Il pupazzo di neve

È uno dei silent book più conosciuti e longevi, Il pupazzo di neve: un libro firmato da Raymond Briggs che ha attraversato più di quattro decenni e che viene ora riproposto in una bella e ampia versione da Rizzoli.

Protagonisti sono un bambino e il pupazzo di neve da lui costruito con cura e attenzione. Opportunamente dotato di occhi e bottoni di carbone, naso di mandarino, nonché di sciarpa e cappello autentici, il pupazzo fa bella mostra di sé nel bel mezzo del cortile. Il bambino ci gioca tutto il giorno ma quando scende la sera non può che osservarlo nostalgico da dietro la finestra di casa e continuare a pensarci anche sotto le coperte. Quando però il desiderio di riaverlo accanto e condividervi momenti gioiosi si fa troppo forte il bambino sgattaiola di soppiatto fuori dall’uscio e porta il pupazzo dentro casa.  Nel silenzio e nel segreto della notte, i due si divertono a giocare con gli interruttori, la colla e la carta, a correre sullo skateboard, a imbandire una tavola di delizie e fingere di guidare un’auto: tutte cose sconosciute per il buffo omino di neve e che in questa nuova e proibita scoperta acquistano interesse anche per il bambino. Tra un gioco e l’altro, bambino e pupazzo non mancano di rinfrescarsi davanti al frigo o al freezer, con gesti che richiamano in un ludico rovesciamento la convivialità e l’intimità tipica del focolare. Ma il rovesciamento prosegue poi nei ruoli: da guida e padrone di casa, il bambino diventa passeggero e compagno, in un viaggio condotto dal pupazzo  sopra la città e la campagna imbiancate. Il loro è dunque uno scambio di segreti, conoscenze e gesti affettuosi e che si protrae fino al sorgere del sole, quando il bambino deve rientrare nel suo letto prima che la famiglia e la città si svegliano. Gli resta qualche ora di sonno prima di alzarsi e correre di nuovo dal suo amico, di cui non resta però che qualche traccia, proprio come accade per i sogni.

Delicatissimo nei temi toccati come nel tratto, che il pastello rende un po’ indefinito e come tale perfetto per un racconto sospeso tra dimensione reale e dimensione onirica, Il pupazzo di neve procede per sole immagini racchiuse all’interno di vignette, in una sorta di fumetto privo di parole e di baloons. Così composto, il libro riesce a fotografare in maniera dettagliata singoli passaggi narrativi, rendendo chiarissimo al lettore, nonostante l’assenza totale di testo,  come si sviluppi la storia. In questo senso, Il pupazzo di neve si presta bene a una lettura – individuale o condivisa con l’adulto (meno, probabilmente, in gruppo) – che risulti fruibile anche da parte di bambini che fatichino un po’ di più a compiere inferenze e dedurre da sé ciò che testo e immagini non rivelano esplicitamente.

Guarda, c’è un porcello che vola

La storia dei tre porcellini la conosciamo più o meno tutti ma la versione che ci propone Guido Quarzo ha qualcosa di speciale. Certo, anche qui ci sono tre fratelli maialini, un lupo dal grande fiato, una casa di paglia, una di legno e una di mattoni, ma il modo in cui intorno ad essi si delinea il racconto, rende la fiaba piacevolmente sorprendente. E così finisce che in quel bosco a noi tutti noto un lupo si ritrovi all’ospedale per indigestione di sciroppo per la tosse e un porcellino sognatore voli via nella sua casa color del grano, immerso in una lettura appassionante. Modificando di poco, insomma, l’ordine degli avvenimenti, il risultato cambia eccome!

Brevissima, di facile approccio e divertente, Guarda c’è un porcello che vola costituisce una proposta di lettura ghiotta per lettori alle prime armi. La presenza di illustrazioni ampie e ad ogni pagina, unita a scelte tipografiche ispirate all’alta leggibilità – come il font leggimi mutuato da Sinnos, la spaziatura maggiore, la sbandieratura a destra e la carta opaca caratteristica della collana Il Battello a Vapore – rendono inoltre il libro particolarmente amichevole e abbordabile anche in caso di maggiori difficoltà di lettura legate alla dislessia. Il libro è disponibile anche in formato ebook (2.99 €)

L’acchiappaidee

Parola d’ordine: acchiappare. Acchiappare le idee, come indica chiaramente il titolo del cofanetto progettato da Fabrizio Silei, ma anche acchiappare il lettore, con una proposta originale e coinvolgente, e infine acchiappare un progetto, provare a definirlo, cioè, nel suo essere vivacemente sfuggente. Perché tale appare L’acchiappaidee, che libro non è, gioco neppure, libro-gioco forse sì ma che è anche qualcosa di più.

Il suo contenuto è presto detto: un libro e un set da 144 tesserine illustrate fronte-retro. Il modo in cui i due elementi interagiscono tra loro e in cui è possibile, per il lettore-inventore, farli propri, beh, quella è tutta un’altra storia. Il libro propone infatti un racconto, il racconto di un pianeta su cui accadono cose, crescono foreste, compaiono creature bislacche e si formano città, un racconto che si sviluppa come un dialogo, che chiama il lettore ad attivarsi, e che viene illustrato proprio combinando le tesserine che accompagnano il volume, unite a qualche sparuto tocco di matita. Il libro è dunque una prima idea acchiappata, in questo caso dall’autore, e un manuale di istruzione sui generis che, una volta chiuso, lascia al lettore il testimone per dar vita a nuovi personaggi e nuove avventure.

Ciò che si può creare con le tesserine messe a disposizione, accuratamente studiate nei motivi e nei colori, è impossibile (oltre che probabilmente del tutto inutile) da circoscrivere: robot, mostri, animali e creature fantastiche non chiedono che di uscire allo scoperto ma anche gli ambienti e gli oggetti più disparati e, perché no, concetti astratti, possono prendere forma dalla giusta combinazione di tessere. Giusta per il lettore, chiaramente, perché se c’è una cosa certa di fronte all’Acchiappaidee è che il giusto e lo sbagliato sono categorie che sta al lettore definire sulla base della sua personalissima sensibilità e immaginazione. L’acchiappaidee – spiega lo stesso Silei in chiusura di volume – nasce proprio con questo scopo: restituire ai bambini la possibilità di “vedere e immaginare in piena libertà”, offrendo terreno fertile alla germinazione della “nostra unicità di esseri simbolici e metaforici”.

Secondo lo stesso principio di libertà, si sviluppa inoltre il processo creativo innescato dal contenuto del cofanetto. Poco importa, infatti, che le tesserine diano vita a singoli personaggi o a narrazioni complesse; che la loro combinazione ispiri lo sviluppo della storia o che al contrario sia la storia a stimolare la ricerca delle tesserine più adatte a rappresentarla: ciò che conta è che ciascuno sia messo nella condizione e si senta legittimato a esprimere la propria creatività. In questo senso L’acchiappaidee offre una possibilità di gioco, e in particolare di gioco inventivo e narrativo che tanto ha a che vedere con il piacere della lettura, ampiamente accessibile anche in caso di disabilità intellettiva o comunicativa. Non a caso il raffinato e attento progetto di Fabrizio Silei ha trovato calda accoglienza proprio in casa Uovonero che dell’accessibilità ha fatto la sua bandiera e la sua missione più potente. Dal confronto con l’esperienza della casa editrice in materia di autismo il progetto si è infatti arricchito, sviluppato, perfezionato, offrendo ora a un pubblico davvero trasversale, per età e abilità, uno strumento estremamente versatile e interessante con cui inventare, disegnare, raccontare. Da acchiappare, insomma!

Mi chiamo Nina e vivo in due case

Trovare il modo di raccontare ai bambini un’esperienza delicatissima come la separazione dei genitori e di far capire loro che l’amore per i figli non ne esce in alcun modo sminuito o snaturato non è cosa facile. Eppure quell’esperienza è reale e diffusa. Ben venga allora il supporto che può fornire un libro come Mi chiamo Nina e vivo in due case, che al tema dedica parole e figure ricercate con cura.

La storia e la voce sono quelle di Nina che mette subito a parte il lettore della sua situazione abitativa: “Papà vive in una casa. Mamma in un’altra. Io vivo in due case”. Quando incontriamo Nina, cioè, la separazione dei suoi genitori è già avvenuta e il tempo in cui baci affettuosi e abbracci a sandwich erano un affare a tre, fa già parte del passato. In mezzo c’è stata la tempesta, fatta di brutte parole scambiate tra i grandi e ascoltate di nascosto dalla piccola, di decisioni drastiche e di quotidianità scombussolate: una tempesta che non cessa di colpo ma che continua ad avere degli strascichi, per esempio nei pensieri nebulosi degli adulti che appaiono meno attenti, presenti e severi. E tuttavia dalla tempesta si può uscire e questo accade più facilmente se mamma e papà sono i primi a ricercare un nuovo equilibrio in cui le parole e i baci possono tornare a scorrere, anche se a due invece che a tre, e in cui il vivere in due case diverse si trasforma in qualcosa che è strano sì, ma non è poi così male.

Mi chiamo Nina e vivo in due case si presenta insomma come un libro il cui tema è netto ed esplicito e il cui obiettivo è quello di dare una rappresentazione a quel turbinio di sentimenti spesso contrastanti che una separazione reca con sé. Lo fa con parole dirette che non nascondono la difficoltà, la nostalgia e il risentimento (ma che non li lasciano soli) e con illustrazioni delicate e particolarmente attente alle espressioni del corpo e del viso dei personaggi.

A catalogo per Clavis dal 2009, il libro viene ora ripubblicato, a distanza di dieci anni, anche in una versione in simboli. Realizzata secondo il modello inbook, con simboli WLS e nel rispetto di un processo di simbolizzazione che non tralascia alcun elemento della frase, questa versione del libro di Marian De Smet e Nynke Talsma sottolinea l’importanza di fornire strumenti utili per esplorare sentimenti e cambiamenti importanti anche a bambini che manifestano difficoltà comunicative: bambini che non di rado presentano anche marcate difficoltà ad accettare piccole e grandi modifiche alle proprie abitudini di vita.

Buon compleanno!

Storysign è un’app straordinaria lanciata nel 2018 da Huawei e sviluppata in collaborazione con numerosi partner tra cui l’Unione Europea dei Sordi e la British Deaf Association. L’applicazione, scaricabile gratuitamente e disponibile sia per Android sia per iOS, consente di arricchire alcuni libri cartacei di una simultanea traduzione in Lingua dei Segni condotta da un avatar di nome Star. Avviando l’applicazione sullo smartphone e inquadrandovi la pagina di uno dei libri a catalogo, si avvia infatti un video in cui Star interpreta il testo in Lingua dei Segni.

Ciò che rende davvero nuova questa proposta è il fatto che il video si attiva solo nel momento in cui lo smartphone inquadra la pagina corrispondente. Esso inoltre non solo restituisce la traduzione in Lingua dei Segni ma ne sottolinea anche la puntuale correlazione con il testo originale grazie a un efficace sistema di evidenziazione cromatica. Quella che si innesca così tra libro cartaceo e tecnologia digitale è una necessaria e funzionale sinergia che, valorizzando e intersecando le specificità di ciascun mezzo, migliora concretamente le possibilità di lettura dei bambini con disabilità (uditiva in questo caso).

Tra i primi titoli resi disponibili in LIS dall’app Storysign c’è Buon compleanno!, ispirato a una delle storie originali di Beatrix Potter. Protagonista è il più noto dei personaggi creati dall’autrice britannica: Peter Coniglio. Indispettito dal fatto che nessuno sembra prestargli attenzione proprio nel giorno del suo compleanno, questi non ha alcuna voglia di festeggiare. Le sue sorelline – Mopsy, Flopsy e Cottontail – declinano l’invito a giocare con lui, dichiarandosi molto molto indaffarate. Il cugino Benjamin, intento a trafficare con un arnese e un pezzo di legno, salta via prima ancora che Peter possa rivolgergli la parola. E la mamma, solitamente molto disponibile, è tutta presa in cucina tra utensili e fornelli. A Peter pare proprio che quello possa essere il peggior compleanno della sua vita ma, attirato in giardino da voci e rumori imprevisti, sarà travolto da un’inattesa sorpresa che vede coinvolti tutti i suoi cari.

Niente da fare

Giubilo, gaudio e gioia smisurata: è tornato! Con il suo taglio a scodella e la sua maglietta a righe, è tornato sulla scena proprio lui: l’inconfondibile personaggio che nel 2013 ha inaugurato la brillante produzione di Minibombo. Perseverante e curioso, proprio come lo abbiamo conosciuto ne Il libro bianco, il protagonista di Niente da fare non ha mantenuto invariati solo il look e l’attitudine: anche il suo rapporto con gli animali sembrerebbe rimasto piuttosto critico.

A ogni pagina del nuovo silent book firmato da Silvia Borando, infatti, il bambino incappa in un oggetto – un sasso, un albero, un fiore e così via… – con il quale prova ad interagire – arrampicandovisi, appendendocisi, arraffandolo… – ma che presto si rivela essere qualcosa di inatteso – il guscio di una tartaruga, le corna di un alce, la coda di un coniglio… – e tutt’altro che felice di venire importunato. Ogni incontro è dunque prima motivo di gioia e curiosità, poi occasione di divertimento e soddisfazione e infine ragione di sconforto o stupore: sentimenti variegati (e qui si potrebbe aprire una lunga parentesi su come una storia ben fatta tracci piste sulle emozioni più di qualunque libro a tema!) ed efficacemente espressi dall’autrice con minime variazioni della linea della bocca. La ricerca di un passatempo pare dunque disperata: per l’appunto non c’è niente fare, ossia non ci sono apparentemente svaghi con cui tenersi impegnanto ma neppure speranze di successo per l’intrepido esploratore. Mai dire mai, però. Quando delle porte si chiudono – si dice – si apre un portone: un portone tutto nero, magari, sotto cui si può nascondere una sorpresa deliziosa!

Forte di un meccanismo iterato e di un ritmo in tre tempi (incontro – approccio – sorpresa) collaudatissimi, Niente da fare offre una ghiotta successione di imprevisti di fronte ai quali è impossibile resistere alla tentazione di fare ipotesi e soprattutto di sorridere. Fino alla quarta di copertina compresa (vietato pensare di fermarsi prima!), niente è come sembra e questa piccola certezza accompagna il lettore tra le pagine, guidandone e motivandone la lettura. Perfettamente calato in un’ottica bambina, nella quale la noia scatena l’immaginazione e il contesto chiede silenziosamente (ma in maniera molto distinta!) di essere colto, scalato, sperimentato e fatto proprio senza indugi, Niente da fare appare estremamente in sintonia con il piccolo lettore anche per nella forma.

Senza timore degli spazi vuoti, Silvia Borando costruisce, infatti, un racconto per immagini in bianco e nero, in cui le figure sono semplici contorni privi di sfumature e in cui il colore è riservato ai soli oggetti incontrati dal protagonista, messi così in evidenza. Le illustrazioni sono quindi nette ed essenziali, i sentimenti del bambino sono evidenti e riconoscibili e i passaggi narrativi sono chiari e univoci. E questo è un valore aggiunto interessante per un libro che già di per sé è una chicca, poiché lo rende particolarmente fruibile anche in caso di difficoltà a compiere delle inferenze o mantenere desti interesse e attenzione. L’assenza di parole, a sua volta, può giocare a favore anche dei lettori più difficili da raggiungere, poiché svincola il godimento dalla capacità di decodificare il testo e poiché avalla un approccio al libro più personale, sia in autonomia sia con la mediazione dall’adulto.

Insomma, non c’è Niente da fare, amerete questo libro tanto quanto Il libro bianco!

Il viaggio di Bobo e Campi

Nel panorama dei libri per bambini con traduzione in LIS, Stella, edito dalla Mason Perkins Deafness Fund nel 2015, è tuttora uno dei lavori più curati e apprezzabili. Per questo abbiamo a lungo sperato che un nuovo titolo con caratteristiche analoghe venisse pubblicato e siamo ora felici che questo sia accaduto.

Il 2019 ha visto, infatti, la pubblicazione de Il viaggio di Bobo e Campi, una rielaborazione della favola di Esopo Il topo di campagna e il topo di città, studiata in modo da risultare più familiare e accessibile anche da parte di bambini sordi segnanti. Al raggiungimento di questo scopo concorre in particolare il lavoro svolto dalla squadra di autori, traduttori e  linguisti della Fondazione su un duplice fronte: da un lato quello dell’introduzione all’interno della favola di piccoli dettagli che richiamino da vicino la cultura e l’esperienza della sordità (così, per esempio, gli stessi topini protagonisti sono sordi e comunicano, come esplicitato sia nel testo sia nelle immagini, proprio utilizzando i segni); dall’altro quello dell’affiancamento al testo alfabetico a stampa del testo in LIS su supporto video.

All’albo in formato tradizionale in cui la fiaba si svela attraverso le parole di Stefania Berti e le illustrazioni di Elanor Burgyan, si affianca infatti il racconto in LIS interpretato da Valeria Giura (purtroppo privo di sottotitoli o di audio che ne avrebbero consentito un più agevole uso condiviso, anche senza avere il libro sottomano) con le illustrazioni dell’albo che scorrono sullo sfondo. Tale racconto, visionabile su smartphone attraverso la scansione di un QR code posto in seconda di copertina, è caricato in particolare sulla piattaforma bilingue educativa  tellyourstories che mira a moltiplicare le possibilità di fruizione in LIS di opere letterarie da parte di bambini e ragazzi sordi.

Come già accaduto con Stella, il libro è frutto di una doppia traduzione che lo rende estremamente interessante e particolare. La fiaba di Esopo è stata infatti dapprima adattata e tradotta in LIS per poi essere ritradotta in italiano per la versione a stampa. È dunque quest’ultima a doversi in qualche modo prestare a rendere sfumature di significato ed espressioni particolari che sono caratteristiche della LIS, e non viceversa, in un ribaltamento della consuetudine che invita a un ribaltamento delle prospettive e dei rapporti tra le lingue.

Il viaggio di Bobo e Campi è acquistabile con una donazione minima di 18 alla Mason Perkins Deafness Fund.

Ci vorrebbe

Ci vorrebbe una bacchetta magica per trasformare cose e situazioni che ingrigiscono il presente dei bambini in cose e situazioni che invece ne alimentano la gioia. Manuela Mapelli, autrice e illustratrice di Ci vorrebbe, la bacchetta magica non ce l’ha ma in compenso ha delle matite. E forse un po’ magiche lo sono pure loro se con un tocco di colore, le ciminiere si fanno alberi, il filo spinato fiorisce, e le bombe divengono cieli stellati. Non solo. Magica è la possibilità di riportare in piccola scala criticità grandissime e aprire ai bambini la possibilità di immaginare un futuro migliore. L’autrice questo prova e forse riesce a farlo, dando vita a un volumetto piccino picciò che dà voce al potere trasformativo dell’immaginazione.

Delicato come un tocco di bacchetta magica, Ci vorrebbe si compone di illustrazioni e testi minimi. Le prime giocano con intelligenza sul cambio di senso e prospettiva che colori e dettagli possono portare su ogni oggetto. I secondi, invece, sono stampati in OpenDyslexic: un font open source ad alta leggibilità che privilegia forme rotondeggianti nella parte inferiore delle lettere per evitarne la confusione. Data la semplicità del volume, che ben lo predispone a una lettura ad alta voce, è chiaramente difficile che un bambino con dislessia vi si approcci in autonomia, ciononostante la scelta di un font accessibile e inclusivo non è indifferente o superflua perché crescere, fin da ascoltatori, tra parole a stampa dall’aria amichevole concorre a viverle con positiva curiosità.

collana Baby signs

Baby Signs è il nome di un programma, nato in America e ora coltivato anche in Italia, che si basa sull’utilizzo di segni per agevolare la comunicazione con e da parte di bambini che non padroneggiano ancora il linguaggio. L’idea che vi sta alla base è semplice ma significativa: la comunicazione può avvenire in molti modi e soprattutto può avvenire anche in assenza di parole, condizione questa che accomuna i bambini molto piccoli e le persone con disabilità comunicativa. Non a caso la stessa CAA muove da un principio analogo.

Il programma Baby Signs, in particolare, guarda alle esigenze dei bambini di pochi mesi e fa leva sulla loro predisposizione a esprimersi attraverso modalità gestuali prima e più che attraverso modalità verbali. Per questa ragione individua 175 segni legati alla loro quotidianità che, una volta acquisiti, consentono una comunicazione bambino-adulto molto più efficace (e quindi meno frustrante) e di conseguenza una possibilità relazionale più serena.

Un aspetto particolarmente interessante del programma è il fatto che buona parte dei segni che impiega è mutuata dalla Lingua dei Segni Italiana, il che non solo sottolinea l’importanza di attivare precocemente delle possibilità comunicativa anche per bambini con disabilità ma mette anche e soprattutto in evidenza  la ricchezza ad ampio raggio insita in soluzioni – come la LIS per l’appunto – che proprio per rispondere a una disabilità nascono. Anche attraverso esperienze come questa si evidenzia, cioè, in maniera molto concreta che la comunicazione non ha una forma unica e insostituibile per nessuno di noi, e che proprio dall’incontro con la disabilità, che erroneamente siamo abituati ad associare alla sola idea di mancanza, possono emergere possibilità di grande profitto per chiunque.

Nel definire i 175 segni che compongono il programma, i curatori hanno dato fondo a un lavoro rigoroso e approfondito di adattamento della base americana. Per rispondere davvero alle esigenze comunicative quotidiane dei bambini italiani sono state, innanzitutto selezionate parole ad hoc (come pasta, asilo, bello…) ed eliminate parole poco pertinenti per il pubblico di riferimento (come marines, tacchino…). In secondo luogo si è sostituito l’ASL (American Sign Language) con la LIS, prediligendo all’interno di quest’ultima le varianti più semplici e agevoli da realizzare anche per un bambino. Infine, proprio perché lo scopo è favorire l’espressione di esigenze, pensieri e sentimenti nella maniera più naturale passibile, ad alcuni dei segni individuati è stata affiancata una versione definita baby friendly perché di più immediato e comune uso da parte dei piccoli (come per esempio il soffio per indicare il caldo).

I segni contemplati dal programma indicano in particolare oggetti di uso comune per un bambino di pochi mesi (palla, pane, papera, scarpe…), persone di riferimento particolarmente vicine (mamma, papà, nonni, amico..), azioni inerenti alle attività quotidiane più elementari (giocare, dormire, piangere…), aggettivi utili (bello, pericoloso, spaventato…) o formule per relazionarsi (ciao, scusa, grazie…). L’esposizione del bambino a tali segni dipende chiaramente dall’uso che gli adulti intorno a lui ne possono fare. Non a caso oltre a rivolgersi ai genitori, il programma viene spesso adottato anche da educatori degli asili nido e delle scuole dell’infanzia.

Per favorire la conoscenza e l’appropriazione di tali segni, Baby Signs Italia ha messo a punto un cofanetto composto da 4 libretti cartonati che adulti e bambini possono condividere per un momento di gioco e lettura piacevole oltre che utile.

Tre di essi – Preferiti , L’ora della pappa e L’ora della nanna – si presentano come raccolte di segni base composte da una ventina di pagine ciascuna. Ogni doppia pagina propone  una parola (mamma, per esempio), affiancata da una fotografia che la illustra (una mamma con la sua bimba in braccio). A fianco si ritrova invece la rappresentazione grafica del segno corrispondente, la descrizione del movimento che occorre fare per realizzarlo e la fotografia di un bimbo intento a riprodurlo.  Il fatto che i libri privilegino immagini fotografiche è aspetto tutt’altro che irrilevante: nonostante la produzione editoriale italiana risulti ancora molto scarsa su questo fronte, i libri fotografici vantano un appeal e una fruibilità straordinaria per i bambini piccolissimi e come tali danno vita a supporti realmente a loro misura e appetibili. Questa scelta va dunque in un’ottima direzione nell’intenzione di catturare l’attenzione del pubblico di riferimento, oltre che di rendere i segni trattati davvero chiari. Non da ultimo, la centralità, all’interno della pagina, di figure infantili intente a segnare concorre in maniera incisiva ad attivare un rispecchiamento da parte del piccolo lettore e a stimolare la replica del movimento.

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Gli altri tre volumi – Gli animali, Al parco e Vestiamoci – sono anch’essi cartonati ma di dimensione più piccina (particolarmente adatta a essere portata in viaggio!). Qui, nella pagina di sinistra, il segno relativo a ogni oggetto viene proposto soltanto in formato grafico in associazione alla parola corrispondente (cane, per esempio) mentre in quella di destra si trova una breve frase (Edo abbraccia il suo cane) che mette al centro l’oggetto in questione e un bambino che con lui interagisce. Il tratto delle illustrazioni è piacevole, rassicurante e privo di dettagli superflui il che lo rende molto spendibile e godibile anche da bambini molto piccoli, come quelli in effetti coinvolti dal programma.

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Ai sei volumi cartacei si affiancano eventualmente un DVD che presenta un video-dizionario dei segni e un cartone animato che aiuta a familiarizzare con sei primi segni. A disposizione degli adulti, inoltre, vengono messi una guida rapida riassuntiva e un piccolo manuale. Tutti i materiali sono acquistabili sul sito https://www.babysignsitalia.com/ dove è possibile trovare inoltre  informazioni interessanti sul programma, sugli studi su cui poggia e sui benefici che ne possono derivare.

Incubi al formaggio

Che il formaggio mangiato la sera sia causa di incubi notturni è convinzione comune. Ben più che una convinzione, tuttavia, è per Hal: per lui, infatti, la correlazione tra latticini e brutti sogni è una vera e propria ossessione! Da quella sera in cui la cena a base di formaggio francese ha scatenato nel suo sonno vampiri vestiti da cowboy, il bambino non si dà infatti pace e intende risolvere una volta per tutte il famigerato mistero degli incubi al formaggio. Partendo dal venditore locale, Hal risale l’intera filiera degli alimenti incriminati. La scoperta che fa però a questo punto è a dir poco sorprendente: all’interno della Casa del formaggio della Contessa (per-niente-malvagia) Von Udderstein le mucche non solo producono il latte, ma lo rendono deliberatamente perfetto per causare i peggiori incubi ai bambini. Stufi di vedersi rubare la materia prima in nome delle scorpacciate di mascarpone e brie, i bovini hanno deciso, infatti, di vendicarsi in segreto. La fuga di Hal dalle grinfie – o per meglio dire dagli zoccoli – della contessa Von Udderstein, contribuirà a mettere fuori gioco la fabbrica dei sogni puzzolenti (non senza causare, tuttavia, qualche remora del bambino a continuare a divorare pennette ai formaggi!).

Scritto e illustrato da Ross Collins, Incubi al formaggio mescola in maniera insolita e a tratti perturbante (il che non è sempre cosa negativa) avventura, ironia e pensiero critico sullo sfruttamento degli animali. Incisivo e interessante, in questo senso il ruolo delle illustrazioni  che affiancano e talvolta sostituiscono completamente il testo, contribuendo a rendere l’approccio al libro meno ostico. La stampa ad alta leggibilità – apprezzabile consuetudine della casa editrice Biancoenero – completa infine il quadro di una lettura (letteralmente) appetibile per un pubblico di bambini anche alle prese con difficoltà legate alla dislessia.

I gatti dell’Hermitage

Le pericolose missioni segrete dell’Agente Sharp non sono nuove ai lettori della casa editrice Biancoenero. Il gatto soriano in servizio per l’agenzia felina Gattaka ha dato prova, infatti, della sua astuzia e del suo coraggio in occasione dell’offensiva contro l’evaso Karlos Gnam e delle indagini parigine sul dottor Robotec. Ma per un agente segreto l’allerta è sempre massima e così, proprio mentre Sharp si gode la quiete di casa Martini, arriva via citofono la parola d’ordine: “C’è un pacco per Mario”. Pochi minuti per dedificare il messaggio cifrato contenuto nel pacco ed ecco che Sharp è sulla via di San Pietroburgo. Direzione: Hermitage! Qualcosa di losco sta infatti accadendo al famoso museo: vari reperti e opere d’arte sono stati spostati senza apparente motivo. Per capire cosa si nasconda sotto quegli strani movimenti, la squadra di Gattaka inizia a collaborare con i colleghi russi, dando vita a una missione internazionale che sgominerà una banda e riporterà al suo posto un quadro di inestimabile valore.

Ispirato dagli insoliti guardiani felini, che da anni proteggono dai topi il museo simbolo di San Pietroburgo, Agente Sharp. I gatti dell’Hermitage propone una nuova avventura ad alta leggibilità. Stampato con tutte le caratteristiche più utili a rendere il testo amichevole anche a lettori con dislessia, il racconto di Alessandro Cini appare gustoso e non troppo impegnativo, ideale in particolare per piccoli amanti di indagini e misteri.

Processo al lupo

Assoldato in qualità di cattivo dalla maggior parte delle fiabe, il lupo non scampa infine a un solenne processo per le sue malefatte. Questo, perlomeno, è ciò che accade nel racconto immaginato da Stéphane Henrich. Di fronte a una corte di tutto rispetto presieduta da un giudice suino con tanto di pelliccia di ermellino, il malcapitato risponde alla grave accusa di aver ucciso un agnello. E di averlo divorato crudo, per giunta. Nell’aula gremita di erbivori che ogni tre per due vengono richiamati all’ordine per le esclamazioni di sconcerto che si lasciano sfuggire, si susseguono testimonianze più o meno attendibili (“Io ho visto tutto, signor Giudice!”, dichiara non creduto Leo talpa, tra il sostegno del signor Cinghiale e le accuse dei tre porcellini), perizie di investigatori e psichiatri e arringhe finali pro o contro la condanna. La sentenza è tutt’altro che scontata e in questo restituisce al lettore tutta la complessità etica sottesa a un giudizio. Lo fa però all’interno di una cornice – quella appunto del tribunale degli animali – che mescola citazioni fiabesche e ammicchi al reale che, dalla prima allultima pagina, sorprendendo e divertono il lettore.

Proposta insolita per il catalogo di Biancoenero, Processo al lupo è incluso non a caso tra i Fuori collana. Albo illustrato che fonde efficacemente testo (ad alta leggibilità) e immagini, il libro di Stéphane Henrich ricorda per certi versi anche un fumetto poiché procede quasi esclusivamente per dialoghi (solo privi di nuvoletta) che si affiancano a specifiche illustrazioni. Queste ultime, dal tratto ironicamente nervoso e capace di rendere con poche linee dettagli e sentimenti di cui volutamente il testo tace, risultano davvero efficaci nel restituire le espressioni dei personaggi e nel proporre inquadrature insolite che danno al lettore la sensazione di trovarsi nel bel mezzo dell’aula di tribunale. L’effetto è senz’altro spiazzante come spiazzante, peraltro, è il racconto di Henrich che schiude più domande che risposte ed invita, con un sorriso un po’ dolce e un po’ amaro, a interrogarsi sul senso della giustizia e sul filo sottilissimo lungo il quale si confrontano il giusto e lo sbagliato.

La tredicesima fata

Che alla Bella Addormentata sia toccato un sortilegio soporifero bello lungo, causato da una strega cattiva, è storia nota. Meno noto, invece, è il dietro le quinte di quel gesto dalle conseguenze eclatanti. Chi è davvero la strega che lo ha compiuto? E perché lo avrebbe fatto? Ecco, La tredicesima fata di Kaye Umansky nasce da questi interrogativi bislacchi a cui risponde con un racconto a dir poco irriverente.

Protagonista è Grimbleshanks, una fata fuori dal comune che agli abiti pizzi e merletti, alle festicciole fru fru e alle tazze di tè tra i pettegolezzi, preferisce un look total black, la compagnia di un corvo e una quotidianità più spartana. Per questo le altre dodici fate del regno tendono a isolarla e a parlarle alle spalle, senza perdere occasione di punzecchiarla e farla ingelosire. Proprio come quella volta in cui le fanno sapere di non essere stata invitata al battesimo della principessina, a causa dei suoi modi rudi e poco eleganti. La rabbia di Grimbleshanks è tanta che la fata si reca a palazzo intenzionata mettere in atto una vendetta spettacolare ma innocua. Qualcosa però va storto, un qui pro quo prende la scena e trasforma la piccola rivincita in un grande, grandissimo malinteso della durata di 100 anni!

Ironico, sfacciato e per nulla politically correct, La tredicesima fata va perfettamente incontro alle ritrosie di bambini poco avvezzi alla lettura. Il racconto si legge infatti con gusto e si esaurisce in un tempo ragionevole. Inoltre, la stampa ad alta leggibilità – con font biancoenero, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, illustrazioni frequenti e carta color crema – contribuisce a rendere le condizioni di lettura più amichevoli e meno ostiche per tutti, soprattutto per chi si confronta con le difficoltò imposta della dislessia.

Cole Tiger e l’esercito fantasma

Da quando la famiglia di Cole Tiger si è trasferita a Everseen, lui ed Aquima sono diventati grandi amici. Molto diversi nell’aspetto – carnagione chiara e vistosi capelli rossi lui, carnagione scura ed evidenti lineamenti indiani lei –  i due condividono una certa solitudine legata al pregiudizio e alla diffidenza che la cittadina riserva a chi viene percepito come diverso. Lo stesso trattamento – scopriranno – ha toccato due ragazzi come loro di nome Aylen e Samuel, vissuti molti anni prima. Le loro storie non sono solo simili bensì destinate a intrecciarsi strettamente. Vittime di una maledizione, Aylen e Samuel necessitano, infatti, dell’aiuto dei due ragazzi per romperla e liberarsene per sempre. Questo, però, non si scopre che alla fine. In mezzo è tutto un tumulto di misteri, inseguimenti, tracce e rivelazioni che coinvolgono non solo i famigliari (anche quelli più insospettabili!) di Cole Tiger e Aquima ma anche personaggi straordinari dai caratteri sovrannaturali. La vicenda accelera quindi progressivamente il ritmo fino a culminare in uno scontro accesissimo, in cui le vere qualità di ciascun personaggio non mancano di venire a galla.

Il racconto scritto da Federica D’ascani è avvincente e coinvolgente. L’intreccio tra presente e passato, in particolare, richiede un po’ di abitudine a destreggiarsi all’interno di narrazioni complesse, ma offre al lettore una sfida di lettura intrigante. A rendere quest’ultima più fruibile anche a bambini con dislessia, interviene la consueta attenzione di Sinnos a proporre caratteristiche di stampa ad alta leggibilità, quali la font specifica leggimi, l’uso accorto di colori, grassetti e maiuscolo, la spaziatura maggiore, la carta color crema e la sbandieratura a destra.

La conferenza degli animali

In giorni come questi in cui la parola memoria riecheggia con frequenza, risvegliando la necessità di ricordare l’orrore che è avvenuto e che, anche in forme diverse, può continuare a ripetersi, un libro come La conferenza degli animali non passa inosservato. Scritto nel 1949 da Erich Kästner, oppositore del regime nazista e fervente pacifista, il libro nasce su sollecitazione di Jella Lepman, visionaria fondatrice di Ibby, con l’intento di denunciare le grandi sofferenze imposte ai bambini dalle guerre e dai deliri di potere dei grandi. Nutrito dunque di un pensiero strenuamente antibellico oltre che profondamente convinto del potere della buona parola scritta, il libro di Erich Kästner lancia forte e chiaro ai suoi lettori un messaggio di pace, che a tutt’oggi risuona attuale e necessario.

Protagonisti del racconto sono alcuni animali che, stufi di vedere i capi di stato riunirsi in inutili conferenze prive di concreti accordi ed effetti, decidono di organizzarne una loro per rimettere al centro dell’attenzione il bene dei bambini. Così, grazie a un tam tam di grande efficienza, le delegazioni bestiali di tutto il mondo si ritrovano al Grattacielo degli animali per il loro primo incontro ufficiale, proprio in concomitanza con l’ottantasettesima conferenza dei capi di stato umani. Tra i due consessi si innesca a suon di telegrammi un braccio di ferro durissimo: gli animali chiedono infatti di trovare un accordo che garantisca ai bambini un futuro di pace mentre i governanti non si smuovono di un centimetro dalla pretesa di badare ognuno solo ai propri affari. Con grande ingegno, allora, gli animali passano dalle parole ai fatti costringendo gli umani ad accettare le loro condizioni grazie a un’escalation di azioni dimostrative che vedono documenti distrutti dai topi, divise polverizzate dalle tarme e bambini messi in salvo dall’intera combriccola di bestiole. Sarà una dura lotta, la loro, ma l’accordo che ne uscirà è un manifesto di straordinaria lucidità che non solo regala un lieto fine ai protagonisti ma che andrebbe anche appeso e appreso in ogni scuola, comune e palazzo di governo.

È dunque una splendida notizia che l’editore Piemme, che detiene i diritti dell’opera, abbia deciso di pubblicarla nella collana Il Battello a Vapore con caratteristiche di alta leggibilità. Il testo, certo datato per alcuni riferimenti ai costumi e alla cultura dell’epoca, rimane godibilissimo per il suo messaggio di fondo, per le invenzioni narrative che l’autore sfodera e per la sua grande capacità di trasformare le qualità di ogni animale in ghiotti spunti per episodi e digressioni di intermezzo. L’accessibilità del testo anche in caso di dislessia – data dall’uso del font leggimi mutuato da Sinnos, dalla spaziatura maggiore, dalla sbandieratura a destra e dalla carta color crema – viene ulteriormente supportata dalle frequenti e deliziose immagini di Walter Trier che, pur proposte in bianco e nero come consuetudine della collana in questione, mantengono intatte una certa freschezza.

La conferenza degli animali – audiolibro Locomoctavia

Quanta attualità scalpita tra le righe di quel capolavoro di Erich Kästner che è La conferenza degli animali. Scritto ormai più di settant’anni fa, quando le ferite della guerra erano frequenti come oggi ma certo più fresche e vicine ai bambini europei, il racconto che vede gli animali di tutto il mondo attivi in prima linea nel tentativo di far ragionare i capi di stato in nome del bene dei più piccoli, potrebbe tranquillamente svolgersi in questo preciso momento storico. Il suo fortissimo ed esplicito messaggio di pace, non a caso fortemente voluto e sollecitato dalla straordinaria Jella Lepman, non è affatto tramontato ma anzi, supportato da un delizioso gusto narrativo che trova una chiave di continua sorpresa nell’enumerazione e nell’interpretazione antropica delle caratteristiche dei diversi animali, parla ancora in maniera molto schietta la lingua dei bambini.

Per questo, la scelta di Locomoctavia di inserire La conferenza degli animali tra i suoi titoli in formato audiolibro (come sempre sia su cd sia scaricabile direttamente dal sito, a seconda delle preferenze) è non solo felice ma anche preziosa. Con la cura che la contraddistingue, la casa editrice triestina rende infatti nuova vita e nuova linfa al racconto di Kästner, compensando l’assenza delle storiche (e bellissime!) illustrazioni di Walter Trier con una sinfonia sonora che risulta molto coinvolgente alle orecchie dell’ascoltatore. Rispetto ai titoli precedenti, La conferenza degli animali si distingue infatti per la partecipazione di un numero maggiore di attori, utile a restituire con vivacità e sfumature il ricchissimo ventaglio di personaggi, umani e animali, che popola il racconto di Kästner. Anche questo titolo, dal canto suo, è sostenuto, accompagnato e interpretato musicalmente: in questo caso è il sapiente gioco di percussioni di Dody B a calarci in un mondo che si rivela surreale almeno quanto la politica dei grandi che l’autore denuncia.

 

La conferenza degli animali, così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è fruibile anche tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Il giornalino di Gianburrasca

Continua l’affascinante viaggio di Locomoctavia attraverso i classici della letteratura per ragazzi, riproposti in una versione estremamente curata che al rispetto dei testi – sempre offerti in versione integrale e/o in traduzione di pregio – sposa una ricerca musicale mai scontata e sempre calzante.

Così è stato per i primi titoli come Alice nel Paese delle Meraviglie e Pinocchio, e così non manca di essere anche per  il più recente Il Giornalino di Gianburrasca. Fedelissimo nello spirito all’indole indomita di Giannino Stoppani, novenne votato alla monelleria come pochi altri, l’audiolibro restituisce con gusto e perizia i guizzi, le imprese, i guai e i pensieri scarmigliati del protagonista. Lo fa soprattutto attraverso un’interpretazione movimentata, quale quella offerta da Daniele Fior, e da un accompagnamento incalzante quale quello di Tommaso Rolando al contrabbasso. Entrambe sottolineano, infatti, l’irrequietezza del racconto, la gioia delle marachelle, il loro effetto a sorpresa e l’immancabile senso di ingiustizia della sopraggiunta punizione.

Il rispetto del testo originale, oltre a garantire l’incontro del lettore con una straordinaria varietà di personaggi e invenzioni narrative, gustose pur nei loro 110 anni e più, offre un vantaggio interessante anche in un’ottica di accessibilità, peraltro già notevole dato il tipo di supporto scelto. La funzionale divisione in capitoli corrispondenti ai giorni del diario, così come previsto dal testo a stampa di Vamba, mette infatti il lettore di fronte a un numero cospicuo di tracce audio dalla durata circoscritta, cosa che ne agevola la fruizione e il godimento, anche laddove l’attenzione fatichi a essere mantenuta a lungo sul racconto.

 

Il Giornalino di Gianburrasca , così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è fruibile anche tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Non si picchia, Anna!

Con le mani si possono fare molte cose, come salutare, mangiare, andare in bicicletta, applaudire, sistemare i giochi: tutte azioni semplici, utili e familiari anche a bambini di pochi anni, come i potenziali lettori delle avventure di Anna. Con le mani però, si possono fare anche cose meno felici e Anna stessa lo sa bene: le capita non di rado di arrabbiarsi con l’amico Leo o persino con il papà e in quel caso le mani diventano uno strumento per picchiare o tirare i capelli. Cosa fare quando questo accade? Con parole semplici il papà lo spiega ad Anna e con lei al lettore: le parole possono raccontare i sentimenti, rabbia compresa, in maniera più efficace delle mani. E queste, dal canto loro, sanno esprimersi al meglio in un abbraccio alle persone o ai giocattoli cari.

Costruito per ricalcare fedelmente esperienze quotidiane e concrete del potenziale lettore, Non si picchia, Anna! si presenta come un piccolo prontuario di gestione della rabbia. Non c’è dunque una vera e propria storia tra le pagine dell’albo, quanto piuttosto una rassegna di cose più o meno positive che le mani ci consentono di fare, chiusa da qualche consiglio pratico e spendibile, forse più rassicurante per l’adulto accompagnatore che per il destinatario stesso. Sarà facile tuttavia, per il piccolo lettore, ritrovarsi nelle situazioni che vedono Anna protagonista, complici anche le amichevoli illustrazioni a tutta pagina, dai dettagli ridotti e dai contorni netti, che rendono immediatamente evidente l’azione di cui si parla.

Pubblicato nel 2015 da Clavis in versione tradizionale, come parte di una collana che vede Anna protagonista di situazioni molto comuni nella primissima infanzia, Non si picchia, Anna! è ora reso disponibile dall’editore in versione in-book che da un lato ne agevola l’immedesimazione e la fruizione anche da parte di bambini con difficoltà comunicative e dall’altro ne favorisce l’appropriazione da parte di qualunque bambino di 2-3 anni. La simbolizzazione del testo, infatti, costituisce un ghiotto invito ad approcciarsi al volume anche in autonomia, ricalcando l’esperienza di lettura fatta in prima battuta con l’adulto accanto. I simboli scelti, come da modello in-book, fanno riferimento alla collezione WLS e sono impiegati in maniera molto dettagliata. Tutte le parti del testo, compresi per esempio articoli e preposizioni, sono infatti individualmente simbolizzati. Specifiche morfologiche, rispetto per esempio al genere o al numero, non mancano dal canto loro di essere rese. Il testo in simboli risulta pertanto piuttosto articolato e ricco: caratteristiche che lo predispongono per un pubblico con difficoltà poco marcate e che rispecchiano uno scopo ben preciso, quello di stimolare il bambino con una sfida di lettura che non rinunci ad alzare costantemente l’asticella delle abilità messe in gioco.

Costruttori di stelle

Gli sviluppi della tecnologia ci hanno abituati a pensare che praticamente qualunque cosa si possa costruire. E se questo valesse anche per cose lontanissime e affascinanti come le stelle? Soojin Kwak si è probabilmente posta quest’interrogativo e dalla sua suggestione curiosa è nato un silent book in cui ordinario e straordinario si incontrano, illuminando un mondo che parrebbe altrimenti dominato dal grigiore.

Con un’ambientazione e un filo conduttore che richiamano lo splendido cortometraggio Pixar intitolato La luna (2011), Costruttori di stelle interpreta in maniera suggestiva lo stupefacente e misterioso fenomeno delle stelle che brillano. Mescolando con originalità dimensione fantastica e spirito scientifico, l’albo della giovane artista coreana costruisce un intero mondo intorno a un mestiere immaginario, quello per l’appunto dei costruttori di stelle, e delinea un percorso narrativo che si fa pregustare fin dalle prime pagine per poi svelarsi in tutto il suo splendore solo in chiusura.

Vincitore del Silent Book Contest 2019, Costruttori di stelle procede per sole immagini, che appaiono ampie (l’intero albo ha un formato quadrato importante), chiare e prive di dettagli superflui che possono distrarre dal cuore dell’invenzione narrativa, ossia i diversi passaggi che portano alla messa in funzione delle stelle. La narrazione procede così in maniera molto fluida e lineare, offrendo al lettore gli spunti e gli indizi necessari per seguire la catena di montaggio stellare, e con essa il racconto. Ideale per solleticare palati esigenti di lettori che mal sopportano il testo scritto ma che al contempo non trovano ostacoli nel riunire tasselli e compiere inferenze, Costruttori di stelle invita a leggere con sguardo nuovo anche fenomeni, lavori e strumenti apparentemente privi di scintille creative.

Filippo Maria il terribile

Giuseppe Caliceti è maestro elementare di lunghissima esperienza e le centinaia di bambini che ha incontrato nel suo percorso professionale si sentono davvero tutte tra le pagine del libro Filippo Maria, il terribile, scritto per l’editore Raffaello. Protagonista del volume, come indicato anche dal titolo, è un bambino vivace di nome Filippo Maria, intorno al quale ruotano le situazioni scolastiche quotidiane narrate dall’autore. Ma protagonisti insieme a lui sono anche il maestro, figura seria ma capace di parlare al cuore dei suoi alunni, e l’intero gruppo classe: una collezione ben assortita di indoli e storie che rende ogni giorno tra i banchi una sorpresa.

Il libro si compone di 33 brevissimi capitoli, ciascuno dedicato a un episodio significativo della vita in classe. Vi rientrano bugie e piccoli scherzi, litigi e punizioni, invenzioni e giochi, compiti e rapporti tra pari: occasioni in cui facilmente il lettore potrà riconoscersi e in cui spesso l’autore rivela la sua indole pedagogica. Stampato ad alta leggibilità, il libro non prevede solo un font specifico per dislessia, una spaziatura maggiore e una sbandieratura a destra ma si premura anche di evidenziare le parole più complesse con un colore che ne identifica la funzione nel testo e di esplicitarne il significato con un glossario posto a lato della pagina: caratteristica, questa, che agevola senz’altro la lettura anche tra i lettori meno forti pur ricordando forse un po’ troppo l’impianto caratteristico dei libri scolastici.

Dentro fuori

Ci avevano stupito e conquistato con Prima dopo, Anne-Margot Ramstein e Matthias Aregui che ora tornano per un gradito bis con un nuovo albo senza parole intitolato Dentro fuori. Costruito in maniera analoga al volume precedente sul dialogo tra due categorie contrapposte – in questo caso di tipo spaziale – il libro si sviluppa su doppie pagine, mostrando la medesima situazione dall’interno e dall’esterno. Quello che si crea è dunque un confronto tra due punti di vista che non è mai piatto e asettico ma anzi lascia spazio a sorprese sempre gustose, a colpi di scena inattesi, a echi lontani e a risvolti emotivi.

Così, per esempio, quella che da fuori parrebbe una grotta desolata, da dentro rivela uno spettacolo prezioso fatto di gemme; quello che da dentro sembrerebbe un anonimo naufragio, da fuori omaggia silenziosamente Pinocchio; o quello che da dentro appare come una semplice fuga dalla finestra, da fuori si arricchisce di intriganti particolari narrativi. Perché proprio in questo sta la bravura dei due autori francesi: nel fare leva su quello scarto tra interno ed esterno per costruire dei micro-racconti e suggerire la molteplicità di punti di vista da cui è possibile guardare la medesima situazione.

Il volume è ricco di richiami e rimandi anche interni che rendono la lettura e la rilettura particolarmente affascinanti ma si sviluppa perlopiù per quadri minimi che facilitano la fruizione anche laddove ci siano difficoltà a seguire e costruire fili narrativi piuttosto lunghi. L’assenza di parole consente dal canto suo di rendere il volume particolarmente accogliente nei confronti di lettori che decodificano con fatica il testo ma non manifestano difficoltà cognitive. Rispetto a chi invece sperimenta maggiori difficoltà, il volume può risultare più ostico ma può comunque offrire spunti efficaci per appropriarsi in maniera stimolante e tutt’altro che scolastica dei concetti spaziali su cui il libro si regge.

Annie. Il vento in tasca

Che forza, Annie! Classe 1970, Annie Cohen Kopchovsky compì più di 120 anni fa un’impresa memorabile: percorrere il giro del mondo in sella alla sua bicicletta. Nata per scommessa, la sfida di Annie diventa cosa serissima: perché decine di migliaia di chilometri su un sellino (peraltro d’altri tempi) non è propriamente una passeggiata; perché lungo il viaggio non sono pochi gli intoppi – dalle cadute alle reclusioni in prigione; e, non ultimo, perché Annie è una donna e questo porta con sé una fitta serie di complicazioni. Non certo fisiche, come dimostrerà il successo della sua impresa, ma di tutt’altro genere: Annie deve infatti fare i conti con giudizi e pregiudizi che la vorrebbero a casa a occuparsi di marito e figli piuttosto che in calzoni e abiti maschili a scorrazzare per il mondo. Ma già più di un secolo fa, per fortuna, l’opinione comune non era unica e così, dall’America all’India, Annie incontra personaggi moderni, attenti e rispettosi, che sposano la sua battaglia e le offrono appoggio: chi la scorta dopo una rapina, chi la accompagna nei tratti di mare, chi le offre abiti e mezzi più funzionali, chi le dona voce attraverso le pagine di un noto giornale. E così Annie, può finalmente fare ritorno in patria con nelle tasche un vento di libertà che ancora oggi è di grande ispirazione.

Intelligente e vigorosa è la scelta di Sinnos di dedicare ad Annie un volume della sua collana di graphic novel. Perché senza bisogno che lo si sottolineai e ci si giri intorno, la sua vicenda condensa una grandissima ricchezza di spunti e prospettive sulla delicata questione della parità di genere. E lo fa con lo sprint asciutto di un racconto avventuroso che attraversa settimane e continenti in poco meno di cento pagine, supportato da illustrazioni eloquenti, tutte giocate sul marrone e sul blu, che tanta parte hanno nell’aiutare il lettore a restare sulla scia di Annie. Frequentissime, talvolta frammentate al punto da immortalare con minuzia episodi particolari, le figure di Luogo Comune danno una spinta alla lettura, rendendola molto fresca e dinamica.

Campo Bravo

Presto, fate largo: torna in pista l’irresistibile duo composto da Boonen e Melvin! Noti ai lettori italiani per i divertenti Weekend con la nonna e Mammut!, entrambi editi da Sinnos, i due autori fiamminghi ripescano il personaggio di Teo per catapultarlo in una nuova e tutto fuorchè desiderata avventura.  La minaccia in vista è questa volta rappresentata dal campeggio: un’esperienza che il giudizioso Teo eviterebbe con piacere, tanto più che Campo Bravo sbandiera a destra e a manca la sua specialità in avventure grandiose e pericolose.

Ogni protesta del bambino, chiaramente, risulta vana: tutti – dai genitori alla Tata Pelosa – sono convinti che sarà per Teo un’occasione di grande divertimento. E così, caricata la valigia da 100 kg sullo scoppiettante sidecar della Tata, Teo parte alla volta di Campo Bravo. Qui le avventure in effetti non mancano, e con loro neppure la grandiosità e il pericolo promessi: arrampicate e tuffi mozzafiato sono all’ordine del giorno e Teo finisce in infermeria (dove – sorpresa! – lavora l’immancabile Tata Pelosa) più di una volta. Eppure a Campo Bravo Teo non trova solo questo. La compagnia dell’amico Jack, con cui divide la tenda e la malinconia di casa, e i test improbabili del capo Osvaldo al motto di “Immaginate che…” gli offriranno un’opportunità preziosa e inattesa: quella di vivere l’errore e le paure come una strada per il coraggio.

Strutturato, così come Mammut!, intrecciando vignette, fumetti senza balloons e didascalie, Campo Bravo si contraddistingue per un uso ironicissimo dei dialoghi e delle figure e per un gioco cromatico, che coinvolge sia il testo sia le illustrazioni, tutto basato sul salmone e sul blu. Rispetto alla precedente avventura che vede protagonista Teo, Campo Bravo ha però un ritmo più irregolare e imprevedibile che si riflette anche dal punto di vista grafico in una distribuzione meno regolare di testo e vignette. Ciononostante la pagina resta pulita e le parole non si affollano, lasciando così intatto il piacere della lettura. La stampa ad alta leggibilità, in cui giocano un ruolo prezioso gli spazi, l’uso del colore e l’impiego della speciale font leggimigraphic messa a punto da Sinnos, contribuisce dal canto suo a spianare la strada alla lettura anche a bambini la cui dislessia complica la decodifica del testo.

Gli acchiappacattivi

Un gatto dall’inventiva fuori dal comune e un topo specialista dei lavori a maglia: già così ce ne se sarebbe a sufficienza per tuffarsi senza esitazioni tra le pagine a colori di Rasmus Bregnhoi. Ma non è tutto, perché a confermare il lato originale e stuzzicante de Gli acchiappacattivi, concorrono anche un racconto gustoso, delle illustrazioni che brulicano di dettagli sfiziosi e un’impaginazione amichevole che rende molto ben bilanciato il rapporto tra testo e immagini.

Ma andiamo con ordine. Gli acchiappacattivi sono Mus e Mis, rispettivamente un topo e un gatto. Le loro strade si incontrano in un vicoletto, quando Mus sta per finire tra le grinfie del perfido gatto Kat e Mis lo salva mettendo in azione la sua scacciacani: invenzione evidentemente funzionale anche per scacciare i gatti. Tra i due nasce un’amicizia sincera, alimentata dal desiderio di costruire un rifugio comune che possa ospitare nuove mirabolanti invenzioni. E così, a bordo di un ingegnoso sidecar, Mus e Mis iniziano la loro avventura insieme che li porterà a realizzare una casa strabiliante in  cui costruire la mirabolante macchina Acchiappacattivi. Inutile dire che a testarla sarà, suo malgrado, proprio il perfido Kat, sancendo definitivamente il soldalizio tra gatto e topo in nome dei bulloni e dei cappelli fatti a maglia.

Ironico e accattivante (mai aggettivo fu più azzeccato!), Gli acchiappacattivi celebra il valore dell’amicizia in tutte le sue forme, soprattutto quelle più inattese e strampalate. Contraddistinto da un formato snello, da illustrazioni frequenti e da caratteristiche tipografiche di alta leggibilità, il lavoro di Rasmus Bregnhoi si presta benissimo a una lettura senza fretta, in cui gustarsi particolari divertenti disseminati qua e là, lasciarsi ispirare dalle invenzioni al centro del racconto (e dal bellissimo rifugio che Mus e Mis si costruiscono) e sentirsi supportati da una narrazione che fa dell’incontro tra parole (sia in maiuscolo che in minuscolo) e figure un’ancora preziosa anche per bambini che sperimentano maggiori difficoltà nella decodifica del testo scritto.

I tre porcellini (I libri per tutti)

Quella de I tre porcellini è fiaba nota e ampiamente proposta dall’editoria per l’infanzia. All’interno di questo variegato calderone, la versione targata DeAgostini ha l’apprezzabile qualità di sostenere la narrazione con un bello sprint, grazie soprattutto alle illustrazioni di Mariachiara Di Giorgio. Lo stile buffo e delicato dell’illustratrice, non privo di succulenti dettagli moderni, rende infatti la lettura particolarmente piacevole.

Lo stesso libro è ora reso disponibile dall’editore in una versione in simboli che fa parte del progetto I libri per tutti, promosso da Paideia. Le illustrazioni originali si affiancano qui a un testo in simboli WLS, in cui componente alfabetica (in maiuscolo) e componente pittografica convivono all’interno del riquadro. La scelta compositiva dei curatori va inoltre nella direzione di non simbolizzare individualmente tutti gli elementi della frase, così da privilegiare la fluidità di lettura più che la minuzia del racconto in CAA.

Il risultato è un libro gradevole, anche nella grafica, e disponibile sia in versione cartacea sia in versione digitale: vero cuore, quest’ultima, del progetto I libri per tutti. Fruito su tablet o smartphone, I tre porcellini prevede la possibilità di personalizzare la modalità di lettura beneficiando o meno, a seconda delle esigenze, della modalità basata sul modeling e di rafforzare la familiarità con i simboli grazie a illustrazioni smart e a una serie di attività ludico-didattiche. Nell’ultima sezione dell’ebook si propone infatti al bambino di cimentarsi con un’attività basata sul gioco del memory; di trovare il simbolo corrispondente, tra quelli proposti, a un certo soggetto illustrato; di ricomporre una frase con alcuni simboli e di colorare un’illustrazione passando il dito sullo schermo.

Libro e book-app appaiono in generale molto accattivanti e fruibili. L’unica perplessità, di fronte alla relativa scarsità di risorse in simboli attualmente disponibili sul mercato, resta quella legata alla scelta dell’editore di simbolizzare una fiaba di cui esistono già due versioni accessibili a bambini con difficoltà comunicative, rispettivamente edite da Uovonero e Homeless Book.  Nello stesso formato e con le stesse caratteristiche l’editore ha messo tuttavia a disposizione del progetto anche altre due fiabe, ossia Il gatto con gli stivali e La bella addormentata.

 

I libri per tutti

I tre porcellini rientrano nel progetto I libri per tutti, promosso da Fondazione Paideia in collaborazione con quattro grandi gruppi editoriali: Gems, Mondadori, Giunti e DeA Planeta libri.

I titoli che fanno parte del progetto, messi a disposizione dai rispettivi editori per l’adattamento e la simbolizzazione, vengono proposti in formato digitale: scelta questa che amplifica le possibilità di personalizzazione, cosa non da poco quando si parla di bisogni speciali di lettura. Allo stesso tempo questo nuovo formato incentiva l’interazione e il coinvolgimento e questo può costituire allo stesso modo un vantaggio o uno svantaggio a seconda del lettore che ci si trova davanti. La possibilità di compiere azioni sullo schermo – tappando i simboli che attivano così il modeling o toccando i punti sensibili delle illustrazioni che attivano così un movimento – può costituire infatti fonte di distrazione o al contrario motivo di aggancio al testo. In questo senso particolarmente significativi e versatili risultano quei titoli – come Brucoverde o I tre porcellini – che all’ebook uniscono anche il libro cartaceo, a sua volta adattato e simbolizzato.

La simbolizzazione dei testi, curata dall’équipe della Bottega Editoriale di Fondazione Paideia, prevede l’utilizzo della collezione WLS (Widgit Literacy Symbols) e non segue un modello particolarmente rigido di traduzione, optando piuttosto per la valutazione di soluzioni diverse – per esempio rispetto all’accorpamento di più elementi testuali all’interno di un  unico simbolo – a seconda dei casi. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra rispetto della complessità ed effettiva leggibilità del testo: equilibrio che può variare sensibilmente in base al tipo di testo e al target di riferimento.

Tutti gli ebook de I libri per tutti comprendono 3 sezioni, denominate ModelingLeggi e Gioca. La prima propone il testo in simboli nella parte bassa della pagina mentre in quella più alta colloca le illustrazioni, animabili in certi punti al semplice tocco o trascinamento. Il modeling dal canto suo può essere attivato in una duplice modalità: quella automatica, per cui l’audio scorre fluido e i simboli vengono evidenziati man mano che sono pronunciate le parole corrispondenti; e quella manuale, per cui l’audio si attiva solo nel momento in cui viene toccato il singolo simbolo. La seconda sezione propone una pagina divisa in maniera analoga ma qui il testo è esclusivamente alfabetico. L’audio può essere attivato o disattivato. Nel primo caso scorre in maniera automatica mentre simultaneamente vengono evidenziate le parole pronunciate. L’ultima sezione, infine, propone 3 attività ludico-didattiche che – seppur diverse nel contenuto da libro a libro – prevedono quasi sempre l’ordinamento o la scelta di simboli per completare una frase, l’ordinamento o la scelta di simboli e illustrazioni in base a specifiche istruzioni (trovare il colore giusto, ordinare per grandezza…), il completamento cromatico di un’immagine tramite passaggio del dito dello schermo.

Ogni ebook prevede in apertura una pagina essenziale che riassume e anticipa il significato delle icone che il lettore potrà trovarsi davanti durante la lettura e delle azioni che potrà compiere per districarsi tra le pagine. Tra queste, non manca per esempio il movimento per voltare pagina che prevede lo spostamento di un quadrato colorato all’interno di un quadrato bianco: azione studiata per risultare più agevole del più comune gesto di sfogliatura.

Personalizzazione la lettura, interazione, moltiplicazione degli spunti ludici e degli strumenti in un’ottica di accessibilità costituiscono in definitiva i veri punti di forza di questo progetto che ha senz’altro il merito di mettere in valore le specificità del digitale e di accendere un faro sulle possibilità aperte da quest’ultimo in favore dell’inclusione.

Ruggiti

Ci sono un leone, una bambina e un meccanico: non è l’inizio di una barzelletta ma il cuore di Ruggiti, un’avventura straordinaria scritta da Daniela Carucci e targata Sinnos. Il leone, in particolare, si chiama Leo e fa compagnia al meccanico Mario da quando la sua proprietaria – donna cannone di un famoso circo – si è trasferita oltreoceano senza poter portare l’animale con sé. Malgrado l’apparenza Leo non è pericoloso e infatti fa presto amicizia con la piccola Mia, compagna di giochi e abituale visitatrice dell’officina di Mario. Un giorno però dei loschi tizi di blu vestiti e denominati, per l’appunto, I Blu, portano via con la forza il povero Leo, innescando una girandola di eventi ad alto tasso di coraggio e divertimento.

Ispirato a una storia vera (!), ripescata dalle memorie d’infanzia dell’autrice, Ruggiti trascina il lettore in un inseguimento a rotta di colla, tra le grinfie di malviventi senza scrupoli, in sella a un’ape con le ali e nel folto di un bosco, il tutto senza scordare di trovare il lato buffo di ogni situazione e aggiungere un sorriso a ogni capitolo.

Complici anche le illustrazioni frizzanti di Giulia Tonelli e la stampa ad alta leggibilità che rende la lettura meno ostica, il libro si presta a far vivere più di un’emozione anche a bambini poco propensi alla lettura.

La tana nell’albero

Il 2019 è ufficialmente l’anno dei leoni addomesticati ad alta leggibilità! Dopo Ruggiti di Daniele Carucci, edito da Sinnos, esce ora per Biancoenero La tana nell’albero: un racconto lungo firmato da Cary Fagan che ci trasporta dritti dritti nella Toronto di inizio novecento. Qui un circo in trasferta perde due vagoni del treno su cui si sta muovendo: su uno di essi viaggiano un domatore e il suo affezionato leone Sunny. Scaraventati giù dal mezzo, i due si perdono di vista e l’attempato Sunny si rifugia in un albero cavo nel bel mezzo di High Park. Ma come può sopravvivere tra passeggiate ombrose e divertimenti per famiglie una creatura del suo genere? Per un po’ il leone si arrabatta cacciando di nascosto quel che può ma pavoni e visitatori a quattro zampe non sono sufficienti per la sua dieta. Come se non bastasse, le irrisolte sparizioni di animali nel parco e le misteriose apparizioni di creature mostruose che ad esse si accompagnano mettono sull’attenti polizia e opinione pubblica. Sarà allora provvidenziale l’incontro di Sunny con Sadie, la figlia del pasticcere Menke, noto in città per le sue prelibate crostate. Tra i due si instaura un rapporto di fiducia, solidamente basato su uno scambio di scarti di macelleria e coccole. Ma trovare abbastanza carne da saziare un leone non è semplice, soprattutto se in famiglia i soldi non scorrono a fiumi. Così, Sadie si convince a confidare il suo segreto felino a Theo Junior, un vicino di casa dell’alta società, dagli abiti buffi e i modi ossequiosi. La loro è un’amicizia nata per necessità, cresciuta con naturalezza e messa alla prova da un repentino precipitare dei fatti. Una soffiata costringe infatti i due ragazzini a trovare in fretta e furia una soluzione per Sunny che costringerà tutti quanti a fare i conti con ciò che è giusto e ciò che è sbagliato ma anche con la perdita che può diventare conquista. Di libertà, per esempio.

Scorrevole, avvincente e ricco di questioni importanti, mai tuttavia sbandierate o men che meno sezionate con intenti didascalici, La tana nell’albero è un racconto che accarezza e scuote, proprio come avrebbe fatto il vecchio Sunny. Stampato come di consueto con caratteristiche di alta leggibilità, agevola inoltre la lettura anche a ragazzi con difficoltà legate alla dislessia.

Io sono Bellaq

La penna di Vincent Cuvellier sa essere versatilissima: leggera e poetica come in La prima volta che sono nata, asciutta e cruda come in La zuppa dell’orco, spassosa e irriverente come in Giancretino ed io. E proprio perché è versatilissima, all’occorrenza questi tratti sa anche mescolarli. È quel che accade in Io sono Bellaq, l’ultimo lavoro dell’autore francese pubblicato da Biancoenero.

Spiazzante, audace e provocatorio, Io sono Bellaq racconta la disavventura di  Bellaq Mostaganem, bambino di origini algerine che una mattina viene prelevato dalla sua classe da una squadra di poliziotti in tenuta antisommossa, portato in luoghi segreti, interrogato, trasferito e messo alle strette con l’accusa di aver compiuto un attacco terroristico in un ristorante: evento del giorno di cui tutti parlano ma di cui lui pare non sapere nulla (la mamma infatti non gli permette di guardare la tv la mattina!). Passerà una giornata intera, tra insinuazioni minacciose e incontri degni di un film poliziesco, prima che Bellaq possa essere restituito alla sua famiglia e tornare, scagionato da ogni accusa, alla sua vita di bambino, dopo un’avventura ben oltre l’ordinario e senz’altro non priva di strascichi quotidiani.

Verrà fuori che a scatenare panico e azioni militari era stata una banale omonimia tra il protagonista e il reale autore dell’attacco: aspetto che accentua ulteriormente la surrealità del racconto, mettendo bene in evidenza la cecità di una giustizia a tutti i costi, disposta ad autentiche follie in nome della sicurezza nazionale. Senza rinunciare a quell’ironia che lo rende inconfondibile, Vince Cuvellier prende così di petto una questione scottantissima, soprattutto per un paese come la Francia all’indomani di diversi attacchi di matrice terroristica e più in generale di numerose manifestazioni di fallita integrazione. La storia di Bellaq, per quanto incredibile, diventa cioè un grido di attenzione, un richiamo a quell’umanità che emergenza e paura rischiano di mettere pericolosamente in secondo piano.

L’attualità del tema, unita allo stile accattivante dell’autore, offrono un buon aggancio a lettori desiderosi di confrontarsi con storie dense e tutt’altro che banali: storie da grandi, insomma. La stampa ad alta leggibilità, caratteristica della casa editrice romana, concorre inoltre, a sua volta, a rendere la fruizione più a misura anche di lettori con Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Non parlo più!

Aurora è una bambina timida e piuttosto solitaria: non ama granché i giochi che fanno le sue compagne e fatica a trovare con loro una possibilità di interazione. Un giorno, messa in imbarazzo davanti alla classe intera a causa di un brutto tiro giocatole da un compagno, Aurora si chiude in sé stessa, rinunciando totalmente a esprimersi a parole, al di fuori dell’ambito familiare. Sarà una maestra paziente e sensibile, con la sua disponibilità ad accogliere i tempi e i modi della bambina, ad aiutarla a sconfiggere quella che lei chiama la timistrezza: un mix di timidezza e tristezza difficilissimo da scacciare. Ma sarà anche l’aiuto di Chiara, nuova compagna di classe, a giocare un ruolo decisivo nel percorso di superamento delle proprie difficoltà da parte di Aurora, delineando così con forza, l’idea che empatia e condivisione tra pari possono fare la differenza nel far sentire ogni bambino accolto e rispettato.

Quella scritta da Sabrina Mengoni è una storia che nasce da un’esperienza reale e che non nasconde un esplicito intento pedagogico: quello di dare voce ai bambini colpiti da mutismo selettivo, mettendo in evidenza le difficoltà e le emozioni che questo tipo di evento porta frequentemente con sé.

Il libro, pubblicato da Eli La Spiga, presenta alcune caratteristiche di alta leggibilità quali il ricorso al font leggimi, la maggiore spaziatura e la sbandieratura a destra del testo che ne rendono più agevole la lettura anche in caso di dislessia. La carta scelta, dal canto suo, si presenta lucida (quindi con qualche criticità legata al riflesso) ma color crema.

La collana L’albero delle storie di cui Non parlo più! fa parte comprende alcuni altri titoli ad alta leggibilità, reperibili qui: https://www.alberodeilibri.com/catalogo/?filter_leggibilita=carattere-ad-alta-leggibilita&query_type_leggibilita=or.

Flamel e la pietra magica

Re Edoardo è un re saggio e benevolo: per questo il suo regno prospera e tutti i suoi sudditi lo amano. Tutti tranne uno, a dire il vero: il perfido cavaliere Rolando non si fa infatti scrupoli a imprigionare il re e a impadronirsi del castello, al fine di diventare fortissimo e invincibile. Prima di essere rinchiuso nelle segrete Re Edoardo riesce tuttavia a far scappare l’amata figlia Isabella che si rifugia su suo consiglio dall’amico alchimista Flamel. Dotato di conoscenze preziose e in possesso di una pietra dai poteri misteriosi, Flamel accoglie la fanciulla che proprio grazie a un inatteso prodigio riesce a salvare sé stessa e il regno dalle mire del malvagio Rolando.

Pubblicata in simboli, scelti e disposti secondo le linee guida del modello inbook (simboli WLS in bianco e nero, tutti gli elementi della frase simbolizzati, testo e pittogramma racchiusi all’interno del riquadro), Flamel e la pietra magica propone in una versione accessibile anche a ragazzi con difficoltà comunicative una storia dal sapore fiabesco in cui si radica la leggenda della pietra filosofale. Il racconto, agevole da seguire e avventuroso, è accompagnato da illustrazioni in stile fumettistico, ispirate in particolare al genere dei manga, che lo rendono particolare nel panorama dei libri in Comunicazione Aumentativa e Alternativa e potenzialmente di maggiore appeal anche nei confronti di ragazzi oltre che di bambini.

Matilde (Kalandraka)

Imbattersi nel nome di Matilde, gironzolando tra pagine per l’infanzia, fa sempre drizzare orecchie: da Rolad Dahl in avanti – nomen omen – dove c’è qualche Matilde è facile che si trovi un’avventura straordinaria o un personaggio che sa il fatto suo. Non fa eccezione la protagonista di un silent book piccolo piccolo ma colmo di immaginazione, nato di recente in casa Kalandraka.

La Matilde che lo abita è una bambina che a star ferma e buona ci pensa poco. I due codini che porta sulla testa sembrano ali e così, a guardarla di sfuggita, ci pare quasi una fatina: una fatina determinata e furba, creativa e coraggiosa, che tanto desidera uno dei pennelli del pittore, osservato in silenzio dal davanzale della finestra. Trovato il modo di arraffare il pennello, Matilde si lancia impaziente verso un muro tutto bianco per dipingervi un bel drago, con tanto di ali e squame. Il drago presto prende vita e inizia a passeggiare per la città, ma qualcosa non va come previsto e il drago, dapprima mansueto e tranquillo, inizia a scatenarsi rosicchiando tutto ciò che gli capita a tiro. Non è facile per Matilde tenere il passo e tenere a bada la sua creatura, nemmeno quando, con il suo pennello magico, disegna un guinzaglio da mettergli al collo. Provvidenziale sarà l’intervento dello stesso pittore, grazie al cui trucco da maestro il drago rosso fuoco potrà trovare una nuova casa e il pennello prodigioso potrà forse stupire un nuovo bambino.

Sulla scia di capolavori quali Harold e la matita viola di Crockett Johnson o i più recenti Viaggio, Scoperta e Ritorno di Aaron Becker, Matilde riprende la prolifica idea secondo cui un semplice strumento da disegno, messo nelle mani giuste, possa dare vita ad autentiche magie. Si rinnova così il grido a gran voce (ma in questo caso senza alcuna parola!) che l’immaginazione coltivata e ben condotta sia potentissimo strumento di riscatto, soprattutto in un mondo dominato dal grigiore. Molto efficace, in questo senso, l’uso che l’autrice fa del colore: il suo gioco sui toni del bianco, del nero, del grigio e del rosso, sottolinea infatti in maniera incisiva l’interazione tra dimensione reale e dimensione fantastica che anima il volume.

Popolato di creature bizzarre e affascinanti e contraddistinto da dettagli significativi sparsi qua e là, il mondo dipinto da Sozapato chiede interpretazioni non sempre immediate e tiene costantemente vigile l’attenzione del lettore, offrendogli un’opportunità narrativa intrigante e suggestiva che non si esaurisce in un tempo fugace.

Alice nel paese delle meraviglie (I classici con la CAA)

Di classici non se ne ha mai abbastanza. Con piacere registriamo dunque il continuo impegno di Erickson nell’adattamento in CAA di alcuni dei libri senza tempo più amati dai ragazzi. Dopo Il Piccolo Principe, Pinocchio e Il mago di Oz è ora la volta di Alice nel Paese delle Meraviglie: sfida delicatissima per chiunque si occupi di traduzione, anche e a maggior ragione se questa implica un codice così particolare come quello pittografico.

La scelta che viene fatta qui è quella di mantenere il più possibile intatta la vivacità narrativa, la varietà dei personaggi e la surrealtà degli avvenimenti che vedono protagonista la curiosa Alice, rinunciando però alla ricchezza di nonsense e di giochi linguistici che contraddistinguono e rendono indimenticabile l’originale: scelta che snatura in parte la peculiarità del lavoro di Carroll ma che risulta funzionale a un’effettiva fruizione del racconto anche da parte di bambini e ragazzi con difficoltà di decodifica del testo alfabetico e di padroneggiamento di un uso della lingua poco aderente al reale.

Come per i titoli precedenti, anche questo volume è frutto di un accurato lavoro di squadra che vede coinvolte diverse figure professionali. Il libro nasce infatti da un’opera di semplificazione testuale messa in atto da Carlo Scataglini (e ritrovabile nell’omonimo volume della collana I classici facili), di simbolizzazione a cura di Roberta Palazzi e di ricca illustrazione per mano di Cinzia Battistel e Giorgio Valentini.  Il risultato è un volume di grosso formato e di bellissimo aspetto, all’interno del quale le illustrazioni godono di un ampio spazio, ideale per supportare una lettura affascinante ma di per sé non facilissima e al contempo per offrire al lettore un libro che dica anche nella forma la preziosità del suo contenuto.

E se il cielo non piovesse?

Piove, è una giornata grigia. Una goccia di pioggia cade sul foglio da disegno di un bambino e da lì una piccola magia ha inizio. Niente bacchette o sortilegi: l’incanto nasce tutto da una domanda portentosa: E se il cielo non piovesse? Incuriosito da quest’interrogativo che di colpo gli balena in testa, il protagonista del libro parte per un viaggio immaginario alla scoperta dei segreti del cielo.

In un crescendo fantastico che parte dalle reali conseguenze della pioggia e arriva ai passatempi che sole e pioggia si concedono insieme, il racconto di Giorgio Volpe segue leggero un pensiero bambino: un pensiero capace di spingersi molto molto lontano, mosso com’è da immaginazione e curiosità.

Arricchito dalle illustrazioni di Paolo Proietti, che amplificano con grazia la dimensione fantastica e poetica del racconto, E se il cielo non piovesse? è reso disponibile dall’editore Il Ciliegio in un duplice versione: tradizionale e inbook. Quest’ultima presenta il testo in simboli WLS, puntualmente riquadrati e disposti sulla pagina in modo da interferire in meno possibile con la grafica originale dell’albo.

Questo posto è mio!

Lotte e litigi furibondi a suon di “È mio!” “No, è mio!” sono il pane quotidiano di genitori ed educatori alle prese con bambini piccoli. Piuttosto simile deve essere la vita delle papere, o almeno questo presumiamo tuffandoci nello stagno di Claire Garralon. Qui infatti gli interessati all’acqua fresca e azzurrina sono via via più numerosi e ogni arrivo è tutto un difendere e delineare settori di competenza, finché non compare l’ennesimo pennuto che invita i compagni a rivedere il senso dello stagno, rimettendo in discussione il valore di proprietà e condivisione. Tutto è bene quel che finisce bene. Se non che, proprio sul più bello, compare un ippopotamo e poi un altro… e, insomma, la faccenda dei confini (che straordinaria attualità!) può dirsi tutto fuorché risolta!

Divertente pur senza rinunciare a un tocco di saggezza, Questo posto è mio! è un albo fruibilissimo in tutti i suoi aspetti. La storia è infatti lineare, con un andamento iterato e attenta a un problema ben noto anche ai piccolissimi. Immagini e testo, dal canto loro, tengono sempre bene in considerazione il pubblico di riferimento: se le prime, infatti, si stagliano nette e ben contrastate sulla pagina, con sagome essenziali e colori pieni, il secondo procede ritmato e asciutto, prestandosi bene a una lettura condivisa. Da non sottovalutare, infine, anche il fatto che la stampa risponda a caratteristiche di alta leggibilità. Il fatto che il libro non sia rivolto a un pubblico di giovani lettori autonomi, infatti, non significa che non valga la pena offrire loro fin da subito una scrittura più amichevole con cui iniziare a familiarizzare, sguazzandoci con naturalezza e piacere a mo’ di paperella.

La voce

Da qualche giorno la mamma di Tobia non è a casa perché ricoverata in ospedale. Tobia resta con il papà, poco pratico in cucina ma molto affettuoso e amorevole. Nonostante le sue coccole e gli strappi alla regola del dormire da soli, l’assenza della mamma si fa sentire forte per Tobia. Ogni sera la stanza del bambino pare trasformarsi in una caverna popolata da mostri e una voce misteriosa lancia messaggi spaventosi. Non sarà facile, dunque, per Tobia affrontare il buio e le sue creature più terrificanti. Le cure comprensive del papà, i racconti sollevanti della nonna e, infine, il ritorno a casa della mamma lo aiuteranno tuttavia a fare pian piano i conti con i suoi timori e a ritrovare una serenità che pareva smarrita.

La voce, scritto da Luisa Carretti, è tratto da una raccolta precedentemente pubblicata per gli stessi tipi di Storie Cucite. Nato per affrontare con i più piccoli il tema della paura, il racconto viene qui reso in simboli così da poter raggiungere un più ampio bacino di lettori, compresi quelli che beneficiano di una narrazione supportata visivamente. Come da modello inbook, il testo viene integralmente simbolizzato, il che concorre a rendere la lettura in simboli molto ricca ma anche la pagina piuttosto affollata. Accompagnato da illustrazioni a matita molto delicate e rassicuranti, La voce si presta a una lettura condivisa con bambini la cui dimestichezza con i simboli WLS e con racconti di un certo corpo sia già consolidata.

La mia casa è uno zoo

Che La mia casa è uno zoo sia un libro insolito lo si intuisce dalla copertina: non solo per via del fatto che vi spiccano un leone con occhiali a stella e una banda musicale a penne e zampe, ma anche perché i crediti vengono riportati al contrario rispetto alla consuetudine. Pieter Gaudesaboos, illustratore, figura come autore principale, mentre si specifica che il testo è di Sylvia Vanden Heede. Il perché di questa scelta diviene chiaro una volta aperto il volume: il racconto che segue la giornata di Carlotta, una bambina frizzante che vive proprio al centro dello zoo, passa in qualche modo in secondo piano rispetto alle figure caleidoscopiche dell’artista olandese, autentico catalizzatore di attenzione sulla pagina.

Ogni illustrazione vede interagire, così come in effetti confermato e dettagliato dal racconto a parole, la piccola Carlotta e alcuni abitanti dello zoo, all’interno di istantanee strabordanti di dettagli narrativi stuzzicanti tra i quali letteralmente perdersi. L’invito ad aggirarsi con occhio stupito e spalancato tra particolari curiosi e suggestivi, viene poi rafforzato dalle domande intriganti – 3 per ogni pagina – che trasformano la lettura in un vero e proprio gioco. Così il racconto dell’originale giornata di Carlotta tra colazioni insieme alla giraffa, pittura nell’atelier dei pinguini, gelati di messer Orso e letture serali con la più variegata compagnia – diventa lo spunto per un cerca-trova raffinatissimo che prende spesso le mosse da indovinelli misteriosi.

Il libro non si limita infatti a sfidare a trovare un certo oggetto o personaggio, ma lascia al lettore il gusto di intuire che cosa vada cercato. Quesiti come Chi è il più vanitoso?, per esempio, o Qualcuno ha paura che possa piovere oggi… invitano, infatti, ad affinare l’ingegno, facendo ipotesi tutte da verificare al confronto con la pagina illustrata.

Il risultato è un libro in cui immergersi a lungo, nel quale la lettura è sostenuta non solo da una stampa del racconto ad alta leggibilità ma anche da una dinamica ludica sfiziosa e capace di valorizzare al meglio la ricchezza narrativa sottesa alle tavole.

Solo una storia e poi a letto!

Mettetevi comodi e datevi un contegno: la lettura, in solitaria o condivisa, di Solo una storia e poi a letto! richiede infatti grande aplomb e rodato autocontrollo. Perché il libro scritto da Marion Gandon e illustrato da Laurent Simon non è solo piacevole o divertente, ma fa proprio ridere. Ridere a crepapelle.

Protagoniste sono quattro bambine scatenate, presumibilmente cugine, che mettono alle strette la malcapitata adulta, tale Marianna, che della loro messa a letto è incaricata. Di fronte alle loro insistenti richieste di ascoltare una storia, Marianna cede una, due, tre volte, dando forma a tre mini-storie gustosissime, prima di crollare addormentata prima delle piccole (quanto realismo in questo dettaglio!).

E proprio le piccole – la bionda Flavia, la mora Noemi, la rossa Carlotta e la rosa fluo Bianca – sono al centro delle micro-storie raccontate da Marianna: un concentrato di invenzioni surreali, imprevisti e trovate comiche che vede passeggiate in bicicletta divenire improbabili carovane di animali da fattoria; pantofole rosa causare disastri al profumo di fango e forti tempeste dare avvio a pigiama party fuori dagli schemi.

A rendere il tutto ancor più irresistibile, una scrittura minimale che presenta anche i fatti più assurdi come fossero normalissimi senza lasciar spazio a se e a ma, e illustrazioni buffe e frequenti che trasformano pochi tratti in un’autentica chiamata al sorriso.  Parole e illustrazioni fanno qui un gioco di squadra efficacissimo, andando a comporre ogni pagina di una o due vignette al massimo, ciascuna accompagnata da una frase breve e incisiva, stampata ad alta leggibilità con carattere maiuscolo leggimiprima. Tutto questo supporta con grande forza e grande intelligenza la lettura autonoma, anche da parte di bambini che presentano maggiori difficoltà di decodifica, senza dover necessariamente ricorrere a una proposta sciatta o semplificata. Anzi!

Ricapitolando: se siete bambini alle prese con le prime letture autonome troverete una pista in discesa verso grandi soddisfazioni; se siete bambini desiderosi di condividere un momento di lettura spassoso troverete un motivo incontestabile per rimandare la nanna. E se siete adulti dediti alle suddette letture serali, preparatevi a destreggiarvi tra una profonda vicinanza emotiva con la stremata Marianna e l’inconfessabile desiderio di unirvi al coro di “Ancora  una, un’altra, l’ultima, l’ultimissima, ti prego…”!

Ranocchio

Quella di Ranocchio è la storia di un cucciolo smarrito, che trova cura e protezione nella tana di una mamma lupa e che viene adottato dall’intera giungla come fosse da sempre nato lì. Cacciato senza posa dalla tigre, Ranocchio ripaga la grande famiglia che si è generosamente occupata di lui, scacciando con il fuoco il feroce felino.

Asciuttissimo omaggio al capolavoro di Kipling, Ranocchio è frutto di una rielaborazione testuale a cura del gruppo di scrittura collettiva dell’Associazione Arca. Analogamente, le illustrazioni che accompagnano ogni pagina sono nate in seno all’associazione: i disegni del gruppo sono poi stati integrati all’interno delle suggestive tavole del libro dall’illustratrice Debora Antonello, in un lavoro promosso dalla casa editrice Storie cucite e volto alla promozione di una diversa idea di inclusione. Dall’impegno delle numerose persone con diverse abilità coinvolte in questo progetto nasce infatti un libro piacevole da sfogliare e da leggere, contraddistinto da immagini intense, e capace dunque di colpire e toccare un ampio bacino di lettori.

Simbolizzato secondo il modello inbook, Ranocchio presenta un testo essenziale, distribuito in maniera ariosa (con al massimo una o due frasi per pagina) e composto perlopiù di frasi brevi, anche se dalla struttura sintattica non sempre lineare ed elementare. Allo stesso modo, le parole impiegate non sono particolarmente complesse ma il loro uso è non di rado metaforico, il che le rende al contempo meno immediate e più affascinanti. Apprezzabile, d’altro canto, la loro scelta minuziosa e puntuale, che ne valorizza il potenziale evocativo e la qualità sonora: aspetti questi, che uniti al vigore delle illustrazioni, concorrono a rendere forte e piena l’esperienza di lettura offerta da Ranocchio.

La guerra può aspettare

Non c’è mestiere più noioso del soldato in tempo di pace. Hai voglia ad ammazzare il tempo con maratone di tennis in tv, corsi di ricamo e merende sontuose: la noia è dura, durissima da scacciare. Lo sa bene l’esercito del paese di Quaggiù, messo a dura prova da mesi e mesi senza nemmeno un assalto, o che so, una cannonata. Così quando l’agguerrito generale ordina di pulire a modino carri armati e fucili, l’entusiasmo tra le truppe dilaga senza posa. Ma il generale, deciso a dichiarare guerra all’esercito di Laggiù, non ha fatto i conti con la flemmatica saggezza del suo corrispettivo nemico. Pasticcini e gare di tiro a segno, evidentemente prioritarie, gli rendono del tutto impossibile accettare i tempi previsti per la battaglia, che viene dunque rimandata più volte. E anche quando la pazienza a Quaggiù comincia a scarseggiare e l’attacco viene sferrato, con o senza il consenso del nemico, questi riesce a sorprendere i soldati avversari con un’inattesa e sorridente trovata.

Ironicissima e affilata critica all’insensato spirito bellico, La guerra può aspettare mette in luce il potere dell’immaginazione contro ogni perdita di umanità e ridimensiona le imprese guerresche, commisurandone il valore su une scala fatta di bignè, giochi e carnevalate. Scritto e illustrato con surreale leggerezza da Josè Sanabria e Alejandra Viacava, il libro è reso ancor più godibile dalla stampa in maiuscolo e con caratteristiche di alta leggibilità che ne agevolano la lettura anche da parte di bambini alle prime armi con la parola scritta o con maggiori difficoltà di decodifica. Perché il diritto alla lettura, come quello alla pace, sia patrimonio davvero democratico.

AFK

AFK, titolo dell’ultimo romanzo di Alice Keller uscito per Camelozampa, è una sigla probabilmente familiare solo ai ragazzi pratici di videogiochi online. Sta per Away From Keyboard e significa quindi impossibilitato a giocare (perché, per l’appunto, lontano dalla tastiera). Lontano dalla tastiera si ritrova infatti il protagonista della storia, Gio, quando sua sorella Emilia decide di trascinarlo con sé nella sua fuga da casa, dopo aver scoperto di essere incinta. E non è affar di poco conto, quella lontananza, perché Gio da due anni non esce di casa, vive attaccato e letteralmente immerso nei videogiochi online e non intrattiene pressoché relazioni sociali, nemmeno con i genitori. Dopo anni di (in)sofferenza e prese in giro, Gio ha infatti deciso di chiudersi in un mondo tutto suo in cui i 130 chili che ormai appesantiscono il suo corpo non possano essere motivo di scherno, in cui i tratti autistici che lui stesso spesso cita non devono riguardare nessun altro all’infuori di lui e dove le minacce e le reazioni fuori controllo che in passato lo hanno visto protagonista gli consentono finalmente di essere lasciato in pace. È una pace quasi catatonica, la sua: uno stato di simil-incoscienza in cui il giorno e la notte sono intercambiabili e nulla conta di più che portare a termine battaglie virtuali. Per questo la fuga quasi imposta da Emilia, che per una volta e di colpo esce dal suo ruolo di sorella perfetta mostrando fragilità e debolezze, scuote Gio come un terremoto, costringendolo a prove e decisioni complesse che non districano senz’altro la matassa emotiva che lo lega (anzi!) ma che forse schiudono in lui qualche prospettiva nuova.

Spiazzante, fuori dagli schemi e diretto come un pugno, AFK mette il lettore davanti a una bella sfida. Snello nell’aspetto, ma densissimo nella sostanza, il romanzo trascina letteralmente il lettore in quel mondo virtuale – pressoché sconosciuto agli adulti, a dirla tutta – che plasma visioni e abitudini. Alice Keller, che indiscutibilmente ha un dono raro per la scrittura, riesce a costruire un racconto che ha il ritmo di un videogioco, la stessa fulminea e rimbombante cadenza. E così par davvero di entrare nella testa di Gio, in quei meandri intricati e impastati di disagio, da cui il lettore si sente avvinghiato e quasi soffocato. La lettura diventa così una corsa a perdifiato in cerca di una via d’uscita, per il protagonista così come per chi lo segue tra le pagine. Ciliegina sulla torta: la stampa del volume ad alta leggibilità – abitudine ormai consolidata, peraltro, in casa Camelozampa – che lo rende ancora più prezioso nell’ottica di promuovere ad ampio raggio letture davvero vicine e a misura di ragazzi.

Ma una bella notte

Di fronte allo straordinario albo Ma una bella notte non c’è tempo da perdere: il racconto, pur privo di parole, incalza e comincia a svelarsi fin dai risguardi. Qui incontriamo la protagonista della storia che con aria mesta saluta alcune coetanee dal sedile posteriore di un’auto in partenza. L’auto è stracolma, con persino una poltrona legata in cima, ed è seguita da un camion che lascia poco spazio agli interrogativi. Di mezzo ci deve essere un trasloco: ipotesi confermata prima ancora di arrivare alla pagina del titolo, dove ritroviamo la ragazza circondata da scatoloni, in quella che si presume essere la sua nuova casa. Da qui si parte: scuola nuova, insegnanti nuovi, compagni nuovi. Le misure sono tutte da prendere e le amicizie tutte da costruire: cosa tutt’altro che facile nonostante la buona volontà. Così, dopo qualche vano tentativo di approccio e un nostalgico accumularsi di sconforto, la ragazza inizia a rimuginare davanti all’affascinante paesaggio notturno che si staglia fuori dalla sua finestra. Quell’isola misteriosamente illuminata che dall’altro lato della baia scintilla, attira la sua attenzione e la spinge a compiere un viaggio avventuroso e sorprendente. L’isola – scoprirà infatti – è popolata da conigli luminosi, che si fanno avvicinare e coccolare, lenendo un poco la tristezza della solitudine. Uno di essi, portato a casa e poi a scuola, diventa più che un amico: grazie a lui molti compagni sdegnosi iniziano ad avvicinare la ragazza, interessandosi a lei e al suo insolito animale. Ma proprio perché di un amico si tratta, viene il momento di restituirgli la libertà: un cambiamento, questo, che nonostante la prima impressione, regalerà alla protagonista l’opportunità di scovare tra tante attenzioni superficiali un sorriso autentico e duraturo.

Menzione speciale al Bologna Ragazzi Award 2017, Ma una bella notte è un libro potente, che anche grazie allo stile particolarmente espressivo dell’autrice, si presta bene a coinvolgere (e finanche travolgere!) bambini, ragazzini e ragazzi di età anche molto diverse. Il senso di solitudine, la nostalgia degli affetti lasciati, il desiderio di poter contare su un amico vero sono infatti sentimenti trasversali che facilmente toccano quando si è piccoli così come quando si cresce. La totale assenza di parole, d’altro canto, rende il volume fruibile per un pubblico variegato e ampio anche rispetto alle diverse esigenze di lettura. La necessità di elaborare inferenze non banali richiesta dal volume non lo rende particolarmente adatto a lettori che presentino difficoltà cognitive o scarsa abitudine alla decodifica delle immagini. Grande soddisfazione può attendere invece coloro che, pur con difficoltà di decifrazione alfabetica, si muovano con agio nel mondo dei racconti per immagini, anche complessi, e che abbiano voglia di immergersi fino ai capelli in una storia densa e capace di risuonare a lungo.

I cuscini magici

C’è un re odioso che più odioso non si può che si chiama Arraffone I. Sovrano dispotico del regno di Uranopoli, Arraffone I si diletta a scrivere con la sua penna di corvo spaventose leggi: domeniche che diventano prelunedì, parchi giochi sempre chiusi, candeline di compleanno bandite e multe per grattate di naso o starnuti, solo per citarne alcune. Se si aggiunge poi che Arraffone I non esita ad appropriarsi di qualunque cosa veda col suo telescopio e gli piaccia, si capisce bene perché i suoi sudditi a dir poco lo detestino. Ma ad Arraffone quest’odio proprio non va giù: come ogni sovrano che si rispetti, vuole, infatti essere amato, adorato e perché no osannato dai suoi sottoposti. E così, quando uno dei suoi consiglieri suggerisce che il malumore sia dovuto al fatto che i sudditi la notte sognano, Arraffone I si adopera per impedir loro questa pratica e lo fa a suon di leggi, guardie, pedaggi e invenzioni malvagie. Per mezzo di speciali cuscini diabolici il re riesce per un po’ a tenere a bada il popolo indisponente, fino a quando un maestro intraprendente e i suoi solerti allievi non tiran fuori da fili di fiabe, tulle di bonboniere, piume di cigno e anelli di aquilone un’autentica magia che restituisce agli abitanti di Uranopoli la capacità e il diritto di sognare in pace.

È una fiaba lieve e ironica, quella scritta da Evghenios Trivizas: una fiaba che, sì, racconta del potere liberatorio dei sogni con un’attualità peraltro grandissima, ma che lo fa senza perdere il prezioso gusto del fantastico. Così il racconto scorre piacevole, con un bel ritmo e tante invenzioni divertenti, sia linguistiche sia narrative, che lo rendono particolarmente gustoso per una lettura ad alta voce ma anche molto invitante per una lettura autonoma. Lo stile snello dell’autore greco, la trama compatta e le caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono il volume lo rendono infatti amichevole anche nei confronti di lettori poco esperti e/o con difficoltà legate alla dislessia. Da non sottovalutare, poi, sempre in un’ottica di supporto alla lettura, le illustrazioni deliziose firmate da Noemi Vola che echeggiano alla perfezione le atmosfera fantastiche delineate dal racconto.

Pezzettino

Pezzettino è senz’altro uno degli albi più noti del maestro Leo Lionni. Inno incontrastato a un sentire bambino che non teme la complessità ma anzi si nutre di essa, Pezzettino racconta la storia di un quadrato arancione che crede di essere il tassello mancante di qualcuno e che si mette in viaggio per capire di chi si tratti, scoprendo in realtà un’identità inattesa e capace di dare un senso nuovo alla sua esistenza. Storia di straordinaria bellezza e di inesauribile eco, Pezzettino racchiude in sé crescita e ricerca, identità e differenza, errore e conquista in una narrazione che fa del dialogo affiatato tra parole e figure, la chiave per gettare semi e interrogativi fecondissimi nel pensiero del lettore senza accontentarsi di suggerirgli risposte facili e preconfezionate.

Così come accaduto per Piccolo blu e piccolo giallo nel 2015, anche Pezzettino viene ora offerto da Babalibri in una versione che unisce all’albo cartaceo un cd audio. Quest’ultimo non solo propone la lettura del testo fatta dal bravissimo Giuseppe Cederna, che fa davvero vibrare con grande rispetto tutte le corde emotive sottese al racconto, ma anche il suo puntualissimo accostamento alla Sonata per pianoforte in la maggiore D. 959 di Schubert, eseguita con grande passione e perizia da Riccardo Schwartz. In questo modo il capolavoro di Lionni, adatto ad essere letto e riletto anche ben dopo l’età prescolare, si offre in tutta la sua ricchezza anche a lettori che prediligono l’ascolto del testo alla sua lettura a stampa e scopre nuove possibilità di scoperta, intreccio e sedimentazione grazie all’incontro con una musica dal sentimento affine. L’incontro che si crea tra le parole e le figure di Lionni, la voce di Cederna, gli spartiti di Schubert e le note di Schwartz è infatti una piccola magia: un dialogo sottile tra linguaggi diversissimi che battono però sentieri vicini e celebrano ciascuno a suo modo il valore e la potenza della libertà.

Lo squalo senza denti

Chi può avere paura di uno squalo senza denti? Nessuno! Per questo gli squali bulli dell’oceano, convinti che i denti servano solo a spaventare i bambini, deridono chi non ne è provvisto come il protagonista della storia. Non si rendono tuttavia conto che ciò che appare una mancanza, un errore o un limite può rivelarsi un punto di forza. Lo squalo senza denti è infatti il paladino dei bambini che apprezzano sopra ogni cosa il suo essere innocuo e gentile. Al punto che non solo lo cercano in acqua per giocare insieme ma lo riempiono anche di doni carichi di affetto. Uno in particolare si rivela fondamentale per porre fine alle prese in giro degli squali cattivi, mettendo bene in evidenza come non porti sempre fortuna mostrare… i denti!

La storia narrata e illustrata da Albertina Neri è contraddistinta da personaggi e situazioni semplificati al massimo, il cui carattere stereotipato rende chiara la critica di fondo a qualunque atto di bullismo e l’intento di valorizzare la diversità in tutte le sue forme. Le illustrazioni solleticano una certa immediata simpatia per il protagonista, mentre il testo delinea un racconto lineare e facile da seguire. Disponibile anche in versione inbook, Lo squalo senza denti presenta simboli WLS riquadrati e dedicati ad ogni elemento della frase (compresi, per esempio, articoli, preposizioni ecc…) per una lettura accessibile anche a bambini con difficoltà comunicative non alle primissime armi con la CAA.

Un compleanno fantastrofico

Teresa vuole, fortissimamente vuole, una festa di compleanno per i suoi imminenti 9 anni. A casa sua le feste non sono però ben viste: troppo impegnative, troppo caotiche, troppo fuori moda, per la sua inconsueta famiglia. Ma Teresa quest’anno è disposta a tutto pur di avere una festa come Dio comanda e per ottenerla si chiude a chiave nella legnaia. Ottenuto con scarso entusiasmo il sì dei famigliari, per Teresa iniziano i preparativi: ha una settimana davanti per rendere tutto perfetto. Le aspettative della bambina sono infatti altissime poiché da quella festa dipende la possibilità per lei di farsi conoscere meglio e apprezzare dai suoi compagni. Considerata un po’ strana per il suo modo di vestire e per i suoi interessi, Teresa ha infatti un solo vero amico mentre viene tenuta in disparte da tutti gli altri bambini. Inaspettatamente, saranno proprio imprevisti e stramberie di famiglia, nel giorno speciale della sua festa, a rimettere le carte in gioco e dare nuove chances ad amicizie apparentemente impossibili.

Scritto con piglio vivace, con grande empatia e con il coraggio di non zuccherare in eccesso la storia narrata, Un compleanno fantastrofico è un libro piacevole e capace di mescolare sentimenti realissimi con un pizzico di eccentricità. Pubblicato all’interno della serie azzurra de Il Battello a vapore, il racconto di  Annalisa Strada presenta caratteristiche di alta leggibilità che lo rendono più facilmente fruibile anche in caso di dislessia.

 

Susi in piscina

Pista, spazio, fate largo: è in arrivo l’uragano Susi! Irrefrenabile e travolgente, quando Susi si mette in testa qualcosa è meglio non intralciarla. Come quando, in un giorno davvero speciale, può finalmente nuotare nella piscina dei grandi. L’emozione è incontenibile e Susi proprio non può aspettare. Vestiti e stivaletti lanciati per aria, cuffia, maschera e costume indossati al volo, doccia d’ordinanza fatta: non resta che… bombaaaaaaaaaa! Tra corse a bordo vasca, schizzi e invasioni di corsia, l’avventura di Susi nella piscina dei grandi dura ben poco: il bagnino pancione non esita infatti ad acciuffarla con il suo retino e spedirla nella piscina dei piccoli. Che delusione, che smacco! A Susi non resta che mettere in atto un piano di emergenza davvero estremo ma perfettamente commisurato al suo desiderio di sentirsi grande.

Esuberante come pochi, Susi è un personaggio portentoso che sa come portare il buonumore. Il merito è della collaudata coppia Jaap Robben e Benjamin Leroy (già nota ai lettori di casa Sinnos per un altro personaggio indimenticabile: il supereroe dalla straordinaria pipì, Super P), che sa cogliere l’infanzia nei suoi tratti più liberi da briglie e condizionamenti e restituirla attraverso micro-avventure davvero gustose. Il testo snello snello, scritto in stampatello maiuscolo e contraddistinto da stampa ad alta leggibilità si accompagna ad illustrazioni ad altissimo tasso di spasso in cui si muovono personaggi di contorno tanto buffi quanto in fondo realistici. Dalle nonne dell’aquagym che borbottano per gli spruzzi al fusto tutto muscoli che digita sullo smartphone anche sotto la doccia, dal bagnino che si atteggia a generale al cane che non si sa come sia finito tra i poppanti: il giorno in piscina della piccola Susi diventa in realtà un giorno fuori dall’ordinario per una fitta e animata schiera di personaggi. E con loro, per il fortunato lettore!

Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio

Vampiri, streghe, scheletri e mummie: tutti costumi triti e ritriti per una festa di Halloween. Niente a che vedere con un costume da tavola imbandita alla maniera di un ristorante italiano: proprio quello che Hank intende indossare per la sfilata del 31 ottobre a scuola. E a nulla valgono i tentativi di dissuaderlo degli amici Frankie e Ashley: determinato, Hank porta in classe un costume decisamente originale ma soprattutto ingombrante che finisce per causargli inciampi e incastri. Per non parlare delle prese in giro, soprattutto da parte di Nick McKelty che non perde occasione per dar pessimo fiato alla bocca. E così, infuriato come di rado è stato prima, Hank si lascia ispirare dal saggio Papà Pete e costruisce una casa degli orrori da far venire la pelle d’oca a chiunque. L’obiettivo è dare una bella lezione a quel bullo di Nick. Oltre a questa soddisfazione, però, ciò che Hank guadagna dal suo spaventoso progetto è la consapevolezza che essere sé stessi può risultare davvero molto divertente e che si può essere un bambino fantastico indipendentemente da come si legge.

Con Hank Zipzer. Il mio cane è un coniglio, l’ingegnoso personaggio creato da Lin Oliver ed Henry Winkler raggiunge la sua avventura numero nove: un traguardo non da poco, soprattutto se si considera che la coppia di autori americani ha saputo mantenere lungo il tragitto una verve stilistica, una vena inventiva e una capacità di raccontare le difficoltà e le risorse dei bambini, soprattutto (ma non solo) legate alla dislessia, con apprezzabilissima levità. Anche qui, per esempio, non si nasconde l’ostico rapporto di Hank con la parola scritta, con le cose da ricordare o con l’immobilità nei momenti di stress, ma il suo amalgamarsi a una trama spassosa e coinvolgente ne restituisce l’importanza senza caricarlo di inutile (e dannosa) pesantezza.

La bambina di ghiaccio e altre fiabe

Nani, folletti, fate e sirene: nel suggestivo mondo dipinto da Mila Pavićević c’è posto per un ventaglio variegatissimo di figure leggendarie che, leggere e impalpabili, si muovono in bilico sul filo del fantastico. Le loro sono storie di doni e vendette, di incantesimi e desideri, di tristi sorti e di magici riscatti: ingredienti sopraffini per racconti che spolverano e lavorano con sapienza un impasto fiabesco come tradizione comanda.

C’è tutto quel che ci si può aspettare da una raccolta d’altri tempi, infatti, ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe, comprese illustrazioni dal sapore misterioso e antico. Difficile immaginare un tratto più azzeccato di quello della bravissima Daniela Iride Murgia per dipingere protagonisti e cornici di vicende straordinarie e surreali quali quelle narrate dalla drammaturga serba: le sue illustrazioni in bianco e nero dal tratto finissimo, mescolano infatti realismo e dettagli fantastici, atmosfere oscure e personalità stravaganti, avvenimenti sovrannaturali e richiami al quotidiano, con un gusto e una minuzia rari da trovare.

Perfetti per amanti di atmosfere incantate, i testi raccolti da Camelozampa ne La bambina di ghiaccio e altre fiabe si fanno apprezzare anche per la loro brevità e per la stampa ad alta leggibilità: caratteristiche che ne agevolano la fruizione anche da parte di bambini con difficoltà di lettura legate alla dislessia. La disponibilità del racconto anche in versione audiolibro (6,90 €), inoltre, ne amplia ulteriormente le possibilità di accesso anche da parte di bambini con disabilità visiva.

Tortartè. Ma la torta di che artista è?

Avevamo conosciuto la signora Scodinzoli tra le pagine di Tortintavola (e poi di Tortinfuga). Vittima di un famigerato furto di torte, la signora deve essere rimasta profondamente colpita dal fattaccio: di furti e inseguimenti si popolano, infatti, in questo nuovo albo firmato dal geniale Thé Tjong-Khing, persino i suoi sogni. Assopitasi in poltrona dopo aver consultato un discreto numero di libri d’arte, la signora Scodinzoli inizia a ronfare catapultando il lettore in un’animata scena museale tra quadri che vengono sistemati e quadri che vengono invece trafugati. E via, neanche il tempo di fermarsi a pensare che subito scatta un rocambolesco inseguimento.

Alle calcagna di quello che scopriremo essere un cane mariuolo, si lancia un folto e variegato gruppo di personaggi, tutti ben noti ai fan dell’artista indonesiano: cani, gatti, maiali, pecore ma anche conigli, rane e tassi, tutti egualmente infuriati. La fuga è precipitosa, il tallonamento senza posa e come sempre accade negli albi di Thé Tjong-Khing nella cornice di un unico grande avvenimento – la caccia al ladro per l’appunto – si dipana una moltitudine di avvenimenti più piccoli tutti da gustare: una mamma coniglio assai vendicativa, un figlioletto alle prese con piante pungenti, una pecora che non perde attimo per ricamare e un’infermiera senza un attimo di tregua, per esempio, contribuiscono a rendere la corsa ancora più saporita e dinamica. Fino all’agognata cattura che segna la fine del sogno e riporta la signora Scodinzoli a un inatteso e partecipatissimo vernissage casalingo.

Ciò che rende Tortarté del tutto nuovo rispetto agli albi precedenti, nonostante i personaggi in comune e la simile struttura narrativa, è il fatto che l’inseguimento procede in un paesaggio che ad ogni pagina si rinnova, ispirandosi a una gran varietà di quadri moderni: da Picasso a Braque, da Hokusai a Mondrian le  citazioni più o meno famose di opere d’arte sono più di cinquanta e rendono la lettura una vera e propria caccia al tesoro. Felice  e originale interpretazione della teoria di Květa Pacovská secondo cui “L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che il bambino visita”, Tortartè offre così non solo una ghiotta occasione di lettura accessibile per molti bambini che si scontrano con il testo scritto pur senza avere difficoltà cognitiva, ma anche un pretesto preziosissimo per avvicinare i bambini (ma anche i ragazzi!) all’arte e per farlo in un modo assolutamente convincente.

Bill il cattivo (ora buonissimo)

Tra le pagine dei libri per bambini di cattivi ce ne sono tanti, ma solo alcuni di loro sono dei cattivi davvero cattivi, per non dire cattivissimi. Ecco, Bill è proprio uno di quelli. Temuto da grandi e piccini, Bill è un tipo che ruba la merce al fruttivendolo, fa scherzi da far accapponare la pelle e si diverte a terrorizzare i bambini requisendo a piacere i loro palloni o annodando le loro corde per saltare. Insomma, da uno come Bill è meglio tenersi alla larga, lo sanno tutti. Eppure, quando un giorno un pallone finisce per sbaglio sul suo balcone, i bambini del quartiere si fanno coraggio e vanno a recuperarlo, scoprendo così un inatteso segreto sulla vita del prepotente concittadino e trovando un modo ingegnoso per fargli assaporare il potere della gentilezza.

Nel dare vita a personaggi dalle sembianze animali che agiscono però in tutto e per tutto come gli umani, Ole Könnecke racconta una storia semplice e schietta di prepotenze che non si dimenticano e di attenzioni che invece fioriscono. Le sue figure dalle linee sottili, dalle espressioni ben riconoscibili e dai dettagli mai superflui portano sulla pagina un’atmosfera sorridente che il testo garbato e ironico conferma ed esalta a ogni passo. Bill il cattivo (ora buonissimo) solletica così il lettore con una grazia inconfondibile, che è peraltro cifra innegabile dell’autore tedesco.

A rendere ancor più ghiotta questa novità firmata Beisler, c’è poi il suo inserimento all’interno della collana leggo già (di cui già fanno parte, per esempio le irresistibili avventure di Lester e bob) che presenta caratteristiche di alta leggibilità quali font Testme maiuscolo (particolarmente adatto alla prime letture autonome), spaziatura maggiore, sbandieratura a destra e carta opaca. Decisamente apprezzabile, inoltre, soprattutto nell’ottica di sostenere bambini poco esperti o con maggiori difficoltà di lettura, la scelta dell’editore di distribuire gli a capo mantenendo sempre sulla stessa riga le unità minime di senso.

Il drago di K e altre fiabe polacche

Si potrebbe stare ore ad ascoltare Daniele Fior che legge fiabe. È un’interpretazione intensa e pulita, infatti, la sua, capace di delineare con la sola voce atmosfere lontane e misteriose e di calarvi l’ascoltatore con la facilità di un sortilegio. Lo si può scoprire con particolare piacere ascoltando Il drago di K e altre fiabe polacche: una delle più recenti pubblicazioni di Locomoctavia che raccoglie quattro fiabe tradizionali che arrivano dalla Polonia, paese puntualmente evocato nella cornice degli avvenimenti narrati.

Protagonisti, come nella più classica tradizione fiabesca, sono umani dalle sorti variegate – re, ciabattini, pescatori e principesse – e creature fantastiche come draghi o sirene. Dal loro incontro e confronto scaturiscono racconti in cui ingegno, compassione, onestà e coraggio delineano percorsi di grande suggestione. Così accade, per esempio, che il ciabattino di Cracovia sconfigga il terribile drago che assedia la città, ingannandolo con una finta pecora riempita di zolfo, o che quello di Varsavia trovi la leggendaria anatra d’oro nascosta nel castello ma getti al vento tutte le ricchezze da lei promesse per non rinunciare ai suoi ideali di condivisione e solidarietà. Ma così succede anche nella struggente vicenda che vede una sirena incantare i pescatori della capitale e venire da essi imprigionata prima di poter insegnare loro il valore del dono disinteressato o nella storia del duca avido e burlone che finisce per essere a sua volta turlupinato.

Cullate e accompagnate dalle musiche originali dei Gueppecartò (già felici interpreti anche dell’Alice nel Paese delle Meraviglie edito da Locomoctavia) che sottolineano con forza e discrezione i passaggi salienti del racconto,  le narrazioni curate da Francesco Groggia spargono tracce di realtà in impasti fantastici che sanno parlare con grande fascino a orecchie più e meno giovani.

L’audiolibro de Il drago di K e altre fiabe polacche è proposto al lettore sia in forma di cd audio (13 €) sia in forma di file mp3 (7,99 €) direttamente scaricabile dal sito della casa editrice.

 

Il drago di K e altre fiabe polacche, così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, è inoltre fruibile tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

Io sto con Vanessa

Vanessa si è da poco trasferita in città (ce lo anticipa di soppiatto la pagina del titolo) e questo significa, per lei, iniziare a frequentare la scuola in una classe nuova. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, soprattutto per un tipo come Vanessa che – forse perché timida, forse perché in difficoltà con la lingua, chissà? – affronta il primo giorno in solitudine, senza il coraggio di farsi notare dall’insegnante e dagli altri bambini. L’unico che sembra fare caso a lei, ahimè, è un bulletto dai capelli biondi e impomatati che le si avvicina all’uscita di scuola e la prende di mira con gesti e parole poco carini. La reazione triste e spaventata di Vanessa non sfugge però a una compagna attenta che si dispiace sinceramente per l’accaduto e per l’impressione di non poter far nulla a riguardo. Fino a quando non si rende conto che qualcosa in realtà può farlo e che quel qualcosa può davvero fare la differenza. Così il giorno seguente la bambina compie un gesto tanto semplice quanto potente, capace di contagiare all’istante i suoi amici e di rendere inoffensiva la prepotenza. Perché è verissimo che la gentilezza può fare la rivoluzione (cosa che forse si poteva evitare di sottolineare nel sottotitolo e nei consigli pratici che chiudono il libro, per preservarne un po’ di più la magia già di per sé efficacissima) e che gesti piccolissimi possono dare frutti che nemmeno ci aspettiamo.

Garbato e profondo, questo silent book mette in scena personaggi minimali, quasi tratteggiati, che si muovono su sfondi neutri e puliti. Eppure l’attenzione che gli autori (Sébastien Cosset e Marie Pommepuy, in arte Kerascoet) riservano a dettagli come le espressioni del viso (a ben guardare, per esempio, la coraggiosa bambina del libro pare accorgersi del disagio di Vanessa fin dalla prima vignetta, e questo lo intuiamo dalla posizione delle sue pupille!), le posizioni e le distanze tra i personaggi o i gesti che essi compiono li rendono straordinariamente espressivi e decifrabili. Anche in virtù di questa valorizzazione dei particolari significativi, il racconto di Io sto con Vanessa può facilmente essere interpretato dal lettore senza che gli siano richieste inferenze complesse. Ecco allora che l’accessibilità del volume, ampiamente garantita dall’assenza di testo, viene ulteriormente rafforzata da una narrazione per immagini che pare letteralmente parlare.

Agente 008. Missione vacanze

È lungo solo 48 pagine, Agente oo8. Missione vacanze, ma dentro ci sono, solo per fare qualche esempio, una paperella sommergibile, un covo segreto nascosto tra le rocce, un computer che sa le risposte ma non le domande, un lunghissimo scivolo di vetro, 2 braccioli carichi di dinamite, trabocchetti luminosi, infradito boomerang e un orso polare. Non sarà difficile immaginare, dunque, quanto possa essere serrato il ritmo del racconto che tiene insieme tutti questi elementi in un’avventura al contempo divertente e vorticosa. A viverla in prima persona è appunto l’agente 008 che, in procinto di godersi una meritata vacanza, si trova suo malgrado a svolgere l’ennesima missione. Perché quando una missione chiama, l’agente 008 risponde, soprattutto se la missione ha un nome in codice e quel nome è: lasagne!

Surreale, scanzonato e avventuroso al punto giusto, Agente oo8. Missione vacanze si presta bene a stuzzicare anche quei lettori alle prime armi che faticano ad appassionarsi alla lettura. Questa procede qui, infatti, spedita a suon di colpi di scena via via più improbabili e di trovate spassose, portando il lettore a chiedersi di continuo “Che cosa sarà capace di inventarsi ora, l’autore?”. Le caratteristiche di alta leggibilità tipiche del catalogo di Biancoenero e in particolare della collana Minizoom di cui il volume fa parte, rafforzano dal canto loro l’invito a godersi la lettura, rendendola più agevole anche in caso di dislessia.

Cappuccetto Rosso (in pittogrammi)

Recente vincitore del premio Andersen come miglior libro fatto ad arte, il Cappuccetto Rosso di Sandro Natalini è un lavoro piuttosto insolito e interessante. Di fronte alla difficoltà di restituire la fiaba tradizionale con una chiave originale e di offrirle nuova linfa, l’autore opta per una narrazione che scardina alla base tutta una serie di automatismi di lettura. Lo fa partendo innanzitutto dal formato: un leporello tricromatico – illustrazioni in rosso e nero su fondo bianco – che invita ad accogliere la storia come un continuum da cui non staccarsi nemmeno per sbaglio. Il giovane lettore può dunque sistemarsi comodo su di un pavimento o su di un tavolo (a patto che questo sia sufficientemente ampio!) e concedersi di seguire la bambina incappucciata lungo la strada che, attraverso il bosco, porta da casa sua alla casa della nonna.

È proprio aprendo il volume in tutta la sua lunghezza, infatti, che si può godere del suo forte impatto visivo e della sua capacità di tenere agganciati alla storia. La strada tratteggiata che si snoda tra le pagine e lungo la quale la fiaba si sviluppa chiede in qualche modo al dito del lettore di percorrerla fisicamente per meglio cogliere e soffermarsi sulle singole tappe della vicenda (senza farsi distrarre o confondere da un contesto piuttosto affollato): un espediente particolarmente significativo, questo, anche nell’ottica di coinvolgere nella lettura bambini dall’attenzione più volatile. A questo, d’altro canto, concorre anche lo stile grafico e minimalista scelto dall’autore: uno stile in cui i pittogrammi diventano il contenuto di sparuti balloons e ispirano personaggi e oggetti di contesto dai tratti essenziali e di immediata riconoscibilità.

Ne viene fuori un libro praticamente senza parole su cui si innesta un uso originale dei pittogrammi, diverso per esempio da quello che ritroviamo nei libri ispirati alla Comunicazione Aumentativa e Alternativa, ma ugualmente efficace nel definire fatti, cornici e protagonisti. Il libro si presta così a una lettura non solo insolita e capace di rinnovare un racconto ben radicato nell’immaginario collettivo, ma anche aperta a esigenze diverse, come quelle dettate da una certa difficoltà di decodifica del testo o da un bisogno di rappresentazioni prive di dettagli ridondanti o superflui.

Il giorno del nonno

Quando i miei genitori lavorano, sto dai nonni. Sono molto carini, ma a casa loro mi annoio da morire. Non c’è internet, non c’è la televisione, ci sono solo tre fumetti un po’ ammuffiti e tutt’intorno nient’altro che campi di mais. Dentro casa c’è odore di cavolfiore vecchio e di caccole di mosca.

Voilà, un incipit spassoso al punto giusto è bell’e servito! Difficile, una volta letto, immaginare che in quella casa in cui noia e muffa la fanno da padrone non stia per succedere qualcosa di straordinario e che Simone, lo sbuffante protagonista e narratore, non sia pronto a raccontarcelo con piglio ironico e divertente. Niente di più vero. Da lì a poco Simone scopre infatti che il nonno, apparentemente “alle fragole” e dalla memoria zoppicante, viene come attivato alla vista di particolari oggetti (una lente di ingrandimento, una spada di legno, una corona di cartone, una ventosa fluorescente…) che lo portano a raccontare storie passate a dir poco incredibili. Storie in cui il nonno arrestava il famigerato Jo Patatina, si faceva chiamare Pirata Barba-fifa, dava ordini da re o curava intestini pigri di extraterrestri: storie che mescolano realtà e fantasia, trasformando il mercoledì, il giorno in cui Simone va a trovare i nonni, nel giorno più atteso della settimana. Così Simone inizia a cercare oggetti via via più suggestivi da sottoporre al nonno e porta i suoi amici ad assistere allo show infrasettimanale, divenuto ormai ambitissimo e leggendario. Fino a quando, un mercoledì come tanti, il nonno non si fa stranamente trovare a casa: sarà quello, con la triste e realistica visita in ospedale che toccherà a Simone, il momento in cui il bambino parteciperà a un simbolico passaggio di consegne e allo svelamento di un segreto più che speciale.

Stampato con alcune caratteristiche di alta leggibilità (font specifico, spaziatura maggiore), Il giorno del nonno è un libro godibilissimo di Emmanuel Bourdier, capace di unire efficacemente divertimento e tenerezza. Contraddistinto da dialoghi serrati e descrizioni che sposano un punto di vista squisitamente bambino, il racconto è accompagnato dalle illustrazioni ironiche e buffe di Laurent Simon che ne sottolineano il tono brioso.

Hotel Bonbien

Un albergo a conduzione familiare su una strada di passaggio nella Marna: questa è la casa di Siri, la giovane protagonista e narratrice del romanzo. Qui la bambina vive con la mamma, impetuosa addetta alla cucina, il papà, remissivo addetto ai conti e alle reception, e il fratello Gilles, adolescente aspirante filosofo e cultore dell’hard rock. Le cose non vanno proprio a gonfie vele all’Hotel Bonbien: gli affari non decollano, i soldi scarseggiano, gli arredi iniziano a risultare datati e, soprattutto, a causa di tutto ciò mamma e papà litigano spessissimo a suon di piatti rotti e urla furibonde. Così Siri, tra un’amicizia volante con gli ospiti dell’albergo, qualche osservazione silenziosa di cuccioli di tasso e qualche coccola alle galline del pollaio, inizia a preoccuparsi che la famiglia possa sfasciarsi, complice anche la recente separazione dei genitori della sua più cara amica Sylvie. E come spesso accade ai bambini della sua età con famiglie in crisi, si sente in dovere di fare qualcosa, di trovare una soluzione. La soluzione sembra letteralmente cascare dal cielo, quando una brutta caduta da un albero dona a Siri una memoria prodigiosa: il fratello Gilles pensa infatti di sfruttarla per tirare su un bel bottino e risolvere così i problemi dei genitori. Inizia a quel punto un rocambolesco viaggio di famiglia verso un concorso di memoria con un bel gruzzolo in palio, che porterà a un inatteso lieto fine in cui i soldi hanno in realtà un ruolo più che marginale.

Con uno stile fresco e ironico, Enne Koens racconta l’anno di svolta di Siri (quello del suo decimo compleanno), mettendo bene in luce i crucci che possono accompagnare una crisi famigliare e il modo in cui possano amplificarsi entrando nella testa di un bambino. Lo fa con leggerezza, costruendo una cornice – quella dello scalcinato Hotel Bonbien e di tutte le figure che vi abitano o vi passano – animatissima e brulicante in cui è difficile annoiarsi e in cui gli imprevisti sono all’ordine del giorno. Il romanzo solletica insomma il lettore con una costante e delicata vivacità che ben si accompagna al tono sorridente delle illustrazioni schizzate di Katrien Holland che tanto ricordano il maestro Quentin Blake. Scrittura ritmata, personaggi a cui ci si affeziona presto, pensieri in cui ci si può riconoscere e piccole avventure quotidiane a filo di pagina rendono Hotel Bonbien un romanzo delizioso che più facilmente di altri può accogliere anche lettori con difficoltà legate per esempio alla dislessia o alla disabilità visiva, anche grazie all’impegno profuso dalla casa editrice Camelozampa nel rendere il testo disponibile in molteplici formati: a stampa ad alta leggibilità, audiolibro, ebook e audioebook.

I veicoli

Con Un giorno nella vita di tutti i giorni, Gallucci ha portato molti bambini (e adulti) italiani a conoscere Ali Mitgutsch, artista tedesco che negli anni ’60 fu tra i pionieri dei Wimmelbuch, i libri brulicanti. Con la ferma e preziosa intenzione di portare pian piano in Italia l’intera opera dell’autore, l’editore romano ha ora pubblicato un suo secondo titolo dedicato a I veicoli. Qui, secondo lo stile proprio di questa tipologia particolarissima di volumi, si susseguono doppie pagine animate da numerosi e affaccendati personaggi che suggeriscono piccole narrazioni, non di rado intrecciate tra loro. Ogni doppia (e spessa) pagina si concentra su di uno specifico contesto – la città, la fattoria, il mercato del pesce, la montagna, l’aeroporto, la metropoli by night e via dicendo – in cui si muovono, si popolano, si manovrano mezzi variegati: dai camion alle ruspe, dai pullmini alle betoniere, dai monopattini ai trattori. Privo di parole, contraddistinto da rappresentazioni minuziose ed efficaci e composto da quadri a sé stanti, I veicoli risulta estremamente fruibile anche in caso di disabilità che rendono difficoltosa la decodifica del testo, l’interpretazione di illustrazioni troppo oscure o la comprensione di storie molto articolate. Dotato di un potere ipnotico soprattutto nei confronti di bambini appassionati di veicoli (passione rimasta inscalfibile nonostante siano passate parecchie generazioni dalla prima pubblicazione del volume!), il libro si arricchisce inoltre di un elemento ludico grazie a una fascia laterale che accompagna ogni pagina e che mette in evidenza 8-10 elementi che il bambino vi potrà trovare. In questo modo al piacere di seguire e sviluppare innumerevoli storie si unisce quello di scovare specifiche figure: aspetto, questo, per nulla privo di significato, anche nell’ottica di rendere la lettura solleticante e densa di stimoli per bambini con e senza difficoltà di lettura, attenzione e aggancio alla narrazione.

Non troppo dissimile da I veicoli anche un terzo titolo firmato dall’autore tedesco e sempre edito da Gallucci: Alla scoperta del mare. Anche qui sono protagoniste infatti grandi tavole a doppia pagina in cui brulicano micro-narrazioni quotidiane. Tutte ambientate all’interno di una cornice marina, queste sono animate da capitani e villeggianti, pescatori e scaricatori di porto, marinai e bagnini e chi più ne ha più ne metta. Ogni centimetro quadrato della pagina vede nascere amori, spegnere incendi, rubare pesci, abbrustolire pelli candide o fare giochi d’acqua, in una serie di istantanee da cui trarre infinite storie. Alla scoperta del mare alterna le grandi tavole senza parole, perfettamente e appassionatamente godibili anche da parte di bambini con difficoltà di lettura, a doppie pagine in cui si concentrano raccolte di figure e parole tipiche dell’ambiente ritratto. Ispirate nella struttura ai classici libri di prime parole, ma decisamente più ricercate e complesse nella scelta dei vocaboli (banco di aringhe, palangaro, timone di poppa, solo per citarne alcuni), queste arricchiscono il volume senza tuttavia compromettere la fruizione della pagine senza parole. La doppia pagina che chiude il volume, in particolare, illustra la divisione e il funzionamento di una grande nave da carico, trasformando la visione in sezione in uno spaccato di vita marittima tutt’altro che noioso e prevedibile.

Il re senza reame

Il re senza reame è il sovrano del Paese all’Incontrario e, come tale, non possiede niente di niente: non un trono, non un castello, non una prospettiva per sé e per il suo regno. Niente di niente, appunto. Un giorno incontra un gatto che, come lui, non ha nemmeno un nome e insieme si siedono a non aspettare nulla. Passano un cavaliere e una signora di ritorno dal mercato, e ai due il gatto ruba rispettivamente un paio di stivali, una moneta e un pesce, ma il re – non essendo il gatto di sua proprietà – non si fa carico delle sue ruberie. Poi però arriva un cane che del gatto vuol fare un bel paté: è allora che il re salva l’amico a quattro zampe da una brutta fine, scoprendo e mostrando come si possa dire di appartenere davvero a qualcuno quando si è uniti da una profonda e sincera conoscenza. Forti di questo nuovo legame, il re e il gatto si avviano insieme verso un luogo in cui essere qualcuno che non ha niente di niente assume un significato tutto nuovo.  E in cui basta la presenza di un amico a trasformare un nonnulla in una cosa più che preziosa.

Quella de Il re senza reame è una storia senza tempo, in cui riecheggiano fiabe note e in cui si intrecciano passato e presente. A rendere possibile questa magia è il dialogo profondo tra le parole di Alex Cousseau e le illustrazioni di Charles Dutrertre: coppia d’oro dell’editoria francese che ci aveva deliziati, sempre per i tipi di Sinnos, con la serie di piccole avventure quotidiane di Lucilla Scintilla. Ne Il re senza reame lo stile è diverso, decisamente più votato al fantastico, ma parimenti capace di incantare chi legge. La parole sono misurate e sonanti, proprio come ci si aspetta da una fiaba degna di questo nome, mentre le illustrazioni hanno un che di surreale, mescolando con garbo e ipnotico fascino tocchi orientali, vezzi decorativi, e dettagli moderni. Il risultato è un tripudio di figure – tutte giocate sulla combinazione di giallo, rosso, verde e blu, su sfondo bianco – che conducono lontano l’immaginazione del lettore, moltiplicando le possibilità di scoperta e invenzione. Il tutto senza rinunciare a una certa fruibilità della lettura, resa possibile non solo da un testo contraddistinto dal ritmo piano ed essenziale proprio dei racconti tradizionali, ma anche dalle caratteristiche di stampa ad alta leggibilità, ben consolidate in casa Sinnos, di cui l’albo fa vanto.

La grande rapina al treno

Chi l’ha detto che indiani, cowboy e assalti alla diligenza non possano più conquistare i giovani lettori? Leggere La grande rapina al treno per credere! Qui prende vita infatti un’avventura così travolgente che sarà difficile staccare gli occhi dal libro, in una lettura in corsa che avvicina la sequenza di pagine a una frenetica ripresa cinematografica.

Protagonista del racconto dall’ambientazione vintage, è un bambino a modino – calzoncini corti, cappello piatto e papillon – che in compagnia di una zia rigida e bacchettona sale a bordo di un treno del west. Il viaggio appare inizialmente noiosissimo: poco accade fuori dal finestrino e quel poco che accade pare non poter essere condiviso a meno di infrangere le ferree norme del buon viaggiatore riassumibili in “stare seduti” e “fare i bravi”. Ma a un certo punto qualcosa di interessante accade. Dal finestrino spunta dapprima un cavallo, seguito a ruota da svariati altri animali da fattoria cavalcati a pelo da quelli che appaiono a tutti gli effetti come dei banditi (la maschera sugli occhi non mente!). È la famigerata banda dei Tredici (di cui solo tre membri, però, risultano pervenuti): malviventi senza scrupoli che, armati di pistole e mattarelli, assaltano il treno e rapinano gli sventurati passeggeri. Sulla loro scia arriva anche il coraggioso sceriffo Nick Stecchetto che in un inseguimento senza esclusione di colpi (e di mezzi di trasporto) dà il via a una caccia ai ladri che coinvolgerà dal primo all’ultimo passeggero. Chi si arrampica sul tetto e sgancia i vagoni, chi tira con la fionda, chi attiva robot meccanici e chi familiarizza con orsi circensi: sul treno di Federico Appel ne succede di ogni e mentre l’occhio del lettore prova a seguire tutto quel che accade, la sua immaginazione va in sollucchero di fronte a tanta esuberante inventiva.

Succedono cose, infatti, dentro, sopra, intorno, sotto e dietro al treno, il che contribuisce a rendere la scena concitata e il ritmo narrativo irruente. L’autore allestisce così un racconto vorticoso che spinge il lettore a correre avanti e indietro lungo pagine e vagoni. Non c’è tempo da perdere, infatti: urge seguire, scoprire, collegare e risolvere tutto quello che freneticamente accade sul treno prima dell’arrivo (in orario perfetto!) alla stazione di destinazione.

Con grande divertimento, Federico Appel riesce in particolare a tenere agganciato il lettore grazie a una narrazione ingegnosa e originale che procede esclusivamente per discorsi diretti non attribuiti esplicitamente. Sta al lettore dunque riconoscere chi di volta in volta parla, facendo appello agli indizi forniti dall’illustrazione della pagina e dalla divertente presentazione dei personaggi posta in apertura di libro: scelta, questa, che (a margine ma neanche troppo) dice forte e chiaro come una difficoltà di lettura legata per esempio alla dislessia non debba necessariamente implicare una costruzione narrativa banale e scontata. Ne vien fuori una storia divertente, ad alta leggibilità e ad alto tasso di coinvolgimento che di certo non si esaurisce in una sola lettura. Sul treno della grande rapina, insomma, sarà difficile accontentarsi di un solo viaggio!

Il mistero del London Eye – audiolibro

In questo libro ci sono: una città multiculturale e caotica, un ragazzino scomparso in un pomeriggio come tanti, una famiglia allargata che a tratti alterni si frammenta e si rinsalda e una ruota panoramica che sembra inghiottire la gente. E poi c’è Ted, il giovane protagonista, che mette insieme tutti questi elementi, trovando una soluzione al Mistero del London Eye. È un giallo ben congegnato, insomma, quello messo a punto da Siobhan Dowd, ma è anche un racconto straordinario che sa di vita quotidiana, di adolescenza e di affetti.

Con uno stile ironico e spigliato e una tecnica narrativa appassionante e sapiente, l’autrice del bel libro già vincitore del prestigioso Premio Andersen nel 2012 (miglior libro oltre i 12 anni) racconta infatti come Ted, grazie al suo modo strambo di ragionare, riesca a capire come il cugino Salim sia potuto salire sul London Eye senza apparentemente ridiscendervi e a ritrovarlo prima che possa fare la peggiore delle fini.

Affetto da Sindrome di Asperger, il protagonista ha difficoltà a interpretare tutte quelle espressioni – linguistiche o corporee – non univoche ma manifesta uno spiccato e non comune senso deduttivo. Il suo fiuto tutto basato sull’oggettività delle cose si mescola, dunque, a un’insormontabile difficoltà relazionale, a un’insolita passione per la meteorologia e a una curiosa incapacità a dire le bugie: quel che ne esce è un ritratto pertinente e intrigante della realtà Asperger, ben calata nelle dinamiche famigliari e nei contesti sociali che vi echeggiano intorno. La strada aperta ormai qualche anno fa dall’originale Strano caso del cane ucciso a mezzanotte trova qui, dunque, nuova polpa, grazie a un libro che sa fare magistralmente dell’ironia e dell’intrigo narrativo la chiave per sbucciare temi spinosi come la disabilità e la differenza.

Portato in Italia da Uovonero nella sua versione cartacea, il romanzo di Siobhan Dowd è ora reso disponibile in versione audiolibro da Emons, con la coinvolgente voce di Pietro Sermonti (che ne ha anche realizzato un buffo trailer in dialetto romanesco, alla maniera di Stanis La Rochelle della serie Boris): una coedizione, questa, particolarmente gradita poiché allarga le possibilità di fruizione di una delle storie più apprezzate dai ragazzi negli ultimi anni.

Gatto e Topo in società

Ispirato a una fiaba tradizionale diffusa dai fratelli Grimm ma non particolarmente nota, Gatto e topo in società è un libro in simboli smilzo e godibile pubblicato dalla casa editrice faentina Homeless Book. Protagonisti sono un gatto e un topo che, decisi ad andare a vivere nella stessa casa, mettono da parte un pentolino di formaggio per le fredde giornate invernali. Il gatto, però, infrangendo l’accordo di godersi il formaggio insieme, si reca più volte in cucina di nascosto per sbafarselo in solitaria. Insospettito dal suo progressivo metter su ciccia, il topo lo interroga dopo ogni furto ma il gatto riesce sempre, non senza una certa arroganza, a svicolare. Fino a quando il formaggio finisce svelando l’inganno agli occhi del topo che, furibondo, si trasforma in un cagnaccio e costringe il gatto alla fuga.

Adattata nel contenuto (le scuse addotte dal gatto risultano più vicine all’esperienza del potenziale lettore ed il topo, alla resa dei conti, riesce a evitare una brutta fine), questa versione di Gatto e topo in società viene proposta con testo in simboli WLS riquadrati e con testo in stampatello maiuscolo. Quest’ultimo predilige strutture lineari e semplici ma non disdegna anche qualche capriola (incisi, per esempio), che lo rendono meno elementare. Come già sperimentato in Cosa vede Don Q?, anche questo libro introduce una componente ludica insolita per i libri in simboli, grazie a un sistema di alette che coprono di volta in volta il gatto nel momento in cui si dà alla ruberia. In questo modo si crea un elemento di sorpresa che, pur senza risultare destabilizzante, arricchisce la lettura. Meno immediate, invece, le illustrazioni dallo stile grafico di Elisa Carpenzano che, pur apparendo prive di dettagli superflui e confusivi, sfruttano forme e inquadrature non scontate che possono renderne un po’ complessa la decodifica.

La voce del branco

La scrittura di Gaia Guasti ha, su tutte, due caratteristiche che la rendono notevole: è incisiva come poche e sa scavare nell’animo degli adolescenti con una minuzia chirurgica. Forte di questi due tratti, il suo ultimo romanzo La voce del branco trascina letteralmente il lettore tra le pieghe più profonde dell’animo di Mila, Ludo e Tristan, tre ragazzi che dall’oggi al domani si trovano a fare i conti con una misteriosa metamorfosi e con l’ineludibile richiamo di una natura selvaggia tutt’altro che umana.

Amici fin dalla primissima infanzia ma progressivamente allontanatisi con la scelta di scuole superiori diverse, i tre si ritrovano ogni anno lo stesso giorno – il 15 novembre – nello stesso posto – la sorgente ai piedi del Picco delle anime – per festeggiare i loro compleanni. È una sorta di rito segreto il loro, un momento a cui nonostante le differenze sempre più marcate tra le loro vite non riescono a rinunciare. È sempre stato così ma qualcosa di inatteso, un 15 novembre diverso dagli altri, accade: i tre ragazzi, appena riunitisi, vengono  infatti attaccati da un branco di lupi. Non è un attacco mortale e non è un attacco casuale, quello che li coinvolge: dal momento in cui vengono morsi, Mila, Tristan e Ludo avvertono un cambiamento progressivo, apparentemente inspiegabile e senza dubbio spaventoso, che mescola la loro identità umana a quella di lupi. In maniera sempre più insistentemente, la loro nuova natura ferina si fa spazio e li chiama a gran voce, imponendo loro di abbracciare una vita via via più selvaggia e di imparare a misurarsi con istinti e bisogni mai sentiti prima. Perché questo, in fin dei conti, esige il destino da licantropi che il morso dei lupi ha disegnato per loro: mettere “a tacere la mia coscienza umana per scoprire un altro corpo, un altro passo, un altro sguardo sul mondo?”, come spiega bene Mila verso la metà del racconto.

E il lettore che fa? Travolto da una narrazione incalzante, segue i tre ragazzi nelle loro successive trasformazioni, nella paura di essere scoperti da familiari e amici, nella caccia spietata che una sinistra lupa rossa dà loro e nel tentativo di fare luce sulle inquietanti morti che hanno accompagnato la metamorfosi. Lo fa col fiato corto e il cuore in gola perché il ritmo che l’autrice riesce a imprimere alla narrazione aderisce come una seconda pelle ai sussulti emotivi e ai minimi cambiamenti che i ragazzi percepiscono nel loro essere, rendendoli tangibili all’immaginazione di chi scorre le pagine. È così che la metamorfosi si svela poco a poco, tra aspetti oscuri e verità che man mano prendono forma, proprio come accade ai protagonisti del romanzo. Nel cuore delle avventure e delle prove che Mila, Tristan e Ludo si trovano ad affrontare, si va delineando in maniera sempre più netta e distinta la forza protettiva, rassicurante e persino curativa dell’amicizia, chiarissima forse solo a chi – come i bambini e gli animali – sperimenta senza alcuna remora una vicinanza – fisica ed e motiva – quasi istintiva, con l’altro. In un crescendo di tensione ed emozione, il romanzo si chiude con una fuga nel bosco dei tre protagonisti che alimenta come un mantice la curiosità del lettore verso il seguito della saga (in uscita a novembre): un ingrediente da non sottovalutare, questo, che insieme alla scelta di Camelozampa di impiegare caratteristiche di stampa ad alta leggibilità, può fare la differenza nell’ardua sfida di solleticare anche lettori meno propensi a frequentare i libri o con maggiori difficoltà ad affrontare la lettura.

 

Hank Zipzer. Odio i corsi estivi

In Tiratemi fuori dalla quarta abbiamo lasciato Hank alle prese con un tormentato superamento della penultima classe e ora eccoci qui: è arrivata l’estate e con essa i temibili corsi estivi che Hank si trova a dover frequentare mentre i suoi migliori amici si godono lo spassoso programma dei Giovani Esploratori. Si aggiunga poi che i compagni di corso del povero Hank sono i peggiori in circolazione (compresa la fidanzata dello stolido Nick McKelty) e si capirà il perché dell’umore nero di Hank. Unica consolazione: a tenere i corsi estivi è il signor Rock, insegnante di musica e docente preferito di Hank. È lui a chiedere come compito la presentazione di un personaggio famoso ammirevole e ad Hank, in particolare, consiglia di scegliere Albert Einstein. Così il ragazzo inizia una forsennata ricerca di informazioni sullo scienziato: l’obiettivo è confezionare la più straordinaria introduzione mai vista alla SP 87 perché la posta in gioco è alta. In ballo, per Hank, c’è infatti la possibilità di partecipare al talent show finale dei Giovani Esploratori con la performance da urlo dei Magik 3.

Anche questa volta il protagonista brilla per la sua capacità di affrontare i problemi con creatività, per le sue associazioni mentali sorprendenti, per il suo saper fare di una motivazione forte un importante alleato. Ma rispetto agli episodi precedenti, il protagonista mostra qui un’ulteriore inattesa qualità: il saper accogliere con dolcezza persone indifese, come il piccolo Mason, riconoscendo nelle difficoltà altrui le proprie e vestendo i panni di un affettuoso e talentuoso insegnante.

Ninna nanna per una pecorella

C’è una storia piccola piccola di lupi e pecorelle che sa emozionare anche dopo dieci, venti, cinquanta riletture. È una storia di paura e consolazione, che usa figure care e familiari all’immaginario infantile e che sceglie e dispone le parole con cura minuziosa per cullare con garbo le orecchie e i sogni di chi vi si immerge. Così l’avventura della pecorella smarrita che affronta la notte buia e solitaria prima di essere accolta e adottata dalla più inaspettata delle mamme, diventa una coccola da ascoltare e riascoltare, godendo al contempo di illustrazioni che fanno dei contorni spessi e dei colori pieni la chiave per un’ipnotica attrazione nei confronti dei più piccoli. Nel tratto netto e inconfondibile di Massimo Caccia c’è infatti una capacità ammirevole di togliere, togliere, e ancora togliere ciò che non serve, lasciando all’essenziale la misura che merita e costruendo efficaci rimandi tra le pagine basati su forme, linee e tonalità.

A dieci anni dalla sua pubblicazione per i tipi di Topipittori, Ninna nanna per una pecorella va oggi ad arricchire la collana de I libri di Camilla, nata su iniziativa di Uovonero per rendere finalmente accessibili anche a bambini con difficoltà comunicative e di decodifica del testo alfabetico alcuni degli albi più belli e apprezzati dai giovani lettori. La delicata ninna nanna di Eleonora Bellini, dal canto suo, offre una sfida interessante per la simbolizzazione, perché si inoltra in punta di piedi sul terreno della poesia, ancora piuttosto inesplorato non solo dai libri di Camilla ma in generale dal panorama dei libri in simboli. Non mancano quindi strutture sintattiche non lineari (per esempio: Incontra la pecorella una mamma lupo) o figure raffinate (come Ti sarò mamma, casa e sentiero / ti darò sogni di erba e trifoglio / sonno di latte, letto di figlia) che tuttavia mantengono una certa chiarezza e decifrabilità, anche grazie al supporto di una costruzione testuale essenziale e ricca di anafore.

L’intero libro, inoltre, per come è concepito e strutturato – con le ampie illustrazioni a doppia pagina in alto e il testo regolarmente piazzato nella striscia più bassa – ben si presta a un lavoro di adattamento che non ne snaturi l’armonia compositiva grafica. Il risultato è un albo che mantiene la finezza della versione originale, proponendo un’occasione di lettura ricercata e senz’altro fuori dagli schemi a bambini cui spesso vengono proposti solo testi più immediati e piatti: una proposta coraggiosa, insomma, e anche per questo preziosissima, che celebra con forza il diritto di tutti non solo a leggere ma anche a sperimentarsi e a crescere come lettori.

L’invenzione che ho inventato

Se c’è una lezione che il Piccolo Principe ci ha insegnato bene è quella di guardare oltre le apparenze, perché quello che può sembrare un cappello può rivelarsi in realtà una pecora ingoiata da un boa. Ecco, un bell’omaggio a quella preziosa lezione ci pare di scorgerlo nel delizioso albo L’invenzione che ho inventato, da poco reso disponibile dall’editore Storie Cucite in versione tradizionale e in versione inbook.

Protagonista della storia è Tommaso, un bambino operoso e creativo che, armato di fogli e pastelli, disegna un’invenzione geniale da lui stesso messa a punto. In cosa consista non lo scopriamo fino all’ultimo (e non lo riveleremo certo qui!) perché tutte le persone che Tommaso incontra vanno troppo di fretta, hanno uno sguardo troppo superficiale o sono troppo supponenti per coglierne davvero il senso, liquidando presto l’invenzione come una casa troppo storta, dal comignolo troppo alto, dal design antiquato o addirittura fatta al contrario. Solo alla fine, quando ormai Tommaso è del tutto scoraggiato al punto da gettare il suo lavoro nel cestino, trova il sostegno dovuto nella sua compagna Clara che capisce senza indugi in cosa consista la sua invenzione  e ne coglie al volo tutta la genialità.

Rispettoso del più autentico spirito infantile, L’invenzione che ho inventato dice in maniera davvero delicata e puntuale l’importanza di mantenere uno sguardo fresco sulle cose e di prestare attenzione al loro senso più nascosto, restituendo a chi sa mostrare un pensiero divergente tutto il rispetto e il valore che merita.

Il libro si compone di pagine ampie in cui il testo in simboli WLS riquadrati trova adeguatamente spazio, agevolando così la lettura p. Adatto a un pubblico di lettori un pochino rodati – data per esempio la presenza di frasi piuttosto lunghe e di strutture sintattiche dalla linearità variabile – L’invenzione che ho inventato offre un’occasione per sperimentare non solo una lettura non scontata ma anche possibilità immaginative nuove.

Un riccio per amico

C’è una tenerezza diffusa e contagiosa, tra le pagine dell’albo Un riccio per amico: una tenerezza che si esprime attraverso uno storia che celebra il valore della gentilezza, attraverso le parole di un protagonista tenace e generoso, e attraverso le illustrazioni delicate che quella storia e quelle parole completano con grazia. Alice Campanini – autrice e illustratrice del libro – confeziona cioè un racconto che profuma di bosco e di amicizia e che fa dello sguardo premuroso e positivo su chi e su ciò che ci circonda, un approccio alla vita capace di ripagare sempre chi lo adotta.

Quello sguardo premuroso e positivo il lettore lo riconosce fin da subito nel riccio Filippo che un giorno, durante una passeggiata autunnale,  incontra per caso un suo simile nel bosco. È un suo simile un po’ particolare a dire il  vero, stranamente silenzioso e immobile, e questo fa pensare a Filippo che lo sconosciuto possa essere triste e desideroso di un amico. Convintosi di ciò, Filippo si prodiga in ogni modo per procurare al riccio appena incontrato ciò che potrebbe rallegrarlo – un po’ di compagnia, un delizioso fungo da rosicchiare, un riparo per la pioggia, una buona colazione. Tutto sembra inutile ma gli sforzi di Filippo troveranno infine la meritata soddisfazione quando quel riccio così taciturno e impassibile rivelerà la sua vera natura – non del tutto simile, in effetti, a quella del protagonista – rivelando a quest’ultimo che proprio nella diversità possono celarsi doni meravigliosi.

Un riccio per amico nasce in casa Storie Cucite in una doppia versione: tradizionale e in simboli. Quest’ultima  segue in particolare il modello inbook con ricorso a simboli WLS in bianco e nero e riquadrati, testo minuscolo e simbolizzazione di tutti gli elementi della frase singolarmente presi. Il testo contraddistinto da frasi variegate – brevi e semplici ma anche articolate e composte da più di una coordinata e/o subordinata -, elementi pronominali, soggetti talvolta non esplicitati e strutture sintattiche non sempre strettamente lineari appare piacevole e ricco e risulta particolarmente apprezzabile da parte di parte di bambini con difficoltà non troppo marcate o una pratica di lettura già rodata.

Brucoverde

È senz’altro uno dei bruchi più longevi dell’intera storia della letteratura per l’infanzia, Brucoverde. Nato nel 1977 con un compito importantissimo – quello di inaugurare la collana Libri coi buchi de La coccinella – l’animaletto creato da Giorgio Vanetti e Giovanna Mantegazza festeggia i suoi splendidi 42 anni con una nuova veste che non si sostituisce ma si affianca a quella originale. Brucoverde è infatti uno dei titoli che, grazie al progetto I libri per tutti promosso dalla fondazione torinese Paideia, sono stati tradotti in simboli WLS così da risultare accessibili anche a bambini con difficoltà comunicative.

Il progetto prevede la trasposizione digitale dei titoli scelti e simbolizzati, così da sfruttare al meglio le potenzialità in termini di personalizzazione della lettura offerte dalle nuove tecnologie. Le avventure di Brucoverde, scaricabili dal sito Scuolabook e fruibili da pc, tablet o smartphone,  possono così essere apprezzate dal giovane lettore in diversi modi, selezionabili sulla base delle sue specifiche esigenze. È possibile infatti la lettura basata sul modeling automatico – per cui i simboli vengono messi via via in evidenza mentre procede l’audio ad essi corrispondente -, quella basata sul modeling manuale – per cui i simboli vengono messi in evidenza man mano che vengono toccati e solo a quel punto si attiva l’audio corrispondente – , o ancora quella più tradizionale non basata sui simboli ma sul testo alfabetico che può essere ascoltato attivando l’audio o letto in autonomia: una molteplicità di possibilità, questa, che evidenzia bene l’intento inclusivo del progetto che intende rivolgere i libri non solo ai bambini con esigenze speciali di lettura ma anche ai loro compagni o fratelli che magari prediligono una lettura più consueta. Il libro digitale, così come è concepito, offre inoltre un coinvolgimento interattivo a diversi livelli: dal cambio pagina attivabile con un comando giocoso, alle illustrazioni animabili in determinati punti al tocco o al trascinamento, fino alla specifica sezione di giochi che propone piccole attività di svago o di rafforzamento della familiarizzazione con i simboli incontrati nel racconto.

La storia del bruchino affamato che di fronte a ogni frutto o ortaggio appetibile viene ripreso da qualche animale e invitato a cercare un altro alimento, fino al felice banchetto a base di foglie che gli consente di trasformarsi in farfalla, viene mantenuta intatta nella sua freschezza e semplicità. Si tratta di una storia lineare in cui a ogni pagina avviene un incontro (con un alimento e con un animale ammonitore) senza che i diversi personaggi si sovrappongano o affollino confusivamente la pagina. Anche le illustrazioni, in questo senso, concorrono a definire la felice pulizia della storia, grazie a rappresentazioni nette, colorate, prive di fronzoli e in cui l’animale di volta in volta comparso sulla scena a fianco del bruco si differenzia dalle altre figure per stile rappresentativo (più realistico e in bianco e nero). Il testo, già di per sé abbastanza essenziale, viene ulteriormente adattato per mano della stessa autrice così da renderlo più funzionale alla  simbolizzazione. Quest’ultima sfrutta dal canto suo la collezione di simboli WLS, riquadrati, contraddistinti da testo in minuscolo e impiegati in maniera non troppo rigida. La scelta fatta dalla traduttrice è quella infatti di non simbolizzare tutti gli elementi del testo singolarmente presi (le negazioni e gli articoli per esempio, sono uniti al verbo o al soggetto cui fanno riferimento) ma di privilegiare un equilibrio tra dettaglio e fluidità di lettura.

Nel caso del Brucoverde, infine, alla versione digitale si affianca anche la versione cartacea (la maggior parte dei libri coinvolti nel progetto prevede invece solo quella digitale) che cerca di mantenersi il più possibile fedele, anche nell’aspetto,  a quella originale. Rimane perciò intatta la divisione tra testo (sulla pagina di sinistra) e illustrazione (a tutta pagina sulla destra), ma soprattutto la costruzione dell’oggetto-libro intorno ai buchi concentrici che consentono un’esplorazione attiva da parte del bambino e una forma di lettura capace di implicare sensi diversi.

La bambina che dipingeva le foglie

Quando parliamo di libri accessibili sottolineiamo spesso che le loro forza sta nel fare della molteplicità di linguaggi una possibilità di arricchimento, nel mostrare cioè che le storie si possono narrare in tanti modi e che scoprirli tutti o quasi non può che nutrire la curiosità e l’apertura al diverso da parte dei giovani lettori. Ecco, un libro come La bambina che dipingeva le foglie, edito da Albe Edizioni, quest’idea pare sposarla a pieno e concretizzarla in una maniera davvero semplice e suggestiva.

La storia contenuta, che racconta di una bambina desiderosa di far tornare al più presto la primavera e capace di realizzare il suo desiderio grazie all’immaginazione, alla cura paziente e a un pizzico di magia, segue infatti due strade diverse a seconda del lato da cui il libro viene preso. Dal dritto (o dal rovescio: questione di punti di vista!), il racconto procede per sole immagini, secondo i meccanismi più caratteristici del silent book. Dodici tavola dalle tinte delicate si susseguono senza salti narrativi e in maniera anzi molto lineare e chiara, accompagnando così il lettore in un’esperienza di lettura molto godibile. I giochi di inquadrature, i dettagli scelti (la pioggia insistente alla finestra, il cambio di espressione sul volto della protagonista, le sfumature di colore che differenziano le foglie…) e le pagine poco affollate rendono infatti lo sviluppo narrativo molto accessibile, anche a bambini con lievi difficoltà cognitive.

Girato dal lato opposto, invece, il libro propone la stessa storia in forma di racconto scritto. Sono parole leggere ma pensate, quelle di Erica Alosio, parole che rendono la piccola magia che trasforma l’inverno in primavera con la medesima sussurrata tenuità delle illustrazioni di Paolo Proietti, di cui poco fa si è detto. Una piacevole armonia lega quindi il racconto verbale e quello per immagini, nonostante i due linguaggi procedano fisicamente separati. Se leggere solo uno, solo l’altro o i due in secessione, sulle base dei propri desideri e delle proprie abilità, sta al lettore stabilirlo: quel che è certo è che in tutti i casi la lettura si rivelerà piena, avvolgente e capace di sospendere il tempo.

Nel mio giardino il mondo

Un giardino, piccolo o grande che sia, è un piccolo teatro a cielo aperto. Qui accadono meraviglie di diversa taglia, avvengono scoperte straordinarie e si dipanano storie travolgenti: la natura offre infatti materie prime a iosa per trasformare pomeriggi qualunque in autentiche imprese da ricordare.

Lo sanno bene i tre protagonisti del delizioso albo senza parole Nel mio giardino il mondo, firmato da Irene Penazzi ed edito in Italia da Terre di Mezzo. Intercettati sul fare della primavera, quando gli uccelli si risvegliano e i primi germogli fanno capolino, i tre giovani si avviano fuori casa armati di una palla, una poltrona e un rastrello: tre oggetti simbolo di quel che un giardino può diventare. Cornice di giochi, relax e lavori all’aria aperta, il giardino si trasforma infatti fin dalla seconda pagina in un luogo del fare in cui è difficile annoiarsi. C’è da estirpare le erbacce, sistemare il pollaio, creare rifugi a prova di sole e di pioggia, curare bestiole, gustare ciliegie, fare gli indiani, creare dinosauri,  festeggiare compleanni e trovare tesori. Solo per fare qualche esempio, puntualmente fotografato dalla matita colorata dell’autrice. C’è da fare tutto questo e molto altro perché la bella stagione passa in fretta e non si fa in tempo a meravigliarsi di fronte alla magia delle lucciole in una calda sera d’agosto che è già ora di raccogliere fichi, creare tane per ricci, scaldarsi di fronte a un fuocherello e rassettare il giardino prima che la prima neve cada e l’inverno renda meno intensa (ma non certa nulla, come ci suggeriscono il pupazzo e la slitta!) la vita all’aria aperta.

Scorre insomma un anno intero tra le pagine di questo albo meraviglioso, scandito da ritmi diversi a seconda della stagione di volta in volta ritratta. Al breve e pacato inverno, reso attraverso due pagine silenziose prive di figure umane, si contrappongono le numerose e movimentate pagine dedicate alla bella stagione in cui i bambini protagonisti paiono non fermarsi mai, animati da un irrefrenabile spirito di creazione ed esplorazione che trova nello spazio del giardino un vero e proprio regno delle possibilità. Il tratto di Irene Penazzi, dal canto suo, è preciso e dinamico, capace di restituire tutta la vitalità delle giornate operose all’aria aperta e il brulicare di avventure più o meno immaginarie che nel cuore di un giardino possono prendere forma. Ci si può attardare con gusto e perdere con grande soddisfazione, dunque, tra le sue tavole ricchissime ma tutt’altro che soffocanti, nelle quali riconoscere con delizia gesti familiari, dettagli nascosti, spunti di gioco e  osservazioni importanti.

Anche in virtù di questa qualità oltre che dell’assenza di parole, risultano innumerevoli le letture che di questo albo si possono fare, a tutto vantaggio anche di un pubblico di giovani lettori con difficoltà (per esempio legate alla dislessia, alla sordità o ai disturbi della comunicazione) che possono qui trovare un terreno narrativo fertilissimo, aperto e stimolante.

Un giorno di sole e di luna

Dalia è una farfalla che, a differenza di tante sue simili, non si limita a cantare, svolazzare e succhiare il nettare dai fiori ma si pone anche delle domande sulle cose e sulle creature che la circondano, senza accontentarsi di ciò che su di esse si dice in giro. Questo la rende forse scocciante agli occhi di chi, come un moscone qualunque, preferisce vivere nell’inerzia e nell’indifferenza, ma le consente di scoprire cose che le sue compagne non vedranno forse mai e di fare incontri che le cambieranno forse l’esistenza. Come quello con la balena Ba, apparentemente così diversa ed eppure così vicina a lei, nel momento in cui entrambe abbandonano remore e pregiudizi per provare a mettersi davvero l’una nei panni dell’altra. Complice un’eclissi solare, la farfalla e la balena vivono un istante di totale contaminazione – nel senso più proprio e positivo che questa parola reca con sé – che le renderà capaci di guardare oltre le proprio pinne o ali. Perché l’empatia e l’avvicinamento curioso all’altro è proprio questo che fanno: consentirci una trasformazione che cambia profondamente il nostro sguardo e da cui difficilmente vorremmo tornare indietro.

Stampato con caratteristiche di alta leggibilità (font Easyreading, spaziatura maggiore, testo non giustificato né sillabato), il racconto illustrato Un giorno di sole e di luna offre un’occasione di lettura accessibile anche a bambini con dislessia ma non per questo banale o piatta. Tutt’altro! le illustrazioni delicatissime firmate da Antonio Boffa e il testo dall’animo metaforico di Pino Pace dialogano in maniera straordinaria sul filo della poesia, stimolando interpretazioni molteplici, sedimentazioni profonde e domande importanti che tanto hanno da dire anche a lettori ormai cresciuti.

Un lupo nella neve

Ci sono un lupo e una bambina dalla mantella vermiglia, nel libro di Matthew Cordell ma – attenzione! – la storia narrata non è affatto quella di Cappuccetto Rosso (per quanto questa echeggi senza dubbio). Qui il lupo e la bambina non sono infatti nemici ma diventano piuttosto complici in una situazione di comune difficoltà.

La protagonista dal cappuccio rosso viene presentata dall’autore all’uscita di scuola quando, sorpresa da una tormenta di neve, perde la strada di casa e si trova smarrita. La stessa sorte capita in contemporanea a un cucciolo di lupo che finisce per restare indietro rispetto al suo branco e a ritrovarsi solo in mezzo alla bufera. Superato il timore del primo incontro, i due decidono di affrontare insieme l’ignoto nel tentativo di ritrovare le rispettive famiglie, condividendo la preoccupazione, la paura e la difficoltà di procedere in una situazione ostile. Sarà proprio quella condivisione a renderli più forti di quel che paiono di fronte a ostacoli pericolosi e a riportarli sani e salvi sulla via di casa. Rintracciata mamma lupo, infatti, anche la bimba potrà godere della gioia del ricongiungimento con i suoi cari grazie all’intervento  riconoscente del branco del suo nuovo amico.

Come la più classica delle fiabe, Un lupo nella neve accompagna il lettore a esplorare i sentimenti più bui e quelli più luminosi del suo essere umano. Lo fa con una forza e una semplicità di grandissimo impatto, soprattutto se si considera che la storia procede interamente per immagini: caratteristica, questa, che rende il lavoro di Matthew Cordell ancora più interessante, perché ne consente la piena fruizione anche da parte di giovani lettori con difficoltà di lettura legate per esempio alla sordità o alla dislessia.

Il mago di Oz

Il lavoro che negli ultimi anni Erickson ha portato avanti sul fronte dell’adattamento dei classici della letteratura per l’infanzia a uso di lettori con difficoltà comunicative è importante e prezioso. Lo è soprattutto perché condotto con grande rispetto a attenzione nei confronti dei testi originali e con il coinvolgimento di molteplici figure le cui diverse professionalità sono garanzia di un prodotto finale che unisce con efficacia accessibilità e qualità estetica. Lo avevano mostrato già i primi due titoli della collana I classici con la CAAPinocchio e Il piccolo principe – e tornano ora a confermarlo i titoli più recenti come Il mago si Oz.

Felicemente illustrato da Giulia Orecchia, il libro restituisce al lettore tutta la vivacità dell’immaginario di Lyman Frank Baum con tavole in cui i colori si fanno protagonisti e i personaggi  toccano nel vivo la fantasia del lettore. Le incisive illustrazioni dell’artista milanese sono frequentissime (una ogni doppia pagina), il che concorre a rendere il libro una vera delizia per gli occhi e a fare dell’immagini un elemento chiave per l’aggancio, la comprensione e la rappresentazione della storia nella mente del lettore.

Per quanto semplificato e adattato, infatti, il racconto non è affatto banale sia per la ricchezza di eventi e personaggi coinvolti, sia per la lunghezza e il corpo del testo. Dal punto di vista narrativo vengono mantenuti infatti tutti gli episodi principali del romanzo – dall’incontro con il Boscaiolo di stagno, lo Spaventapasseri e il Leone all’arrivo nel regno di Oz, dall’incontro con la strega dell’Ovest all’avventura con le Scimmie Volanti, dalle ricompense del grande Oz al ritorno a casa – mentre da quello sintattico non mancano frasi di una certa lunghezza o composte da subordinate ed elementi lessicali poco comuni. Il libro si pone dunque come proposta di lettura adatta a un pubblico con difficoltà non troppo marcate e/o con una certa dimestichezza già accumulata con la lettura in simboli.

Scelti all’interno della collezione di WLS (Widgit Literacy Symbols), questi coinvolgono tutte le parti del testo (non solo quelle lessicali, quindi) e comprendono sia l’elemento alfabetico sia l’elemento grafico all’interno del riquadro. La loro distribuzione sulla pagina, come da modello inbook, segue la punteggiatura della frase così da rendere più agevole la lettura. Allo stesso scopo va sottolineata l’iniziativa dell’editore di corredare il volume cartaceo di una registrazione audio del testo, scaricabile gratuitamente grazie a un codice inserito in prima pagina: un accorgimento tutt’altro che irrilevante nell’ottica di rendere la fruizione del racconto il più possibile ampia e adatta a esigenze differenti.

Uff!

Dalla noia possono nascere cose meravigliose: parola di Uff, il più noiosamente annoiato dei bambini del pianeta! Dedito alla noia fin da quando era piccino e capace di elevarla ad arte degna di un professionista, Uff decide un giorno di proclamarsi “Sua maestà, il re supremo della noia”. Ma un re non può esser tale senza un trono e un castello. Che vanno dunque costruiti, magari con del cartone. Senza uno stuolo di sudditi, servitori e guardie. Che vanno dunque selezionati, magari tra i pupazzi e gli oggetti di casa. E senza una vita di corte. Che va dunque organizzata, gestita e regolata, magari con un gran dispendio di risorse immaginative. Così accade che nella noiosissima vita di Uff qualcosa scatti e che – resti tra noi –un barlume di divertimento faccia il suo trionfante ingresso nel regno della noia!

Con Uff!, Ilaria Guarducci costruisce una storia leggera e iperbolica che omaggia col sorriso le potenzialità insite nella noia ma anche il diritto a esser così come si è, anche se questo vuol dire risultare un pochino grigi e poco brillanti: perché anche sotto una corazza apparentemente piatta e immobile può celarsi un mondo ricchissimo e capace di stupire. Lo fa con un personaggio incisivo anche e soprattutto per la maniera in cui viene raffigurato forte di scodella fulva, orecchie a sventola e sguardo eloquentissimo. L’autrice mostra in generale una capacità apprezzabilissima di “dire” con le sue figure, creando un divertente dialogo con il testo. Stampato ad alta leggibilità grazie alla scelta del font Easyreading e a un’impaginazione ariosa, questo si presta ad incuriosire anche i lettori più riluttanti grazie a una palpabile ironia di fondo e a un uso efficace (e non distraente) di grassetti, colori e diverse dimensioni.

Una giornata di sole

Una giornata di Sole è una raccolta di microstorie quotidiane che vedono protagonista un cane di nome Sole. Pelo chiaro ed energia da vendere, Sole si trova ad affrontare diverse situazioni per lui perlopiù nuove – dall’incontro con il gatto neo-inquilino di casa al primo pomeriggio senza la sua padrona, dalla rottura del pupazzo preferito ai tuffi nel fiume – e le emozioni che da esse derivano. Attraverso ciò che accade al cucciolo peloso – soggetto capace di suscitare grande interesse e di rivelarsi familiare a numerosi bambini – il libro offre semplici e spendibili spunti anche per riflettere e riconoscere le emozioni umane. Non a casa al termine del volume si trovano alcuni suggerimenti di attività che genitori e insegnanti possono proporre sul tema ai loro bambini.

Pubblicato da Homeless Book in simboli WLS, Una giornata di Sole presenta un testo lineare ma non minimale, composto perlopiù di frasi brevi o coordinate e contraddistinto da un lessico quotidiano. Le illustrazioni semplici ma attente soprattutto a rendere con precisione le emozioni dei protagonisti – vero focus del libro – aiutano a rafforzare l’aggancio con il racconto il quale, grazie a una struttura frammentata in tante piccole storie, si presta agevolmente anche a una lettura in più momenti.

Fortunatamente

Fortunatamente è un albo delizioso che narra le peripezie affrontate dal giovane e impavido Ned per partecipare alla festa a sorpresa a cui è stato invitato: peripezie tutt’altro che banali, se si considera che comprendono il pilotare un areo che esplode per aria, buttarsi con un paracadute bucato, finire su un covone di fieno da cui spunta un forcone, esplorare un tunnel sotterraneo popolato da tigri, solo per citarne alcune. Ma Ned mantiene costantemente saldi i suoi nervi e, aiutato da una buona e regolare dose di fortuna, riesce a raggiungere la festa il cui ospite d’onore è davvero speciale!

Perfettamente congegnato dall’autore americano Remy Charlip che alterna con perizia avvenimenti fortunati ed avvenimenti sfortunati in un susseguirsi di emozioni irresistibile, Fortunatamente gioca con gusto con l’uso del colore e del bianco e nero e si contraddistingue per un testo incisivo e di grande ritmo. Scritto più di cinquant’anni fa, Fortunatamente è stato portato in Italia da Orecchio acerbo nel 2013. È però alla squadra de Il treno, cooperativa romana specializzata nella proposta di attività e prodotti in LIS, che si deve l’adattamento di questo straordinario lavoro in modo da risultare davvero a misura di bambini sordi segnanti. Grazie al passaggio dalla carta al digitale, che consente l’introduzione a ogni pagina di brevi video che raccontano il testo in LIS, Fortunatamente raggiunge più facilmente un pubblico spesso trascurato dall’editoria per l’infanzia. Lo fa peraltro con un prodotto apprezzabilissimo soprattutto per la maniera rispettosa e armonica con cui l’elemento aggiuntivo – i video in LIS appunto – va a integrarsi sulla pagina originale.

Il prigioniero senza frontiere

Ci sono libri piccoli piccoli che sanno dire cose molto grandi. E sanno farlo, talvolta, senza usare nemmeno una parola. È il caso del silent book Il prigioniero senza frontiere, firmato dall’autore canadese Jacques Goldstyn e proposto in Italia dall’editore Picarona: un albo tanto leggero quanto denso che illumina silenziosamente su quanto rivoluzionario sia il potere della parola e su quanto sacrosanto sia il diritto di esercitarla.

Protagonista del libro è un signore intento a partecipare a una manifestazione di dissenso. Non sappiamo quasi nulla di lui e dell’idea che difende ma la sua espressione gentile e la compagnia di una bambina sorridente che lo tiene per mano durante la protesta ci fanno presumere fin da subito che le sue intenzioni non siano cattive o bellicose. Eppure la manifestazione si trasforma in uno scontro, la polizia si prodiga in manganellate e arresti e così l’uomo si ritrova  improvvisamente e incomprensibilmente  in carcere. I valori per cui stava manifestando continuano ad animare i suoi pensieri anche se la solitudine della cella tenderebbe a portargli via la speranza. Ma un giorno qualcosa accade: l’uomo riceve una lettera che gli riporta il sorriso. Deve essere una lettera pericolosa, pensa la guardia, se quello è l’effetto, e così la lettera finisce in briciole. Ma poi le lettere diventano due, tre, dieci, cento… e per disfarsene la guardia è costretto a bruciarle.  Il problema parrebbe risolto se non che le tracce di fumo, cenere e brandelli di carta arrivano più lontano del previsto e tanti sconosciuti – vecchi e bambini, esquimesi e cow boy, marinai e clown e chi più ne ha più ne metta – iniziano a scrivere lettere al prigioniero, regalandogli una via di fuga tanto straordinaria quanto inattesa.

Costruito intorno a una potentissima metafora – quella delle parole che possono divenire ali – Il prigioniero senza frontiere si ispira a un’iniziativa reale promossa ogni anno da Amnesty International che invita i cittadini che hanno a cuore il rispetto dei diritti umani a scrivere missive ad alcune persone incarcerate ingiustamente così da non farle sentire sole e anzi a favorire la loro liberazione.  Questa maratona di lettere – così si chiama l’iniziativa – costituisce una forma di resistenza civile e manifestazione non violenta del proprio dissenso, in cui le parole reclamano a gran voce il loro peso e il loro valore. Goldstyn, dal canto suo, è riuscito a trasformare tale iniziativa in una storia di grandissima forza e peraltro ampiamente accessibile grazie a un racconto che oltre a fare a meno del testo, si sviluppa per quadri ben costruiti che rendono i passaggi narrativi  chiari e fruibili anche in caso di scarsa dimestichezza con la decodifica delle immagini.

 

Immagina

I silent book offrono spesso ai giovani lettori una libertà di movimento sulla pagina e nella storia più ampia rispetto agli albi che del testo sono invece provvisti. L’assenza di parole consente infatti al lettore di seguire una traccia narrativa che è certo ben presente ma meno vincolante e per questo più adatta a venir seguita con passo libero e personale. Questo in generale. Poi ci sono libri come Immagina, vincitore del Silent Book Contest 2018, che della libertà di interpretazione, immaginazione e racconto fanno in qualche modo la loro chiave. La giovane illustratrice russa Anastasia Suvorova dà infatti vita a una storia in cui è difficile se non impossibile individuare un percorso di senso incontrovertibile e di conseguenza il lettore viene a trovarsi nella posizione di stabilire in grande autonomia il significato più autentico, valido e proprio da attribuire alla vicenda. Si tratta di un’opportunità interessante anche per lettori con bisogni speciali: essa può certo, infatti, rivelarsi complessa se la dimestichezza con la decodifica delle immagini non è particolarmente affinata o se la presenza di una disabilità cognitiva limita l’attivazione di inferenze, ma che al contrario può risultare estremamente suggestiva e stimolante, se il tipo di difficoltà sperimentata non ha a che vedere con l’intercettazione del potenziale narrativo delle immagini.

Protagonista del volume è un ragazzino che, armato di matita, trasforma l’anonimo muro grigio che si trova alle sue spalle in un mondo fantastico pronto ad animarsi. È il delinearsi di un imponente pennuto rosso fuoco, in particolare, a dare vita all’avventura, conducendo il giovane disegnatore all’interno di quel mondo da lui stesso creato. Da qui in poi l’autrice inizia a  sciogliere le briglie del racconto, lasciando il lettore libero di seguire il protagonista in un viaggio sospeso tra reale e fantastico, tra visione ed emozione, tra fisico e metaforico. È la nota cromatica rossa che di pagina in pagina passa ad evidenziare elementi diversi – una casa, una barca, un fiore, un volpe – a suggerire in maniera davvero sottilissima, quasi impercettibile, un itinerario narrativo. Perché quei dettagli prendano colore, cosa succeda esattamente al ragazzino tra quei villaggi e quei boschi, cosa rappresentino le creature scelte per condurlo dentro e fuori da quel mondo dipinto non è dato saperlo con certezza e proprio questo pone delicatamente in bilico tra  smarrimento e rassicurante libertà, la sfida di lettura offerta a chi sfogli le pagine di questo libro.

Il piccolo vagabondo

Il piccolo vagabondo è un essere dall’aspetto reale e dall’indole fantastica, un ometto dall’aria affabile che viene in soccorso di viaggiatori e viandanti per aiutarli a ritrovare la strada e forsanche loro stessi. Con questo scopo egli compare con regolarità, facendo da trait d’union tra le sette storie che compongono la bellissima raccolta di brevi racconti senza parole firmati dalla giovane Crystal Kung. Cinese di nascita, taiwanese d’adozione e infine cosmopolita di spirito, l’autrice ha infuso ne Il piccolo vagabondo  la sua personalissima inclinazione al viaggio e tutto il ventaglio di emozioni e di epifanie che questo può recare con sé.

Dallo smarrimento al riscatto, dalla rinascita alla memoria: il variegato carico di esperienze che può nascere dall’incontro con il mondo è prima racchiuso e poi schiuso dai sette personaggi che escono dal suo finissimo pennello con una forza e una vividezza rare. C’è per esempio un ciclista che si perde e si ritrova finalmente tra le strade tortuose del Tibet, una giovane donna che riscopre la sua identità in una città apparentemente estranea o un anziano che grazie a un ombrello giallo ricevuto in dono riassaggia per un istante la sua giovinezza: tutte figure che interpretano sfaccettature differenti di un percorso di ricerca ed esplorazione, e che in qualche modo arrivano a una svolta sul loro sentiero grazie al provvidenziale intervento di quel piccolo vagabondo che all’occorrenza compare e scompare.

L’universo narrativo che grazie al particolare stile di Crystal Kung pare letteralmente prendere vita a filo di pagina è sospeso tra la dimensione reale e quella squisitamente onirica. Immergervisi offre al lettore un’occasione preziosa di confrontarsi non solo con sette storie emblematiche ma anche con il proprio personale bagaglio di ricordi e propositi, di orizzonti e radici, in un viaggio che dalla pagina muove nel profondo. Si tratta di un viaggio incantevole e struggente che l’autrice rende possibile grazie a un racconto per immagini che cattura il lettore e gli domanda un costante e raffinato coinvolgimento. Tutt’altro che immediata ed elementare è dunque la decodifica dei quadri che compongono il volume e della loro successione, a riprova del fatto che un’educazione all’immagine è tanto necessaria quanto quella al testo e che l’assenza di testo non significa automaticamente accessibilità della storia. Lettori curiosi e predisposti a itinerari narrativi arditi che manifestino spiccato interesse per il potenziale narrativo delle figure possono trovare qui una proposta appagante, avvincente, ricca e stimolante.  E ben sappiamo quanto di questo ci sia bisogno per tutti quei ragazzi che pur scontrandosi con forti difficoltà nella decodifica del testo, mostrano grande piacere, abilità e soddisfazione nell’attardarsi e confrontarsi con la sfida delle immagini.

Il tesoro del labirinto incantato

Cinque amici e un tesoro da trovare: nel parco dove regolarmente si trovano a giocare il pettirosso Red, la tartaruga Gaia, la talpa Pino, il riccio Valentino e la gatta Lola, compare infatti un giorno labirinto misterioso. Come esplorarlo per esser certi di arrivare al tesoro che cela? La saggia Gaia suggerisce di muoversi tutti insieme così da unire forze e talenti e l’idea si rivela vincente. Il fine ingegno della tartaruga, l’olfatto sopraffino della talpa, la vista acuta del riccio e quella ampia del pettirosso, uniti alla memoria  ben allenata della gatta portano il gruppo dritto alla meta e alla scoperta di un tesoro che più sorprendente non potrebbe essere, non solo per i protagonisti ma anche per Tommy e Viola che la storia del labirinto la ascoltano dalla zia Susanna in una sorta di storia-cornice che racchiude quella principale. Tommy ha infatti una gamba rotta e questo gli impedisce di andare a divertirsi al parco ma l’ascolto della storia del labirinto lo porta a entusiasmarsi all’idea di un parco in cui tutti possano giocare insieme, proprio come Red, Gaia, Pino, Valentino e Lola. Sicché a sua volta si impegna per progettarne uno e fare in modo che possa diventare reale!

Perché di parchi così, in cui il gioco possa essere effettivamente condiviso al di là di eventuali limiti sperimentati da qualcuno o più semplicemente di esigenze ludiche differenti, non ce ne sono molti nel nostro paese. Ed è un peccato. Quello al gioco è infatti un diritto sacrosanto  e l’ambito della progettazione dei parchi è uno di quelli in cui un approccio inclusivo, che tenga cioè conto delle esigenze di tutti, compreso chi vede male o non vede affatto, chi non può correre o arrampicarsi e chi può farlo ma con cautela, non può che risultare arricchente per tutti. Proprio da questa idea nasce il progetto che ha dato vita a Il tesoro del labirinto incantato, frutto del lavoro coordinato di moltissime realtà sensibili al tema del diritto al gioco e costruito con l’esplicito intento di portarvi l’attenzione dei lettori. Il libro, dal canto suo, propone una storia semplice in cui la diversità è chiaramente incarnata da personaggi zoomorfi dalle caratteristiche ben marcate, tanto nella mancanza (la cecità di Pino o la difficoltà a muoversi di Gaia, per esempio) quanto nella ricchezza di risorse complementari: una storia che, nella sua piana e facile rappresentazione, mira  a rendere concretamente apprezzabile anche da lettori inesperti l’idea che la diversità, nel gioco come nella vita, possa e debba essere un’opportunità.

Ma l’impegno delle realtà che hanno dato vita al libro e al parco inclusivo a cui esso si ispira (parco che proprio grazie a parte dei proventi del libro potrà prendere vita), non si è limitato al confezionamento di una storia dal messaggio chiaro e incisivo ma si è apprezzabilmente allargato alla sua resa il più possibile accessibile. Il tesoro del labirinto incantato presenta infatti sulla stessa pagina il testo in quattro versioni differenti – una più articolata, in nero, minuscolo e con font ad alta leggibilità Easyreading, una più piana ed elementare, in nero, maiuscolo a grande carattere, una in Braille e una simboli WLS – un’attenzione allargata a diverse esigenze di lettura che davvero raramente si è trovata all’interno di un volume. Grazie a un QRcode inserito nella seconda pagina, inoltre, è possibile ascoltare il testo in formato audio. Le illustrazioni, infine, si presentano ben contrastate e propongono rappresentazioni a tutta pagina prive di eccessivi dettagli, così da risultare a loro volta massimamente fruibili.  Interessante e degno di nota, a proposito di questo lavoro a 360° sull’accessibilità, il fatto che il libro sia nato dalla cooperazione di realtà editoriali contraddistinte da competenze diverse come Camelozampa, Puntidivista o la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi. Perché anche quando si parla di lettura accessibile l’insegnamento  di Red, Gaia, Pino, Valentino e Lola è chiaro: fare rete e mettere insieme abilità, conoscenze e talenti diversi non può che portare a un vero tesoro!

Prima o poi

Un filo può raccontare tante cose: un percorso, degli incontri, delle emozioni, una crescita. La vita, insomma. Questo è, in particolare, quello che ha saputo vedere in un (apparentemente!) banalissimo  filo di cotone Isabella Christina Felline, autrice dell’interessante libro tattile Prima o poi. Protagonista del volume è infatti proprio un filo bianco che da groviglio iniziale, attraverso un cammino non privo di ostacoli e preoccupazioni, trova finalmente la sua strada e capisce come diventare qualcosa di speciale (cosa non lo riveleremo per amor di sorpresa!). Nelle sue incertezze e défaillance ma anche nel suo tirare fuori la grinta e conquistare la propria identità si legge tutta la  fragilità umana, soprattutto in un momento di crescita e passaggio, al punto che nonostante l’apparente semplicità il libro parrebbe adattissimo ad esser letto e apprezzato non solo da bambini ma anche e soprattutto da adolescenti e preadolescenti.

Sfruttando le potenzialità fisiche e figurate di un oggetto semplice ma versatile come un filo – la lunghezza, la districabilità, la sottigliezza, per esempio – l’autrice crea un personaggio simbolico che invita a cogliere l’unicità di ciascuno e il suo diritto a riconoscersi speciale. Elegante nella sua veste bianca e nera (pagina nera su cui poggiano il filo bianco e il riquadro del medesimo colore che riporta il testo tradizionale e in Braille), Prima o poi propone un’occasione di lettura tanto accessibile quanto suggestiva. Le illustrazioni interamente composte dal filo che cambia forma, posizione e aspetto facilitano il riconoscimento tattile senza per questo renderlo banale o privo di sfumature. Le peculiarità e il valore metaforico di un filo di volta in volta, per esempio, aggrovigliato, liscio, composto, sfibrato o sferruzzato rafforzano e amplificano infatti il senso di una storia che non dice ma suggerisce, non indica ma evoca.  Frasi fulminee e parole che come prismi moltiplicano le sfaccettature e le possibilità di significato del racconto, offrono infatti la chiave per agganciare il lettore e risuonargli dentro a lungo.

Il nonno bugiardo

Ne racconta di storie, il nonno di Andonis! E il nipote, comprensibilmente, si chiede di continuo se siano vere o meno. Racconta storie quando banalmente arriva in ritardo, nonno Marios, ma anche quando, più sentimentalmente, evoca il suo passato da giramondo. Attore di teatro esiliato durante la dittatura greca, il nonno ha vissuto sulla sua pelle grandi eventi come il ‘68 parigino, eventi che nei suoi racconti restano sospesi tra il reale e l’immaginario, sicché il decenne Andonis oscilla tra il fascino che emana un passato avventuroso  e il timore che qualcosa gli venga costantemente tenuto nascosto. Come tutto ciò che riguarda la nonna, per esempio, di cui nessuno in famiglia parla. Chi era? Dove è finita? Perché tutti tacciono quando viene citata? E così silenzi e  mistero alimentano una visione talvolta distorta e talvolta surreale della storia famigliare fino a quando, una serie di viaggi in cui il nonno porta con sé Andonis, gli consentono di ritrovare i pezzi mancanti a una visione d’insieme. Quei viaggi saranno l’occasione per conoscere direttamente alcune tracce di quel passato favoloso narrato dal nonno e per  rafforzare il legame che lo lega a quest’ultimo: un legame che si alimenta di esperienze sui generis, citazioni di classici, conversazioni da grandi e che rivela forse tutta la sua intensità proprio quando il nonno viene a mancare.

Scritto da una delle più affermate autrici greche, Il nonno bugiardo è un libro dall’andamento perlopiù placido (ma mai stagnante!) e capace di un’accelerata sul finale, quando i tasselli del puzzle famigliare vengono a ricomporsi. Animato da personaggi ben caratterizzati e da una capacità rara di intrecciare la Storia e le storie, il romanzo di Alki Zei invita il lettore a una lettura sorniona, resa più fruibile non solo da una stampa ad alta leggibilità nella versione cartacea ma anche dalla possibilità di optare per soluzioni variegate – ebook (in formato epub o mobikindle, 7.90 €), audiolibro (8.90 €) e una combinazione dei due (9.90 €) – che dimostrano ancora una volta la grande sensibilità dell’editore Camelozampa per la questione dell’accessibilità della lettura.

Buon appetito. Un, due, tre… pappa!

L’interesse della casa editrice Bertoni nei confronti degli inbook e del loro potenziale nei confronti di bambini con e senza bisogni comunicativi complessi ha dato i suoi primi frutti nel 2018, con la pubblicazione de Il trenino Andrea va in montagna, seguito a stretto giro da Buon appetito. Un, due, tre… pappa!. A differenza del primo, edito soltanto in simboli, questo secondo volume nasce come alternativa adattata di un libro omonimo tradizionalmente stampato.

Tema dell’inbook in questione è, come anticipato dal titolo, il momento della pappa, qui positivamente trattata con attenzione agli stimoli multisensoriali e alle occasioni di socialità che esso offre. Il punto di vista preso in considerazione è quello di un paffuto bambino che dalla posizione privilegiata del suo seggiolone assiste alla preparazione di deliziosi manicaretti, partecipa con gusto al loro assaggio e si gode infine, a pancia piena, il momento ludico che segue il pasto. Una routine molto semplice e molto familiare è dunque al centro di questo volume smilzo nel formato e nel contenuto, che invita a trasformare il momento del pranzo in un momento di condivisa gioia.

Scritto in rima senza grandi ambizioni, con ampio ricorso per esempio a diminutivi, il testo si compone di frasi perlopiù brevi e semplici. Non sempre sviluppate linearmente, queste non mancano di termini poco usuali o dialettali che aumentano la complessità della lettura. I simboli utilizzati, come da modello inbook, sono i wls, riquadrati, in bianco e nero e scelti per tutti gli elementi del testo, compresi per esempio pronomi, preposizioni e articoli. A completare il tutto una serie di illustrazioni dai colori pieni e netti che sottolineano il tono positivo del testo.

Il trenino Andrea va in montagna

Avviato ormai da alcuni anni, il progetto che mira alla diffusione degli inbook grazie al coinvolgimento di diverse case editrice continua a crescere. Bertoni è uno degli editori che più recentemente ha aderito all’iniziativa, proponendo in Comunicazione Aumentativa e Alternativa, secondo il modello proposto dal Centro Studi Inbook, due dei suoi titoli: Il trenino Andrea va in montagna e Buon appetito. Un, due tre… pappa!.

Il primo racconta la giornata speciale del trenino Andrea, trovatosi ad attraversare un’innevata montagna. Qui il protagonista fa la conoscenza di un pupazzo di neve e di uno spazzaneve che, gentilissimi, lo aiutano a prendere confidenza con la neve e il gelo. Tra i tre nasce quindi un legame, suggellato da un dono a tema davvero prezioso fatto da Andrea ai suoi nuovi amici. Il libro, nato in seno alle attività didattiche di un asilo nido e successivamente trasformato in volume con tutti i crismi grazie alla sensibilità dell’editore perugino, palesa nel testo e nelle illustrazioni la sua origine artigianale, ciononostante offre una storia piana e senz’altro capace di catturare l’attenzione dei più piccoli data l’implicazione narrativa di mezzi amatissimi come il treno e lo spazzaneve.

Il testo, dal canto suo, si presenta meno semplice e lineare di quel che ci si aspetterebbe, con frasi piuttosto lunghe e articolate, composte da diverse coordinate o subordinate: il che lo rende più adatto a una lettura ad alta voce per bambini piccoli che non a primi tentativi di lettura autonoma. La simbolizzazione, come da modello, concerne tutte le parti del testo, anche quelle non lessicali, e prevede la parte alfabetica (in stampatello minuscolo) e la parte grafica (in bianco e nero) riunite all’interno del riquadro. Le illustrazioni, infine, presentano soggetti piuttosto grandi e dai colori decisi allorché i contorni non risultano nettissimi.

Il bambino con le scarpe rotte

Il protagonista di questa storia di nome fa Dario ma quasi nessuno dei suoi compagni lo chiama così. Per tutti è “il bambino con le scarpe rotte”: appellativo sprezzante che ne sottolinea la condizione di indigenza e ne ferisce profondamente i sentimenti. Dario però non reagisce alle prese in giro, tende a tenere un basso profilo e a incassare i colpi senza dare grandi soddisfazioni ai suoi tormentatori. Un giorno però Bob e la sua gang si avvicinano minacciosi e fanno per togliere la sedia su cui Dario è seduto e questi, in uno scatto di rabbia, spinge via con forza il compagno facendogli battere la testa. Spaventato dalla sua stessa reazione e dal dolore causato a Bob, Dario corre via finendo per rompere il suo unico paio di scarpe. Quella che pare una disgrazia, tuttavia, apre per il bambino delle possibilità nuove: Dario scopre infatti di poter correre molto veloce, da scalzo, e proprio una gara a piedi nudi gli offrirà la chance di riappacificarsi con Bob.  “Tutto si aggiusta”, dice con dolcezza la mamma di Dario, in una chiosa che non ha certo a che vedere con le sole scarpe.

Racconto di altri tempi, capace di portare a galla una piaga tutt’altro che scomparsa come la povertà, Il bambino con le scarpe rotte si presenta come un albo ad alta leggibilità, grazie all’impiego del font Easyreading e di una serie di caratteristiche tipografiche come la maggiore spaziatura tra le parole, le lettere e le righe o la sbandieratura a destra: tratti che lo rendono particolarmente fruibile anche in caso di dislessia. Da non sottovalutare, in questo senso, anche la scelta di proporre la storia in forma di albo: la combinazione di testi snelli e immagini protagoniste a tutta pagine costituisce, infatti, un incentivo significativo alla lettura da parte di bambini della scuola elementare – cui frequentemente si propongono solo racconti con poche immagini –  anche con difficoltà legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

 

Meno male che il tempo era bello

Che nessuno si azzardi più a dire che le biblioteche sono posti noiosi, polverosi e in cui non succede mai niente. L’incredibile vicenda della biblioteca Jacques Prévert, narrata abilmente da Florence Thinard, prova incontrovertibilmente il contrario. Ciò che accade è che un pomeriggio come un altro, durante un forte temporale, la biblioteca inizia a fluttuare come fosse una barca in mezzo al mare. Nessuna spiegazione plausibile, nessuna soluzione immediata: agli sventurati che si trovavano all’interno della biblioteca al momento del fattaccio non resta che rimboccarsi le maniche e fare fronte all’incredibile evento. E sì che la combriccola non potrebbe essere assortita in maniera più stravagante: insieme al personale – la solerte bibliotecaria Sarah, il direttore Patisson e la signora Perez addetta alle pulizie –  si trovano un utente fuori dagli schemi di nome Saïd e un’intera classe di scuola media accompagnata dal professor Daubigny.

Dopo i primi istanti di smarrimento, il gruppo si adatta alle avverse condizioni, trasformandosi in una ciurma a tutti gli effetti con tanto di mansioni specifiche, turni di guardia e insperato spirito da lupi di mare. Quando si è a bordo di una biblioteca fluttuante, tocca procurarsi il cibo, conservarlo e cucinarlo, raccogliere e immagazzinare l’acqua potabile, lavarsi, riposarsi, mantenere alti gli animi e, non ultimo, cercare di farsi notare da qualche potenziale mezzo di soccorso. Tutte piccole grandi imprese che la squadra riesce a portare a termine, in un crescendo di colpi di scena, imprevisti e svolte avventurose, grazie a un ammirevole spirito di gruppo, a una guida adulta intraprendente e mai scoraggiata, a un entusiasmo adolescenziale finalmente valorizzato a pieno, e ai preziosi spunti che i libri – da Robinson Crusoe ai manuali tecnici – sanno custodire e rivelare. Siamo pur sempre in una biblioteca!

Dopo un inizio calmo e pacato, che lascia al lettore il tempo di acclimatarsi nella Jacques Prévert e prendere confidenza con i visitatori di quel fatidico martedì 12 febbraio, il romanzo di Florence Thinard prende letteralmente il largo, portando con forza il lettore tra e sopra le mura di quell’insolita barca che dalla Francia raggiunge rocambolescamente le Azzorre. La molteplicità di personaggi coinvolti, i dialoghi serrati e spesso non attribuiti, le frasi non sempre brevi e talvolta ricche di coordinate non danno certo vita a una lettura banale ma la natura avvincente del racconto lo rende particolarmente appetibile anche a ragazzi che con le lettura non vanno proprio d’accordo, magari per difficoltà legate alla dislessia. A supporto di questi ultimi (ma in favore in realtà di tutti i lettori, dato il carattere universalmente amichevole dei tratti in questione) viene inoltre la scelta dell’editore di impiegare il font Easyreading e le principali caratteristiche di alta leggibilità per la stampa del volume ma anche di offrire la possibilità di scaricare il romanzo in formato mp3 così da immergervisi attraverso l’ascolto, esclusivo o affiancato  alla lettura.

Confini

Capita talvolta di imbattersi in libri così ricchi e folgoranti che dirne diventa cosa difficile. Difficile scegliere da dove partire, difficile trovare le parole aderenti alla meraviglia, difficile condensare una gran mole di spunti in poco spazio. Ecco, Confini è in tutto e per tutto uno di quei libri: un volume cioè su cui vale la pena attardarsi e lasciar sedimentare folgorazioni e lampi.

Di un’attualità purtroppo disarmante, il libro curato da Antonella Veracchi e Michela Tonelli percorre i diversi tipi di barriere che limitano o impediscono non solo gli spostamenti delle persone ma anche e soprattutto le loro relazioni. I confini, così come il libro illustra in maniera davvero incisiva, sono infatti geografici ma anche mentali, culturali e comunicativi. Così, sfogliando ed esplorando le pagine essenziali ma densissime di pensiero che compongono questo albo, ci si trova ad attraversa corsi d’acqua e catene montuose, distese desertiche e muri altissimi, barriere metalliche e labirinti di parole: linee “accoglienti o respingenti”, a seconda dello sguardo che vi si posa e dell’atteggiamento che ne nasce. “Apriamo i confini” è l’invito conclusivo, che accompagna una busta in cui si raccolgono le testimonianze di chi lunghi viaggi e duri superamenti di confini, negli anni, li ha sperimentati sulla sua pelle e a cui si possono aggiungere i racconti degli stessi lettori. Un invito schiettissimo, chiaro e netto – in pieno e voluto contrasto con il tono evocativo delle altre pagine – reso necessario da un tempo in cui dire a voce alta da che parte si sta si è fatto drammaticamente importante.

Ecco, già così, per la maniera fortissima in cui il tema dello sconfinamento viene trattato, Confini meriterebbe una certa attenzione. Ma ciò che lo rende davvero straordinario, in realtà, è la maniera in cui il libro è costruito, latrice a sua volta di un messaggio forse ancor più potente. Confini non è infatti un comune libro tattile – composto cioè di illustrazioni a collage materico esplorabili e decodificabili anche al tatto e proposto dall’editore anche in una versione arricchita dal Braille – ma è un libro tattile in cui le mani non servono solo per godere delle illustrazioni ma anche e soprattutto per tessere relazioni.  In che modo? Il libro è costruito per essere aperto in verticale e per essere letto in tandem, da due lettori posti l’uno davanti all’altro grazie a un testo e a delle immagini che si presentano specularmente su una pagina e su quella di fronte. Questo fa sì che tra i due lettori si debba necessariamente stabilire una connessione, quantomeno per capire chi legge cosa e con che ritmo. Si legge insieme? Si legge un pezzo ciascuno? Ciò che c’è scritto su una pagina è uguale a ciò che c’è scritto su quella del compagno? L’unico modo per trovare delle risposte è mettere in moto la lettura, buttarsi, sperimentare. E questo di per sé chiede un primo moto di avvicinamento, di empatia. Dopodiché la spinta vera viene dalle immagini e in particolare dalla loro forma e collocazione. Costruite sfruttando meccanismi insoliti e ingegnosi come il labirinto o il popup e poste sempre a cavallo tra le due pagine, queste portano infatti inevitabilmente le mani dei lettori ad approssimarsi, toccarsi, prendere le misure e financo intrecciarsi in quella che pare una danza solitaria che diventa poco a poco un passo a due. Così, senza precise indicazioni se non quella di affrontare il viaggio della lettura insieme a qualcun altro posto di fronte, il libro si anima e un vero e proprio sconfinamento si attua, restituendo al lettore il senso più autentico del volume che ha tra le mani. Perché sconfinare, letteralmente e metaforicamente, significa avere l’occasione di allargare il proprio orizzonte, di guardare oltre, di incontrare l’inatteso.

Chiedendo silenziosamente di essere agito, Confini dà avvio a una possibilità di incontro inattesa e capace di smuovere nel profondo. Si fa cioè vero motore di relazione, il che ne rivela una potenza davvero straordinaria. Imperdibile.

 

 

 

Il brutto anatroccolo

Non è raro che le fiabe tradizionali affrontino il tema delicatissimo della diversità. Tra di esse, quella scritta da Andersen e dedicata alla vicenda del brutto anatroccolo è forse una delle più note e diffuse. Con grande semplicità, infatti, e senza pesanti artifici, questa offre un invito toccante e diretto a non fidarsi delle apparenze e a cogliere il valore aggiunto che una differenza più o meno evidente può celare.

Proposta, negli anni, in varie vesti editoriali, la fiaba del giovane cigno che crede di essere un anatroccolo viene proposta da Homeless Book in una versione accessibile anche a bambini con autismo e bisogni comunicativi complessi.

Per i tipi dell’editrice faentina, l’autrice Valentina Semucci ha infatti rielaborato il testo tradizionale in modo da renderlo più piano e semplice – frasi poco numerose, brevi e coordinate; struttura lineare e lessico quotidiano – ma comunque fluido e scorrevole. La simbolizzazione dal canto suo, che ricorre alla collezione WLS, prende in considerazione solo gli elementi con valore lessicale, risultando così accessibile anche a bambini più piccoli, con difficoltà più marcate o con minore dimestichezza alla decodifica dei simboli.

Le illustrazioni privilegiano uno stile grafico in cui i contorni sono netti, i colori pieni e i dettagli poco numerosi.

Ci si vede all’Obse

Non è un’estate facile quella che aspetta Annika. Non è un’estate facile né tantomeno prevedibile. Proprio quando la partenza per la casa di campagna si fa imminente, infatti, alla mamma di Annika si rompono le acque e un’inattesa corsa in ospedale si rende necessaria, tra lo spavento e la concitazione del momento. Annika ne è molto scossa e per un po’ cerca il più possibile di evitare casa sua, dove ancora il sangue della mamma lascia traccia e tutto sembra parlare di un evento che dovrebbe essere lieto e che invece è iniziato malissimo. Sono giorni  confusi, tormentati e solitari quelli che seguono la nascita del fratellino, giorni in cui la ragazzina alterna momenti in compagnia dell’affezionato nonno e momenti in compagnia di un improvvisato gruppo di amici conosciuto all’Obse, il parco dell’osservatorio astronomico di Stoccolma.

Sono amici strani – Kaja, Tubbe, Foglia, Biscotto e Finnico – amici che condividono i pomeriggi tra ozio, bravate e autentici atti vandalici in un tempo che scorre pigro e quasi sospeso. Il gioco più frequente è obbligo o verità, senza però la possibilità di scegliere la seconda opzione: perché la storia che ognuno di loro porta sulle spalle è a suo modo dolorosa e il tacito accordo su cui si regge il gruppo è che nessuno sappia nulla degli altri. Annika dal canto suo si adegua, mettendo a frutto la sua rinomata predisposizione a raccontare bugie e mostrando un lato di sé in cui lei stessa fatica a riconoscersi. Fino a quando le cose in ospedale prendono rapidamente una piega inaspettata, il gruppo trova abbastanza forza da concedere spazio a una condivisione più profonda e la verità si fa troppo pressante per essere tenuta dentro.

Disincantato e schietto, a tratti crudo e stridente, Ci si vede all’Obse offre un ritratto della preadolescenza tutt’altro che consueto. Con coraggio e autenticità fa emergere il lato più buio e doloroso dell’essere ragazzi, quando la vita ti mette davanti a situazioni difficili senza averti ancora fornito tutti gli strumenti per affrontarle. Che sia per una vita che rischia di spegnersi appena nata, una quotidianità povera, una situazione famigliare agiata ma con adulti ben poco presenti o un fatto che ti fa smettere di credere in Dio, poco importa: la sofferenza covata e irrisolta lascia strascichi evidenti e trova talvolta espressione  e sollievo in atti e vicinanze apparentemente inopportune ma forse vitali. Cilla Jackert questo lo rende molto bene, offrendo al lettore soprattutto di scuola media una lettura che scuote e anima, e forsanche turba, nel profondo. La consueta attenzione dell’editore Camelozampa a rendere la narrazione fruibile anche a giovani lettori con difficoltà legate a una disabilità o a un Disturbo Specifico dell’Apprendimento trova qui espressione non solo nell’apprezzabile stampa del volume ad alta leggibilità ma anche nella possibilità offerta di godere del racconto in formato audio mp3 (8,90 euro), audio ebook (9,90 euro) o ebook epub o mobikindle (7,90 euro)

Champion

La scrittura di Christophe Léon ha un potere magnetico che difficilmente lascia scampo. Incisiva, schietta e sempre puntualmente attenta al mondo che racconta, questa riesce a modellare narrazioni autentiche di cui il lettore sente forte e chiaro il valore: un fatto che avevamo largamente apprezzato qualche anno fa in Reato di Fuga (Sinnos, 2015) e che ora non manca di trovar conferma nel romanzo breve edito da Camelozampa e intitolato Champion. Anche qui c’è di mezzo un incidente d’auto (quantomeno potenziale): in piena campagna, su di una strada poco frequentata, si incrociano infatti Brandon, giovane promessa dell’atletica diretto a piedi allo stadio, e l’hummer che Luc, suo coetaneo, è intento a guidare senza permesso del padre e soprattutto senza patente. Cosa accada di preciso tra Brandon e l’hummer guidato da Luc non lo sappiamo fino alla fine e l’abilità dell’autore sta proprio nel fatto di mettere progressivamente a fuoco il momento dell’incontro e comporre intorno ad esso un complesso collage emotivo. Perché a margine (ma nemmeno troppo) di quell’incontro appaiono diversi altri personaggi, apparentemente senza legami con la vicenda principale e in realtà ed essa legati a doppio filo.

C’è Lauryanne, per esempio, che scorge Brandon lungo la strada e tenda di avvisarlo dell’arrivo del mezzo ma poi si disinteressa di quel che può essergli accaduto. C’è Abigail, la fidanzata di Brandon, che con lui aveva appuntamento allo stadio ma che interpreta il suo non presentarsi come un affronto personale. C’è Louella, la fidanzata di Luc, che vive in diretta la folle corsa sul pericoloso mezzo, tormentandosi a lungo sulle possibile conseguenze di quella bravata. E poi c’è il giovane David, ragazzo autistico intento a fare una consueta e lunga passeggiata proprio in prossimità del luogo incriminato e incapace di resistere alla tentazione di appropriarsi del paio di cuffie e del telefono che lì ritrova. Tutti in qualche modo sono indirettamente coinvolti nell’accaduto ma tengono la bocca chiusa per timore o per indifferenza. E sì che in quella curva con scarsa visibilità il giovane Brandon scompare, lasciando la polizia con un bel mistero da risolvere.

Che il giovane covasse pensieri tormentati lo scopriamo man mano, quando l’autore ci mette a parte della deprecabile proposta fattagli dall’allenatore e dal papà, di ricorrere all’aiuto del doping per poter ambire a importanti medaglie con minor tempo e fatica. Ecco allora che accanto al tema della responsabilità e della scelta, ricompare fortissimo anche il tema dello scontro generazionale e del significato più autentico che la parola adulto dovrebbe contenere. Il tutto attraverso un racconto polifonico in cui ogni capitolo porta uno sguardo e una voce nuova. Come in un cambio registico di inquadratura, ogni capitolo sembra cioè avviare una storia diversa mentre in realtà arricchisce quella già messa in piedi. L’effetto dal canto suo è insolito e vincente poiché porta nuova linfa narrativa a ogni ripartenza, fino al delinearsi complessivo del quadro in cui ogni filo trova il suo spazio e concorre a definire un unico disegno. Questa incalzante tensione narrativa, unita a una rara capacità di cogliere l’animo adolescente nel profondo fanno di Champion un romanzo estremamente coinvolgente. La sua brevità e la stampa ad alta leggibilità, inoltre, lo rendono particolarmente fruibile anche in caso di dislessia.

I libri delle stagioni – Autunno e Inverno

I wimmelbuch sono, per definizione, libri brulicanti. Brulicano i personaggi sulla pagina, brulicano le storie a cui questi danno vita e brulica, da ultimo, la fantasia del lettore che corre loro dietro. Quando lo sguardo incontra le pienissime tavole di questi volumi, la densità di elementi che chiamano attenzione è tale da generare un particolare ed eccitante spiazzamento, travolgente preludio  al dipanarsi di una composizione narrativa tutt’altro che caotica e casuale. Questo almeno è ciò che accade negli straordinari Libri delle stagioni di Rotraut Susanne Berner che, dissolta la prima impressione di sopraffazione data dalla fittezza degli elementi, rivelano una struttura rigorosissima in cui ogni dettaglio assume un preciso e meditato significato. E proprio da questo scarto imprevisto tra confusione iniziale e meticolosa esattezza che pian piano si rivela dipende forse il carattere irresistibile di questi libri in cui il lettore è silenziosamente invitato ad attardarsi per compiere un’esplorazione che difficilmente si esaurisce in una sola lettura.

I libri delle stagioni sono, come facilmente intuibile, quattro, due dei quali – Inverno e Autunno – pubblicati in Italia nel 2018 da Topipittori. La cittadina in cui sono ambientati è sempre la stessa, ben riconoscibile con  il suo centro e la sua campagna circostante, e caratterizzata da edifici chiave per la comunità come il centro culturale e quello commerciale, la piazza, la stazione o il parco con il laghetto. Sviluppata lungo una strada dritta come un fuso, la cittadina viene osservata dall’autrice come attraverso una cinepresa che si muove orizzontalmente catturando sette istantanee finemente legate l’una all’altra: a prestar bene attenzione, infatti, i dettagli dell’estremità destra di una doppia pagina combaciano con quelli all’estremità sinistra della seguente sicché, se poste affiancate, queste potrebbero ricomporre un paesaggio unico senza soluzione di continuità. All’interno dei diversi libri, le istantanee sono scattate dalla matita dell’autrice sempre nello stesso punto il che aumenta la sorpresa e il gusto di una lettura consecutiva o parallela dei volumi poiché all’interno di cornici analoghe accadono cose sempre differenti.

Perché ogni stagione ha le sue attività, i suoi riti e i suoi ritmi, la natura e la città vestono abiti diversi a seconda del momento dell’anno e così fanno i suoi abitanti che, sempre non a caso, ricorrono da un volume all’altro. Così la signora riccia e paffuta che in autunno raccoglie e trasporta un’enorme zucca, in inverno rincorre il bus per non fare tardi a un appuntamento; il signore dall’ampio cappotto verde che in autunno acquista e sfoggia un’originale lanterna a forma di oca, in inverno accompagna un’oca in piume ed ossa a incontrare le sue simili del lago; e il pappagallo Nico che in autunno esce dalla finestra di casa per andarsene a zonzo per la città, in inverno decide di replicare l’esperienza nonostante i primi fiocchi di neve. E di questo passo potremmo continuare a lungo perché gli abitanti che popolano la cittadina e le pagine della Berner sono tanti e minuziosi, ciascuno con una storia, una personalità, un ruolo sociale e una quotidianità che l’autrice ha ben chiari in mente e che non manca di svelare al lettore grazie a una coerenza narrativa, interna al singolo volume ma anche all’intera serie, davvero sbalorditiva.

Anche e soprattutto per questo sono libri incredibili, i suoi  libri delle stagioni, che celano marchingegni narrativi sofisticatissimi e aprono le porte a una lettura dilatata,  personalissima e potenzialmente ripetibile all’infinito. Sono talmente tanti i particolari cui prestare attenzione che ogni volta ci si ritrova a stupirsi e a godere di quel piccolo fremito di sorpresa e soddisfazione dato da un dettaglio rivelatore, da un quadro che si ricompone, da dei fili che si intrecciano rivelando il complesso e rigoroso impianto progettuale dell’autrice. E i dettagli in questione sono diversissimi tra loro, più o meno nascosti (il libro acquistato dalla signora col fez non ha un’aria felicemente familiare?), più o meno raffinati (quella volpe che dal muretto osserva il corvo e il suo formaggio appena rubacchiato, non omaggia con gusto la tradizione esopiana?), più o meno istantanei (chi riesce a rintracciare il bottino della gazza ladra e i suoi originali proprietari?): dettagli che giocano saporitamente con la dimensione del grande e del piccolo, del vicino e del lontano, dell’immediato e del durevole predisponendo uno spazio di scoperta che si adatta a età, contesti di lettura, capacità di inferenza e attenzione, conoscenze, e, non da ultimo, abilità e modalità di lettura diverse.

Sono volumi straordinariamente trasversali, dunque, I libri delle stagioni e questo li rende preziosissimi anche in un’ottica rivolta all’accessibilità. L’assenza di testo, la stratificazione narrativa e la libertà di movimento non solo concessa ma implicitamente incoraggiata nel lettore li rende infatti apprezzabili e fruibili a pieno anche da parte di bambini con disabilità – uditiva o cognitiva, per esempio, ma anche comunicativa –  o Disturbi Specifici dell’Apprendimento, predisponendo un terreno fertilissimo, proprio perché naturalmente accogliente nei confronti di possibilità di lettura differenti, per il brulicare di esperienze narrative e relazionali.

Cappuccetto Rosso

La storia di Cappuccetto Rosso è nota e arcinota. Qualunque bambino ha probabilmente avuto occasione di sentirla narrare da un genitore, un nonno o una maestra, sicché la fiaba originariamente scritta da Perrault abita con facilità l’immaginario comune e può dunque costituire una base amichevole anche per primi tentativi di lettura autonoma. Il fatto di conoscere le vicende narrate ma di potersi cimentare da solo nella loro (ri)scoperta, attraverso un confronto indipendente con il testo, permette al giovane lettore di mettersi alla prova con una sorta di rete di sicurezza alle spalle. Se poi il testo è stampato con caratteristiche di alta leggibilità (font specifico, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, sillabazione evitata, carta color crema) e mette in evidenza i concetti chiave grazie all’uso del colore, il sostegno alla lettura anche in caso di difficoltà legate ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento risulta ulteriormente rafforzato.

Queste le considerazioni che animano il Cappuccetto Rosso curato dalla pedagogista Raffaella Maggi per Raffaello editore. Le illustrazioni essenzialmente didascaliche firmate da Laura Penone, così come la struttura corredata da una serie di giochi ed esercizi finali, la rendono particolarmente adatta a un utilizzo scolastico più che squisitamente ricreativo, cosa peraltro perfettamente in linea con la specificità dell’editore che ne propone la pubblicazione. Interessanti e utili le indicazioni che quest’ultimo, per mano dell’autrice, fornisce a proposito dell’alta leggibilità caratteristica del volume e più in generale della collana in cui esso è inserito (Parole leggere), consultabili in forma scritta qui e in formato video qui.

Ago storia di un capitano

Ago, storia di un capitano è la storia di Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma negli anni ottanta. Non c’è ragione, tuttavia, di considerare questi volumetto – agile e scattante come un buon centrocampista – di interesse esclusivo per gli appassionati di calcio o, addirittura, per i soli tifosi della Roma. Quella di Ago è infatti una storia di talento che non sfocia nell’arroganza, di una timidezza che favorisce il gioco di squadra, di una maniera non ostentata di vivere lo sport del calcio. Sicché, per quanto si tratti di un felice omaggio a un grande campione, anche chi non lo conosce affatto può godersi il valore e la bellezza della sua storia.

Piacevole, scorrevole e conciso, Ago storia di un capitano propone una lettura accessibile e amichevole non  solo grazie al font specifico per dislessia biancoenero e a caratteristiche tipografiche che affaticano meno la vista, ma anche grazie a un racconto snellissimo a firma di Giulia Franchi in cui poche frasi brevi fanno quasi da didascalia alle numerose e incisive illustrazioni. Dinamiche, espressive ma al contempo molto essenziali, queste sono realizzate da Massimiliano di Lauro che gioca con perizia sui vuoti e sui pieni della pagina. Il risultano è un racconto snello e palpitante che in poche pagine sa appassionare il lettore. Un bel goal insomma per la casa editrice Biancoenero!

Oggi divento

Quello dei quiet book – libri interattivi in stoffa che propongono a ogni pagina piccole attività che stimolano la dimensione sensoriale, la motricità fine e l’apprendimento – è un mondo estremamente affascinante e creativo. In rete circolano diversi video che mostrano prototipi molto raffinati, veri e propri capolavori di manifattura che invitano i bambini a sperimentare attività variegate: dal conto all’allacciatura delle stringhe, dall’associazione di forme alla ricomposizione di figure bi o tridimensionali. Sono libri complessi, estremamente stimolanti, spesso personalizzabili in virtù del fatto che risulta molto difficile (talvolta pressoché impossibile) realizzarli in una maniera diversa da quella artigianale. E questo chiaramente incide, e non poco, anche sui costi che spesso rendono questi volumi letteralmente proibitivi e un’esperienza di lettura e gioco dalle straordinarie potenzialità difficilmente fruibile da parte del grande pubblico.

Ecco perché lo sforzo fatto dalla casa editrice di Rieti Puntidivista per pubblicare un quiet book interessante ma abbordabile è davvero ammirevole e degno di nota. Il libro, composto da cinque doppie pagine in feltro, si intitola Oggi divento ed è dedicato ai mestieri. Il bambino e la bambina che compaiono in copertina e che da qui sono staccabili per accompagnare il lettore attraverso le pagine del libro possono infatti trasformarsi in dottori,  cuochi, meccanici, pompieri e carpentieri – senza distinzione di genere, il che non è affatto scontato! – grazie a un numero considerevole di accessori, anch’essi sagomati in feltro e divisi in base alla professione di riferimento. Grazie a dei semplici pezzetti di velcro, i diversi accessori possono essere agevolmente applicati sulle sagome dei protagonisti, o semplicemente avvicinati ad esse, per dare vita a piccole situazioni e avventure quotidiane che si animano sulla e oltre la pagina, e poi essere, con la stessa facilità, ricollocati al loro posto. Tra di essi figurano attrezzi del mestiere, come stoviglie, utensili, scale ed estintori;  indumenti,  come camici, caschetti o cappelli da chef; e mezzi di trasporto, come l’ambulanza e il camion dei pompieri.

Pur senza offrire la varietà e la complessità di stimoli cui si faceva cenno sopra, Oggi divento propone un set davvero ricco per sviluppare semplici narrazioni che coinvolgono direttamente il lettore il quale, non trovando alcuna traccia scritta ma neppure alcun elemento di cornice se non l’ambito professionale suggerito da ogni gruppo di accessori, è chiamato in prima persona a far animare i personaggi e dunque a far nascere il racconto. L’interazione e la libera combinazione degli elementi (anche tratti da pagine diverse, perché no!) sono dunque la chiave di questo volume, fertile e al contempo semplice, oltre che capace di rispondere a bisogni immaginativi e narrativi molto diversi, inclusi quelli dettati da una disabilità sensoriale, comunicativa o cognitiva. L’assenza di testo, la consistente libertà di approccio lasciata al lettore, l’apprezzabile manipolabilità dei pezzi (sufficientemente spessi e agevolmente combinabili) e la loro chiara riconoscibilità nonostante la realizzazione con un unico materiale, rendono infatti Oggi divento un supporto prezioso e molto versatile, che merita di essere valorizzato all’interno di percorsi scolastici o familiari volti a sostenere e nutrire il diritto alle storie, anche nella loro componente squisitamente ludica.

 

Zucchero filato

Ci sono estati ed estati: quelle spensierate, che semplicemente attraversano un tempo sospeso tra la fine di un anno scolastico e l’inizio del successivo, e quelle decisive, che non solo segnano passaggi critici di crescita ma portano anche con sé cambiamenti inaspettati. Ecco, l’estate raccontata da Derk Visser in Zucchero filato rientra decisamente nel secondo tipo. Non solo la protagonista Ezra si accinge a iniziare la scuola superiore ma nella sua famiglia accade qualcosa di inatteso: il rientro dalla guerra del papà, infatti, non è affatto come nelle aspettative – gioioso e con la prospettiva di andare ad abitare in una casa più grande – bensì tutto il contrario – cupo e potenzialmente capace di distruggere l’unità famigliare.

Profondamente segnato dall’esperienza del fronte vissuta sulla propria pelle, il papà di Ezra appare il fantasma di sé stesso: paranoico, con la testa sempre altrove, depresso e inspiegabilmente aggressivo. Basta un petardo o la visione di una divisa per far scattare qualcosa di oscuro nella sua mente e fargli avere reazioni del tutto imprevedibili. E questo non è facile da accettare per nessuno, tantomeno per una ragazzina come Ezra alle prese con una fase delicatissima della vita come l’adolescenza.

Così Ezra si ritrova suo malgrado a farsi grande prima del previsto, prendendosi cura di quel papà così incapace di badare a sé stesso e alla sua famiglia. Lo fa anche quando questi passa il segno e aggredisce la mamma, costringendola a rifugiarsi presso una casa di accoglienza insieme a Zoe, la sorella minore di Ezra. Ma Ezra no. Lei gli rimane accanto fino a che è possibile, fino a quando non è costretta dai servizi sociali a raggiungere la mamma, nell’attesa che un periodo di cura porti un po’ di serenità tra le mura di casa.

Ostinata e risoluta, Ezra si mostra come un pendolo che oscilla tra il bisogno di sentirsi accudita e protetta e la necessità di tenere insieme la famiglia con tutte le sue forze, anche mostrandosi dura e sfrontata all’occorrenza. Accanto a lei, la sorellina di otto anni Zoe: la personificazione dell’ingenuità proiettata talvolta in un mondo adulto che non dovrebbe riguardarla. Come quando Ezra la porta con sé al centro commerciale per rubare un top da un negozio, scatenando una guerra di sfide e ricatti con una commessa meschina. Ma anche in quel caso è proprio Zoe, con il suo sguardo ancora inesperto sulle cose, a  mantenere Ezra aggrappata a una dimensione in cui il gioco, il sogno e la speranza possono ancora trovare spazio.

Il loro è un rapporto profondamente vitale, capace di offrire rifugio reciproco da una realtà – la famiglia che si disgrega, il quartiere disagiato, i guai quotidiani, il diventare grandi che entusiasma e spaventa- che talvolta si fa opprimente. Ecco allora che gli incalzanti dialoghi tra le due sorelle, intorno ai quali ruota l’intera narrazione, si fanno specchio efficace e ben riuscito di una realtà multisfaccettata e travolgente, anche per il lettore che si trova dall’altra parte della pagina. Con un racconto forte e schietto, Derk Visser propone una lettura tutt’altro che scontata e capace di lasciare un segno. La stampa ad alta leggibilità per cui opta l’editore Camelozampa – con font Easyreading e impaginatura più ariosa – offre dal canto suo un ultimo e significativo incentivo per il lettore, anche con difficoltà legate ai DSA, a immergersi in una storia che parte dai margini per mettere l’adolescenza al centro.

Terribile gatto!

Che Michael Rosen sia un autore straordinario, capace di dare un ritmo inconfondibile alle storie, non c’è bisogno di dirlo. Basta leggere uno qualsiasi dei suoi racconti per far risuonare questa sua rara capacità nelle orecchie prima e nella mente poi. E non si parla solo dei suoi lavori più famosi – A caccia dell’orso in primis – ma anche quelli meno noti, come il delizioso Terribile gatto!, di recente uscito per i tipi ad alta leggibilità di Sinnos (a cui peraltro dobbiamo anche L’ultimo lupo in città).

Asciutto e diretto come una favola tradizionale, Terribile gatto! è la storia di un gatto feroce che terrorizza tutti e cinquanta i topi che con lui dividono la casa. È feroce, Terribile gatto, ma è anche furbissimo e infatti mette in piedi uno stratagemma ingegnoso per mangiare uno ad uno tutti i topi che lo circondano, senza che questi nemmeno sospettino di lui. Ogni sera il gatto, che dichiara solennemente finita la guerra con i topi, concede a ognuno di loro un pezzetto di formaggio. Distratti dal gradito omaggio e interessati ad approfittarne senza correre alcun rischio, i topi arraffano ciò che spetta loro senza preoccuparsi di ciò che accade ai compagni. Fino a quando il numero dei topi, in forte diminuzione, inizia a creare qualche sospetto, a far nascere ipotesi di colpevolezza e a stimolare una reazione compatta. Sarà proprio il principio del utuo aiuto– ben espresso da quel “Ecco che faremo questa sera: ognuno di noi dovrà essere sicuro di avere un topo davanti ma anche di averne uno dietro “ – a smascherare lo spietato impostore e a sancire la vittoria dello spirito di comunità sull’egoismo.

Tra queste pagine si rintraccia dunque con forza ma senza forzature, l’importanza dell’idea di gruppo unito e di solidarietà ma anche il monito a non lasciare che un certo fumo negli occhi, spesso lanciato in forma di gradita gentilezza, possa distogliere l’attenzione di ognuno dalle mascalzonate che dietro quel fumo si celano talvolta. Monito quanto mai attuale, verrebbe da dire, e capace di arrivare al giovanissimo lettore, alle prime esperienze di lettura autonoma con o senza difficoltà legate alla dislessia, grazie a pagine godibilissime, rese tali da una narrazione incisiva, dalle illustrazioni spiritose e perfettamente calzanti di Martina Motzo e da un’impaginazione amichevole che rispetta in pieno i criteri dell’alta leggibilità.

Una piccola grande invenzione

La storia delle invenzioni è piena zeppa di aneddoti intriganti, corse al fotofinish per la registrazione dei brevetti, contese lunghe secoli per l’attribuzione di un’idea. Non fa eccezione l’invenzione della molletta da bucato, protagonista di un lungo percorso progettuale fatto di mutande al vento, primi clienti insoddisfatti, bislacche soluzioni in corso d’opera e migliorie che attraversano le generazioni. Geniale inventore di quel semplice ma indispensabile oggetto che non manca nella casa di nessuno di noi, è il toscanissimo signor Piolo, benché la storia ufficiale attribuisca i meriti allo statunitense David M. Smith. Contraddistinto da un estro originale e incentivato da una caotica famiglia, il signor Piolo si mette all’opera per trovare il modo di far asciugare i panni di casa al ritmo con cui i suoi numerosi figli riescono a sporcarli: la sua sarà un’impresa poco eroica ma a dir poco rivoluzionaria che val la pena conoscere e ricordare, ancora oggi, ogni volta che un calzino resta saldamente appeso a uno stendibiancheria!

Raccontato in maniera snella e brillante, capace di accendere piccole scintille di curiosità e qualche sorriso, la storia del signor piolo e della sua Piccola grande invenzione è proposta da Sinnos nella deliziosa collana leggimi!, contraddistinta da tutte le principali caratteristiche di alta leggibilità (font specifico per dislessia leggimi, sbandieratura a destra, carta opaca, spaziatura maggiore). Corredata inoltre dalle frizzanti illustrazioni di Federico Appel, che non solo alleggeriscono la lettura, alternandosi o accompagnandosi frequentemente al testo, ma  ne caratterizzano fortemente lo spirito leggero e brioso, Una piccola grande invenzione ha il merito di coniugare storia, divulgazione scientifica e narrazione in un mix piacevole e coinvolgente.

Orsetta Mirtilla

Se c’è una cosa che non manca a Mirtilla quella è la curiosità. Così, durante una noiosa giornata invernale, basta l’idea che un paio di occhiali della fantasia possa nascondersi in casa per spingere l’orsetta a perlustrare ogni stanza fino a perdersi tra le forme dei monti che spuntano dalla finestra e inventare, tra di essi, avventure straordinarie. Questo accade nella prima storia che compone il volume ad alta leggibilità Orsetta Mirtilla (intitolato Gli occhiali della fantasia), seguita a ruota dalla seconda (intitolata In tanti è meglio!) in cui l’intraprendenza e l’apertura al nuovo che contraddistingue l’orsetta si manifesta nel viaggio alla ricerca di amici che questa compie, sfidando paure e intemperie. Sarà una ricerca pienamente ripagata, la sua, grazie a un felice incontro capace non solo di sfatare credenze e pregiudizi a anche di costruire nuove relazioni al profumo di the e torte di mele.

Scritta in maniera lineare e pulita da Isabella Paglia, con una certa felice attenzione anche alla cura sonora del racconto, Orsetta mirtilla si fa apprezzare anche per le illustrazioni deliziose firmate da Laura Deo.

 

LA COLLANA TANDEM

Orsetta Mirtilla fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

L’orto della scuola

Permettere ai bambini di riappropriarsi di un rapporto sano e intenso con la natura, per esempio attraverso la cura di un orto di classe, è una pratica utile e quanto mai necessaria di questi tempi. Così anche la maestra di Luca propone ai suoi bambini di coltivare alcuni ortaggi durante l’anno. Le patate tanto per cominciare.

Nella prima storia che compone il volume L’orto della scuola (intitolato Patatine gialle fritte) la classe di Luca si dedica infatti con passione alla coltivazione di questo tubero che richiede pazienza e impegno. Saranno mesi lunghi quelli che si riveleranno necessari alla crescita delle patate, rendendo ancor più gustoso il momento in cui la cuoca della scuola potrò finalmente friggerle. Piselli e insalata sono invece i protagonisti della seconda storia (intitolata Il furto di insalata). Coltivati da Luca e dai suoi compagni con l’aiuto della maestra e dell’esperto contadino Osvaldo, questi spariscono da un giorno all’altro misteriosamente. A nulla varranno le indagini messe in campo e i sospetti verificati. La verità verrà comunque a galla grazie a un atto di coraggio e onestà del colpevole: qualità che val la pena coltivare, quanto e ben più degli ortaggi.

Di impianto un po’ più didascalico rispetto ad altri volumi della serie, L’orto della scuola risulta più dinamico e scorrevole nella sue seconda parte, grazie a una struttura narrativa più intrigante.

 

LA COLLANA TANDEM

L’orto della scuola fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Teo e Leo

Teo e Leo sono fratelli, gemelli per la precisione. Si assomigliano molto (ma non del tutto!) e vivono questa loro affinità a tratti con favore e a tratti con avversione. Nella prima storia che li vede protagonisti (Gemelli quasi uguali), per esempio, i due si divertono al parco giochi in modi non convenzionali che avranno conseguenze un pochino dolorose, a suon di bernoccoli e denti dondolanti, ma che offriranno loro l’inattesa occasione di distinguersi l’uno dall’altro. Nella seconda storia (Voglio la febbre!), invece, i due si trovano forzatamente separati poiché Leo si ammala e Teo no, il primo resta quindi a casa mentre al secondo tocca andare a scuola. Invidiosi l’uno dell’altro e desiderosi di godere dei privilegi altrui, i due gemelli si inventano fantasiosi stratagemmi fino a scoprire che ciò che rende speciale lo stare a casa o a scuola dipende in gran parte da chi si ha accanto.

Vivaci e scanzonati Teo e Leo sono due personaggi divertenti, resi particolarmente simpatici da un approccio sorridente alla quotidianità delineato dall’autrice Sara Stangherlin e dal tratto fumettistico dell’illustratore Fabio Santomauro.

 

LA COLLANA TANDEM

Teo e Leo fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Clown

La caccia appassionata di Camelozampa a chicche editoriali del passato da proporre (o riproporre) in Italia ci ha regalato in poco tempo libri pazzeschi e per questo non smetteremo facilmente di dire un sentito grazie all’editore di Monselice. Un grazie che si fa ancor più accorato ora che i suoi tipi hanno reso disponibile anche nel nostro paese quel capolavoro silenzioso firmato da Quentin Blake che è Clown.

Pluripremiato, anche con il Bologna Ragazzi Award nel lontano 1996, Clown è un albo senza parole ormai più che trentenne che avrebbe potuto esser creato l’altro ieri. Nelle avventure del pagliaccio pupazzo in cerca di una casa per sé e per i suoi amici gettati nell’immondizia da una risoluta donna – madre, nonna, governante o chi lo sa? –, si ritrova infatti una visione d’infanzia puntuale e una rappresentazione del mondo adulto, capace di mettere in luce, con tutte le sue ombre, l’attualissima tendenza a controllare, strattonare, mettere in mostra e sterilizzare, letteralmente e metaforicamente parlando, i bambini e il loro mondo.

Dal bidone della spazzatura in cui viene buttato insieme ad altri giocattoli, il clown di Quentin Blake esce con una caduta rocambolesca che è anche, significativamente, l’inizio di una rimessa in piedi. Da qui, dopo aver trovato le scarpe giuste – un paio di buffi scarponcini malconci – questi inizia a rincorrere e interpellare una serie di bambini nel tentativo di farsi adottare, insieme ai suoi compari di sventura. La risposta è sempre positiva ma tra chi viene trascinato via distrattamente con una sorta di guinzaglio e chi viene allontanato dal pagliaccio presumibilmente perché zozzo, la ricerca di un nuovo compagno di giochi si fa più ardua del previsto. Fino all’incontro – al volo, è il caso di dirlo – con una bambina in una situazione di disagio famigliare il quale, pur costringendola a farsi grande più in fretta del necessario, non annichilisce la sua capacità di stupirsi, godendo di piccole magie quotidiane e rendendole forse apprezzabili anche a qualcuno dei grandi che girano nei paraggi.

Lo stile di Quentin Blake è come sempre freschissimo, irriverente e dinamico, al punto che vien da chiedersi se possa esistere un personaggio che meglio di un clown – sempre in movimento, a tratti goffo e con il suo carico di malinconica ironia – vi trovi espressione. Forse no. E forse anche per questo quest’albo che proprio un clown rende protagonista ci appare così stupefacente. Capace di coniugare uno sguardo sorridente e un grande rispetto per i temi e le vite ritratte, con i loro più o meno superficiali aspetti di povertà, Clown mette a nudo vizi e debolezze caratteristici dei grandi, rivelandone tutta la miopia dello sguardo, soprattutto quando rivolto ai piccoli.

Inimitabile nella capacità di far avanzare una narrazione  e di darle spessore emotivo affidandosi a dettagli minimi e minuziosi, Quentin Blake propone qui una storia non solo indomita – nel senso e nel ritmo – ma anche largamente accessibile. All’assenza di testo – ossia di quell’elemento che spesso preclude la possibilità di godere appieno di un bel racconto, soprattutto in caso di dislessia o sordità – si aggiunge qui una costruzione per immagini che richiede sì alcune inferenze ma che dissemina la pagina di indizi utili a compierle e che perlopiù immortala frammenti narrativi che accompagnano per mano il lettore nella decodifica dell’accaduto. Questa modalità a tratti cinematografica fa sì che al lettore si offra una certa libertà interpretativa – quella peraltro caratteristica dei silent book – senza che passaggi troppo ostici o oscuri facciano inciampare il lettore il quale dunque, anche in caso di lievi difficoltà, può godere di una performance narrativa degna di un grade artista come Blake e come il suo irresistibile Clown.