Un pesce fuor d’acqua
Arriva dritta dal Giappone la storia di Pesciolino: una storia di resilienza e amicizia, di diversità e identità, che racconta molto bene la sensazione di essere fuori contesto, senza le abilità, le caratteristiche o gli strumenti giusti per stare insieme o al passo degli altri. Una sensazione, quella del pesce fuor d’acqua (come dice eloquentemente il titolo del libro), molto familiare a chi vive una disabilità ma in cui chiunque, in realtà, può facilmente riconoscersi. E qui sta forse il pregio più grande di questo piccolo libro edito da Kira Kira: nel fatto che il protagonista è evidentemente impossibilitato a compiere delle azioni che per i pari sono normali e automatiche e ciononostante il lettore senza alcuna disabilità può riconoscervisi con molta naturalezza. In quel pesciolino che vive in una casa subacquea ma frequenta un mondo che subacqueo non è, la rappresentazione della disabilità (soprattutto ma non solo motoria) è dunque lampante ma i sentimenti che vengono portati a galla e in cui il lettore può ritrovarsi prescindono completamente da questa condizione perché sono di fatto sentimenti semplicemente umani.
Ma andiamo con ordine. Il protagonista di Un pesce fuor d’acqua è un pesciolino che frequenta la scuola primaria. Vive in una casa acquatica ma per uscire e riuscire a respirare deve indossare un pesante casco di acqua riempito. Questo, unito all’assenza di veri e propri arti, rende un po’ più complesse alcune attività quotidiane come scrivere o mangiare, e molto più ostiche alcune attività frequenti come correre durante l’ora di educazione fisica. Ma Pesciolino è un tipo tosto e vuole fare ciò che fanno i suoi compagni. Così a correre prova lo stesso, incappando però in un brutto incidente che lo tiene bloccato a casa per un po’ e che soprattutto ne mina profondamente l’autostima. Sarà la visita e il regalo inaspettato di due amici a dare una svolta alla situazione, mettendo in evidenza l’impatto che il contesto può avere sulla percezione di una disabilità (o più genericamente di un senso di maggiore o minore adeguatezza).
La storia è dunque semplice ma ciò che la rende straordinaria è la maniera in cui Mimiko Shiotani la racconta, soprattutto attraverso le sue superlative illustrazioni. È infatti il modo in cui l’autrice dipinge i suoi personaggi, già di per sé irresistibili per il tratto e per i toni con cui sono messi sulla carta, a dare spessore e complessità alla narrazione. Nel testo non si trova infatti il benché minimo accenno alla diversità di Pesciolino. Ciò che le parole riportano sono dati di fatto: che Pesciolino deve mettere un casco perché è un pesce, che andare a scuola a piedi è dura perché i pantaloni sono pesanti, per esempio. Tutto ciò che deduciamo sulla sua diversità e sulle sue difficoltà non ce lo dicono pesanti passaggi didascalici ma lo assimiliamo da dettagli sottili: la lunga descrizione delle operazioni per indossare l’uniforme scolastica, per esempio, o i movimenti ritratti in relazione alla scrittura o al pasto. Stop. La complessità, di fatto, non è detta ma trova comunque voce e proprio questo permette al libro di riecheggiare molto più forte.
Non solo. Sempre senza sottolineare la cosa, l’autrice costruisce un mondo in cui sì, Pesciolino è molto più diverso dagli altri, ma in cui in realtà ciascuno ha una sua specifica identità. Pesciolino non vive cioè da pesce in un mondo di bambini ma da pesce in un mondo di creature terrestri variegate: uccelli, lucertole, bambini e gatti, solo per dirne alcuni. E questo fa una grande differenza perché di fatto ci dice che la diversità ha tante forme e che ciascuno può a suo modo sperimentarlo. Analogamente, appare di grande effetto la scena in cui gli amici Lucertola e Bambino vanno a trovare il protagonista. Sono loro, in questo caso, a dover indossare il casco per potersi tuffare dentro la camera di Pesciolino. Qui pesciolino non ne ha bisogno perché è per l’appunto l’ambiente a renderci più o meno abili. Il testo ci dice: “Giochiamo nella mia stanza – risponde Pesciolino e gli fa segno di entrare. Lucertola e Bambino indossano il casco e splash, si tuffano in acqua”. Nessuna sottolineatura, nessun dilungamento inutile sulla faccenda. Ma con quanta forza arriva il messaggio?
Potente e delicatissimo insieme, Un pesce fuor d’acqua racconta un mondo fantastico che somiglia però molto al nostro. Lo fa attraverso un immaginario sognante e un segno stratificato e attento che vorremo ritrovare ancora e ancora perché capace di accompagnarci in appassionanti viaggi dentro e fuori di noi.