La signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi

Quella che vede protagonisti i due fratelli Merle e Moritz è una trilogia avvincente che prende forma in un mondo misterioso in cui reale e fantastico si fondono con sapienza. Dopo La signora Lana e il profumo della cioccolata, Beisler pubblica ora il secondo titolo della trilogia intitolato La signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi e lo inserisce tra i titoli fruibili dal lettore anche in formato audio, grazie all’applicazione gratuita leggieascolta.

In questo secondo episodio, troviamo i due fratelli ancora intenti a interrogarsi sulla vera identità della misteriosa signora Nuvolana Wolkenstein, che da qualche mese fa loro da bambinaia e su cui a scuola circolano inquietanti voci. Al centro delle loro indagini c’è inoltre l’inspiegabile scomparsa dalla biblioteca di casa del raro libro “La signora Lana e il gran teatro del mondo” che alla bambinaia, in qualche modo, sembra essere legato.

Come se non bastasse il loro compagno di classe Sebastian scompare misteriosamente nel nulla ed è mettendosi sulle sue tracce che Merle e Moritz si lanciano in una avventurosa operazione di salvataggio, facendo ritorno a Fanciullopoli. Anche in questo caso il mondo fantastico di cui  il papà  ha tanto ha parlato loro si apre e si chiude ai loro occhi in maniera enigmatica, popolandosi di creature insieme familiari e sfuggenti: aiutanti buoni come la giraffa di legno Fidibus o la volpe Lacrima d’argento, personaggi ambigui come la gatta voltagabbana e esseri insospettabilmente malvagi come gli gnomi Zannaguzza. In mezzo a loro si districano i due bambini, con l’aiuto di strumenti magici sorprendenti come gli ombrellini cinesi sistemati da Nuvolana Wolkenstein sulle loro cioccolate ghiacciate proprio qualche giorno prima. Che ruolo abbia precisamente Nuvolana nei misteri che travolgono Merle e Moritz e nelle loro spedizioni a Fanciullopoli non è ancora dato saperlo: sarà necessario, per il lettore, attendere il terzo e ultimo capitolo della saga per ricomporre un puzzle decisamente coinvolgente.

Avventuroso e con un tocco da brivido che lo rende particolarmente intrigante, La signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi offre una lettura molto avvincente per bambini coraggiosi e amanti delle storie fantastiche. Alla trama suggestiva e alla scrittura calibrata di Jutta Richter si uniscono le illustrazioni dai toni scuri di Günter Mattei, che amplificano l’atmosfera al contempo attraente e inquietante che pervade l’intero libro.

Quest’ultimo va, dal canto suo, ad arricchire l’interessante progetto leggieascolta di Beisler che prevede l’unione della versione cartacea e della versione audio di alcuni titoli. La versione audio è ascoltabile tramite l’app gratuita leggieascolta, messa a punto dallo stesso editore e disponibile per dispositivi Android e iOS. Inquadrando il QRcode che compare sul risguardo di copertina l’app apre infatti l’audiolibro, all’interno del quale il lettore può muoversi con grande libertà. A sua disposizione ci sono in particolare i tasti per scegliere il capitolo da leggere, per far avanzare la lettura di 60 secondi in 60 secondi, per accelerare o rallentare la velocità di lettura, per inserire dei segnalibri o prestabilire un tempo dopo il quale l’audiolibro si spegna automaticamente.

Molto intuitiva nell’uso e curata nella registrazione, l’app che rende disponibile la versione audio del libro segna un passo importante nel lavoro che pian piano alcune lungimiranti case editrici stanno facendo in favore dell’accessibilità. Mettere infatti il giovane lettore nella condizione di poter accedere al testo attraverso porte diverse, che sarà lui a scegliere a seconda delle necessità personali e del momento, concorre in maniera non indifferente a rendere la lettura più agevole e dunque più piacevole.

Il grande Nate e la lista smarrita

Benvenuto Nate! Protagonista di una serie di smilze avventure investigative marchiate USA di gran successo fin dagli anni ‘70, il personaggio creato da Marjorie Weinman Sharmat è approdato in Italia per i tipi de Il Barbagianni editore. Instancabile divoratore di pancake e serissimo conduttore di indagini taglia mignon, Nate è un tipetto ostinato e acuto, il cui sguardo sagace accompagna piacevolmente il lettore nella raccolta di indizi e nella risoluzione di piccoli misteri di quartiere. A commissionare le indagini sono perlopiù amici e compagni: gli stessi che immancabilmente finiscono nella lista dei sospetti interrogati dall’arguto Nate e dal suo fido segugio Fango!

I libri che compongono la collana offrono occasioni di lettura davvero ghiotte per bambini alle prese con le prime esperienze di lettura autonoma. A renderli perfetti per sostenere lettori poco esperti o con difficoltà di decodifica legate alla dislessia, concorrono non solo le caratteristiche di alta leggibilità (spaziatura, sbandieratura e font Easyreading, nella fattispecie) ma anche una sintassi semplice e lineare, uno stile agile e ironico, illustrazioni praticamente a ogni pagina e uno sviluppo narrativo abbordabile sia nella lunghezza che nella struttura. Il bambino si trova cioè di fronte dei libri che sorridono nella forma e che lo fanno sorridere nel contenuto, libri che fin dallo spessore e dall’aspetto della pagina offrono una sfida di lettura che non pare persa in partenza. La speranza è dunque che i numerosi titoli della collana americana vengano man mano tradotti, così come ad oggi è accaduto per Il grande NateIl grande Nate e la lista smarrita e (a breve) Il grande Nate e la falsa pista.

Il grande Nate è il primo volume della collana. Qui facciamo la conoscenza del protagonista, delle sue passioni e del suo professionalissimo metodo di lavoro. Per la prima volta lo vediamo alle prese con un’indagine: quella volta a scoprire che fine abbia fatto il disegno in cui la sua amica Annie ha ritratto l’amato cane Zanna. Saranno necessari interrogatori, scavi, raccolta di indizi e applicazione della teoria dei colori per scoprire che, come nel celebre racconto di Edgar Allan Poe, la soluzione del mistero può essere più vicina di quel che si creda.

Ne Il grande Nate e la lista smarrita il caso è altrettanto complesso. Claude, che agli smarrimenti non è nuovo, chiede infatti a Nate di aiutarlo a ritrovare la lista della spesa che ha perso. Dove l’abbia perduta e cosa ci fosse scritto Claude non sa dirlo con esattezza e per questo a Nate toccano percorsi a ritrovo, il coinvolgimento di testimoni e deduzioni che richiedono un certo fiuto, in tutte le accezioni del termine. A sorpresa sarà la smodata passione di Nate per i pancake a rivelargli la soluzione del caso regalando al lettore un finale (più o meno) appetitoso!

 

La torre fantasma

Ci vuole fegato per avventurarsi nei dintorni della Torre Fantasma. E ancor di più ce ne vuole per farlo di notte. La torre è infatti un luogo spettrale e diroccato che da tempo immemore incombe, ben piantata in cima alla collina, sul villaggio in cui vivono Ryan e Meg. Ma ai due amici il fegato non manca – quantomeno a Meg, Ryan perlopiù si adegua per non sfigurare – e così una sera, al calar della notte, i due decidono di sgattaiolare fuori di casa e andare a caccia di fantasmi nei pressi della torre. Quello che nasce come un gioco si trasforma ben presto in qualcosa di serio e importante, che richiede ai due protagonisti un grande impegno civico in prima persona. Le esplorazioni notturne di Ryan e Meg saranno infatti determinanti per convincere il Comune a non abbattere la Torre, preservandone così il prezioso (ed enigmatico!) contenuto e con esso il suo elettrizzante alone di mistero.

Smilzo e intrigante, La torre fantasma propone un racconto breve e facilmente abbordabile anche da parte di lettori riluttanti o con maggiori difficoltà di lettura fluida. Serrato nel ritmo e nei dialoghi, il testo di Gillian Cross presenta caratteristiche di alta leggibilità che coinvolgono sia l’aspetto tipografico, con font biancoenero, spaziatura maggiore e sbandieratura a destra, sia quello sintattico, con frasi perlopiù brevi e brevissime, struttura prevalentemente lineare, dialoghi attribuiti esplicitamente e lessico quotidiano.

Incubi al formaggio

Che il formaggio mangiato la sera sia causa di incubi notturni è convinzione comune. Ben più che una convinzione, tuttavia, è per Hal: per lui, infatti, la correlazione tra latticini e brutti sogni è una vera e propria ossessione! Da quella sera in cui la cena a base di formaggio francese ha scatenato nel suo sonno vampiri vestiti da cowboy, il bambino non si dà infatti pace e intende risolvere una volta per tutte il famigerato mistero degli incubi al formaggio. Partendo dal venditore locale, Hal risale l’intera filiera degli alimenti incriminati. La scoperta che fa però a questo punto è a dir poco sorprendente: all’interno della Casa del formaggio della Contessa (per-niente-malvagia) Von Udderstein le mucche non solo producono il latte, ma lo rendono deliberatamente perfetto per causare i peggiori incubi ai bambini. Stufi di vedersi rubare la materia prima in nome delle scorpacciate di mascarpone e brie, i bovini hanno deciso, infatti, di vendicarsi in segreto. La fuga di Hal dalle grinfie – o per meglio dire dagli zoccoli – della contessa Von Udderstein, contribuirà a mettere fuori gioco la fabbrica dei sogni puzzolenti (non senza causare, tuttavia, qualche remora del bambino a continuare a divorare pennette ai formaggi!).

Scritto e illustrato da Ross Collins, Incubi al formaggio mescola in maniera insolita e a tratti perturbante (il che non è sempre cosa negativa) avventura, ironia e pensiero critico sullo sfruttamento degli animali. Incisivo e interessante, in questo senso il ruolo delle illustrazioni  che affiancano e talvolta sostituiscono completamente il testo, contribuendo a rendere l’approccio al libro meno ostico. La stampa ad alta leggibilità – apprezzabile consuetudine della casa editrice Biancoenero – completa infine il quadro di una lettura (letteralmente) appetibile per un pubblico di bambini anche alle prese con difficoltà legate alla dislessia.

I gatti dell’Hermitage

Le pericolose missioni segrete dell’Agente Sharp non sono nuove ai lettori della casa editrice Biancoenero. Il gatto soriano in servizio per l’agenzia felina Gattaka ha dato prova, infatti, della sua astuzia e del suo coraggio in occasione dell’offensiva contro l’evaso Karlos Gnam e delle indagini parigine sul dottor Robotec. Ma per un agente segreto l’allerta è sempre massima e così, proprio mentre Sharp si gode la quiete di casa Martini, arriva via citofono la parola d’ordine: “C’è un pacco per Mario”. Pochi minuti per dedificare il messaggio cifrato contenuto nel pacco ed ecco che Sharp è sulla via di San Pietroburgo. Direzione: Hermitage! Qualcosa di losco sta infatti accadendo al famoso museo: vari reperti e opere d’arte sono stati spostati senza apparente motivo. Per capire cosa si nasconda sotto quegli strani movimenti, la squadra di Gattaka inizia a collaborare con i colleghi russi, dando vita a una missione internazionale che sgominerà una banda e riporterà al suo posto un quadro di inestimabile valore.

Ispirato dagli insoliti guardiani felini, che da anni proteggono dai topi il museo simbolo di San Pietroburgo, Agente Sharp. I gatti dell’Hermitage propone una nuova avventura ad alta leggibilità. Stampato con tutte le caratteristiche più utili a rendere il testo amichevole anche a lettori con dislessia, il racconto di Alessandro Cini appare gustoso e non troppo impegnativo, ideale in particolare per piccoli amanti di indagini e misteri.

Cole Tiger e l’esercito fantasma

Da quando la famiglia di Cole Tiger si è trasferita a Everseen, lui ed Aquima sono diventati grandi amici. Molto diversi nell’aspetto – carnagione chiara e vistosi capelli rossi lui, carnagione scura ed evidenti lineamenti indiani lei –  i due condividono una certa solitudine legata al pregiudizio e alla diffidenza che la cittadina riserva a chi viene percepito come diverso. Lo stesso trattamento – scopriranno – ha toccato due ragazzi come loro di nome Aylen e Samuel, vissuti molti anni prima. Le loro storie non sono solo simili bensì destinate a intrecciarsi strettamente. Vittime di una maledizione, Aylen e Samuel necessitano, infatti, dell’aiuto dei due ragazzi per romperla e liberarsene per sempre. Questo, però, non si scopre che alla fine. In mezzo è tutto un tumulto di misteri, inseguimenti, tracce e rivelazioni che coinvolgono non solo i famigliari (anche quelli più insospettabili!) di Cole Tiger e Aquima ma anche personaggi straordinari dai caratteri sovrannaturali. La vicenda accelera quindi progressivamente il ritmo fino a culminare in uno scontro accesissimo, in cui le vere qualità di ciascun personaggio non mancano di venire a galla.

Il racconto scritto da Federica D’ascani è avvincente e coinvolgente. L’intreccio tra presente e passato, in particolare, richiede un po’ di abitudine a destreggiarsi all’interno di narrazioni complesse, ma offre al lettore una sfida di lettura intrigante. A rendere quest’ultima più fruibile anche a bambini con dislessia, interviene la consueta attenzione di Sinnos a proporre caratteristiche di stampa ad alta leggibilità, quali la font specifica leggimi, l’uso accorto di colori, grassetti e maiuscolo, la spaziatura maggiore, la carta color crema e la sbandieratura a destra.

Agente 008. Missione vacanze

È lungo solo 48 pagine, Agente oo8. Missione vacanze, ma dentro ci sono, solo per fare qualche esempio, una paperella sommergibile, un covo segreto nascosto tra le rocce, un computer che sa le risposte ma non le domande, un lunghissimo scivolo di vetro, 2 braccioli carichi di dinamite, trabocchetti luminosi, infradito boomerang e un orso polare. Non sarà difficile immaginare, dunque, quanto possa essere serrato il ritmo del racconto che tiene insieme tutti questi elementi in un’avventura al contempo divertente e vorticosa. A viverla in prima persona è appunto l’agente 008 che, in procinto di godersi una meritata vacanza, si trova suo malgrado a svolgere l’ennesima missione. Perché quando una missione chiama, l’agente 008 risponde, soprattutto se la missione ha un nome in codice e quel nome è: lasagne!

Surreale, scanzonato e avventuroso al punto giusto, Agente oo8. Missione vacanze si presta bene a stuzzicare anche quei lettori alle prime armi che faticano ad appassionarsi alla lettura. Questa procede qui, infatti, spedita a suon di colpi di scena via via più improbabili e di trovate spassose, portando il lettore a chiedersi di continuo “Che cosa sarà capace di inventarsi ora, l’autore?”. Le caratteristiche di alta leggibilità tipiche del catalogo di Biancoenero e in particolare della collana Minizoom di cui il volume fa parte, rafforzano dal canto loro l’invito a godersi la lettura, rendendola più agevole anche in caso di dislessia.

Il mistero del London Eye – audiolibro

In questo libro ci sono: una città multiculturale e caotica, un ragazzino scomparso in un pomeriggio come tanti, una famiglia allargata che a tratti alterni si frammenta e si rinsalda e una ruota panoramica che sembra inghiottire la gente. E poi c’è Ted, il giovane protagonista, che mette insieme tutti questi elementi, trovando una soluzione al Mistero del London Eye. È un giallo ben congegnato, insomma, quello messo a punto da Siobhan Dowd, ma è anche un racconto straordinario che sa di vita quotidiana, di adolescenza e di affetti.

Con uno stile ironico e spigliato e una tecnica narrativa appassionante e sapiente, l’autrice del bel libro già vincitore del prestigioso Premio Andersen nel 2012 (miglior libro oltre i 12 anni) racconta infatti come Ted, grazie al suo modo strambo di ragionare, riesca a capire come il cugino Salim sia potuto salire sul London Eye senza apparentemente ridiscendervi e a ritrovarlo prima che possa fare la peggiore delle fini.

Affetto da Sindrome di Asperger, il protagonista ha difficoltà a interpretare tutte quelle espressioni – linguistiche o corporee – non univoche ma manifesta uno spiccato e non comune senso deduttivo. Il suo fiuto tutto basato sull’oggettività delle cose si mescola, dunque, a un’insormontabile difficoltà relazionale, a un’insolita passione per la meteorologia e a una curiosa incapacità a dire le bugie: quel che ne esce è un ritratto pertinente e intrigante della realtà Asperger, ben calata nelle dinamiche famigliari e nei contesti sociali che vi echeggiano intorno. La strada aperta ormai qualche anno fa dall’originale Strano caso del cane ucciso a mezzanotte trova qui, dunque, nuova polpa, grazie a un libro che sa fare magistralmente dell’ironia e dell’intrigo narrativo la chiave per sbucciare temi spinosi come la disabilità e la differenza.

Portato in Italia da Uovonero nella sua versione cartacea, il romanzo di Siobhan Dowd è ora reso disponibile in versione audiolibro da Emons, con la coinvolgente voce di Pietro Sermonti (che ne ha anche realizzato un buffo trailer in dialetto romanesco, alla maniera di Stanis La Rochelle della serie Boris): una coedizione, questa, particolarmente gradita poiché allarga le possibilità di fruizione di una delle storie più apprezzate dai ragazzi negli ultimi anni.

L’orto della scuola

Permettere ai bambini di riappropriarsi di un rapporto sano e intenso con la natura, per esempio attraverso la cura di un orto di classe, è una pratica utile e quanto mai necessaria di questi tempi. Così anche la maestra di Luca propone ai suoi bambini di coltivare alcuni ortaggi durante l’anno. Le patate tanto per cominciare.

Nella prima storia che compone il volume L’orto della scuola (intitolato Patatine gialle fritte) la classe di Luca si dedica infatti con passione alla coltivazione di questo tubero che richiede pazienza e impegno. Saranno mesi lunghi quelli che si riveleranno necessari alla crescita delle patate, rendendo ancor più gustoso il momento in cui la cuoca della scuola potrò finalmente friggerle. Piselli e insalata sono invece i protagonisti della seconda storia (intitolata Il furto di insalata). Coltivati da Luca e dai suoi compagni con l’aiuto della maestra e dell’esperto contadino Osvaldo, questi spariscono da un giorno all’altro misteriosamente. A nulla varranno le indagini messe in campo e i sospetti verificati. La verità verrà comunque a galla grazie a un atto di coraggio e onestà del colpevole: qualità che val la pena coltivare, quanto e ben più degli ortaggi.

Di impianto un po’ più didascalico rispetto ad altri volumi della serie, L’orto della scuola risulta più dinamico e scorrevole nella sue seconda parte, grazie a una struttura narrativa più intrigante.

 

LA COLLANA TANDEM

L’orto della scuola fa parte della collana Tandem, la cui idea di base è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Mostro fai da te

Non è facile avere dieci anni, essere piccolo e magrolino e per di più andare bene a scuola. Il destino da zimbello, in quel caso, è infatti dietro l’angolo. Lo sa bene Paul, soprannominato con disprezzo Pulce e preso di mira dal bullo Jo Pappa, molto più grande e molto meno gentile di lui, più forte con le mani che con i numeri e le parole. Proprio per questo suo subire insistenti angherie, Paul desidera continuamente e ardentemente farsi un amico, così da sentirsi meno solo e in pericolo. Anche Jo, dal canto suo, ha un desiderio ed è quello di non venire trattato da stupido e non venire, come invece accade, maltrattato a casa. Le storie e i desideri dei due ragazzi, apparentemente così distanti, trovano un giorno una strada comune. Nel tentativo di costruirsi un mostro tutto suo, che possa accompagnarlo e difenderlo, Paul si caccia infatti in un guaio più grosso di lui in cui trovano posto adulti senza scrupoli e altri generosi, creature gommose al gusto fragola, incidenti scolastici da espulsione e prove di coraggio da veri eroi: tutte cose a cui il bambino è tutt’altro che avvezzo e che potranno sfociare in un lieto fine solo grazie alla più impensata delle alleanze, quella con Jo appunto!

Forte di una trama avventurosa, di uno stile snello e di una stampa ad alta leggibilità, Mostro fai da te si presta a catturare l’attenzione anche di bambini poco avvezzi alla lettura perché ostacolati da un disturbo specifico dell’apprendimento. Il connubio tra vicende avvincenti, personaggi memorabili, narrazione ironica e impostazione grafica amichevole – dettata soprattutto da  un font specifico denominato Junction, una spaziatura maggiore tra le lettere, le parole e le righe, una sbandieratura a destra e un uso di carta color crema – costituisce infatti un invito ghiotto per lettori curiosi, a scoprire nella lettura un piacere da non sottovalutare. Almeno quanto un gommoso Chumpa Chumpa!

Micromamma

Una mamma pret-à-porter: così diventa, in pratica, la mamma di Sander il giorno in cui inizia a rimpicciolire. Fenomeno strano davvero, il suo: la signora diventa infatti più piccola ogni volta che qualcosa va storto. E così, tra la notizia dell’operazione a cui deve sottoporsi, la fuga villana del fidanzato Allan e quell’incidente in pasticceria con la torta di nozze caduta dal tavolo, la mamma di Sander diventa a tutti gli effetti una micromamma che sta in un taschino, dorme in una scatola di fiammiferi e usa un bottone come piatto. Sander si occupa di lei con una tenerezza e una maturità fuori dal comune fino a quando la mamma sparisce dalla cartella in cui l’aveva riposta per portarla a scuola con sé. E da lì la situazione precipita in un turbinio di incursioni vietatissime in classe, corse al parco, indagini e inseguimenti fin nel mezzo di una festa di matrimonio. Complice delle ricerche e del lieto fine, il trovatello Zorro: un cane irresistibile, la cui generosa vivacità offrirà  un supporto più che mai prezioso a Sanders in un momento di grande fragilità.

Attraverso avventure rocambolesche e a tratti surreali, Piret Raud dà voce a una vulnerabilità non solo infantile ma più ampia, familiare: una vulnerabilità che nella vita vera ha tante facce, tante sfumature e tanti risvolti. Nello strano caso della micromamma, leggero e piacevolissimo per come è raccontato, si leggono per esempio il disagio di sentirsi sovrastati da avversità troppo grandi da affrontare, il dolore di apparire invisibile agli occhi di un genitore e un certo infantilismo dei grandi di cui i piccoli fanno le spese, il tutto attraverso una forma narrativa che trasforma felicemente in situazioni reali quelli che sono di solito solo modi di dire (sentirsi piccolo piccolo o invisibile, avere la testa tra le nuvole…).

Stampato ad alta leggibilità da Sinnos – con font specifico leggimi, spaziatura maggiore, sbandieratura a destra, sillabazione evitata, paragrafi distinti e illustrazioni frequenti – Micromamma offre un’occasione di lettura avvincente anche per chi non affronta il testo in maniera speditissima, forte di una veste grafica amichevole che si sposa a una trama senza posa.

Il ladro di Panini

Appetitoso come un panino al prosciutto, provolone e lattuga (con uno strato di maionese fatta in casa, naturalmente!), Il ladro di panini è una ghiotta novità edita da Sinnos. È ghiotta per il formato, che si ispira al fumetto pur non procedendo solo per balloons e che combina in maniera accattivante immagini frequenti e testi snelli ad alta leggibilità. È ghiotta per la storia, che smilza e appassionante, coinvolge il lettore in un giallo da gourmet. Ed è ghiotta per lo stile irresistibilmente ironico degli autori Patrick Doyon e André Marois.

Protagonista del libro è Marin che un giorno, all’ora di pranzo, non trova nel suo cestino il raffinato panino che la mamma è solita preparagli. Il panino al prosciutto, provolone, lattuga e maionese fatta in casa, nella fattispecie: quello del lunedì. Il problema è che non si tratta di un furto o di uno smarrimento isolato: la faccenda si ripete infatti il martedì, con il succulento panino al tonno, pomodorini secchi e maionese fatta in casa, il giovedì con il delizioso panino all’uovo, parmigiano, cipolla rossa e maionese fatta in casa e il venerdì, con l’intrigante panino al pollo, avocado, cetriolo e maionese fatta in casa. Solo il mercoledì il malcapitato la scampa, il giorno del panino con tofu, rughetta, pomodorini e gamberetti. L’affronto è davvero grande e la fame pure, perciò Marin si mette a investigare, individuando possibili sospettati, lanciando accuse spavalde e tendendo ingegnose trappole. Fino all’agognata cattura dell’impostore, colto letteralmente con le mani nella… maionese!

Davvero divertente e agevole da seguire Il ladro di panini combina la soddisfazione di una storia corposa (anche nel numero di pagine) con una grafica accattivante e amichevole, capace con buona probabilità di stuzzicare anche i lettori più recalcitranti o convinti che la lettura debba necessariamente essere affar ostico e poco piacevole.

Cornelius Holmes – Il caso del barboncino di Baskerville

Ci sono un investigatore di nome Holmes e il suo compare di nome Watson. Aspettate: sembra strano ma la loro storia – siamo certi – non la conoscete già! A dispetto dell’omonimia, i due sono personaggi sono infatti del tutto originali! Certo convivono in un appartamento di Baker Street, si dedicano a delicatissime indagini e portano due cognomi piuttosto noti ma escono dritti dritti dalla penna di Davide Calì per sollazzare le menti fresche di giovani lettori, strizzando l’occhio ai conoscitori del giallo in stile british.

Ne Il caso del barboncino di Baskerville, il signor Cornelius Holmes e il suo cane Watson, appassionanti di enigmi, si mettono sulle tracce di un raro cagnolino dagli occhi viola, apparentemente rapito dalla casa della duchessa di Bakerville (sì, la S di Baskerville appositamente manca!). La loro sarà un’indagine sui generis, fatta di improvvise illuminazioni dagli esiti dubbi e di corse sfrenate in giro per Londra. Alla fine un cagnolino dagli occhi viola Cornelius Holmes lo troverà e lo porterà alla presunta proprietaria, ma sarà davvero l’oggetto del rapimento?

La strada scelta da Davide Calì per omaggiare il celebre lavoro di Arthur Conan Doyle è intelligente e sfiziosa. I richiami al mondo dell’investigatore più famoso d’Inghilterra sono infatti numerosissimi e puntuali – dalla narrazione affidata a Watson alla presenza di un certo Moriarty, dal metodo di indagine ai luoghi di ambientazione – ma impastati in una vicenda del tutto nuova e dal differente spirito.

A differenza del più famoso Holmes, di cui sostiene ingenuamente di essere un discendente, Cornelius è un ometto incline più alla tavola che all’avventura oltre che distratto più che maniacale. Le sue indagini avanzano al ritmo di spuntini e merende: ricompensa e carburante delle sue sofisticate congetture. Così, ogni breve capitolo dello scorrevole racconto scritto da Davide Calì, si anima di sfiziose digressioni sugli snack dell’investigatore, alleggerendo ulteriormente la lettura. Quest’ultima, inoltre, è agevolata dalla scelta della casa editrice Biancoenero di pubblicare il volume ad alta leggibilità, prediligendo un font specifico per dislessia, una spaziatura maggiore tra le lettere, le parole e le frasi, una carta non lucida, un testo non giustificato e frequentemente accompagnato dalle illustrazioni, qui firmate da Sara Gavioli.

Il mistero del Guggenheim

De Il mistero del Guggenheim, all’inizio, c’era solo il titolo. Lo aveva indicato Siobhan Dowd firmando il contratto con la casa editrice inglese prima di morire purtroppo prematuramente. E così, dopo il successo de Il mistero del London Eye,  la casa editrice inglese ha individuato una scrittrice di talento – Robin Stevens – e le ha chiesto di inventare e stendere il romanzo mai scritto dall’autrice scomparsa. Obiettivo: mettere in piedi una storia avvincente e credibile ma anche coerente con   il titolo e con la solidissima cornice narrativa della prima indagine, di cui Il mistero del Guggenheim costituisce un ideale seguito.

Obiettivo tutt’altro che semplice e che ciononostante Robin Stevens  ha abbracciato con entusiasmo. Ecco dunque che grazie a lei il formidabile Ted, ragazzo con sindrome di Asperger che vede il mondo a modo suo, sua sorella Kat, adolescente determinata e appassionata di moda e il loro cugino Salim, ormai ambientatosi nella Grande Mela dove si è trasferito con la mamma Gloria, tornano sulla scena  per risolvere un nuovo giallo. Durante una vacanza  che Ted, Kat e la loro mamma fanno a New York, si verifica infatti il furto di un prezioso quadro di Kandinskij all’interno del Guggenheim museum che Gloria dirige.  Il fattaccio accade proprio mentre i protagonisti sono in visita al museo e siccome proprio la zia Gloria viene incriminata, i ragazzi iniziano a indagare per scoprire il vero colpevole. Ma la missione è tutt’altro che semplice:  ci sono di mezzo rapporti personali e lavorativi complicati, bugie inerenti al furto e bugie da esso slegate, un piano ingegnoso per incastrare una vittima innocente, e loro tre, in fondo sono solo ragazzini. Ma hanno dalla loro, oltre a una motivazione molto forte dettata da ragioni familiari, anche una somma di abilità molto diverse e complementari tra loro, indispensabili per ricomporre tutti i pezzo del rompicapo. Tra queste spicca senz’altro l’acume fuori dagli schemi di Ted, capace ancora una volta di dare una svolta alle indagini e portare un lieto fine non solo rispetto all’arresto di Gloria.

Per chi come noi ha amato fortemente la prima storia di Ted, quel suo modo brillante e originale di mettere insieme sparuti indizi per ritrovare il cugino Salim e quel suo approccio alla quotidianità che dava voce e risonanza a un modo di essere dignitosamente diverso, le aspettative rivolte a Il mistero del Guggenheim erano altissime. Ma Siobhan Dowd è Siobhan Dowd ed eguagliarla dovendo al contempo rispettare una serie di caratteristiche narrative a lei proprie era cosa davvero ardua. Non si resta quindi sconcertati se il Il mistero del Guggenheim appare un po’ meno forte e incisivo del precedente episodio, per via di una trama forse un po’ meno  travolgente e soprattutto di un protagonista meno tratteggiato nella sua neurodiversità che era poi il potente motore narrativo de Il mistero del London Eye. Al di là dell’inevitabile confronto con il libro da cui tutto è partito, il romanzo di Robin Stevens appare godibilissimo sia per il lettore meno legato al mondo di Ted sia per quello ad esso più affezionato, entrambi catapultati in una dinamicissima New York dove tutto può davvero succedere.

La lega degli Autodafè – Mia sorella è una guerriera artistica

Veste nuova, stessa tensione narrativa: il secondo capitolo della saga de La Lega degli autodafé scritta da Marine Carteron e pubblicata in Italia da Uovonero esce con una copertina dallo stile molto più accattivante e aderente allo spirito del romanzo che conferma dal canto suo  la capacità dell’autrice di  catturare il lettore e renderlo profondamente partecipe delle avventure dei protagonisti.

Questi – il giovane Gus e sua sorella Césarine in particolare – proseguono la pericolosissima missione iniziata nel primo episodio (Mio fratello è un custode) che li vede intenti a contrastare l’azione della Lega degli Autodafé per preservare la conoscenza e il sapere contenuto nei libri. A complicare il loro compito concorrono non solo i gravi lutti famigliari subiti nelle pagine precedenti ma anche la situazione di coma in cui versa la mamma, il braccialetto elettronico che Gus è obbligato a portare e che ne limita la libertà di azione e la spietatezza degli avversari, guidati dalla famiglia Montagues. È proprio presso la dimora di quest’ultima che i ragazzi scoprono, con l’aiuto del piccolo Bart ribellatosi al piano diabolico dei suoi congiunti, uno scanner speciale che fa tutt’altro che copiare le pagine dei libri. A quel punto diventa fondamentale per loro carpirne i segreti e impedirne l’utilizzo, prima che la Lega possa impiegarlo per portare a termine il suo folle disegno distruttivo. Al contempo però c’è una fuga da imbastire, una mamma da liberare, delle arti marziali da imparare e un tesoro da mettere in salvo. Facile immaginare come in una tale situazione l’impulsività ribelle e coraggiosa di un adolescente come Gus possa costituire un’arma a doppio taglio che per un soffio può passare dal rivelarsi risolutiva al causare grossi guai. E se è vero che l’impegno appassionato e talvolta dissennato di Bart, Gus e Néné, unito alla lucida metodicità di Césarine e all’esperienza di Marc de Virgy, permette un temporaneo ripiegamento della Confraternita ai Caraibi, è altrettanto vero che si tratta di un passaggio intermedio e che per arrivare a una vera conclusione della lotta con gli Autodafé occorrerà attendere il volume Siamo tutti dei propagatori.

In attesa di questo terzo e ultimo episodio della saga, Mia sorella è una guerriera artistica prosegue il dipanamento dell’intricata matassa narrativa che vede da secoli invischiati la Lega e la Confraternita e aiuta a mettere a fuoco relazioni e caratteri, arrotondando e restituendo maggiore pienezza psicologia ai protagonisti. Ne emergono dettagli inattesi sul passato di personaggi solo apparentemente marginali come la nonna materna di Gus e Césarine, battaglie emotive in cui è facile per un adolescente rispecchiarsi, come quelle che travolgono il giovane Gus e percorsi di crescita e consapevolezza, anche dei propri sentimenti, come quelli che riguardano Césarine. Sempre dipinta in quel suo modo particolare di guardare il mondo, di essere estremamente pragmatica e logica ma al contempo di provare emozioni a cui forse è soprattutto difficile dare un nome, la piccola di casa non smette di far sorridere il lettore e di offrirgli spunti interessanti di riflessione, quando dà irresistibilmente voce al racconto della storia.

La cripta del vampiro

Siamo in Scozia, nel 1868, e un attentato alla regina Vittoria d’Inghilterra sta per compiersi per mano dei prussiani. Alcuni militari, travestiti da frati, si sono intrufolati a Crooken Bay, supportati da qualche traditore, e delle torpedini sono state nascoste in una cripta del cimitero locale. Se il piano dei prussiani andasse in porto l’intera storia mondiale potrebbe subire uno scossone ma per fortuna ci sono sul posto due curiosi e coraggiosi ragazzi che riescono a mettere insieme i pezzi del puzzle e a sventare l’ardita strage.

I loro nomi sono Arthur Conan Doyle e Bram Stoker e, no, non è un caso di omonimia: i personaggi messi in scena da Sebastiano Ruizi Mignone sono effettivamente i creatori di Sherlock Holmes e di Dracula, immaginati in età infantile e in un ipotetico incontro estivo nella terra di nascita del primo. Contraddistinto da una grande forza fisica, da uno spiccato intuito e da un’incontenibile curiosità il primo e da una salute cagionevole, una passione per i vampiri e sogni tormentati il secondo, i due personaggi sono costruiti mescolando con perizia alcuni tratti caratteristici delle loro creature letterarie più famose e alcuni aspetti evidenziati dalle biografie di Doyle e Stoker. Il risultato è una coppia di amici diversi ma affiatati, perfetti per risolvere un mistero complicato. Ben costruito e narrato, quest’ultimo risulta avvincente anche per il lettore che non conosca le due figure di ispirazione. Stampato inoltre ad alta leggibilità, La cripta del vampiro offre inoltre una possibilità coinvolgente di lettura anche per chi soffra di disturbi specifici dell’apprendimento.

La lega degli Autodafè – Mio fratello è un custode

È un giorno come un altro quando la vita di Auguste detto Gus, quattordicenne parigino, viene improvvisamente stravolta. Succede infatti una mattina che la polizia suoni alla porta di casa per comunicare la notizia della morte del padre in un incidente stradale. Il dolore è fortissimo e il mondo del ragazzo sembra poter crollare da un momento all’altro, ma la parte più sconvolgente della faccenda deve in realtà per lui ancora venire. Quando, dopo il funerale, si trasferisce dai nonni insieme alla mamma e alla sorella, nella casa di campagna detta “la Commanderia”, Gus scopre infatti che la versione raccontata dalla polizia è menzognera e che il padre è di fatto stato assassinato. Dietro l’omicidio c’è una misteriosa storia millenaria che vede una società segreta chiamata la Lega degli Autodafé impegnata a impedire la diffusione della conoscenza attraverso la distruzione dei libri che la contengono. Il padre di Gus faceva invece parte della cosiddetta Confraternita: un gruppo di persone intente a contrastare l’attività degli Autodafè attraverso la ricerca, la custodia e la trasmissione di libri. Ora che il padre non c’è più, tocca a Gus prendere il suo posto e battersi per preservare il destino dell’umanità. Deve trovare prima degli Autodafé la cappella del tesoro e mettere in salvo il suo contenuto ma chi fa parte della Lega non ha davvero scrupoli ed è disposto a tutto pur di ottenere ciò che cerca. Per questo, per il protagonista, si tratta di una missione ad alto rischio, che vede impegnati alcuni amici nuovi e vecchi, un professore della scuola e tutti, ma proprio tutti, i membri della sua famiglia. Tra questi spicca senza dubbio la sorella più piccola Césarine che non solo assume un ruolo  determinante nella vicenda ma si fa anche, a tratti, insolita narratrice. Il suo diario intervalla infatti il racconto di Gus, offrendo al lettore dettagli nuovi e opinioni spiazzanti su quanto accade.

Mio fratello è un custode è il primo volume di una trilogia intitolata La lega degli Autodafè e scritta dall’autrice francese Marine Carteron. La missione che il papà di Gus gli ha lasciato in eredità non si conclude infatti a pagina 302 ma promette di proseguire nei successivi episodi. E non stentiamo a credere che i lettori di questa prima avventura attendano con trepidazione la pubblicazione delle seguenti, affascinati da un mistero che ha attraversato i secoli, da un protagonista molto umano con molti pregi ma anche difetti, e da un personaggio apparentemente secondario ma in realtà travolgente come Césarine. Il libro sa amalgamare un mistero che attraversa i secoli risalendo addirittura ad Alessandro Magno e una contemporaneissima ambientazione in cui pullulano riferimenti al mondo (dagli accessori alla tecnologia, dai programmi tv alle letture) di un adolescente d’oggi. Animato da personaggi interessanti e relazioni avvincenti, il romanzo rimanda senza dilungarsi troppo a episodi storici cruciali (penso ai riferimenti al periodo fascista o alla citazione dell’’Internazionale) ed evoca narrazioni precedenti, prima fra tutte quella di Harry Potter (si pensi alla figura del giovane coraggioso pronto a sfidare la morte per compiere la missione che gli è affidata, alla figura della fenice, al rapporto con il padrino che fa le veci del padre e lo accompagna nella battaglia).

Successo editoriale d’oltralpe, il libro è stato portato in Italia da Uovonero, da sempre attenta a offrire ai giovani lettori storie capaci di raccontare la diversità (e in particolare la neurodiversità) attraverso storie appassionanti. Césarine è infatti autistica – o artistica, come ha capito Gus la prima volta che glielo hanno detto –  e il suo racconto insolito e diretto restituisce un particolare modo di vedere il mondo e di vivere le situazioni, sia quotidiane sia eccezionali. Non le piacciono i numeri fino a 22 e se le capita (spesso!) di contare li salta a piè pari, è messa a disagio dalle situazioni che non rispettano uno schema noto, ricorda dettagli con grande facilità, ama la precisione puntigliosa e interpreta alla lettera qualunque espressione mettendo in difficoltà chi non la conosce per bene. È l’”effetto Césarine”, per dirla con le parole di Gus: un effetto che disorienta e talvolta spaventa ma che fa anche sorridere e intenerire. Attiva e determinata, Césarine non è un personaggio posticcio messo lì solo per dare originalità al racconto ma un personaggio a tutto tondo che entra a capofitto nella vicenda, regalandole brividi e humour. La sua amicizia con Sara, bimba affetta da sindrome di Down, delinea un’avventura nell’avventura e mette bene in luce il lato più normale della diversità.

Nel paese delle parole

L’idea che sta alla base della collana Tandem è sfiziosa: due storie indipendenti ma comunque legate tra loro, l’una più breve, semplice, stampata in maiuscolo e composta di frasi perlopiù essenziali; l’altra più lunga, più articolata, stampata in minuscolo e composta da frasi non prive di subordinate. La lettura della prima, più agevole e a misura di principiante, crea le condizioni e gli incentivi (conoscenza dei personaggi e della situazione di partenza, voglia di scoprire cosa succede in seguito, sfida a mettersi alla prova con un testo adatto a lettori un pelo più arditi) per affrontare la seconda nonostante il livello di difficoltà maggiore. Entrambe, poi, sono stampate dall’editrice Il Castoro rispettando criteri di alta leggibilità grazie a una font specifico denominato Sassoon e a una sbandieratura a destra. Ulteriori accortezze potrebbero venire dall’uso di una carta non lucida come quella attuale e da una più ampia spaziatura.

Nel Paese delle parole protagoniste sono proprio queste ultime. Nel primo racconto (L’albero delle parole) Federico e Tommaso scoprono che poche semplici parole possono condurre l’immaginazione molto lontano, facendo inventare persino mostri puzzoni che si nascondono nelle tane buie. Nel secondo racconto (Il ladro di parole) gli stessi protagonisti si imbattano davvero in una creatura fantastica: non si tratta però di un mostro puzzone bensì di un bizzarro folletto mangiaparole. Famelico e astuto, questi ruba le parole più ghiotte prima che le persone riescano a pronunciarle ma dopo un primo momento di smarrimento, i bambini trovano un’ingegnosa soluzione che  non solo sfama il folletto ma migliora anche la loro padronanza lessicale! I racconti firmati da Lodovica Cima – un vero inno al potere nutritivo e fantastico della parole, in pieno stile rodariano –  invitano con garbo a giocare con le parole e trovano qui un delicato accompagnamento nelle illustrazioni di Chiara fiorentino.

Smart

Colin è un uomo di Nottingham senza troppi amici e senza fissa dimora. Un giorno viene trovato morto in mezzo al fiume che lambisce la città, nella zona in cui vive Kieran, un ragazzino singolare che la maggior parte dei compagni deride chiamandolo “down”, “ritardato”, “spostato” o “bavoso” a seconda delle circostanze. Che cosa abbia esattamente il protagonista l’autrice non ce lo dice mai ma dalla presenza costante dell’insegnante di sostegno, dai comportamenti insoliti, dalle ristrette doti relazionali compensate da una grande attenzione ai dettagli, capiamo che possa facilmente trattarsi di un disturbo autistico. Ma Kieran è soprattutto un ragazzino curioso, appassionato di indagini (da Sherlock Holmes a CSI), desideroso di diventare un giornalista di Sky News e dannatamente bravo a riprodurre cose e persone attraverso il disegno, il che lo aiuterà non poco quando deciderà di fare luce sulla morte di Colin per supplire alla negligenza della polizia locale. Lo farà di nascosto dalla mamma, che gli mostra grande affetto nonostante il poco tempo e le poche energie che riesce a dedicargli, e di nascosto dal compagno di quest’ultima che invece, violento e losco, lo maltratta facendogli chiaramente capire che non lo vorrebbe tra i piedi. Lo farà correndo pericoli tutt’altro che trascurabili e trascorrendo molto tempo fuori casa, nella cornice di una periferia piuttosto degradata che tanta parte assume nelle brutte vicende che invischiano il protagonista e chi gli sta intorno. E lo farà con tenacia e ironia, appuntando ogni particolare sul suo prezioso taccuino e contando sull’aiuto di amici più o meno datati (come Jean, divenuta senzatetto dopo la morte del figlio o come il compagno Karaamat, giunto da poco dall’Uganda) ma in ogni caso insoliti e accomunati dalla sperimentazione diretta della discriminazione: il loro supporto – morale e pratico – si rivelerà fondamentale per dare non solo un esito positivo alle indagini ma anche una nuova forma all’esistenza quotidiana del giovane protagonista.

Il personaggio di Kieran è tenero e simpatico allo stesso tempo, ispira coraggio e ottimismo, in una parola: piace! Con quel suo modo di fare un po’ buffo e un po’ ostinato e con quel suo modo di narrare che non trascura i dettagli ma non annoia, sa tenere il lettore appeso alla storia e fargli riconoscere emozioni e temi dalle tinte anche scure che non compaiono così frequentemente nella letteratura per ragazzi. La somiglianza con Christoper de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte e con Ted de Il mistero del London Eye – entrambi capaci di risolvere casi intricati grazie a un modo di pensare fuori dagli schemi tipico della sindrome di Asperger  – è lampante (e tra l’altro sottolineata dalla stessa casa editrice fin dalla fascetta che correda il volume). E questo, forse, è l’aspetto che apre maggiori interrogativi  in un romanzo ben costruito e davvero piacevole come quello dell’esordiente Kim Slater: ci si chiede infatti se l’insistente ricorso  alla figura del ragazzino con disturbo autistico – qui dipinto forse con minore accuratezza e verosimiglianza rispetto ai due volumi sopracitati – che si riscatta ricomponendo casi irrisolti non finisca per compromettere l’originalità narrativa e soprattutto per costruire, a lungo andare, uno stereotipo che riduce e fissa la sindrome di Asperger in una capacità straordinaria di risolvere situazioni complesse. La questione sta tutta lì, nel sottile confine che separa la valorizzazione delle diversabilità dal loro congelamento in una visione reiterata.

Kieran, dal canto suo, ha e suggerisce il suo personalissimo sistema per collocarsi fuori dagli schemi e non restare imbrigliati nella maglie di un pensiero stereotipato: immaginarsi come Albert Einstein a cavalcioni di un raggio di luce   – baffi grigi e capelli indisciplinati compresi – per favorire l’emergere di idee divergenti. Lettori e scrittori sono avvisati: chissà che una rappresentazione davvero libera della disabilità non possa passare proprio da lì…

Passi di cane

Tornano in azione i 2+1, alias Marta, Eugenio e Franci, i giovanissimi investigatori già protagonisti de Le finestre del mistero. Spediti dai genitori in campagna per due settimane di istruttive e salutari vacanze a contatto con la natura, i tre si godono (o si fanno andare a genio, nel caso di qualcuno!) la vita spartana, i bagni al fiume, la presenza di animali e la compagnia dei due gentili ospiti, Ettore e Dario. Quando però, si imbattono in una cagnolina stremata che porta con sè una misteriosa richiesta di aiuto, i tre non possono resistere e si buttano a capofitto in una nuova indagine. Si troveranno così invischiati in una losca vicenda che richiederà loro una rischiosa serie di appostamenti, deduzioni e incursioni. Anche in questo caso, come nel precedente, un film (FBI operazione gatto) ispira le avventure dei ragazzi allestendo un interessante ponte di contatto con i lettori reali che vi assistono.

I personaggi sono ben  assortiti (impulsiva e sensibile Marta, sapientino e prudente il fratello Eugenio, accomodante e sereno l’amico Franci), il testo scorre veloce (persin troppo, vien quasi da pensare quando il succo dell’ intrigo si dipana in poche righe), e le illustrazioni appaiono davvero calzanti (grazie a un tratto sfumato e a un gioco di bianchi e neri che ben si adatta al racconto). Tutto ciò, unito a una stampa ad alta leggibilità e a un lavoro redazionale che ha coinvolto direttamente alcuni giovani lettori, mira e contribuisce ad avvicinare Passi di cane a un pubblico ampio che non escluda chi fa più fatica a confrontarsi con la narrazione scritta. Un’impegno – quello in favore della lettura inclusiva – che la casa editrice Bianco0enero porta avanti con tenacia da ormai dieci anni (auguri!).

 

Avventura all’isola delle foche

Quando si è abituati a due genitori separati – un papà distratto e una mamma rompiscatole, nella fattispecie – l’idea di trascorrere un’intera vacanza con la propria amica del cuore e con la sua avventurosa famiglia anglo-italiana arriva come una ventata di aria fresca. Aria fresca come quella dell’isola di Texel, a nord dell’Olanda, dove la famiglia Regoli, in compagnia della protagonista e narratrice Teresa, è diretta per un soggiorno rilassante alla scoperta delle splendide foche di Bajkal che proprio lì vivono sfidando l’estinzione.

Ma il viaggio riserva ben altre sorprese alla strana comitiva – formata oltre che da Teresa e dall’amica Maddy, anche dai fratelli di quest’ultima (Anthony il cafone e Mark il solitario) e dai coniugi Regoli (il papà dai tratti vintage e la mamma fan delle uova sode). Sull’apparentemente tranquilla isola delle foche che dà il titolo al volume le due ragazze incappano in un pericoloso affare di rapimenti, bottini e loschi individui. La curiosità, il desiderio di fare colpo sul nuovo amico olandese Georg e la capacità di non farsi ingannare dai pregiudizi consentirà loro di portare a termine una missione da vere eroine ambientaliste.

In poche e scorrevoli pagine, Arianna di Genova (già attiva per i tipi ad alta leggibilità di Biancoenero con Mamma in fuga e Ecovendetta) condensa un’avventura facile da seguire e accattivante per un pubblico di ragazzi in crescita ai cui interessi, atteggiamenti e pensieri l’autrice dedica attenti riferimenti. Le illustrazioni di Sarah Gavioli, dal canto loro, spezzano e vivacizzano la lettura con un tratto minimal e un uso dei bianchi e dei neri che ben si adatta alla narrazione.

La principessa e lo scheletro

Chi non ha nemmeno uno scheletro nell’armadio alzi la mano! Figurarsi, persino i sovrani più adulati e venerati dai sudditi nascondono qualche macchia del passato e il papà di Lulù, principessa di un regno un po’ moderno e un po’ no, non fa di certo eccezione. Nel suo armadio vive uno scheletro fatto e finito che custodisce per conto del re un misteriosissimo segreto in un cofanetto da cui non si separa mai. Il segreto è quindi salvaguardato fino a quando Lulù non incontra per caso lo scheletro che di nome fa Ossi intento a fare incetta di dentifricio nel bagno del castello. Da quel momento il signor Ossi viene presentato alla regina e alla servitù come una famosa star del cinema in visita, viene agghindato a dovere dalla principessa e portato a zonzo per il regno. Ma proprio durante una passeggiata tranquilla lo scheletro, coinvolto in un imprevisto attacco canino, perde di vista il cofanetto e il suo prezioso contenuto. Lui e la principessa Lulù si mettono quindi sulle tracce del ladruncolo coinvolgendo inconsapevolmente nella loro ricerca una schiera di personaggi davvero variegata: dai compagni di scuola che credono Lulù controllata dagli alieni, a Luigi che rovista nei bidoni, dal professore universitario ormai dedito alla tessitura di tappeti all’intero corpo di polizia del regno. In una caccia al tesoro ricca di colpi di scena Lulù finirà per conoscere suo papà sotto una luce diversa dando un valore nuovo ad apparenza e realtà.

Il libro di Piret Raud, caratterizzato da tinte surreali e stravaganti, offre un’avventura intrigante, fruibile anche da parte di lettori colpiti da dislessia. Gli accorgimenti tipografici ad alta leggibilità a cui ormai da tempo Sinnos ci ha abituati vengono qui applicati a un testo piuttosto lungo e corposo che offre una bella sfida di lettura.

Missione Parigi

Avevamo lasciato Rufus Mc Coy e l’agente Sharp alle prese con perfido Karlos Gnam, carlino fuggito di prigione (Attacco a Gattaka). Ma per la squadra di Gattaka, i servizi segreti felini con sede operativa a Roma, non c’è tregua. Questa volta c’è di mezzo un losco affare internazionale che puzza di pesce affumicato e che vede i gatti di Singapore e Londra inspiegabilmente ammattiti.

Che ci sia di mezzo il losco dottor Robotec, gatto-scienziato dal passato torbido? Gli intrepidi protagonisti di Missione Parigi hanno tutta l’intenzione di scoprirlo e sono pronti a scatenare i loro informatori e i loro agenti sparsi per il mondo pur di venire a capo del mistero. Serviranno coraggio, astuzia, decodifica di codici segreti e buone conoscenze per sventare un pericoloso piano che vede i topi di fogna in prima linea.

Con un ritmo serrato, qualche invenzione sorridente, dialoghi incalzanti e una trama concisa ma accattivante il nuovo lavoro di Alessandro Cini segue la positiva scia del precedente, catapultando il lettore in un’atmosfera tutto suspense e azione. La grande dinamicità della storia si sposa peraltro benissimo con gli accorgimenti adottati da Biancoenero in favore dell’alta leggibilità (font specifico, carata color crema, testo sbandierato a sinistra, maggiore spaziatura…) perché  entrambi concorrono a fare della serie dedicata all’agente Sharp una ghiotta occasione di lettura anche per lettori riluttanti o con difficoltà.

Lampadino e Caramella nel MagiRegno degli Zampa – La riscoperta del Natale (audio e CAA)

Parola d’ordine: versatilità! Il principio che ispira il lavoro della cooperativa rietina Puntidivista è proprio che ogni bambino possa accedere a una medesima storia attraverso la via che gli è più congeniale, perché esistono modi diversi di raccontare le storie e modi diversi di goderne. Attraverso versioni differenziate, che sfruttano molteplici codici come la Lingua Italiana dei Segni o i simboli WLS, molteplici supporti come il libro cartaceo o i DVD, e molteplici forme di narrazione, orale o scritta, i libri di Puntidivista abbracciano un pubblico che vuole essere il più ampio possibile.

L’idea e l’iniziativa sono degne di interesse e di nota soprattutto perché si tratta di un primissimo originale tentativo di proporre un grado di accessibilità davvero esteso che non guardi alle esigenze imposte da un solo tipo di disabilità ma che, al contrario, scelga la strada della varietà. Le storie sono scritte ad hoc e corredate da illustrazioni casalinghe. Apripista, in questo progetto, sono le avventure di due personaggi – Dino detto Lampadino e Nella detta Caramella -: due fratelli che, attraverso un misterioso passaggio segreto nel parco arrivano in un mondo fantastico popolato da animali parlanti.

In Lampadino e Caramella nel Magiregno degli Zampa – La riscoperta del Natale, i due bambini aiutano Zampacorta, il figlio del re del Magiregno, a individuare il furfante che da tempo ormai fa razzia delle provviste per l’inverno. L’impresa riesce grazie a un po’ di creatività e a un’intuizione di ispirazione natalizia che aiuterà gli stessi protagonisti a riscoprire il vero significato della festa. La storia, dall’esplicito e noto messaggio educativo (non sono i giocattoli a fare bello il Natale ma i nostri cari che ci vogliono bene), è piuttosto semplice e lineare. Questo agevola senz’altro la traduzione in simboli, utili in caso di autismo e disturbi della comunicazione. Il testo così tradotto, frutto di limitati interventi, rispetta abbastanza fedelmente l’originale e si mantiene in definitiva piuttosto lungo, cosa che costituisce forse un vantaggio più per lettori con una certa dimestichezza con la CAA che per lettori inesperti. Allegato al volume si trova un CD che, oltre a disegni da colorare e canzoncine ispirate al testo, propone una versione audio del racconto utile anche in caso di dislessia. La stessa storia è inoltre disponibile in una versione standard, semplicemente scritta in italiano e illustrata, cui si unisce un DVD con il video racconto il LIS che agevola la comprensione da parte di lettori sordi segnanti.

Rico, Oscar e la pietra rapita

Avventurarsi tra le pagine di Rico, Oscar e la pietra rapita assicura un buon miscuglio di  trepidazione e di amarezza, che derivano rispettivamente dall’attesa ben ripagata del volume e dalla consapevolezza che con questo la spassosissima serie di Andreas Steinhöfel (comprende Rico, Oscar e il Ladro Ombra e Rico, Oscar e i cuori infranti ) si chiude. Anche in quest’ultimo episodio – come anticipa gustosamente il titolo – un mistero è dietro l’angolo e quando un mistero è dietro l’angolo non sono certo Rico e Oscar a tirarsi indietro.

Al centro della vicenda c’è una preziosa pietra da allevamento posseduta dallo scorbutico vicino di casa Orsi, ereditata alla sua morte da Rico ma rubata da qualche losco individuo poco dopo il funerale del primo proprietario. Per recuperarla i due amici devono fare tesoro dell’esperienza accumulata durante le indagini precedenti e cimentarsi con una lunga sfilza di pedinamenti, sabotaggi, spionaggi e camuffaggi prima di poter mettere insieme tutti gli indizi e stampare un lieto fine anche su questa avventura.

Sarà necessario, per loro, arrivare fino al mar Baltico, per venire a capo della matassa: non solo di quella che svela il furto della pietra ma anche e soprattutto di quella che aggroviglia i fili emotivi delle loro vite. Il travagliato viaggio verso nord, dove peraltro finiscono per trovarsi svariati inquilini del palazzo Dieffe 93, diventa così un percorso per fare pace con due infanzia a loro modo difficili, in cui affetti mancati o mal espressi, diversità, paure e frustrazioni si sono accumulate fino traboccare con un’irruenza inattesa. Più che negli episodi precedenti, l’autore concentra in questo romanzo i silenzi eloquentissimi, i confronti accesi e le reazioni vive dei due ragazzi che segnano in qualche modo la loro crescita, come individue e come amici.

Attorno al nocciolo narrativo, tutto incentrato sulla raccolta di indizi per il recupero della pietra vitellina, si sviluppano tante microstorie e altrettanti tasselli che danno completezza non solo a questo terzo libro ma all’intera trilogia: dall’allargamento della famiglia di Rico, al fidanzamento tra la signora Dolci e il signor De Brocchis nel segno di prelibate tartine; dal riavvicinamento tra Oscar e suo papà Lars alla laurea del giovane Berts in cui Rico trova una sorta di fratello maggiore acquisito. Non da ultimo, il legame di Rico e Oscar con un nuovo amico, già comparso di sfuggita in un episodio precedente e ora a pieno titolo incluso nella strampalata banda di detective. Con la sua rara abilità nel decodificare il labiale, Sven contribuisce infatti attivamente a incastrare i ladri di pietre sulla spiaggia di nudisti di Prerow. La sua sordità – sarà per la sveltezza con cui Oscar apprende la lingua dei segni, sarà per l’empatia che Rico sviluppa nei suoi confronti – trova nei due protagonisti un’accoglienza rispettosa e naturale.

Come a sottolineare – qualora la stramberia di Oscar e la lentezza di Rico non lo facessero abbastanza chiaramente – che una difficoltà non ignorata ma riconosciuta e supportata è una difficoltà rimpicciolita, come se fosse guardata con uno zoom all’indietro. Zoom, non a caso, è proprio una di quelle parole di cui Rico offre una sua personalissima definizione, a questo proposito più che mai illuminante: “Zoom = aggeggio della macchina fotografica che funziona quasi come un palindromo, avanti e indietro. Infatti può avvicinare a allontanare le cose che in realtà rimangono sempre uguali. Per non confondersi tra le due direzioni, si potrebbe dire zoom per avvicinare e moom per allontanare. Invece niente da fare, perché semplificare le cose se possono essere più complicate?”

Operazione braccialetto

“Mi lasciate fare il mio mestiere o avete deciso di fare voi le indagini?”. A chiederlo è il papà di Dario e Anna, che di mestiere fa il poliziotto e che non vorrebbe impicci per risolvere in pace il caso del braccialetto rubato in casa Colonna. Manco a dirlo, i due figli e i loro tre amici del palazzo non colgono la retorica della domanda e si buttano a capofitto nella risoluzione del mistero. Organizzatissimi e ben assortiti, i ragazzini danno il via a indagini ufficiose. C’è chi pedina la sospettata numero uno – Irina la babysitter -, chi cerca indizi sul luogo del furto e c’è chi mette a punto congegni sofisticati. E va a finire che il gioco di squadra premia, riservando alla banda una soddisfazione degna a dei migliori detective.

Un racconto snello e avvincente, un gruppo di amici affiatati e intraprendenti e un mistero piccolo e stuzzicante: Operazione braccialetto dosa bene buoni ingredienti per fare della lettura un’esperienza piacevole anche per chi non ha molta dimestichezza con i libri o sperimenta difficoltà legate alla lettura. E c’è da scommettere che nuove avventure della banda di detective siano lì lì per arrivare…

Il mostro dei budini

Può un budino scatenare gli incubi più paurosi? Dal racconto di Mara Dompé si direbbe proprio di sì! A farla da padrone tra queste pagine è, infatti, il famigerato mostro dei budini: una creatura misteriosa, dalle fattezze di donna robusta e sorridente, che a tradimento e con un solo sguardo trasforma avventati bambini in budini variegati: alla vaniglia se biondi, alla fragola se lentigginosi, al cioccolato tutti gli altri.

Annalisa è abbastanza certa che tutto ciò accada realmente e per questo i suoi sonni sono agitati e le sue merende tormentate, soprattutto se seguite a ruota dalla sospetta scomparsa di compagni di giochi, come quella di “Giuseppe, detto Peppe, detto Pepsi”. Possibile che sia stato davvero tramutato in dessert e divorato a cucchiaiate?

La bambina cerca di scoprirlo durante il suo soggiorno estivo dalla nonna, regina di manicaretti casalinghi e prelibatezze da forno. Un delizioso profumino di dolce permea così l’intera lettura de Il mostro dei budini, esaltandone la semplice genuinità.

Attacco a Gattaka

Atmosfera da spionaggio e protagonisti insoliti rendono il primo impatto con Attacco a Gattaka non poco straniante. Senza fronzoli e convenevoli si viene in effetti gettati nel centro operativo dal quale la squadra dei Servizi Segreti Felini monitora la situazione in città, fiuta un assalto canino e prepara la controffensiva. Non c’è quasi il tempo di ambientarsi che l’azione entra nel vivo, costringendo L’Agente Sharp – soriano esperto di codice segreti – e Rufus MacCoy – alto ufficiale di razza Maine Coon – a guidare lo loro squadra contro il perfido Karlos Gnam, carlino fuggito di prigione.

L’annosa lotta tra cani e gatti prende qui una piega quantomeno inconsueta, acquisendo tutti i connotati di una battaglia sofisticata tra popoli rivali, nella quale tregue, fughe, alleanze e soffiate sono all’ordine del giorno. Il risultato è un racconto non troppo complesso ma avvincente.  Dal canto loro, poi, le illustrazioni di Sara Gavioli rendono bene l’idea bizzarra che sta alla base della storia e ne accompagnano la lettura, intervallando e arricchendo sovente il testo.

L’amico immaginario

“Max non ha un fuori, Max è tutto dentro”.
Così Budo, cinque anni di età e fattezze inventate, descrive con una puntualità disarmante il bambino che lo ha creato e scelto come amico immaginario. Max è infatti l’unico essere umano che riesce a vederlo poiché è proprio colui che gli ha dato una forma per non sentirsi solo nei momenti difficili, per non avere paura quando le cose funzionano un po’ diversamente dal solito e per avere qualcuno che lo capisca senza dover necessariamente parlare o esternare ciò che sente. L’avversione di Max per qualsivoglia cambiamento, la sua difficoltà a fare delle scelte, l’insofferenza nei confronti di qualunque contatto fisico lascia pensare che sia un bambino autistico ma a Budo questo non interessa e poiché il romanzo segue la sua voce, viene prediletta una descrizione per fatti, più che per etichette, del protagonista e delle sue avventure.

E che avventure! Un giorno come tanti Max viene caricato di nascosto in macchina dalla Patterson, la sua maestra di sostegno tutt’altro che equilibrata, e da lì sparisce. Rapito. Starà a Budo, il solo ad aver assistito alla scena, trovare il modo di scovare Max e aiutarlo a liberarsi, destreggiandosi tra la complessità del caso, le ossessioni del bambino e il suo personale status di individuo invisibile ai più. Per fortuna, a differenza di molti altri amici immaginare che lo stesso Budo incontrerà sul suo cammino, Max lo ha creato con molta cura, dotandolo di una fisionomia pressoché completa, di uno spirito di sacrificio invidiabile e soprattutto di una capacità di osservazione molto acuta. Così, per il lettore, che già non stenterà a farsi catturare dalla trama, la cronaca in tempo reale firmata da Budo rappresenterà una chicca tutto da gustare. La scelta originale di far raccontare la storia dal punto di vista insolito di un amico immaginario offre infatti l’occasione di guardare al mondo con un’attenzione ai particolari spesso trascurata e di confrontarsi con riflessioni di spessore trattate argutamente con una sensibilità spiccia.

La ragazza Chissachì

Ci sono scrittori che trovano modi straordinari di raccontare temi scomodi e ci sono editori accorti che quegli scrittori li scovano in mezzo a mille con una lungimiranza invidiabile. Ecco, Beisler è proprio quel tipo di editore: controcorrente, impegnato su temi sociali e appassionato collezionista di chicche letterarie da proporre ai giovani lettori. Lo dimostra una volta di più con La ragazza Chissachì, lo splendido romanzo di Sarah Weeks che prova a raccontare una disabilità insolita: quella che non colpisce i bambini in prima persona ma entra nella loro vita attraverso un genitore con handicap. Una disabilità tanto difficile da capire, accettare e metabolizzare quanto misconosciuta dalla letteratura per l’infanzia.

La ragazza Chissachì, che dà il titolo al volume, è una mamma che, colpita da un forte disturbo cognitivo, dimostra meno anni e autonomia della figlia dodicenne, conosce ed esprime 23 parole in tutto e in una di esse – Suff – condensa il suo misterioso passato. Affidandosi a questa parola, preziosa e indecifrabile, a un rullino di foto inaspettatamente rinvenuto e a una rara combinazione di coraggio e fortuna, la figlia Heidi si metterà sulle tracce di quel passato per ricomporne i pezzi e dare un senso a una vita così marcatamente diversa dalla norma. Il suo sarà un viaggio lungo e pieno di ostacoli come nella miglior tradizione dei romanzi di formazione, ma anche ricco di incontro fortuiti e fortunati che sembrano premiare la magnanimità, come nella più tradizionale delle fiabe.

Quel che accade è che, travolti da una scrittura densa e lucida, ci si trova a confrontarsi con la durezza di una disabilità che ribalta i ruoli ma anche con la dolcezza di un amore autentico e profondo che restituisce il giusto valore al ricordo, alle emozioni e all’essere protagonisti a proprio modo della propria storia.

Il mistero del London Eye

In questo libro ci sono: una città multiculturale e caotica, un ragazzino scomparso in un pomeriggio come tanti, una famiglia allargata che a tratti alterni si frammenta e si rinsalda e una ruota panoramica che sembra inghiottire la gente. E poi c’è Ted, il giovane protagonista, che mette insieme tutti questi elementi, trovando una soluzione al Mistero del London Eye. È un giallo ben congegnato, insomma, quello messo a punto da Siobhan Dowd, ma è anche un racconto straordinario che sa di vita quotidiana, di adolescenza e di affetti.

Con uno stile ironico e spigliato e una tecnica narrativa appassionante e sapiente, l’autrice del bel libro già vincitore del prestigioso Premio Andersen nel 2012 (miglior libro oltre i 12 anni) racconta infatti come Ted, grazie al suo modo strambo di ragionare, riesca a capire come il cugino Salim sia potuto salire sul London Eye senza apparentemente ridiscendervi e a ritrovarlo prima che possa fare la peggiore delle fini.

Affetto da Sindrome di Asperger, il protagonista ha difficoltà a interpretare tutte quelle espressioni – linguistiche o corporee – non univoche ma manifesta uno spiccato e non comune senso deduttivo. Il suo fiuto tutto basato sull’oggettività delle cose si mescola, dunque, a un’insormontabile difficoltà relazionale, a un’insolita passione per la meteorologia e a una curiosa incapacità a dire le bugie: quel che ne esce è un ritratto pertinente e intrigante della realtà Asperger, ben calata nelle dinamiche famigliari e nei contesti sociali che vi echeggiano intorno. La strada aperta ormai qualche anno fa dall’originale Strano caso del cane ucciso a mezzanotte trova qui, dunque, nuova polpa, grazie a un libro che sa fare magistralmente dell’ironia e dell’intrigo narrativo la chiave per sbucciare temi spinosi come la disabilità e la differenza.

Rico, Oscar e il Ladro Ombra

Tutto comincia con un rigatone al formaggio, per la precisione al gorgonzola, trovato inspiegabilmente sul marciapiede sotto casa. Da lì, poi, è tutto un vortice di eventi travolgenti per Rico: le indagini sull’enigmatico ladro di bambini, l’incontro con il futuro amico Oscar che gira sempre con un casco in testa, la ricerca di un fidanzato per la mamma, i rapimenti, le supposizioni e le avventure su e giù per i palazzi. Fino all’inaspettata risoluzione del mistero che da mesi terrorizza la città di Berlino.

Federico Doretti, detto Rico, è da sua stessa presentazione “un bambino lento di cervello, che confonde la destra con la sinistra e quando esce di casa cammina sempre dritto”: un bambino senza una disabilità certificata, insomma, ma che a specchio di molti coetanei percepisce di essere diverso, soffrendone in parte e reagendo a suo modo in altra. Così, con fare buffo, appunta le sue personalissime definizione di parole ignote, tenta approcci maldestri con i vicini di casa e, tra una tartina e l’altra in compagnia della signora Dolci del terzo piano, cerca distrazioni e amicizie mostrandosi curioso e goffamente intraprendente.

Attorno a lui, scorre e si ingarbuglia una fitta serie di personaggi insoliti che rendono il giallo del Ladro Ombra non solo appassionante ma anche estremamente spassoso. Ne scaturisce un libro delizioso come pochi, teneramente spiritoso nel racconto e ben congeniato nella trama, capace di parlare di diversità con la simpatia e l’efficacia che solo i libri che partono dalla narrazione e non dal tema sanno salvaguardare. E non è un caso, infatti, se questo piacevolissimo volume firmato dal tedesco Andreas Steinhöfel e intelligentemente proposto in Italia da Beisler editore, è stato selezionato e segnalato nel 2011 persino dall’Ibby Documentation Centre of Books for Disabled Young People.

Amelia e Zio Gatto. Indagine alle PMI

Un bambina e un gatto dotato di gilet come zio. La premessa del libro di Anna Lo Piano non è certo consueta e il prosieguo del volume ha il merito di tenerle fede. Amelia e Zio Gatto. Indagine alla PMI è infatti un avvincente racconto per ragazzi, fitto di mistero, suspance e avventura.

Spuntano qua e là personaggi bizzarri che aggiungono un tocco di umorismo alla vicenda permettendole di affrontare, senza renderli pesanti, temi di scottante attualità come l’ecologia. La realtà entra così nelle indagini condotte dalla improbabile coppia investigativa che si muove senza indugio negli ambienti televisivi e dei nuovi media.

Il libro, reso accattivante anche dalle illustrazioni firmate da Chiara Nocentini, vanta inoltre il merito di ampliare la gamma di titoli accessibili in caso di dislessia. Adottando il carattere ad alta leggibilità (Leggimi!) anche in questa nuova serie, Sinnos rinnova così, una volta di più, il proprio sostanzioso impegno in favore della lettura aperta anche a chi sperimenta delle difficoltà nella decifrazione dei caratteri stampati.

Le macchine fantastiche di Bubus

Evviva! Con il libro di Franco Signoracci si palesa chiaramene come l’efficacia di un racconto possa superare di gran lunga quella di una spiegazione, anche e soprattutto a proposito dell’handicap. Ma attenzione, non un racconto-che-poi-non-è-mica-davvero-un-racconto-perchè-in-realtà-insegna-qualcosa. Un racconto e basta. Un racconto in cui la protagonista, Enrica, può viaggiare in sella alla sua sedia a rotelle senza dover per questo implicare vicende ad hoc pro riflessioni moralistiche o tentativi di riscatto.

Il modo in cui Enrica si sposta è, infatti, solo una delle sue caratteristiche, senz’altro non l’unica o quella totalizzante. Essa comporta certo delle difficoltà significative rispetto all’avventura narrata ma lo fa nella maniera in cui potrebbe farlo qualsiasi altro tratto di un protagonista, dalla curiosità all’essere secchioni, dall’amore per gli animali all’esser figli di Madonna.

La disabilità di Enrica, semplicemente, viene integrata nel racconto così come nella vita del personaggio, senza cioè che le sue implicazioni appaiano ignorate o, al contrario, amplificate. E questa ci pare un’ottima cosa, là dove si voglia trovare in un libro uno strumento di integrazione: quel che si vede qui è, infatti, che una ragazzina disabile può essere protagonista di una storia non tanto perché disabile quanto piuttosto perché ragazzina.

Peccato l’autore scivoli qua e là sullo sdrucciolevole terreno narrativo, svelando precipitevolmente il gustoso mistero delle macchine di Bubus o scegliendo un rapido finale tutto miele modello “il bullo cattivo che si innamora della buona protagonista”. Ciò non toglie, tuttavia, che il libro nasca e suggerisca a sua volta spunti interessanti e si snodi con uno stile piuttosto ironico e frizzante.