Agatino

Placido e mansueto, Agatino è un dinosauro rosa che vive con insofferenza il suo aspetto ingombrante e poco rassicurante. Ovunque vada, infatti, la gente scappa e grida benché il suo intento sia solo quello di farsi degli amici. Anche il gatto Bepi Miao cerca di mettersi in salvo su un aliante quando vede Agatino al volante di un’auto, intento a prendere la patente. Solo che di quell’aliante, Bepi Miao perde il controllo finendo in cima a un abete da cui non riesce a scendere. Per riportarlo a terra serve proprio l’aiuto di qualcuno grande e grosso. Facile immaginare di chi possa trattarsi e il positivo effetto che il salvataggio può avere sulla sua fama di creatura spaventosa!

Proposto dall’editore Il Ciliegio in una versione standard e in una versione in simboli, tradotta secondo il modello Inbook, Agatino è un albo che unisce un racconto in cui gli eventi più incredibili – come un dinosauro che si mette al volante di un’auto o un gatto che pilota un aliante – sono snocciolati uno via l’altro con grande naturalezza, uno stile narrativo che preferisce accennare a descrivere nel dettaglio e delle illustrazioni dense e piene oltre che contraddistinte da un singolare stile vintage.

Il risultato è una libro interessante anche se non immediatissimo da incasellare e consigliare a un pubblico preciso poiché alla semplicità di taluni elementi (come lo sviluppo lineare, il coinvolgimento di pochi personaggi e la sequenza di un numero contenuto di eventi circoscritti) che lo renderebbero adatto a bambini più piccoli o con difficoltà maggiori, si affianca la complessità di altri (come la comparsa di un personaggio come Teresa, amica di Agatino di cui nulla si sa, la presenza di alcuni sottintesi, la costruzione di alcune frasi in maniera suggestiva ma a tratti sfuggente).

Una per i Murphy

La scrittura di Lynda Mullaly Hunt è magnetica, lo avevamo scoperto leggendo Un pesce sull’albero (non a caso vincitore di numerosi riconoscimenti in tutto il mondo tra cui il Premio Letteratura per Ragazzi di Cento). Ecco perché la pubblicazione, sempre per i tipi lungimiranti di Uovonero, di un nuovo romanzo dell’autrice americana (anche se in realtà sarebbe il suo primo) è una notizia che manda in brodo di giuggiole. Ed ecco perché, anche dopo la lettura, in quel brodo si resta a mollo!

Una per i Murphy – questo è il titolo del libro – è infatti un romanzo di grande forza, che mette a  nudo l’importanza di un’educazione sentimentale di cui la famiglia è prima custode. Lo fa attraverso la vicenda di Carley Connors, ragazza tenace e fragilissima, vissuta per anni insieme a una madre per nulla in grado di occuparsene, scampata alle intenzioni violente del patrigno e finita in affido all’affettuosa famiglia dei Murphy. E qui, in particolare, inizia il racconto che riprende Carley nei mesi in cui cerca di trovare il suo nuovo posto e il suo nuovo ruolo in una dinamica famigliare che le è del tutto sconosciuta, in cui impara a costruire relazioni solide basate sulla fiducia e l’apprezzamento (reciproco ma anche di sé stessi), in cui viene a patti con il suo passato e con il suo presente e in cui sperimenta in prima persona che consentire agli altri di lasciarsi amare e accudire è prima di tutto questione di allenamento. Quello di Carley è un percorso in salita ma con una pendenza che man mano cala, fino a quel finale tutt’altro che atteso con cui si apre per lei una fase di consapevolezza nuova in cui riuscire a definirsi non solo in base a “quello che la rende diversa da tutti gli altri”.

In mezzo c’è una trama fitta di relazioni in costruzione, autentiche e tangibili, prima fra tutte quella con la signora Murphy solo apparentemente distante da Carley e in realtà capace di un avvicinamento paziente e di un abbraccio rispettoso dei tempi della ragazza. E poi quella con il papà e fratelli Murphy, ciascuno animato da sentimenti diversi e contrastanti nei confronti della ragazza; quella con la compagna Toni, amica non scontata e costantemente in divenire; quella con la madre biologica, in un tira e molla emotivo che richiede pazienza; e non ultima quella con la Carley reale, così diversa dalla ragazzata corazzata e resa inavvicinabile da un’infanzia anaffettiva. Proprio quelle relazioni, tenute insieme da un personaggio dinamitico e pungente come quello della protagonista,  rende il romanzo palpitante e vero, capace di smuovere il lettore nel profondo e di farlo interrogare sul valore dei sentimenti, al li là della specifica questione dell’affido. E l’autrice è davvero brava in questo perché attraverso una scrittura in movimento, che si plasma proprio sulla crescita di Carley, riesce a passare dalle iniziale frasi criptiche e tenute insieme da fili fragilissimi, espressione di un’esistenza tormentata e di un’emotività asfittica, a un racconto di ampio respiro in cui la consapevolezza di sé e della propria interiorità consente al pensiero di  dilatarsi.

Potente e profondo, Una per i Murphy è un invito caldissimo al lettore a trovarsi un posto comodo e a prendersi qualche ora per sé (per sicurezza munito di una buona scorta di fazzoletti), per gustarsi parole pesate e storie che realmente lasciano un segno. Grazie dunque a Uovonero non solo per aver portato in Italia questo romanzo, ma anche per averlo stampato ad alta leggibilità così da agevolare l’accesso anche a lettori meno forti  o con maggiori difficoltà di lettura, a una narrazione che letteralmente  travolge.

La principessa che stava sempre seduta

Elisa non è una principessa come le altre. Costretta all’immobilità fin dalla nascita, trascorre le sue giornate seduta, covando rabbia e tristezza per una condizione di disabilità in cui non si riconosce. Le sue giornate si fanno interminabilmente lunghe e via via che il tempo passa il suo umore diventa più nero e i suoi modi più sgarbati, fino a generare una generale insofferenza da parte di tutti i sudditi e i servitori. Tutti tranne una. La fide ancella Dorotea non si fa scoraggiare, infatti, dalle maniera prepotenti della principessa e si presta ad assecondarne i desideri comprendendone il profondo dolore. Sarà proprio Dorotea a fare un giorno ad Elisa il dono che le cambierà l’esistenza: un tappeto magico capace di far compiere viaggi incredibili a patto che siano condivisi con una persona di fiducia. Grazie a quel tappeto e alle possibilità straordinarie che offre, tra Elisa e Dorotea si instaura un rapporto che va ben oltre quello che può legare un sovrano e un servitore, aprendo alla giovane principessa nuove prospettive sulla sua vita e sul valore dell’amicizia che consente di apprezzarne anche i pregi più nascosti.

Scegliendo la forma tradizionale della fiaba, pur narrata con toni non sempre distaccati e sospesi, Nadia Cerchi propone un racconto in cui la disabilità si fa motore narrativo, invitando il lettore a immedesimarsi nei personaggi e a condividerne le riflessioni. Proprio per venire incontro alla esigenze di lettura di bambini che, come la principessa protagonista, manifestano delle difficoltà di movimento La principessa che stava sempre seduta è reso disponibile anche in formato ebook. Inoltre Il testo è inoltre scaricabile in formato MP3 dal sito www.adov.it ad uso esclusivo di persone non vedenti, ipovedenti, dislessiche o impossibilitate a leggere in modo autonomo.

Davì

Davì ha diciannove anni, una corporatura secca secca, un look eccentrico in cui spicca una sgargiante cresta verde e una quotidianità che fa a meno di una famiglia. Abbandonato molti anni prima dalla madre e trascurato per il resto dal padre, Davì ha scelto di fare della città la sua dimora, esplorandone gli angoli di giorno e abitando un cantuccio del centro commerciale di notte. È la biblioteca, grazie alla presenza premurosa e attenta di Beatrice, il luogo per lui più simile a una casa: un posto in cui trovare riparo per il fisico e per i pensieri, in cui sentirsi accolto e in cui scambiare parole che fanno bene. Qui Davì viene spesso, tra un giro in città e un lavoretto alla libreria poco distante, nei momenti di svago e in quelli del bisogno, come quando viene violentemente aggredito o quando la sua vita viene messa in subbuglio dal folgorante incontro con la giovane Nicla. La biblioteca si fa cioè rifugio aperto, di fronte a una città che si mostra invece piuttosto diffidente. Perché la presenza di Davì, con quel suo aspetto trasandato e quel suo stile fuori dagli schemi, non passa inosservata e perlopiù vincola gli sguardi a giudizi sommari. Lo sa bene il lettore che conosce pian piano il ragazzo non solo attraverso il suo stesso racconto, tra ricordi del passato e un istintivo tentativo di ritrovarsi con la madre, ma anche attraverso quello dei passanti che per pochi istanti lo incontrano e lo inquadrano.

La vita di Davì, in effetti, è tutta un fuori quadro, in un mondo che invece quadrato vuole essere. Attraverso la sua storia, che mette a bene a nudo la fragilità dell’adolescenza, Davì dice tanto del bisogno di ciascuno di apparire, non tanto nel senso di mettersi in mostra quanto di non sentirsi invisibile. La sua esistenza fatta non a caso di presenze ed assenze, comparse e scomparse, vistosità e vita nell’ombra, è un concentrato di contrasti e incertezze in cui non è così difficile riconoscersi e a cui il giovane lettore può dunque restare facilmente agganciato, grazie anche a una narrazione che scivola in fretta ma non manca di lasciare il segno.

Come la storia del suo protagonista, animata nel profondo da partenze e ritorni, anche la storia del libro Davì è un viaggio con tante tappe. Pubblicato per la prima volta ormai diciotto anni fa dai tipi delle Edizioni EL, il libro di Barbara Garlaschelli è approdato nel 2013 in casa Camelozampa che ora lo ripropone ad alta leggibilità all’interno della curatissima collana Gli Arcobaleni. Davì si fa così esempio emblematico di un prezioso lavoro di riscoperta editoriale messo in piedi dalla casa editrice padovana, con l’intento di valorizzare titoli di qualità del passato ingiustamente dimenticati e di renderli fruibili ad un pubblico il più possibile ampio. Chapeau!

Occhi da orientale

Ha un narratore insolito, Occhi da orientale. Alta e maestosa, sempre attenta a ciò che accade nel cortile, è infatti la vecchia quercia che fa ombra all’asilo a raccontare al lettore la storia di Chiara, bambina placida e taciturna che stenta a fare amicizia con i compagni. Di lei non sappiamo molto, se non che “ha qualcosa di diverso dagli altri bambini” – confermato in maniera appena accennata dal titolo del libro – e che se ne sta spesso sotto l’albero ad accarezzare il gatto Mattia. È gentile, Chiara, e la vecchia quercia la prende in simpatia a differenza di quanto fa con Goffredo, bambino prepotente e dispettoso. Così, quando il gatto Mattia si arrampica troppo in alto e non riesce a tornare a terra, la quercia non esita a sostenere Chiara nel suo coraggioso tentativo di arrampicarsi per salvare l’animale. È così che Chiara arriva in alto, dove nessun altro bambino è mai arrivato, fino a scorgere lo scoglio dei gabbiani in mezzo al mare. Ed è così che qualcosa, nella percezione dei compagni cambia, consentendo una prima felice possibilità di relazione.

Un po’ fuori dagli schemi a cui l’editoria per l’infanzia attenta alle tematiche della disabilità ci ha abituato, Occhi da Orientale sceglie la strada del sussurro, in parole ed immagini, per raccontare la sua storia. È una storia senza fretta, questa, e come tale viene narrata, chiedendo al lettore di prestare ascolto e prendersi il suo tempo per assaporare, cogliere, capire. I testi raffinati di Annamaria Piccione, votati talvolta al ricordo e alla riflessione pensosa, e le illustrazioni particolarissime di Monica Saladino, che uniscono in maniera efficace matita e collage, trovano un comune punto di incontro nell’apprezzabile scelta di mettere l’infanzia – tutta – al centro della narrazione, senza fare della questione della disabilità una bandiera forzatamente sventolata. Ne emerge un racconto pacato e poetico, che invita sommessamente a riconoscere le occasioni che la vita ci porge di superare e rimettere in discussione pregiudizi e distanze.

Yxxy. Il segreto non segreto

Avevamo conosciuto Alexander, detto YxxY, in occasione del suo ingresso alla scuola dell’infanzia. A questo era dedicato, infatti, il volume Yxxy. Un giorno speciale. Ora l’anno scolastico è finito e per Alexander e i suoi compagni è tempo di festa. L’appuntamento è a casa di nonni di Matteo, per un pomeriggio di giochi – di palcio soprattutto –, di scherzi in piscina e di merende. Ma quel pomeriggio diventerà per il protagonista anche un momento di scoperta rispetto alle differenze tra maschi e femmine e di emozioni che possono diventare preziosi segreti.

Curato, come il volume precedente, da Marinella Michielotto per la parte del testo e  da Licia Zuppardi per la parte delle illustrazione, Yxxy. Il segreto non segreto ha coinvolto numerose altre professionalità sia per quel che concerne l’attenzione agli aspetti pedagogici della storia sia per quel che riguarda la simbolizzazione del testo. L’intenzione alla base di questa scelta è quella di offrire uno strumento che rispetti e accolga il più possibile le esigenze del piccolo lettore, soprattutto se con disabilità. Apprezzabili, in questo senso, il coraggio di affrontare questioni di genere – delicate e ancora spesso oggetto di tabù, tanto più se riferite a un contesto quale quello della disabilità -, la scelta di offrire una rappresentazione “silenziosa” di una situazione di disabilità – che compare naturalmente nella storia, senza dover essere sottolineata né, al contrario, mimetizzata – e la capacità di raccontare una possibilità di inclusione – senza strepiti ma grazie, per esempio, all’introduzione di giochi realmente accessibili e tali da consentire una effettiva condivisione da parte di tutti i bambini (il palcio, per l’appunto, ma anche lo sguazzare in acqua).

Disponibile in una versione standard e in una versione inbook, che ne propone il testo in Widgit Literacy Symbols (WLS), Yxxy. Il segreto non segreto propone in maniera semplice e accessibile un messaggio positivo molto schietto e una possibilità interessante di dialogo intorno a tematiche complesse .

Mangia la foglia!

Anna, Magnus e Stina sono tre cugini. Durante i pranzi di famiglia il loro tavolo, piccolo e rotondo, diventa una postazione separata e privilegiata di osservazione degli adulti. È da qui che i tre assistono al grande litigio di maggio che porta lo zio Jan e la zia Betta, genitori di Stina, ad allontanarsi  per un po’ dalla famiglia. Ed è da qui che assorbono, più o meno inconsapevolmente,  le dinamiche divisive che gli adulti mettono in atto. Quelle stesse dinamiche non tarderanno a trovare una replica in scala ridotta anche tra i piccoli di casa, alimentate in particolar modo dalla dieta vegetariana di Stina. “Stina è una ragazzina inutile”, “Io una volta l’ho sentita fare muuuu”, dicono di lei Magnus e Anna, convinti così di consolidare la loro amicizia esclusiva. Fino al giorno del funerale della nonna di Stina, quando le prese in giro di Magnus passano il segno facendo correre un grosso rischio alla cuginetta e aprendo gli occhi di Anna su quanto un’amicizia che si regge sul dileggio altrui sia fragile e inconsistente.

Il racconto breve scritto da Bart Moeyaert (qui in una sorridente conversazione con l’editrice Della Passarelli in cui si racconta come nasce Mangia la foglia) è denso e avvincente, capace in pochissime parole di tratteggiare un’infanzia vera e palpitante, finanche politicamente scorretta. Nelle noiose ore a tavola, nei “facciamo finta che…” che si sviluppano sul prato, nelle promesse indissolubili, nella forza silenziosa del modello adulto, nella tentazione di costruire rapporti saldi su un comune nemico ma anche nella capacità di cogliere un’ingiustizia quando perpetrata, si leggono infatti quella fragilità e quella determinazione che rendono speciale l’età bambina. L’autore le coglie con un’efficacia rara, offrendo al giovane lettore un’occasione intensa di leggersi e riconoscersi. Le parole di Bart, stampate ad alta leggibilità e dunque rese più agevoli da scorrere anche in caso di dislessia, sono accompagnate dalle illustrazioni di Alice Piaggio che aggiungono una forte carica espressiva a una narrazione già molto intensa.

Felicottero

Marc Herremans è un atleta belga di triathlon. Vittima di un grave incidente qualche anno fa, è rimasto paralizzato nella parte inferiore del corpo. Da quel momento ha iniziato a praticare lo stesso sport in sedia a rotelle, raggiungendo numerosi traguardi e diventando un modello per molte persone con e senza disabilità.

Perché citare proprio la storia di Marc? Perché a lui si ispira ed è dedicato il bell’albo Felicottero edito da Sinnos. Come un Herremas in becco e piume, Felicottero era un grande campione sportivo, noto a tutti per i suoi successi nelle più svariate discipline: dai 50 metri di corsa veloce alla pesca al gamberetto. Caduto però un giorno dalle nuvole, all’uccello resta una gamba sola, tanta nostalgia dei tempi d’oro e pochi amici. Dodo, Airone e Pinguino che erano soliti accompagnare le sue imprese, d’improvviso e proprio nel momento più critico, si fanno infatti latitanti. Per fortuna Felicottero incontra Millepiedi che con le parole e gli stimoli giusti, dettati da un arguto contrasto quantitativo di arti –  gli offre la spinta che da solo stentava a trovare, aiutandolo a cogliere l’occasione per una vera e propria rinascita.

Sostenuto da una felice misura di ironia e saggezza, Felicottero è un libro che si libra senza fatica tra i pensieri del lettore. Lo fa grazie a  un testo ad alta leggibilità che gioca saporitamente con modi di dire e frasi fatte e che fa proprio di questo aspetto una chiave per ribaltare il paradigma che ingessa la disabilità in una cornice cupa e del tutto priva di  humour. E lo fa l’albo grazie a delle illustrazioni strepitose, che riflettono a pieno la sensibilità e la qualità poetica caratteristica di Marije Tolman. I suoi guizzi cromatici, il suo uso sapiente della verticalità e la sua capacità di avocare senza troppo dire lasciano infatti al lettore tutto lo spazio di cui necessita per fare propria una storia preziosa.

La nave

Contorni spessi, colori pieni, espressioni ben riconoscibili, soggetti chiari e privi di dettagli superflui: queste le caratteristiche delle figure firmate da Teo Cozza e protagoniste di una serie di libri per i lettori piccolissimi dedicati ai mezzi di trasporto. Si tratta di libri adatti a bimbi dai due anni che raccontano storie minime in cui reale e fantastico si uniscono senza forzature (così come in effetti accade nella fantasia dei bambini) e in cui le figure nette e amichevoli, poco ricercate, si sposano a testi molto brevi e dalla struttura lineare.

E siccome mezzi da strada, d’acqua e d’aria appassionano facilmente i giovanissimi lettori, la trasformazione in in-book di alcuni di questi albi è di certo una felice intuizione. Grazie alla simbolizzazione puntuale del testo, peraltro adattissimo a questo tipo di processo data la sua semplicità, la storia può più agevolmente arrivare anche agli occhi e alle orecchie di bambini con difficoltà comunicative, favorendo così la condivisione di un piccolo momento intimo con l’adulto che legge ad alta voce.

Ne La nave, la protagonista si trova smarrita nel buio durante una burrasca. Sarà un faro a salvarla dalla furia del mare, consentendole di trovare la via di casa e un nuovo amico. Il volume vede testo (sulla sinistra) e illustrazioni (sulla destra) ben distinte,un’impaginazione pulita e non confusiva, simboli WLS con testo minuscolo ed elemento grafico entrambi riquadrati.

Il pullman

Contorni spessi, colori pieni, espressioni ben riconoscibili, soggetti chiari e privi di dettagli superflui: queste le caratteristiche delle figure firmate da Teo Cozza e protagoniste di una serie di libri per i lettori piccolissimi dedicati ai mezzi di trasporto. Si tratta di libri adatti a bimbi dai due anni che raccontano storie minime in cui reale e fantastico si uniscono senza forzature (così come in effetti accade nella fantasia dei bambini) e in cui le figure nette e amichevoli, poco ricercate, si sposano a testi molto brevi e dalla struttura lineare.

E siccome mezzi da strada, d’acqua e d’aria appassionano facilmente i giovanissimi lettori, la trasformazione in in-book di alcuni di questi albi è di certo una felice intuizione. Grazie alla simbolizzazione puntuale del testo, peraltro adattissimo a questo tipo di processo data la sua semplicità, la storia può più agevolmente arrivare anche agli occhi e alle orecchie di bambini con difficoltà comunicative, favorendo così la condivisione di un piccolo momento intimo con l’adulto che legge ad alta voce.

NeIl Pullman, il protagonista è un autobus dalle forme tondeggianti che, malato, sbuffa e tossicchia un fumo nerastro finché i suoi amici attrezzi non si prendono cura di lui. Cinque lattine d’olio e passa la paura!

Il volume vede testo (sulla sinistra) e illustrazioni (sulla destra) ben distinte,un’impaginazione pulita e non confusiva, simboli WLS con testo minuscolo ed elemento grafico entrambi riquadrati. Il Pullman può vantare simboli (e quindi testi) di dimensioni leggermente più grandi che agevolano ulteriormente la lettura e rendono più piacevole la pagina.

Io rispetto

C’è un paese di nome Armonia, in cui ogni persona vive serenamente, libera di giocare, crescere, imparare, esprimersi, realizzarsi nella maniera che le è più congeniale, anche nel caso in cui sia colpita da una disabilità. Armonia è certo un paese fantastico ma che traduce in immagini efficaci il senso di un documento importante come la Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità e che si vorrebbe non distasse molto dalla realtà. I suoi abitanti accoglienti, le sue leggi amichevoli e i suoi luoghi ospitali rendono bene l’idea di come dovrebbe costruirsi una società inclusiva quale quella raccomandata dal documento redatto dall’ONU nel 2006. Questo, reso a misura di bambino grazie a un lavoro intitolato “Parliamo di abilità” promosso dall’UNICEF, funge proprio da ispirazione per i quattordici componimenti in rima di Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità, scritti da BendettoTudino e illustrati da MariannaVerì.

Il volume nasce da un progetto dell’Unicef, dell’Agenzia Politiche a favore dei Disabili del Comune di Parma e dall’associazione Rinoceronte Incantato. Forte dell’idea che le norme vadano il più possibile fatte proprie e interiorizzate, il libro sceglie la via della rappresentazione poetica per dare un senso pieno, comprensibile e vicino al sentire dell’infanzia a norme rigorose e astratte. Così il diritto di ridere, scegliere, esserci o decidere acquistano un significato più vivo e palpitante, più facile da riscontare e forse mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Tra tanti diritto, poi, non manca quello a noi tanto caro, di leggere, che l’autore chiude così:

Impara così un Mondo felice

Quel che si fa, si pensa e si dice.

Con le mani, gli occhi e la mente,

studia il sapere di tutta la gente.”

Questa è la storia di Topolina

Emanuela Nava ha una dote speciale nel trovare le parole giuste per dire anche le situazioni più complesse alle orecchie dei bambini. Lo dimostra, una volta di più, con Questa è la storia di TopoLina: un racconto in forma d’albo illustrato, con le splendide illustrazioni di Simona Mulazzani, in cui le difficoltà comunicative che affliggono diversi bambini trovano voce attraverso la minuta figura di una topina del bosco. Sorpresa dalla neve che ha sommerso la sua casa, TopoLina cerca aiuto ma, non riuscendo a parlare, non sa come farsi capire dagli altri animali. Saranno i segni lasciati sulla neve a far comprendere la sua richiesta e soprattutto a far trovare alla volpe e ai suoi amici un modo speciale di comunicare con lei.

Delicatissima, nelle parole e nelle illustrazioni, Questa è la storia di TopoLina è una storia di silenzi esterni che non corrispondono a silenzi interni, di amicizie che fanno trovare soluzioni inattese e di modi di relazionarsi insoliti ma straordinariamente affascinanti. Muovendosi in punta di piedi, Emanuela Nava e Simona Mulazzani dipingono un quadro fantastico in cui la disabilità, le difficoltà che implica e le risorse che fa emergere, non vengono mai citate esplicitamente ma trovano una rappresentazione lucidissima ed efficace.

E se è vero che i progetti editoriali come questo, mossi da intenti sociali, sono sempre un po’ rischiosi, va riconosciuto a Carthusia il merito di affrontare l’insidia del pedagogismo spiccio con grande perizia, affidandosi alla sensibilità e alla competenza di autori sopraffini. Gli scrittori e gli illustratori che hanno curato i diversi volumi della collana Storie al quadratosono sempre infatti di altissimo livello, capaci di mettere la loro arte al servizio di un racconto speciale. Gli albi come Questa è la storia di Topolina trasformano così esperienze particolari e importanti, come quella del Centro Benedetta d’Intino di Milano, in storie di grande fascino che arrivano al lettore grazie a un alleato prezioso: l’emozione.

Lucia

La giornata di Lucia inizia, come per tutti, con pochi automatici gesti quotidiani: lavarsi i denti, mettere a bollire il tè, infilarsi il giubbino, afferrare il bastone. Il bastone le serve per muoversi per strada ed è il dettaglio che ci fa capire con certezza che Lucia è una bambina cieca: una bambina che il libro di Roger Olmos intende accompagnare nel suo cammino da casa a scuola e qui dare voce a una piccola storia di bellezza che ha la possibilità di fiorire proprio grazie a quello che parrebbe il limite della protagonista. Dopo un suggestivo percorso in autobus e un eloquente percorso a piedi, accarezzata dal vento come in altalena, divertita da un legnetto su una staccionata che pare un organo e incuriosita da bizzarri personaggi dalla testa di colonia, pipa o foglie, Lucia arriva a scuola e condivide momenti preziosi con un compagno poco alla moda al cui aspetto Lucia non bada.

Frutto di un grosso e accurato lavoro condotto dall’autore per immergersi realmente nel mondo di una persona cieca, Lucia offre una storia delicata e una riflessione raffinatissima sullo scarto che separa la reale percezione di una persona non vedente e il nostro modo consueto di immaginarla. L’autore sottolinea, in particolare, e veicola questo scarto con un gioco sapientissimo e suggestivo tra immagini colorate e in banco e nero così come tra figure realistiche e figure fantastiche. Ecco allora che il consueto immaginario onirico di Olmos trova quindi qui un terreno fertilissimo e una possibilità di espressione nuova, funzionale a rappresentare un’esperienza fuori dal comune.

Nato dalla collaborazione tra CBM onlus, che si occupa di disabilità visiva nei paesi più poveri, e Logos edizioni, Lucia fa parte di una collana inaugurata da un altro grande illustratore – Lorenzo Mattotti – con un albo più astratto e adatto a un pubblico adulto intitolato Blind. Si tratta di una collana volta a esplorare il mondo della disabilità visiva nelle sue molteplici sfaccettature: un progetto importante in cui una riflessione profonda sulle possibilità d’inclusione nasce e si diffonde grazie alle matite più pregiate dell’attuale panorama editoriale.

La bambina che andava a pile

Quello con La bambina che andava a pile è stato amore a prima vista. Tutto subito per quel titolo curioso e quelle illustrazioni graffiate e graffianti, che non passano inosservate fin dalla copertina. Poi per la testimonianza preziosa di una sordità vissuta da dentro, la ricchezza di piani di lettura, l’unione commuovente tra ironia e profondità che, davvero, è raro trovare in un albo che tocca il tema della disabilità. Ma andiamo con ordine.

La bambina che andava a pile è l’opera prima di una giovanissima autrice bresciana (classe 1992!), cresciuta con una sordità profonda diagnosticata all’età di due anni e poi con un impianto cocleare posizionato all’età di dieci. Proprio quell’esperienza d’infanzia, così particolare e distante da quella della maggior parte dei bambini, è protagonista del libro che raccoglie in forma lapidaria una serie di riflessioni su cosa significhi, concretamente, essere sordi in un mondo di udenti: la rincorsa delle parole, l’ostilità del buio che crea un distacco netto col resto del mondo, le voci – molteplici – su cui può fare affidamento, la vita in equilibrio tra più dimensioni, il valore relativo del concetto di diversità, il peso variabile dei nomi con cui si dice e si dà forma a una realtà. Quello di Monica Taini è un ritratto personale ma scorre fluido e avvincente come una storia avventurosa, forse perché propria come un’avventura è pieno di rivelazioni e colpi di scena. Ogni pagina è una bordata di senso, talvolta illumina talvolta colpisce allo stomaco, ma sempre invita a soffermarsi un attimo (e più) anche grazie all’eco generato da immagini in cui incisione e collage risultano molto espressivi. A chiudere il tutto, un glossario semiserio di cultura sorda che introduce con straordinaria ironia al mondo della sordità, tra oralismo, protesi e logopedia: una chicca utilissima per spiegare termini difficili e dire questa particolare disabilità con una precisione sorridente.

Morale: non lasciatelo sfuggire. La bambina che andava a pile è uno di quegli albi da conoscere e far conoscere. Assolutamente. E per il quale non solo l’autrice ma anche un lungimirante editore come Uovonero merita un grazie a lunga durata.

Divisioni senza resto

Solare e intraprendente, Francesco è un bambino che si muove in sedia a rotelle a causa della distrofia muscolare. I suoi compagni sono perlopiù gentili con lui e spesso si fermano a giocare in classe per non lasciarlo solo. Ma Francesco sa che talvolta non è ciò che preferirebbero fare, e questo un po’ lo incupisce. Trovare un amico vero, con cui trascorrere il tempo per puro piacere, quello sì sarebbe pazzesco. Per questo quando in classe arriva Valentino, un bambino di origine cinese che condivide con Francesco l’insegnante di sostegno a causa delle difficoltà linguistiche, la sua vita si trasforma. Valentino è un tipetto vivace ma anche disposto a chiacchierare di sport (di motori soprattutto!) e a divertirsi con giochi tranquilli. Con lui le giornate di Francesco prendono una nuova spinta: quella verso alcuni guai, nuove relazioni  e soprattutto verso una nuova consapevolezza delle proprie possibilità.

Ben scritto e contraddistinto da un certo dinamismo, Divisioni senza resto è un bel racconto sull’amicizia in cui la disabilità ha tanta parte nella vicenda ma non appesantisce la narrazione portando a derive buoniste. La capacità di Caterina Frustagli è quella di raccontare i sentimenti e le situazioni anche complicati, con grande chiarezza, trovando immagini efficaci per dire anche i pensieri e i concetti più critici. Il titolo stesso ne è un esempio significativa, poiché come dichiara più avanti il protagonista: “Mi piacciono le divisioni, perché dividono e danno a tutti in parti uguali. Se ci sono venti caramelle e cinque bambini, stai sicuro che ognuno avrà quattro caramelle, senza ingiustizie. La vita dovrebbe essere una divisione senza resto: a tutti parti uguali e stop.

La notte del circo

È sera tardi, le undici in punto, e dalla finestra aperta della sua stanza da letto una bimba fa entrare di soppiatto un cagnolino nero. La loro è amicizia a prima vista: insieme per più di un’ora giocano a si scatenano in numeri – con la palla, con i cerchi, col tamburo e con la sbarra – degni di un circo. E proprio a un circo, in effetti, l’animale torna, quando la piccola si addormenta. Il risveglio sarà brusco e triste per lei: la palla, i cerchi, il tamburo e la sbarra non hanno più lo stesso fascino senza un compagno di acrobazie. Il sonno riserva però una sorpresa straordinaria e la bimba, riaddormentatasi, si ritrova trasportata da un clown gigantesco sotto il tendone del più fantastico dei circhi. Qui non solo ritrova il suo amico a quattro zampe ma sperimenta l’euforia elettrizzante che le acrobazie circensi possono riservare. Sarà un sogno mirabolante il suo, pieno di ritmo, capriole e meraviglia, e se proprio solo di un sogno si tratti tocca al lettore stabilirlo.

In questo silent book che fa scintillare gli occhi e l’immaginazione, Mattias De Leeuw infonde tuttolo stupore e la magia del sogno. Ad occhi chiusi e ad occhi aperti. Il mondo circense a cui dà vita è pieno zeppo di particolari che fanno di ogni pagina un piccolo spettacolo. È un libro che tira e tesse una moltitudine di fili, il suo: fili su cui camminare con e come un equilibrista, fili che legano le pagine grazie a dettagli minuziosissimi, fili che animano le silhouette smilze dei personaggi e fili che creano una rete tra il mondo onirico e quello reale. L’assenza di parole, che ben si confà peraltro a un mondo come quello di clown e animali, dà vita a un racconto che richiede al lettore un’immersione profonda e sospende pressoché il tempo. Curatissimo nel ritmo, scandito da doppie pagine di ampio respiro che si alternano a pagine frammentatissime, La notte del circo va incontro a lettori curiosi e pazienti, le cui capacità di attenzione e decodifica delle immagini siano un pochino impratichite.

Maionese, ketchup o latte di soia

Élianor è nuova a scuola: secca secca, pallida pallida e silenziosa come pochi, la ragazza è da subito vittima di scherni e angherie da parte dei compagni. Non che serva per forza un motivo per finire vittima dei bulli, ma questi pensano bene di bersagliarla per il suo presunto insolito odore. E così, in meno di un giorno di scuola, Élianor diventa per tutti la ragazza che puzza. Per tutti tranne uno, a dire il vero: per Noah, infatti, l’odore può raccontare a suo modo la storia delle persone, creando invisibili forme di relazione e contatto, e per questa ragione non esita ad avvicinarsi alla ragazza. Sarà un incontro turbolento il loro, sia perché li porta a sfidare la prepotenza di teppisti come Sylvester sia perché li porta a mettere faccia a faccia due quotidianità molto distanti tra loro. Come può una ragazza che vive con un guru scalzo e che si ciba di strani intrugli naturali  trovare qualcosa in comune con un ragazzo cresciuto a cola e merendine? Sarà necessario per i due andare più a fondo di una dieta per scoprire che ci si può incontrare nelle comuni esperienze di vita, emozioni e rispetto della diversità.

Fresco e avvincente, il racconto di Gaia Guasti parla in modo schietto e diretto alle orecchie dei giovanissimi, trovando così il modo più efficace di dare spazio a cose vere e complesse come il bullismo e la tolleranza. Nei pensieri di Noah ed Élianor, nelle dinamiche tra i banchi di scuola, nelle storie nascoste dei singoli personaggi, si percepisce infatti un’adolescenza palpitante. E brava davvero è l’autrice a coglierla e restituirla nella sua ricchezza. Già edito nel 2016 da Camelozampa, Maionese, ketchup o latte di soia è ora ripubblicato dall’editore padovano in una snella e apprezzabilissima versione ad alta leggibilità che sfrutta il font Easyreading e un’impaginazione più ariosa del testo.

Contro corrente

Emily è una ragazzina degli anni venti, curiosa e intraprendente. A differenza di molte coetanee, della madre e della sorella, non mostra grande interesse per pizzi e merletti ma coltiva una grande passione per il nuoto. È stata la cugina Gertrude, professionista della disciplina e vincitrice negli stessi anni di un’olimpiade e del record di traversata femminile della Manica, ad accendere la scintilla per questo sport il giorno in cui le ha regalato il suo costume da bagno. Come un segno del destino, quel dono sosterrà Emily nei suoi allenamenti segreti e osteggiati in compagnia dell’amico Leo, fino al compimento della sua piccola grande impresa di nuoto al lago.

La vicenda di Emily, inventata ma ispirata alla storia vera della nuotatrice newyorkese Gertrude Ederle, è portata all’attenzione dei lettori dal fumetto edito da Sinnos con un garbo e una cura rari. Alice Keller ha infatti la capacità speciale di raccontare le storie, vere o inventate che siano, con una pacatezza che ammalia e tiene sospesi, un po’ come quando si tira il fiato e ci si immerge in fondo a un lago. È un racconto pulito il suo, talvolta ironico e talvolta secco, un racconto che non prova mai a spiegare le emozioni preferendo di gran lunga lasciare che vengano a galla da sé, naturalmente. A sostenerlo, echeggiarlo e completarlo, le leggiadrissime tavole – ora a tutta pagina ora in formato mignon – di Veronica Truttero. Il risultato è un fumetto che appassiona con grande leggerezza, facendo dell’apprezzabilissima sintonia tra le autrici, la chiave di volta per tenere agganciato il lettore.

Cappuccino e Cappuccetto

La storia di Cappuccetto Rosso la conosciamo tutti, ma la versione che propone Fulvia Degl’Innocenti in Cappuccino e Cappuccetto si discosta un po’ dal racconto consueto. Non solo perché la protagonista è qui una bambina moderna, con lo zaino sulle spalle, uno skateboard in mano e una fermata del bus sotto casa, ma anche perché nel fitto del bosco dove si reca per portare una torta alla nonna malata, le cose non vanno proprio come ci si aspetta. L’incontro con il lupo, ben lontano dallo stereotipo di bestia feroce e pericolosa, scioglie infatti pregiudizi e timori in quella che diventa una scampagnata in compagnia. Perché, come recita il testo, “in due è più difficile perdersi”.

Costruito in modo tale da poter essere letto in un senso e nell’altro, portando da un lato la storia del lupo Cappuccino e dall’altro quella della ragazzina Cappuccetto Rosso, Cappuccino e Cappuccetto fa incrociare le due storie proprio nel mezzo, invitando implicitamente a una riflessione sull’importanza del punto di vista. Stampato come gli altri albi della casa editrice Terra Nuova con font OpenDyslexic, il libro intende consentire una più agevole fruizione della storia anche da parte di bambini con dislessia.

La scimmia abbracciona

Stufi di subire l’affettuosità smodata della scimmia Stella, gli animali della foresta decidono di mandarle un chiaro messaggio nascondendosi ogni qual volta il primate si faccia vedere. Un po’ triste e un po’ sconcertata, la scimmia inizia a vagare in solitudine  e incontra un riccio. Subito lo considera un grande amico e prova ad abbracciarlo come suo solito, sperimentando sulla sua pelle – o per meglio dire sui suoi peli – l’inopportunità di stringere d’impulso tutto ciò che le capiti a tiro.

Ecco in breve la storia che La scimmia abbracciona porta ai suoi lettori, in una forma fruibile anche in caso di esigenze di lettura particolari. Contraddistinta da frasi brevi o comunque dalla struttura lineare, da un lessico piano e da una simbolizzazione puntuale che sfrutta la collezione dei Widgit Literacy Symbols, La scimmia abbracciona si rivolge prima di tutto, ma non solo, a bambini con difficoltà comunicative legate all’autismo, privilegiando un racconto semplice che sfrutta al massimo il canale visivo.

Non è tanto per la qualità narrativa che lo contraddistingue, quanto per la specificità del progetto da cui nasce che La scimmia abbracciona merita interesse. Il libro che Papero Editore ha deciso di pubblicare come apripista di un’intera collana di in-book, ha infatti un’origine e una finalità sociale precise. Nato in seno all’associazione La matita parlante, La scimmia abbracciona è il frutto del lavoro di scrittura e illustrazione di due ragazzi con disabilità e intende andare a beneficio di bambini con difficoltà analoghe. Non solo con la scelta di una forma narrativa accessibile o con la proposta di una storia che rispecchia il quotidiano di diversi bambini (primo fra tutti l’autore stesso!) ma anche attraverso la dimostrazione che la disabilità non deve essere un limite alla realizzazione artistica e professionale.

Papu e Filo

Papu e Filo sono due personaggi tanto diversi – uno sbadato aggregato di pompon colorati e un preciso pezzo di corda bordeaux  – che non amano il loro aspetto e vorrebbero reciprocamente assomigliarsi. Ma cambiare non è così immediato, soprattutto se si è da soli. Insieme, invece, tutto è più semplice: così i due amici trovano il modo di assumere forme sempre nuove e differenti, mettendo insieme le qualità di ognuno. Un gelato, una chioccola, un’automobile o un viso sorridente: con un amico si può diventare qualunque cosa e farlo, forse, rende creature migliori.

Con una storia lineare, un testo misurato che non spreca una parola, e illustrazioni tattili che trasformano il poco in un’esplosione di creatività, Papu e Filo fa della semplicità la sua forza: una semplicità tutt’altro che banale e piatta e che, anzi, letteralmente conquista. Grazie a questa caratteristica, infatti, non solo il libro racconta una storia che è una carezza ma lo fa in un modo che risulta accogliente tanto per i bambini vedenti quanto per i loro compagni non vedenti. La disposizione di Braille e testo a stampa sulla pagina, la scelta dei materiali e l’essenzialità delle figure rendono infatti il libro godibilissimo e facilmente esplorabile anche al tatto.

Terzo classificato nella categoria “Miglior Libro Italiano” e primo classificato come “Miglior libro didattico” al III Concorso Nazionale Tocca a te! promosso dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, Papu e Filo si presta meravigliosamente a piccole letture intime  in famiglia ma anche a significativi lavori di gruppo in classe.

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Il coniglio di Alja

Se è vero che la disabilità, da qualche tempo, si è ricavata spazi di rilievo all’interno della letteratura per l’infanzia, è altresì un fatto che non tutte le disabilità trovano eguale rappresentazione in quella letteratura. Soprattutto quando è rivolta ai più piccoli. Gli albi proposti ai bambini in età prescolare tendono infatti  a concentrarsi sulle disabilità più note e diffuse, più facili da avvicinare e conoscere e, in generale, meno gravi e forse più normalizzabili. Più difficile, invece, trovare parole e figure che raccontino agli orecchi acerbi la disabilità grave o la pluridisabilità, quella stessa che più difficilmente gli stessi bambini incontrano sul loro cammino. Eppure questo incontro accade e avere tra le mani uno strumento che aiuti a trasformarlo in un’occasione di crescita è auspicabile e positivo.

Alla luce di tutto questo Il coniglio di Alja pare un libro insolitamente coraggioso, per la scelta schietta e controcorrente di dare spazio a una disabilità rara e complessa. La protagonista dell’albo edito da Asterios, infatti, non cammina, non parla, non vede e non sente bene: Alja è affetta dalla rara sindrome di Leigh, ci dice la nota per adulti a fondo libro, il che la rende gravemente non autosufficiente. Quale che sia la sua sindrome precisa, tuttavia, al lettore e agli autori non importa granché, poiché parole e immagini si concentrano su ciò di cui i bambini concretamente si accorgono e sulle domande reali che popolano le loro menti. Perché è nel passeggino? Perché è in questo modo? E come farà a giocare con noi?, per dirne qualcuna. Tutte domande che qualunque maestra si sentirebbe porre di fronte a una diversità così marcata e alle quali non è così semplice rispondere. Le parole di Brane Mozetič  sono tuttavia misurate e mirate, capaci di nominare con correttezza e senza sbavature una realtà delicatissima e di sposarsi con pacata armonia alle illustrazioni morbide ma decise di Maja Kastelic. In entrambi i suoi aspetti comunicativi il libro mantiene uno sguardo positivo che non sfocia nell’irrealistica edulcorazione della realtà e presta un’attenzione di riguardo alla gestualità, agli sguardi, alle distanze e alle posizioni assunte dai protagonisti: un modo rispettoso e sincero di dire il rapporto che lega disabilità e infanzia, non castrando la naturale curiosità dei bambini ma offrendo loro risposte e azioni soddisfacenti. 

Ne Il coniglio di Alja,  in fondo, non c’è che il racconto di un’esperienza, di una quotidianità per certi versi insolita: l’arrivo all’asilo di una bimba dai bisogni più che speciali, il confronto con una diversità che spiazza e pone interrogativi importanti, le esperienze che, grazie a maestre accorte, la bambina e i suoi compagni riescono a condividere, l’incontro al di fuori della scuola per un compleanno e  la scoperta di un amico comune – un coniglietto nella fattispecie – che incentiva e sostiene la relazione nonostante le gravi difficoltà. Il libro pone cioè un focus molto esplicito sulla disabilità e ciononostante mantiene – cosa tutt’altro che scontata – una freschezza e una profondità apprezzabili che trasformano una narrazione apparentemente ordinaria in un seme di attenzione e apertura.  

Mira Kurz capelli rosso cuoco

Essere disortografici come Mira, la protagonista di Mira Kurz capelli rosso cuoco, può essere davvero molto faticoso e provante. Soprattutto se le persone – genitori, insegnanti e compagni – che ti circondano non danno troppo credito alle difficoltà che lamenti e anzi ci mettono del loro per complicarti la vita. Così, di fronte a una maestra poco attenta e un po’ superficiale, stanca dell’indisciplina degli alunni ma incapace o priva delle forze necessarie a porvi freno, una classe fuori controllo e guidata da alcuni bulli si accanisce contro Mira, deridendola per le sue difficoltà scolastiche. Dapprima sono prese in giro verbali, poi, esclusioni fisiche, atti di vandalismo ai danni dei suoi oggetti, menzogne riportate alla direttrice e vere e proprie trappole per metterla nei guai. Mira dal canto suo si guarda bene dal fare la spia e cerca di arginare la situazione elaborando piccole vendette, che peggiorano ulteriormente la situazione, e cercando il supporto di pochi amici rimasti. Sarà un adulto della scuola dalla spiccata sensibilità a cogliere per primo e per davvero il malessere della bambina, consentendo alla verità di saltare fuori e all’intera classe di rimediare a  quanto accaduto e a Mira di trovare il proprio posto e valorizzare le proprie capacità.

Contraddistinto da un tono leggero e scherzoso, forte anche del bel caratterino della protagonista, il libro di Anja Janotta affronta con brio il tema delicato delle difficoltà scolastiche e delle dinamiche di bullismo che spesso intorno ad esse si vengono a creare. Efficace e centrato è soprattutto il focus sull’escalation di gravità delle angherie, sull’impatto significativo che queste hanno sull’autostima dei bambini e sulla loro difficoltà a chiedere aiuto quando gli adulti si mostrano disattenti (più che sulla disortografia in sé, piuttosto calcata e in parte deformata per alimentare i giochi di parole che rendono particolare il racconto). Interessante e meritevole la capacità dell’autrice di rendere tutto questo con un racconto votato all’ironia, disseminato di piccole avventure e piacevolmente scorrevole nonostante le oltre 200 pagine che compongono il volume.

Alex e Axel

Se è vero che nomen omen, allora il legame speciale che unisce Alex e il cane Axel che abita vicino a lei pare predestinato dalla somiglianza tra i loro nomi. È tuttavia un legame tanto forte quanto osteggiato, il loro: il padrone di Axel è infatti un uomo scorbutico e scostante, tutt’altro che favorevole alle attenzioni che ogni giorno la ragazzina rivolge al suo cane. Alex non cede, però, alle proteste del signor Alberto, soprattutto quando si accorge che questi non offre al povero Axel la libertà di movimento che meriterebbe e che anche il cane – ringhioso e aggressivo verso chiunque tranne lei –  manifesta nei suoi confronti un attaccamento fuori dal comune. Da lì in poi, Alex farà di tutto per stare vicino al suo amico peloso e per fargli avere il dovuto svago: compreso scavalcare la recinzione del signor Alberto e portare Axel a spasso di nascosto. Quando però l’effrazione viene scoperta Alex passerà un brutto guaio e solo la sua straordinaria affinità con Axel riuscirà a ribaltare la situazione critica in cui la ragazzina viene a trovarsi, ricucendo rapporti compromessi e liberando da fantasmi del passato.

Alex e Axel è un libro che fa parte della serie azzurra del Battello a Vapore: è destinato ai bambini dai sette anni in su ma richiede una certa pratica di lettura. Il testo ha già infatti un certo spessore e non trascura parti riflessive e sottesi che richiedono una certa dimestichezza nel lettore. La scelta editoriale di pubblicare il libro ad alta leggibilità – con font specifico, paragrafi distanziati e non giustificati, spaziature maggiori e assenza di sillabazione – viene dal canto suo incontro alle esigenze di bambini con disturbi specifici dell’apprendimento che non vogliono rinunciare al gusto di storie appassionanti.

L’uomo che lucidava le stelle

L’uomo che lucidava le stelle è un uomo munito di secchi, stracci e  spazzolone con i quali si dedica – così  dice – a far brillare gli astri della notte. Non che Nicola, protagonista e narratore della storia, lo abbia mai visto all’opera ma quella figura adulta così strana e suggestiva segna profondamente i suoi ricordi di bambino e acquisisce una credibilità che stenta a trovare consensi nel mondo adulto. Non a caso quest’ultimo trova spazio nelle giornate e nei racconti di Nicola solo quando, per una ragione o per l’altra, dimostra di conservare uno spirito genuino e sognatore che è tipico dell’infanzia. Così, nei pomeriggio di gioco intorno al laghetto, insieme a Nicola e agli altri ragazzi, ci sono solo adulti sui generis – gli strambi del paese – quelli che avrebbero tante cose da dire ma faticano tra i grandi a trovare ascolto. Così le loro storie di matrimoni pluririmandati a cui i maialini, ahimé, non sono invitati, di incomprensibili reclusioni e di pietre da collezione capaci di parlare trovano ascolto solo negli orecchi acerbi dei piccoli come Nicola a cui appare molto chiara l’importanza di non fermarsi all’apparenza per guardare nel profondo degli individui.

L’uomo che lucidava le stelle è un libro dai toni spiccatamente onirici e metaforici, fuori dagli schemi abituali. Anche per questo, nonostante l’impaginazione ad alta leggibilità che lo rende più fruibile e amichevole alla vista anche in caso di DSA, non risulta immediatissimo e facilissimo da seguire. Si tratta però di un libro molto suggestivo e denso, che si presta a stimolare riflessioni, interpretazioni e confronti nei bambini e nei ragazzi.

Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità

C’è un paese di nome Armonia, in cui ogni persona vive serenamente, libera di giocare, crescere, imparare, esprimersi, realizzarsi nella maniera che gli è più congeniale, anche nel caso in cui sia colpito da una disabilità. Armonia è certo un paese fantastico ma che traduce in immagini efficaci il senso di un documento importante come la Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità e che si vorrebbe non distasse molto dalla realtà. I suoi abitanti accoglienti, le sue leggi amichevoli e i suoi luoghi ospitali rendono bene l’idea di come dovrebbe costruirsi una società inclusiva quale quella raccomandata dal documento redatto dall’ONU nel 2006. Questo, reso a misura di bambino grazie a un lavoro intitolato “Parliamo di abilità” promosso dall’UNICEF, funge proprio da ispirazione per i quattordici componimenti in rima di Io rispetto. Filastrocche per una lettura della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità, scritti da Bendetto Tudino e illustrati da Marianna Verì.

Il volume nasce da un progetto dell’Unicef, dell’Agenzia Politiche a favore dei Disabili del Comune di Parma e dall’associazione Rinoceronte Incantato. Forte dell’idea che le norme vanno il più possibile fatte proprie e interiorizzate, il libro sceglie la via della rappresentazione poetica per dare un senso pieno, comprensibile e vicino al sentire dell’infanzia a norme rigorose e astratte. Così il diritto di ridere, scegliere, esserci o decidere acquistano un significato più vivo e palpitante, più facile da riscontare e forse mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Tra tanti diritto, poi, non manca quello a noi tanto caro, di leggere, che l’autore chiude così:

Impara così un Mondo felice

Quel che si fa, si pensa e si dice.

Con le mani, gli occhi e la mente,

studia il sapere di tutta la gente.”

Giulio Coniglio e la lepre Gelsomina

Un giorno Giulio Coniglio si sveglia e trova fuori da casa sua un bellissimo camper che reca scritto “Gelsomina”, ossia il nome della  famosa leprotta ballerina che ne è proprietaria. Gelsomina fa rapidamente la conoscenza di Giulio e dei suoi amici, accorsi appositamente ed elegantemente agghindati per l’occasione, deliziandoli con un meraviglioso spettacolo di danza. Un po’ meno movimentata delle altre avventure, Giulio Coniglio e la lepre Gelsomina ha un ritmo più lento e punta l’attenzione sull’emozione di fare nuovi incontri.

 

La collana Le giocastorie ad alta leggibilità

Giulio Coniglio e la lepre Gelsomina fa parte della collana Le Giocastorie, ora in parte pubblicata da Franco Cosimo Panini Editore ad alta leggibilità. L’utilizzo del font leggimiprima rende infatti  le avventure del noto coniglio creato da Nicoletta Costa più accessibili anche in caso di dislessia: scelta editoriale apprezzabilissima perché concretizza realmente la possibilità di condividere narrazioni e immaginari al di là delle differenze imposta da un disturbo o una disabilità. Poter accedere autonomamente e più agevolmente alle avventure del coniglio più conosciuto significa, per i bambini con qualche difficoltà, potersi agganciare a pieno a un mondo che i propri pari condividono con piacere, ritrovandovi fertili occasioni di divertimento comune. La collana Le Giocastorie si contraddistingue per un formato snello e maneggevole, storie brevi ma  ben strutturate, una narrazione lineare, un rapporto bilanciato tra immagini e testo, illustrazioni inconfondibili e una scrittura piana ma mai sciatta. In  chiusura, piccoli giochi ispirati alla storia ed adesivi staccabili concorrono ad aumentare per vie traverse l’appeal del volume nei confronti dei lettori meno forti.

 

Cento passi per volare

Può un ghiro volare? Qualche leggenda sostiene di sì, anche se nessuno in effetti ci crede. Eppure un fondo di verità le leggende ce l’hanno sempre e infatti Lucio, soprannominato affettuosamente ghiro dalla zia Bea, sembra proprio trovare il modo di spiccare il volo. Tutto accade in alta quota, al rifugio Cento passi, dove Lucio e Bea si recano volentieri per camminare un po’ insieme nel silenzio della montagna. Qui Lucio trova la sua dimensione ideale: senza il frastuono della città, dove l’assenza della vista rende tutto molto confuso, i suoi sensi riescono a guidarlo con una precisione e un’affidabilità sorprendenti. Tanto che il ragazzo,  al mondo da quattordici anni e cieco da nove,  vorrebbe dimostrare di essere totalmente autonomo anche sui sentieri più ripidi, senza il bisogno di tenere salda la sciarpa di seta della zia che lo guida. Il desiderio di sentirsi e di mostrarsi come tutti gli altri, come se la disabilità non lo condizionasse affatto, emerge tanto più forte quando al rifugio Lucio incontra Chiara –  coetanea  nipote del gestore – che insieme a lui, a Bea e alla guida alpina Tiziano affronta una camminata fino al Picco del Diavolo, dove hanno nidificato due splendide aquile. Quella camminata, oltre a rendere i due ragazzi protagonisti del salvataggio di un aquilotto dal rapimento di due bracconieri senza scrupoli, spalanca le porte a un’amicizia inattesa, capace di fra conoscere e riconoscere a entrambi la parte più nascosta e controversa di sé.

Cento passi per volare è un romanzo asciutto e schietto, come le cose di montagna sanno e devono essere. E come tale serba un gusto autentico e pieno. Proprio come in una passeggiata nel bel mezzo della natura, a contatto diretto con la propria fatica, i propri pensieri e i propri limiti, il lettore si confronta e sente chiaramente il peso dei pregiudizi, del bisogno di presentarsi in una data maniera di fronte agli altri, del doversi sempre dimostrare all’altezza delle situazioni. È un peso che Lucio, con la sua disabilità, incarna a pennello ma che in realtà, come il personaggio di Chiara mostra bene, va ben oltre la questione dell’handicap per riguardare trasversalmente qualunque persona. Soprattutto se in crescita. Ecco dunque perché, oltre a dire tanto delle risorse che spesso inaspettatamente risiedono nella disabilità, Cento passi per volare dice altrettanto delle difficoltà che ciascuno incontra sul suo cammino e dell’importanza che può avere, per affrontarli, il saperli e volerli riconoscere, accettando serenamente l’aiuto che ci offre chi ci sta accanto.  “Nessuno dei due disse nulla. Lei gli prese dolcemente la mano e lo guidò attraverso lo stretto passaggio che si apriva tra l’albero caduto e il dirupo. Oltre l’ostacolo.

Giulio Coniglio e il picnic con la balena

Quando la balena Bernarda e il pinguino Pedro vanno fanno visita a Giulio Coniglio e ai suoi amici è una vera festa. L’accoglienza calorosa a base di succo di carota e frittelle è ben gradita dai due ospiti che ben si prestano a far trascorrere ai padroni di casa un intenso pomeriggio di sguazzate al fiume. C’è chi come topo Tommaso si tuffa senza timore tra le onde e chi come Giulio preferisce guardare. Ognuno è a suo modo, e va bene così. Poi scende la sera e la fatica cala, ma anche il momento di dormire può trasformarsi in una bella occasione per dimostrarsi amici affettuosi e accoglienti.

I testi di Giulio Coniglio e il picnic con la balena sono leggermente più brevi rispetto ad altri della medesima serie, il che rende il volume particolarmente adatto a un primo tentativo di approccio autonomo. Essi risultano inoltre arricchiti da brevissimi fumetti (composti da una o due parole) che dinamizzano la pagina e il racconto, offrendo tra l’altro una possibilità di divisione nei compiti di lettura (“io leggo questi, tu leggi il resto”) che può contribuire a rendere le prime esperienze autonome più graduali  e in quanto tali piacevoli.

 

La collana Le giocastorie ad alta leggibilità

Giulio Coniglio e il pic nic con la balena fa parte della collana Le Giocastorie, ora in parte pubblicata da Franco Cosimo Panini Editore ad alta leggibilità. L’utilizzo del font leggimiprima rende infatti  le avventure del noto coniglio creato da Nicoletta Costa più accessibili anche in caso di dislessia: scelta editoriale apprezzabilissima perché concretizza realmente la possibilità di condividere narrazioni e immaginari al di là delle differenze imposta da un disturbo o una disabilità. Poter accedere autonomamente e più agevolmente alle avventure del coniglio più conosciuto dai bambini significa, per chi ha qualche difficoltà, potersi agganciare a pieno a un mondo che i propri pari condividono con piacere, ritrovandovi fertili occasioni di divertimento comune. La collana Le Giocastorie si contraddistingue per un formato snello e maneggevole, storie brevi ma  ben strutturate, una narrazione lineare, un rapporto bilanciato tra immagini e testo, illustrazioni inconfondibili e una scrittura piana ma mai sciatta. In  chiusura, piccoli giochi ispirati alla storia ed adesivi staccabili concorrono ad aumentare per vie traverse l’appeal del volume nei confronti dei lettori meno forti.

Giulio Coniglio e la nave pirata

Quando un libro o una serie di grande successo vengono riproposti in una forma nuova, che consente l’accesso a un maggior numero di giovani lettori, è sempre una buona notizia. Ecco perché val proprio un festeggiamento la pubblicazione di alcune delle Giocastorie di Giulio Coniglio in una versione ad alta leggibilità che sfrutta il font leggimiprima (messo a punto e concesso all’editore da Sinnos). Scelte editoriali come questa concretizzano realmente, infatti, la possibilità di condividere narrazioni e immaginari al di là delle differenze legate, per esempio, ai Disturbi Specifici dell’apprendimento. Poter accedere autonomamente e più agevolmente alle avventure del coniglio più conosciuto dai bambini di pochi anni significa potersi agganciare a pieno a un mondo che i propri pari condividono con piacere, ritrovandovi fertili occasioni di divertimento comune. Le Giocastorie, peraltro, si prestano bene a venire incontro a lettori inesperti o in difficoltà, non solo per l’appeal straordinario dei personaggi, ma anche per la struttura lineare del racconto, il rapporto bilanciato tra immagini e testo, l’aspetto snello, tascabile e gradevole dei volumi  e la scrittura a misura di bambino ma non sciatta.

In Giulio Coniglio e la nave pirata l’istrice Ignazio propone agli amici di giocare ai pirati, procurando addirittura una barca vera con tanto di bandiera nera. Regola ferrea: divieto assoluto per le femmine di partecipare. Così Ignazio, Giulio e il topo Tommaso trascorrono un maschilissimo pomeriggio solcando le onde. Quando però la barca si incaglia, la sera scende e la mancanza di carote inizia a farsi sentire, i tre amici si scoraggiano sicché il salvataggio generosamente messo a punto dalle amiche femmine – la mucca Maddalena e l’oca Caterina – viene accolto con straordinaria felicità e festeggiato con una meritata pizza condivisa.

Piccola volpe nel bosco magico

L’affetto che può legare un bambino al suo peluche più caro può essere smisurato, tanto da spingere ad ardite ricerche in caso di smarrimento. Lo sa bene la bimba dal caschetto moro, protagonista di Piccola volpe nel bosco magico. La sua vecchia volpe di pezza è per lei importante, importantissima. Così, di fronte alla richiesta della maestra di portare a scuola una cosa preziosa da descrivere ai compagni, la bambina non ha ha dubbi: porterà lei, la sua morbida amica pelosina. Dalle foto ricordo che tira fuori per l’occasione si deduce quanto la bimba bene voglia al pupazzo e quanti momenti di intima crescita abbiano vissuto insieme. Per questo, quando la piccola volpe di peluche scompare dallo zainetto, la sua amica umana inizia a cercarla disperatamente, senza fermarsi  nemmeno di fronte al più fitto dei boschi. Sarà un viaggio lungo e avventuroso, il suo, che la porterà ad attraversare sentieri bui e radure fantastiche, popolate da numerose e curiose creature della foresta. Fino al fatidico ritrovamento che recherà con sé un’autentica sorpresa e ripagherà tutte le fatiche con una moltiplicazione degli affetti. Perché è proprio vero che la gentilezza si propaga e gratuitamente porta con sé una contagiosa forma di felicità.

La storia che  Stephanie Graegin racconta con grande tenerezza, si sviluppa agli occhi del lettore attraverso l’esclusivo uso delle immagini: non ci sono cioè parole a scandire ciò che accade, ma decisamente tra queste pagine non se ne sente il bisogno. La scelta narrativa fatta dall’autrice è infatti tutt’altro che oscura o ambigua: tutti i passaggi sono chiaramente tracciati sicché la bella storia di amicizia e incontro può risultare accessibile anche laddove ci siano delle difficoltà non solo di decodifica del testo ma anche di lettura di immagini troppo complesse. Azioni, emozioni e pensieri dei protagonisti sono resi facilmente intellegibili grazie a un tratto attento e minuzioso, a un’esplicitazione di scatti narrativi anche minimi e un’alternanza oculata di riquadri a tutta pagina e di riquadri più serrati in serie. La scelta del colore, dal canto suo, accompagna efficacemente il lettore prima nella distinzione e poi nella sovrapposizione tra mondo umano e mondo fantastico, rendendo l’incontro tra i due – se possibile – ancora più suggestivo.

L’isola dei giocattoli perduti

L’orsetto Teddy, protagonista de L’isola dei giocattoli perduti, è un peluche dalla spiccata intelligenza che vive in una casetta graziosa in compagnia del saggio elefante Umpah. Umpah si prende amorevolmente cura di Teddy perché questi si può muovere solo su un carretto spostato pazientemente da zampe di un certo spessore. La loro vita scorre pacata, tra il profumo dei deliziosi muffin che Umpah sforna quotidianamente e gli insaziabili interrogativi che si pone Teddy. Tutt’intorno, un serpente dall’appetito insaziabile, una maialina rosa un po’ sciocchina e una maialina blu molto apprensiva, un pinguino solitario e brontolone e un coniglio dal colletto regale: una ciurma tenera e buffa, insomma, che accompagna dell’orsetto avventuriero nei suoi momenti di entusiasmo come in quelli più dimessi.

Quando Teddy si chiede che cosa ci sia oltre il fiume, quando diventa triste per essere l’unico a non poter nuotare, quando arriva sull’isola l’altezzosa Regina Clara che vuol dettare regole e leggi o quando piove per giorni interi rendendo impossibile ogni escursione, sono questi amici, ciascuno alla sua strampalata maniera, a rendere vitale l’isola insieme al protagonista. In questo senso L’isola dei Giocattoli perduti è un libro che, senza un fare troppo invadente, racconta il bello dell’amicizia nella diversità, il succo di relazioni che crescono non malgrado ma proprio in virtù della varietà di indoli, abilità e caratteri: relazioni in cui anche una limitazione motoria come quella di Teddy non preclude una straordinaria curiosità e capacità di porsi domande che allrgano lo sguardo e soprattutto la possibilità di condividerle e renderle contagiose nei confronti dei propri cari.

L’isola dei giocattoli perduti è un libro dal ritmo lento, pensoso: il ritmo forse che meglio si addice a una vita pacifica su di un’isola sperduta. Le piccole avventure che  coinvolgono i protagonisti vivono più di immaginazione che di colpi di scena e tengono salda la mano del lettore, come d’altronde si chiede a un fedele giocattolo di fare. Raffinate e dal coerente tono malinconico, le illustrazioni in bianco e nero di Fabio Sardo che accompagnano il testo di Cynthia Voigt conducono il lettore in un mondo fantastico, che profuma di esplorazioni nel bosco e muffin al lampone.

Con le ali di Aurora

Nella vita di Lorenzo qualcosa sta cambiando: il papà si è trasferito per lavoro in Australia, la mamma non è più solare come in passato e nella sua classe, da qualche tempo, tutto sembra più caotico e complicato. Una volta era diverso: la vita in famiglia nella tranquilla Pesaro era piacevole, la mamma Lola inventava storie buffe senza diventar matta per trovare un editore e il suo amico Maurizio stava bene con lui, sia a casa sia a scuola. Ma ora non più. E così Lorenzo si dedica in solitaria a passioni come il basket e prova a ritrovare una sintonia con chi gli sta accanto, alla disperata di ricerca di un equilibrio con sé stesso e con il mondo intorno. In questo delicato passaggio è l’arrivo in classe di una nuova bambina, Aurora, a fare la differenza. Affetta da sindrome di Down, Aurora ha modi e tempi tutti suoi, necessita di un insegnante di sostegno e crea non poco scompiglio in classe mettendo a dura prova la pazienza delle maestre e le dinamiche rodate del gruppo. Proprio questo suo modo insolito di stare al mondo porta però Lorenzo a una riflessione importante su cosa sia la normalità e a un’idea vincente che metterà insieme la passione di Aurora per il disegno e l’abilità di Lola nel narrare storie.

Con le ali di Aurora è un libro con un ritmo pacato che parte piano piano e accelera sul finale dopo essersi preso il tempo di far conoscere i suoi protagonisti al lettore. Le situazioni di vita scolastica che dipinge sono impastate di realtà e danno conto del ruolo determinante giocato, per una buona soluzione inclusiva, dalla personalità, dall’inventiva e dalla buona volontà delle singole maestre . Nel comportamento di Maurizio e di Aurora, ma anche dei loro compagni, c’è tutto lo scarto tra le etichette di cui sono infarcite le direttive e la pratica con cui gli insegnanti si trovano quotidianamente  ad avere a che fare, ci sono le soddisfazioni enormi di chi abbraccia la missione  educativa ma anche le sue difficoltà non trascurabili, c’è la necessità ben espressa di trovare spazi di conforto per ciascuno e possibilità di valorizzazione che travalichino i limiti imposti dall’handicap. Nel libro potranno trovare tracce di sé, quindi, sia gli adulti che i bambini, il che rende Con le ali di Aurora particolarmente adatto a una lettura in classe che stimoli il confronto e la condivisione di esperienze.

Eppure sentire

Silvia va per i quindici anni, frequenta il liceo classico, gioca a pallavolo e ha recentemente avuto un incidente sulla corriera che la portava a scuola: un grosso schianto con un tir proprio in corrispondenza del suo sedile e una ferita importante in testa. Ma soprattutto un aumento del danno all’udito con cui la ragazza combatte fin dalla nascita a suon di protesi – due giraffe a macchie che sono ormai parte di lei – e di instancabili esercizi di ascolto e lettura del labiale condotti insieme all’amorevolissima mamma. Insomma, l’incidente non ci voleva proprio, soprattutto perché concorre a rendere inderogabile la decisione che Silvia rimanda da tempo: sottoporsi o meno all’intervento per l’impianto cocleare.

Accanto e intorno a questa decisione ruotano eventi, incontri, pensieri in un turbinio che solo l’adolescenza è in grado di tenere insieme: le amicizie che nascono e che muoiono, l’amore che sboccia, le attività di volontariato, le feste, le prime responsabilità, il senso di esclusione, il desiderio di mascherare la propria diversità, i sentimenti complessi nei confronti dei propri familiari. Il tutto con l’inscalfibile consapevolezza che la sordità resta un marchio a cui è difficile sottrarsi, un fardello che condiziona ogni azione e rappresentazione di sé nel presente e nel futuro. Lo dice chiaramente, Silvia:

Se hai già fallito una volta, nascendo sorda, non puoi fallire più. Anzi, come minimo, per recuperare non devi essere solo normale, devi essere eccezionale, sorprendente, sorprendere tutti, che progressi la bambina, chi l’avrebbe mai detto, , chi si aspettava questi risultati, meglio del previsto…”

Forte anche di un personaggio ispirato a una persona reale e davvero ben delineato,  Eppure sentire appare un romanzo forte, coinvolgente e vero, che tocca corde profonde e commuove fino alle lacrime. È un romanzo che parla chiaro alle orecchie dei ragazzi, anche a quelle di chi non sente bene o non sente affatto, scoprendo al contempo tutta la normalità e tutta l’unicità di un’adolescenza segnata da una disabilità invisibile come la sordità. Ma è anche una celebrazione degli spazi di possibilità che ciascuno ha il diritto e il dovere di ritagliarsi, qualunque sia la sua forma di diversità rispetto agli altri.

Madelief. Lanciare le bambole

Ci sono tre ragazzini irresistibili – Madelief, Roos e Jan-Willem – e c’è un autore pluripremiato –Guus Kuijer – che ne immagina e racconta con grande ironia le piccole grandi avventure. Nasce così il primo volume di una serie gustosissima e divertente, capace di immortalare quel delicatissimo passaggio esistenziale che porta dall’infanzia a ciò che la segue, offrendo al lettore in crescita un piacevole ritratto in cui ritrovarsi.  Tra le pagine di Madelief. Lanciare le bambole i protagonisti vengono colti nel loro inventare giochi e coltivare hobby, affrontare sentimenti contrastanti, avere a che fare con adulti talvolta complici talvolta incomprensibili. E così i tre, di capitolo in capitolo, persuadono il lettore a seguirli mentre salvano un piccione, sfidano dei bulli, scampano vestiti imbarazzanti o si stuzzicano con innocui scherzi.

Che siano bambini degli anni settanta (le avventure di Madelief sono state pubblicate per la prima volta in Olanda nel 1975) lo si può evincere da alcuni dettagli (come la passione smodata per i cowboy, l’uso di una macchina da scrivere per redigere un giornale o l’incontro con un venditore di fiori porta a porta) ma son dettagli per davvero, a cui quasi non si bada, perché qui a colpire davvero il lettore è la freschezza del racconto e quello spirito irriverente tipico dell’infanzia che l’autore coglie con grande naturalezza. Con un sonoro ciao ciao agli stereotipi e ai buoni sentimenti (ah, come erano avanti nel nord Europa già quarant’anni fa!), il libro di Guus Kuijer conquista per la sua candida schiettezza che non teme di dare a una protagonista travolgente come Madelief una personalità complessa, fatta anche di difetti.

Non lasciatevi scappare questo libro e tenete d’occhio il suo seguito (altri quattro volumi fanno parte della serie ma non sono ancora pubblicati in Italia). Oltre a proporre personaggi davvero sinceri e fuori dal comune, Madelief offre una possibilità (rara!) di lettura realmente accessibile anche in caso di difficoltà legate alla dislessia o a una scarsa propensione a un’immersione tra le pagine. Non solo il libro presenta caratteristiche di alta leggibilità – grazie al font Easyreading,  la spaziatura maggiore tra righe e parole, la sbandieratura a destra, la sillabazione evitata e la separazione netta tra i paragrafi – ma si compone anche di capitoli molto brevi e perlopiù autonomi che consentono una flessibilità di lettura felicemente modulabile in base alle esigenze del lettore. Ogni capitolo corrisponde cioè a una micro-avventura, godibile in sé oltre che nella cornice generale. E questo aspetto, tra gli altri, non è da sottovalutare perché oltre a stuzzicare anche i lettori meno scafati, sotto sotto dice anche dell’impegno dalla casa editrice Camelozampa a non fare dell’alta leggibilità solo un’etichetta vuota ma una scelta frutto di un pensiero accorto.

Bombo all’avventura

Il protagonista di Bombo all’avventura è un bombo curioso e amichevole che si avvicina con fare pacifico a tutte le creature che incontra sul suo cammino, siano esse umani o animali.

Nella prima storia che compone il volume (Bombo e il gigante), l’insetto vola verso l’alto, attratto dagli indumenti sgargianti, dalle lunghe gambe e dai due occhi grandi della bimba in cui si imbatte. Il loro è un avvicinamento silenzioso e timoroso, che lascia però presagire possibilità future di incontro sereno.

Nella seconda storia (Grazie bombo!), invece, il bombo è portato a dirigersi verso il basso e più nello specifico verso la tana di una puzzola di cui scova casualmente l’accesso.  Qui farà la conoscenza non solo della proprietaria di casa ma anche della tartaruga e dello scoiattolo suoi amici. I tre condividono il cruccio per gli sgarbi arrecati dalla vicina vipera ma Bombo, con sguardo lucido e fervida inventiva, saprà risolvere il loro problema con un piano  a base di more smemorine: un successo che casca a fagiolo per trovare nel bosco nuovi amici con cui giocare!

Unite non solo dalla presenza del medesimo personaggio, le due storie di Bombo all’avventura si contraddistinguono per lo stile affabile di Elisa Mazzoli che costruisce il suo racconto – più semplice o complesso che sia – dosando con perizia le ripetizioni, una sensibilità vicina all’infanzia e diverse velocità narrative. Quest’ aspetto, unito alla simpatia delle immagini firmate da Febe Sillani, rendono il volume particolarmente amichevole e apptibile anche in caso di difficoltà di lettura.

 

LA COLLANA TANDEM

Bombo all’avventura  fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Amici di spiaggia

Chi torna ogni anno in vacanza nello stesso posto sa quanto è bello ritrovarsi con gli amici della spiaggia. A maggior ragione se questi sono algosauri! Come dite? Gli algosauri non esistono?  Provate a dirlo ad Aldo, che con uno di loro ha fatto conoscenza e gioca in riva al mare!

Aldo è un bambino solare e tranquillo che tra i lettini del bagnino Delfino, i gelati del chiosco e il faro di guardia è quasi di casa. Come si racconta nella prima storia di Amici da spiaggia (Pisolino e il polipo agitato), Aldo ama farsi delle pennichella a bordo del pedalò, cullato dalle onde e accarezzato dal sole estivo. Sono momenti tanto rilassanti che sogna una terra selvaggia in cui un polipo agitato e un pacifico marinaio si incontrano e fanno amicizia. Che sia la stessa terra selvaggia da cui proviene Samantina, l’algosaura che compare nella seconda storia del volume (Il salvagente di Aldo)? Amichevole e allegra, questa arriva un giorno proprio sulla spiaggia in cui si reca il bambino e con lui si diverte a giocare. Sembrerebbe il frutto di un altro fervido sogno e invece, più reale che mai, Samatina torna il giorno seguente accompagnata dai genitori. Deve restituire il salvagente ad Aldo e promettergli che tornerà a trovarlo ancora molte volte… parola di dinosauro!

 

LA COLLANA TANDEM

Amici di spiaggia  fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Che cosè il Magicoso?

Proposto dalla cooperativa Puntidivista, Che cos’è il magicoso? è un libro multicodice – con testo in nero e in Braille, arricchito da alcune illustrazioni tattili – che fa parte della collana Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa. Nata per rispondere al più ampio ventaglio di esigenze di lettura, secondo un progetto ambizioso e ammirevole, quest’ultima propone diverse versioni di ogni volume così da renderlo fruibile in caso di differenti disabilità. Ecco dunque che  il libro in questione trova posto nel catalogo della casa editrice rietina anche in versione tradizionale e in versione simbolizzata.

In tutte, protagonisti sono Lampadino e Caramella, due bambini curiosi, e il loro cane Zampacorta, alle prese con la ricerca di un misterioso oggetto smarrito dal ricco Michele nel Bosco verde. Che cosa sia questo oggetto misterioso, denominato Magicoso, non è dato saperlo fino alla fine, quando niente meno che una lente di ingrandimento salterà fuori dal ruscello.

Contraddistinto da una storia piana, un testo poco ostico e alcune illustrazioni realizzate a collage materico, Che cos’è il magicoso?,  nasce per risultare accessibile anche in caso di disabilità visiva. Il libro, stampato su carta piuttosto sottile e rilegato a spirale, presenta pagine di testo piuttosto fitte con il Braille sovrapposto al nero. Le illustrazioni – in numero inferiore rispetto alle pagine di testo perché dedicate soltanto alla presentazione dei protagonisti della storia – non si trovano mai affiancate a quest’ultimo, rendendo la corrispondenza tra descrizione verbale ed esplorazione tattile meno immediata. Le illustrazioni sono tuttavia poco complesse e perciò comunque decodificabili in differita rispetto alla lettura del testo. Che cosa sia lo stesso magicoso, oggetto cardine del racconto, non viene mai esplicitato ma reso piuttosto efficacemente a livello tattile, lasciando all’esplorazione del bambino la soluzione del mistero.

Un giorno speciale

La gentilezza genera gentilezza: è un dato di fatto! Parola di Martino, che un giorno mette un bigliettino speciale nella tasca di suo papà e che alla sera, in virtù  di una catena di gesti garbati nati proprio da quel pensiero carino, si ritrova a festeggiare l’onomastico della mamma con una deliziosa torta al cioccolato. Già, perché se il papà di Martino, di ottimo umore, recupera il gatto della signora Jole sull’albero del giardino, la signora Jole decide di cucinare le sue imbattibili tagliatelle e portarne un piatto al signor Pino, che troverà lo slancio per ultimare la riparazione della sedia a dondolo della signora Adele, che cercherà una pianta per la mamma di Martino che chiuderà il cerchio con la preparazione della torta con cui tutti potranno festeggiare.

Con una storia breve e leggera ma capace di mostrare molto bene come sia semplice ed efficace innescare il circuito della gentilezza, Francesca Mascheroni offre ai lettori che hanno da non molto imparato a leggere in autonomia un racconto piacevole e snello. La scelta della casa editrice Piemme di pubblicarlo ad alta leggibilità – con font specifico, spaziatura maggiore, paragrafi distanziati, allineamento a sinistra e illustrazioni frequenti – contribuisce ad allargarne la fruibilità anche a quei bambini che faticano di più con il testo, a causa di difficoltà legate alla dislessia.

Il mistero del Guggenheim

De Il mistero del Guggenheim, all’inizio, c’era solo il titolo. Lo aveva indicato Siobhan Dowd firmando il contratto con la casa editrice inglese prima di morire purtroppo prematuramente. E così, dopo il successo de Il mistero del London Eye,  la casa editrice inglese ha individuato una scrittrice di talento – Robin Stevens – e le ha chiesto di inventare e stendere il romanzo mai scritto dall’autrice scomparsa. Obiettivo: mettere in piedi una storia avvincente e credibile ma anche coerente con   il titolo e con la solidissima cornice narrativa della prima indagine, di cui Il mistero del Guggenheim costituisce un ideale seguito.

Obiettivo tutt’altro che semplice e che ciononostante Robin Stevens  ha abbracciato con entusiasmo. Ecco dunque che grazie a lei il formidabile Ted, ragazzo con sindrome di Asperger che vede il mondo a modo suo, sua sorella Kat, adolescente determinata e appassionata di moda e il loro cugino Salim, ormai ambientatosi nella Grande Mela dove si è trasferito con la mamma Gloria, tornano sulla scena  per risolvere un nuovo giallo. Durante una vacanza  che Ted, Kat e la loro mamma fanno a New York, si verifica infatti il furto di un prezioso quadro di Kandinskij all’interno del Guggenheim museum che Gloria dirige.  Il fattaccio accade proprio mentre i protagonisti sono in visita al museo e siccome proprio la zia Gloria viene incriminata, i ragazzi iniziano a indagare per scoprire il vero colpevole. Ma la missione è tutt’altro che semplice:  ci sono di mezzo rapporti personali e lavorativi complicati, bugie inerenti al furto e bugie da esso slegate, un piano ingegnoso per incastrare una vittima innocente, e loro tre, in fondo sono solo ragazzini. Ma hanno dalla loro, oltre a una motivazione molto forte dettata da ragioni familiari, anche una somma di abilità molto diverse e complementari tra loro, indispensabili per ricomporre tutti i pezzo del rompicapo. Tra queste spicca senz’altro l’acume fuori dagli schemi di Ted, capace ancora una volta di dare una svolta alle indagini e portare un lieto fine non solo rispetto all’arresto di Gloria.

Per chi come noi ha amato fortemente la prima storia di Ted, quel suo modo brillante e originale di mettere insieme sparuti indizi per ritrovare il cugino Salim e quel suo approccio alla quotidianità che dava voce e risonanza a un modo di essere dignitosamente diverso, le aspettative rivolte a Il mistero del Guggenheim erano altissime. Ma Siobhan Dowd è Siobhan Dowd ed eguagliarla dovendo al contempo rispettare una serie di caratteristiche narrative a lei proprie era cosa davvero ardua. Non si resta quindi sconcertati se il Il mistero del Guggenheim appare un po’ meno forte e incisivo del precedente episodio, per via di una trama forse un po’ meno  travolgente e soprattutto di un protagonista meno tratteggiato nella sua neurodiversità che era poi il potente motore narrativo de Il mistero del London Eye. Al di là dell’inevitabile confronto con il libro da cui tutto è partito, il romanzo di Robin Stevens appare godibilissimo sia per il lettore meno legato al mondo di Ted sia per quello ad esso più affezionato, entrambi catapultati in una dinamicissima New York dove tutto può davvero succedere.

Lo sguardo fragile

Mattia è un bambino particolare. Alcuni suoi comportamenti – come l’insofferenza verso i rumori forti o il contatto fisico, lo sfarfallio delle mani in caso di agitazione o la fatica a gestire un flusso eccessivo di emozioni e pensieri – lo rendono strano agli occhi di chi, come il compagno Andy, non si soffermi a coglierne le ragioni profonde ma si limiti a giudicarli con sufficienza perché distanti dal proprio modo di essere. Chi invece fa lo sforzo di capire cosa si nasconda dietro quei comportamenti, riesce a vedere anche il retro della medaglia e a cogliere così la fortissima sensibilità di Mattia. Quella sensibilità, per esempio, che gli fa dire alla maestra “Mi fa male la tua testa”, con un’espressione che rende in modo straordinario il grado di empatia di cui è capace.  Nel caso di Mattia e non solo, tutto dipende, insomma, da come si guardano le cose e le persone. Lo spiega bene il vigile Luigi, chiamato affettuosamente Gigile dai bambini e protagonista di un brutto incidente proprio fuori dalla scuola, quando illustra alla classe di Mattia il potere del gesto di una mano, capace di fermare un’intera colonna di macchine per far attraversare dei pedoni. Lo sguardo fragile parte proprio da lì e dall’idea che la forza non coincida con la prepotenza, per offrire un ritratto accessibile e godibile di una sindrome poco nota come quella da cui è colpito Mattia.

Coerente con i precedenti volumi della collana Uniti per crescereIl puzzle di Matteo e Il deserto fiorito, editi da Kite – Lo sguardo fragile vede coinvolti come autori Luigi Dal Cin e Chiara Carrer e presenta una cornice narrativa che funge da pretesto per introdurre e dettagliare, con un linguaggio a misura di bambino, le caratteristiche principali della sindrome trattata. Così anche qui, l’incontro della maestra e dei bambini con il vigile Luigi diventa l’occasione per mettere in luce i sintomi più significativi della sindrome del cromosoma X fragile: quelli che anche un bambino – un amico, un compagno di classe, un fratello – potrebbe facilmente riconoscere anche nella realtà  e che sono perlopiù riportati da una bambina, Anna. E non è certo casuale questa scelta: tutto il libro infatti ruota intorno all’idea che la forza stia nello sguardo e che a fare la differenza sia il punto di vista con cui ciascuno di noi decide di guardare e di vedere le cose. E così come l’autore Luigi Dal Cin sottolinea questo aspetto cruciale attribuendo con cura le parti espositive ai diversi  personaggi e costruendo una metafora narrativa molto potente, anche l’illustratrice Chiara Carrer vi contribuisce dando vita a illustrazioni che richiamano profondamente – nel tratto e nelle tinte – lo spirito dell’infanzia e dando forma alla confusione emotiva e di pensiero che popola talvolta la mente dei bambini come Mattia.

La presenza di schede operative per gli operatori e di alcuni passaggi un po’ meno diretti (per esempio quello in cui si legge “Se invece non facciamo lo sforzo di prendere il suo punto di vista, uno sforzo di immedesimazione, il nostro sguardo – sempre centrato su noi stessi – coglierà solo quei comportamenti che giudicheremo “strani”, ma non avremo capito nulla di Mattia”) lasciano intendere che il destinatario adulto sia ben presente, accanto a quello bambino, nella mente degli autori, dell’editore e dell’associazione che ha promosso l’intero progetto editoriale Uniti per Crescere. Ma questo non è un male, semplicemente ci dice quanto un libro che mescola divulgazione scientifica e narrazione possa essere utile anche ai grandi e come possa farsi strumento prezioso per dire quel che pare  a volte troppo difficile: perché poter e riuscire a dire la disabilità è un passo tanto complesso quanto fondamentale per poter far sì che una corretta cultura dell’inclusione possa farsi strada.

Serpenti finti e strani maghi

Eccoci in un batter d’occhio alla quarta avventura della serie Vi presento Hank e a questo punto lo spumeggiante personaggio creato da Henry Winkler e Lin Oliver può dirsi familiare non solo ai lettori della serie maggiore (Hank Zipzer il superdisastro, giunta ormai all’ottavo episodio) ma anche ai loro fratellini più piccoli che hanno da meno tempo imparato a padroneggiare la lettura. Dopo Un segnalibro in cerca di autore, Breve storia un lungo cane e Fermate quella rana!, anche i sette-ottenni appassionati di avventure divertenti potranno ormai dirsi esperti del travolgente mondo di Hank.

Cacciatosi come al solito in un guaio, il ragazzino più creativo di New York si trova questa volta a dover imparare in pochi giorni un complicatissimo numero di magia. Intenerito dal sogno della sorella Emily di avere dei serpenti alla sua festa di compleanno, Hank le promette infatti la partecipazione del famoso Mago di Manhattan che potrà esaudire con i suoi poteri il suo bizzarro desiderio. Peccato che il Mago di Manhattan non esista e che Hank debba  trovare il modo di non farlo scoprire alla sorella.

Meno incentrato dei precedenti episodi sulle difficoltà scolastiche di Hank legate alla sua forte dislessia,  Serpenti finti e strani maghi  non manca di dare spazio e rilievo alla straordinaria inventiva del protagonista, qui insolitamente colto nel suo lato tenero di fratellone. Stampata come sempre ad alta leggibilità – con carattere che aiuta a confondere meno le lettere, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, carta color crema e grandi disegni – quest’ultima avventura è godibile e leggera: un buon incentivo alla lettura anche per chi fatica un po’ di più a far suo un testo.

One

Grace e Tippi portano i nomi di due muse del cinema hitchcockiano, il che – come loro stesse notano – ha un che di ironico se si considera il lato innegabilmente inquietante del loro aspetto. Gemelle siamesi, le due ragazze condividono il corpo dall’intestino in giù, sfidando ogni santo giorno la curiosità morbosa e la maleducazione malcelata della gente,  che si scatenano di fronte a una diversità tanto marcata. Abituate  a una quotidianità  che richiede sincronia e sostegno reciproco, Grace e Tippi si trovano dall’oggi al domani a dover rinunciare alle lezioni private e frequentare una scuola vera e propria. Servirà loro una dosa massiccia di pazienza e di coraggio per far fronte agli sguardi stupiti, alle domande sfacciate e ai gesti scortesi che frotte di coetanei riverseranno loro addosso. Ma Grace e Tippi sono ben allenate a far fronte a tutto questo, al punto che quando dalla massa di studenti emergono Jon e Yasmeen, due amici disposti ad accogliere le due ragazze per come sono, senza troppe domande o condizioni, queste non possono credere ai loro occhi. Sarà invece un’amicizia stramba e schietta quella che legherà i quattro ragazzi, anche e soprattutto quando le cose si metteranno male, quanto a quattrini e salute.

È in particolare la voce di Grace, la più timida e fragile delle due gemelle, a portare il lettore dentro questo momento di svolta, mettendolo a parte del contemporaneo incontro con Jon e Yasmeen, dell’affetto smisurato per la sorellina Drago, del rapporto con un padre caduto nella trappola dell’alcolismo e con una madre travolta dal lavoro, dell’improvvisa necessità di valutare l’ipotesi di un’operazione separante e di un contratto televisivo per racimolare denaro. Attraverso la sua voce si delinea il versante emotivo di una vita a due gambe e quattro braccia, nella quale l’intimità e la dipendenza dall’altro diventano parte integrante di sé, nonostante i limiti che impone. Il racconto di due che sono uno e di uno che è due, in una dualità dinamica e sfuggente, procede come una poesia: forma che ne accentua il carattere intenso e coinvolgente.

Malgrado la vicenda scorra veloce e il tratteggio dei personaggi non risulti molto approfondito, One appare come un libro forte e di stacco, un libro che smuove qualcosa dentro il lettore costringendolo a chiedersi quanto potrebbe somigliare alle persone che circondano le protagoniste, con il loro carico di pregiudizi e crudeltà più o meno consapevoli, e a interrogarsi sulla sua reale capacità di comprendere e accettare una concezione della vita e dell’ identità probabilmente distante dalla propria.

Betta suona qui!

Elisabetta detta Betta ha sei anni e ha rispettivamente: una finta amica del cuore imposta dai genitori, che si chiama Celeste e che lei detesta, e una vera amica del cuore, conosciuta alla nuova scuola elementare, che si chiama Elisabetta detta Betti. Betta ha anche un fratellino più piccolo, che ha quattro anni e si chiama Marcello detto Momo. Momo ha delle abitudini e dei comportamenti bizzarri – odia quando i cibi di colori diversi si toccano, per esempio, o corre facendo l’aeroplano per calmarsi – e forse anche per questo Betta è molto premurosa nei suoi confronti e detesta le prese in giro che invece Celeste gli rivolge. Così, quando arriva il momento della prima lezione di musica a cui Betta contava di prendere parte insieme a Betti ma che per colpa delle mamme vede partecipare anche Celeste, tutto sembra votato al peggio. E invece succede qualcosa di inatteso: con il suo modo insolito di fare le cose e di distaccarsi da tutto quando la situazione si fa troppo caotica, Momo finisce per mostrare un suo sopito talento che con leggerezza trasforma la tensione in condivisione.

La scrittura di Gigliola Alvisi è pulita e leggera, sa di buono e non di buonista. È una scrittura che sa dire che l’amicizia può avere tante sfumature, che i sentimenti dei bambini possono essere tutt’altro che a tinte pastello e che la diversità può rivelare sorprese inaspettate. L’avevamo scoperto in Piccolissimo me, grazie soprattutto al personaggio di Michelangelo e lo ritroviamo qui, grazie soprattutto al tenero personaggio di Momo. Che Momo possa mostrare dei tratti autistici lo intuiamo noi e lo  possono cogliere forse anche i giovani lettori che abbiano un ‘esperienza diretta in tal senso, ma non è ciò che davvero conta e ciò che probabilmente sta a cuore all’autrice. Quel che, in effetti, ha davvero peso in Betta suona qui! sono i sentimenti positivi e negativi che la diversità accende e la straordinarietà dei piccoli eventi che possono tramutare i secondi nei primi. Su questo aspetto in particolare tiene alta l’attenzione questo volumetto smilzo ma vivo, che si presta bene sia ad una lettura autonoma sia a una lettura ad alta voce.

Un’ultima notazione: le storie che raccontano in maniera concreta e abbordabile la disabilità sono spesso racchiuse in albi illustrati e romanzi. Molto meno frequenti invece i racconti brevi e a misura di lettori alle prime armi. Anche per questa ragione Betta suona qui! – che presenta un numero contenuto di pagine, un  testo in stampatello maiuscolo  schietto e familiare e illustrazioni colorate e frequenti – va a collocarsi in uno spazio perlopiù lacunoso e merita quindi un’attenzione supplementare.

La lega degli Autodafè – Mia sorella è una guerriera artistica

Veste nuova, stessa tensione narrativa: il secondo capitolo della saga de La Lega degli autodafé scritta da Marine Carteron e pubblicata in Italia da Uovonero esce con una copertina dallo stile molto più accattivante e aderente allo spirito del romanzo che conferma dal canto suo  la capacità dell’autrice di  catturare il lettore e renderlo profondamente partecipe delle avventure dei protagonisti.

Questi – il giovane Gus e sua sorella Césarine in particolare – proseguono la pericolosissima missione iniziata nel primo episodio (Mio fratello è un custode) che li vede intenti a contrastare l’azione della Lega degli Autodafé per preservare la conoscenza e il sapere contenuto nei libri. A complicare il loro compito concorrono non solo i gravi lutti famigliari subiti nelle pagine precedenti ma anche la situazione di coma in cui versa la mamma, il braccialetto elettronico che Gus è obbligato a portare e che ne limita la libertà di azione e la spietatezza degli avversari, guidati dalla famiglia Montagues. È proprio presso la dimora di quest’ultima che i ragazzi scoprono, con l’aiuto del piccolo Bart ribellatosi al piano diabolico dei suoi congiunti, uno scanner speciale che fa tutt’altro che copiare le pagine dei libri. A quel punto diventa fondamentale per loro carpirne i segreti e impedirne l’utilizzo, prima che la Lega possa impiegarlo per portare a termine il suo folle disegno distruttivo. Al contempo però c’è una fuga da imbastire, una mamma da liberare, delle arti marziali da imparare e un tesoro da mettere in salvo. Facile immaginare come in una tale situazione l’impulsività ribelle e coraggiosa di un adolescente come Gus possa costituire un’arma a doppio taglio che per un soffio può passare dal rivelarsi risolutiva al causare grossi guai. E se è vero che l’impegno appassionato e talvolta dissennato di Bart, Gus e Néné, unito alla lucida metodicità di Césarine e all’esperienza di Marc de Virgy, permette un temporaneo ripiegamento della Confraternita ai Caraibi, è altrettanto vero che si tratta di un passaggio intermedio e che per arrivare a una vera conclusione della lotta con gli Autodafé occorrerà attendere il volume Siamo tutti dei propagatori.

In attesa di questo terzo e ultimo episodio della saga, Mia sorella è una guerriera artistica prosegue il dipanamento dell’intricata matassa narrativa che vede da secoli invischiati la Lega e la Confraternita e aiuta a mettere a fuoco relazioni e caratteri, arrotondando e restituendo maggiore pienezza psicologia ai protagonisti. Ne emergono dettagli inattesi sul passato di personaggi solo apparentemente marginali come la nonna materna di Gus e Césarine, battaglie emotive in cui è facile per un adolescente rispecchiarsi, come quelle che travolgono il giovane Gus e percorsi di crescita e consapevolezza, anche dei propri sentimenti, come quelli che riguardano Césarine. Sempre dipinta in quel suo modo particolare di guardare il mondo, di essere estremamente pragmatica e logica ma al contempo di provare emozioni a cui forse è soprattutto difficile dare un nome, la piccola di casa non smette di far sorridere il lettore e di offrirgli spunti interessanti di riflessione, quando dà irresistibilmente voce al racconto della storia.

La mia amica ape

In mezzo a una città, tutta cemento e grattacieli, abita una bambina. Dalla sua stanza, dove si sta godendo una lettura tranquilla, entra un giorno un’ape. La bambina tutto subito fugge ma poi, nel controllare prudentemente che fine abbia fatto l’insetto, si accorge del suo atteggiamento pacifico e decide di farsi coraggio. Pochi gesti di cura nei suoi confronti – un po’ d’acqua e zucchero e un’asciugatina – sanciscono l’inizio di un’amicizia straordinaria che cresce via via in intensità almeno quanto l’ape cresce via via in dimensione agli occhi della bimba. Insieme le due non soltanto giocano, chiacchierano, ballano o fanno merenda in un susseguirsi di momenti di grande serenità ma partono anche per un viaggio importante al di là dei palazzoni, dove fiori e piante variegati abbracciano la vista, per riportare in città qualche seme di accoglienza per il piccolo e prezioso popolo delle api. Sarà un modo speciale e insieme esemplare di consolidare e celebrare un rapporto delicatissimo tra regno umano e animale, a cui anche i piccoli lettori possono ispirarsi.

L’attenzione che l’autrice Alison Jay dedica ai dettagli è davvero ammirevole: non solo essi animano ogni quadro restituendo concretamente l’immagine di una città in fermento, ma disseminano minuscoli ma preziosi indizi interpretativi che aiutano a decifrare al meglio ciò che accade nella storia. Tra di essi il lettore può dunque svagarsi – curiosando per esempio tra le occupazioni dei diversi inquilini del palazzo o le attività che fervono per strada in ogni stagione – ma anche orientarsi – cogliendo per esempio l’amore della protagonista per la natura, evidente nell’abito, nel gingillo e nelle lettura, o trovando nell’espressione infelice dell’ape di fronte alla distesa di cemento il motore dell’incredibile viaggio che farà con la bambina.

Tutto questo assume tanto più valore se si considera che La mia amica ape appartiene alla categoria dei silent book e procede perciò attraverso il solo uso delle immagini. Delicate e accurate, felicemente giocate suo toni pastello, queste richiedono grande e ben ripagata attenzione per cogliere i piccoli scatti narrativi che collegano ogni riquadro al seguente, rendendo il volume particolarmente fruibile a chi già si muova agevolmente nel mezzo della complessità iconica.

 

Marghe e Calò

Marghe e Calò sono una margherita e un calabrone, protagonisti del racconto per occhi e dita che porta i loro nomi e che parla di amicizia, di distanze e di tenacia. Bella e vezzosa lei, allegro e perseverante lui, i due personaggi si incontrano a Roma tra i banchi del mercato. Da un piccolo qui pro quo nasce tra loro un legame fatto di attenzioni rifiutate e di ricerca di contatto: un legame tanto speciale da spingere Calò a cercare la sua amica anche quando questa verrà acquistata e cambierà quindi dimora.

Marghe e Calò nasce in casa Puntidivista come libro tradizionale e diventa poi, a cura della medesima cooperativa, anche un libro fruibile in caso di disabilità visiva. Le illustrazioni tattili che lo caratterizzano sono ben realizzate, con una selezione di materiali accurata (penso soprattutto alle ali del giovane calabrone fatte di retina sottile) e con una particolare attenzione alle forme. Semplici e ben riconoscibili queste invitano a un’esplorazione tattile che possa dare soddisfazione ai bambini non vedenti mentre i dettagli visuali che arricchiscono e animano ulteriormente la pagina, la rendono più completa agli occhi dei bambini vedenti. L’idea, dunque, è che il libro possa andare realmente incontro a esigenze di lettura diverse.

Il libro presenta pagine non troppo rigide e testi in Braille apposti su cartoncino. L’aspetto complessivo che ne deriva è forse meno resistente e armonico di altri volumi tattili ma concorre d’altra parte a mantenere contenuto il prezzo del volume: aspetto per nulla trascurabile quando si parla di accessibilità della lettura.

Pino ha perso le parole

Pino è uno gnomo solitario e timido che ama canticchiare passeggiando tra gli alberi e riconoscere i versi degli animali stendendosi ad occhi chiusi. Chi direbbe mai che proprio lui possa salvare il bosco dall’arrivo di un terrificante orso? Eppure lo gnomo, costretto da questa circostanza eccezionale, scoprirà di avere parole da dire a voce alta o da sussurrare, senza tenerle solo per sé.

Adattissimo per una lettura condivisa e ad alta voce – dato il ritmo narrativo e la componente onomatopeica – Pino ha perso le parole si presta altresì molto bene a una lettura individuale da parte di lettori alle prime armi anche con difficoltà legate alla dislessia. I piacevoli paesaggi ricchi di dettagli, i personaggi dai tratti buffi, il testo semplice ma non banale e la piccola storia di coraggio concorrono a rendere amichevole l’aspetto del libro: qualità che trova ulteriore e apprezzabile espressione nella scelta del font ad alta leggibilità e in stampatello maiuscolo leggimiprima.

Con questo libro, firmato nel testo e nelle illustrazioni da un’autrice italiana, Sinnos conferma il suo impegno non solo nell’offrire volumi fruibili in caso di disturbi specifici dell’apprendimento ma  anche nel combattere l’idea che questi ultimi debbano necessariamente costringere a proposte semplicistiche o riduttive. Pur dando vita a una storia a misura di bambino, il libro di Gloria Francella non sacrifica infatti il gusto per un testo musicale e per una scelta lessicale che stimola e invita alla scoperta. E questo – tutt’altro che scontato – non può che fare del gran bene ai lettori e all’editoria per ragazzi tutta.

Pinocchio – audiolibro Locomoctavia

Gli audiolibri sono prodotti straordinari e al contempo rischiosi: essi aprono le porte della lettura a chi non può fare affidamento sugli occhi ma non possono contare sul supporto prezioso delle illustrazioni e di pagine in cui la lettura fisicamente avanza. Con loro quindi la lettura può galoppare ma anche bruscamente frenare: questione di abitudine, di gusti ma soprattutto di qualità. Quando un libro diventa “solo” una voce da ascoltare è infatti forte il rischio che al prodotto venga dedicata un’attenzione superficiale e il risultato finale arranchi. Ma se quella voce è invece ben scelta, calibrata, esperta, capace di assecondare le giuste pause e far vibrare molteplici personaggi, ecco allora l’audiolibro galoppa eccome e alla mancanza di immagini e pagine non si bada proprio. È quel che accade, per esempio, quando si ascoltano il Pinocchio o l’Alice nel paese delle meraviglie proposti da Locomoctavia: prodotti che fanno della cura artigianale, nel senso più proprio e nobile del termine, la loro cifra restituendo una vitalità rinnovata a dei classici imperdibili.

Che siano lavori di cesello lo si nota presto e a lungo: dall’adattamento accurato dei due testi originali e dal racconto pacato ma vibrante, entrambi a cura di Daniele Fior; dalle immagini che impreziosiscono la custodia, firmate da Manuele Fior; e dall’accompagnamento musicale puntuale e incisivo di Francesco Catalucci in un caso e dei Gueppecartò nell’altro.

Alice nel paese delle meraviglie, in un doppio CD audio, ci invita così a seguirla nella tana del Bianconiglio, incantandoci dalla copertina con quella sua aria sognante e incalzandoci a filo dei suoi 32 capitoli con motivi che spaziano tra generi diversi e che assecondano, così, il pullulante e onirico creato da Carroll.

Pinocchio, in un singolo CD mp3, invece, opta per un racconto più posato in cui la chitarra marca il ritmo proprio là dove serve in una combinazione armonica con il testo (approvato peraltro dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi) che rende l’ascolto un autentico piacere.

Il risultato sono due audiolibri che potrebbero andar persi nella vastità della produzione editoriale e che invece meritano grande riguardo per il rispetto con cui si approcciano a dei capolavori della letteratura e per la vitalità talentuosa con cui li reinterpretano e rendono fruibili.

 

Alice nel paese delle meraviglie e Pinocchio, così come gli altri pregiati audiolibri proposti da Locomoctavia, sono anche fruibili tramite un’apposita app (Locomoctavia audiolibri) messa a punto dalla stessa casa editrice e scaricabile gratuitamente da App store.

Si tratta di una proposta estremamente interessante in termini di accessibilità. L’app sfrutta infatti un particolare sistema di scroll che evidenzia cromaticamente le diverse frasi del testo nel momento esatto in cui vengono pronunciate. La corrispondenza tra testo e audio risulta molto fluida e puntuale e l’app fa avanzare automaticamente l’audio se il lettore fa scorrere velocemente in avanti il testo. L’esperienza di lettura e ascolto risulta, così, piacevole e tutt’altro che macchinosa.

Il lettore può in questo modo godere della cura e della bellezza delle registrazioni proposte e al contempo seguire più agevolmente il testo su schermo. Egli può disporre cioè di un ampio ventaglio di strumenti e possibilità di lettura, perfettamente integrate tra loro, tra cui destreggiarsi sulla base delle sue esigenze specifiche: un’opportunità preziosa per sostenere soprattutto quei bambini e quei ragazzi che, a causa di disturbi come la dislessia, si tengono alla larga dai libri non per disamore delle storie ma per l’enorme fatica che la lettura tradizionale di queste ultime può implicare ai loro occhi.

 

Scorpacciata di carote

La vita del cavallo Duca è tutt’altro che riposante: tra corse, strigliate e ostacoli le sue giornate sono faticose e ripetitive. Ci vorrebbe proprio un diversivo! Per fortuna che Tobia, l’asino compagno di scuderia, sa come prendere l’amico e fargli cogliere il bello che lo circonda: in un attimo i due partono al galoppo per una gita in un campo di carote che salverà a entrambi l’umore e la giornata.

Caratterizzato da una storia semplice e lineare e da un testo composto perlopiù da frasi brevi e coordinate, Scorpacciata di carote dà vita a un racconto in simboli agevole da seguire ma con alcuni elementi (come esclamazioni non attribuite esplicitamente o alcuni vocaboli più ricercati) che ne aumentano il grado di complessità. La distribuzione sulla pagina dei simboli (di tipo WLS, contornati da un riquadro che contiene anche il vocabolo corrispondente) asseconda sempre, là dove possibile, la struttura della frase e accompagna illustrazioni che privilegiano la funzionalità e il sostegno alla comprensione testuale rispetto allo stupore estetico.

Nati in seno a un laboratorio di costruzione di libri su misura, per rispondere alle esigenze e agli interessi di una bambina appassionata di cavalli, il testo e la simbolizzazione della storia del cavallo Duca e dell’asino Tobia sono stati poi aggiustati in funzione di un pubblico più vasto e trasformati in un libro a tutti gli effetti dall’attivissima casa editrice Homeless Books: un percorso esemplare e significativo che rende conto molto bene del ruolo giocato dalle piccole realtà nel sovvertire alcuni vuoti editoriali che concernono la disabilità.

Yxxy – Un giorno speciale

Un giorno speciale è il primo titolo di una collana nata dalla collaborazione di realtà diverse e attente alle tematiche dell’inclusione quali la Biblioteca oltre l’Handicap di Bolzano e la neonata casa editrice Storie cucite, con la supervisione del Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa di Milano. La sensibilità e le competenze di questi attori sono in particolare confluiti all’interno di questo progetto editoriale che prevede la pubblicazione di una serie di volumi in simboli prodotti secondo il modello inbook e pensati per dare spazio alle piccole grandi esperienze di crescita che il bambino può affrontare.

Dedicato ai timori e alle felici scoperte che il primo giorno di scuola dell’infanzia può portare con sé, Un giorno speciale intende in particolare accompagnare i bambini, compresi quelli con qualche difficoltà, in un momento così delicato come l’ingresso alla materna. Il bambino protagonista del racconto viene infatti seguito nella preparazione di questo importante giorno, nelle emozioni che la novità reca con sé, negli incoraggiamenti e nel sostegno che arrivano dagli adulti e negli incontri  felici che si realizzano. Le pagine di Un giorno speciale riservano cioè spazio alle possibilità che un’esperienza così impegnativa racchiude senza tralasciare i timori che essa nasconde, ben sottolineati questi ultimi dalle espressioni dei visi cui le illustrazioni di Licia Zuppardi dedicano particolare attenzione.

L’attenzione all’aspetto inclusivo del racconto viene in particolare dalla scelta di dare voce e rappresentazione a un protagonista con difficoltà motorie, dalla valorizzazione degli atteggiamenti accoglienti e rassicuranti degli adulti e dei pari nei suoi confronti e dalla cura nella traduzione del testo in simboli WLS. La disabilità viene cioè tenuta in considerazione sia nella concezione formale che in quella contenutistica del libro, intendendo così amplificare il messaggio di sensibilizzazione che lo contraddistingue. Forte ed esplicito quest’ultimo rischia di apparire un po’ ridondante in una lettura prettamente di piacere mentre si presta più felicemente a un uso funzionale (per esempio per stimolare il confronto, la riflessione, l’apertura) del libro.

L’oggetto misterioso

I protagonisti de L’oggetto misterioso sono Lampadino, Caramella e Zampacorta: due fratellini e una cane già attivi in precedenti avventure accessibili pubblicate da Puntidivista. A conoscenza di un passaggio segreto per il Magiregno, i tre vi si recano anche in questo episodio recitando come di consueto le necessarie parole magiche. Qui incontrano il riccio Michele, disperatamente alla ricerca di un oggetto misterioso che pare essere il più bello e importante del regno. Ognuno di loro crede di aver capito di che cosa si tratti ma né il fischietto magico, né il fiore dei mille colori, né l’acqua della fonte chiara che portano al riccio risultano essere l’oggetto giusto, ben più elementare, rinvenuto infine in mezzo a un ruscello.

Come i precedenti volumi in simboli curati dalla casa editrice di Rieti, L’oggetto misterioso si caratterizza per una aspetto poco elaborato (rilegatura a spirale, illustrazioni piatte e aderenti al testo) che sacrifica la piacevolezza e l’appeal che sono tipici del libro illustrato in favore di un sostegno alla concentrazione sul racconto e della maneggevolezza del volume. Pensato per rispondere alle esigenze di un pubblico con esigenze speciali, legate soprattutto a disturbi della comunicazione e autismo, il libro si avvale di simboli simili ai Widgit Literacy Symbols, riquadrati e caratterizzati da testo in stampatello maiuscolo, e fa dell’asciuttezza (narrativa, testuale, iconica e grafica) la sua cifra.

La compagnia dei soli

In un mondo sotterraneo, ai piedi di un vulcano attivo, si nascondono e si ritrovano un giorno tre figure reiette: un nano di nome Izio, tanto imperfetto nell’aspetto quanto generoso e altruista; una ragazza coraggiosa di nome Sara, sfuggita a un’umiliante prigionia; e un giovane di nome Pier Remigio, disposto a sfidare la morte e rinnegare il proprio padre in nome della rettitudine. Le loro storie, inizialmente distinte, trovano un punto di congiunzione saldissimo proprio tra i cunicoli più profondi della terra, dove il destino di ciascuno di loro si lega indissolubilmente a quello degli altri. La loro è a tutti gli effetti una Compagnia dei soli: un gruppo di individui non omologati a una società dominata dalla violenza e dall’egoismo, che trovano una possibilità di sopravvivenza e riscatto nel comune senso di giustizia e solidarietà.

Questi sono i valori che animano i tre protagonisti e che emergono senza retorica anche grazie al permanente senso di disagio in cui la narrazione pone il lettore. Gli autori hanno infatti la capacità di offrire una rappresentazione della brutalità che tocca nel profondo e consente a ciò che di luminoso c’è di imporsi con forza ancora maggiore. La graphic novel di Patrizia Rinaldi e Marco Paci è di una potenza, grafica e narrativa, difficile da dire. La scelta secca e ponderata delle parole si sposa qui perfettamente con un uso tagliente e incisivo dei colori, che marcano ed evidenziano puntualmente quale protagonista stia entrando in azione (lo sfondo giallo è per Sara, quello verde è per Izio e quello blu per Pier Remigio). Questo espediente, oltre ad arricchire la forza espressiva dei singoli quadri, contribuisce ad agevolare il lettore mentre segue lo sviluppo della storia: aspetto da non sottovalutare se si considera che la graphic novel fa parte di una collana di fumetti ad alta leggibilità pensati per risultare fruibili anche in caso di difficoltà di lettura.

Mammut

Conquistare i lettori con un primo fumetto è umano, farlo anche con un secondo, è diabolico! Ebbene, quei due diavoli di Melvin e Boonen ci sono riusciti: dopo il successo di Weekend con la nonna i due autori fiamminghi sfornano ora una seconda storia davvero all’altezza delle aspettative di spasso e coinvolgimento di chi ha amato il loro primo lavoro. Anche in Mammut, infatti, la penna di Boonen e la matita di Melvin rivelano una sintonia ammirevole nel condividere uno spirito ironico e costantemente sospeso tra il reale e il fantastico. I testi brevi e secchi del primo, le sue didascalie buffe, e il suo intreccio collaudato di pensieri, discorsi e narrazione incalzante si sposano alla perfezione con i disegni divertenti e comunicativi del secondo, tutti in scala di grigio e salmone e capaci di catapultare il lettore in un’insolita era preistorica. Estremamente dinamiche e cariche di ritmo, tanto da dar l’impressione di assistere a un cartoon, le vignette di Mammut tirano il lettore per la giacchetta. Risultato: impossibile restare impassibili e impedirsi di sorridere!

Protagonista di questa storia travolgente è un bambino di nome Teo, da poco trasferitosi in una casa lussuosa, seguito da una tata paziente e sorprendente denominata tata pelosa, piuttosto trascurato da una mamma e un papà molto impegnanti con il lavoro ma attenti a vietare al figlio un sacco di cose divertenti: uscire di notte, per esempio, e andare a caccia di mammut. Ma quando lo spirito di avventura chiama non si può non rispondere e così Teo si ritrova ad esplorare un imprevedibile mondo preistorico che si nasconde poco distante da casa sua. È qui, proprio dietro l’alto muro di legno che reca l’insegna “Preistoria”, che il bambino incontra la druvida Marga, sfida i kraggak, rischia la pelle, percorre montagne russe mozzafiato, incappa in un coniglio gigante dai denti a sciabola e, manco a dirlo, si trova faccia a faccia con un vero Mammut (la cui cacca, occorre dirlo a onor del vero, è piuttosto ingombrante). Certo, si potrebbe obiettare che come sistema per fare nuove amicizie sia un po’ pericoloso ma l’avventura ha un sapore così irresistibile che anche la pacata tata pelosa finisce per cedervi, condividendo con Teo uno dei segreti più belli della sua vita.

Nel suo impetuoso gusto per il divertimento, anche questo lavoro di Melvin e Boonen non dimentica di offrire un ritratto, e con esso una riflessione silenziosa, sull’infanzia moderna e sulle contraddizioni di una quotidianità scandita da corsi di ogni sorta e attività formative ma pericolosamente tenuta al riparo da avventure, reali o immaginarie, in compagnia di persone fidate. Le espressioni, le esclamazioni e le reazioni del giovane Teo la dicono lunga sulla qualità del tempo condiviso che i ragazzi meritano e chiedono, non sempre con successo. Sicché quella tata che trascorre con Teo più tempo dei suoi genitori, che esegue quanto le viene da loro richiesto senza soffocare del tutto l’entusiasmo del bambino e che si improvvisa compagna di peripezie da scavezzacollo conquista tutta la simpatia del lettore, grande o piccolo che sia. Accolto da un’impaginazione e da un font fruibili anche in caso di dislessia, questi può dunque godersi un racconto straordinario in cui riconoscersi, ridere ed emozionarsi. Si può chiedere di più?

La cripta del vampiro

Siamo in Scozia, nel 1868, e un attentato alla regina Vittoria d’Inghilterra sta per compiersi per mano dei prussiani. Alcuni militari, travestiti da frati, si sono intrufolati a Crooken Bay, supportati da qualche traditore, e delle torpedini sono state nascoste in una cripta del cimitero locale. Se il piano dei prussiani andasse in porto l’intera storia mondiale potrebbe subire uno scossone ma per fortuna ci sono sul posto due curiosi e coraggiosi ragazzi che riescono a mettere insieme i pezzi del puzzle e a sventare l’ardita strage.

I loro nomi sono Arthur Conan Doyle e Bram Stoker e, no, non è un caso di omonimia: i personaggi messi in scena da Sebastiano Ruizi Mignone sono effettivamente i creatori di Sherlock Holmes e di Dracula, immaginati in età infantile e in un ipotetico incontro estivo nella terra di nascita del primo. Contraddistinto da una grande forza fisica, da uno spiccato intuito e da un’incontenibile curiosità il primo e da una salute cagionevole, una passione per i vampiri e sogni tormentati il secondo, i due personaggi sono costruiti mescolando con perizia alcuni tratti caratteristici delle loro creature letterarie più famose e alcuni aspetti evidenziati dalle biografie di Doyle e Stoker. Il risultato è una coppia di amici diversi ma affiatati, perfetti per risolvere un mistero complicato. Ben costruito e narrato, quest’ultimo risulta avvincente anche per il lettore che non conosca le due figure di ispirazione. Stampato inoltre ad alta leggibilità, La cripta del vampiro offre inoltre una possibilità coinvolgente di lettura anche per chi soffra di disturbi specifici dell’apprendimento.

Il GGG

Nel 2016 il mondo della letteratura per ‘infanzia ha festeggiato il centenario di quello che è probabilmente il più straordinario scrittore per ragazzi mai esistito: Roald Dahl. Le sue storie divertenti e originali, insieme ciniche e tenere, mai piegate alla norma moralista, hanno incantato, travolto, allietato e in molti casi convertito alla lettura generazioni di bambini. Salani, che da sempre è in Italia l’editore di Roald Dahl, ha celebrato questa importante ricorrenza donando nuova veste a tutti i suoi racconti e i suoi romanzi con un’edizione speciale. Non solo, alcuni di questi hanno trovato anche una voce ulteriore, capace di arrivare anche a lettori che, per difficoltà di lettura o disturbi visivi, erano rimasti finora esclusi dell’enorme piacere che l’immersione nel mondo fantastico dell’autore assicura. Dopo Gli sporcelli e La fabbrica di Cioccolato, già editi in forma di audiolibro negli anni passati, si sono ora aggiunti alla collezione in formato mp3 anche Il GGG e Matilde.

Il primo, riportato all’attenzione del grande pubblico anche dalla trasposizione cinematografica firmata da Spielberg, racconta dell’amicizia straordinaria tra un gigante gentile e la bambina Sofia, e della loro missione per fermare i gozzovigli degli altri giganti, golosi di umani. Il secondo, invece, vede protagonista una bambina di nome Matilde, lettrice accanita, che fa dell’intelligenza e della cultura le magiche armi per combattere la malvagità di alcuni adulti. Ricchissimi da personaggi indimenticabili e dai nomi esilaranti, gli audiolibri de Il GGG e Matilde garantiscono tra le 4 e le 5 ore di ascolto, condotte dalla piacevole voce di Bruno Alessandro.

Una cosa difficile

Dei due amici, un cagnolino e un galletto, protagonisti di Una cosa difficile, vediamo all’inizio soltanto il primo. Il cagnolino, dall’aria preoccupata, rincorre infatti un affare rotondo che è rotolato giù dal crinale e che pare spezzato. Una volta recuperato, lo tiene saldo e si avvia su per la collina sfidando vento, pendenza e gelo. È solo allora che appare il galletto: è di spalle e sembra vagare con lo sguardo vero l’orizzonte. Sta piangendo in realtà ma quando l’amico gli porge l’affare rotondo, che si rivela essere la ruota di un carretto, e gli chiede scusa, tutto cambia. È allora che il lettore capisce in un lampo che cosa doveva essere accaduto prima che la ruota ruzzolasse giù per la collina. Ed è allora che gode, insieme ai due protagonisti, della sensazione bellissima di una cosa – un carretto o un’amicizia – che si aggiusta.

Tutto giocato sui toni del bianco, del nero e dell’azzurro, Una cosa difficile racconta attraverso le immagini la strada tortuosa che conduce da uno sgarbo al perdono. Dentro queste poche e tenere pagine c’è tutta la fatica di chi sa di aver sbagliato ma vuole rimediare: le lunghe distanze da colmare, le intemperie da sopportare, i rischi da correre e gli ostacoli da superare. Perché quando si è ferito qualcuno lo si avverte distante e freddo, non si sa come possa accogliere la richiesta di perdono e ci si deve rimboccare le maniche per riconquistare la fiducia perduta. Ma sono sforzi che trovano una ricompensa perché a pace fatta si torna a sorridere giù per la collina. Con i suoi sfondi ariosi e i suoi personaggi curiosi, Una cosa difficile accoglie calorosamente il lettore, anche con difficoltà legate alla decodifica testuale, non solo perché contiene una sola importantissima parola – scusa – ma anche perché racconta in modo lineare e pulito una storia agevole da seguire e in cui è facile immedesimarsi.

Supersorda

Supersorda è un racconto a fumetti, dallo stile buffo e dal tono estremamente ironico, in cui l’autrice statunitense si rifà alla sua personale esperienza di bambina divenuta improvvisamente sorda a causa di una malattia e al percorso di integrazione cui questo episodio l’ha portata. Lo fa costruendo un mondo in cui la protagonista – che non a caso si chiama proprio Cece – e chi la circonda assumono le sembianze di simpatici conigli, collocati in un mondo perfettamente umanizzato.

Lungo le oltre 240 pagine di questo romanzo a fumetti, colorate e divertenti, si legge di una bambina come tante che si ritrova a dover fare i conti con una forma di diversità invisibile e insieme ingombrante. L’enorme orecchio fonico che Cece è costretta a portare con sé con non poco imbarazzo diventerà nelle sue fantasie di bambina il simbolo di un superpotere che sì la distingue, ma in positivo. Grazie all’apparecchio, Cece riesce infatti a sentire cose che gli altri non sentono (come la maestra quando è in pausa o persino alla toilette) e a conquistare così l’ammirazione dei compagni. Ma quello verso l’accettazione di sé, base imprescindibile anche per l’accettazione degli altri, è per la bambina un vero percorso a ostacoli, in cui le difficoltà non sono celate. Sono difficoltà piccole e grandi, dettate dal sentirsi inadeguate, dall’avvertire costantemente il curioso sguardo altrui sopra di sé, dal non riuscire, banalmente, a vivere a pieno un pigiama party in cui ci si scambi confidenze a luce spenta.

Grazie a una narrazione che parte da un vissuto e che fa leva su un’autoironia straordinaria, Supersorda riesce a far conoscere al lettore un personaggio fuori dal comune ma vicinissimo nei sentimenti, ad appassionarlo e a farlo ridere con una storia in cui la positività è la chiave del successo e a rendere la sordità una differenza più facile da comprendere e forse approcciare.

L’alfabeto di Zoe

Zoe non vede mai il lato ovvio delle cose. È proprio così che si presenta la protagonista del romanzo di Fabio Stassi, mettendo in evidenza quel suo modo tutto particolare di guardare le cose: un modo tanto insolito quanto prezioso, a dirla tutta, se è vero che proprio grazie ad esso la ragazzina riesce a rovesciare il piano del Re degli Specchi, a liberare i suoi concittadini da uno spietato furto di ricordi e a sovvertire il processo di sostituzione dei genitori con dei robot. Lo farà quasi totalmente da sola, sfidando con coraggio i suoi limiti, soprattutto legati ai numeri e alle lettere.

L’alfabeto di Zoe è quello che scandisce i singoli capitoli, individuando per ciascuno una parola chiave ma anche quello che la bambina vorrebbe inventare: un alfabeto “con il quale non si possa barare. Che ti faccia toccare quello che si scrive”. Perché in fondo, la vera protagonista e il vero motore di questa storia è proprio la difficoltà che Zoe sperimenta di fronte alle parole, il senso di malessere che queste le innescano e le strategia di fuga che il suo cervello mette in atto. E se la trama del romanzo è forse un po’ debole, questo riesce però ad offrire un ritratto lucidissimo e illuminante di ciò che accade nella testa, e di riflesso nell’intero corpo, di un ragazzo colpito da gravi disturbi specifici dell’apprendimento.

L’attenzione che l’autore vi dedica permette infatti al lettore di sentirsi come fisicamente calato nel cervello della protagonista, cogliendone i forti turbamenti ma anche le enormi potenzialità. E qui egli uscirà in qualche modo arricchito, oltre che convinto che se le tabelline fossero alla maniera di Zoe, per cui “otto per otto fa due bassotti, più quattro divani letto e una rotella di liquirizia”, il mondo sarebbe forse meno preciso ma senz’altro più leggero.

Molto non è poco

Gulliver è un elefantino che sembra grande ma è piccolo, per questo tutto ciò che fa appare goffo. Se ride, ride molto forte; se corre, corre molto sghembo; se si arrabbia, si arrabbia in modo molto spaventoso. Da qui il soprannome Molto e l’insofferenza del branco nei confronti dei suoi modi molto poco consueti. Per il branco, infatti, molto è spesso sinonimo di troppo. Così quando Molto si allontana dal branco in balia del fiume e incontra la piccola Poco, una bambina goffa come lui, finisce per trovarsi molto più a suo agio che a casa. I due diventano grandi amici: le loro diversità, in qualche modo sono simili ma soprattutto ciascuno di loro riesce a riconoscere il valore dell’altro dietro l’apparente imperfezione. E quando il branco, resosi conto della mancanza di Molto, infine lo raggiunge, i due si salutano con la tristezza di chi sa di lasciare un amico vero ma con la consapevolezza di serbarne doni preziosi.

La storia, scritta da Sabina Colloredo e illustrata da Marco Brancato, nasce con l’intento di dare voce e rappresentazione a una sindrome poco nota, quella di Sotos: una forma di gigantismo che implica una crescita eccessiva durante l’infanzia accompagnata da ritardo nell’apprendimento. L’abilità e la sensibilità degli autori è però tale che ciò che arriva al lettore è una storia dal respiro molto più ampio: il racconto di una diversità prima allontanata e poi accolta, di una differenza che in definitiva arricchisce, di una mancanza esteriore (comune peraltro a molte forme di disabilità) che non corrisponde però affatto a una mancanza interiore.

Il Piccolo Principe

Non è la prima volta che l’editore Erickson si cimenta nell’adattamento di classici ad uso di giovani lettori, soprattutto con difficoltà di comunicazione, comprensione o decodifica testuale. Tra il 2015 e il 2016, in particolare, è nata la collana I classici facili, di cui fanno parte Pinocchio, Il piccolo principe e Il mago di Oz e che mira a favorire la condivisione di storie facenti parte dell’immaginario comune, grazie a una riduzione e a una semplificazione testuale curate da Carlo Scataglini. A partire da quegli stessi testi adattati, in particolare Pinocchio e Il piccolo principe, nascono oggi i primi volumi di una nuova collana intitolata I classici con la CAA che allargano ulteriormente le possibilità di lettura grazie a una traduzione del testo in simboli WLS secondo le linee guida del modello inbook. Il testo di Carlo Scataglini è stato infatti tradotto in simboli con la supervisione del Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa di Milano.

Raffinati e affascinanti nella loro veste grafica, I classici con la CAA appaiono come volumi dalle grandi dimensioni: caratteristica funzionale non solo alla necessità di contenere testi e relative simbolizzazioni piuttosto lunghi ma anche alla scelta di dare spazio a illustrazioni di grande respiro, curate nel caso di Pinocchio da Giuseppe Braghiroli e nel caso de Il Piccolo Principe da Silvia Bonanni. Ne risultano libri davvero belli da guardare e comodi da utilizzare in occasione di letture condivise, oltre che contraddistinti da un testo fruibile ma non banalizzato. Capace di dare spazio a tutti gli episodi chiave dei racconti di Collodi e Saint-Exupery, questo è perlopiù frutto di un lavoro di revisione delle espressioni meno comuni, delle frasi più articolate, delle forme verbali passive o dei sottintesi. Il racconto che viene proposto al lettore mantiene quindi una certa lunghezza e complessità che richiedono un’attenzione e una dimestichezza con i simboli non elementare: una proposta interessante, insomma, per lettori non proprio alle prime armi ma con bisogni educativi speciali nei confronti dei quali spesso le proposte editoriali sono molto scarse. Da segnalare, inoltre, che i volumi della collana sono corredati da audiolibro in formato mp3, scaricabile gratuitamente dal sito dell’editore.

Il piccolo coniglio bianco

Andare a raccogliere i cavoli per fare la zuppa, tornare a casa e trovare una capra capraccia che se ne è deliberatamente impossessata. Ohibò, questo sì che è un brutto fatto! Ecco allora che il piccolo coniglio bianco, a cui questa disavventura è effettivamente capitata, si ritrova a vagare per la campagna alla ricerca di qualcuno che possa aiutarlo. E se non può contare sul bue, sul cane e sul gallo, perché troppo fifoni, il protagonista troverà per fortuna un insospettabile alleato nella formichina: non c’è trippa che tenga, i suoi pizzichini fanno scappare persino le capre capracce!

Divertente e capace di capovolgere le attese, Il piccolo coniglio bianco ha dalla sua ha dei personaggi buffissimi, una narrazione che fa un uso spassoso dell’iterazione e un linguaggio teneramente colloquiale che lo rendono efficacissimo per una lettura ad alta voce. Questi aspetti, insieme alla grafica piuttosto ordinata, hanno senz’altro giocato la loro parte nella scelta del volume, tra quelli editi da Kalandraka, per la traduzione in simboli da inserire all’interno della collana I libri di Camilla.

Dalla primavera 2017, infatti, l’albo di  Xosé Ballesteros e Óscar Villán figura tra i titoli che, grazie alla simbolizzazione basata sulla collezione WLS (Widgit Literacy Symbols), risultano fruibili anche da parte di bambini con disturbi della comunicazione o con difficoltà di lettura. Non solo: il curriculum, in termini di accessibilità, de Il piccolo coniglio bianco è arricchito da una precedente traduzione in simboli in terra spagnola che ne garantisce la funzionalità e il potenziale successo.

Mattia ha un nuovo amico

Nella classe di Mattia è arrivato un nuovo bambino. Si chiama Marco e usa una sedia a rotelle perché le sue gambe non funzionano bene. Mattia e Marco si incontrano, si conoscono e condividono piccoli momenti tipici della scuola dell’infanzia – fare merenda, giocare, andare in  bagno, disegnare, sistemare i giocattoli – ed è proprio attraverso quei momenti che i due finiscono la giornata con un amico in più per ciascuno.

Con una semplicità e un’ingenuità che sanno proprio di infanzia – quella per cui si può essere grandi amici dopo un solo giorno, si può salvare un disegno strappato con degli adesivi colorati o si può fare la pipì fianco a fianco –  Liesbet Slegers racconta una storia piccola piccola ma tutto sommato importante.  Perché in essa è facile riconoscersi quando si è piccini; perché si concentra sulle cose di ogni giorno senza strafare o idealizzare e perché asseconda il pensiero-bambino tanto nella positiva socievolezza quanto nella schietta curiosità. La domanda diretta di Mattia con cui si apre il libro – “Perché stai seduto lì?” – potrebbe infatti inaugurare un incontro reale con un nuovo compagno con disabilità e lascia intendere l’intento non buonista ma benevolo dell’autrice di assecondare gli interrogativi che la diversità naturalmente suscita nei bambini.

Solo la risposta data da Marco (“Le mie gambe non funzionano bene. Questa sedia mi permette di spostarmi quando sono stanco”) ha una suono un po’ adulto che un poco stona, dietro il quale si intravede però  il complesso  tentativo di condensare in pochissime e chiare parole una spiegazione necessaria e preziosa. Tant’è che non troppo vi si bada, alla fine, coinvolti dai quadri comunicativi messi a punto dall’autrice, dai testi misurati che scandiscono le pagine e dalle illustrazioni  vivaci che animano la lettura. Tenendo conto, inoltre, che Mattia è il protagonista di una serie piuttosto diffusa per la prima infanzia, con oltre 10 titoli dedicati a diverse situazioni familiari al pubblico di riferimento, Mattia ha un nuovo amico ha anche il merito di inserire la disabilità in un racconto quotidiano più ampio in cui compaiono il viaggio in treno, la biblioteca, l’aiuto al papà e via dicendo, restituendole una dimensione più comprensibile e accettabile.

Jacob due-due in alto mare

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Imbarcarsi con la famiglia per il Canada e ritrovarsi protagonista di un rocambolesco abbordaggio da parte di pirati: tutto si può dire del trasloco di Jacob due-due – così chiamato da tutti perché ha 2+2+2 anni – tranne che sia noioso e scontato. Certo il nome della barca scelta per la traversata dall’Inghilterra – Colabrodo – non lasciava presagire granché di buono ma che a bordo si trovasse un vile traditore e che a Jacob toccasse un’indagine misteriosa era proprio difficile da prevedere. Affiancato da Cindy, un’amica conosciuta durante il viaggio, il bambino se la vede con l’insospettabile spietatezza del primo ufficiale Mr. Mangiapane, fa comunella con l’addetto ai motori Morgenbesser e viene rapito dalla ciurma del pirata Quattrossa. A porre fine alla sua insolita disavventura arriva infine l’idea balzana di due dei suoi fratelli che non solo salvano la situazione ma aprono spiragli di vita inattesi per molti passeggeri della Colabrodo. Un finale a sorpresa, insomma, che lascia stupito il lettore. Travolto dagli eventi narrati con stuzzicante ironia, questi si imbatte in un tourbillon di personaggi – la numerosa famiglia di Jacob,  gli acrobati Bubov, l’inventore di giocattoli Peabody e la snobbissima mamma di Cindy – che, con ruoli più o meno determinanti vivacizzano il racconto e lo rendono piacevolmente movimentato. Tra questi davvero irresistibile è il capitano Dentesplendente, la cui giuliva vanità crea siparietti che fanno ridere di gusto e che ben si prestano anche ad una lettura ad alta voce.

Quello di Jacob due-due è un personaggio circondato da un mondo che convince e diverte. Uscito tra gli anni ’70 e ‘90 dalla penna di Mordecai Richler, in una serie di avventure pubblicate in Italia da Adelphi nei primi anni 2000,  Jacob due-due viene qui ripreso e riproposto da Cary Fagan, scrittore canadese di talento (già edito da Biancoenero con La strana collezione di Mister Karp e The big Swim) che sa rendere omaggio all’originale e regalargli uno humour e un piglio irresistibili. La penna ironica dell’autore dà vita a un’avventura spensierata, che non manca di evidenziare le contraddizioni di un certo mondo adulto, ma che prima di tutto ha il merito di travolgere il lettore e tenerlo appeso con leggerezza e talvolta vero spasso: non male, c’è da dire, per un libro che presta attenzione anche ai lettori meno forti perché poco avvezzi alla lettura o magari affetti da dislessia. Jacob due-due si avvale infatti delle consuete caratteristiche di alta leggibilità (font specifico che aiuta a confondere e sovrapporre meno le lettere, spaziatura maggiore, sbandiera tura a destra, carta color crema) che rendono amichevole oltre che appassionante la collana Maxizoom di Biancoenero.

Iole, la balena mangiaparole

Iole è una animale pacifico e speciale: il suo talento consiste nel raccogliere le parole che cadono negli abissi dalla barca di un poeta e dare loro nuova vita, trasformandole in racconti da donare agli amici del mare. Narratrice insolita, la balena protagonista del libro si fa amare dalle creature che la circondano, sicché queste non mancheranno di venire in suo soccorso quando le parole in acqua inizieranno misteriosamente a scarseggiare.

Il libro, semplice ma suggestivo, fa parte della collana facile! Messa recentemente a punto da Gribaudo editore per venire incontro anche alle esigenze di piccoli lettori con disturbi specifici dell’apprendimento. Grazie ad accorgimenti tipografici mirati e all’utilizzo del font leggimi di Sinnos, oltre che a un testo curato e ad illustrazioni molto piacevoli, Iole la balena mangiaparole risulta più amichevole e meno ostico di altri testi destinati a lettori alle prime armi.

Clemente il pesce col salvagente

Un pesciolino diverso, perché incapace di nuotare autonomamente, viene preso di mira da alcuni abitanti del mare, l’arrogante delfino e la sciocca medusa in primis. Solo il granchio si mostra fedele e vicino alla vittima delle angherie, cercando di aiutarlo in ogni modo a superare le sue difficoltà e costruendo per lui un salvagente di rami, alghe e conchiglie. Clemente, così si chiama il pesciolino, si sente ferito e umiliato e, certo, il suo primo istinto sarebbe quello di vendicarsi con i due bulli acquatici. Sarà la saggia tartaruga a convincerlo a dimostrare invece con l’azione quanto realmente valga nonostante le sue difficoltà: cosa che Clemente non mancherà di fare difendendo la medusa e il delfino dall’attacco di un pericoloso squalo e diventando così un vero eroe degli abissi.

La storia di Clemente, il pesce col salvagente non brilla per originalità ma si rende interessante per le caratteristiche con cui l’autore – Carlo Scataglini – confeziona il volume che la contiene. Questo presenta infatti una doppia versione del racconto: una più semplice, con meno dettagli, frasi più brevi e carattere maiuscolo, l’altra più articolata e dettagliata, frasi e lessico più complessi e carattere minuscolo. In questo modo anche bambini con abilità o livelli di lettura diversi possono condividere la stessa storia, trovando ciascuno la forma a lui più congeniale.

Fanno parte della stessa serie anche i volumi: Calzino bucato e l’invasione delle mollette, La rosa dei sette desideri, Coccole spinose e Mulk, l’amico extraterrestre. L’autore ha curato inoltre una seconda serie dalle medesime caratteristiche (due versioni della stessa storia con gradi di difficoltà differenti) ma destinata a lettori più scafati e con competenze di base già acquisite. I titoli, in questo caso, sono: Gigantino e la guerra saporita, SuperAle, un supereroe niente male e Topigno e la giungla da salvare.

Le nuove avventure di Lester e Bob

Ci mancavano, ah quanto ci mancavano! Conosciuti soltanto un anno fa, la scaltra oca Lester e il bonaccione orso Bob tornano a soddisfare la fame di storie sfiziose dei lettori alle prime armi. Come nella prima, anche in questa nuova raccolta di avventure i due protagonisti non mancano di battibeccare, di tendersi trappole, di inventare argute soluzioni a problemi insormontabili e di cementare la loro bizzarra amicizia con piccoli gesti di preziosa tenerezza. Tra un raffinato Bob che si fa crescere i baffi, un furbo Lester che si finge ispettore delle torte e un improbabile duello senza pistole per mettere fine a un litigio tra i due, spicca particolarmente gustosa l’avventura del volano, finito – ahiloro – nel giardino a fianco, di proprietà dei coccodrilli. Il finale è, qui, come in ogni altro sketch, gustoso e sorprendente, capace di strappare un sorriso anche al più brontolone dei lettori.

L’ironia garbata che regalano queste pagine è rara e preziosa. Coltivata con cura, essa contribuisce a rendere Le nuove avventure di Lester e Bob un libro davvero appetitoso e amichevole, forte anche dell’impaginazione pulita – con testo in stampatello maiuscolo a sinistra e illustrazioni ben riquadrate a destra –  e del carattere ad alta leggibilità di Beisler Testme. La combinazione di tutti questi fattori dà vita a un lavoro che non delude le aspettative ma che anzi fa già venire l’acquolina in vista di una terza auspicabile avventura.

Fermate quella rana!

Le avventure di Hank Zipzer, funambolico personaggio creato da Henry Winkler e Lin Oliver, hanno ormai preso il largo, contando più di sette episodi già pubblicati in italiano. Accanto alla serie classica che vede protagonista il bambino dislessico più creativo di New York alla fine della scuola primaria, inizia a decollare anche la serie che, come una sorta di prequel destinato ai lettori più giovani, lo vede alle prese con i primi anni alla SP87. Dopo Un segnalibro in cerca di autore e Breve storia di un lungo cane, esce infatti ora, sempre per i tipi di Uovonero, il terzo capitolo (come sempre predisposto per una lettura autonoma ma ancor più gustoso se letto a seguito dei precedenti) intitolato Fermate quella rana e contraddistinto dalla consueta grafica ariosa, dalle illustrazioni a tutta pagina di Giulia Orecchia, dai capitoli brevi e dalla stampa ad alta leggibilità in carattere piuttosto grande.

La rana in questione è Fred: l’animale domestico del preside Love, lasciato in custodia alla classe di Hank, Ashley e Frankie durante un intero weekend. È Hank, in particolare, ad avere la fortuna di occuparsene dato l’inatteso feeling che dimostra di avere fin da subito con l’animale. Da parte sua ci sono le migliori intenzioni di prendersi cura del temporaneo ospite ma quando difficoltà di attenzione e memoria ci mettono lo zampino può diventare difficile fare fronte a fughe anfibie. Quando Hank dimentica di mettere il coperchio all’acquario di Fred tutti gli amici e i famigliari saranno costretti a una caccia al tesoro contro per ritrovare la preziosa bestiola. Un posto d’onore in questa nuova avventura lo guadagna senza dubbio il cane Cheerio, affettuoso quanto inaspettato compagno di giochi di Fred, capace di mostrare a suo modo come gli amici si nascondano spesso dove meno ce lo aspettiamo.

In equilibrio perfetto

Capita alcune fortunate volte di incappare in libri forti come uno schiaffo e quando questo accade la lettura si fa valanga che travolge e non lascia indenni. Ecco, considerate che In equilibrio perfetto è esattamente uno di quei libri. L’autrice – Zita Dazzi – vi infonde tanta di quella vita, in tutte le sue sfumature, che si trattiene quasi il fiato leggendolo e vi si riemerge tonificati. Fin dalle primissime pagine si ha l’impressione di camminare accanto ad Amanda,tra le mura di casa dove la madre è stremata da un tumore, sul bordo di un guardrail dove le auto che sfrecciano portano via i pensieri più bui o tra i banchi di scuola dove voti insufficienti e delusioni amorose aggiungono insicurezza all’insicurezza già accumulata. Si, la vita di Amanda è un vero caos. I suoi capelli blu,i suoi modi menefreghisti e i suoi vestiti appariscenti vogliono in qualche modo denunciarlo ma sembrano non bastare, perché non è facile a 16 anni trovare il modo giusto per dire la sofferenza e le persone giuste per ascoltarla. Anche nel buio di un’adolescenza periferica, però, alcuni incontri possono rivelarsi salvifici: quello con una professoressa attenta all’umanità dei suoi studenti, per esempio, o con un amico del tutto inatteso. Zita Dazzi riprende passo a passo, con la bravura che le è propria, questo spaccato di vita autentico, indugiando con uno sguardo lucido e mai giudicante, tanto sulle ombre quanto sulle luci che si intrecciano dentro e fuori Amanda. Ci sono tanti temi forti, qui, vicini ai ragazzi in crescita: l’amore, l’amicizia, il lutto, la responsabilità, il confronto con i pari e il desiderio di essere accettati. Tutti trovano posto in una storia che scivola veloce e che tocca anche chi non ha sedici anni, una madre malata o un padre assente che fa il dj in India. Insomma, In equilibrio perfetto è davvero un libro da scoprire e come se non bastasse è pubblicato da Sinnos ad alta leggibilità: una ragione in più per proporlo ai giovani  lettori, certi che non verranno scoraggiati né dall’aspetto né dal contenuto

Il sole fra le dita

Testa calda, famiglia problematica e una certa propensione a infrangere le regole: questo è il ritratto di Dario. Almeno quello che tanti adulti dipingono concordi, guardando quel ragazzo tanto scontroso e strafottente. Una mela marcia, per dirla con due parole di cui la professoressa Delfrati fa un certo abuso. Mela marcia. Mela marcia. Mela marcia. A furia di sentirselo dire anche lo stesso Dario inizia a pensare di esserlo per davvero, e questo non aiuta certo a migliorare il suo atteggiamento. Così, all’ennesima insinuazione dell’insegnante – “Sei una mela marcia. Anche tuo padre lo sapeva. Per questo se n’è andato” -, il ragazzo sbotta e se ne va dalla classe sbattendo la porta. In questo modo si guadagna suo malgrado un periodo indeterminato di “assistenza volontaria ai portatori di handicap della scuola”, leggi: passare del tempo insieme a Andy, un ragazzo in carrozzina che fatica a parlare, mangiare, gestirsi in autonomia.

Per Dario è proprio quello che mancava per completare una vita rancorosa e insopportabile. Dopo i primi giorni di insofferenza – verso la punizione in sé in giusta e insensata, verso quel compagno forzato con cui non si può nemmeno parlare e soprattutto verso quella sua educatrice tutta moine e compassione – il ragazzo fa una bravata senza pensarci troppo: afferra la carrozzina di Andy e parte per il mare sulle tracce di quel padre che anni prima ha inspiegabilmente abbandonato lui e la madre. Quello che lo aspetta è un viaggio molto diverso da quello immaginato: un viaggio in cui fare i conti con un passato difficile da digerire, in cui scoprirsi amorevole e premuroso di fronte alla fragilità, in cui entrare senza mezze misure nel quotidiano di un coetaneo così diverso da lui  benché ugualmente solo.

L’incontro con Andy finisce quindi per aprire squarci inattesi di crescita, pensiero e scoperta per il giovane Dario, trasformando la punizione in un’autentica occasione di riscatto. Un riscatto bilaterale, a dire la verità: perché se Dario trova in Andy la chiave per guardarsi dentro e ricalibrare la sua vita, è altrettanto vero che Andy trova in Dario chi sa vedere in lui la persona prima del disabile. E se entrambi trovano nel compagno un amico inaspettato non è per buonismo o political correctness ma per effetto diretto della condivisione di attimi, avventure, divertimenti e difficoltà.

Il sole fra le dita è una lettura estiva per data di pubblicazione e atmosfere dipinte (fin dal titolo) ma meritevole di abitare scaffali, comodini, classi e divani per quattro intere stagioni all’anno. Scorrevole e ricco, il romanzo di Gabriele Clima sa parlare di ragazzi e ai ragazzi con la schiettezza e la sensibilità di chi non ha paura di frequentarli e conoscerli davvero.  Con lo stesso spirito l’autore offre inoltre una lettura rara della disabilità in cui la difficoltà non cancella necessariamente la possibilità e in cui la vita necessita di reali sfide a migliorarsi e obiettivi da raggiungere per potersi dire tale. In cosa consistano tali sfide e obiettivi in un caso come quello di Andy, spetta spesso capirlo agli assistenti e ai genitori, il cui ruolo di  educatori, per il quale competenze e qualità umane non possono che abbracciarsi, è qui reso in tutta la sua importante delicatezza.

Hank Zipzer. Tiratemi fuori dalla quarta

Mayday mayday, allarme rosso! Si avvicinano i famigerati colloqui insegnanti-genitori: incontri ad alto rischio che possono segnare il futuro degli allievi della Scuola Primaria 87, decretandone o meno il passaggio alla classe successiva. Ecco allora che Hank, il cui profitto scolastico non è dei più brillanti, deve necessariamente ingegnarsi per evitare che la signorina Adolf e i coniugi Zipzer riescano a incrociarsi. Non basta, tuttavia, fingere di dimenticare l’avviso o tentare di distruggerlo o occultarlo: qui serve un piano degno di una mente geniale, tipo vincere due biglietti per un concerto rock a Philidalphia a cui spedire  i genitori proprio il giorno del colloquio. Detto fatto! Hank si mette all’opera con una dedizione e un impegno invidiabili ma come al solito ad aspettarlo c’è una montagna russa di panico ed euforia capace di suscitare una divertita empatia  in chi legge.

Settima avventura della serie creata da Henry Winkler e Lin Oliver, Tiratemi fuori dalla quarta sfrutta un impianto e una squadra di personaggi ben consolidata e ormai familiare al lettore. Insieme ad Hank, spumeggiante protagonista bambino con difficoltà di apprendimento, trovano spazio gli amici di sempre (Ashley e Frankie) che cercano di aiutarlo a boicottare il colloquio con gli insegnanti, la solida e insolita famiglia Zipzer che rivela qui tratti inaspettati (dall’indole benevola della sorella allo spirito rockeggiante dei genitori) e il corpo docente (in particolare la ferrea signorina Adolf e la comprensiva dottoressa Berger) che offrono un’immagine in definitiva sorprendente dell’istituzione scolastica.

Tiratemi fuori dalla quarta ha inoltre il merito di mostrare come la scuola non sia per i bambini solo un anonimo luogo in cui si apprende ma il luogo principe in cui ci si confronta, in cui ci si diverte, intorno a cui ruotano la vita sociale, l’autostima, molte relazioni e il giudizio dei pari. La scuola, insomma, come piccolo microcosmo in cui si affollano ansie, emozioni e tormenti impegnativi da gestire, che possono però trovare un contenitore e una forma positiva se ben gestite dagli adulti e ben affrontate dai piccoli. “Vogliamo darti tutte le possibilità di riuscire, Hank”, è la frase significativa che pronuncia la dottoressa Berger durante il colloquio, condensando in una riga il valore di un punto di riferimento educativo che sappia accogliere le difficoltà, valorizzando le risorse di ognuno.

Una scuola mostruosa

Spilungo-Frankie, Stecco-Lecco e Fagiolone gigante sono solo alcuni degli spiacevoli nomignoli che Frankie, bambino piuttosto alto e magro, si sente affibbiare ogni giorno a scuola. Le giornate in classe sono tutte una presa in giro e  farsi un amico gli appare un’impresa pressoché titanica. Che fare? Mamma e papà hanno una soluzione a dir poco insolita: iscriverlo per qualche tempo a una scuola di mostri! Potrebbe sembrare strambo, in effetti, ma gli insegnamenti dei professori Paletto, Furioso, Conte Fantasmino e Ombra regaleranno a Frankie la possibilità di farsi notare e apprezzare dai compagni che prima lo snobbavano. Chi l’avrebbe detto che due denti insanguinati, un muso peloso,una testa svitata e muri attraversati potessero rivelarsi così utili per fare amicizia?

Con un racconto leggero e divertente, Jeremy Strong prova e invita a ridere della paura e a trovare soluzioni creative alle difficoltà di socializzazione che spesso affliggono i bambini (ma anche i grandi). La sua storia, inserita da Sinnos all’interno della collana ad alta leggibilità leggimi! a colori, costituisce un incentivo alla lettura basato sul sorriso anche per lettori non troppo esperti o con difficoltà. In più, quasi tre le righe, si legge in questo libro del valore dell’amicizia tra maschi e femmine – spesso bistrattato o oggetto di pregiudizi – che non fa male e anzi qui dà una bella spinta alla narrazione. Nella piccola (di statura) Molly, il giovane Frenkie troverà infatti un’alleata, un’amica e una spalla tosta come poche se ne scovano in giro!

 

Settestella

Settestella è – come anticipa il nome – una stella un po’ particolare che di punte ne ha sette invece che cinque. Caduta dal cielo in mare, la stella perde le sue punte ma trova diversi amici, tra cui animali marini e terrestri, oggetti naturali e agenti atmosferici, che riconoscono la sua unicità e le fanno doni capaci di renderla ancora più speciale. La protagonista diventa così “una stella di pinna, di foglia, di ago, di baffo, di piuma, lancetta e bastone”, incarnando l’arricchimento che l’incontro con l’altro può regalare.

Dario Moretti, autore e illustratore del volume, opta per immagini interamente realizzate in cartoncino rigido, sfruttando giochi di spessori, vuoti e pieni, rilievi e incisioni. Il risultato è una carrellata di immagini tattili  piuttosto semplici nell’aspetto ma non agevolissime da esplorare al tatto (penso per esempio al gufo, la cui forma non è così intuitiva e i cui dettagli interni non sono così marcati), piacevoli soprattutto per chi può godere anche della vista. Prive di dettagli superflui, queste accompagnano un testo poetico ed essenziale, trascritto sia in nero sia in Braille.

Ultimo di una collana preziosissima di libri tattili editi dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi grazie al sostegno di Enel Cuore, Settestella verrà distribuito in centinaia di copie gratuite a biblioteche, associazioni ed enti che hanno aderito al progetto A spasso con le dita. Il libro condensa bene i temi della diversità, dell’identità e della partecipazione che la Federazione ha fatto propri negli ultimi anni e sviluppato anche attraverso la mostra itinerante di tavole tattili Le parole della solidarietà, in cui sono stati coinvolti più di 10 artisti italiani.

E riprese a volare

Nato dalle mani abili de L’albero della speranza alla fine del 2015, E riprese a volare racconta di un passerotto triste e inizialmente incapace di librarsi nel cielo che vive rassegnato e solo a terra fino a quando un amico non gli mostra un’occasione di riscatto e l’amore non gli offre la possibilità tanto attesa di tornare a volare. Costruito, come nella miglior tradizione della casa editrice di Ivrea, con doppio testo – nero e Braille – e illustrazioni al 100% esplorabili con le dita, il volume è adatto a un pubblico di giovanissimi lettori, anche privi di una grande esperienza in fatto di decodifica tattile.

Ci sono dentro il libro, è vero, i temi importanti della solitudine, dell’amicizia e dell’amore ma il racconto – non dei più entusiasmanti in  definitiva –  non tiene il passo di illustrazioni invece accurate in cui si vede profuso un grandissimo impegno. La loro semplicità e piacevolezza – si pensi, a titolo d’esempio, al sofficissimo piumaggio dei protagonisti, alle fronde realmente penzolanti del salice piangente o alla dura liscezza delle uova – rende il volume particolarmente fruibile in caso di disabilità visiva e altresì attraente per quei bambini che trovano nella manipolazione di superfici particolari, e morbide soprattutto, stimoli positivi e preziosi.

Le avventure di Lester e Bob

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Fate largo, sono in arrivo due personaggi illustrati a dir poco irresistibili! Usciti direttamente dalla penna di Ole Könnecke, Lester e Bob sono due amici davvero bislacchi: un papero con un certo savoir faire e un orso pacioccone re delle torte al forno. Il loro approccio alla vita non potrebbe essere più divergente – egocentrico e sicuro il primo, low-profile e accomodante il secondo – e proprio da questa divergenza nasce l’ilarità degli sketch cui i due danno vita e la vitalità della relazione che li unisce.

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Che sia nel bel mezzo di una partita a bocce con dei coccodrilli o in preparazione di una serata di gala, di ritorno da un giro del mondo o in piena costruzione di volatili di neve, i battibecchi, gli scambi di opinioni, le battute e le trovate dei due animali sanno lasciare spiazzati, sorridenti e di buonumore.

Nelle loro sono avventure, minimal e surreali, la stramberia è all’ordine del giorno e l’amicizia finisce sempre per trionfare. Senza moralismi o forzature, però – si badi bene – ma per il solo e invincibile potere di una torta al cioccolato o di una maschera del buonumore. L’autore ha infatti questa rara abilità nel raccontare storie a misura di bambino che danno rilievo ai sentimenti passando attraverso le cose concrete. Qui, in particolare, l’anatra e l’orso sono protagonisti di quadretti gustosi e concisi – perfetti per stuzzicare senza appesantire – che si vorrebbe potessero avere un seguito ancora molto lungo, lunghissimo.

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Le avventure di Lester e Bob fa parte della collana ad alta leggibilità Leggo già di Beisler, inaugurata dall’altrettanto surreale volume Lupo e cane. Insoliti cugini. Il libro di Ole Könnecke fa però uso del font specifico per dislessia in formato maiuscolo, che calza a pennello sulle storie narrate e sul target più giovane cui queste si rivolgono.

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The big swim. La grande prova

Presentatosi ai lettori i italiani con La strana collezione di Mister Karp (finalista del premio Andersen 2014), Cary Fagan torna a farsi notare con un nuovo libro ad alta leggibilità destinato ad un pubblico analogo o di poco più grande. Pubblicato con la consueta attenzione alle esigenze di lettori con dislessia dalla Biancoenero, The big swim. La grande prova racconta di un’estate a un campo estivo per ragazzi, così come vissuta dal protagonista Ethan.

Timido e poco predisposto a farsi notare, Ethan cerca dapprima di mantenere un basso profilo e non farsi dei nemici ma scopre pian piano di potersi spingere più in là, trovando compagni che lo apprezzino, occasioni per mettersi alla prova e coraggio per mostrare i propri talenti e per esternare i propri sentimenti. La settimana di campo estivo diventa così per lui una piccola ma intensissima esperienza di crescita, con compagni di avventura che val la pena di scoprire a fondo e possibilità di toccare da vicino l’emozione palpitante e contrastante dell’adolescenza che bussa alla porta. La stessa palpitante e contrastante emozione che si prova, forse, a cimentarsi in piena notte, con la Grande Traversata a nuoto verso l’isola di Downing…

 

Officina Millegiri

Sono tante e sfaccettate le storie a due ruote che si intrecciano in questo fumetto: una moltitudine di personaggi, epoche, panorami, contesti, vicende ed emozioni si fanno largo a suon di pedalate. È proprio la passione per le biciclette dei suoi protagonisti – dall’aggiustatutto al corridore, dall’orsa equilibrista al ciclista acchiappanuvole, dalla band a pedali al tifoso sfegatato – a fare da filo conduttore a un fumetto che dice tra le curve di sogni, amori, progetti e amicizie.

Le parole sono scelte dal cantante dei Tête de Bois Andrea Satta e trovano forma visiva nella matita di Eleonora Antonioni (anche se è proprio da quest’ultima che l’idea di portare tante biciclette in un solo libro è partita). L’incontro tra le due voci è ben calibrato e non scontata: tale insomma da lanciare un amo insolito a lettori adolescenti, soprattutto se amanti delle corse in velocità.

La brevità delle storie, unita alla consueta attenzione di Sinnos per l’alta leggibilità (qui applicata al genere del fumetto grazie alla font leggimi graphic), rende Officina Millegiri particolarmente fruibile anche da parte di giovani lettori poco a proprio agio tra le pagine fitte.

La freccia azzurra

La freccia azzurra è un mezzo più che speciale: un treno magico sul quale i giocattoli si animano e prendono iniziativa, dirigendosi in autonomia dai bambini meno abbienti. Grazie al buon cuore e al coraggio di personaggi come il capitano Mezzabarba o il cagnolino di pezza Spicciola, anche bambini come Francesco possono così vivere un’epifania serena e allietata da uno spirito di gioia e condivisione.

Mossa da un potente e chiaro intento egualitario – lo stesso che spesso emerge con forza dalle opere rodariane – La freccia azzurra racconta di un’infanzia d’altri tempi in cui forse desideri e sogni erano un po’ più sudati ma che a tutt’oggi smuove emozioni nei piccoli lettori.

Una delle storie più amate di Gianni Rodari trova in questa versione audio realizzata da Emons nuova vitalità. Pacata e avvolgente, la voce esperta di Ascanio Cestini offre un valore aggiunto a un racconto che è un grande classico, garantendone un piacevole accesso anche a bambini con difficoltà visive o di decodifica del testo.

Harry Potter e la pietra filosofale

Primo capitolo di una saga che ha conquistato grandi e piccoli lettori in ogni angolo del mondo, Harry Potter e la pietra filosofale ha spalancato le porte alla costruzione di un immaginario comune ben radicato e fertile. Da lì in avanti, le avventure di Harry, Ron, Hermione e della miriade di personaggi corollari nati dalla mente geniale di J.K. Rowling hanno iniziato a popolare fantasie, discorsi e ricordi che diventano oggetto di condivisione e confronto tra pari. Per questo appare particolarmente importante rendere accessibile questo patrimonio anche a ragazzi con disabilità, così che la ricchezza narrativa contenuta nella penna dell’autrice non sia per loro esclusivamente ridotta alle pur apprezzatissime versioni cinematografiche.

Ecco allora che gli audiolibri Salani, che propongono una registrazione del testo, interpretato da voci solide e capaci (qui quella di Giorgio Scaramuzzino è una garanzia!), vengono incontro a questa precisa esigenza offrendo a lettori con disabilità visiva, con disturbi specifici dell’apprendimento, con necessità di leggere e al contempo fare altre cose o con predilezione per il racconto orale, la possibilità di godere delle vicende di Hogwarts al pari di un lettore tradizionale. Già uscito nel 2008 in formato audio (inciso perciò su un numero consistente di Cd, addirittura 8!), la prima avventura di Harry Potter viene ora riproposta in formato MP3 che ne snellisce e rende più fruibile l’ascolto.

Le avventure di Tom Sawyer

Sono avventure con la A maiuscola quelle che Marc Twain confezionò nel 1976 e che cucì intorno al personaggio di Tom Sawyer. Avventure che si dipanano lungo il fiume Mississippi e che vedono protagonista un ragazzo intraprendente ed esuberante dedito a una vita spericolata in cui tesori, cadaveri, grotte misteriose non mancano. Per i primi 140 anni di questo libro che ha solletico e solletica le menti affamate di storie avvincenti, Biancoenero lo ripubblica, in versione ridotta e semplificata, all’interno della collana Raccontami.

L’alta leggibilità, che da sempre contraddistingue la produzione della casa editrice romana, non beneficia qui solo di un font specificamente messo a punto per chi ha problemi di dislessia, di un’impaginazione più spaziosa, di righe irregolari che seguono il ritmo del racconto e di una carta color crema ma anche di un adattamento del testo a cura di Giulia Avallone che privilegia scelte sintattiche e lessicali più fruibili rispetto al testo originale. Il libro è inoltre accompagnato da un CD MP3 che offre al lettore, con o senza difficoltà, di scoprire le avventure di Tom Sawyer anche attraverso l’ascolto

Melody

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Trascorrere i primi 11 anni della propria vita senza poter esprimere una sola parola: questa è la dura, durissima, esperienza di Melody, costretta in sedia a rotelle e al silenzio perenne da una tetraplegia spastica. Ma a dispetto delle apparenze, il suo cervello funziona alla grande e le parole animano prepotentemente la sua vita interiore. Non tutti sono in grado di accorgersene, tuttavia – specialisti e insegnanti in primis – ed è solo grazie alla tenacia, alla pazienza e alla fiducia dimostrate dai genitori e da un’affettuosissima vicina di casa che Melody può tenersi al passo con l’apprendimento dei coetanei e maturare come qualunque preadolescente, sviluppando gusti estetici, letterari, musicali quant’altro. Ed è l’arrivo di un facilitatore della comunicazione che rivoluziona davvero la sua vita consentendole da un certo punto del racconto in poi di relazionarsi con chi le sta intorno, di partecipare attivamente alle lezioni scolastiche e di dimostrare di poter far parte della squadra che parteciperà a The Annual Whiz Kids Quiz Competition. Piccole grandi conquiste – come poter esprimere sentimenti, tessere amicizie e dimostrare le proprie capacità – segnano da quel momento la vita di Melody, senza risparmiarle tuttavia le conseguenze di un’ignoranza e di pregiudizi ben radicati che molto, troppo spesso circondano l’handicap.

Dentro Melody si percepisce tutta la sensibilità e l’esperienza personale di Sharon Draper, autrice, insegnante e mamma. La scrittrice americana riesce infatti a far risuonare nell’espressione computerizzata della protagonista la voce di tanti bambini e ragazzi reali che cercano ogni giorno un modo di riscattarsi ed esprimersi. Melody racconta con una lucidità e un’emozione rare la difficoltà di relazionarsi con il mondo quando la parola viene a mancare, la gioia di dare finalmente voce a un ricchissimo pensiero e la frustrazione di vedere la propria disabilità non circoscritta ad alcuni aspetti – nel caso della protagonista il movimento e la parola – ma automaticamente estesa all’intero funzionamento umano. La forza di questo romanzo, toccante, coinvolgente e ben scritto, sta proprio nel mettere il lettore a confronto con interrogativi, emozioni e preconcetti magari sommersi che capito spesso, anche involontariamente di mettere in atto, invitando a coglierne l’irrazionalità e l’insensatezza. Dando voce a un’interiorità autentica in presa diretta, inoltre, Melody sa coinvolgere il lettore al di là del tema della disabilità, perché dà modo di vedere la persona sotto e prima del suo handicap, perché tocca corde profondamente umane e perché fa vivere sentimenti ed esperienze che riguardano chiunque di noi. E questo, forse, fa del lavoro di Sharon Draper un piccolo gioiello che ha il sapore persistente della letteratura con la L maiuscola.

Il libro di Christopher

I lettori che hanno amato Wonder non faticheranno a ricordare il personaggio di Christopher: l’amico d’infanzia di Auggie che cresce fianco e fianco a lui fino a quando un trasferimento non prova ad allentare le maglie della loro amicizia. In questo nuovo volume scritto da R.J. Palacio Christopher diventa voce e protagonista del racconto. Messo a dura prova dalla separazione dei genitori, il ragazzo affronta al contempo il primo anno di scuola media, con i suoi alti e bassi, i suoi fallimenti e i suoi successi. Il testo riporta episodi già narrati nel romanzo capostipite della serie, qui ripresi da un’altra prospettiva, ma presenta anche e soprattutto una nuova esperienza di vita (quella di Christopher, appunto) in cui Auggie non manca di comparire con una certa regolarità e con un ruolo infine decisivo.

Il libro è insomma abbastanza autonomo quanto alla trama rispetto a Wonder, anche se senza quest’ultimo perde senz’altro di senso e compiutezza. Il libro di Christopher, così come quello già uscito di Julian e quello in uscita di Charlotte, nasce infatti per rendere conto di un punto di vista diverso rispetto a una medesima situazione di diversità, incarnata da Auggie. Il punto di vista di Christopher, in particolare, è quello dell’amico di sempre che cresce accanto a Auggie, imparando con naturalezza a convivere con la sua difformità e scontrandosi, una volta cresciuto, con l’incapacità altrui di guardare oltre le apparenza. Oltre a essere un libro che sottolinea il valore della vera amicizia, anche a distanza, Il libro di Christopher offre quindi ottimi spunti per riflettere con i ragazzi sull’importanza di un’educazione consapevole allo sguardo.

Il deserto fiorito

Squadra che vince non si cambia. Così, dopo la pubblicazione de Il puzzle di Matteo – albo dedicato alla Sindrome di Prader Willi – Luigi Dal Cin e Chiara Carrer tornano a raccontare una sindrome rara, attraverso parole ben scelte e immagini toccanti.

Il deserto fiorito mette in luce, in particolare, le caratteristiche della sindrome di Angelman e lo fa attraverso la figura di Davide, un bambino affettuoso che non può parlare ma ha imparato come esprimersi e farsi capire con altri mezzi: primo fra tutti il contatto fisico. A incontrare per caso questo bambino dai modi insoliti e farsi illuminare dalla sua spontaneità è Madame Sahara, una donna inaridita e abituata ormai a etichettare ogni persona seconda precisi canoni. La differenza di Davide la costringerà tuttavia a riscoprire il valore della differenza e a riconoscere l’insensatezza di qualsivoglia tentativo di classificazione umana univoca.

Il libro, pubblicato da Kite editore su iniziativa dell’Associazione Uniti per Crescere onlus fa parte di una collana che porta il nome dell’associazione stessa e che mira a far conoscere alcune sindromi rare e a ridurre così il senso di smarrimento e diffidenza che, nella realtà quotidiana, esse tendono a generare. Tra queste pagine la divulgazione va dunque a braccetto e spesso prende il sopravvento sulla fantasia, privilegiando la chiarezza della spiegazione rispetto all’acrobazia dell’invenzione.

Pinocchio (ed. Erickson)

Nasce dai tipi di Erickson una collana che si propone di rendere più ampio l’accesso ad alcuni testi fondamentali della nostra tradizione per l’infanzia. Capofila, in questo senso, è il volume dedicato al capolavoro collodiano Pinocchio. Il lavoro fatto dai curatori al fine di rendere il testo più fruibile e largamente condivisibile, anche da parte di chi sperimenta difficoltà di lettura, di attenzione e di decodifica sintattica, si basa su un’attenta semplificazione, non tanto della trama, che mantiene qui invariati i suoi episodi chiave – dal teatro dei burattini alla prigione, dall’avventura in mare al Paese dei Balocchi – quanto del testo che risulta contraddistinto da espressioni più comuni, frasi meno articolate, forme verbali attive e soggetti esplicitati.

La semplificazione testuale non è tuttavia l’unica accortezza messa in campo per aumentare il grado di accessibilità del racconto di Collodi. Questa operazione passa anche infatti attraverso l’evidenziazione e la spiegazione degli elementi lessicali meno noti, la sintesi dei capitoli, la registrazione audio del testo (che l’editore sceglie di non incidere su cd ma di rendere scaricabile tramite QR code o passaggio sul sito) e l’aggiunta di illustrazioni poco elaborate ma eloquenti. Frequenti, ben integrate con il testo e indispensabili per identificare i protagonisti e tenere il filo della narrazione, queste mettono bene a fuoco i momenti salienti della storia.

Sia Il piccolo principe sia Pinocchio sono curati da Carlo Scataglini, insegnante e autore di numerosi testi tra cui figura anche Adattamento dei libri di testo. Semplificazione progressiva delle difficoltà, edito dalla stessa Erickson. Il volume (138 pagine, 24,90 €) mette in luce i principali ostacoli di comprensione testuale in cui si imbattano alcuni allievi, soprattutto (ma non soltanto) in caso di disabilitadattamento dei libri di testoà cognitive e difficoltà di concentrazione. A partire da queste considerazione, gli autori (insieme a Scataglini figura anche Annalisa Gustini) provano a individuare ed evidenziare alcune strategie di adattamento dei testi che ne consentano un accesso più ampio e paritario, e di conseguenza inclusivo. A seguire, nella parte più corposa del libro, vengono proposti alcuni esempi di analisi delle difficoltà citate, ma anche di evidenziazione, schematizzazione, ristrutturazione e riduzione di testi adatti a classi diverse dalla terza elementare alla terza superiore e afferenti a materie diverse (dalla storia alla geografia, dalle scienze alla narrativa). Il libro può fornire quindi utili spunti a insegnanti di scuole di diverso ordine e grado che con sempre maggiore frequenza si trovano di fronte alla necessità di personalizzare e rendere più accessibili determinati contenuti didattici.

 

 

Nel paese delle parole

L’idea che sta alla base della collana Tandem è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Nel Paese delle parole protagoniste sono proprio queste ultime. Nel primo racconto (L’albero delle parole) Federico e Tommaso scoprono che poche semplici parole possono condurre l’immaginazione molto lontano, facendo inventare persino mostri puzzoni che si nascondono nelle tane buie. Nel secondo racconto (Il ladro di parole) gli stessi protagonisti si imbattano davvero in una creatura fantastica: non si tratta però di un mostro puzzone bensì di un bizzarro folletto mangiaparole. Famelico e astuto, questi ruba le parole più ghiotte prima che le persone riescano a pronunciarle ma dopo un primo momento di smarrimento, i bambini trovano un’ingegnosa soluzione che  non solo sfama il folletto ma migliora anche la loro padronanza lessicale! I racconti firmati da Lodovica Cima – un vero inno al potere nutritivo e fantastico della parole, in pieno stile rodariano –  invitano con garbo a giocare con le parole e trovano qui un delicato accompagnamento nelle illustrazioni di Chiara fiorentino.

Un pesce sull’albero

Non è facile per Ally: scuola nuova, compagni nuovi, professori nuovi e, come se non bastasse, quell’insopportabile sensazione di essere diversa dagli altri, stupida forse. Gli sforzi che la dodicenne fa per eguagliare i compagni in fatto di lettura e scrittura non trovano infatti un’adeguata soddisfazione (“Se cercare di leggere servisse a qualcosa – dice a un certo punto – sarei un genio”), tanto che Ally arriva più di una volta a un passo dal gettare la spugna. A remarle contro, almeno inizialmente, ci sono un’insegnante e una preside incapaci di leggere realmente il suo disagio e dei compagni di classe che, poco guidati ad accogliere la diversità, scivolano facilmente nella presa in giro. A casa, d’altro canto, il morale non si solleva granché: il fratello di Ally le manifesta un affetto enorme ma manca concretamente degli strumenti per aiutarla, la mamma riconosce i sui pregi e cerca di contenere i suoi insuccessi ma non ha molto tempo da dedicarle e il padre, pur amorevole e gran punto di riferimento, è fisicamente lontano per via di una missione militare. Tutti i venti paiono insomma soffiarle contro, almeno fino a quando la signora Hall non viene sostituita da un nuovo insegnante – il signor Daniel – strenuamente deciso ad aiutare i talenti di ciascun allievo a emergere. Inizia così per Ally un anno scolastico rivoluzionario in cui sperimentare nuove attività, in cui costruire amicizie autentiche e in cui scoprirsi e rivalorizzarsi. Intorno a lei ruotano moltissimi personaggi – compagni e familiari soprattutto – di cui Lynda Mullaly Hunt offre fin dalle prime pagine una rappresentazione eloquente (capiamo fin dall’inizio, insomma, da chi guardarci le spalle e in chi riporre invece fiducia). Quello dell’autrice è un tocco suggestivo che dipinge dapprima pochi tratti essenziali e dettaglia poi col tempo, offrendo un quadro chiaro fin da subito ma invogliando anche a riconoscere che dietro ogni persona – piacevole e antipatica che sia – si nasconde una storia che val la pena scoprire prima di emettere giudizi definitivi.

Dalla sua penna esce un ritratto illuminante non solo dei personaggi che entrano in campo ma anche e soprattutto del problema che affigge fin dalle prime pagine Ally e che segna in qualche modo lo sviluppo del racconto. Mirabile è la maniera chirurgica in cui Lynda Mullaly Hunt disseziona e restituisce i sentimenti della protagonista di fronte alla squilibrata bilancia sforzi-successi della sua vita e al profondo senso di inadeguatezza (parola chiave che forse ben condensa il preciso focus del libro) che la dislessia le provoca, arrivando a minare la stessa capacità di desiderare. Con spunti interessanti sulla vergogna provata (che può portare a preferire l’apparire cattivi piuttosto che stupidi), sul sentirsi soli (cosa che ben si distingue dall’essere solitari) o sull’enorme potere riconosciuto alle parole (che come le uova vanno trattate con prudenza, “perché nessuna delle due cose può essere riparata”) , Un pesce sull’albero appare un prezioso concentrato di riflessioni sui disturbi specifici dell’apprendimento e sui vissuti che ad essi si associano: un piccolo saggio, insomma, nascosto in un bellissimo romanzo, che molti insegnanti e operatori troverebbero utile per la loro professione.

L’autrice riesce a costruire questo effetto, ricorrendo tra le altre cose a un uso efficace e ricorrente di immagini e metafore, come quella della moneta con un’imperfezione che vale più di una perfetta o delle farfalle che non volano in modo lineare cime gli uccelli ma va un po’ di qua e un po’ di là. Questa precisa scelta stilistica, mantenuta per l’intero corso del racconto, contribuisce a rendere incisiva la narrazione, rinvigorendo l’effetto coinvolgente già dovuto ad alcuni personaggi memorabili e ad una rara lucidità esplorativa di argomenti complessi. Si capisce chiaramente, prima ancora che l’autrice lo espliciti in terza di copertina, che le pagine trasudano un vissuto personale, che c’è consapevolezza e competenza tra le righe. Non solo, il libro guadagna credibilità anche dall’inserimento della dislessia in un contesto scolastico variegato, in cui le difficoltà e le diversità sono tante e differenti. La classe di Ally è in qualche modo una classe reale, dove c’è chi mangia in mensa grazie al contributo della scuola, chi fatica a mantenere la concentrazione, chi ha origini straniere, chi ha a che fare con i bulli e chi, appunto, ha difficoltà con la lettura.

In questo contesto, ciò che rende esemplare e straordinario un professore come il signor Daniels – vera figura chiave del romanzo, che tanto felicemente esprime il bisogno di maestri pazienti, caparbi e lungimiranti – è la capacità di riservare un occhio di riguardo a ogni allievo e alle sue specificità, di dedicare la giusta attenzione a ogni situazione e di cercare la strategia più adeguata per supportarla. Così, il professor Daniel insiste perché Ally si cimenti in un corso di scacchi che le renda chiaro il suo modo di pensare fuori dagli schemi, concorda con Oliver un segnale segreto per ricordargli di non farsi travolgere da parole e pensieri, e più in generale riserva una parola di incoraggiamento per ognuno dei “suoi fantastici”. Ecco, forse della parola “fantastico” il signor Daniels fa un uso un tantino eccessivo ma val la pena di perdonarlo. Irresistibile e travolgente è infatti il suo modo di fare, tanto che a stento si può resistere al desiderio di averlo (o averlo avuto) come insegnante. In lui ritroviamo prima di tutto la figura di un educatore – colui che ex-duce, che tira cioè fuori dai suoi alunni la loro personalità, la fiducia in loro stessi, la consapevolezza delle proprie capacità, dei propri limiti e del proprio “funzionamento”, piuttosto che limitarsi a ficcare nozioni dentro le loro zucche.

Ciliegina sulla torta, come gli altri volumi della collana in cui è inserito, Un pesce sull’albero è pubblicato ad alta leggibilità così da risultare più fruibile anche in caso di dislessia. Così come la serie di Hank Zipzer (peraltro ormai divenuta un classico in America e citata dall’autrice nel libro, creando un simpatico e involontario gioco di rimando interni per la casa editrice Uovonero) anche questo volume impiega un Verdana modificato (leggermente più piccolo rispetto ai libri di Lin Oliver e Henry Winkler, come si conviene ai lettori delle medie cui il libri principalmente si rivolge), una carta avoriata, una spaziatura maggiore e un’assenza di giustificazione testuale. Tutto questo contribuisce a fissare la lettura e a renderla meno ballerina agli occhi di chi come Ally si chiede “come faranno gli altri a leggere lettere che si muovono?”. Mai collana fu in qualche modo più azzeccata di questa delle Abbecedanze (il cui sottotitolo è per l’appunto: Quando le lettere non vogliono saperne di restare ferme, possiamo imparare a danzare con loro), per un libro che sulle lettere che “sembrano scarabocchi danzanti”, ha costruito un racconto davvero significativo.

La gara delle coccinelle

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All’inizio è una doppia pagina quadrata, pulita, ampia e di un  bianco abbagliante. Sui due margini laterali una linea di partenza e una di arrivo, sul lato sinistro uno schieramento di buffe coccinelle dalle forme, dalle tinte e dalle dimensioni diverse e realistiche. Tutto è statico, immobile. Pare di sentire l’attesa trepidante per il fischio o lo sparo d’inizio. Poi si gira pagina e la gara anticipata dal titolo finalmente inizia. I partecipanti che superano il nastro iniziale – ben più numerosi di quelli inizialmente visibili – invadono via via lo spazio bianco, chi ad ali spiegate e chi no, chi ingranando la quarta chi restando nelle retrovie. La corsa prosegue, caotica e brulicante, per alcune pagine fino a quando qualcosa di davvero strambo non accade. Come di fronte un muro magico – a metà tra il binario 9 e 3/4 di Harry Potter e il limite della trilogia di Suzy Lee – la baraonda di corridori prima si ammassa e poi scompare.

Che ne sarà stato di loro? Il lettore è a questo punto stupito e perplesso almeno quanto l’unica coccinella che invece riesce a passare nel lato destro del libro. Con lei vive momenti di esitazione e disorientamento ma anche la sorpresa dell’azione risolutiva su cui val la pena di non dire molto altro per non guastare il piacere della lettura!

E’ un piacere , questo, che si nutre di un’attenzione mirabile per i dettagli, di un ritmo narrativo che segue una curva ascendente prima e discendente poi, con un picco di reale congelamento centrale, e di una sfida immaginativa e deduttiva costantemente rilanciata al lettore. Leggere La gara delle coccinelle è infatti come accettare una sfida di scacchi: a ogni pagina occorre studiare con cura la situazione, prendersi il tempo di scovare cosa è cambiato rispetto alla pagina precedente, fare ipotesi su cosa potrebbe essere accaduto e su cosa potrebbe accadere in seguito e infine avanzare. Ma occorre anche ritornare sui propri passi, rivedere le proprie posizioni e rilanciare una strategia interpretativa sulla base di nuovi indizi.

Nel panorama (fortunatamente) sempre più vasto e variegato si albi senza parole, stuzzicanti anche che per chi fa a pugni con la parola scritta, quello di Amy Nielander è davvero originale e intelligente oltre che esteticamente curato e graficamente ipnotizzante. Non solo il lettore – più o meno giovane – può dedicare un lungo e piacevole tempo scoprire somiglianze e differenze tra le innumerevoli coccinelle che popolano le pagine e sorridere dell’uso narrativo che l’autrice fa dell’oggetto libro e dei suoi componenti (margini, pagine e linee di separazione) , ma può trovare un’occasione ghiottissima per condurre una lettura a più voci, in cui ci si confronta, ci si riconosce spiazzati, ci si pone interrogativi (a cui non sempre il libro fornisce risposte univoche), ci si diverte a vedere realizzate o smentite le proprie supposizioni. Il libro è insomma un gioco di rara arguzia per gli occhi e per la testa, che celebra l’importanza della cooperazione grazie al coinvolgimento estetico, narrativo e immaginativo del lettore stesso. Ben fatto davvero!

 

Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico

Dalla Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare in avanti, le amicizie improbabili tra animali costituiscono un terreno particolarmente felice per Luis Sepulveda. Anche in Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, come si può facilmente dedurre fin dal titolo, protagonisti sono due bestiole normalmente antagoniste. La prima è un vecchio gatto cieco di nome Mix, cresciuto insieme al suo padrone Max fin da quando entrambi erano piccini, e ormai dedito a ciondolare tristemente per casa per via della mancanza della vista. La seconda è un topolino furbo e logorroico di nome Mex che cerca di rubacchiare nella dispensa presidiata da Mix. A dispetto di quanto consuetudini e manuali di zoologia ci abbiano insegnato, i due si conoscono e diventano inseparabili compari trovando ciascuno una forma di arricchimento nell’altro fatta di una quoptidianità condivisa e di regali straordinari: mentre il topo consente al gatto di ritrovare immagini perdute del mondo esterno, il gatto conduce il topo in avventure mozzafiato su per i tetti.

Della bella storia di amicizia, dalla chiama morale sulla diversità e sul superamento dei pregiudizi, Salani propone sia la versione cartacea sia la versione in audiolibro. Quest’ultima, letta dal doppiatore Dante Biagioni, allarga le possibilità di fruizione anche in caso di DSA o disturbi visivi pur rinunciando alle poetiche illustrazioni di Simona Mulazzani. La durata (tre quarti d’ora giusti) della lettura e la piacevolezza del racconto fanno inoltre sì che l’ascolto risulti tutt’altro che pesante anche per chi fatica a mantenersi concentrato.

Blu come me

Blu come me è la storia di un coniglio che blu non è se non per la felpa che indossa (che caratterizza con efficacia la sua giovane età) e l’umore che manifesta (se consideriamo il blu nella sua accezione anglosassone). Il suo folto pelo è in realtà giallo brillante e questo lo rende differente rispetto a tutti i suoi familiari e conoscenti il cui pelo appare invece di un anonimo bianco. Proprio per questo motivo il protagonista si sente diverso e come tale viene da tutti trattato. “Speciale” lo definisce qualcuno, senza rendersi conto che le parole non bastano a dare un volto nuovo alla realtà e prima o poi rivelano la loro natura illusoria (per non dire truffaldina). Ciò che blu è davvero è invece la fogliolina che il coniglio trova un giorno per caso sul suo cammino e che segna la vera svolta nella sua esistenza. Deciso a scoprire da dove provenga, si spinge infatti lungo colline, boschi, rocce e fiumi fino a trovare il sorprendente albero dalle foglie celesti. E’ una sorta di viaggio iniziatico il suo, che si conclude (a dirla tutta forse si apre), quando proprio alle pendici di quell’albero straordinario fa un incontro ancora più incredibile: un coniglio dal pelo giallo brillante tale e quale al suo con il quale condividere giochi, corse e spazi di immaginazione che sappiano per una volta di normalità e che consentano di riacquistare un posto sereno anche in un mondo a prevalenza di conigli bianchi.

Attraverso personaggi dai tratti umani molto convincenti, Blu come me racconta una storia di diversità al contempo schietta e delicata. Il libro non parla certo esplicitamente di disabilità ma le riflessioni che emergono dicono molto bene il disagio di chi vive quotidianamente una situazione di scarto dalla norma e soprattutto subisce l’impaccio di un contesto sociale poco avvezzo a confrontarsi con ciò che esce dai margini. Le parole di Ivan Canu sono ben scelte, posate, profumate. L’erba alta e l’autunno in arrivo, la collina di aceri rossi e e i ciuffi di muschio: tutto prende forma con garbo agli occhi del lettore, grazie a un testo che non sbrodola e che coglie e registra solo ciò che conta. Le immagini di Francesco Pirini, dal canto loro, colgono emozioni e movimenti, alternando il ritmo della scoperta e quello della riflessione. Attraverso dettagli significativi ma lasciati all’occhio attento del lettore – le foto di famiglia in cui spicca un solo coniglietto giallo, un richiamo di tonalità cromatiche che unisce il protagonista in cammino a tutto ciò che nel paesaggio si muove come lui – l’illustratore propone un gioco di contrasti che arricchisce con delicatezza e forza il respiro della storia.

 

Dragon Boy

Un apparecchio ai denti piuttosto vistoso; un problema osseo che implica l’uso sistematico di una stampella, uno scarso equilibrio e una spina dorsale a forma di cresta.; un impianto per compensare un disturbo uditivo: voilà quel che a prima vista è Max Stanghelli, protagonista e narratore di Dragon Boy. Se a questo quadro già di per sè poco invidiabile (uno schifo, più precisamente, direbbe lui) si aggiunge anche che Max è iscritto in prima media (con tutti i rischi, i compagni nuovi e le difficoltà di sopravvivenza che questo comporta), si capisce bene perché il superpotere che più di tutti il ragazzo vorrebbe possedere è quello dell’invisibilità. Invisibilità per sfuggire alle interrogazioni della prof Nicolini, alle prepotenze di Serracchiani e Ronchese e soprattutto alle insistenze della Ferri che lo vuole a tutti i costi nel musical scolastico de Il mago di Oz. Decisa ad attribuirgli la parte del boscaiolo di latta, perché come quest’ultimo Max sembra “fatto di ferro ma in realtà ha un cuore grande”, la professoressa gli sta alle calcagna nel tentativo di convincerlo a prender parte alla recita. Ma per nulla al mondo Max vorrebbe calcare quel palco, finendo osservato e probabilmente deriso dall’intero pubblico.

Il fatto è che si sente perlopiù inadeguato il ragazzo  – quando all’ora di ginnastica viene esonerato dalla lezione per le sue difficoltà fisiche o scelto per ultimo nelle squadre, quando al gioco della bottiglia le ragazze si rifiutano di baciarlo o quando casca negli scherzi cinici dei bulli di classe – tutto il contrario di come appare e di come si deve sentire Dragon Boy, il supereroe di un fumetto che Max trova per caso (prima in un cestino in sala professori e poi nella fessura di un muro vicino a casa) e a cui si appassiona follemente. Dragon Boy è infatti un supereroe coraggioso, forte e ammirato da tutti. Quel che è strano, però, è che le sue avventure richiamano misteriosamente episodi davvero accaduti nella scuola di Max. Per il protagonista, travolto dalla curiosità, questo enigma richiede delle indagini che porteranno ad esiti seriamente inaspettati. Non solo Max sarà stupito nello scoprire chi è il fantomatico autore dei fumetti di Dragon Boy, ma finirà per imbattersi in inattese dichiarazioni d’amicizia e nello scoprirsi più speciale di quanto non si aspettasse. Un ruolo importante, in questa svolta – seppure il testo lo sottolinei scherzando – viene giocato dalla letteratura in generale e da singoli personaggi immaginari: proprio quelli che difficilmente immagineremmo venire in nostro aiuto in caso di bisogno.

Sulla fortunata scia di Diario di una schiappa e del meno noto ma altrettanto significativo Diario assolutamente sincero di un indiano part-time, il libro di Guido Sgardoli segue i pensieri e i resoconti di vita scolastica del dodicenne Max, che fedelmente li riporta all’interno del diario che gli ha regalato sua sorellaDomitilla. Questa forma consente all’autore di regalare freschezza e naturalezza al racconto, cui contribuiscono anche gli schizzi, le cancellature, i disegnini a bordo pagina e i caratteri di varie dimensioni e stili. La capacità dell’autore sta poi nel mantenersi fedele allo sguardo di un ragazzino e di fare dell’ironia un’arma narrativa seducente e potentissima. La maniera in cui Max racconta delle sue disavventure scolastiche fa infatti costantemente sorridere e molto spesso ridere di gusto: quando resta incastrato nella macchinetta delle merendine, tanto per dirne una, è davvero difficile contenersi. Questo contribuisce (più di quanto non faccia, a dire il vero, l’esplicitazione della morale) a togliere alla sua diversità il peso di una condizione verso cui provare una distaccata tristezza e a favorire con leggerezza, invece,  l’empatia e la simpatia da parte del lettore. I fumetti di Enrico Macchiavello,che di tanto in tanto inframmezzano la narrazione, sono dal canto loro gustosi e animano ulteriormente la lettura, strizzando l’occhio anche ai lettori che normalmente non amerebbero un volume come questo, più spesso di un dito

Klaus e i ragazzacci

Che cosa sia la libertà non è facile a rendersi, soprattutto nello spazio ristretto di una cinquantina di pagine. Eppure la penna esperta di David Almond riesce a darcene un assaggio, tanto concentrato quanto importante, all’interno di Klaus e i ragazzacci, un racconto breve pubblicato da Sinnos all’interno della collana ad alta leggibilità leggimi!. Ambientato nell’Inghilterra degli anni ’70, quando la seconda guerra mondiale era alle spalle ma non ancora così lontana e quando la divisione fra est e ovest assumeva un significato politico molto forte, il racconto segue i pomeriggi annoiati di una banda di ragazzini che ammazza il tempo compiendo scherzi e atti vandalici più o meno innocenti.

A promuoverli è soprattutto  Joe, un ragazzo grande e grosso e dai modi prepotenti. A metterli in atto, tra gli altri, è il narratore, un ragazzo combattuto tra il timore di venire rifiutato dal gruppo e la sensazione che quanto fatto non sia davvero giusto. La sua ribellione prende forma fin da quando Joe passa il segno intimando ai suoi di dare fuoco alla siepe del signor Eustace, preso di mira perché obiettore di coscienza durante la guerra, ma fiorisce davvero solo quando in città arriva Klaus, un ragazzo tedesco della Germania Est la cui capacità di prendere posizione diventa un modello positivo e contagioso. Arrivato da solo in Inghilterra (la madre è scomparsa e il padre, un cantante lirico, è prigioniero in un campo di lavoro russo), Klaus è amichevole, impegnato, imbattibile con un pallone al piede ma soprattutto capace di fare tesoro della sua storia personale e familiare e di quella del suo paese. Klaus “cammina e canta e mostra al mondo che è libero”, proprio come gli ha raccomandato il papà, e onora la sua memoria e i suoi insegnamenti chiedendosi il perché delle cose e non piegandosi alla logica dell’arroganza.

La sua è una figura incisiva benché o anzi forse proprio perché condensata in pochi ma significativi quadri. Spedito ma centrato, il libro offre uno spunto interessante non solo per accennare a un periodo storico poco noto au giovani lettori ma anche per dire con una storia intensa che la libertà è preziosa e ciascuno di noi la stringe a suo modo in pugno. Se poi si considera che il volume – per brevità, qualità stilistica e caratteristiche tipografiche – risulta davvero fruibile ad ampio raggio, il goal del rispetto è senza dubbio segnato.

 

 

I fantastici cinque

I superpoteri che si nascondono nelle persone normali sono tanti, diversi e talvolta inaspettati. C’è per esempio chi vede lontanissimo, chi ha un udito davvero fine e chi solleva pesi straordinari, come i primi quattro protagonisti ideati da Quentin Blake: Angela, Ollie, Simona e Mario. E poi c’è chi, come Eric, pensa di non avere nulla di speciale. Timido e impacciato, Eric compare silenziosamente nelle prime pagine del volume  accompagnato da un incerto bofonchiare (“ehm…ehm”) mentre tutti i suoi compagni mostrano capacità straordinarie, persino durante una semplice gita in montagna. Sarà proprio in questa occasione, e in particolare al momento del bisogno  (quando l’autista Big Eddy, forse per colpa dei panini del pranzo, diventa verdastro e tomba a terra svenuto) che Eric scoprirà e farà scoprire ai compagni la sua peculiarità tutt’altro che superflua: quella che lo includerà a tutti gli effetti nel gruppo dei Fantastici cinque e che dice forte al lettore che anche saper trovare le parole giuste al momento giusto, senza sprecarle o distribuirle a vanvera, è un vero talento troppo spesso sottovalutato.

I fantastici cinque è scritto e illustrato dallo strepitoso Quentin Blake noto, tra le altre cose, per aver dato un’insostituibile forma ai personaggi creati da Roald Dahl. Il suo stile è diretto ed essenziale, sia nel tratto che nel discorso, e proprio la combinazione di parole – non una più del necessario – e illustrazioni  – dinamiche e sorridenti –  suggerisce una lettura positiva della diversità, tema trasversale del racconto. Non solo ogni personaggio vanta abilità eccezionali (sottolineate soprattutto a livello testuale, con una prevalenza di verbi come potere e riuscire) ma non nasconde nemmeno le sue eventuali disabilità (dipinte soprattutto a livello iconico,attraverso dettagli significativi ma discreti). Così, per esempio, senza che il testo dica nulla in merito, Mario si sposta sulla sedia a rotelle e Ollie, munito di occhiali scuri, cammina sempre per mano a uno degli amici. Abilità e disabilità vanno insomma serenamente a braccetto impastando un racconto genuino ed efficace. L’idea forte che ne emerge è che talenti e straordinarietà possano celarsi in ognuno di noi: un messaggio chiaro e incisivo che la versione originale del libro condensa bene nel titolo Five of us.

 

Scoperta

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Lo aspettavamo, e molto. Dopo aver letto e trattenuto il fiato di fronte a Viaggio, non vedevamo l’ora di scoprire cosa avesse in serbo Aaron Becker per il secondo volume della sua trilogia senza parole. Autoconclusivo e perciò godibilissimo anche senza conoscere o avere sottomano gli altri pezzetti dell’insieme, Scoperta ci fa ritrovare la coppia di amici formatasi alla fine di Viaggio pronta per sgattaiolare in una nuova impresa dalle tinte accese. Muniti di due preziosi pastelli magici – uno rosso e l’altro viola – i due protagonisti incontrano il lettore durante un temporale cittadino. Le prime pagine (quelle del titolo e dei credits, per intenderci), dove ancora (erroneamente) crediamo di non esserci davvero addentrati nella storia, ce li mostra in corsa sotto le prime gocce  e poi al riparo sotto un ponte di pietra maestoso ma apparentemente insignificante. A ben guardare, sotto una delle volte, si cela  una porta di legno dalla cornice scolpita. La bambina – forse attratta proprio dai decori, forse colpita da un impercettibile movimento di chiave – ce la segnala con lo sguardo: è un dettaglio, quasi impercettibile ma estremamente importante: è quello che ci sommessamente ci annuncia che qualcosa di straordinario sta per succedere. L’avventura inizia.

Impazienti volgiamo la pagina ed ecco che un misterioso re dalla cappa arancione esce di soppiatto proprio da quella porta e consegna ai due ragazzi una mappa, una sorta di cartuccera e un terzo pastello arancione, prima che alcune guardie armate lo costringano a rientrare. La cartuccera si rivela presto essere un portapastelli (non male come idea antibellica, detto tra le righe!) e la mappa, criptica, riporta sei cerchi di sei colori differenti. Il legame tra i due oggetti è forte e si mostra con evidenza lampante qualche pagina più avanti, quando uno zoom sulla mappa lascia scorgere che i cerchi disegnati, uniti da linee colorate, racchiudono paesaggi che chiedono solo di essere esplorati: qui si nascondono, infatti, i tre pastelli mancanti. Ecco allora che i due protagonisti si lanciano alla loro ricerca, sfruttando la più potente arma in loro possesso: l’immaginazione. Con i loro pastelli disegnano ora un paio di pinne, ora un rinoceronte, ora un’altalena volante che li conducono in un mondo sottomarino, in una fitta giungla e infine su una montagna innevata dove l’impresa si compie e l’arcobaleno torna a risplendere… nel regno fantastico come nella città reale.

Se il primo volume della trilogia conquistava a spron battuto per la stupefacente inventiva, questo secondo fa dell’avventura condivisa il suo punto di forza. A ogni pagina è l’immaginazione congiunta dei due amici, che con i loro pennarelli magici disegnano le soluzioni per avanzare, esplorare o salvare la pelle, a consentire lo sviluppo della storia e il chiudersi del cerchio (narrativo e sulla mappa!). Senza fronzoli o moralismi, è semplicemente la forza dell’unione a vincere grazie a un’impresa rigorosamente a due.

E’ un libro travolgente e mozzafiato, Scoperta, un Silent Book con la S e la B maiuscole che fa dell’assenza di parole non un tratto qualunque ma una cifra stilistica precisa e significativa. La magia che Becker svela sotto i nostri occhi nasce infatti da una moltitudine di dettagli che si intrecciano e dipanano con una frequenza e rapidità tale che difficilmente un racconto scritto e fisso potrebbe starvi dietro. E poi ci sono i richiami cromatici, in cui l’autore è un vero talento e che qui rendono protagonisti i toni del viola; le meraviglie architettoniche che si compongono di elementi stratificati e si popolano di personaggi brulicanti; e i rimandi tra le pagine che costruiscono una trama sottesa e trasparente che dona unità e coerenza.  La libertà di movimento e scoperta di tanta ricchezza concessa al lettore dal ricorso alle sole immagini, non solo spalanca le porte a una fruizione allargata della lettura – consigliatissima per esempio a ragazzi delle elementari con difficoltà di decodifica del testo ma pronti e attratti (e raramente accontentati) da narrazioni articolate -, ma consente anche di godere appieno del piacere di assaporazione lenta offerto dal libro.

 

Arturo e l’uomo nero

Da tempo immemore, la figura dell’uomo nero trova spazio nell’immaginario collettivo declinato in molte forme. Quella proposta da Daniela Valente in Arturo e l’uomo nero richiama un uomo selvatico, schivo e apparentemente pericoloso perché come tale lo descrivono innumerevoli leggende e dicerie.  Ingrugnito, collerico e cupo, vive nel folto del bosco nutrendosi di erbe selvatiche e frutti, distante da ogni forma di compagnia e civiltà. Ma il giovane e temerario Arturo, spintosi in mezzo al bosco per vincere una gara di raccolta di funghi, scopre che la realtà può essere diversa da come la dipinge la gente e che dietro comportamenti strani possono semplicemente nascondersi storie di tristezza. Proprio come nel caso dell’uomo selvatico, all’anagrafe Tiberio, che di lavoro riparava biciclette e che aveva scelto la via della solitudine boschiva in seguito al doloroso tradimento di un amico. Incontratolo per caso, Arturo sceglie di non lasciarselo alle spalle fuggendo a gambe levate ma torna anzi più e più volte a cercarlo, da solo e accompagnato, assistendo in prima persona a una sua positiva trasformazione: di fronte al calore dell’amicizia l’aspetto ferino di Tiberio si mitiga, restituendogli un’umanità da tempo dimenticata. Arturo e l’uomo nero è insomma una storia di coraggio: quello che si manifesta avventurandosi in un bosco buio ma anche e soprattutto superando i timori che si fondano su pregiudizi.

Il volume conferma la felice apertura di Coccole Books verso l’alta leggibilità inaugurata dalla pubblicazione di S.O.S. Supplente in arrivo di Isabella Paglia. Il font impiegato sottolinea in maniera marcata, infatti, la distinzione tra le lettere che più frequentemente vengono confuse dai lettori dislessici e si accompagna a una spaziatura maggiore la lettere, parole e righe. Un contributo ulteriore, in termini di accessibilità, potrebbe venire dalla scelta di una carta meno lucide, dalla rinuncia alla giustificazione del testo e dalla concordanza tra gli a capo e la punteggiatura.

Breve storia di un lungo cane

Formato più grande, testo più grande, illustrazioni più grandi: così – all’insegna di dimensioni più consistenti – si presenta la nuova serie ad alta leggibilità di Uovonero (Vi presento Hank) rivolta a lettori alle prime armi. L’effetto è senz’altro rassicurante per i sette-ottenni che si avvicinano alla lettura e che possono trovare nelle avventure del giovanissimo Hank Zipzer uno stimolo spassoso a leggere in maniera sempre più sciolta. Le storie scritte da Lin Oliver e Henry Winkler e qui condensate in pagine più contenute rispetto alla serie base con lo stesso protagonista, hanno infatti il pregio di scorrere veloci e parlare dritto alle orecchie dei ragazzi.

In Breve storia di un lungo cane (intrigante fin dal titolo, bisogna proprio dirlo!) il giovanissimo Hank deve a tutti i costi migliorare la sua pagella scolastica: in ballo c’è la possibilità di far visita al canile e portarsi a casa un cagnolino da accudire e coccolare. Stufo di avere tra i piedi la squamosissima iguana della sorella Emily e desideroso di avere una bestiola tutta per sé, Hank ce la mette tutta per trasformare le insufficienze in voti degni di un eroe scolastico. La motivazione è forte (cosa da non sottovalutare!) ma sarà sufficiente a compensare le difficoltà di lettura che affliggono il protagonista e che sono il motore delle sue più note avventure e disavventure? In questo caso sì! Complice anche una maestra comprensiva e lungimirante che sa valorizzare l’ingegno e la creatività di Hank (diversamente dalla signorina Adolf che qualche anno più tardi casserà in pieno il suo tema vivente sulle Cascate del Niagara), il ragazzo riesce a raggiungere i suoi obiettivi e a portare a casa un adorabile salsicciotto di pelo di nome Cheerio. Da lì in poi la vera sfida sarà mostrarsi davvero responsabile agli occhi dei genitori insegnando al cucciolo come comportarsi fuori e dentro casa, dove guai e imprevisti sono sempre dietro l’angolo

Anche questo libro, come gli altri dedicati ad Hank Zipzer, è stampato ad alta leggibilità ricorrendo a un Verdana modificato, a una carta avoriata e a una spaziatura e sbandieratura particolari. Questo agevola senz’altro la lettura anche in caso di dislessia ma la rende altresì più agevole laddove non ci sia alcun tipo di disturbo. Il testo concorre a questo scopo con frasi perlopiù brevi e non troppo ostiche da seguire mentre le grandi illustrazioni firmate da Giulia Orecchia e sistemate qua e là lungo il testo e in apertura di capitolo contribuiscono dal canto loro a fare del volume un oggetto davvero appetibile e amichevole.

La gita di classe

Le pagine di Moni Nillson, autrice svedese poco conosciuta nel nostro paese ma piuttosto affermata all’estero, sono uno spaccato di vita da ragazzi: La gita di classe, in particolare,  parla la lingua dei ragazzi, ricalca i pensieri dei ragazzi e racconta pezzi di vita dei ragazzi. Accentuando (fin troppo forse per un occhio adulto) questa sintonia con il giovane lettore, l’autrice gli racconta una gita di classe al lago con tutte le aspettative, gli amori, i litigi, i carichi familiari e i guai che questa può portare con sè.

A tenere le fila del racconto, é la penna di Malin che in forma di diario riporta eventi ed emozioni dei giorni al lago, ricavando uno spazio di pensiero privilegiato per ciascuno dei suoi compagni di classe. Le parole, infatti, sono sempre quelle della ragazza ma il punto di vista, capitolo dopo capitolo, sembra passare di mano in mano come un testimone. Così, il lettore viene a sapere qualcosa in più sulla vita e sulla storia delle timida Emelie, del duro Rasmus, della frignona My, dell’insicuro Elliot o della robusta Josefine. Dietro e dentro gli amori giovanili, le piccole bravate, le amicizie altalenanti e i grandi sogni adolescenziali de La gita di classe c’è una moltitudine variegata di  personaggi, dipinti in tutta la loro fragilità, tipica di quell’età di passaggio in cui i richiami all’infanzia si fanno ancora sentire ma il desiderio di sentirsi grandi tende ad imporsi. L’autrice mette in particolare a fuoco, pur senza ricorrere ad ammonimenti e riflessioni esplicite, come amicizie e relazioni possano far cambiare le persone, come gli individui possano risultare più spesso del previsto sorprendenti e come ciascun0 di noi sia il frutto di una storia, spesso difficile da immaginare, che non merita di essere giudicata superficialmente.

Il libro sfrutta un font ad alta leggibilità open source chiamato OpenDyslexic e reperibile online anche dai lettori. Questo contribuisce senz’altro a facilitare la lettura in caso di dislessia benché il ricorso a spaziature e sbandierature mirate avrebbe a sua volta rafforzato questa possibilità. E’ bello in ogni caso che inizino a moltiplicarsi le case editrici attente alla questione dell’accessibilità di lettura. La Qudu, che ha pubblicato La gita di classe, è molto piccola ma disponibile alla sperimentazione. Anche a livello di traduzione, non a caso, proprio il libro di Moni Nillson è frutto di un lavoro di gruppo che ha visto coinvolti ben dodici professionisti.

 

 

Mentre tu dormi

Mentre tu dormi di Mariana Ruiz Johnson è l’albo vincitore del Silent Book Contest 2015. Aprite, sfogliate, fate vostro questo volume e non vi sarà difficile capire le ragioni del riconoscimento. Le immagini dell’autrice argentina contenute nel libro sono a dir poco ipnotiche e raccontano in punta di pennello di un confine labilissimo tra realtà e sogno.

L’albo si apre con un’inquadratura ristretta su un bambino e sulla sua mamma, ripresi con garbo nel rito della buonanotte. Nei loro sguardi c’è attesa e dolcezza e un libro dalla copertina intrigante pare suggellare l’intimità del momento. Qualcosa sta per succedere ma per scoprirlo occorre forse abbandonarsi ai sogni.. è a quel punto, proprio quando il piccolo protagonista chiude gli occhi, che l’inquadratura infatti si allarga – sulla stanza, sulla casa, sull’isolato, sul quartiere, fin sull’intera citta – spalancando lo sguardo del lettore su pagine sempre più ampie e dettagliate. Qui, esseri umani alle prese con faccende quotidiane – una festa, una passeggiata, una mail di lavoro – si mescolano a creature fantastiche dai tratti animaleschi (un coniglio, una volpe, un orso, un cervo, un uccello e un ghepardo) non del tutto estranee all’occhio attento. Sono proprio questi ultimi, a un certo punto, a dominare la scena prendendo il mare e conducendo chi legge in un mondo meravigliosamente surreale. Qui, tra luci e colori strabilianti, hanno luogo folleggiamenti che tanto sanno di ridda selvaggia e anche per questo solleticano ricordi e fantasie di lettori più o meno grandi. È festa grande, a centro pagina. Poi però tutto finisce, la città si sveglia mostrando gli esiti della notte e restituendo alla vista protagonisti più terreni. Il mondo fantastico si è dissolto, ma forse non sarà così difficile ritrovarlo quando calerà di nuovo la sera…

In una canzone dal titolo quasi identico (Mentre dormi) all’albo di Mariana Ruiz Johnson, Max Gazzè canta “Le piume di stelle sopra il monte più alto del mondo a guardare i tuoi sogni arrivare leggeri”. Ecco, è quasi un caso ma la sensazione di leggera felicità che questo albo lascia tra le dita al termine della lettura non potrebbe forse essere espresso meglio..

Piccolo blu e piccolo giallo

A cinquantasei anni di distanza dalla prima pubblicazione di Piccolo blu e piccolo giallo, Babalibri ci fa un vero regalo, tanto più gradito perché inatteso: una rinnovata edizione del capolavoro di Leo Lionni corredata da un audiolibro musicale. Sul Cd allegato al volume si trova infatti una registrazione del testo, interpretato con garbo dall’attrice Anna Bonaiuto  e accompagnato da musiche di Schumann accuratamente scelte.

Questo fa sì che al piccolo lettore sia offerta la possibilità di compiere un’esperienza di lettura nuova, multisensoriale e straordinariamente stimolante: un’esperienza che integra linguaggi diversi in un complesso armonico. Le musiche, disponibili anche per un ascolto separato, accompagnano infatti la lettura assecondandone e arricchendone il ritmo, il senso e la profondità. Le avventure dei due amici blu e giallo che si vogliono così bene da fondersi in un abbraccio verde che scombussola le rispettive famiglie fino al felice riconoscimento finale sono infatti colme di valore emotivo

Come positivissimo effetto collaterale questa iniziativa amplia le possibilità di fruizione di una pietra miliare della letteratura per l’infanzia, accogliendo lettori di ogni età che, per difficoltà visive, neurologiche o intellettive, possono trovare inciampi più o meno grossi nel testo scritto. Un’apertura e un’attenzione che, soprattutto in tempi di censure e restrizioni (da cui lo stesso Piccolo blu e piccolo giallo non è passato indenne), portano un segnale forte di preziosa e colorata vitalità.

Allora non scrivo più

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Margherita è una bambina solare e socievole che ama più di tutto i giochi e le corse in bicicletta con il suo amico Paolo. Ciò che odia più di tutto, invece, è dover scrivere alla lavagna o sul quaderno, perché malgrado si concentri intensamente c’è sempre qualcosa di sbagliato che esce dalla sua penna. Margherita è disgrafica, anche se questa parola non viene mai pronunciata in Allora non scrivo più, e questo – complice una maestra poco preparata – la rende lo zimbello della classe. Margherita subisce così prese in giro e forme di esclusione guidate con furore dalla perfida compagna Daniela. Solo Paolo, anch’egli a suo modo schernito per via di una grossa cicatrice sulla mano, si mostra comprensivo e affettuoso nei suoi confronti a dispetto della cattiveria circostante. Grazie al suo supporto e a una diagnosi finalmente arrivata a scuola che le consente di usare uno strumento come il computer, Margherita riesce infine a trovare la sua dimensione in classe.

Annalisa Strada, con quel suo modo di scrivere pacato e accorto, lascia grande spazio alle emozioni della protagonista, restituendo loro il ruolo cardine che giocano nell’accettazione di un disturbo specifico dell’apprendimento. Aprendo il racconto con la ripresa diretta di un momento di grande imbarazzo e rabbia, dettato dall’incapacità della protagonista di scrivere correttamente una frase alla lavagna,  l’autrice manifesta l’intenzione di sezionare il carico emotivo che una diversità marcata come la disgrafia reca con sé. Indugiando poi sui pensieri di Margherita in diverse situazioni di vita scolastica e domestica,  ha il merito di mettere a fuoco la grande influenza esercitata dal giudizio degli altri (o anche solo l’ipotesi del giudizio degli altri) sul comportamento di chi si sente fuori posto, e di sottolineare come gli adulti – insegnanti e genitori soprattutto – possano fare la differenza affrontando in maniera positiva una difficoltà scolastica molto diffusa.

A fronte di una lettura piacevole e attenta ai sentimenti, rimane l’interrogativo, già avanzato in occasione dell’uscita di Ti volio tanto bene circa la ragione di un’impaginazione ad alta leggibilità che la collana de Il Battello a Vapore limita ai libri che trattano il tema dei DSA. Benissimo – sia chiaro – che questi ultimi possano raggiungere anche chi da dislessia è direttamente colpito, ma ci si chiede se non sia un po’ miope e posticcia questa scelta che lascia presumere un interesse del dislessico per le sole storie che trattano il disturbo. La speranza è che un numero sempre maggiore e sempre più variegato di titoli possa beneficiare di una carattere più friendly così da sancire con determinazione l’interesse ad allargare le possibilità di lettura di bambini con difficoltà.

 

 

Avventura all’isola delle foche

Quando si è abituati a due genitori separati – un papà distratto e una mamma rompiscatole, nella fattispecie – l’idea di trascorrere un’intera vacanza con la propria amica del cuore e con la sua avventurosa famiglia anglo-italiana arriva come una ventata di aria fresca. Aria fresca come quella dell’isola di Texel, a nord dell’Olanda, dove la famiglia Regoli, in compagnia della protagonista e narratrice Teresa, è diretta per un soggiorno rilassante alla scoperta delle splendide foche di Bajkal che proprio lì vivono sfidando l’estinzione.

Ma il viaggio riserva ben altre sorprese alla strana comitiva – formata oltre che da Teresa e dall’amica Maddy, anche dai fratelli di quest’ultima (Anthony il cafone e Mark il solitario) e dai coniugi Regoli (il papà dai tratti vintage e la mamma fan delle uova sode). Sull’apparentemente tranquilla isola delle foche che dà il titolo al volume le due ragazze incappano in un pericoloso affare di rapimenti, bottini e loschi individui. La curiosità, il desiderio di fare colpo sul nuovo amico olandese Georg e la capacità di non farsi ingannare dai pregiudizi consentirà loro di portare a termine una missione da vere eroine ambientaliste.

In poche e scorrevoli pagine, Arianna di Genova (già attiva per i tipi ad alta leggibilità di Biancoenero con Mamma in fuga e Ecovendetta) condensa un’avventura facile da seguire e accattivante per un pubblico di ragazzi in crescita ai cui interessi, atteggiamenti e pensieri l’autrice dedica attenti riferimenti. Le illustrazioni di Sarah Gavioli, dal canto loro, spezzano e vivacizzano la lettura con un tratto minimal e un uso dei bianchi e dei neri che ben si adatta alla narrazione.