sul tema dell’accessibilità, come la casa editrice Les Doigts Qui Revent, il laboratorio di ricerca dell’Università di Linz e diversi enti impegnati nella riabilitazione e nel supporto educativo a bambini con disabilità come la Fondazione Hollman e la cooperativa Abilnova. Il progetto, intitolato Flex Picture Ebook, punta sul digitale per offrire possibilità di accessibilità e dunque di inclusione più ampie di quelle a cui normalmente siamo abituati. Semplificare, isolare, animare e zoomare sono le parole chiave intorno alle quali sono stati costruiti i diversi livelli di complessità delle illustrazioni, con l’obiettivo di migliorare l’esperienza di lettura di ciascun bambino, fornendo un’esperienza il più possibile aderente alle sue esigenze. Ecco allora che le potenzialità insite nello strumento digitale vanno a integrarsi a quelle del cartaceo e a creare valore, ampliando notevolmente le possibilità di fruizione soprattutto da parte di bambini con disabilità visiva, intellettiva e comunicativa.

Ma il progetto si spinge oltre. Esso non mira, infatti, solo a creare degli ebook più accessibili ma anche a mettere a punto un formato di creazione e pubblicazione di ebook che qualunque casa editrice (si veda, per l’appunto, il caso di Erickson) può adottare al fine di rendere più fruibili i suoi contenuti. Una scelta determinante e significativa perché l’editoria possa davvero segnare un cambio di passo.

Ode all’estate

Ode all’estate è un silent book che offre al lettore una duplice esperienza: il riconoscimento di alcune sensazioni tipiche della stagione estiva e l’immersione in una storia piccola e ordinaria che riserva per il finale un sorridente guizzo fantastico. Tra le sue pagine senza parole firmate da Francesca Aiello si avvertono il calore del sole a picco, il piacere di piccoli gesti rinfrescanti, la concentrazione assorbente di un progetto di sabbia e la frustrazione di fronte all’invadenza incontrollabile delle onde.

Il ritratto che l’autrice di offre di una bimba alle prese con le più comuni attività da spiaggia è molto vivo e molto vero. Tra quelle immagini riconoscibili l’autrice dissemina, però, alcuni dettagli curiosi: indizi di una storia che può prendere una piega inattesa. Quei dettagli assumono, in particolare, la forma di un granchietto dai colori sgargianti che spia partecipe le attività costruttive della protagonista, goffamente nascosto dietro una formina gialla. A cosa si debba tanto interesse lo si scopre alla fine, quando quello che sembra un comune castello di sabbia, prende inaspettatamente vita…

Apparentemente semplice e rivolto a bambini piccoli e con poca esperienza di lettura – per quelle sue figure grandi, quei suoi colori pastello e quella sua protagonista dalle guance paffute – Ode all’estate richiede in realtà un certo spirito di osservazione e una certa abilità di decodifica visiva. Il libro è infatti, tutto giocato su inquadrature più o meno ravvicinate, su sequenze narrative che si sviluppano all’interno della stessa pagina e su piccoli dettagli che cambiano da un passaggio all’altro. Occorre dunque riconoscere gli oggetti che rimangono inalterati nonostante il cambio di prospettiva o capire, per esempio, che le sei mani che compaiono su una pagina sono in realtà le stesse due immortalate in tre momenti successivi. In questo senso, il libro richiede un minimo di dimestichezza con l’interpretazione delle figure o può, per altri versi, diventare un supporto interessante proprio per allenare questo tipo di abilità.

Un livre (Francia)

Se c’è un autore che ha dedicato la sua opera artistica a dare vita a libri in cui il piacere e il gioco fossero protagonisti, quello è senza ombra di dubbio Hervé Tullet. Il suo Un libro è forse, in questo senso, il suo titolo più emblematico: un progetto editoriale originale che in maniera intelligentissima e divergente esplora e sviluppa su carta il concetto di interattività.

Il meccanismo che vi sta alla base è semplice e immediato. Ogni pagina indica al lettore una semplice operazione (schiaccia, scuoti, soffia, inclina…) che deve compiere sulle figure che compaiono sulla pagina. Ognuna di queste operazioni genera una trasformazione sulla pagina successiva. Le figure – essenzialmente cerchi gialli, rossi e blu – cambiano infatti dimensione, posizione e sfondo in funzione di ciò che il lettore fa, assicurandogli a ogni passaggio sorpresa e divertimento. Impossibile stufarsi!

Geniale e innovativo, soprattutto considerando il periodo in cui è stato creato (siamo all’inizio degli anni 2010, quando i libri-gioco di qualità non erano esattamente numerosissimi), Un libro è presto diventato uno dei libri interattivi più amati, conosciuti e diffusi sia in famiglia sia nei servizi socio-educativi. Un libro è, insomma, un progetto molto amato e ha tutte le ragioni si esserlo. Per questo, la scelta della casa editrice francese Les Doigts Qui Rêvent di realizzarne una versione tattile, fruibile anche in caso di disabilità visiva, è per noi una scelta particolarmente felice. I libri belli e innovativi, che incidono profondamente sui nostri immaginari, meritano di essere portati a tutti i bambini!

Non solo: oltre ad avere tutte queste qualità, Un libro ha anche una composizione particolarmente funzionale a un adattamento di tipo tattile. Le sue figure minime ed essenziali, la sua predisposizione a un’interazione fisica con la pagina e la sua pulizia grafica facilitano, infatti, in maniera significativa la trasposizione per il tatto. E poco importa che il volume originale si basi, di fatto, sui colori: a ben guardare, ciò che conta, sono l’azione e la distinzione. Se al posto di schiacciare il pallino giallo, per esempio, il bambino è chiamato a schiacciare quello peloso, non sarà difficile intuire quanto poco cambi i fini del piacere di lettura e della realizzazione del progetto dell’autore.

Il lavoro fatto dall’équipe di Les Doigts Qui Rêvent va in questa direzione: vengono mantenuti fedeli all’originale le trasformazioni delle forme, il ritmo e l’andamento del testo e in buona parte l’impianto grafico, mentre i tre colori che caratterizzano i cerchi, vengono sostituiti da tre texture differenti e molto ben distinguibili (una pelosa, una setosa e una vellutata). Voilà, il gioco è presto fatto, con massima resa e minimi compromessi.

Il volume pubblicato dalla casa editrice francese, risulta fruibile in autonomia in caso di disabilità visiva anche nella sua parte testuale. Quest’ultima, a grande carattere, è infatti trascritta anche in Braille. Può essere tuttavia utile sottolineare che l’aggiunta di elementi tattili può rappresentare un valore aggiunto non solo per chi non può vedere la pagina tradizionalmente stampata. La possibilità di godere di un’esplorazione multisensoriale rappresenta infatti una ricchezza per qualunque lettore: per chi per esempio necessita di un rapporto più fisico con il libro per mantenere alto l’interesse ma anche per chi può già aver scoperto Un libro nella sua forma più nota e può qui sperimentarlo in una forma nuova.

Gatto qui, gatto là

Galeotto fu il gatto Lunedì! Abituato a muoversi con disinvoltura tra i giardini e le case del quartiere, il felino al centro di questa storia si trasforma, infatti, in un messaggero amoroso e propizia non una ma ben due relazioni. C’è la signora Loretta, che inizia ad accusare gli acciacchi dovuti all’età e che fa i conti con un carattere un po’ scorbutico e una gamba rotta. E c’è Sofian, ragazzino di rara timidezza e che, proprio come la signora Loretta, non può muoversi a causa di una gamba ingessata. I due si sono scontrati per strada – lui in bici, lei a piedi – rimanendo entrambi bloccati in casa per un po’.

Non tutti i mali vengono, però, per nuocere: Sofian, che cerca disperatamente di fare nuove amicizie, approfitta della situazione per provare a entrare in contatto con la ragazzina della casa di fronte. Per farlo infila un messaggio di saluto in una scatolina a forma di noce posta al collo del gatto Lunedì. Da quel momento Lunedì inizierà a fare la spola tra le finestre ma i gatti – si sa – sono inaffidabili e non si fanno dare ordini: così, il messaggio di Sofian arriva inaspettatamente (e anonimamente) nelle mani sbagliate: quelle della signora Loretta. Ne nascerà uno scambio inatteso, con un finale non solo lieto ma anche sorprendente!

Gatto qui, gatto là di Stéphane Servant si presenta come un racconto ad alta leggibilità dalla misura breve e dall’intrigante struttura narrativa. La storia dell’insolito scambio epistolare tra Sofian e la signora Loretta viene infatti narrata dal punto di vista di entrambi. Quello di Sofian lo si scopre prendendo il libro da un verso, quello della signora Loretta prendendolo dall’altro. L’espediente è, dal canto suo, impiegato in maniera molto efficace perché non solo mostra come della stessa storia si possano sempre dare più versioni, ma trasforma anche un unico filo narrativo in una trama doppia. L’autore è, infatti molto bravo a costruire una narrazione speculare e ad accentuarla grazie a una precisa scansione temporale. I suoi personaggi, inoltre, si delineano nella mente del lettore in maniera chiara e nitida, nonostante il testo sia pressoché privo di descrizioni. Apprezzabile è, dunque, l’abilità di Servant nel costruire figure credibili e nette, attraverso pennellate essenziali e significative.

L’esperienza di lettura offerta al pubblico è, in definitiva, gustosa e appagante. Al contempo, la misura è breve e abbordabile. Questo, unito alle caratteristiche di alta leggibilità (font biancoenero, spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, carta color crema e testo non giustificato) e a uno stile orientato alla brevità e linearità sintattica, fanno di Gatto qui, gatto là un’ottima proposta anche per i lettori con maggiori difficoltà legate alla dislessia e/o a una scarsa abitudine alla lettura.

Pimpa e la gita nella foresta

Quest’anno Pimpa festeggia 50 anni tondi tondi. C’è forse un modo migliore per celebrare un traguardo così importante di rendere accessibili le avventure della cagnolina più amata d’Italia anche a chi fino ad ora non ha potuto farlo? Probabilmente no! Ecco allora che l’iniziativa curata da Franco Cosimo Panini in collaborazione con la Fondazione Paideia appare quantomai felice: l’editore ufficiale di Pimpa e la fondazione torinese molto attiva nella creazione di supporti in CAA hanno infatti dato vita a una serie di storie di Pimpa con il testo supportato visivamente dai simboli WLS.

Si tratta di volumi al contempo molto fruibili e molto curati dal punto di vista compositivo ed estetico. La qualità della carta e della stampa, la grafica e l’impaginazione rendono, infatti, questi libri assolutamente equivalenti, in termini di aspetto oltre che di contenuto, ai libri di cui costituiscono un adattamento. E questo è un goal non da poco per una tipologia di libro – quella in simboli – che spesso deve fare i conti con pubblicazioni non strettamente editoriali e di conseguenza non propriamente di valore.

Non solo: i volumi così confezionati appaiono anche particolarmente rispettosi degli originali. L’aggiunta dei simboli implica di fatto una riduzione dello spazio dedicato alle illustrazioni, che risultano cioè poco più piccole ma egualmente di ampio respiro, ma non compromette l’equilibrio con cui originariamente testi e figure erano stati combinati sulla pagina. Per far sì che questo accada e al contempo per rendere la lettura più accessibile e meno ostica, alcune frasi vengono sintetizzate, eliminate o ridotte, mantenendo però intatto il senso del testo e in buona parte anche il ritmo.

Il processo di simbolizzazione, dal canto suo, appare ispirato a un certo equilibrio tra dettaglio ed economia: la maggior parte delle parole viene, cioè, individualmente simbolizzata, fatto salvo per quei casi in cui risulta più chiaro e comprensibile associare più elementi testuali allo stesso simbolo (es: “la lettera z”, “c’era una volta”…). In generale, articoli e aggettivi vengono sempre uniti al soggetto di riferimento (nel primo caso privi di specifico simbolo, nel secondo caso dotati di simbolo inserito nello stesso riquadro del simbolo del sostantivo), l’elemento di negazione (non) viene sempre associato al verbo a cui è associato (il cui simbolo appare quindi sbarrato), e le locuzioni verbali vengono sempre tenute compatte (talvolta in associazione a un solo simbolo, talvolta a più di uno).

In Pimpa e la gita nella foresta, Pimpa compie un viaggio fin dall’altra parte dell’oceano, trasportata dall’onda Wanda e accompagnata dal tucano Zezè. Nel mezzo, fa la conoscenza di un’ampia gamma di animali amazzonici – pappagalli, tapiri, giaguari e capibara – ciascuno dei quali si presenta, evidenziando una sua caratteristica particolarmente significativa (il colore, l’indole, la somiglianza con animali più familiari…). L’esplorazione della foresta si fa così ancora più entusiasmante per Pimpa che però, fattasi l’ora di rientrare, non trova più la sua canoa. Per fortuna c’è il caimano Cacà, provetto surfista, che l’accompagna fino a casa sulla sua tavola. Ma le lunghe traversate mettono fame, si sa. Ecco allora che le deliziose ciambelle preparate da Armando chiudono in dolcezza una giornata a dir poco speciale.

In riva al mare… il mio primo album fotografico

Formato quadrato, pagine spesse, lunghezza corposa, impaginazione pulita e regolare: quanto è bello addentrarsi in un libro ben fatto come In riva al mare… di Nathalie Seroux! Progettato per piccoli mani e occhi curiosi, questo cartonato appare prima di tutto robusto e capace di affrontare esplorazioni ripetute e un poco irruente come possono essere quelle dei lettori meno esperti. Ma così come l’esterno risponde a specifiche esigenze di lettura, parimenti fa l’interno. Ogni pagina presenta infatti una fotografia quadrata con un soggetto ben riconoscibile e, subito sotto, la parola che lo definisce. I soggetti scelti sono tutti legati al contesto della spiaggia e richiamano esperienze perlopiù familiari al potenziale lettore. Si va dalle racchette ai cappelli da sole, dalla crema solare agli scogli, dal tramonto ai gabbiani. Le pagine sono molte (50, un numero tutt’altro che abituale nei libri rivolti alla primissima infanzia) e altrettanti sono gli oggetti ritratti: quella che ne risulta è dunque una carrellata molto ampia di cose ed esperienze collegate alla vita di mare.

In questo senso, ciò che rende particolarmente interessante il volume è il fatto che offra una molteplicità di stimoli in riferimento allo stesso contesto, immortalando sia oggetti tangibili (le alghe, il secchiello, l’ombrellone…) sia cose impalpabili (il tramonto, l’orizzonte, l’alta marea…) e dando spazio tanto a esperienza molto familiari e ordinarie (i pesci, le barche, la paletta…) quanto a possibilità di scoperta che allargano lo sguardo e nutrono la curiosità (il faro, l’astice, la falesia…). C’è ciò che si conosce e c’è ciò che non si conosce bene o che non si conosce affatto. Il primo rassicura, il secondo incuriosisce: di entrambi, quando si è piccoli, c’è gran bisogno. Inoltre, che si tratti di soggetti noti così come di figure più distanti dal vissuto, l’autrice (e con lei la traduttrice!) prestano attenzione ad associarli alle parole più precise possibili, anche se questo significa privilegiare vocaboli poco ordinari. Melma, ciottoli, astice, villleggianti… di certo non sono parole comuni, ma quanto può essere prezioso per un bambino farne esperienza, prima di tutto sonora e poi di significato?

Ecco allora che appare chiaro come In riva al mare… risulti un ottimo esempio di come i libri progettati per i piccolissimi non possano (e non debbano!) rinunciare alla complessità. Parole esatte ed evocative, soggetti scelti in maniera non banale e progettazione accorta che non trascura nulla, dallo spessore delle pagine all’inquadratura delle fotografie, trasformano quella che può apparire come una semplicissima possibilità di lettura visiva in una raffinata e appagante opportunità di scoperta. Un’opportunità, peraltro, molto inclusiva e accessibile nella misura in cui l’associazione puntuale tra figura e parola, l’impaginazione priva di elementi di distrazione, l’inquadratura chiara dei soggetti, la riconoscibilità propria del medium fotografico e la presenza frequente di soggetti umani che interagiscono con gli oggetti consentono una fruizione ampia del libro e una coinvolgente immedesimazione.

In riva al mare… nasce in Francia, all’interno di una bellissima collana di imagier fotografici dell’editore Éditions de la Martinière. Ne fanno parimenti parte volumi per esempio sugli ortaggi, sui mezzi del cantiere, sulla città e sulla montagna. L’auspicio è che tutti loro possano presto arrivare anche sul nostro mercato, proprio come l’apripista dedicato alla spiaggia, per offrire ai lettori più giovani esperienze di lettura visiva e di conoscenza del mondo mai banali e via via sempre più ampie.

Come fare felice un ippopotamo

Nel caso un ippopotamo vi venisse a trovare, è bene che sappiate come comportarvi. Alcune cose – un’accoglienza calorosa, una vasca piena di giochi, un’insalata croccante, un commiato allegro – possono, infatti, rendere il soggiorno dell’animale particolarmente piacevole. Per fortuna, grazie all’albo firmato da Sean Taylor, non vi troverete impreparati! L’albo, disponibile in versione tradizionale per Babalibri e da oggi anche in simboli per Officina Babùk, illustra infatti molto chiaramente le abitudini e le preferenze di un ippopotamo in trasferta, ma anche – gran finale! – le conseguenze che un trattamento troppo ospitale potrebbe portare con sé!

Divertente e curioso, Come far felice un ippopotamo trasforma fin dalla prima riga il surreale in qualcosa di assolutamente normale e ordinario, aprendo così la strada a un racconto deliziosamente fuori dalle righe. Certo, per quei lettori che faticano a sganciarsi dal piano del reale, questa evasione fantastica potrebbe rappresentare un ostacolo. Alcuni aspetti particolarmente significativi dell’albo, tuttavia, contribuiscono ad agevolare la comprensione del racconto e l’aggancio a una dimensione narrativa poco familiare.

La struttura iterata e in due tempi – descrizione della situazione/descrizione della soluzione proposta –, per esempio, va in questa direzione, facendo leva sul collaudato equilibrio tra attesa e sorpresa. Allo stesso modo, l’adattamento del testo, più marcato rispetto ad altri titoli della stessa collana, predispone un racconto lineare, pulito e schietto. Piccole sostituzioni come “fa ridere” in luogo di “fa fare un sacco di risate”, anticipazioni dei soggetti o asciugature sintattiche consentono infatti di rendere il testo più immediato e fruibile anche da parte di chi tende a perdersi tra costrutti troppo articolati o espressioni figurate.

Le illustrazioni, dal canto loro, sposano perfettamente il tono divertito e divertente del racconto e, se da un lato, non disdegnano dettagli appena schizzati e  inquadrature tutt’altro che statiche, dall’altro tendono a illustrare solo gli elementi strettamente essenziali allo sviluppo della narrazione, facilitandone l’identificazione il collegamento con il testo.

Poesia in giallo

Quanto è geniale il lavoro di Lucie Felix! Già amatissima per il suo Coucou, purtroppo mai adottato da un editore italiano (ma comunque reperibile e fruibile anche nella sua edizione originale), l’autrice francese torna a deliziarci con un nuovo progetto innovativo e sorprendente: un libro-gioco di poesia.

Poesia in giallo, così si intitola il volume, propone infatti al giovanissimo lettore – idealmente di età prescolare – una poesia che prende forma man mano che le sue mani interagiscono con le illustrazioni. Queste ultime, contraddistinte da forme essenziali apparentemente neutre, svelano infatti il loro significato quando il lettore vi poggia sopra il piccolo cerchio giallo estratto dalla prima pagina. Sarà proprio quel cerchio a dare senso all’uovo come all’anemone, al muso del gatto come alla luna. La poesia che il libro offre è, infatti, una meta-poesia, una poesia sulla poesia e sul suo potere trasformativo ma anche una poesia sulle cose di tutti i giorni il cui lato poetico viene a galla se sappiamo come giocarci.

Già, perché il gioco è proprio la chiave. Il gioco della parola che trasforma il quotidiano, il gioco della mano che compone le figure, il gioco della fantasia che fa proprio il mondo. Con e attraverso il gioco, anche una parola apparentemente ostica come quella poetica può farsi tangibile e accessibile, su misura per piccole mani e per piccole orecchie. Concorrono a questo scopo anche altri aspetti del volume dal formato quadrato, non ultimi la grafica rassicurante (testo a sinistra, figura a destra), le forme minime ma estremamente eloquenti e i colori pieni e accesi che chiamano in maniera irresistibile. E questa vivacità cromatica, così come le robuste pagine di cartone, è come se dicesse a gran voce che la poesia è a tutti gli effetti cosa da bambini. Si può forse darle torto?

Meritatissimo finalista del Premio Nati per Leggere 2025, Poesia in giallo è davvero un progetto editoriale ben fatto, capace di coniugare in maniera efficace raffinatezza e semplicità. Ché accessibile – non smetteremo mai di ripeterlo – non significa per forza facile, né tantomeno banale. I bambini, tutti, meritano di essere solleticati, sfidati, accessi da proposte che alzano via via l’asticella: sta a chi i libri li crea, trovare il modo di far sì che arrivare a quell’asticella diventi cosa possibile. Ecco, questa è una cosa che Lucie Félix sa fare con maestria.

Bonus track: Fatatrac ha previsto e fornito in quarta di copertina un cerchio giallo di riserva, qualora quello reperito in prima pagina venisse perso. Accorgimento, questo decisamente utile, intelligente e apprezzabile. Viva i libri progettati per durare!

Come cane e gatto

Come cane e gatto è un libro per bambini in età 0-6 anni dalla struttura interessante. Ogni sua doppia pagina immortala una diversa situazione di cui il cane e il gatto cui fa cenno il titolo sono i protagonisti. Le diverse situazioni hanno luogo in ambienti differenti della casa – dal bagno alla cucina, dal giardino al vialetto – dunque in contesti tendenzialmente familiari al bambino e vedono ognuno dei due personaggi compiere una diversa azione. I due, in particolare, giocano, si riposano, esplorano, ma soprattutto combinano piccoli guai. L’impianto narrativo è quindi stabile e piacevolmente prevedibile: prevedibilità sulla quale va di volta in volta a innestarsi una piccola sorpresa, dettata dai comportamenti dei due personaggi.

Ma c’è un altro aspetto che concorre a consolidare e rendere particolarmente apprezzabile l’assetto compositivo di questo volume: la scansione tripartita che caratterizza lo sviluppo di ogni scena. La pagina di destra propone un oggetto chiave che aiuta la contestualizzazione, quella di sinistra un’onomatopea che suggerisce ciò che accade e infine la pagina nascosta sotto l’aletta svela il ruolo del cane e del gatto. C’è dunque una sorta di ritualità che contraddistingue queste pagine e una capacità di strutturare il racconto per gradi e in forme differenti (una parola – un’onomatopea – due versi in rima). Teresa Porcella, che peraltro è anche l’interpreta del contenuto musicale fruibile tramite QR code, è molto brava in questo e sa trasformare il minimalismo comunicativo in un’ampia possibilità di accesso. Le figure di Santo Pappalardo sono, a loro volta, minimali e funzionali a entrare piano piano nella scena.

In virtù di questi aspetti – struttura iterata, tripartita e dalla complessità progressiva; coinvolgimento attivo dovuto alla presenza delle alette;  cura della dimensione sonora grazie alla presenza di onomatopee e all’aggiunta di contenuti audio – il libro può essere non solo fruito in modalità diverse ma anche apprezzato ad ampio raggio, anche laddove la comprensione e l’attenzione possano risultare compromesse.

Ogni cosa al suo posto

Ogni cosa al suo posto è un (quasi) silent book che invita alla riflessione. Le poche parole che contiene, tutte concentrate nelle prime due pagine, suggeriscono infatti di chiedersi se davvero ogni cosa – come si dice – abbia un suo posto e soprattutto se questo sia quello più giusto. Quelle che seguono sono doppie pagine che mettono a confronto due scene silenziose in cui cose e persone trovano collocazioni e contesti diversi, per non dire del tutto opposti: un bambino seduto in solitaria alla sua tavola di compleanno o circondato da amici festanti in giardino, una bicicletta immersa nello smog e nel traffico cittadino o sfrecciante su una strada di montagna, un libro posto a mo’ di rialzo per il tavolo traballante o tra le mani di una lettrice appassionata e via dicendo…

La regolarità della struttura e la godibilità di ogni doppia pagina individualmente presa, costituiscono due elementi significativi di accessibilità di questo volume. D’altra parte, nella sua apparente semplicità, Ogni cosa al suo posto richiede al lettore di compiere non poche inferenze: capire quale sia il soggetto di ogni doppia scena, riconoscere il duplice contesto in cui viene inserito (non di rado reso da pochi dettagli), coglierne dettagli minimi ma determinanti (come le espressioni del viso) e capire, in effetti, quale sia il posto per lui più auspicabile. E non è una bazzeccola. Ecco, allora, che il libro si presta benissimo a stimolare confronti e riflessioni condivise, ad accendere dibattiti, a suggerire domande. Perché dietro ogni immagine confezionata da Francesca Aiello c’è un mondo di storie possibili in cui ci si può riconoscere o di cui è bene parlare con i ragazzi affinché il loro posto nel mondo non sia ai margini ma al centro. E sia, per l’appunto, il posto giusto.

In tenda con Pettson

Quando i personaggi che animano una storia sono ben assortiti e danno vita ad avventure avvincenti e spassose, vien naturale al lettore desiderare di incontrarli ancora e ancora. Questo desiderio, per fortuna, viene talvolta esaudito. Si pensi, per esempio, alla piacevole serie svedese che vede protagonisti Pettson e Findus, rispettivamente un umano dall’indole tranquilla e il suo gatto dallo spirito intraprendente.

Le loro peripezie sono rocambolesche ma sempre saldamente ancorate al reale, e proprio questo mix di ordinario e straordinario le rende particolarmente godibili. In In tenda con Pettson, per esempio, Findus trova per caso la tenda da campeggio del suo padrone e si ostina a volerla testare nel corso di un bel trekking. Quale occasione migliore per Pettson per testare la sua nuova invenzione, l’ingegnoso arco da pesca? Così i due si preparano a partire. Peccato che si mettano di mezzo le galline di Pettson, testarde curiosone, decise più che mai a non perdersi un’avventura simile. I piani sono, così, costretti a cambiare e il campeggio diventa domestico. Poco male! Lucci giganti, fife notturne, notti all’aperto e storie incredibili da raccontare non mancheranno…

Come gli altri volumi della serie, inaugurata nel 2022 da Una torta per Findus, anche In tenda con Pettson si caratterizza per la presenza di alcune caratteristiche di alta leggibilità, in primis il font EasyReading, la sbandieratura a destra e la spaziatura maggiore, percepibile soprattutto tra le lettere e le parole. Il testo corposo e l’ampio spazio richiesto dalle illustrazioni, rendono invece meno praticabile l’ingrandimento del carattere, l’ampliamento della spaziatura tra i paragrafi (e in parte tra le righe) così come il contrasto netto tra testo e sfondo. I volumi della serie si presentano, infatti, come racconti illustrati in cui io ruolo giocato dalle immagini è assolutamente determinante: difficilmente, queste, possono dunque essere ridotte. Lo stile di Sven Nordqvist si caratterizza, peraltro, per una grande profusione di dettagli che rendono le sue tavole estremamente intriganti e significative.

Miss Marple Sari Club. Il mistero della collana scomparsa

Miss Marple Sari Club

Tutto il gusto di un giallo, con il vantaggio di una misura brevissima: potremmo riassumere così, Miss Marple Sari Club, godibilissimo racconto giallo ad alta leggibilità scritto da Mariapaola Pesce e illustrato da Ilaria Mancini.

In poche decine di pagine, il lettore viene accompagnato a bordo della lussuosa nave da crociera su cui viaggiano Emily, sua cugina Ophelia e l’amica Rukmini, figlia della cameriera della madre di Emily. Appassionate di gialli e misteri, le tre non si lasciano sfuggire l’occasione di indagare sul misterioso furto di una preziosa collana verificatosi a bordo.

Chi potrà mai aver rubato la collana di brillanti di Lady Partridge? I sospettati sono molti e occorre organizzarsi bene per pedinarli tutti, raccogliere indizi, origliare conversazioni e mettere insieme i pezzi. Per farlo, come nei migliori gialli di Agatha Christie, di cui le tre protagoniste sono ferventi ammiratrici (al punto di dedicare il loro club alla celebre Miss Marple!), servono intuito, coraggio e capacità di non fermarsi alle apparenze. A volte, infatti, quello che può sembrare un classico furto di gioielli può nascondersi un piano decisamente più raffinato…

Tanto appassionante, quanto abbordabile non solo nella misura ma anche nella forma, Il mistero della collana scomparsa presenta molte delle caratteristiche che possono rendere un libro accessibile anche a lettori meno forti o con difficoltà di decifrazione legate alla dislessia. Il font ad alta leggibilità biancoenero, la spaziatura ampia, la sbandieratura a destra, la carta opaca e color crema, le illustrazioni frequenti e sfizioso, i capitoli brevi e lo stile prevalentemente paratattico rendono infatti il testo accogliente e amichevole.

L’impianto narrativo costruito dall’autrice, inoltre, è snello ma solido. L’auspicio è dunque che il Miss Marple Sari Club trovi presto nuovi casi da risolvere!

Le avventure di Aldo

Ci può essere molta poesia in brevi storie di cose quotidiane. Le avventure di Aldo ne è la prova evidente. Nelle tre storie che compongono questo albo illustrato, da tempo in catalogo per Babalibri e ora disponibile anche in simboli grazie a Officina Babùk, la lucertola protagonista vive e riesce a far vivere al lettore tutta la deliziosa felicità che si nasconde in una torta di ribes, in una scorpacciata condivisa di nocciole o in un bagno al chiaro di luna. Aldo ha, infatti, questa qualità: riesce sempre a trovare il lato positivo delle cose e a godere del bello che ogni giorno può riservare. Con lui c’è sempre l’amica Giosetta, compagna di avventure quotidiane e di chiacchiere: una presenza sorridente che contribuisce a rendere un bagno di schiuma la cosa più bella del mondo!

Garbato e gustoso dal punto di vista narrativo, Le avventure di Aldo è anche interessante dal punto di vista dell’accessibilità. In primis, in virtù dei simboli WLS che affiancano il testo alfabetico (stampato in maiuscolo). La loro presenza, tutt’altro che invasiva dal punto di vista grafico, offre un supporto prezioso a chi per ragioni diversi fatichi a decodificare in autonomia le parole scritte o a seguire con attenzione quelle lette da un mediatore. Le scelte che orientano la simbolizzazione privilegiano un certo grado di dettaglio e complessità (con la presenza, per esempio di qualificatori di numero o di simboli distinti per preposizioni e sostantivi di riferimento), compatibile con il tipo di racconto. Lineare ma dotato di una certa articolazione e di diversi passaggi narrativi, quest’ultimo può infatti essere ben apprezzato anche da lettori alle prese con le prime decifrazioni autonoma.

Il testo, dal canto suo, appare piuttosto amichevole a abbordabile, contraddistinto com’è da frasi prevalentemente brevi e paratattiche e da strutture sintattiche lineari in cui il soggetto è sempre esplicitato. Grafica e illustrazioni, infine. Anche queste ultime concorrono infatti a determinare l’elevato grado di fruibilità dell’albo. La collocazione costante del testo nella parte bassa della pagina, l’a capo dopo goni punto fermo e lo stile chiaro, minimalista ed eloquente delle figure contribuiscono infatti in maniera significativa a rendere la pagina accogliente, di agevole esplorazione e riconoscibile nei suoi contenuti.

Fiammetta cerca casa

La casa editrice Puntidivista è da sempre impegnata nella realizzazione di libri in formati e versioni diverse (con testo in nero e Braille, per esempio e inserti tattili, con traduzione in LIS o con il supporto visivo dei simboli, senza parole e con elementi ludici e via dicendo…) che possano assecondare esigenze di lettura variegate. Così, del libro tattile Una casa per Fiammetta ha messo a punto anche una versione in simboli che può valere la pena scoprire perché metta a frutto riflessioni interessanti.

La storia è sempre quella molto elementare di Fiammetta che nasce da un vulcano durante un’eruzione e che decide di andare per il mondo a cercare una nuova casa. L’impresa è però meno semplice del previsto perché, data la sua natura infuocata, né il bosco né le case si rivelano essere buone opzioni. La soluzione arriverà inaspettata grazie all’incontro con un fornaio il cui forno non ha mai funzionato. Non sarà difficile immaginare dove Fiammetta possa felicemente trovare, infine, la sua nuova dimora…

Nella versione in simboli, che prende il titolo di Fiammetta cerca casa, il testo rinuncia alla rima ed è profondamente asciugato. Viene così a comporsi di frasi perlopiù brevi e paratattiche, più agevoli da comprendere oltre che da simbolizzare. I simboli con il testo viene supportato visivamente non fanno parte di una collezione comune, come possono essere i simboli WLS o i simboli PCS, ma sono creati ad hoc dalla casa editrice stessa. Si tratta di simboli comunicativamente piuttosto efficaci e perlopiù votati a esprimere concetti concreti. I simboli meno immediati si caratterizzano per l’uso del colore rosso applicato ad alcuni dettagli. È il caso, per esempio delle preposizioni e lo scopo è quello di facilitarne la comprensione. I simboli sono dal canto loro accompagnati da testi in maiuscolo, riquadrati insieme ai simboli stessi.

L’aspetto più peculiare di questo libro, così come di altri recentemente messi a punto dalla casa editrice come Io aspetto te qui, è l’aggiunta di dettagli tattili alle illustrazioni. Questo accorgimento, spesso adottato solo in relazione a bambini con disabilità visiva, risulta infatti estremamente funzionale e prezioso anche per bambini con difficoltà cognitive e comunicative. Esso facilita, infatti. l’aggancio, la motivazione, l’attenzione e l’appropriazione del racconto. Si tratta dunque di una scelta vincente che come spesso accade nasce dall’intelligente disponibilità a superare rigide categorie editoriali per dare vita a risorse nuove, ibride e sperimentali.

In questo caso, in particolare, il lettore può esplorare tattilmente il vulcano da cui nasce Fiammetta, la casa in cui prova ad abitare, il cuoco e un pezzo del forno, tutti perlopiù realizzati in feltro. Un accorgimento tutto sommato semplice ma che può rivelarsi molto efficace.

Terribile gatto! (nuova edizione)

Che Michael Rosen sia un autore straordinario, capace di dare un ritmo inconfondibile alle storie, non c’è bisogno di dirlo. Basta leggere uno qualsiasi dei suoi racconti per far risuonare questa sua capacità nelle orecchie prima e nella mente poi. E non si parla solo dei suoi lavori più famosi – A caccia dell’orso in primis – ma anche quelli meno noti, come il delizioso Terribile gatto!,  uscito per i tipi ad alta leggibilità di Sinnos che ne ha da poco pubblicata una nuova edizione dal formato più ampio e dalla copertina rigida.

Asciutto e diretto come una favola tradizionale, Terribile gatto! è la storia di un gatto feroce che terrorizza tutti e cinquanta i topi che con lui dividono la casa. È feroce, Terribile gatto, ma è anche furbissimo e infatti mette in piedi uno stratagemma ingegnoso per mangiare uno ad uno tutti i topi che lo circondano, senza che questi nemmeno sospettino di lui. Ogni sera il gatto, che dichiara solennemente finita la guerra con i topi, concede a ognuno di loro un pezzetto di formaggio. Distratti dal gradito omaggio e interessati ad approfittarne senza correre alcun rischio, i topi arraffano ciò che spetta loro senza preoccuparsi di ciò che accade ai compagni. Fino a quando il numero dei topi, in forte diminuzione, inizia a creare qualche sospetto, a far nascere ipotesi di colpevolezza e a stimolare una reazione compatta. Sarà proprio il principio del utuo aiuto– ben espresso da quel “Ecco che faremo questa sera: ognuno di noi dovrà essere sicuro di avere un topo davanti ma anche di averne uno dietro “ – a smascherare lo spietato impostore e a sancire la vittoria dello spirito di comunità sull’egoismo.

Tra queste pagine si rintraccia dunque con forza ma senza forzature, l’importanza dell’idea di gruppo unito e di solidarietà ma anche il monito a non lasciare che un certo fumo negli occhi, spesso lanciato in forma di gradita gentilezza, possa distogliere l’attenzione di ognuno dalle mascalzonate che dietro quel fumo si celano talvolta. Monito quanto mai attuale, verrebbe da dire, e capace di arrivare al giovanissimo lettore, alle prime esperienze di lettura autonoma con o senza difficoltà legate alla dislessia, grazie a pagine godibilissime, rese tali da una narrazione incisiva, dalle illustrazioni spiritose e perfettamente calzanti di Martina Motzo e da un’impaginazione amichevole che rispetta in pieno i criteri dell’alta leggibilità.

Martin lo scheletro

Il protagonista di questo libro è uno scheletro. La copertina di questo libro (così come le illustrazioni al suo interno) sono accese da un vivace rosa fluo. Insolito, no? Bene, le inattese nozze tra un soggetto potenzialmente pauroso e un tono decisamente sgargiante dichiarano fin da subito, prima ancora di iniziare a leggere il volume, la sua carica originale e sorprendente.

Perché Martin lo scheletro è esattamente così: originale e sorprendente. La storia inizia quando, dopo anni di onorato servizio come scheletro scolastico, a Martin viene concessa la meritata pensione. Saranno due vecchietti – denominati, per l’appunto, il vecchietto e la vecchietta – a prenderlo in carico in questa nuova fase della sua vita (se così, per uno scheletro, si può dire). Martin viene infatti accolto in casa loro e rimesso in sesto: da quel momento diventa a tutti gli effetti un inquilino della casa, una presenza fissa e rassicurante, un amico e confidente che sembra aver fatto parte della famiglia da sempre.

La sua presenza diventa utile per dissuadere pericolosi rapinatori ma anche per rendere più spassoso il bagno quotidiano dei nipotini, per raccogliere la fatica di una giornata agitata ma anche per trasformare il giorno della sauna in un ricordo epico. Apparentemente, Martin non dice né fa nulla ma, nei fatti, dice e fa molto, per chi gli sta accanto. E lo fa con una levità aggraziata e commuovente, anche e soprattutto quando la morte (quella vera) sopraggiunge, certo non imprevista ma comunque gravosa

La forza di Martin lo scheletro sta proprio qui: nel trasformare con la sua sola presenza, l’insostenibile in accettabile, l’ordinario in straordinario. Triinu Laan dà vita, infatti, a un personaggio meravigliosamente originale che anima una moltitudine di situazioni contraddistinte giusto da un pizzico di assurdità ma sempre raccontate con una naturalezza che spiazza e diverte. L’ironia costantemente sottesa al racconto, contribuisce dal canto suo a renderlo irresistibile, al pari dell’universalità dei sentimenti dipinti. Non a caso, Martin è l’unico ad avere un vero e proprio nome: tutti gli altri – il vecchietto e la vecchietta, il bambino e la bambina – incarnano un passaggio della vita in cui chiunque può facilmente riconoscersi.

Ironia e capacità di specchiare il lettore giocano, d’altro canto, un ruolo importante anche in un’ottica di accessibilità. Questi aspetti, uniti alla qualità attraente e perfettamente in linea con il racconto, delle illustrazioni, sono infatti i primi importanti motori della motivazione alla lettura. La presenza poi di un’impaginazione ad alta leggibilità e di una struttura narrativa che di fatto si compone di tanti micro-episodi quasi a sé stanti, completano infine il quadro di un libro capace di accogliere e solleticare anche i lettori meno forti o con maggiori difficoltò legate alla dislessia. Una piccola chicca assolutamente da far scoprire ai bambini!

Linette. Concime per i piedi

Linette ha i piedi perennemente scalzi, uno spirito intraprendente, la predisposizione a mettersi nei guai e una fantasia galoppante: i requisiti per animare pagine buffe e rocambolesche si direbbe, dunque, non manchino. Spericolato e mosso da vivace curiosità, il suo è un avanzare fragoroso, in cui un’idea in bilico tra la monelleria e l’esperimento può innescare imprevedibili reazioni a catena.

In Concime per i piedi – primo titolo di una serie che la vede protagonista – Linette prova a far crescere una folta chioma sulla testa calva del nonno con del fertilizzante liquido, il cui uso le era stato chiaramente proibito. Se funziona con i pomodori, perché non dovrebbe farlo con i capelli? L’innaffiatoio però è pesante, così il concime finisce per sbaglio sui piedi della bambina che in un attimo diventano enormi. Prova evidente del divieto infranto, quei piedi da dinosauro vanno nascosti: cosa che Linette, in effetti, si impegna a fare, anche se questo porta con sé una lunga scia di complicazioni in cui non mancano soprammobili rotti, salti acrobatici, mastini da guardia e fantasmi in fuga.

In una manciata di pagine, né più né meno di quelle di un albo illustrato, Catherine Romat e Jean-Philippe Peyraud danno vita a una movimentata avventura molto domestica e poco addomesticata, in cui l’immaginazione fa capolino quel tanto che basta per dare un twist e una piega inaspettati a un tranquillo pomeriggio di giardinaggio. Ciò che rende, però, davvero peculiare Concime per i piedi è la sua formula narrativa. Il libro procede, infatti, come un fumetto privo di parole in cui anche i pochi balloon presenti prediligono un contenuto di tipo iconico. Scandite da una partitura molto regolare e costruite in modo da accompagnare per mano il lettore, limitando al minimo ogni elemento di contorno, concentrandosi sulle azioni e rendendo evidente ogni passaggio, le vignette danno forma a un racconto visivo singolare, immediato e in definitiva molto fruibile.

Palla di neve

Quella di Palla di neve è una storia di smarrimento e di ricerca, di solidarietà e di crescita. Protagonista è un cucciolo di volpe bianca che, nel bel mezzo di una tempesta di neve, perde la sua famiglia e si trova improvvisamente sola. Da lì in avanti, il suo cammino sarà costellato di incontri, alcuni pericolosi come quello con un umano arrabbiato, altri felici, come quello con la grande balena. Fino a quello determinante con l’orso bruno, rimasto bloccato da un albero caduto. Vedendolo e riconoscendone la difficoltà, Palla di neve supera il timore di venire attaccato e trova una soluzione per liberarlo. Da quel momento non sarà più sola: condizione vincente per rimettersi in cammino e ritrovare finalmente i cari smarriti.

Tenera e avventurosa, la storia di Palla di neve è raccontata attraverso l’efficace formula del fumetto senza parole, caratteristica della collana Le nuvolette di cui il libro fa parte. Si tratta di una formula efficace e stimolante che mescola la regolarità rassicurante della partitura in vignette al potere comunicativo delle figure. L’accessibilità legata all’assenza di testo alfabetico si unisce dunque a quella garantita da una scansione rigorosa delle illustrazioni che guida il lettore nella comprensione ed eventualmente nella verbalizzazione di ciò che accade. Il risultato è un racconto per immagini ricco di avvenimenti e che ciononostante accompagna passo passo chi legge.

Lo strampalatissimo diario di Leonardo da Vinci

Leonardo Da Vinci doveva essere un bel tipino, da piccolo. Vien facile, in effetti, figurarsi che fin dalla più tenera età, un genio creativo e fuori dagli schemi come lui potesse essere costantemente alle prese con domande e invenzioni stravaganti. Proprio così, con indole curiosa e intraprendente, ce lo racconta Stella Nosella che per la casa editrice Storybox immagina e confeziona un ipotetico diario del giovane inventore.

Con tono scherzoso, il libro riporta, in particolare, il resoconto dei giorni in cui Leonardo, da poco compiuti gli 11 anni, si cimenta con la progettazione e la realizzazione di un carretto per partecipare alla gara dell’Unicorno: competizione cittadina che comporta molto onore, molti incidenti e un trofeo molto ambito. Accompagnato da un (poco collaborativo) volatile domestico, supportato dall’affabile zio Francesco e dall’affezionato amico Giacomo, Leonardo idea e sperimenta una serie di soluzioni funzionali alla gara ma anche di congegni del tutto collaterali: il tutto, appuntando interrogativi, ipotesi e considerazioni degni di una mente brillante. Ne vien fuori un racconto leggero e scanzonato, puntellato qua e là di riferimenti puntuali alla vita e alle opere dello scienziato toscano.

Il libro, che fa parte di una collana di strampalatissimi diari tra cui quello di Cenerentola e quello di Tutankamon, appare scorrevole e abbordabile. Contraddistinto da uno stile discorsivo e colloquiale, il volume presenta una grafica amichevole e ariosa, ideale per accogliere anche lettori dislessici, come con tutta probabilità era anche lo stesso Leonardo. Apprezzabili, in particolare, la spaziatura maggiore non solo tra lettere, parole e righe ma anche tra paragrafi e il ricorso al font EasyReading. Non ultimo, l’espediente di riportare, qua e là, qualche riga al contrario, invitando il lettore a decifrarla tramite l’uso di uno specchio, contribuisce a rendere la lettura più giocosa e al contempo restituisce un’idea della difficoltà che alcuni lettori sperimentano di fronte al testo scritto.

Come me, come te

Da una manciata di anni il mondo editoriale italiano sembra essersi accorto delle potenzialità dei libri fotografici. I volumi di Tana Hoban e Ylla hanno, in particolare, aperto lo strada, rendendo evidente quanto apprezzato e apprezzabile possa essere questo tipo di risorsa. Versatile e riconoscibile, la fotografia rappresenta peraltro un medium molto interessante anche in termini di accessibilità, nella misura in cui può predisporre terreni di esplorazione visiva e narrativa particolarmente fruibili anche da parte di chi manifesta difficoltà cognitive, legate per esempio al piano dell’astrazione.

Come me, come te, progetto originale di Carolina Zanier sposato da Camelozampa, ne è una prova eloquente. Il libro si sviluppa attraverso una serie di coppie di fotografie affiancate: quella di sinistra immortala sempre un elemento naturale, quella di destra si concentra su soggetti umani. Tra le due c’è sempre un legame di somiglianza da cogliere: formale, come nel caso dei cerchi del tronco che ricordano quelli dell’impronta digitale, o concettuale, come la lumaca e il grande orologio uniti dal tema del tempo. Ampie e incantevoli, le fotografie di Carolina Zanier dicono in maniera efficacissima la vicinanza tra uomo e natura, gli intrecci che tra i due mondi incessantemente si possono cogliere, la meraviglia di un processo universale di trasformazione.

Sono loro le vere protagoniste di questo volume. Ad accompagnarle, c’è un testo minimo: due o tre parole per pagina, come didascalie evocative e sospese che indirizzano lo sguardo del lettore e che compongono una sorta di poesia sulla vita, sull’infanzia, sul potere della crescita. Viene da chiedersi se la sua totale assenza avrebbe potuto rendere il volume ancora più significativo e affascinante, incentivando forse la libertà di movimento e l’attivazione di personali connessioni.

Certo, così composto, Come me, come te accompagna il lettore lungo un binario scelto e come tale più rassicurante. Esso dichiara, inoltre, in maniera lampante che la natura e la sua rappresentazione fotografica posseggono un’innata componente poetica e che il nostro sguardo e la nostra voce sono tutto ciò che occorre per farla venire a galla. Il libro si presta in questo senso non solo ad accogliere esplorazioni visive suggestive e accessibili, ma anche a invitare il lettore a proseguire il gioco delle somiglianze una volta chiusa l’ultima pagina.

Il comò magico

È una principessina viziata e capricciosa, la protagonista di questa storia. Una principessina così viziata e capricciosa che ogni anno, quando si avvicina il suo compleanno, i suoi genitori iniziano a dannarsi alla ricerca di un regalo che soddisfi le sue pretese. Peccato che il risultato sia sempre fallimentare perché nulla sembra mai poter accontentare la bambina. Così, un anno, i due reali mandano un paggio a chiedere consiglio a un mago. Questi, però, sordo come una campana, travisa la richiesta e lo rispedisce al castello con uno strambo comò.

Quel comò, apparentemente vecchio e fuori modo, si rivela essere magico, capace di esaudire un desiderio all’anno per sei anni. La principessina può finalmente sbizzarrirsi, domandando valanghe di zucche, primavere fuori stagione, pirati, servitori e volatili straordinari. Ma anche qui, tra un inconveniente (buffo!) e l’altro, la principessina trova il modo di indispettirsi e protestare. Il sesto anno, a corto di idee, la principessina si lascia consigliare dal paggio che a sua volta si lascia consigliare da una gallina. Le cose non vanno esattamente come la principessa si aspetta ma, c’è da dire, non tutto il male viene per nuocere. Le galline, a volte, possono sembrare meno stolte di quel che sembrano…

Incalzante, snello e ricco di avvenimenti, Il comò magico offre una lettura accogliente per primi lettori in cui testo e figure si equilibrano e trovano pari dignità. Il primo, in particolare, predilige frasi brevi e paratattiche e viene impaginato con caratteristiche di alta leggibilità (font leggimi, spaziatura maggiore, pagina ariosa, sbandieratura a destra, paragrafi distanziati, carta non riflettente). Le seconde, dal canto loro, adottano un tratto un poco vintage e molto colorato. La storia de Il comò magico, firmata da di Jana Bauer e Ana Košir, nascono in Slovenia e arrivano in Italia grazie a Sinnos, attraverso un importante progetto sostenuto dall’Unione Europea.

Oggi la parola è meraviglia

Cosa fanno autori e autrici quando si svegliano al mattino? Dipende. Se sono Bernard Friot o Susie Morgenstern, per esempio, si alzano, scrivono una poesia e, reciprocamente, se la spediscono per darsi il buongiorno. Oggi la parola è meraviglia nasce proprio così: da un rito quotidiano e bellissimo alimentato negli anni dai due autori e allargato, in occasione della pubblicazione del libro, a una terza poetessa: Chiara Carminati.

Chiara è italiana. Bernard è francese. Susie è americana. Ognuno di loro scrive in una lingua diversa e il libro pubblicato da Pension Lepic mette in valore questa varietà, scegliendo di non tradurre le poesie ma di lasciarle nella loro lingua originale. La meraviglia, in fondo, sta anche nel godere di sonorità evocative, che solleticano l’immaginazione, senza necessariamente padroneggiare a pieno la lingua da cui sono attinte.

Tre lingue, tre stili, tre approcci diversi per ogni parola che di volta in volta viene scelta e poeticamente esplorata. Insieme, fiammifero, poesia tascabile, ma anche aprile, silenzio, nascosto e, per l’appunto meraviglia. Ogni parola da il la a piccoli componimenti, ora frizzanti ora pensosi, lunghi il tempo di aprire le ante e salutare il nuovo giorno. Percorrendo i sentieri più diversi, i testi che ruotano intorno alla stessa parola, dicono bene quanto la poesia sia in fondo un affare quotidiano e consista nell’osservare il mondo da tanti angoli differenti.

Quello a cui Pension Lepic ha dato vita non è solo un progetto originale e fuori dal comune ma anche un oggetto letterario raffinatissimo e curato in ogni aspetto, non ultimo quello dell’accessibilità. Oggi la parola è meraviglia si caratterizza, infatti, per una grafica attenta, che gioca piacevolmente con la disposizione orizzontale e verticale dei testi, in funzione della lunghezza dei versi, e con i toni del bianco, del nero e del blu. Bianco, nero e blu, dal canto loro, sono anche i colori che impiega Vittoria Facchini, l’illustratrice chiamata a illustrare il volume. Le sue figure, contraddistinte da un inconfondibile tratto schizzato e da pennellate dinamiche, ricorda il fascino ammaliante degli azulejos portoghesi e aggiunge, di fatto, una quarta interpretazione delle parole selezionate.

Il libro reca, infine, al fondo un piccolo ma importante QRcode attraverso il quale è possibile ascoltare le poesie dalla voce degli stessi autori. Si tratta di un accorgimento apparentemente superficiale e, in realtà, di grande valore. In primo luogo perché forse nessuno meglio di un autore sa quale intonazione dare ai suoi versi e come calibrare pause e toni, per restituire a pieno la parola poetica a cui ha dato forma. E in secondo luogo perché la poesia ascoltata, anche e soprattutto quando è in lingua straniera, può avere un impatto diverso dalla poesia letta.

Questa possibilità multiforme di fruizione , inoltre, consente anche a chi normalmente inciampa nella decodifica del testo scritto di goderne a pieno, evitando così che la difficoltà di lettura possa compromettere il piacere e l’apprezzamento di versi in cui tutto – ritmo, musicalità, suoni e significato – concorrono a dare valore. Si tratta di una scelta apprezzabile e importante, tantopiù che concerne un genere che più di altri tende a risultare escluso da riflessioni e proposte concernenti l’accessibilità, forse perché considerato troppo ostico. E invece no: questo libro unico e speciale, dice tra le altre cose che tutti possiamo (e dobbiamo poter) godere della poesia e che complessità e accessibilità possono andare felicemente di pari passo.

Il giorno in cui cadde la neve

Cosa fanno gli animali quando cade la neve? Ispirata dalle tavole dell’artista giapponese Ohara Koson, Cristina Petit immagina che si comportino esattamente come gli umani, dilettandosi tra battaglie e pupazzi, ciascuno secondo la propria indole. Il giorno in cui cadde la neve mette dunque in scena anatre, corvi, tigri, falchi e passerotti, in un dialogo fitto, accesso dal depositarsi del soffice manto.

C’è chi aizza, chi si fa schivo, chi non si tira indietro di fronte alla sfida, chi cerca alleanze, chi si nasconde. Ciascuno vive il grande gioco della neve con un’attitudine diversa, più o meno intraprendente, così come natura comanda. Alla fine si fa sera e si torna ai rispettivi nidi. Domani è un altro giorno, il grande gioco potrà ripartire…

Caratterizzato da tavole raffinate, insieme poetiche e precise, l’albo edito da Pulce ha una genesi particolare, nella misura in cui l’autrice prova a tendere dei fili narrativi tra tavole illustrate che nascono tra loro separate. Il risultato è piuttosto efficace e affascinante. Il libro si sviluppa, inoltre,  in un particolare formato verticale e mette a disposizione anche la versione audio del racconto. Agevolmente fruibile tramite qr code, quest’ultima, risulta fresca e piacevole e consente di ampliare le possibilità di lettura. Nella stessa direzione, d’altro canto, vanno anche la scelta di privilegiare illustrazioni molto realistiche e riconoscibili e una stampa in carattere maiuscolo.

Luna e la camera blu

Tra i titoli Babalibri finora riproposti da Officina Babùk in una versione in simboli, Luna e la camera blu è forse uno di quelli più sfidanti. Il libro di Magdalena Guirao Jullien e Christine Davenier danza, infatti, in maniera leggiadrissima sul filo della dimensione onirica, giocando con la labilità del confine tra immaginazione e realtà.

La sua protagonista – una bambina dall’indole placida, che poco parla e molto osserva – affronta infatti meravigliosi viaggi fantastici ogni volta che va a trovare la nonna e si rifugia in una stanza da letto dal fascino antico. Qui si nascondono, infatti, amici a quattro zampe con cui correre, giochi e capriole, traversate in barca e avventure piratesche. La fantasia della tappezzeria – dal fondo bianco e dai raffinati disegni blu – innesca, di fatto, una fantasia di altro genere: quella che anima le storie, i sogni e le invenzioni della piccola.

In questo volume dallo stile raffinato, testo e illustrazioni si integrano in modo efficacissimo, amplificando la sospensione tra dimensione reale e dimensione immaginaria. E proprio quella sospensione e quel dialogo imprescindibile e mai scontato tra parole e figure possono rappresentare una sfida importante per quei lettori che sperimentano maggiori difficoltà nel distacco dal piano di realtà. Ma una sfida è una sfida: se da un lato può porre davanti a ostacoli ostici, e talvolta insormontabili, dall’altra può offrire possibilità di scoperta del tutto inaspettate. Ben venga dunque, nel nome del rispetto del diritto alla complessità, anche questo tipo di proposta!

La versione in simboli di Luna e la camera blu risulta d’altro canto estremamente fedele all’originale: non si rileva infatti alcuna modifica testuale, così come identica appare l’impostazione grafica del volume. A dispetto della sofisticatezza della costruzione narrativa, il racconto risulta molto lineare nella struttura sintattica e molto piano nelle scelte lessicali. La simbolizzazione, basata come di consueto sulla collezione WLS e sul ricorso alla riquadratura, procede dunque in maniera piuttosto fluida, senza richiedere particolari adattamenti. I singoli simboli sono talvolta associati a unità lessicali (es: “giocare a nascondino”) invece che a singole parole e si caratterizzano per l’uso di qualificatori relativi ai tempi verbali. Le illustrazioni, minuziose e delicate, invitano dal canto loro a un’esplorazione lenta della pagina, di quella lentezza che consente alle storie di sedimentare e farsi posto per benino.

Il lupo e i sette capretti

Mondadori ha da poco inserito nel suo catalogo di libri illustrati una serie di volumi dedicati alle fiabe tradizionali le cui caratteristiche risultano interessanti. Si tratta di fatto di volumi snelli e dalle ampie illustrazioni in cui il testo è duplice: quello originale dei fratelli Grimm e quello a questo ispirato ma semplificato.  Se il primo presenta un carattere minuscolo, una lunghezza consistente (due o tre paragrafi per pagina) e una certa ricchezza lessicale e sintattica, il secondo si caratterizza invece per l’uso del maiuscolo, per una netta brevità (due-tre righe per pagina) e una notevole semplificazione lessicale.

La scelta di combinare due versioni dello stesso testo all’interno del medesimo volume è abbastanza insolita (anche se non del tutto inedita. Si veda per esempio questa proposta di Erickson) e funzionale al fatto di impiegare lo stesso libro per condividere la stessa storia con bambini dalle abilità diverse e/o per supportare il percorso di lettura di un bambino da un livello più semplice a uno più complesso. Il fatto di poter fare riferimento alle medesime illustrazioni può costituire, infatti, un elemento facilitante in questo senso.

Le illustrazioni, firmate da Rocio Bonilla sia in questo volume dedicato a Il lupo e i sette capretti, sia in quello dedicato a Cappuccetto Rosso, risultano dal canto loro amichevoli e di taglio piuttosto didascalico. A fianco di alcuni dettagli delle illustrazioni stesse vengono riportate delle specie di etichette funzionali a identificare e nominare gli oggetti o le azioni rappresentate. L’editore, che in copertina parla di tre livelli di lettura, considera probabilmente queste etichette come il livello base, anche se la loro funzione in termini narrativi risulta di fatto abbastanza irrilevante.

L’albero e il fiume

Aaron Becker ha un talento indiscusso nel raccontare le storie attraverso le immagini. La sua trilogia – Viaggio, Scoperta e Ritorno – ne è la prova evidente e un’ulteriore conferma ci viene ora dal recente silent book L’albero e il fiume pubblicato da Feltrinelli.

Qui la modalità narrativa adottata dall’autore americano è diversa rispetto a quella scelta per i volumi precedenti. Non ci sono, infatti, cambi repentini di scenario, avventure rocambolesche e personaggi a profusione ma un’unica inquadratura che cambia di pagina in pagina in base al susseguirsi delle epoche e al mutare degli eventi.

Quello che in origine appare come un angolo di natura abbastanza incontaminato subisce man mano, infatti, gli effetti dell’antropizzazione e soprattutto del rapporto sovente scriteriato che l’essere umano intrattiene con i suoi simili e con l’ambiente che lo circonda. La medesima ansa del fiume diventa così teatro non solo di abitudini edilizie diverse – capanne che lasciano il posto a strutture in muratura e castelli che lasciano il posto a città moderne e poi futuristiche – ma anche e soprattutto di attività umane variegate e dalla spiccata indole autodistruttiva. Dal futuro ipertecnologico si passa perciò in un lampo a scenari apocalittici e desolanti, nei quali solo la tenace e impassibile resistenza della natura offre un’occasione di speranza.

Duro e verissimo, attuale e pungente, L’albero e il fiume offre una riflessione profonda attraverso il potere delle figure. Lo fa invitando ed esigendo una lettura lenta, lentissima: l’unica che consente di cogliere somiglianze e differenze tra le pagine che si susseguono e di individuare i minuziosi dettagli che contraddistinguono ogni passaggio epocale e narrativo (tipi di mezzi, strade, oggetti, case, faccende umane…). Le inferenze richieste al lettore per riconoscere periodi, cambiamenti e concatenazioni di eventi sono piuttosto raffinate e tutt’altro che banali. Questo fa de L’albero e il fiume un volume particolarmente ricco e stimolante per quei giovani lettori che sperimentano magarti una difficoltà di fronte al testo scritto e che invece accolgono con piacere le sfide decifrative proposte dalle immagini.

Dov’è Momo?

Irresistibile Momo! Burlone, astuto e molto molto cool, Momo è un cagnolone che ama giocare a nascondino. Grazie all’intuizione del suo padrone, questa sua passione diventa un divertente e coinvolgente filo narrativo che invita il lettore a seguire e scovare il quadrupede nelle situazioni più disparate. Nel volume Dov’è Momo?, quest’ultimo si nasconde infatti in giardino e in camera da letto ma anche in luoghi ben più improbabili come il luna park, la biblioteca o la palestra. Ne vien fuori un libro che è una specie di viaggio e di caccia al tesoro: ogni doppia pagina presenta, infatti, sulla destra una fotografia in cui cercare Momo e sulla sinistra quattro riquadri con altrettante fotografie di oggetti, ciascuno opportunamente nominato, anch’essi da ritrovare all’interno della scena.

Nato da un’idea coltivata su Instagram e pubblicato per la prima volta in America con il titolo Let’s find Momo!, il libro di Andrew Knapp  risulta estremamente accattivante ma anche molto fruibile. In primo luogo perché sfrutta immagini fotografiche, molto immediate, riconoscibili e apprezzate anche che parte di lettori con difficoltà di astrazione. In secondo luogo perché presenta una struttura grafica sempre identica in cui il lettore può ritrovarsi senza sorprese e in cui ogni oggetto è puntualmente associato alla parola che lo identifica, come in una sorta di simbolo della CAA in forma fotografica. E infine perché la dinamica ludica sottesa al volume supporti e solleciti competenze come quella di nominare le cose e riconoscere le figure, catturando con facilità il lettore.

Tra un pallone da basket e un calzino, un hot dog e un secchiello, Momo diventa così un compagno di marachelle su carta a cui ci si affeziona senza indugio. Per fortuna sul sito http://www.letsfindmomo.com/ è possibile proseguire il cerca-trova che lo vede protagonista su oltre 100 inediti scatti curati dall’autore.

Slurp

Slurp di Gaia Stella è un libro-gioco da manuale. Con le sue pagine di cartone spesso, progettate e tagliate in modo tale da incentivare l’interazione, si può in fatti leggere e si può giocare. E, soprattutto, lo si può fare all’infinito. Ogni pagina è in particolare divisa in due, secondo la tipica struttura dei libri méli-mélo, così da consentire combinazioni multiple tra la parte di sopra e quella di sotto. Le due vanno nel complesso a comporre l’immagine di un gelato, che assume chiaramente forme diverse a seconda delle parti che di volta in volta lo compongono.

Si può giocare a ricomporre gelati uniformi, ricercando le due parti identiche e corrispondenti, o a creare gelati insoliti e variegati. In entrambi i casi, il lettore può dunque divertirsi a dare forma a coni e ghiaccioli sempre diversi e dai colori sgargianti, immaginandone ingredienti e sapori. Che gusto avranno mai il gelato a zigzag, quello maculato o quello a pois?

A ogni pezzo di gelato corrisponde poi, nella parte sinistra della doppia pagina, una parola che ne definisce il colore (rosso, marrone, arcobaleno…) o il motivo (zig-zag, losanghe, quadretti…). Il libro si presta così facilmente anche al gioco del nominare e del riconoscere, così come a prime prove di lettura gustosissime, trasformandosi in un vero e proprio menu tutto dedicato a deliziosi gelati da esplorare, scombinare, ricomporre, recitare.

Solido e agevole da maneggiare, Slurp può essere esperito e goduto fin dal primo anno di vita del bambino ma la sua struttura aperta e giocosa lo rende adattissimo anche a fruizioni più a lungo termine oltre che a prolungamenti laboratoriali in cui ogni lettore possa dare vita alla sua personalissima collezione di gelati intercambiabili.

Else-Marie e i suoi piccoli papà

Straniante e teneramente ironico, Else-Marie e i suoi piccoli papà è il libro d’esordio di Pija Lindenbaum, autrice svedese tra le più apprezzate e tradotte nel mondo. Quell’esordio è datato 1990: questo significa che il libro compie oggi felicemente 35 anni. Per l’occasione, Il Barbagianni editore ne propone una nuova edizione, caratterizzata da due aspetti principali. Il primo è è il ricorso a un font e a una spaziatura più amichevoli che riflettono un pensiero interessante intorno al rapporto tra albo e accessibilità. Il secondo è una diversa traduzione, curata da Samanta K. Milton Knowles, che mira a restituire con maggiore fedeltà la freschezza senza tempo di un testo irriverente.

Perché proprio l’irriverenza, in effetti, è forse il tratto più peculiare di Else-Marie e i suoi piccoli papà. Un’irriverenza che non dipende tanto dalle azioni e dai pensieri dei personaggi, quanto piuttosto dalla costruzione di una storia squisitamente surreale in cui trova naturalmente posto una famiglia che è tutto fuorché ordinaria e in cui ciò che esula dalla norma non esige chiarimenti e spiegazioni. Con buona pace di tanta didascalica letteratura per l’infanzia.  Else-Marie ha infatti una mamma, di dimensioni consuete, e sette papà, di dimensioni ridotte. Così è.

La sua è tutto sommato una quotidianità riconoscibile: c’è l’attesa per l’arrivo di papà spesso in viaggio, la gioia di fare da aiutante nel sistemare le pratiche che i genitori portano a casa, ma anche il rito della buonanotte, la routine per andare e tornare da scuola o la colazione fatta da ciascuno con un ritmo diverso. Su questa ossatura in cui è facile per il lettore riconoscersi, l’autrice innesta con maestria una serie di dettagli dettati dalla stravaganza della situazione: i papà che faticano a seguire i turni nel leggere le storie, che fanno fotografie senza testa perché troppo bassi o che saltano garruli sul letto come fossero gnomi impertinenti. E proprio dallo scarto tra ciò che è familiare e ciò che vi si discosta, nasce il sincero divertimento che un libro come questo può portare: leggero, gratuito, spassionato.

Ed eppure non è tutto: in Else-Marie e i suoi piccoli papà succede anche dell’altro. Succede, per esempio, che un giorno tocchi proprio ai papà andare a prendere la figlia, benché sia la mamma di solito a occuparsene. Ed è a quel punto che Else-Marie inizia a crucciarsi per la loro dimensione, nel timore che possano essere derisi, schiacciati o trattati senza rispetto. È la diversità che si fa improvvisamente ingombrante, totalizzando i pensieri e le emozioni della piccola. Ma le paure, come spesso accade, non trovano riscontro nella realtà: le cose vanno, infatti, ben diversamente da come Else-Marie si aspetta, sicché i timori finiscono per sciogliersi e la quotidianità può ritrovare la sua dimensione insolita ma rassicurante.

Contraddistinto da illustrazioni deliziose, firmate dalla stessa autrice, Else-Marie e i suoi piccoli papà coltiva il gusto per i dettagli sfiziosi e per una narrazione leggera, tanto nelle parole quanto nelle figure, entrambe dal tratto fresco e spigliato. Il loro rapporto felice e sinergico e la loro disposizione sulla pagina meritano, poi, un’ulteriore riflessione. Il testo ampio e la presenza di un numero ridotto di illustrazioni, spesso di ampia dimensione, fa sì che l’adozione di una serie di caratteristiche di alta leggibilità (font EasyReading, spaziatura maggiore, paragrafi distanziati, sbandieratura a destra…) possano essere adottate senza compromettere in alcun modo la felicità della composizione finale. Un esempio molto interessante di come il rapporto tra armonia compositiva, accessibilità ed efficacia comunicativa debbano essere frutto di un pensiero accorto e, nei casi favorevoli, possano dare vita a letture attraenti e fruibili al contempo.

Prima dopo

Quanto può essere essenziale una narrazione? Forse bastano un prima e un dopo affinché un racconto, per quanto minimo, possa darsi. Ecco allora che un libro straordinario come Prima dopo di Anne-Margot Ramstein e Matthias Aregui si rivela essere un contenitore inatteso di microstorie tutte da esplorare.

Il volume, edito da L’ippocampo, presenta una successione di mini-sequenze ciascuna composta da due tempi: quel che c’è prima e quel che c’è dopo. La notte e il giorno, la ghianda e la quercia, il lavoro all’uncinetto e il gioco nella neve, la casa vissuta e quella diroccata, l’alveare e il barattolo di miele, la zucca e la carrozza… Sono più di 80 i racconti minimi che i due autori mettono su carta, attingendo al mondo naturale e a quello fantastico e spingendosi talvolta oltre la misura della doppia pagina (gli ingredienti che diventano torta, che a sua volta diventa briciole; l’albero che affronta tutte e quattro le stagioni) o imbastendo più livelli temporali (la candela che arde e che si consuma e, subito dopo, il lume olio che cede al posto all’abat-jour elettrica) e semantici (la tela vuota e il quadro finito seguiti dalle matite intere e dalle matite mozze).

Le modalità e le direzioni secondo cui esplorare queste pagine sono dunque molteplici e aperte: aspetto, questo, che condiziona positivamente la fruibilità anche da parte di lettori che faticano a stare dentro i binari di narrazioni troppo rigide. Allo stesso modo l’assenza di parole e la brevità dei costrutti narrativi facilita il godimento e la partecipazione anche da parte di chi trova un ostacolo nei racconti troppo lunghi e complessi. Il tutto senza rinunciare, però, alla ricchezza e alla raffinatezza compositiva che fanno di questo corposo volume un piccolo gioiello editoriale.

A pile of leaves

Un libro come A pile of leaves è una sfida, un solletico, una carezza, uno slancio. Certo, le sue pagine in acetato del tutto prive di parole scritte e pure di una vera e propria storia, possono lasciare un po’ interdetti e portare a chiedersi “Ma come lo leggo, un libro così?”. Ma è proprio la libertà d’uso che qui dimora a rendere questo libro, purtroppo inedito in Italia, una chicca dalle molte potenzialità.

Composto da una ventina di pagine trasparenti su cui sono stampati in colori saturi e caldi foglie, insetti e oggetti di umana fattura, A pile of leaves invita di fatto ad aguzzare lo sguardo per studiare come cambia lo scenario man mano che le pagine vengono voltate. Come se si trovasse in effetti di fronte a un mucchio di foglie sovrapposte, il lettore vede e non vede ciò che c’è sotto e scopre dettagli prima celati o solo intravvedibili ogni volta che una pagina viene girata.

Così le formiche, il guanto smarrito, le foglie frastagliate o quella lungiforme appaiono poco a poco, accendendo piccole scintille di sorpresa e desideri di scoperta. Il processo di lettura che qui si attiva, dal canto suo, è libero è pluridirezionale: si guarda, si avanza, si torna indietro, si scopre qualcosa di nuovo. Le pagine diventano, cioè, terreno di un piacere euristico tutto giocato su forme riconoscibili, giochi di trasparenze e sovrapposizioni. Una delizia!

Il bosco

I leporelli in cartone della collana Primi libri di Fatatrac sono dei gioielli. Lo sono per qualità estetica del prodotto, per ricchezza del contenuto, per trasversalità d’uso. E lo sono per ragioni di accessibilità: tra queste pagine spesse, ampie e robuste, prive di parole ma dense di narrazioni, è autenticamente possibile, anche per bambini con difficoltà di lettura, trovare posto e trovare piacere.

Sono libri che, in primo luogo, non richiedono di essere sfogliati e che, stando su da soli, possono per esempio essere esplorati girandoci intorno oppure stando seduti o sdraiati per terra. Sono, poi, libri che fanno a meno delle parole, dialogando in maniera efficace anche con chi abitualmente fa a pugni con il testo scritto e trova invece ristoro nei racconti per immagini. E sono, infine, libri, che prediligono l’istantaneità alla sequenzialità, offrendo una moltitudine di micro-storie di cui è più facile appropriarsi anche in caso di difficoltà cognitive.

Tutte queste caratteristiche, già evidenziate e apprezzate nel meraviglioso La montagna di Andrea Antinori, si ritrovano ora ne Il bosco di Sebastián Ilabaca. Anche in questo caso, ogni lato del leporello presenta uno scenario diverso da esplorare. Da una parte, tra distese erbose e alberi di ogni tipo, si muovono animali dalle caratteristiche e dai comportanti antropomorfici. C’è chi fuma la pipa e chi corre in carriola, chi va in bicicletta e chi improvvisa una jam session, chi balla e chi si rilassa con una tazza di tè. In questo universo animato votato alla multiformità si notano dettagli curiosi, come gli abiti che richiamano epoche anche molto diverse, i funghi e i fiori che creano una cornice fantastica, le citazioni di albi molto molto noti o la presenza di un misterioso piedone peloso.

Dall’altro lato, come ci trovassimo al limitare del bosco stesso, il contesto si fa antropizzato. Qui si vedono case e fienili, orti e cortili, stalle e mulini. I personaggi sono umani dai diversi tratti e dalle diverse età: ciascuno, proprio come i compari animali, è impegnato in attività variegate, perlopiù di gioco e relax. Anche in questo caso, pur nella distensione appagante dello scenario, il lettore può scovare un proliferare di dettagli buffi e intriganti da cui farsi solleticare.

La bravura di Sebastián Ilabaca sta nel costruire un quadro ampissimo e vivo, in cui trova posto una moltitudine di personaggi dalla funzione tutt’altro che decorativa. Ciascuno ha un ruolo da coprotagonista e una postura riconoscibile in cui potenzialmente identificarsi. Le attività rappresentate riflettono, in particolare un’idea di infanzia molto precisa e concreta, da cui è facile lasciarsi guidare nello spazio dell’esplorazione e dell’immaginazione. All’interno di questo scenario composito e vivace, il lettore può dal canto suo muoversi con grande libertà, soffermandosi su ciò che lo intriga maggiormente e seguendo percorsi non vincolanti. Sollecitato, poi, dalla presenza di buchi e finestrelle (alcune camuffatissime!), può trovare ne Il bosco un affidabile compagno per scoperte e giochi d’invenzione durevoli ed entusiasmanti.

Pepe senza coda

Pepe senza coda di Daniela Piga ha almeno tre cose che dovrebbe avere un buon libro tattile: una storia (aspetto, questo, spesso trascurato in ambito tattile a favore di narrazioni più metaforiche ed evocative), la scelta di figure ricorrenti, significative e ben riconoscibili e la presenza di elementi interattivi e coinvolgenti.

Il libro racconta del cavallo Pepe che si sente triste e si nasconde perché, a differenza dei suoi simili, non ha la coda. La svolta, per lui, arriva quando scopre che nel negozio Tail shop le code sono messe in vendita. Ce ne sono di tutti i tipi: per l’estate e per l’inverno, per il giorno e per la notte. Ma soprattutto ce ne sono di specialissime, come la Coda di vento. Proprio su quest’ultima si orienta Pepe che inizia così a correre veloce e diventa ciò che forse ha sempre desiderato.

Composto da sottili pagine in stoffa color crema, Pepe senza coda si caratterizza per il ricorso a illustrazioni minimali, la cui essenzialità è frutto di uno studio accorto e generatrice di un connubio interessante tra estetica e funzionalità. Tutto si basa su sagome nere di cavalli che, oltre a dare alla pagina un aspetto molto raffinato, risultano estremamente riconoscibili: lo spessore è, infatti, adeguato e tutti gli elementi più significativi dell’animale sono presenti (4 zampe, orecchie a punta, muso lungo, criniera e – per chi ce l’ha – una coda). E poiché il libro parla proprio di somiglianza e diversità, l’autrice gioca con l’aggiunta di pochi elementi distintivi, di volta in volta differenti, applicati su una sagoma che è invece sempre identica (se non per la misura). Il lettore che esplora le figure con le dita sarà dunque fortemente agevolato nel suo compito di decodifica.

Non solo: Daniela Piga introduce nelle sue illustrazioni degli efficaci e attraenti elementi di interazione che non solo supportano la felice partecipazione del bambino alla lettura ma facilitano concretamente anche l’appropriazione del racconto. Il fatto che nella pagina dedicata al Tail Shop, le code possano essere davvero staccate e attaccate alla sagoma di Pepe o che quest’ultima, quando si dota della coda di vento, possa davvero staccarsi e volare grazie all’aiuto del bambino, fa infatti sì che ciò che la parola dice possa di fatto attualizzarsi. Il divertimento va dunque a braccetto con la facilità di comprensione. Da non sottovalutare, infine, all’attenzione rivolta all’aspetto multisensoriale, nella misura in cui la corsa di Pepe, divenuto ormai veloce come il vento, può essere sonoramente evocata dal lettore (o dal mediatore), grazie a un pezzo di metallo inserito sulla pagina su cui le dita possono tamburellare.

Il risultato è un libro tattile in cui ogni dettaglio è studiato a modino e la cui letture appare accattivante, coinvolgente ed estremamente fruibile.

Fra le mie braccia

Tra gli autori che dedicano attenzione ai lettori piccoli e piccolissimi, Émile Jadoul è certo uno dei più capaci e apprezzati. In catalogo per Babalibri da molto tempo, l’autore belga ha un tratto delicato e riconoscibile. I suoi personaggi, in buona parte animali dalle caratteristiche e abitudini tipicamente umane, riflettono con grande fedeltà la quotidianità del potenziale lettore.

Così, per esempio, nel pinguino Leone protagonista di Tra le mie braccia non sarà difficile riconoscere i sentimenti contrastanti che sovente animano i fratelli maggiori da poco divenuti tali: quel mix di gelosia e affetto, di curiosità e timore, di decisione e incertezza che rende il nuovo ruolo e il nuovo rapporto familiare tanto articolato ed entusiasmante. Leone si domanda infatti con grande insistenza dove potrà trovare una collocazione il suo nuovo fratellino Mattia, dal momento che negli spazi a lui più familiari – la sua camera da letto, le ginocchia della mamma, le spalle di papà… – sembrerebbe proprio non esserci posto sufficiente.  Quelli che sembrano inizialmente interrogativi e soluzioni votati al solo desiderio di marcare il proprio territorio, improvvisamente insidiato, virano sul finale verso un deciso ammorbidimento che dice tutta la tenerezza che i bambini possono coltivare dentro di sé.

Del volume di Émile Jadoul è da poco disponibile anche una versione in simboli della CAA, messa a punto e pubblicata da Officina Babùk. Rispetto a quella originale, a tutt’oggi proposta da Babalibri, questa versione presenta poche differenze. Formato, illustrazioni e impianto grafico ricalcano, infatti, quelli dell’albo illustrato tradizionale, mentre le uniche variazioni testuali concernono l’uso del maiuscolo  e la struttura sintattica delle frasi che introducono un discorso diretto. Il soggetto e il verbo dichiarativo vengono infatti qui collocati sempre prima del discorso diretto stesso. Il cambiamento ritmico e stilistico è impercettibile mentre l’impatto sulla comprensibilità non è trascurabile.

La versione in simboli di Tra le mie braccia si caratterizza poi per il ricorso a simboli WLS riquadrati e associati talvolta a singole parole, talaltra a unità di senso (ad esempio “non so davvero” o “sulle spalle”). In alcuni casi, poi, il simbolo viene costruito in modo tale da esplicitare il più possibile il senso della parola corrispondente: è quel che accade, per esempio, quando al pronome “mi” si associa un simbolo con una freccetta che indica l’icona del protagonista. L’idea di fondo è che la simbolizzazione debba supportare il più possibile la comprensione, senza appesantire la lettura, e in funzione di questo venga modulata. Allo stesso scopo mirano gli accorgimenti grafici che concernono la forma dei riquadri che cambia a seconda della posizione (inizio e/o fine frase) e/o del tipo di proposizione (discorso diretto o frase semplice): un’accortezza, questa, ideata dalla stessa casa editrice e utile a facilitare l’orientamento del lettore all’interno della multiformità testuale.

Cappuccetto Rosso

Mondadori ha da poco inserito nel suo catalogo di libri illustrati una serie di volumi dedicati alle fiabe tradizionali le cui caratteristiche risultano interessanti. Si tratta di fatto di volumi snelli e dalle ampie illustrazioni in cui il testo è duplice: quello originale dei fratelli Grimm e quello a questo ispirato ma semplificato.  Se il primo presenta un carattere minuscolo, una lunghezza consistente (due o tre paragrafi per pagina) e una certa ricchezza lessicale e sintattica, il secondo si caratterizza invece per l’uso del maiuscolo, per una netta brevità (due-tre righe per pagina) e una notevole semplificazione lessicale.

La scelta di combinare due versioni dello stesso testo all’interno del medesimo volume è abbastanza insolita (anche se non del tutto inedita. Si veda per esempi questa proposta di Erickson) e funzionale al fatto di impiegare lo stesso libro per condividere la stessa storia con bambini dalle abilità diverse e/o per supportare il percorso di lettura di un bambino da un livello più semplice a uno più complesso. Il fatto di poter fare riferimento alle medesime illustrazioni può costituire, infatti, un elemento facilitante in questo senso.

Le illustrazioni, firmate da Rocio Bonilla sia in questo volume dedicato a Cappuccetto Rosso, sia in quello dedicato a Il lupo e i sette capretti , risultano dal canto loro amichevoli e di taglio piuttosto didascalico. A fianco di alcuni dettagli delle illustrazioni stesse vengono riportate delle specie di etichette funzionali a identificare e nominare gli oggetti o le azioni rappresentate. L’editore, che in copertina parla di tre livelli di lettura, considera probabilmente queste etichette come il livello base, anche se la loro funzione in termini narrativi risulta di fatto abbastanza irrilevante.

Apri gli occhi!

Sorprendente, poetica, ammaliante: Claire Dé, già apprezzatissima in Imagine. C’est tout blanc…, si conferma autrice visionaria e originale nel silent book fotografico Apri gli occhi!, edito in Italia da Editoriale Scienza.

l libro è eloquente già dalla copertina. Tutta giocata sul contrasto cromatico tra un fronte immacolato e un retro sgargiante, questa trasforma, infatti, la foto di un manto nevoso in un volto dormiente. Fin dall’involucro del volume, si coglie dunque la sua propensione a trasformare la realtà in qualcos’altro, a trovare un guizzo narrativo negli oggetti più inaspettati, a giocare con ciò che è e con ciò che sembra, a creare collegamenti inattesi tra le cose del creato.

I punti di forza in ottica inclusiva di un libro come questo sono diversi. C’è prima di tutto l’elemento dello stupore: di fronte alle pagine di Apri gli occhi!, è infatti impossibile non restare ipnotizzati. Dentro c’è tutta la meraviglia mozzafiato della natura. Poi si può non capire tutto, non riconoscere qualcosa, trovare difficoltà di orientamento tra le figure, ma questo viene comunque dopo: l’incanto, intanto, ci diene dentro tutti.  C’è poi l’aderenza al reale garantita da un medium come la fotografia che, più di altri, viene incontro anche a chi sperimenta delle difficoltà di astrazione. I soggetti sono reali, tangibili, perlopiù noti. Tra di loro ci si può muovere con agio e familiarità. C’è poi il tema della lunghezza: un libro come questo non impone necessariamente, infatti, una narrazione lineare e lunga ma accoglie senza difficoltà anche letture più frammentarie e discrete di cui la doppia pagina costituisce la misura minima.

E c’è infine la versatilità d’uso: un libro come Apri gli occhi! Non ha istruzioni d’uso e nasce per accogliere percorsi diversi. Tra queste pagine si può guardare, ci si può stupire, si possono scovare dettagli nascosti, si può imparare, si può indovinare, si può immaginare, si può cercare, si può classificare, si possono cogliere somiglianze e differenze, nessi e fili narrativi. La bravura dell’autrice sta proprio, infatti, nell’immortalare soggetti curiosi e attraenti di per sé e/o per la relazione che possono instaurare con quelli cui sono affiancati. Ci sono insetti e vegetali ripresi da molto vicino, tanto da cogliere venature e dettagli piccolissimi. Si sono soggetti sfocati che chiamano a essere riconosciuti. Ci sono ombre curiose che paiono dare nuove identità ai loro proprietari. Ci sono scorci e squarci da cui guardare.

È tutto un gioco di scelta, di inquadratura e di affiancamento: un gioco che Claire Dé padroneggia con maestria ma nel quale i bambini, ispirati da queste pagine, possono a loro volta cimentarsi.

Dalla finestra

Cum-finis, là dove si finisce insieme. In quel bellissimo saggio che è Le parole sono importanti, Marco Balzano illustra bene come l’etimologia della parola confine rinvii sorprendentemente a un aspetto di apertura più che di separazione, di contatto più che di chiusura. Cosa pensare, allora, delle finestre, che nei fatti altro non sono che un confine circoscritto e comune? Più che chiuderle e segnare in maniera netta la distinzione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, vale forse la pena aprirle – un poco, molto o del tutto – ed esplorarne le potenzialità, in nome di quel significato originario votato all’incontro.

E proprio questo hanno fatto Laura Cattabianchi e Patrizio Anastasi, autori del libro tattile illustrato Dalla finestra, fresco vincitore del Bologna Ragazzi Award nella sezione New Horizons. Ogni doppia pagina del volume mostra infatti un tipo particolare di finestra, proposta come un’opportunità di spingersi verso un diverso pezzo di mondo, di godere di molteplici panorami naturali, architettonici e umani, di entrare in contatto con suoni e profumi che vengono da fuori e con sensazioni e pensieri che riecheggiano dentro. Ci sono finestre rionali, sul cortile e dirimpettaie, aperture pettegole e odorose, oblò e vetrate panoramiche, abbaini che aprono sul cielo e bocche di lupo che guardano in basso. Ognuna ha la sua forma e la sua storia: una forma e una storia appena appena abbozzate, quel tanto che basta per dare il la all’immaginazione del lettore.

Le finestre sono infatti rappresentate attraverso sagome fustellate essenziali, al limite del simbolico. Facilmente percepibile al tatto, ciascuna di esse si caratterizza per un materiale interno diverso che risulta significativo per la sensazione che genera, tattile in alcuni casi (come in quello delle tende che oscurano la finestra di chi spia),  uditiva in altri (come quello della carta oleata che richiama il suono della friggitoria sottostante). La pagina, dal canto suo, si caratterizza per la presenza anche di minimi elementi grafici, percepibili solo alla vista e funzionali ad aggiungere alcuni dettagli di contorno. Il risultato è un invito per il lettore a godersi una passeggiata immaginaria in cui il mondo, nella sua multiforme varietà, si svela un poco: origliato, odorato o sbirciato tanto da far venir voglia di saperne di più. O di esplorare ancora. Il libro, non a caso, presenta una sovraccoperta che diventa a sua volta uno spiraglio sul mondo. Inoltre, propone in allegato un kit, composto da un leporello fustellato e da alcuni materiali di base, con cui creare la propria personale rassegna di finestre. Perché le buone letture, si sa, non finiscono mai una volta chiusa l’ultima pagina del libro…

Ad accompagnare il lettore in questo insolito cammino tattile tra spiragli e aperture domestiche, si trova il fresco testo in rima di Laura Cattabianchi. Laura, straordinaria autrice che ci aveva già folgorato con il suo Nel bosco, firma infatti qui  sia la parte testuale sia quella di illustrazione tattile. Quest’ultima nasce, dal canto suo, in maniera decisamente insolita, sollecitata dalle forme minime di Patrizio Anastasi: una nuova e felice conferma del fatto che quella dell’essenzialità delle figure può essere una strada molto fruttuosa e versatile in un’ottica di accessibilità. La genesi di Dalla finestra è dunque fuori dal comune e, come tale, pienamente il linea con lo spirito del progetto che vi ruota intorno. Dalla finestra vede la luce, infatti, in seno a Coaabitat (Comunità Attive Attraverso la Biblioeditoria Tattile), un progetto innovativo e per certi versi sovversivo, che mira ad attivare la collettività intorno al tema della biblioeditoria tattile, creando una sensibilità nuova e nuove sinergie che facilitino la diffusione di questo tipo di libri.

La sua è una forza di tipo comunitario, che parte dal basso e che germoglia grazie a un lavoro (grandissimo) di rete. L’idea che nella condivisione e nella capillarità – degli sforzi e delle conoscenze – possa risiedere la possibilità di trasformare concretamente l’editoria tattile in un’opportunità per tutti i lettori è forse anche quella che ha portato Edizioni Start a candidare Dalla finestra al Braw: un’iniziativa apparentemente comune ma in realtà rivoluzionaria, caparbia e ambiziosa, che dice forte la necessità che i libri tattili (o accessibili, più in generale) stiano insieme agli altri e come tali vengano trattati. Un segnale, questo, importantissimo, al pari della risposta data dalla giuria del premio: una risposta che ci auguriamo possa essere a tutti gli effetti un finestra che consenta a questo tipo di libro di essere conosciuto e riconosciuto per il suo valore da un numero sempre più ampio di lettori.

Naso e Becco. Le lettere di mezzanotte

Quella di Naso e Becco è una serie ad alta leggibilità da tenere assolutamente d’occhio. Naso è un cane dal fiuto infallibile. Becco è un uccellino dallo sguardo attento. Insieme formano una coppia di investigatori bizzarramente assortita e straordinariamente efficace. Ogni loro avventura ruota intorno a un piccolo mistero che si sviluppa e svela nel giro di una trentina di pagine.

La misura è dunque ottimale per sostenere prime letture autonome e si sposa perfettamente a un testo piano e abbordabile ma brioso, a illustrazioni piacevoli, ampie e significative, a una grafica ariosa (spaziatura ampia e un paio di paragrafi al massimo per pagina) e a un carattere ad alta leggibilità in stampato maiuscolo. Il risultato è una proposta editoriale accattivante e accogliente, capace di incuriosire e al contempo di abbracciare anche i lettori meno forti o con difficoltà legate a un disturbo specifico dell’apprendimento.

In Naso e Becco. Le lettere di mezzanotte, i due protagonisti sono alle prese con una serie di lettere minacciose che invitano le rane dello stagno a interrompere le loro assidue prove di canto. Le lettere sono anonime, le minacce incombenti: un caso delicatissimo, insomma, per i due detective. Taccuino e lente di ingrandimento alla mano, i due si mettono sulle tracce del colpevole con la dovuta intraprendenza e il consueto intuito. Piume disperse, grafia svolazzante e un pizzico di vanità faranno il resto nella risoluzione di questo misterioso caso.

Inaugurata a ottobre 2024, la serie di cui fa parte Naso e Becco. Le lettere di mezzanotte conta ad oggi altri tre volumi dalle caratteristiche analoghe: una buona notizia per chi è a caccia di buone storie che accordino pari importanza alla leggibilità e all’appagamento.

Vincent Van Gogh pittore malinconico

Vincent Van Gogh, pittore malinconico è il secondo titolo curato da Teresa Righetti per la collana Parimenti de la meridiana. Si tratta dunque di un volume con testo supportato dai simboli della Comunicazione Aumentativa Alternativa che nasce con l’intento di rendere fruibili le storie, e in questo caso specifico la storia dell’arte, anche a giovani lettori con difficoltà di lettura.

Come il titolo precedente dedicato a Frida Kahlo, anche questo racconta la biografia del suo protagonista e offre al contempo una spiegazione essenziale delle sue opere più note e importanti. La narrazione procede in prima persona come se fosse lo stesso Vincent a parlare al lettore: accorgimento che concorre a rendere il racconto più fluido e appassionante. Seguendo i momenti salienti della vita del pittore, si entra così in contatto con i suoi celebri girasoli e con gli altri (numerosi) fiori da lui dipinti, con i suoi ritratti e autoritratti, con i suoi cieli stellati e con i suoi quadri dedicati agli spazi di casa. Di ognuno, l’autrice illustra i dettagli salienti, mettendoli in relazione con il tormentato stato d’animo del pittore e svelando possibili significati nascosti nella scelta dei soggetti, dei colori e delle forme. Il risultato è una proposta che resta saldamente in equilibrio tra il racconto biografico e l’opera di divulgazione, godibile in assenza di particolari difficoltà anche dalla fine della scuola primaria.

I testi confezionati da Teresa Righetti sono molto chiari, privilegiano frasi brevi, lineari e paratattiche e sono oggetto di una simbolizzazione che procede parola per parola o per unità di senso a seconda delle necessità. Collocati con regolarità sulla pagina di destra, fanno sempre riferimento all’illustrazione che si trova nella pagina a fianco, facilitando così l’orientamento e la comprensione del lettore. Le illustrazioni, dal canto loro, sono incisive e costruite con rispetto degli originali.

Progettato con un chiaro fine didattico, Vincent Van Gogh, pittore malinconico propone un’ampia sezione di proposte creative ispirate alle opere di Van Gogh attraverso le quali il lettore può familiarizzare con il lavoro del pittore, assimilarlo più agevolmente e sperimentare in prima persona tecniche e suggestioni. Questa sezione è resa in particolare disponibile sia al fondo del libro sia in formato digitale, attraverso la semplice scansione di un qr code.

Un’estate

Il tratto di Ji-Hyun-Kim è magnetico. Nel suo modo di raccontare per immagini le posture umane, la natura, la magia del creato e le emozioni si mescolano uno sguardo attentissimo e una capacità di non dire, una grande adesione al reale e un alone di mistero. E quel modo di raccontare emerge con grande limpidezza all’interno di Un’estate, il primo silent book dell’autrice coreana, portato in Italia da Emme Edizioni.

Qui si racconta di un viaggio estivo, di una fuga familiare dalla città verso la pace ristoratrice del lago, e dei ricordi indelebili che una quotidianità ordinaria ma distante dalle proprie abitudini può regalare. Il protagonista è un bambino che, con i genitori e l’affezionato cane, si reca a far visita a persone care, presumibilmente i nonni. È un tempo lento, quello che lo aspetta. Un tempo in cui guardarsi intorno e guardarsi dentro, in cui esplorare i dintorni e il passato della famiglia, in cui passeggiare, tuffarsi, ammirare e godersi i raggi del sole sulla faccia. Un tempo di niente e di tanto, che lascia una traccia indelebile da portare con sé.

Privo di parole e di colori abbaglianti, Un’estate fa della pacatezza dei toni e del racconto la sua cifra. Non ci sono strepiti o colpi di scena, qui: solo un viaggio verso e dentro quella natura che sempre più spesso ci è sconosciuta. Lo stupore è tuttavia tangibile e le tavole dell’autrice lo trasmettono con forza al lettore. Quest’ultimo è accompagnato passo passo in questo percorso affascinante, senza essere chiamato a faticosi sforzi interpretativi. La necessità di comprensione cede il passo al piacere della contemplazione. E questo, dal canto suo, non può che aprire possibilità di fruizione ampia.

L’ape Tina fa colazione

Con gioia, lo scorso anno, avevamo accolto l’uscita di Zuppa di coccole: il primo cartonato in simboli pubblicato da Homeless Book e rivolto a un pubblico di piccoli e piccolissimi. Si trattava, infatti, di un volume curato tanto nella parte relativa all’accessibilità quando in quella relativa alla gradevolezza del testo, delle figure e della composizione grafica.

Quell’esperienza ben riuscita trova oggi un gradito seguito in due nuovi cartonati che potremmo definire seriali: come intuibile dal titolo, dal formato identico e dalla grafica coerente, Ape Tina e l’inverno e Ape Tina fa colazione vedono la stessa protagonista alle prese con diverse piccole vicende quotidiane, perfette per prime letture condivise.

In Ape Tina fa colazione, per esempio, la protagonista esplora la campagna primaverile in cerca di qualcosa da mangiare. Al suo seguito il lettore scopre cosa si trova e cosa non si trova in un ambiente campestre, cosa mangiano le api, che caratteristiche hanno i fiori di ciliegio e cosa diventano con il passare del tempo. Il testo scritto da Maria Caterina Minardi propone dunque una sorta di protostoria grazie alla quale i lettori più piccoli, compresi quelli come maggiori difficoltà legate alla sfera della comunicazione, delle autonomie e della socialità, sono accompagnanti a conoscere l’ambiente che li circonda.

Le frasi che compongono il racconto sono perlopiù minime o coordinate con il soggetto non sempre ripetuto, se esposto poco prima. Le parole scelte, dal canto loro, sono semplici e quotidiane e vengono supportate visivamente dai simboli secondo una logica funzionale alla fruibilità: così, per esempio, articoli e preposizioni non vengono simbolizzate singolarmente ma accorpate al sostantivo di riferimento e unità di senso come “fare colazione” o “ha tanta fame” corrispondono un simbolo unico. Ogni pagina presenta un numero di frasi e dunque di simboli circoscritto: questo fa sì che la pagina che li ospita appaia felicemente pulita, ariosa e leggibile.

Il testo, che figura con regolarità sulla pagina di destra, è accompagnato da illustrazioni dallo stile grafico che riescono a unire gradevolezza e riconoscibilità. Del tutto prive di dettagli inutili e contraddistinte dall’uso di seisoli colori piatti (bianco, nero, giallo, verde, rosso e azzurro), ben contrastati e combinati tra loro, le figure di Gaia Scaranna scelgono e mettono bene in evidenza gli elementi chiave cui fa riferimento il testo della pagina a fianco, dando vita a quadri molto essenziali e ma molto accattivanti.

L’argine

Il lavoro di innovazione editoriale che Homeless Book sta portando avanti negli ultimi anni merita davvero un applauso. Non solo la casa editrice faentina ha iniziato a manifestare un’attenzione via via crescente nei confronti della qualità dei testi e delle figure proposte ai suoi lettori ma ha avviato anche una serie di sperimentazioni nell’ambito della produzione in CAA che hanno portato un gradita ventata di novità e spunti interessanti su cui riflettere.

Da un lato, hanno infatti preso forma nel suo catalogo alcuni titoli cartonati in simboli dedicati ai piccolissimi. Dall’altro, è arrivato sugli scaffali l’adattamento di un bellissimo fumetto originariamente edito da Beccogiallo ora supportato visivamente dai simboli WLS. E se il primo è un ambito ancora poco battuto, di quest’ultimo possiamo dire che sia totalmente inesplorato: L’argine è infatti il primo esperimento di fumetto in CAA edito in Italia.

Composto a quattro mani da Marina Girardi e Rocco Lombardi, che alternano le loro tavole dagli stili decisamente diversi per sottolineare i cambi di tono e di scenario del racconto, il libro racconta un pezzo di storia del nostro paese (e della zona del ravennate in particolar modo). Con il pretesto di una conversazione con il nipotino in occasione di una festa di carnevale, nonno Francesco per tutti Frazchì racconta di quando fu mandato dalla sua famiglia a far ingravidare la capra Ninetta, incontrando nel tragitto i molti pericoli e i molti volti della guerra. Quello che è di fatto un percorso circoscritto assume, infatti, i tratti di un viaggio iniziatico dalla durata indefinita, apparentemente molto più lunga di quel che direbbe l’orologio. In quel tempo sospeso e indistinto, Frazchì si confronta con bombardamenti e spari, fughe e missioni partigiane, rastrellamenti e mercato nero. Nella sua corsa lungo l’argine – quell’argine del fiume Senio dove il fronte di guerra si bloccò per mesi – il bambino fa la conoscenza di una lunga serie di personaggi emblematici per il ruolo che, specificamente, hanno giocato nella storia di Cotignola ma anche per le figure che, più universalmente, rappresentano. Chi deve nascondersi e chi aiuta a farlo, chi rischia la pelle per portare messaggi di resistenza, chi si finge fascista per aiutare la comunità, chi collabora con chi ha idee politiche e religiose opposte alle sue in nome della pace e della salvaguardia delle vite umane. C’è un’umanità che resiste e si fa forza, tra le tavole de L’argine, che arriva con forza al lettore anche grazie alle tavole estremamente dense ed espressive dei due autori in cui tutto, il tratto, le sfumature e le inquadrature, concorre da definire il racconto e a far sentire lo stravolgimento che la guerra porta con sé.

Estremamente rispettosa dell’originale, questa versione in simboli de L’argine presuppone un certo grado di conoscenze storiche pregresse e/o una lettura accompagnata che possa esplicitarle man mano. Molte sono, infatti, le inferenze richieste al lettore, i vuoti narrativi e i rimandi appena accennati a fatti, situazioni e figure del periodo in questione. Anche in questo senso l’esperimento avviato da Homeless appare particolarmente coraggioso: L’argine mette infatti i lettori che possono necessitare del supporto dei simboli (per ragioni diverse, comunicative e linguistiche per esempio) nella condizione di cimentarsi con una narrazione raffinata e complessa, nella quale l’attenzione al coinvolgimento emotivo supera di gran lunga quella alla piena comprensibilità dei fatti e dei riferimenti. I simboli, dal canto loro, sono impiegati in un’ottica di grande economia, ambendo davvero a offrire una sponda visiva alla decodifica del testo più che una vera e completa traduzione. Il risultato è una composizione poco invasiva dal punto di vista estetico (i simboli stessi, così come il testo, rispetto la dimensione abituale del contenuto di un fumetto) e funzionale a soddisfare lettori dotati di una certa dimestichezza con la lettura e la decodifica  dei simboli.

Caccapupù

Simone, coniglietto irriverente creato da Stephanie Blake, compie quasi vent’anni. Eppure il suo modo di fare è così vero e fedele all’infanzia che difficilmente lo si sospetterebbe. Ecco perché il fatto che la sua prima avventura, portata in Italia da Babalibri nel 2006, sia ora resa disponibile anche in simboli da Officina Babùk, è notizia quantomai felice e attuale.

Caccapupù, che dà il titolo al volume, è la parola che Simone ripete senza sosta, come risposta a qualunque interrogativo o invito. Al mattino, quando la mamma lo sveglia. A mezzogiorno quando il papà gli offre gli spinaci. Così come alla sera, quando la sorella gli vuole fare il bagno. Ma anche quando il lupo gli chiede se può mangiarlo, la risposta è sempre la stessa: Caccapupù! Il lupo, Simone se lo mangia, sì. Ma quando il papà, che è anche dottore, riesce a liberare il suo coniglietto, qualcosa sembra cambiato. Simone rivendica, infatti, il suo nome e mangia la minestra senza insolenza. Mai cantare vittoria troppo presto, però… Ché la sorridente impertinenza dei più piccoli riesce spesso a trovare strade impreviste per spiazzare, stupire e financo esprimere una vitale curiosità.

Divertente e irresistibile da leggere ad alta voce, Caccapupù resiste in maniera eccellente alla prova del tempo perché coglie l’infanzia in un suo tratto peculiare e perché non fa del tema scatologico, tanto caro ai bambini, un ammiccamento fine a sé stesso. Al contrario, quel Caccapupù che fa sinceramente sorridere diventa di fatto il motore narrativo di una piccola avventura felicemente compiuta che mescola con perizia invenzione, iterazione e sorpresa.

Non solo. Stephanie Blake compone il suo racconto con attenzione, donandogli ritmo e comprensibilità. Non a caso, nella versione in simboli curata da Officina Babùk, il testo non viene modificato di una virgola, poiché risulta già molto lineare e chiaro nella sua versione originale, perfetto per una simbolizzazione. Quest’ultima opta per l’uso dei simboli WLS, con riquadri molto sottili (e dunque graficamente poco invasivi) e testo in maiuscolo esterno ai riquadri, e per l’associazione di unità di senso (articolo + sostantivo, espressioni come “c’era una volta”, ecc…) a un unico simbolo. La distribuzione del testo sulla pagina, inoltre, segue fedelmente quella della versione originale. Come in quest’ultima, infine, testo e figure risultano sempre separati: questo fa sì che venga agevolato nel lettore il reperimento di entrambi e che un’eventuale lettura con modeling non vada a coprire le illustrazioni. Queste ultime, dal canto loro, appaiono molto nette, prive di dettagli superflui e contraddistinte, invece, da contorni spessi e da un uso del colore non necessariamente realistico

Il risultato è un libro estremamente godibile, anche da un punto di vista estetico, e fruibile tanto nella parte testuale quanto in quella iconografica: a tutti gli effetti una lettura che si presta alla condivisione anche all’interno di contesti educativi e culturali come scuole o biblioteche.

Lumaca

Esplorare la pagina con i polpastrelli è più complesso e meno immediato che farlo con gli occhi. Per questo, la lettura tattile richiede un tempo lento. Chi meglio di una lumachina può, dunque, accompagnare l’esplorazione di pagine concepite per le dita? Probabilmente nessuno.

Sulla scia della chiocciola protagonista del libro di Francesca Danovaro, al lettore non verrà messa fretta: ad ogni pagina troverà, sempre identica (salvo per l’orientamento) e ben distinguibile, la sagoma dell’animale che si muove in direzioni diverse: verso sinistra e verso destra, verso il basso e verso l’alto, in diagonale e infine lungo tutto il perimetro della pagina. E questo è quanto! Sagoma, scia e piano sottostante: con tre semplici elementi, l’autrice disegna un percorso via via più complesso da seguire per dita curiose. Non c’è storia e non c’è testo, insomma, tra queste pagine tattili, ma una proposta essenziale e curata per prendere confidenza con le linee e lo spazio. Un luogo di carta dall’accessibilità trasversale, capace di intercettare bisogni ed abilità diverse.

Il libro appare estremamente pulito nella grafica e minimale nei contenuti: aspetti, questi, che ne facilitano l’esplorazione la fruizione e che aprono, volendo, a scenari immaginifici: dove va la chiocciolina? Cosa insegue? E quali storie potrebbe contenere quella pagina da lei così ben delineata?

La Puglia è una favola

La Puglia è una favola è un libro sui generis che può valere la pena conoscere. Non tanto per la storia che racconta, che di fatto nasce per presentare e valorizzare le bellezze della regione, quanto per l’elevato grado di accessibilità che vanta e per le efficaci soluzioni che adotta per assecondare diverse esigenze di lettura.

Da un lato, il libro presenta una versione ad alta leggibilità del racconto. Dall’altro, a volume capovolto, una versione semplificata e supportata visivamente dai simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. L’aggiunta dei simboli, dal canto suo, risulta ben integrata dal punto di vista grafico alle illustrazioni che animano il racconto. La scelta, invece, di prediligere simboli colorati tende a rendere più confuso l’insieme. I simboli utilizzati sono quelli della collezione WLS, particolarmente adatti ad accompagnare testi letterari.

Ma non è tutto: alla fruibilità garantita dalle caratteristiche di alta leggibilità e alla presenza dei simboli, si aggiunge quella implicata dalla presenza di un qr code che rimanda all’audioregistrazione del racconto. Il risultato è un volume che con un circoscritto dispiego di risorse riesce ad abbracciare un pubblico davvero ampio, facendosi autenticamente promotore di un diritto alla lettura democratico.

Contraddistinto da gradevoli illustrazioni dal tratto delicato firmato da Simona Versi, La Puglia è una favola accompagna il lettore in una sorta di viaggio attraverso la storia, la cultura e le usanze della regione con cui man mano la piccola protagonista Blu si trova a interagire.

Libro scatenato

Vincitore nel 2021 la sesta edizione del concorso nazionale di editoria tattile Tocca a te, Libro scatenato di Claudia e Anna Silvia Costa è un volume tattile che esplora il tema dei diritti. Lo fa giocando con i diversi significati attribuiti alla parola catena: una cosa che di base costringe e imprigiona ma che talvolta può consentire ai diritti di trovare spazio e realizzarsi.

La catena della bici rende liberi di correre, per esempio. Quella dell’altalena fa volare in alto. Quella dell’ancora permette di scoprire nuovi orizzonti. Così, attraverso questo ribaltamento semantico e attraverso il gioco linguistico-metaforico che ruota intorno alle parole incatenato/scatenato, il libro offre spunti sparsi per riflettere sul tema delle liberta e dei diritti.

Contraddistinto da una struttura un po’ frammentata, che tiene insieme citazioni (di Malala e Mandela, per esempio) e richiami alle catene di cui sopra, Libro scatenato si caratterizza per il ricorso a illustrazioni tattili abbastanza tradizionali nelle forme e nella composizione. D’altro canto, il libro si fa notare per la possibilità di rivolgersi a un pubblico di lettori un po’ più grandi rispetto a quelli a cui abitualmente i libri tattili si rivolgono.

Il gioco delle ombre

Leggere, giocare, incantare, trasformare… con un libro si possono fare molte cose (insieme), soprattutto se quel libro è firmato da Hervé Tullet. Si prenda ad esempio Il gioco delle ombre, edito da L’ippocampo. Contraddistinto da pagine cartonate nere di piccolo formato intagliate a modino, questo libro predispone un’esperienza di lettura che potremmo dire aumentata, senza che alcuna sofisticata tecnologia si renda necessaria. Per restituire pieno senso al volume basterà infatti una torcia.

Il gioco delle ombre invita il lettore ad illuminare le sue pagine in una stanza buia man mano che la lettura scorre. E voilà, la magia è presto fatta: le figure intagliate sulla carta prendono vita sulla parete o sul soffitto, accompagnando il lettore in una sorta di passeggiata notturna in cui si incontrano creature misteriose (perlomeno all’apparenza!).

Lineare, semplice e fruibile già nella struttura narrativa, che presenta di fatto una carrellata di possibili incontri notturni (un uccellino, uno scoiattolo, un lupo, una volpe, un elefante…), Il gioco delle ombre aumenta il suo grado di godibilità e aggancio nei confronti dei lettori con maggiori difficoltà di attenzione, grazie alla modalità d’uso originale che richiede di mettere in campo e al coinvolgimento attivo del lettore che questa implica.  Luce spenta, occhi attenti: la magia ha inizio!

Ape Tina e l’inverno

Con gioia, lo scorso anno, avevamo accolto l’uscita di Zuppa di coccole: il primo cartonato in simboli pubblicato da Homeless Book, rivolto a un pubblico di piccoli e piccolissimi. Si trattava, infatti, di un volume curato tanto nella parte relativa all’accessibilità quando in quella relativa alla gradevolezza del testo, delle figure e della composizione grafica.

Quell’esperienza ben riuscita trova oggi un gradito seguito in due nuovi cartonati che potremmo definire seriali: come intuibile dal titolo, dal formato identico e dalla grafica coerente, Ape Tina e l’inverno e Ape Tina fa colazione vedono la stessa protagonista alle prese con diverse piccole vicende, perfette per prime letture condivise.

In Ape Tina e l’inverno, per esempio, la protagonista si confronta con le peculiarità della stagione: il freddo che richiede abiti pesanti, la nebbia che ostacola la visibilità degli oggetti e dei luoghi più familiari, il buio che arriva presto costringendo a lunghi pomeriggi casalinghi ma anche la neve che talvolta ci sorprende la mattina, riservando possibilità di gioco e divertimento inattese.

Il testo scritto da Maria Caterina Minardi propone una sorta di protostoria, seguendo di fatto una giornata tipo invernale e mettendone in evidenza le specificità. In questo modo, l’autrice accompagna in maniera piacevole i lettori più piccoli, compresi quelli come maggiori difficoltà legate alla sfera della comunicazione, delle autonomie e della socialità, a conoscere e riconoscere l’ambiente che li circonda e le emozioni che questo può generare.

Le frasi che compongono il racconto sono perlopiù minime ma non sempre lineari (il sostantivo non precede, per esempio, automaticamente il verbo e il verbo non precede sempre il discorso diretto che introduce). Le parole scelte, dal canto loro, sono semplici e quotidiane e vengono supportate visivamente dai simboli secondo una logica funzionale alla fruibilità: così, per esempio, articoli e preposizioni non vengono simbolizzati singolarmente ma accorpati al sostantivo di riferimento. Il numero di frasi e dunque di simboli impiegati è circoscritto e questo fa sì che la pagina che li ospita appaia felicemente pulita, ariosa e leggibile.

Il testo, che figura con regolarità sulla pagina di destra, è accompagnato da illustrazioni dallo stile grafico che riescono a unire gradevolezza e riconoscibilità. Del tutto prive di dettagli inutili e contraddistinte dall’uso di cinque soli colori piatti (bianco, nero, giallo, blu e azzurro), ben contrastati e combinati tra loro, le figure di Gaia Scaranna scelgono e mettono bene in evidenza gli elementi chiave cui fa riferimento il testo della pagina a fianco, dando vita a quadri essenziali e accattivanti.

Una fame da lupo

Una fame da lupo (così come il fratello Una vacanza da lupo) è l’emblema dell’ibridismo che spesso contraddistingue i libri accessibili migliori. Questo di di Yen-Lu Chen-Abenia e Mathilde Bel è, in particolare, un libro-gioco che non disdegna di mutuare qualche aspetto dagli imagier e dai libri tattili ma non si discosta troppo neppure né dai libri in simboli né da quelli senza parole. Proviamo a vedere in che modo.

Il libro presenta intanto un packaging particolare che consente alla copertina di aprirsi in verticale mentre tutte le altre pagine, spesse e cartonate, si aprono in orizzontale. Questo fa sì che ciò che sta sotto alla copertina, ossia l’immagine del lupo protagonista con il suo pancione da riempire in primo piano, resti sempre a disposizione man mano che il libro scorre: un’accortezza semplice ma funzionale considerando che il lettore viene implicitamente invitato a dare da mangiare al lupo le delizie che di pagina in pagina incontra. Ciascuna delle pagine successive alla prima presenta infatti un insieme di cibi variamente disposti (su ripiani, sparsi qua e là, su una tovaglia…) e riuniti in base ad affinità di contesto (cibi che stanno in frigo, cibi per l’ora del tè, cibi per un picnic…). Ogni pagina riporta una decina di immagini dalle forme semplici e riconoscibili: una di esse, poi, è associata al nome e risulta staccabile, esplorabile a 360°e attaccabile sulla pancia del lupo tramite velcro.

Nella sua struttura essenziale e ben congegnata, Una fame da lupo consente dunque di guardare, leggere (due parole per pagina), nominare, associare alcune parole alle relative figure minimali, manipolare, riconoscere le forme, attaccare e staccare, giocare… E poi ricominciare, con gusto, che non è poca cosa.  Il libro diventa cioè uno spazio accogliente di sperimentazione e lettura multiforme in cui anche i bambini con difficoltà comunicative, cognitive e di attenzione possono sentirsi benvenuti, stimolati e appagati.

Guarda e scopri la città

Guarda e scopri la città, wimmelbuch contemporaneo nato in Spagna e portato sugli scaffali italiani da Il leone Verde piccoli, è un libro brulicante ma anche un libro-gioco. Tra le sue pagine pullulanti è infatti possibile muoversi secondo approcci diversi: girovagando senza una meta precisa per cogliere i molti dettagli che animano ogni scena o setacciando quest’ultima con minuzia per trovare cose e personaggi suggeriti dall’autrice. Non c’è un approccio giusto e uno sbagliato. L’autrice caratterizza, infatti, ogni doppia pagina con una moltitudine di micro-situazioni che possono essere parimenti godute a ritmo lento e a ritmo serrato.

Ciò che le rende particolarmente vitali e attraenti è da un lato il tratto ironico e dinamico con cui vengono dipinte e dall’altro il proliferare di dettagli curiosi che contrastano con l’ordinarietà della cornice. Insieme a un coccodrillo che sbuca dal tombino e a un alieno che interagisce in modo buffo con il mondo degli umani, per esempio, l’autrice si diverte a disseminare in ogni doppia pagina personaggi delle fiabe molto noti, contestualizzandoli a modino (Pinocchio, per esempio, se ne sta tra i banchi di scuola!) e facendoli talvolta interagire con gli abitanti della città (la musica del Pifferaio di Hamelin, a quanto pare, non è così gradevole da ascoltare).

Cristina Losantos costruisce il suo racconto brulicante attraverso sette grandi tavole senza parole che immortalano scorci diversi della città. Qui il lettore ritrova, di fatto, personaggi ricorrenti, come se una cinepresa li seguisse nel loro percorso attraverso le vie del luogo. Possiamo così accompagnare, per esempio, la corsa di un uomo ginnico, il tour di una coppia di turisti, gli spostamenti di una classe, le performance di un musicista di strada e via dicendo. Come spesso accade quando questo tipo di modello di racconto per immagini viene proposto, il lettore ha modo di muoversi con particolare agio tra le diverse scene, scegliendo secondo i suoi gusti e/o le sue capacità, di godere delle singole scene che contengono di per sé delle situazioni narrativamente appaganti, o di godere del loro succedersi in maniera diacronica.

Della stessa seria di Guarda e scopri la città, Il leone verde piccoli ha pubblicato anche Guarda e scopri i mestieri.

Storia di una coda

Prodigy Street è un’anonima via in cui nulla di interessante succede mai. O almeno così pare a Tom che proprio lì si è da poco trasferito con la madre. Ma se è vero che nomen omen, l’intitolazione della via deve pur significare qualcosa e le apparenze vengono presto smentite. Da lì a poco, infatti, si trasferisce nello stesso isolato un bizzarro signore di nome Mister Mirabilis accompagnato da suo cane Najki, e dall’istante in cui Tom ne fa la conoscenza, cose sorprendenti cominciano ad avere luogo. Non cosa casuali o del tutto impreviste, si badi bene, bensì cose ben precise che hanno a che fare con i desideri. Sarà presto chiaro, infatti, agli occhi di Tom che Najki non è un cane comune ma una creatura magica che realizza le volontà di chi gli si trova accanto. E se questo può rappresentare una grande fortuna, parimenti può farsi foriero di imprevisti e guai…

Scorrevole, intrigante e costruito su un’efficace alternanza di voci – quella del narratore esterno e quella del cane – Storia di una coda si presta ad offrire una narrazione abbordabile ma allo stesso tempo gustosa e corposa a bambini che iniziano a muoversi con una certa dimestichezza sul terreno della lettura autonoma. La presenza di illustrazioni frequenti e brillanti, in pieno stile Tony Ross, e il ricorso al corsivo per caratterizzare i capitoli che riportano la voce del cane, vanno dal canto loro a rafforzare la fruibilità di un testo già stampato con caratteristiche di alta leggibilità. Il font biancoenero, la spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, la sbandieratura a destra e la carta color crema affaticano, infatti, meno la vista e sostengono la lettura anche in caso di difficoltà legate alla dislessia. Il risultato è un racconto ricco e narrativamente ben strutturato che dà il benvenuto anche ai lettori meno forti sia in virtù della sua forma che della sua sostanza.

Alberi

Mauro Evangelista è stato un artista e un autore di libri tattili straordinario. A lui dobbiamo, in particolare, un albo illustrato che è familiare a molti bambini e che ha trovato spazio in molte scuole, un albo illustrato che è ormai un classico e che mostra in maniera eloquente come il dialogo tra editoria tattile e tradizionale possa essere fruttuoso. Si tratta di Saremo alberi, noto a molti per l’edizione portata in libreria da  Artebambini.

Il libro, che racconta la diversità di cui la natura è custode attraverso le variegate chiome degli alberi che si fanno metafora dei caratteri umani, tutti egualmente dignitosi e necessari alla collettività, è un piccolo capolavoro di grazia e poesia. Porge al lettore una riflessione suggestiva attraverso un testo minuto e una grafica che rifugge gli orpelli e fa risaltare la qualità squisitamente tattile delle illustrazioni fatte con un materiale semplice come la corda. Scriveva Evangelista nel 2010: «Toccare, sentire una superficie (la “pelle” delle cose) consente di avvicinarsi ad una conoscenza molto profonda del mondo perché permette di avere un contatto intimo con un luogo, una persona o anche solo una materia. È un movimento verso un sapere sensibile».

E non è un caso se, come pochi altri, questo lavoro così capace di farsi tangibile, ha saputo raggiungere pubblici eterogenei, ispirare innumerevoli laboratori e godere di una longeva vita, viaggiando in più sensi di marcia tra ambiti editoriali diversi. Le tavole dell’autore fatte di corda e carta, trasformate attraverso la fotografia nel passaggio ad albo tradizionale da Artebambini, trovano infatti, ora, una nuova veste editoriale che recupera e valorizza a pieno il senso e l’aspetto del lavoro originale e prettamente materico dell’autore.

Nel libro tattile pubblicato dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi con il titolo di Alberi, quelle chiome classiche, disciplinate, disordinate o felici nel vento sono, infatti, nuovamente realizzate con la corda e risultano pertanto palpabili in tutta la loro fisicità. Il testo, dal canto suo, si presenta a grandissimo carattere e unisce la stampa in nero a quella in Braille. Illustrazioni e parole, infine, si abbracciano all’interno di pagine di ampio formato quadrato, realizzate in cartoncino grezzo e rilegate con la stessa corda che compone le figure. L’insieme a cui tutto questo dà vita è un libro tattile corposo e incantevole, che restituisce agli occhi come al tatto l’omaggio alla natura che la narrazione custodisce, e che si presta a letture estremamente accessibili e trasversali per età e abilità. L’ultima pagina, poi, offre una base in velcro e una corda staccabile grazie alle quali il lettore può fare, disfare e rifare il suo personalissimo albero: una sorta di piccolo laboratorio già compreso nel libro!

Brava Chiocciolina!

Quante cose sanno fare gli animali del prato: tutti, ma proprio tutti, agli occhi di chiocciolina sembrano avere un talento speciale e ammirevole. Chi vola, chi salta, chi scava tunnel lunghissimi, chi trasporta cose davvero pesanti. E chiocciolina? Chiocciolina cosa sa fare? Apparentemente nulla di ciò che fanno i suoi pari. Apparentemente. A ben guardare, infatti, come sa fare e sa insegnare a fare la sua mamma, anche chiocciolina ha un modo unico e degno di vivere il prato, non solo standoci ma rendendolo un posto migliore di come sarebbe se lei non ci fosse.

Brava Chiocciolina! è un libro che ha un valore speciale. Non solo perché le parole che Silvia Vecchini impiega per raccontarla sono scelte e limate con cura sopraffina. E neanche soltanto perché le illustrazioni di Carla Manea abbracciano a puntino, con le loro sfumature pastello, una narrazione dall’indole quieta e accogliente. Brava Chiocciolina! è un libro che ha un valore speciale anche perché ha una genesi singolare che, curiosamente, sposa a pieno il messaggio di cui la protagonista si fa portatrice.

Brava chioccolina! è infatti pubblicato da Edizioni corsare in due edizioni – inbook e tradizionale – che vengono di fatto proposte come paritarie, sorelle. Anzi, sebbene la storia della chiocciolina nasca prima dell’idea di farne anche una versione accessibile, è proprio quest’ultima a fare da apripista, uscendo in libreria prima di quella tradizionale. Può sembrare un’inezia, una mera questione di forma, ma in realtà non lo è: perché quello che questa successione temporale ci dice è che l’editoria accessibile non deve sempre andare a rimorchio dell’editoria tradizionale e che lo scambio e l’incontro tra le due non deve per forza essere a senso unico. Certo, proprio come accade a Chiocciolina, serve che il valore che l’accessibilità può portare con sé venga visto e riconosciuto perché possa dare frutto, che poi è proprio ciò che hanno fatto autrici e casa editrice.

Non solo, proprio come nel prato della chiocciolina, tutti gli attori coinvolti in questo progetto sono stati di fatto valorizzati per la loro specifica competenza: un’autrice fuori da comune per immaginare e scrivere la storia, un’illustratrice talentuosa per farla riecheggiare sulla pagina, un gruppo di lavoro specializzato nella simbolizzazione per ampliare la fruibilità del racconto, un editore accorto per comporre parole, simboli e figure in pagine armoniose e piacevoli. Esattamente di questo, crediamo, ha bisogno l’editoria accessibile e abbiamo bisogno tutti noi: di libri che nascano dalla sinergia di professionalità specifiche e che brillino non solo per le buone intenzioni ma anche per esiti degni di nota.

Lunga vita, dunque, alla chiocciolina e alla sua storia! Che possa lasciare una traccia ben visibile sul terreno della lettura inclusiva.

La mia casa

Dal mondo mitteleuropeo, culla fertilissima dei cosiddetti wimmelbucher, arrivano con frequenza sempre maggiore titoli brulicanti da cui lasciarsi assorbire e conquistare. Ali Mitgutsch e Susanne Rotraut Berner sono i maestri indiscussi e gli autori più noti di questo tipo di narrazione. A loro si ispirano spesso gli autori più giovani o meno conosciuti, le cui proposte possono essere cionondimeno valide e interessanti. La mia casa di Anne Suess è una di queste.

Portato in Italia da Gallucci, questo volume-affresco senza parole, presenta un rapporto densità narrativa/spessore decisamente sorprendente. Sottile sottile e composto da sole 8 pagine, il libro contiene in realtà una moltitudine di quadri pullulanti. Ogni doppia pagina fotografa, infatti, la sezione di un condominio, mostrando al lettore cosa accade dentro ogni stanza. Una dozzina di ambienti per ogni doppia pagina, per un totale di circa 50 micro-mondi da osservare. Nel condominio di Anne Suess ci sono appartamenti e negozi, spazi culturali e servizi educativi, uffici e soffitte, laboratori e teatri. C’è tutta una vita, variegata e autentica, che pulsa tra queste mura, dando luogo a micro-scene riconoscibili ma gustose. Lo stile realistico dell’autrice facilita dal canto suo l’identificazione dei contesti e delle azioni mentre il suo guizzo inventivo aggiunge un tocco gustosissimo alle diverse situazioni. Mai piatte, queste ultime ospitano di fatto delle narrazioni istantanee che lasciano però immaginare dei prima e dei dopo suggestivi. Come ci sarà finita la bambina dentro la pendola del gioielliere? Come avranno fatto a portare una mucca fino in soffitta? E la macchina del tempo progettata all’ultimo piano funzionerà davvero?

Anne Suess mette in scena una straordinaria varietà umana: bambini, adulti e anziani (alcuni, peraltro, molto atletici!), professioni pratiche e intellettuali, diversi tipi di tratti somatici e disabilità. La sua è una realtà vera e multiforme, in cui i mestieri non hanno vincoli di genere (c’è una donna meccanico così come un premuroso maestro di asilo) e la quotidianità non cede alla tentazione dell’infiocchettamento. Così, non mancano salsicce rovesciate, buchi involontari nel muro, mal di denti e litigi tra compagni. E tutto questo fa crescere il desiderio e il piacere di avanzare nella lettura per riconoscere (e riconoscersi ancora), per stupirsi, per ridere, per immaginare. Le scene allestite dall’autrice, d’altro canto, non mancano di citazioni e riferimenti intriganti (basti pensare allo scienziato dagli iconici baffi grigi!). Ciascuna di esse può essere apprezzata e goduta individualmente, cosa che ne agevola la fruizione anche da parte di bambini che faticano a padroneggiare sequenze articolate e complesse, ma spesso si intreccia con quelle accanto, come nel caso della cantante lirica che scatena l’ira e le reazioni di tutti i vicini. Nascono così collegamenti ulteriori e inattesi sui quali il racconto e l’immaginazione di ciascuno possono continuare a muoversi e trovare nuovo nutrimento.

Il ragazzaccio

Felix è un ragazzo cresciuto in un contesto difficile. Il padre è assente, la madre è malata e nessuno, di fatto, si occupa davvero di lui. Felix è povero e si sente invisibile. Come tale, d’altronde, lo trattano tutti: Felix a poco a poco perde persino il suo nome e diventa per il paese intero il ragazzaccio. Viene soprannominato così quando compie piccole ruberie per bisogno estremo e quella finisce per diventare la sua identità principale quando si lascia convincere da Tigre a entrare nella sua banda. A quel punto non si tratta più di arraffare una mela o un paio di calzettoni per sopravvivere ma di dedicarsi a furti e rapine in maniera sistematica, armi alla mano comprese. Sarà l’incontro con un mansueto ma tenace signore che gli dona un violino in cambio della sua pistola a cambiare la sorte di Felix, dimostrando a lui stesso (e a chi legge) che non si nasce buoni o cattivi e che umanità e arte possono cambiare le sorti di una persona.

Il ragazzaccio è ispirato alla storia vera di José Antonio Abreu, musicista e attivista che nel 1975 ha fondato in Venezuela El sistema, un’organizzazione che promuove la musica come strumento di riscatto sociale. Il signore che salva di fatto Felix da un destino segnato dalla delinquenza fa esattamente ciò che José Antonio Abreu ha fatto nella realtà con moltissimi bambini di strada. L’orchestra di cui Felix inizia a far parte celebra, infatti, il potere della musica in cui Abreu credeva fortemente.

Edito da Camelozampa, Il ragazzaccio, ha il sapore dei libri di una volta e l’aspetto di un libro modernissimo. Il racconto di Angeliki Darlasi non ha paura, infatti, di dire la povertà e di dipingere un contesto di periferia in cui le famiglie sono sgretolate, la fame è compagna fedele e l’appartenenza a una banda può offrire un effimero senso di protezione a appartenenza. Le illustrazioni di Iris Samartzi, dal canto loro, sottolineano il tono malinconico e non privo di sfumature cupe del racconto, optando però per un tratto attuale in cui fotografia e disegno si integrano e in cui le linee essenziali e pochi segni rossi su una base in bianco e nero guidano e allargano la riflessione del lettore. Il libro presenta inoltre la forma poco battuta del racconto illustrato in cui le figure, ampie e presenti a ogni doppia pagina, giocano un ruolo da protagonista. Questo, unito al carattere più grande del consueto e ad alcune caratteristiche di alta leggibilità come il font Easyreading, la spaziatura maggiore e la sbandieratura a destra, concorre a rendere il libro più amichevole anche nei confronti di lettori dislessici o riluttanti.

Il bruco Misuratutto

Quella del Bruco Misuratutto non è forse una delle storie più note di Leo Lionni ma, al pari delle altre, porta la grazia inconfondibile del papà di Piccolo blu e piccolo giallo. Il protagonista è un bruco astuto che per sfuggire alle grinfie degli uccelli decisi a papparselo, fa valere una sua qualità più unica che rara: la capacità di misurare qualunque cosa. E così, un po’ per vanto e un po’ per curiosità, il pettirosso, il fenicottero, il pappagallo, l’airone, il fagiano e il colibrì decidono, uno dopo l’altro, di concedergli la libertà in cambio di una misurazione: chi del collo, chi delle ali, chi della coda. Con l’usignolo, però, la faccenda si fa più complessa: l’uccello sfida, infatti, il bruco a misurare il suo canto. Il bruco sembrerebbe a questo punto spacciato ma anche questa volta, con un’idea semplice ma brillante, riesce a mettere in salvo la pelle.  Perché si sa, l’ingegno vince sempre sulla prepotente vanità…

Sempre in catalogo per Babalibri, Il Bruco Misuratutto è reso ora disponibile in una versione in simboli da Officina Babùk. Quest’ultima preserva in maniera ottimale le illustrazioni di Lionni e ne mantiene pressoché intatto il testo, fatto salvo per qualche aggiustamento nell’ordine sintattico: qui il soggetto precede, infatti, sempre il verbo e il personaggio che parla viene sempre introdotto prima del discorso diretto. Tali modifiche non compromettono, di fatto, la musicalità del testo ma incidono in maniera significativa sulla sua comprensibilità, soprattutto nei confronti di giovani lettori con difficoltà comunicative. Come tutti i titoli di Officina Babùk, anche Il Bruco Misuratutto opta per lo stampato maiuscolo, così da agevolare gli apprendisti lettori, e predilige l’uso di simboli WLS, particolarmente adatti a supportare visivamente dei testi letterari. I riquadri che racchiudono i simboli, dal canto loro, appaiono apprezzabilmente fini così da risultare visibili ma non invasivi dal punto di vista grafico. Essi sfruttano, inoltre, stondature e bordi a punta per sottolineare la fine dei periodi e gli estremi dei discorsi diretti.

Il lavoro fatto da Enza Crivelli e Sante Bandirali in fase di simbolizzazione rende, poi, questa versione de Il Bruco Misuratutto particolarmente interessante. Quello che viene, infatti, prediletto nella scelta e nella composizione dei simboli è la loro comprensibilità. Più elementi testuali (come articolo e sostantivo o verbo e pronome) vengono, per esempio, accostati a un unico simbolo. Inoltre, nel momento in cui vengono citate le parti del corpo degli uccelli misurate dal bruco, il simbolo riproduce il corpo intero dell’animale in questione ed evidenzia con una freccia e uno riempimento cromatico la parte coinvolta. Certo, quei simboli non saranno magari quelli abitualmente impiegati dai bambini per indicare il collo, la coda o il becco di un generico animali ma sono senz’altro molto efficaci per permettergli di capire a cosa il testo faccia riferimento. Una scelta, questa, che va in maniera netta nella direzione di far dialogare fruttuosamente parole e illustrazioni e di trasformare la lettura in un’esperienza di partecipazione piena.

Dillo!

Dillo! di Teresa Porcella e Gusti è stato una vera sorpresa. Il libro ci ha infatti inizialmente attratto per la possibilità di diversificare le modalità di fruizione della storia (tramite versione cartacea e versione digitale multilingue), e ci ha poi definitivamente conquistato per le potenzialità inclusive insite nella sua costruzione narrativa. Doppio bingo, insomma!

Ma andiamo con ordine. Dillo! fa parte della recente collana MuMu di Telos che offre una duplice esperienza di lettura: in formato cartaceo e in formato digitale. Quest’ultimo, attivabile tramite scansione di QR code, propone le medesime illustrazione del primo arricchite da una minima animazione e la medesima scansione in pagine. Rispetto al cartaceo, però, consente di visualizzare e ascoltare il testo in 4 lingue diverse: italiano, inglese, russo e cinese. Selezionando la lingua preferita con un click sul mappamondo che compare in alto a sinistra, è possibile cambiare infatti sia la lingua del testo scritto sia quella dell’audio ad esso associato. Già solo in questo modo, il libro permette di raggiungere facilmente un’ampia gamma di lettori potenzialmente più fragili: quelli che non padroneggiano l’italiano (e può essere il caso dei destinatari ultimi del libro, ossia i bambini, ma anche dei mediatori che desiderano condividere con questi ultimi la lettura) e quelli che prediligono l’ascolto alla decifrazione del testo scritto. Inoltre, optando per una soluzione ibrida, Dillo! riesce a tenere insieme i benefici di un’esperienza di lettura tangibile e fisicamente esperibile tramite il libro di carta e i vantaggi in termini di personalizzazione che solo la tecnologia può garantire.

Veniamo al contenuto. Il libro – un cartonato robusto e quadrato – racconta di un gatto birichino che si ostina a rubare al suo padrone oggetti di uso quotidiano: calzini, berretti, guanti e zollette di zucchero. Tutto lascerebbe pensare a una strategia antifreddo ma una gustosa sorpresa aspetta il lettore all’ultima pagina! La struttura del libro è efficacemente iterata, sia nelle scansione (l’umano rimprovera il gatto per il furto – il gatto si interroga sulle affermazioni dell’umano) sia nella costruzione delle frasi. Questo fa sì che il racconto, già di per sé minimale e su misura per lettori alle prime armi, possa essere più facilmente compreso e fatto proprio, oltre che gioiosamente anticipato e condiviso in una lettura ad alta voce. Teresa Porcella offre infatti al mediatore un testo perfetto da interpretare insieme e capace di tenere desta l’attenzione anche di chi è meno abituato alla lettura. Le illustrazioni di Gusti, dal canto loro, sono un’esplosione di colore che solletica l’occhio e sottolinea il tono scanzonato del racconto, pur senza distrarre o confondere. Il tratto dell’autore argentino è infatti essenziale e pulito, concorrendo in maniera determinante ad accompagnare il lettore in un’esperienza di lettura spassosa, piena e appagante.

Contare sulle dita

Del talento di Claire Dé nel coniugare riconoscibilità delle immagini e moltiplicazione dei sentieri interpretativi attraverso la fotografia avevamo già detto, raccontando lo splendido Imagine… c’est tout blanc. Quello stesso talento lo ritroviamo ora all’interno di Contare sulle dita, un progetto editoriale che per fortuna, a differenza del precedente, è arrivato ora anche in Italia. Lo ha portato Editoriale Scienza che sta dedicando particolare attenzione a una promettente valorizzazione di titoli fotografici.

Contare sulle dita, dal canto suo, è un libro ibrido, multiforme, difficile da incasellare. È un libro per contare? È un libro per guardare? È un libro per creare collegamenti tra le cose? Sì, sì e sì, è in effetti tutte e tre queste cose, e probabilmente non solo. Ogni doppia pagina di questo robusto cartonato di formato quadrato, propone due fotografie (in una manciata di casi, una sola fotografia che occupa l’intero spazio) nitidissime e dai colori attraenti, associate a un numero o una semplice addizione che interpreta matematicamente gli elementi che la compongono. Più difficile a dirsi che a vedersi, in effetti! Qualche esempio può forse venirci in soccorso: un sasso a sinistra, una conchiglia a destra, la scritta “1”; due insetti a sinistra, due foglie a destra, la scritta “1+1 = 2”; tre coleotteri grandi e uno piccolo a sinistra, quattro foglie a destra, la scritta “3+1 = 4”; quattro foglie gialle e una rossa a sinistra, tre sassi gialli e due rossi a destra, la scritta “4+1 = 3+2” e via dicendo…

Descritto a parole, potrebbe sembrare un libro semplice semplice, che facilmente può esaurire l’interesse. Bene, la verità è che questo libro è l’esatto contrario! Contare sulle dita sottende, infatti, un’architettura raffinatissima, all’interno della quale crescono non solo i numeri ma anche la complessità dei soggetti e delle operazioni matematiche ad essi correlate e soprattutto all’interno della quale tutto, ma proprio tutto, chiede di essere letto: i colori con cui sono scritti i diversi numeri, la loro posizione sulla pagina, i richiami cromatici tra fotografie affiancate, gli sfondi, le luci i giochi di vuoti e pieni, di proporzioni e di contrasti. Di fronte a questo libro risulta, infatti, davvero difficile ostinarsi a ritenere la lettura visiva una lettura di serie B!

Lo sguardo e l’intelletto del bambino, non necessariamente piccolo (anzi!), sono sollecitati senza posa, invitati a cogliere nessi ed equivalenze, a godere di composizioni esteticamente meravigliose, a scoprire che la matematica è intrinsecamente custodita in ogni cosa del mondo, a riconoscere figure, colori e tesori della natura. A fare tutte queste cose o farne anche solo una: e questo è proprio il bello, anche in termini di potenzialità inclusive. In un libro piccolo come questo sono pronti a dipanarsi innumerevoli possibilità di letture e altrettanti percorsi didattici, in cui scienza e poesia possono viaggiare a braccetto.

I libri del topolino – Il vento

Di topini è pieno zeppo il mondo letterario che guarda all’infanzia. Quelli di Monique Felix, però, sono topini davvero speciali. Le loro avventure, già amate da intere generazioni di giovani lettori e ora fortunatamente riportate sugli scaffali da Camelozampa, sono, infatti sorprendentemente deliziose e si sviluppano sempre a cavallo tra dimensione narrativa e metanarrativa.

Qui si trova sempre, infatti, un piccolo roditore che rosicchia la pagina del volume in cui si trova immerso, svelando un mondo sottostante con il quale finisce per confrontarsi. La pagina diventa ogni volta, cioè, una soglia che separa il protagonista (e con lui il lettore) da un mondo altro e inatteso ma anche un oggetto di scena con cui questi interagisce e si destreggia, per poter esplorare e infine uscire indenne dal mondo che di volta in volta va svelando.

Così, per esempio, ne Il vento, il topolino sembra dapprima guardarsi intorno smarrito, come se si trovasse in trappola circondato del bianco disorientante della pagina. Poi, però, il bordo di carta appena mordicchiato lascia intravedere qualcosa subito sotto e la curiosità si fa irresistibile. Topino rosicchia e rosicchia ma non fa in tempo a strappare l’intero perimetro della pagina che questa si stacca e lo spinge con forza: quella che si agitava lì sotto era una tempesta di prim’ordine con tanto di vento impetuoso, fiocchi di neve e piume svolazzanti. Topino si nasconde dapprima dalle grinfie di un’aquila, studia rapito il movimento di un aeroplano e si adopera infine per mettere in opera un semplice ma efficace piano cartotecnico: ecco, infatti, che la pagina strappata si fa girandola. Topino è decisamente pronto per buttarsi a capofitto in quel mondo fatto di colori, oggetti e avventure tutti da scoprire.

Impeccabile nel formato (piccolo e quadrato) e nella composizione (essenziale e sempre in equilibrio tra i diversi piani narrativi), Il vento offre ai lettori più giovani, idealmente di età prescolare ma anche dei primi anni di scuola primaria, una gustosa e minima avventura letteraria, tutta raccontata senza far uso di parole scritte. Il tratto dell’autrice è realistico ed efficace nella resa di movimenti ed emozioni. Non cede inoltre alla tentazione di inserire dettagli superflui. Una volta compreso il meccanismo narrativo che gioca con la pagina e che crea una gustosa e non banale sfida interpretativa, il lettore può dunque seguire con discreto agio le silenziose e ingegnose avventure del protagonista.

Quello incontrato de Il vento appare a tutti gli effetti come un format originale che l’autrice riprende e sviluppa con esiti sempre diversi in una vera e propria serie. La potenziale difficoltà di comprensione data dall’incontro tra piano narrativo e piano metanarrativo può venir dunque mitigata, sul lungo periodo, dalla regolarità della struttura narrativa che caratterizza e accomuna i differenti volumi. Contemporaneamente a Il vento, Camelozampa ha pubblicato anche La merenda. La speranza è che anche gli altri volumi della serie possano presto trovare posto sugli scaffali delle nostre librerie.

Grande gatto, piccolo gatto

Vivace, giocoso, attraente: il libro Grande gatto & Piccolo gatto ha tratti decisamente affini ai due protagonisti che lo animano. I due micini al centro del libro tattile ideato da Stefania Pessina sono infatti inarrestabili e amano muoversi, esplorare e scoprire ciò che li circonda, senza preoccuparsi troppo dei guai che questo potrebbe portare con sé.

Il lettore è invitato dapprima a trovarli, aprendo la porta della loro casetta, e a conoscerli, esplorandone il pelo. Da lì in avanti è tutto un seguirli sul cornicione e sotto il tavolo, dietro la tenda e lungo il muro. Le loro tracce – impronte in rilievo, graffi sulla parete, campanellini smarriti… – sono chiare ed eloquenti, al tatto, alla vista e all’udito. Lasciandosi guidare da esse, si incontrano sulla pagina ambienti e oggetti di facile esplorazione, che delineano un percorso accattivante.

Se il testo di Grande gatto & Piccolo gatto non appare particolarmente sorprendente e sfrutta rime abbastanza basiche, le illustrazioni risultano, invece, piuttosto ben congegnate. Non solo, infatti, esse si caratterizzano per una apprezzabile semplicità compositiva che ne agevola il riconoscimento, ma il fatto che con esse possano interagire i due protagonisti, staccabili dalla prima pagina, le rende anche dei veri e propri scenari di gioco.

Il libro di Stefania Pessina diventa così un strumento efficace e stimolante per incontrare il Braille, per sperimentare semplici concetti topologici e per vivere la pagina come un’occasione di invenzione e narrazione. Non a caso, nel 2019, il prototipo di Grande Gatto e Piccolo gatto è stato insignito del premio come Miglior libro per la primissima infanzia al Concorso Nazionale di Editoria Tattile Tocca a te. Quello stesso prototipo è stato trasformato dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi in un vero e proprio libro tattile, distribuito gratuitamente in centinaia di copie a biblioteche, enti e associazioni del territorio nazionale, grazie al contributo di Enel cuore.

Il ristorante nel bosco

Il ristorante della pecora Gloria è sempre pieno: la sua inimitabile zuppa attira clienti da tutto il bosco e viene servita da un team specialissimo di camerieri. Difficile dire cosa renda quest’esperienza culinaria così irresistibile, quel che è certo è che mettere piede nella cucina di Gloria garantisce al lettore gustose sorprese e ghiotti sorrisi.

Scritto e illustrato da Alessandra Ciarmela con tocco deliziosamente ironico, Il ristorante nel bosco offre ai lettori alle primissime armi una lettura semplice, abbordabile e accattivante. Il testo, stampato in maiuscolo e con caratteristiche di alta leggibilità, è essenziale e breve ma tutt’altro che sciapo. Le illustrazioni, dal canto loro, sono buffe e non prive di dettagli curiosi. Corredato, in chiusura, da alcuni giochi e approfondimenti divulgativi collegati alla storia, Il ristorante nel bosco fa parte di una collana caratterizzata dalla possibilità di fruire del racconto anche in modalità audio, grazie alla presenza di un semplice qr code che rimanda alla lettura ad alta voce del testo.

Da un punto di vista squisitamente inclusivo, Il ristorante del bosco ha un doppio punto di forza. Non solo, infatti, il libro risulta accessibile, grazie ad accorgimenti grafici che rendono la pagina più amichevole e alla presenza dell’audiolettura che diversifica i canali di fruizione, ma affronta anche in maniera molto delicata e leggera il tema della diversità. I camerieri impiegati nel ristorante di Gloria, infatti, hanno tutti bisogno di un piccolo aiuto da parte della titolare per svolgere al meglio il loro lavoro e, non di rado, richiedono ai clienti una certa pazienza perché, per natura, portano a termine il loro compito con una discreta lentezza e con qualche pasticcio di troppo. Ciononostante, i clienti continuano a tornare con un amichevole sorriso in viso… il miglior esempio di apertura e accoglienza che si possa offrire a un lettore!

Un lavoro facile facile

Ha un font amichevole, una spaziatura maggiore, un’impaginazione ariosa, una carta color crema e una sbandieratura a destra. Insomma, Un lavoro facile facile è inequivocabilmente un libro ad alta leggibilità e, come tale, ha una marcia in più nella difficile sfida di accogliere anche i lettori meno forti, più riluttanti o con maggiori difficoltà di decifrazione testuale. Ciò che però trasforma quella marcia in più in un vero e proprio motore rombante è una storia breve, diretta e divertente.

Davide Calì, espertissimo narratore, confeziona infatti un racconto perfetto per un pubblico di preadolescenti, mettendo in scena quattro giovani scapestrati che animano un’avventura piccola ma gustosissima, puntellata da trovate sorprendenti e battute acute. Nella fallimentare impresa di Wassim e Borek, che progettano di fare i soldi addormentando il rinoceronte dello zoo e rubandogli il corno, c’è infatti una corposa dose di imprevisti e di ironia, ben stipata nello spazio di manciata di pagine (meno di 50, per intenderci).

Ecco, un’educazione alla lettura davvero democratica, che non lasci indietro i lettori più fragili, passa anche da proposte come queste: letture valide e appetibili ma al contempo consapevoli che leggerezza e brevità possono essere qualità preziosa e talvolta imprescindibili anche dopo che i bambini hanno imparato a leggere o stanno diventando grandi.

Uno e sette

Diritto alla lettura – lo sottolineiamo spesso – significa tra le altre cose diritto a condividere con i pari non solo conoscenze ma anche immaginari. Significa disporre di un bagaglio di storie, parole e figure che nutrono l’immaginazione di chi legge e che permeano il suo modo di conoscere e riconoscere il mondo, rendendolo capace di dialogare con quello di chi gli sta intorno. In quest’ottica, pensare che il lavoro di un maestro come Gianni Rodari possa risultare inaccessibile per qualcuno è fondamentalmente inaccettabile. Per questo l’iniziativa de La leggeria, che ha realizzato una meravigliosa versione tattile del racconto Uno e sette, originariamente inserito tra le Favole al telefono, è meritevole e apprezzabile. E lo è non solo per l’intento ma anche per la resa.

La versione tattile messa a punto da Ilaria e Lucia Macchiarini, infatti, è curata nei minimi dettagli, offrendo un’opportunità di lettura non solo fruibile da parte di lettori sia vedenti sia non vedenti ma anche godibile da un punto di vista estetico, qualunque sia il senso prevalente che un lettore usi. Questo speciale Uno e sette presenta, infatti, ampie pagine di stoffa grigia su cui spiccano testi in nero e Braille perfettamente inseriti all’interno di riquadri cuciti, e illustrazioni minimali di stampo simbolico. E qui risiede, forse, davvero il genio creativo delle autrici: nel trovare una chiave essenziale ed efficace per rendere a pieno lo spirito del racconto di Gianni Rodari senza compromettere l’accessibilità delle figure

Paolo, Jean, Kurt, Juri, Jimmy, Ciù e Pablo, i bambini protagonisti della storia, sono rappresentati, infatti, attraverso l’intelligente ed espressiva combinazione di diversi tipi di fili e bottoni. Niente di più, niente di meno. Questa scelta, dal canto suo, consente di rendere efficacemente la peculiarità di ciascun personaggio ma anche la sua somiglianza con tutti gli altri. Troviamo, così, sulla pagina bottoni di materiali, forme, dimensioni differenti che rappresentano in maniera non figurativa i singoli individui e che, uniti a fili di cotone, metallo e plastica, animano strade, pentagrammi, biciclette e campi fioriti… potere del pensiero che sa uscire dagli schemi!

Il mistero del cucciolo scomparso

Nella famiglia di Martina, non ci sono molti soldi e nemmeno molte manifestazioni d’affetto. Martina, che del libro di Petra Soukupova è protagonista e narratrice, manifesta insofferenza nei confronti di entrambe le mancanze, ma impara a nasconderla sotto una scorza dura e a tratti respingente, la stessa che poi porta con sé anche al di fuori delle mura di casa. A scuola, per esempio, dove la ragazzina – unica della classe senza device tecnologici – si sente spesso un pesce fuor d’acqua e fatica a trovare amici sinceri. Anche per questo, forse, ciò che desidera sopra ogni altra cosa è un cane: un amico fedele come lo era stato il suo vecchio Zampa.

E così, quando i genitori le permettono, non senza sbuffi, di adottare un cane, Martina stenta a crederci. La sua scelta ricade su Fiocco di neve, un cagnone candido che fin da subito rivela il suo carattere selvatico e indomabile. Sordo, letteralmente, a ogni insegnamento, Zampa si caccia sovente nei guai, contribuendo a suo modo a incrinare ulteriormente la solitudine della ragazzina. Fiocco di neve si rende spesso protagonista di fughe e morsi, fino a quando, in uno straziante colpo di scena, viene trovato morto. La sua morte  diventa a tutti gli effetti uno spartiacque: c’è un prima e c’è un dopo, ci sono quelli che aiutano Martina a scoprire il colpevole e quelli che invece gioiscono per quella scomparsa, ci sono i sospettati e ci sono gli alleati. Le indagini per la risoluzione del mistero della morte di Fiocco di neve vedono coinvolta non solo Martina ma anche alcuni suoi amici e, a vario titolo, diversi abitanti del paesino in cui tutti loro vivono. La ricerca della verità diventerà per la protagonista un modo per esorcizzare la morte, per scandagliare le emozioni che la attraversano e per esplorare relazioni tra pari multisfaccettate e complesse. Fino alla risoluzione del mistero, che assume dal canto suo la forma di una vera e propria catarsi.

Il romanzo di Petra Soukupova è schietto e a tratti crudo, grazie a una scrittura tagliente che lascia poco spazio a fronzoli e ricami sentimentali. Il lettore è catapultato fino al collo in una vicenda in cui bene e male non sono mai netti e in cui le emozioni si mescolano e si intrecciano, restituendo una visione dei fatti e del mondo che non è mai semplice o scontata. Che poi è quello che succede nella realtà.

Avvincente e fuori dagli schemi, Il mistero del cucciolo scomparso è pubblicato in Italia da Beisler che lo propone nella sua ormai collaudata collana leggieascolta. I libri che ne fanno parte si caratterizzano per la presenza di un qr code che consente di fruire dell’audiolettura tramite un’apposita app, scaricabile gratuitamente sia per Android sia per Ios. La possibilità di godere del testo sia tramite lettura sia tramite ascolto rappresenta, dal canto suo, un’opportunità importante offerta dall’editore perché moltiplica i canali di fruizione della narrazione, facilitando il libero movimento del lettore tra le parole. Un accorgimento fondamentale per quei lettori che in ragione di una disabilità o un disturbo specifico dell’apprendimento si trovano spersi di fronte a un fitto testo scritto ma anche per quei lettori che, più semplicemente, prediligono l’immersione in una storia tramite l’ascolto.

Il tasso blu

Tormentato da dubbi esistenziali – Bianco e nero, nero e bianco. Chi sono io? – il tasso protagonista di quest’albo illustrato percorre molti chilometri alla ricerca di qualche risposta. Ogni animale con cui condivide i suoi interrogativi non sa in realtà dargli una risposta ma a sua volta chiede un aiuto – chi per liberarsi da un impiccio, chi per giocare, chi per sentirsi rincuorato – e Tasso non manca mai di rendersi disponibile. Così, quando incontra Pinguino che come lui è sia bianco sia nero, non solo trova la risposta che cercava ma scopre molto di più: che la gentilezza conta e si nota di più di molte sfumature.

Contraddistinto da un bel gioco di contrasti cromatici, da dialoghi velatamente surreali e da un finale buffo che fa sorridere, Il tasso blu è un albo illustrato apprezzabile anche per un altro aspetto: come gli altri volumi che fanno parte della collana Upupa dell’editore La linea, anche il libro di Huw Lewis Jones e Ben Sanders presta grande attenzione alla questione dell’accessibilità.

Il libro presenta, infatti, un testo bilingue – italiano e inglese – e soprattutto dispone di un qr code sulla quarta di copertina attraverso il quale accedere all’audiolettura, anch’essa bilingue, del testo. Un espediente semplice ma efficace per facilitare la comprensione e il piacere della lettura, anche da parte di bambini con difficoltà di visione o decifrazione testuale, di bambini in età prescolare e/o di bambini che padroneggiano l’inglese meglio della lingua Italiana.

Pio pio bau bau

Tratto essenziale, figure evidenti, colori pieni, contorni netti: la cifra di Attilio Cassinelli è inconfondibile, tanto nelle sue fiabe illustrate quanto nei suoi libri senza parole o onomatopeici. Pio pio bau bau rientra in questa seconda categoria. Il libro, che fa parte di una collana di quattro titoli intitolata I senza parole di Attilio, presenta un formato che si sviluppa in orizzontale, perfetto per mettere in valore il lungo cammino del suo protagonista: un pulcino intraprendente che supera il recinto del pollaio per avventurarsi nei dintorni, prima di fare ritorno dai suoi cari. Il suo è un viaggio ricco di incontri: una capra, un cane, varie rane e cornacchie incrociano il suo cammino e a ogni tappa il pulcino impara un verso diverso che si esercita a replicare. Grande è lo stupore di mamma chioccia nel sentirlo belare, abbaiare, gracidare e gracchiare. Basta, però, il pigolio dei fratelli per far ritrovare al pulcino la strada e i suoni di casa…

Attilio, maestro nel raccontare storie in maniera chiara con pochissimi tratti ben scelti, rende perfettamente il senso di marcia del protagonista e dell’interazione con i suoi interlocutori. Lineare nello sviluppo, pulito nella composizione e sempre attento a non affollare la pagina con un numero troppo elevato di personaggi, Pio pio bau bau procede per sole immagini e onomatopee, risultando molto immediato e fruibile anche a bambini piccoli o con difficoltà di comprensione e aggancio a testi più articolati.

Lo sbadiglio

È possibile raccontare una storia – o, addirittura, la Storia – con un solo suono? A leggere Lo sbadiglio di Ilan Brenman e Renato Moriconi si direbbe proprio di sì! Questo libro (quasi) senza parole, che nasce sulla scia di Telefono senza fili, mette infatti in successione rigorosamente cronologica e profondamente ironica una serie di personaggi – dall’ominide all’astronauta, passando attraverso il faraone egizio, il guerriero vichingo e Napoleone – e li collega attraverso un filo narrativo inaspettato: lo sbadiglio, per l’appunto. A ben pensarci, in effetti, tante cose sono cambiate nel tempo ma tutti (proprio tutti) gli uomini e le donne della storia hanno senz’altro provato e manifestato noia e sonnolenza. Ecco allora che un sonoro Oooohhhh (con un numero di o e di h variabile), attraversa i secoli e le pagine di questo libro invitando irresistibilmente il lettore a interpretarlo alla maniera dei diversi personaggi ritratti. Eva, una statua greca e Charlie Chaplin sbadiglieranno mica alla stessa maniera?

Lo sbadiglia si presenta come un libro molto accessibile e altrettanto stratificato. È accessibile perché l’unica parola di cui fa uso è un’onomatopea, perché segue un filo cronologico chiaro, perché si compone di illustrazioni ampie e riconoscibili e perché ogni pagina presenta un solo personaggio alla volta. È stratificato perché può essere letto in tanti modi, perché le sue tavole possono essere godute anche singolarmente e perché alla rappresentazione in primo piano, realistica e apparentemente seria, Renato Moriconi aggiunge degli imprevisti dettagli di sfondo che generano spasso, straniamento, inferenza e invito alla lettura minuziosa: il cartello di divieto di sosta vicino all’albero di mele del paradiso, la sfinge con le orecchie da Topolino, un greco munito di fionda a fianco ad Icaro che precipita, ma anche Cappuccetto rosso insieme alla lupa di Romolo e Remo o il Bianconiglio e gli orologi di Dalì dietro l’inventore della relatività.

Difficile dire che la Storia è noiosa, di fronte a una rappresentazione di questo tipo. Reale e fantastico, passato e futuro scompigliano infatti le carte e creano percorsi inattesi, ricchi di citazioni tutte da scoprire. Che bello sarebbe fare didattica a partire da libri così?

Una casa per Fiammetta – versione tattile

Fiammetta nasce da un vulcano durante un’eruzione. È una fiamma curiosa e per questo decide di andare per il mondo a cercare una nuova casa. L’impresa è però meno semplice del previsto perché, data la natura della protagonista, né il bosco né le case si rivelano essere buone opzioni. Il rischio incendio è, infatti, sempre dietro l’angolo. La soluzione arriverà inaspettata grazie all’incontro con un fornaio il cui forno non ha mai funzionato. Non sarà difficile immaginare dove Fiammetta possa felicemente trovare, infine, la sua nuova dimora…

Molto piano ed elementare nello sviluppo narrativo e nella costruzione del testo in rima, Una casa per Fiammetta è il libro che ha vinto il premio Editabilità all’interno del concorso di editoria tattile Typhlo e Tactus 2022. Questa sezione del concorso riconosce e valorizza, in particolare, quei prototipi che risultano più facilmente riproducibili e dunque capaci di essere realizzati con costi più bassi e diffusi in molteplici copie. L’obiettivo è quello di sostenere concretamente la diffusione dei libri tattili: un processo che, evidentemente, non può prescindere da una riflessione sui prezzi e sui meccanismi di distribuzione tipici di questo settore editoriale.

Dal prototipo originale firmato da Claudia e Andrea Sorrenti è nato un libro tattile vero e proprio realizzato dalla Fondazione Robert Hollman e dall’Associazione Fiori blu, con testo stampato in nero e in Braille e parte delle illustrazioni fruibili anche al tatto. La casa Editrice Puntidivista, dal canto suo, ne ha messa a punto una versione sempre tattile ma ulteriormente lavorata per abbattere il più possibile i costi di produzione. Le differenze tra questo volume e l’originale concernono più che altro l’inserimento del Braille tramite l’applicazione di un cartoncino (e dunque non tramite stampa diretta sulle pagine e sulla copertina), la colorazione di alcuni elementi (variopinti nell’originale, tinta legno in questa versione) e la scelta dei materiali con cui questi sono riprodotti. Non si tratta dunque di differenze enormi ed è di fatto apprezzabile il tentativo della casa editrice di dissimulare l’effetto meno raffinato del cartoncino con il Braille applicato sulla pagina con un lavoro sul colore di sfondo e di nascondere la spirale con una copertina cartonata vera e propria.

Della medesima storia di Fiammetta, la casa editrice Puntidivista propone anche una versione in simboli.

Yipo

Il fascino che le creature buffe esercitano sui piccolini è fuor di dubbio. Se poi quelle creature portano il segno riconoscibile e vivace dell’artista messicano Juan Gedovius, è facile che l’attrazione si faccia ancora più forte. Con le loro sagome bitorzolute, i loro occhi tondi e la loro mostruosità amichevole, le sue figure generano infatti un’immediata simpatia che favorisce l’affezionamento e incentiva la scoperta.

Tutto fuorché sterili esercizi di disegno, le figure di Gedovius animano infatti piccole e significative narrazioni in cui la varietà dei soggetti si fa motore del racconto. Si prendano ad esempio i protagonisti di Yipo, leporello cartonato che mette in scena un’improbabile cordata di piccoli e grandi esseri mostruosi. Ciascuno di loro presenta una conformazione e alcune peculiarità fisiche che ne condizionano la presenza sulla pagina e la relazione con gli altri personaggi. Così, il vermone sinuoso si fa trainare poggiando ognuna delle sue gobbe su di un mezzo con le ruote e tira con la sua coda la lumaca sul monociclo; il mostriciattolo più paffuto e piccino salta la corda, mentre quello che ricorda un pipistrello se ne sta comodamente appeso a testa in giù. E via dicendo… Quello che si viene a creare è una sorta di lungo piano sequenza che scorre sotto gli occhi del lettore in cui il semplice avanzare diventa occasione di invenzione, sorpresa e divertimento.

Costruito in modo da proseguire fronte e retro, senza un vero inizio e senza una vera fine, Yipo fa di un comune filo di lana azzurra il filo conduttore lungo il quale si manifesta la sgangherata combriccola. Chi siano, dove vadano, che intenzioni abbiano i suoi membri è tutto la inventare: l’autore lascia infatti le figure libere dalle parole, incentivando così una certa libertà di lettura, sia nelle modalità di approccio al libro sia nei percorsi di interpretazione.

Non cancellarmi

Il diritto al gioco, il diritto al cibo, il diritto a una casa, il diritto a un ambiente familiare sereno, il diritto ai sogni… quante cose cancella la guerra ai danni dei bambini? Angelo Ruta prova a esplorare questo tema delicato attraverso le pagine di un albo totalmente privo di parole e di grande impatto simbolico.

Il suo Non cancellarmi, nato dalla collaborazione tra Carthusia e l’associazione culturale U-mani-tà, mostra  due bambini all’interno di normalissime situazioni quotidiane – in cortile, al parco, in casa, a tavola… – rappresentando in bianco e con i contorni tratteggiati tutti quegli elementi quotidiani che una situazione di deprivazione può portare via. Così dello scivolo non resta che la scaletta, della casa una porta, del pasto la tavola vuota e via dicendo. Certo, la resilienza è qualità principe dei bambini che infatti provano a sopperire alle mancanze e a ricucire i danni con l’ingegno e la fantasia, ma a quale prezzo?

L’espediente del tratteggio trovato dall’autore è molto efficace perché riesce a dire in maniera eloquente ed evocativa una realtà scomoda e complessa. Il contesto della guerra, dal canto suo, è citato in quarta di copertina ma non risulta di fatto evidente all’interno del libro: aspetto questo che rende la lettura particolarmente versatile e adatta più in generale a un lavoro sui diritti dei bambini.

Piantala

Piantala! è una storia di scontro e di riavvicinamento tra l’uomo e la natura. All’inizio del libro incontriamo infatti un uomo munito di sega che con metodo abbatte, uno dopo l’altro, gli alberi di un bosco. Il paesaggio si fa sempre più desolato ma gli animali che lo popolano non ci stanno e a turno mettono in atto la loro personale vendetta. Così, se prima sono cacche che cadono dagli uccelli in volo, poi sono pigne scagliate dagli scoiattoli e punture di api e infine sono minacce ringhiose di lupo. Impaurito, l’uomo di rifugia sull’unico albero rimasto e qui rimane fino al calare della sera. Sarà allora che il valore di fusti e chiome gli sarà finalmente chiaro e che il suo atteggiamento nei confronti della natura cambierà di segno, a tutto vantaggio degli animali così come suo.

Finalista del Silent Book Contest 2023, l’albo senza parole di Alessia Roselli riesce a tenere insieme in maniera puntualissima atmosfera elegiaca e tocchi ironici. Il suo è un tratto molto particolare in cui dettagli netti si stagliano su paesaggi sfumati. I toni caldi dell’ocra che dominano la pagina, in particolare, facilitano la messa in evidenza dei dettagli più scuri con cui si delineano le sagome degli animali coinvolti. Il risultato è un racconto per immagini dalla composizione raffinata ma dallo sviluppo chiaro e dalla comprensione agevole che ben si presta ad essere goduto tanto in lettura autonoma quanto in lettura condivisa.

No, no e poi no!

Il primo giorno di scuola è impegnativo per tutti. Per qualcuno, però, lo è un po’ di più. Marco, per esempio, reagisce all’idea di lasciare la sua mamma e di ritrovarsi in un posto nuovo con compagni sconosciuti con una sfilza di secchi e maldisposti “No!”. No andare un bacio di saluto. No ad appendere la giacca. No a farsi guidare nella nuova classe. No a fare un puzzle. No a una caramella offerta… le cose sembrano mettersi male, ma la caparbietà dei bambini e l’esperienza della maestra sanno fare miracoli. Ecco allora che, a volte, i no possono restare, assumendo però tutto un altro valore!

Firmato da Mireille D’Allancé nei testi come nelle figure, No, no e poi no! è in catalogo per Babalibri da oltre 10 anni. Ora, per iniziativa di Officina Babùk, l’albo si sdoppia e viene proposto al pubblico anche in una versione in simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, che non sostituisce ma si affianca alla precedente. Contraddistinta da testi in maiuscolo rinforzati visivamente dai simboli WLS, questa nuova versione si presta a facilitare la condivisione della storia e la sua comprensione anche da parte di bambini con difficoltà comunicative e linguistiche. Analogamente, la presenza di icone associate ai lemmi e la scelta del maiuscolo fanno sì che i bambini in età prescolare o in procinto di approcciare la letto-scrittura possano trovare un supporto più amichevole anche in un’ottica di fruizione autonoma del volume.

Il testo di No, no e poi no! presenta perlopiù frasi brevi, lineari e paratattiche così come dialoghi esplicitamente attribuiti: caratteristiche, queste, che lo rendono di per sé più facilmente simbolizzabile di altri. Le uniche modifiche apportate rispetto all’originale, non a caso, sono minime e riguardano l’ordine soggetto-verbo in alcune frasi. Al fine di agevolare la profonda comprensione del testo e della sua struttura, il libro predilige una simbolizzazione per unità di senso (articolo e sostantivo corrispondono per esempio a un solo simbolo e lo stesso accade per espressioni come mi dai un bacio) e ricorre a una riquadratura “eloquente” i cui bordi lisci, stondati o a punta indicano rispettivamente l’inizio e la fine di passaggio narrativo e l’inizio e la fine di un discorso diretto.

Il cappello di Topolina

In catalogo per Bohem press dal 2016, Il cappello di Topolina è un minuscolo libro senza parole che custodisce una storia genuina di amicizia e resilienza. Protagonista è una topolina munita di un elegante copricapo rosso fiammante corredato di un bel fiore blu. Quel cappello piace davvero a tutti e la topolina, molto generosamente, lo presta senza indugio. Il cappello passa così di testa in testa, adattandosi di volta in volta alle antenne della lumaca, alla cresta del gallo, alle corna dell’alce, al testone dell’elefante e alle orecchie dalle variegate forme del gatto, del coniglio, del lupo e dell’orso. Così, quando Topolina torna in possesso del suo accessorio, questo appare completamente deformato, pressoché irriconoscibile. Ma oltre a essere generosa, Topolina sa anche trovare il lato positivo delle cose e così, dopo un comprensibile e fugace momento di sconforto, riesce a valorizzare in modo sorprendente le gobbe e i bitorzoli che ormai caratterizzano il copricapo. Ché di fronte agli imprevisti e agli ostacoli della vita, si sa, possiamo rassegnarci oppure metterci comodi per trovare il modo di abitarli.

Essenziale nei contenuti e nella forma, come nello stile di Eric Battut, Il cappello di Topolina è un esempio puntualissimo di silent book di grande accessibilità. La sua forza inclusiva risiede in una struttura iterata, in una pagina pulita e popolata proprio solo dagli elementi funzionali al racconto, nella presenza di un numero fisso e basso (due) di personaggi di volta in volta presenti sulla pagina, in un uso comunicativo e orientante del colore (il rosso del cappello che cambia forma spicca sempre rispetto a tutte le altre figure che compongono le illustrazioni) e in una trama semplice e lineare. I personaggi scelti sono poi piuttosto comuni e riconoscibili e le posture ed espressioni loro attribuite sono dicono silenziosamente desideri e sentimenti. L’unico elemento che può costituire un ostacolo alla comprensione è rappresentato dal vuoto narrativo che separa ogni doppia pagina da quella successiva, quello in cui fondamentalmente chi sta indossando il cappello lo cede a chi glielo ha chiesto e quest’ultimo se lo mette in testa. Una volta esplicitato, per esempio in seno alla lettura condivisa, può diventare tuttavia anch’esso padroneggiabile.

Nel bosco

Se coltivare il pensiero divergente significa, per dirla con Rodari, rompere continuamente gli schemi dell’esperienza, possiamo serenamente affermare che Laura Cattabianchi è una contadina straordinaria. Il suo libro Nel bosco, rompe infatti più di una consuetudine consolidata nell’ambito dell’editoria tattile: quella di offrire al lettore immagini perlopiù figurative, per esempio, ma anche quella di privilegiare materiali molto diversi tra loro e quella di considerare questi ultimi quasi esclusivamente per le sensazioni tattili che possono offrire.

Al contrario, l’autrice sceglie di percorrere strade progettuali decisamente non battute, dando vita a un libro tattile composto perlopiù di immagini astratte, realizzate a partire dalla sola carta e confezionate in modo tale da valorizzarne essenzialmente l’aspetto sonoro. Ogni doppia pagina offre sulla sinistra il testo in nero a grandi caratteri e in Braille e sulla destra un riquadro di carta di tipo diverso ma di dimensione fissa.

Visionario, innovativo e unico nel suo genere, il libro accompagna il lettore a fare una passeggiata nel bosco, invitandolo a prestare attenzione alle piccole sorprese che questo ambiente gli può riservare: il rumore dei passi sulle foglie, l’incontro più o meno ravvicinato con le creature che vivono sugli alberi, l’inciampo in un ramo secco, il volo di un uccello, un soffio di vento, l’arrivo improvviso di un temporale. Fino al rientro a casa, al calduccio, di fronte a un camino scoppiettante e infine nel letto, sotto le coperte. Il testo, di fatto, fa strada come farebbe una guida lungo un sentiero: conduce, cioè, il lettore nel suo percorso nel bosco, alla scoperta dei suoni che lo animano. Ogni avanzamento immaginario è seguito da un’istruzione pratica (gratta la carta, tira le linguette, soffia sulla carta, infila la mano sotto la carta e tamburella con le dita…) che consente al lettore di ricreare l’atmosfera sonora evocata poco prima.

Quello che ne viene fuori è un’esperienza interattiva e immersiva sorprendente, di grande effetto e di grande accessibilità. Sperimentata facendo a meno dell’uso della vista, anche da parte di chi non presenta un deficit visivo, la passeggiata nel bosco di Laura Cattabianchi avvolge il lettore con una moltitudine di stimoli molto evocativi. Il fatto, poi, che questi ultimi nascano dall’incontro tra semplici gesti (sfregare, arrotolare, grattare…) e semplici materiali (cartoncino ondulato, carta velina, carta da pacchi…) ha un che di straordinario e costituisce per il lettore, piccolo o grande che sia, un incentivo irresistibile a indagare ulteriormente le inattese potenzialità sonore di materiali comuni come la carta.

Possono così nascere, con relativa facilità, nuove passeggiate e nuovi percorsi, attraverso i quali mettere alla prova e riscoprire sensi trascurati, lasciarsi sorprendere dalla fisicità degli oggetti quotidiani e ritrovarsi vicini, al di là delle specifiche abilità, nella bellezza dei viaggi immaginari. Non a caso, Nel bosco nasce proprio dalla lunga esperienza di Laura Cattabianchi nella conduzione di laboratori con lettori di ogni età, dedicati all’esplorazione dei suoni custoditi dai materiali più insospettabili. La cura che l’autrice profonde nella scelta dei tipi di carta e dei tipi di movimenti con cui interagirvi al fine di dar vita a suoni davvero efficaci, riconoscibili e significativi, è ammirevole e rara. Essa va, d’altronde, di pari passo con l’attenzione riservata alla confezione del libro come oggetto estetico prima e oltre che come contenuto accessibile: con il suo formato quadrato, le sue spesse pagine marroni che incorniciano i riquadri di carta e la sua predilezione per colori caldi e avvolgenti, Nel bosco incuriosisce e ammalia, infatti, il lettore, offrendo la meritata cornice a quella che sarà per lui un’esperienza sorprendentemente affascinante.

Missione al chiaro di luna

Missione al chiaro di luna di Aleksandra Artymowska è una dimostrazione lampante che nello spazio di poche pagine e senza parole scritte può prendere vita una storia avvincente, compiuta e felicemente accessibile.

Il libro, finalista del Silent Book contest 2023 e pubblicato da Carthusia, è ambientato in una serena notte di campagna e racconta di una bambina intraprendente e capace di compiere un’impresa spericolata. Svegliatasi di soprassalto, la bambina si accorge che qualcosa o qualcuno che dovrebbe stare sotto il suo letto manca all’appello. La sua passione per lo spazio, testimoniata da poster e complementi a tema, le dà l’ispirazione necessaria per avviare ricerche e recupero. A cosa potranno mai servirle, però, quadri, presine, paralumi e grucce? Il lettore è portato a chiederselo e a formulare congetture man mano che la protagonista si accinge a raccattare questi e altri oggetti più stravaganti dalla casa. Ogni cosa trova però un senso nello spettacolare finale che chiude in bellezza questa piccola avventura.

Capaci di incuriosire e al contempo di orientare chi legge, grazie a una scelta oculata degli elementi da inserire nelle tavole e a un uso efficace di colori e ombre. Missione al chiaro di luna offre una lettura lineare e chiara ma tutt’altro che prevedibile che ben si presta anche a condivisioni ad alta voce.

Ti voglio bene, Blu

I temi ambientali fanno spesso capolino all’interno degli albi firmati da Barroux. Ti voglio bene, Blu non fa eccezione: i danni provocati dall’abuso e dalla dispersione della plastica nell’ambiente mettono, infatti, a rischio la vita di Blu, una balena gentile che fa amicizia con il protagonista dell’albo. Intraprendente e socievole, quest’ultimo ha le fattezze di un bambino ma naviga in solitaria con la sua barchetta e conosce Blu durante una tempesta. È proprio la balena a metterlo in salvo dalle onde in quel pericoloso frangente e da quel momento il legame tra i due si fa saldo e forte. Così, quando un giorno Blu non si presenta al consueto appuntamento e non risponde ai richiami del bambino, quest’ultimo si tuffa a cercarla e la scopre afflitta dall’ingestione di corpose quantità di sacchetti. Con pazienza e dedizione il bambino riesce a liberarla da questo fardello, riportandola al sorriso e alla voglia di scherzare insieme.

Già in catalogo per Babalibri, Ti voglio bene, Blu è ora proposto da Officina Babùk in una versione alternativa in cui le illustrazioni e l’impianto grafico sono mantenuti intatti ma il testo è supportato visivamente dai simboli. L’obiettivo è quello di rendere albi molto apprezzati come questo, fruibili anche da parte di bambini con difficoltà cognitive e comunicative ma anche di bambini di origine straniere o in età prescolare. Rispetto ad altri titoli della giovane casa editrici specializzata nella pubblicazione di libri in CAA, questo di Barroux pone in questo senso una sfida forse più complessa: il testo si compone, infatti, in buona parte di dialoghi non attribuiti esplicitamente, e questo implica un maggiore sforzo da parte del lettore nella comprensione degli scambi tra i personaggi.

Per il resto, il lessico è piano, le frasi sono piuttosto brevi e paratattiche e le scelte di simbolizzazione fatte da Enza Crivelli e Sante Bandirali vanno nella direzione di ottimizzare i pittogrammi impiegati e di rafforzarne il legame con il testo. Così, per esempio, là dove il testo riporta solo il verbo, il riquadro sottostante riporta anche il simbolo del soggetto o dell’oggetto a cui il verbo si riferisce (“sei” è associato al simbolo di tu e a quello di essere, “incontrarti” al simbolo di incontrare e a quello della balena, e via dicendo…). Sempre nell’ottica di facilitare la comprensione del testo e la distinzione delle sue diverse parti, va l’accorgimento ormai consueto nei libri di Officina Babùk per cui la forma del riquadro del pittogramma cambia (forma a punta) quando posto in corrispondenza dell’inizio e della fine di un discorso diretto così come quando è posto alla fine di una frase di qualunque altro genere (forma tondeggiante). L’obiettivo è sempre quello di supportare il più possibile la piena appropriazione del racconto, anche quando questo, come nel caso di Ti voglio bene, Blu, un po’ più sfidante del consueto per i lettori che necessitano dei simboli della CAA.

A tutta musica!

Scopo divulgativo, approccio interattivo, brevi testi e giocose illustrazioni in dialogo: A tutta musica! è decisamente un libro sui generis. Progettato e realizzato a 4 mani da Ole e Hans Konnecke, il volume invita a scoprire 52 strumenti musicali diversi, dai più comuni ai più originali. A ognuno di essi è dedicata una pagina che riporta un breve testo di tono leggero che riassume le caratteristiche dello strumento e/o qualche curiosità in merito – e un’illustrazione in cui lo strumento viene suonato da un animale antropomorfo.

Proprio la scelta di rappresentare i soggetti con lo stile inconfondibile dell’autore tedesco e attraverso l’interpretazione dei suoi personaggi iconici risulta particolarmente felice per rendere il libro accattivante anche per chi non manifesti particolare interesse per la musica. E poiché di musica si può certo disquisire ma poi, a conti fatti, è l’orecchio che deve dire la sua, ogni pagina presenta un Qr code che, inquadrato, consente di ascoltare un piccolo brano suonato con lo strumento descritto. Per il lettore diventa, così, intrigante immaginare il suono di ogni strumento a partire dalle parole e dalle figure che gli autori vi dedicano per poi confrontare le sue ipotesi con una melodia vera.

Stampato con caratteristiche di alta leggibilità, in primis il font Testme, A tutta musica! può essere letto anche a spizzichi e bocconi proprio come un’enciclopedia musicale. Sarà un diletto scoprire che esistono strumenti come lo Steeldrum o la Kalimba… certo, non si può garantire che poi i bambini non vogliano a loro volta testarli in prima persona!

Torna a comprare il pane

Jean-Baptiste Drouot ha un tratto delicato e ironico che sa declinare a modino suscitando nel lettore tenerezza e sorrisi. Sinnos ce lo ha fatto conoscere con l’rresistibile prima lettura Vai a comprare il pane a cui fa seguito ora Torna a comprare il pane. Il protagonista è sempre un volpacchiotto intraprendente che anche questa volta viene mandato dalla mamma a fare una semplice commissione ma si ritrova suo malgrado nel bel mezzo di un’avventura incredibile. Basti dire che ci sono di mezzo un cugino scomparso e poi ritrovato, un naufragio, un giro in mongolfiera, l’incontro con coccodrilli selvaggi e una fuga rocambolesca tra dirupi e ponti sospesi. Non che questo gli impedisca di portare a termine il suo compito, ma l’imprevisto – è bene ricordarlo – è sempre dietro l’angolo…

Torna a comprare il pane si presenta come una lettura di grande accessibilità grazie alla combinazione di una serie di caratteristiche. Si tratta infatti di un libro breve (meno di 50 pagine) con testo contenuto e stampato in maiuscolo e ad alta leggibilità e con immagini preponderanti e regolari. Non solo, si tratta anche e soprattutto di un libro divertente e capace di condensare in uno spazio ridotto un’avventura ricca e avvincente, supportata da illustrazioni amichevoli che sposano perfettamente il tono del racconto. Il risultato è un volume estremamente godibile anche in caso di dislessia e/o di scarsa propensione alla lettura a cui affidarsi a occhi chiusi in un qualsivoglia percorso volto a mostrare ai bambini più riluttanti che il libro può essere sinceramente un amico.

La paura del mostro

La paura del mostro è un classico per l’infanzia firmato da Mario Ramos. Protagonista è Taddeo, un mostro dalle sembianze amichevoli che si trova ogni sera a vedersela con una creatura orribile e dispettosa: una bambina dai codini biondi e dal ghigno maligno che lo spaventa e lo tormenta con sgarbi di ogni sorta, comprese addirittura delle mosse di karatè. Taddeo però resiste e alla fine, ogni sera, riesce ad addormentarsi come un bebè, rassicurato dalla sensazione di essere dopo tutto un grande cacciatore di mostri.

Tutto giocato sul meccanismo del ribaltamento, La paura del mostro esorcizza e sdrammatizza i timori notturni familiari a qualunque bambino con una storia in cui il mostro e la bambina si scambiano di fatto i ruoli generando un effetto insieme straniante e divertente. Maestro dell’ironia e attento conoscitore dei bambini, Mario Ramos aggancia efficacemente il suo lettore mettendo in scena una routine serale comune e dando spazio a delle preoccupazioni molto umane per poi sorprenderlo col sorriso ridefinendo completamente i contorni della paura.

Contraddistinto da testi brevi (non più di una frase per pagina), essenziali e perlopiù lineari, da figure dai contorni netti e prive di dettagli superflui e da una precisa corrispondenza tra parole e illustrazioni, La paura del mostro si presta facilmente ad un adattamento che preveda l’inserimento dei simboli della Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Non a caso, il volume è uno dei primi proposti a catalogo da Officina Babùk, casa editrice specializzata nella produzione di libri in simboli. Questa versione, in effetti, si presenta molto fedele all’originale sia nei testi sia nella grafica. Le uniche variazioni testuali – che si contano sulle dita di una mano – concernono, infatti, l’ordine di alcuni termini, funzionale a rendere la frase più lineare o a simbolizzare insieme più lemmi. Quanto alla composizione grafica, l’equilibrio tra testo e figure viene sempre mantenuto, al netto del maggiore spazio richiesto dall’aggiunta dei simboli WLS.

Questi ultimi, contraddistinti da una riquadratura leggerissima, quasi impercettibile, e da un uso votato alla fluidità della lettura (non dunque un simbolo per ogni parola ma un simbolo per ogni unità di senso), sono sufficientemente grandi da poter essere ben indicati in lettura condivisa ma non compromettono la gradevolezza della pagina. Come sempre accade per i libri di Officina Babùk, i riquadri a inizio e fine frase cambiano forma in presenza di discorsi o di un punto a capo. Il testo che vi è associato è stampato in maiuscolo, così da agevolare, laddove, possibile, il passaggio alla lettura alfabetica autonoma.

Una giornata per immagini

Una giornata per immagini è un cofanetto di librotti senza parole che portano l’inconfondibile firma di Attilio. Le figure che lo popolano – oggetti e animali, non di rado antropomorfizzati – si caratterizzano infatti per forme minime e contorni netti, colori pieni e inquadrature chiare, proprio come nello stile unico dell’autore genovese.

I libri che compongono il cofanetto, tutti di formato quadrato e contraddistinti da pagine robuste, sono quattro, rispettivamente dedicate a Il mare, La campagna, La città e La montagna. Ognuno di essi, presenta una sequenza di immagini – una sola, netta, per pagina – collegate tra loro da un punto di vista tematico. Occhiali, infradito, paletta e secchiello, pesci e animali in costume, per esempio, nel volume dedicato al mare. O alberi, frutti, attrezzi da lavoro e animali nelle vesti di contadini in quello dedicato alla campagna. L’idea è che il bambino possa trovare soddisfazione nel guardare le figure, nel riconoscerle, nel nominarle, nel collocarle in una medesima cornice e – non va escluso – nel metterle in relazione attraverso semplicissimi fili narrativi. Così, per esempio, nel volume dedicato alla montagna si può intravedere una sequenza di azioni – dalla vestizione, alle scivolate sulla neve, al rientro al calduccio – che va potenzialmente a delineare una protostoria.

Questa libertà di esplorazione, unita all’imbattibile essenzialità compositiva che è cifra di Attilio, fa sì che i volumi di Una giornata per immagini possa risultare molto trasversale per età e abilità, moltiplicando le possibilità di accesso anche in caso di disabilità cognitiva o comunicativa.

Ho bisogno di te

Ripresi nel bel messo di una traversata tra i ghiacci polari, mamma e cucciolo di orso procedono a passo spedito diretti chissà dove. Il cucciolo è curioso e questo talvolta lo porta a rallentare, a distrarsi e seguire percorsi alternativi. Così gli succede di restare indietro, attratto per esempio da un branco di socievoli foche. La mamma, dal canto suo, procede diritta, senza guardarsi praticamente mai alle spalle. È fiducia estrema o imperdonabile imprudenza, la sua? Man mano che la storia procede, il lettore è portato a chiederselo. Quel cucciolo, ci viene da pensare anche in virtù del titolo del libro, andrebbe forse protetto.

Cosa capita, infatti, se il supporto dell’adulto di riferimento viene a mancare? Che i predatori possano farsi minacciosi, che la neve possa disorientare e che un guado possa sembrare insuperabile. Per fortuna, l’aiuto può arrivare anche da figure esterne, amiche e di fiducia, che come un ponte possono aiutare a superare momenti difficili.

Contraddistinto da tavole silenziose, non solo perché prive di parole ma anche perché capaci di catapultare in una natura dal fascino ovattato, Ho bisogno di te di Angelo Ruta racconta della cura e del ruolo fondamentale che essa gioca all’interno delle relazioni. Nato da un progetto congiunto di Carthusia e Cesvi, il libro trasforma l’assenza di testo nella chiave per suscitare ipotesi e interrogativi nel lettore, attivando un processo di pensiero che può scavare molto nel profondo.

Storielline

Le Storielline di Miguel Tanco sono come le ciliegie: ne assaggi una e poi finisci per snocciolarne una sfilza, che preso il giro diventano a dir poco irresistibili. Piccine picciò, hanno la durata di una pagina e si fanno spiluccare con diletto. Proprio come dei fumetti a strisce (senza parole però, fatto salvo per il titolo di ognuna) si sviluppano in orizzontale, sfruttando la lunga doppia pagina come scena per moltiplicare interpretazioni e punti di vista rispetto a un medesimo tema. La fine delle vacanze può coincidere con la mogia fine delle corse in spiaggia o con il gioioso ritrovamento delle amicizie di scuole. Si può essere senza paura attraversando il parco con tutto ciò che è proibito portarvi o guardando un elefante da distanza ravvicinata. Si può sperimentare la grande evasione tra pile di libri o campi di grano. E vi dicendo…

E proprio qui stanno la peculiarità e il grande fascino di queste storie mignon: nel raccontare le molte sfaccettature che uno stesso sentimento, esperienza o situazione possono avere. Attraverso i suoi personaggi bambini, indomiti e creativi, Miguel Tanco celebra, cioè, la bellezza dell’umanità, variegata e imprevedibile, soprattutto quando sa conservare l’intraprendente spirito infantile.  È così, infatti, che gli scalini possono diventare montagne e le strisce pedonali tronchi sul fiume infestati dai coccodrilli, che a ping pong si può pensare di giocare con palla, racchetta e mazza da baseball o che può valer la pena affrontare una lunga passeggiata nel bosco solo per bagnare una piantina nascente.

Estremamente concise ma capaci di solleticare grandi aperture di pensiero e immaginazione, le Storielline di Miguel Tanco ci dicono che la vita può essere in un modo ma anche nel suo esatto contrario, e che non è affatto detto che solo l’uno o l’altro sia quello giusto. Lo fa con un approccio freschissimo, ironico e positivo, riflesso da un tratto vivace e dinamico.  Ne risultano vignette quasi istantanee e immediate che mescolano adesione al reale e piccole evasioni fantastiche e che trasformano titoli neutri in contenitori di grandi e variegate avventure.

Finestre

Vincitore del Silent Book Contest 2024, Finestre è un libro senza parole giocoso e sorprendente, tutto basato sull’ingannevolezza delle apparenze. Vietato farsi fuorviare dai toni cupi che non mancano né in copertina né negli interni: il volume è tutt’altro che triste e, anzi, delizia il lettore giocando proprio sul contrasto tra le figure malinconiche o paurose suggerite dalle ombre e le realtà dinamiche e sorridenti che dietro di esse si celano.

Il libro assume il punto di vista di una bambina che troviamo assorta nei suoi pensieri mentre guarda fuori dalla sua finestra di casa. L’immagine di apertura ci dice che il palazzo in cui la bambina vive è alto e circondato da edifici simili: le cose da osservare sono dunque potenzialmente numerose. Attraverso lo sguardo della protagonista, ci soffermiamo su alcune finestre illuminate, mentre fuori il buio della notte avvolge la città. Le sagome che si delineano sembrano appartenere a inquilini isolati, litigiosi, minacciosi o inquietanti: vecchiette chine sul loro solitario lavoro a maglia, coniugi in preda alla disperazione, uomini mastodontici o desolati e persino coccodrilli furibondi… ma la realtà, spesso, non è come appare e così a ogni doppia pagina in cui emerge un’ombra perturbante, ne segue un’altra che inquadra il soggetto dall’interno della stanza, perfettamente illuminato.

Ed è qui che emerge con gioiosa allegria, l’equivoco generato dalla semioscurità. Ciò che sembrava non è: abbuffate di sushi, balli sfrenati, coccole confortanti, tentativi di rinfrescamento e appassionate sessioni di hobbistica vengono alla luce in tutta la loro vivacità, anche cromatica. I toni caldi e avvolgenti diventano protagonisti e catapultano il lettore all’interno di contesti dinamici che molto fanno immaginare. Anche la bambina incontrata in apertura non è esente dal gioco delle apparenze: con lei e con il suo affettuoso gatto si chiude, infatti, questa narrazione fatta di molti inganni, pochi colori e nessuna parola.

Sfizioso e ammaliante, Finestre presenta una struttura iterata che ne agevola la comprensione. Il tratto denso ed espressivo dell’autrice, Lola Svetlova, gioca un ruolo chiave insieme al contrasto tra realtà e apparenza nel solleticare l’immaginazione del lettore. L’ampio formato e il meccanismo ludico lo rendono infine particolarmente adatto anche a una lettura condivisa e ad alta voce.