La zuppa dell’orco (FabuLIS)

Lettori impressionabili e dal cuore debole, tenetevi alla larga: La zuppa dell’orco non è affare per voi! Perfettamente in linea con la tradizione più autentica e non edulcorata delle fiabe dei Grimm, il racconto di Vincent Cuvellier non esita a mettere in scena orchi sporchi del sangue dei bambini ingurgitati e genitori disposti a tagliare a pezzetti i figli. Il gusto un po’ cruento non manca insomma nell’avventura che vede protagonista l’astuto Josef, il più piccolo di sette fratelli, alle prese con genitori fannulloni e disposti a mutilare i figli per farli mendicare più efficacemente. Venuto casualmente a conoscenza del truce piano di mamma e papà, il bambino organizza una furbissima fuga, inganna e rabbonisce un terribile orco cieco e rimedia, infine, un destino gioioso per sé e per i suoi fratelli.

Il libro, stampata ad alta leggibilità dalla Biancoenero, racchiude illustrazioni espressive che ben si sposano con i toni cupi della storia e un racconto che unisce la sospensione tipica della fiaba e l’ironia caratteristica dell’autore francese. Non è raro infatti trovarsi a sorridere tra un pericolo e l’altro in cui incappano gli otto fratelli. Proprio grazie a questo stile strenuamente leggero, Vincent Cuvellier (già noto ai lettori della casa editrice romana per Giancretino e ioScappiamo!La settima onda e Mamma e papà oggi sposi) riesce a dare forma a una narrazione in cui temi forti come il disagio familiare e la disabilità, pur trattati in un contesto fiabesco, emergono con forza nuda e cruda e trovano nel finale un riscatto sorridente. Lo dice bene quel “Visto che i bambini avevano le mani, se le strinsero forte. Visto che avevano i piedi, ballarono tutta la notte. Visto che avevano gli occhi si guardarono a lungo sorridendo, fino a quando spuntò il sole su quel paese di neve e di notte”, con cui si chiude il racconto e che celebra l’importanza di trovare il bello della propria condizione. Qualunque essa sia.

Pubblicato per la prima volta da Biancoenero nel 2016, e insignito di diversi riconoscimenti tra cui il premio Andersen come miglior libro 6-9 anni e il premio Orbil come miglior libro 6-10 anni, La zuppa dell’orco torna ora protagonista di un nuovo e importante progetto della casa editrice romana: il progetto Fabulis. Il volume di Vincent Cuvellier e Andrea Antinori viene cioè riproposto in una nuova versione, che non sostituisce ma si affianca alla precedente. Qui, ogni doppia pagina presenta sulla sinistra un QRcode grazie al quale accedere a un video che ne racconta il testo in Lingua dei Segni Italiana. L’illustrazione figura, come una sorta di sfondo, anche alle spalle dell’interprete, facilitando così l’associazione tra i due supporti. Nella parte destra di ogni doppia pagina, inoltre, possono essere presenti altri QRcode contraddistinti da un bordo di colore differente. Questi attivano la traduzione in LIS delle parole meno comuni o di più difficile comprensione, all’interno di video che, così come i precedenti, non presentano audio.

Fabulis è un progetto estremamente significativo e apprezzabile, per più di una ragione. In primo luogo perché sfrutta in maniera semplice ma efficace la sinergia tra cartaceo e digitale. Grazie al basico riconoscimento di un QRcode, che rinvia a un video caricato su Vimeo, il lettore ha infatti la possibilità di fruire di una modalità narrativa e comunicativa supplementare che mal si accorderebbe con l’inserimento sulla pagina, senza dover per questo rinunciare al valore del rapporto con la fisicità del volume. L’espediente del QRcode, inoltre, è molto poco invasivo e questo fa sì che la pagina risulti praticamente identica a quella della versione originale del libro. Il lettore si trova perciò tra le mani un volume bello e curato come l’originale ma ancora più accessibile.

La corrispondenza puntuale tra testo in italiano sulla pagina e video in LIS non solo favorisce l’appropriazione e il pieno godimento del racconto da parte dei bambini sordi segnanti ma facilita anche la costruzione di un ponte tra le due lingue che questi lettori si trovano a fronteggiare nella vita quotidiana. La zuppa dell’orco, così come gli altri volumi che compongono la collana Fabulis,  costituisce, cioè, una bellissima proposta di narrativa che merita e chiama il libero gusto e il gratuito piacere della lettura, rivelandosi però anche un prezioso e valido strumento di sostegno all’apprendimento.

Da ultimo, non va trascurato il processo che ha portato alla nascita della collana. Il coinvolgimento, insieme a Biancoenero, dell’ENS (Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza dei Sordi) e di Huawei (azienda privata già sensibile al tema e attiva sul campo grazie al progetto Storysign), mette in luce l’importanza e la validità di progetti che fanno leva sull’integrazione di competenze specifiche e complementari così da offrire ai lettori prodotti di qualità tanto dal punto di vista dell’accessibilità quanto da quello letterario.

Il nostro cane Max (FabuLIS)

Gli animali domestici sono, per tanti padroni e padroncini, autentici membri della famiglia. Con loro si condividono rituali, viaggi, esperienze, emozioni e così, quando muoiono, lasciano un vuoto grande e un segno indelebile. Proprio questa parabola esistenziale, tanto familiare a chiunque abbia posseduto e amato un cane o un gatto, trova posto tra le pagine de Il nostro cane Max.

Il libro scritto da Alessandra Bocchetti omaggia e ripercorre la vita del cane Max all’interno della famiglia che lo ha accolto quando era ancora piccolissimo e brutto. L’autrice racconta in particolar modo il rapporto speciale e unico che il cane instaura con i diversi membri della famiglia, dando un assaggio delle piccole gioie che, dal primo all’ultimo giorno, la sua presenza ha regalato. Fino a che la vecchiaia lo porta via, senza che tuttavia il suo ricordo svanisca. Tutt’altro: nel cielo, nelle rocce e persino nella forma di un’isola Max torna a far visita ai suoi padroncini, nel nome di un legame intenso e sempre vivo.

Lineare e senza arzigogolate capriole narrative, Il nostro cane Max si presenta come un omaggio personalissimo a un cagnolino realmente esistito che suscita simpatia e affetto. Piacevole da leggere e commuovente nel finale, il libro fa parte di una doppia collana. La versione originale è stata inserita, infatti, all’interno della Minizoom di cui il libro condivide tutte le apprezzabili caratteristiche di alta leggibilità: font specifica, spaziatura, maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra e carta color crema. Una seconda versione, che va ad affiancarsi alla precedente e che ne mantiene tutte le caratteristiche sopracitate, è stata invece di recente messa a punto da Biancoenero e inserita nella nuovissima collana Fabulis.

In questa nuova versione, inserita all’interno della collana Fabulis, ogni doppia pagina del volume di Alessandra Bocchetti e Martina Tonello presenta sulla sinistra un QRcode grazie al quale accedere a un video che ne racconta il testo in Lingua dei Segni Italiana. L’illustrazione figura, come una sorta di sfondo,  anche alle spalle dell’interprete, facilitando  così l’associazione tra i due supporti. Nella parte destra di ogni doppia pagina, inoltre, possono essere presenti altri QRcode contraddistinti da un bordo di colore differente. Questi attivano la traduzione in LIS delle parole meno comuni o di più difficile comprensione, all’interno di video che, così come i precedenti, non presentano audio.

La collana Fabulis è frutto di un progetto estremamente significativo e apprezzabile, per più di una ragione. In primo luogo perché sfrutta in maniera semplice ma efficace la sinergia tra cartaceo e digitale. Grazie al basico riconoscimento di un QRcode, che rinvia a un video caricato su Vimeo, il lettore ha infatti la possibilità di fruire di una modalità narrativa e comunicativa supplementare che mal si accorderebbe con l’inserimento sulla pagina, senza dover per questo rinunciare al valore del rapporto con la fisicità del volume. L’espediente del QRcode, inoltre, è molto poco invasivo e questo fa sì che la pagina risulti praticamente identica a quella della versione originale del libro. Il lettore si trova perciò tra le mani un volume bello e curato come l’originale ma più accessibile.

La corrispondenza puntuale tra testo in italiano sulla pagina e video in LIS non solo favorisce l’appropriazione e il pieno godimento del racconto da parte dei bambini sordi segnanti ma facilita anche la costruzione di un ponte tra le due lingue che questi lettori si trovano a fronteggiare nella vita quotidiana. Il nostro cane Max, così come gli altri volumi che compongono la collana Fabulis,  costituisce, cioè, una bellissima proposta di narrativa che merita e chiama il libero gusto e il gratuito piacere della lettura, rivelandosi però anche un prezioso e valido strumento di sostegno all’apprendimento.

Da ultimo, non va trascurato il processo che ha portato alla nascita della collana. Il coinvolgimento, insieme a Biancoenero, dell’ENS (Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza dei Sordi) e di Huawei (azienda privata già sensibile al tema e attiva sul campo grazie al progetto Storysign), mette in luce l’importanza e la validità di progetti che fanno leva sull’integrazione di competenze specifiche e complementari così da offrire ai lettori prodotti di qualità tanto dal punto di vista dell’accessibilità quanto da quello letterario.

La strega del tombino

Gli accorgimenti che possono essere adottati nei libri per agevolare e incentivare la lettura nei bambini dislessici sono molteplici – dall’uso di font specifiche alla spaziatura più ampia del consueto, dalla sbandieratura del testo all’uso di carta color crema – e la casa editrice Biancoenero è tra quelle che meglio le padroneggia e più le impiega all’interno del suo catalogo. A questi accorgimenti di tipo grafico e tipografico si possono aggiungere altre qualità del volume, questa volta squisitamente stilistiche e contenutistiche, che ne ampliano e rafforzano l’efficacia. Storie accattivanti e testi incisivi, per esempio, incidono in maniera decisiva sulla motivazione e sulla soddisfazione collegate alla pratica della lettura. E anche in questo, la casa editrice romana ha una lunga esperienza.

Si prenda ad esempio il recente racconto ad alta leggibilità La strega del tombino di Isabelle Renaud. Qui l’incipit sembra dire al lettore “Vieni qui, ho decisamente qualcosa per te! Non sei curioso?”. Si legge, infatti, in apertura: Nella mia città c’è una scuola. La scuola ha un cortile dove si fa ricreazione. Nel cortile c’è un tombino. In fondo al tombino c’è una strega imprigionata. Io e la mia amica Melinda le diamo spesso da mangiare: fili d’erba, sassolini, avanzi delle nostre merende. A volte la strega non mangia tutto quello che le diamo e il giorno dopo vediamo i fii d’erba o altro galleggiare in superficie. La maggior parte delle volte, però, mangia ogni cosa senza lasciare niente. Va detto che nella situazione in cui si trova non può essere troppo schizzinosa. E poi è una strega! […]

Da qui in poi il racconto procede spedito, con un piede sempre dentro un’interpretazione fantastica del reale. Quella strega che Melinda e Maud temono e nutrono dal tombino, immaginando sul suo conto le storie più articolate, si sospetta abbia un ruolo determinante nel piano messo in atto dalle bambine per tenere testa alla terribile supplente che ha preso il posto della deliziosa maestra Vittoria. Inflessibile e con una passione sfrenata per la pratica di far sezionare i pesci ai suoi allievi, la signora Tric non solo tratta la classe con autoritaria prepotenza ma rischia anche di far saltare lo spettacolo di fine anno ispirato al pow-wow indiano per cui gli alunni si sono a lungo preparati. Per liberarsi di lei servono un piano e circostanze fuori dal comune. Un’eccezionale tempesta, per esempio, di quelle che solo una creatura magica, forse, è in grado di scatenare…

Isabelle Renaud ci regala un racconto confezionato a puntino e perfetto per intercettare l’interesse anche dei lettori più riluttanti. Breve ma dotato di una storia solida e dal ritmo serrato, La strega del tombino mescola in poche pagine humour e avventura. Impaginazione ariosa e illustrazioni frequenti, dal canto loro, completano il quadro di una narrazione che sorride invece che allontanare chi teme un po’ di più la parola scritta.

La costituzione degli alberi

Magistrate di professione, Valeria Cigliola ed Elisabetta Morosini non sono nuove alla creazione di testi a misura di bambini e ragazzi che mescolino narrazione e divulgazione su temi di educazione civica. Il loro La costituzione degli alberi fa infatti idealmente seguito a La costituzione in tasca, pubblicato sempre da Sinnos nel 2018.

Se quest’ultimo proponeva una sorta di caccia al tesoro tra i diversi articoli della Costituzione, il focus del volume più recente è piuttosto la tutela ambientale. Attraverso la vicenda esemplare di una roverella secolare che rischia di essere abbattuta e le voci di una moltitudine operosa di personaggi, La costituzione degli alberi porta il lettore a scoprire che la voce e l’azione di ciascuno di noi può fare la differenza per impedire delle ingiustizie e che queste ultime possono e devono riguardare non solo gli esseri umani ma anche la natura che quegli esseri umani li nutre, li circonda e li ospita. A partire dalla storia della quercia Eleanor, si racconta ai lettori che proprio lo scorso anno la nostra Costituzione è stata modificata per allargare la tutela sancita dall’articolo 9 anche all’ambiente, alla biodiversità, agli ecosistemi, e agli animali. Ecco allora che la vicenda narrata diventa anche per pretesto per ragionare in maniera più ampia sul ruolo che la Costituzione ha e sul valore che le sue modifiche possono assumere, nel rispetto dei tempi che cambiano ma anche dello spirito originario con cui la carta è stata scritta.

Molto scorrevole nonostante il tema complesso e l’animo divulgativo, La Costituzione degli alberi si presta particolarmente a letture di classe e a ispirare possibili riflessioni condivise. Le caratteristiche di alta leggibilità del volume, peraltro, nel allargano le possibilità di fruizione e le illustrazioni dinamiche di Irene Penazzi ne amplificano la dimensione immaginifica.

Ultimo regalo

In questa storia ci sono una nipotina intraprendente, una prozia elegante, uno spasimante un po’ troppo invadente e tanti animali domestici, più o meno comuni. Come si legano tra loro questi ingredienti? È presto detto: la prozia elegante riceve quotidianamente dei regali dai suoi spasimanti, così tanti che non sa più dove metterli e periodicamente è costretta a fare un mercatino per disfarsene, cosa in cui la pronipote la affianca con piacere. Un giorno, però, l’omaggio che arriva dallo spasimante più attivo e donominato Ultimo regalo è davvero fuori dal comune: nelle dimensioni, nell’aspetto e nelle abitudini alimentari. Gestirlo non sarà semplice e ancor meno sarà recuperarlo in seguito a un’inaspettata fuga. Ignota fino alla fine è la sua natura e questo fa sì che il racconto assuma un allure intrigante e surreale con la quale si sposano alla perfezione le illustrazioni di Andrea Antinori.

Coloratissime e capaci di reinventare forme, dimensioni e inquadrature del reale, queste ultime catapultano il lettore in una dimensione fantastica irresistibile. Distribuite con frequenza tra le pagine di testo che compongono i brevi capitoli, le figure del giovane illustratore concorrono a rendere la lettura più dinamica, abbordabile e amichevole. A questo fino contribuiscono d’altro canto le acute scelte editoriali fatte da Camelozampa in un’ottica di alta leggibilità. Al font EasyReading, alla spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe, alla sbandieratura a destra e alla carta opaca si aggiunge anche una dimensione del carattere più ampia del consueto che sembra dire ai lettori che da poco o con fatica padroneggiano la lettura: “Scegli me!”.

Non aver paura dei cimiteri

A.A.A., lettori impavidi cercasi! Servono nervi saldi, scarsa propensione a lasciarsi impressionare e una certa dose di coraggio per tuffarsi tra le pagine della nuova collana di Biancoenero edizioni, intitolata non a casa Fifa Blu. Immancabilmente contraddistinta delle caratteristiche di alta leggibilità che da sempre rendono prezioso il catalogo dell’editore romano in un’ottica inclusiva, questa nuova collana raccoglie storie ad alta tensione e dall’accento decisamente horror. Perfette per lettori coraggiosi della scuola secondaria di primo grado, queste risultano generalmente piuttosto brevi (un centinaio di pagine al massimo) e molto intense, assecondando così i gusti e le esigenze di chi ama i racconti da brivido ma fatica magari a confrontarsi con tomi troppo impegnativi. In questo senso, la presenza di illustrazioni in bianco e nero e dallo stile gotico di Julie Massy, concorre a sua volta a sostenere la lettura, rendendo le pagine più ricche e dinamiche, e a sottolineare il tono dei racconti, dando una forma visibile all’inquietudine.

Non aver paura dei cimiteri di François Gravel ne è un esempio eloquente. Qui si narra la storia di Clara, una ragazzina da poco trasferitasi in una nuova città, in una casa prospicente il cimitero. La sua famiglia ha da sempre manifestato un curioso interesse nei confronti di tombe e affini, insegnandole fin da piccola che non deve averne timore. Possibile, però, che le abbiano tenuto nascosto qualcosa? Clara inizia a sospettarlo quando dalla sua finestra vede delle luci tremolanti dentro il cimitero che nessuno pare notare e si sente come chiamata da forze misteriose. Ne avrà conferma poco tempo dopo, quando scoprirà un segreto insospettabile sulla sua natura e quando, cercando di saperne di più, andrà incontro a un destino tutt’altro che luminoso…

Gaspare e Amleto

Come cane e gatto – o per meglio dire, come rospo e riccio – Gaspare e Amleto non si possono proprio vedere. Fin dal loro primo incontro allo stagno si intuisce che, tra i due, la miccia del litigio può essere facilmente accesa. Un sasso gettato di sorpresa nelle acque placide scatena infatti una rapida zuffa. La prima di una serie, a dire la verità, perché da lì a poco inizia la scuola e, loro malgrado, Gaspare e Amleto si ritrovano nella stessa classe ogni pretesto diventa buono per litigare e scambiarsi oltraggi e dispetti. Fino a quando il rospo e il riccio non si scoprono complici perfetti di una marachella con la M maiuscola: il furto del tesoro che la maestra nasconde nel suo armadietto. Cioccolato, imprevisti e segreti condivisi si riveleranno allora più forti di diversità e superficiali antipatie…

La storia di Gaspare e Amleto è buffa e lineare, movimentata e capace di rispecchiare dinamiche infantili autentiche. A tutto questo, che già gioca la sua parte nel rendere il volume accattivante e abbordabile, si aggiungono le scelte adottate dalle autrici e dall’editore per fare di questo libro una prima lettura amichevole e accessibile, anche per coloro che faticano un po’ di più a confrontarsi con la parola scritta.

Oltre ad adottare il font maiuscolo leggimi (leggimiprima) e tutto il set di caratteristiche di alta leggibilità (spaziatura ampia, sbandieratura a destra, distribuzione del testo che segue la punteggiatura, carta color crema…), Gaspare e Amleto presenta un’architettura narrativa in cui testo e illustrazioni si alternano regolarmente e con equilibrio, rendendo ogni doppia pagina poco densa di parole e capace di stimolare parimenti lettura alfabetica e lettura visiva. Quest’ultima, peraltro, trova ampio spazio alla fine di ogni capitolo dove si trova sempre una doppia pagina conclusiva fatta solo di figure.  I capitoli, dal canto loro, sono brevi e offrono così traguardi di lettura raggiungibili e incoraggianti.

Che mistero anche se…

Storybox è piccolo editore indipendente che ha scelto di adottare caratteristiche di alta leggibilità per i suoi volumi. Questi ultimi fanno uso, in particolare, del font EasyReading e privilegiano un’impaginazione ariosa con margini non risicati, sbandieratura a destra e spaziatura ampia tra lettere, parole e righe.

Tra le pubblicazioni di Storybox, avviate nel 2021, spiccano in particolare alcune raccolte di racconti, contraddistinte da una formula ricorrente e azzeccata così sintetizzabile: storie brevi, penne diverse e, appunto, grafica amichevole. Alle prime due – È Natale anche se… e Che paura anche se…, si è da poco aggiunta la terza, intitolata Che mistero anche se…

Il volume raccoglie in particolare 31 racconti scritti da altrettanti autori, tutti soci di ICWA (Associazione Italiana degli Scrittori per Ragazzi). Si tratta di storie brevi e brevissime che in una manciata di pagine offrono al lettore piccole vicende enigmatiche il cui tono è sempre piuttosto leggero e ironico, più orientato quindi a far divertire il lettore che a fargli fare ardite congetture e ipotesi. In questo senso, anche il tratto leggero amichevole dell’illustratrice Silvia Baroncelli asseconda bene le atmosfere delineate dagli autori.  Dalle loro penne escono, per esempio, note scomparse e vicini di casa sospetti, marchingegni antichi ed eredità da decifrare, crocchette magiche e gatti ipnotizzatori. A volte la spiegazione sta tutta in un equivoco, altre viene a galla mettendo insieme tracce e indizi, altre ancora è la magia a metterci lo zampino.

Da un punto di vista dell’accessibilità, Che mi stero anche se… è una proposta molto valida. Nel sostenere la lettura anche da parte di lettori meno forti o con dislessia, le caratteristiche di alta leggibilità sopra citate vengono infatti coadiuvate dalla brevità dei racconti, dalla varietà di stili e soggetti e dal tono brioso che si riflette anche nella grafica.

Diario di un ragazzo invisibile

A chi non è capitato – a scuola, in famiglia o in qualunque altro contesto sociale – di sentirsi invisibile? Vivien conosce questa sensazione meglio di chiunque altro. Lui, infatti, invisibile lo è letteralmente. Non sempre, non dappertutto. Ma spesso e in situazioni diverse. La faccenda è strana forte, Vivien se ne rende conto. E così inizia ad annotare sul suo diario tutto ciò che nota in relazione alle sue scomparse e a cercare di entrare in contatto con i pochi studiosi che hanno approfondito il fenomeno. La strategia non sembra portare nuovi frutti. Al contrario, l’incontro inatteso con una coetanea a sua volta convinta di avere uno strano potere, lo fa sentire improvvisamente visto…

È un tema vivo, questo del sentirsi visti, un tema in cui facilmente un lettore alle prese con l’adolescenza può riconoscersi. L’autrice lo affronta con un taglio particolare, non privo di guizzi ironici. Il suo Diario di un ragazzo invisibile si presenta al lettore come un libro compatto, dal formato tascabile e dall’aspetto grafico amichevole. Le pagine si caratterizzano, infatti, per l’impiego del font EasyReading (in dimensione però abbastanza ridotta), per una spaziatura abbastanza ampia tra lettere, righe e anche paragrafi e per la sbandieratura a destra che ne agevolano la lettura anche in caso di dislessia.

Ti aspetto a San Qualcosa

Beniamino Sidoti maneggia le parole come fossero plastilina: ci gioca, le trasforma, ne trae con destrezza inattesi spunti narrativi. Questa sua consuetudine con la lingua, con il gioco e con le storie, ha un ruolo importante anche nel suo Ti aspetto a San Qualcosa, romanzo breve recentemente pubblicato da Camelozampa.

Qui il protagonista Simone, appena trasferitosi in un paesino sperduto con il papà, decide di esplorare in maniera originale la nuova realtà in cui senza diritto di lamentela è stato catapultato. Il gioco che fa consiste nel decidere ogni giorno un libro (ma anche una canzone, un film o un gioco) diverso e di osservare e interpretare ciò che lo circonda come se fosse dentro la storia che qui si racconta. Così, per esempio, il primo giorno si muove per le viuzze del paese come fosse in un bosco dove cercare briciole di pane, orientarsi con le stelle, trovare la strada tra gli alberi. E magari farsi accompagnare da qualcuno, dal momento che la storia scelta è quella di Hansel e Gretel e che Hansel senza Gretel non ha granché senso. E in effetti sul suo cammino Simone incontra Sara, che come lui non si affanna a omologarsi e che accetta di buon grado di calarsi nel gioco. La loro è senza dubbio un’affinità elettiva che si nutre, giorno dopo giorno, di esplorazioni e di scoperte, di domande e di silenzi, di pensieri e di vicinanza fisica. Come una sorta di elemento terzo che aiuta a creare un distacco e a mettere a fuoco le cose, le storie che Simone usa come lenti tracciano sentieri e creano confidenza, aiutando a dirsi e a dire agli altri anche le cose più intime, dolorose o difficili da guardare e nominare.

Tra le pagine di Ti aspetto a San Qualcosa, pubblicate da Camelozampa con caratteristiche di alta leggibilità (compresa la spaziatura tra i paragrafi che dà respiro anche a chi fa più fatica), il lettore, idealmente di scuola media, può trovare spunti di letture ghiotte e stimoli a guardare la realtà più ordinaria con occhi differenti. Può trovare personaggi fuori dagli schemi ma profondamente credibili. E può trovare legami, emozioni e preoccupazioni che gli suonano familiari. Perché ogni buona storia – che parli di un gigante gentile, di un lupo nella foresta, di autobus a forma di gatto o di giustizieri mascherati – è una storia che parla di noi.

30 giorni per capire i Disturbi dell’Apprendimento

L’attenzione rivolta al tema della disabilità da parte dell’editoria per ragazzi è andata crescendo negli ultimi anni . Storie potenti e meravigliose hanno squarciato tabù, offerto rappresentazioni e allargato sguardi, andando di pari passo a libri di qualità decisamente più discutibile, in cui chiari intenti prescrittivi risultano camuffati da racconti deboli e posticci. Sono volumi in qualche modo sleali, questi ultimi, che pur assumendo una forma squisitamente narrativa, si prefiggono in realtà di spiegare la disabilità e di offrire, per quanto in buona fede, istruzioni e ammonimenti in merito. Ecco allora che anche e soprattutto rispetto a queste proposte, la serie 30 giorni per capire… di Uovonero porta una significativa ventata di novità. Perché qui non ci sono travestimenti o inganni, i libri intendono aiutare i ragazzi a conoscere l’autismo, i disturbi visivi o i disturbi dell’apprendimento e per farlo scelgono la forma che più è congeniale a uno scopo divulgativo: il manuale.

I libri di 30 giorni per capire… sono, infatti, tre manuali costruiti con grandissima intelligenza sulle esigenze dei ragazzi: chiarezza, ironia e praticità sono le loro parole chiave. Ogni volume sfida infatti i lettori a cimentarsi con una serie di challenge – dinamica, questa, molto presente nei contenuti video di cui i ragazzi sono avidi fruitori – con cui sperimentare alcuni aspetti peculiari del modo di stare al mondo di chi vive una certa condizione. Tutt’altro che tediose, le challenge sono molto creative e si rivelano particolarmente divertenti se condivise in un clima sereno con i pari. La serie in questione si presta, così, a dare i suoi migliori frutti se impiegata come strumento di azione e riflessione di gruppo: uno strumento decisamente accattivante e fuori dagli schemi consigliatissimo per le classi, per esempio. Target ideale: scuola media (ma i libri sono fruibili già dalla fine della scuola primaria), un ordine di scuola che tra l’altro è spesso bistrattato e all’interno del quale è talvolta difficile trovare delle proposte di attività davvero stimolanti.

Le challenge sono corredate da un breve approfondimento che collega l’esperienza fatta a una specifica caratteristica del disturbo trattato. In questo modo esse diventano un’occasione concreta per mettersi nei panni di qualcun altro e per capire il perché di alcuni comportamenti altrui che potrebbero altrimenti apparire strambi e indecifrabili. A chiudere ogni capitolo, l’invito a condividere sui social foto e video che attestino gli esiti delle singole challenge, con specifici hashtag: aspetto, questo, forse più critico, se si considera lo scarto tra l’età di riferimento dei volumi e l’età minima teoricamente richiesta per iscriversi ai social network più diffusi.

A rendere questo progetto davvero innovativo e meritevole ci sono tanti aspetti, di cui tre particolarmente significativi: la scelta di interloquire in maniera efficace con i reali destinatari dei volumi; la capacità di sposare un tono umoristico (mai forzato!) a un atteggiamento sempre rispettoso nei confronti di coloro che i diversi disturbi li vivono in prima persona; e l’attenzione a restituire la complessità di questi ultimi con una chiarezza estrema che non compromette, tuttavia, il rigore scientifico delle informazioni fornite. E qui viene davvero fuori tutta la solidità e la serietà di una realtà editoriale come quella di Uovonero, in cui competenze specifiche molto trasversali si integrano in maniera efficace e vincente.

 

30 giorni per capire i Disturbi dell’Apprendimento presenta specchietti e challenge dedicati a dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia. Il volume prova in particolare a far sperimentare in prima persona al lettore le difficoltà con cui le persone con DSA si confrontano abitualmente. Associare simboli e suoni, eseguire più istruzioni contemporaneamente, seguire testi scritti con forme o grafiche affaticanti, orientarsi tra numeri e grandezze, scrivere in maniera disagevole, solo per fare qualche esempio. Così, il lettore viene invitato ad eseguire concerti secondo spartiti insoliti, unire puntini tenendo la penna in posizioni ardite, mettere in ordine di grandezza oggetti poco noti, scrivere il testo di una canzone amata e insieme tenere il tempo. Gli vengono cioè proposte prove molto variegate e che difficilmente si aspetta. Allo stesso tempo, le autrici si premurano di offrire sempre un retro della medaglia, proponendo soluzioni e strumenti che possono aiutare a ovviare alle difficoltà create dai diversi disturbi.

Il lavoro fatto in questa direzione è particolarmente delicato e prezioso in relazione ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento: spesso, infatti, gli strumenti dispensativi e compensativi di cui possono beneficiare gli studenti dislessici, discalculici, disgrafici o disortografici vengono percepiti dai compagni (e prima ancora anche dagli insegnanti) come dei privilegi e non come delle soluzioni che garantiscono equità. Conoscere e riconoscere le difficoltà che possono bilanciare costituisce un tassello importante affinché la società, che prima di tutto si forma tra i banchi, possa crescere sempre più inclusiva e rispettosa.

Tanto amore non può morire

Un romanzo può essere commuovente dalla prima all’ultima pagina (letteralmente) senza per questo apparire melenso. Può raccontare la morte senza per questo risultare funesto. Può scavare nel dolore e nonostante, anzi proprio grazie a questo, far affiorare la gioia delle relazioni. Tanto amore non può morire di Moni Nilsson dimostra, dal canto suo, tutte e tre queste cose.

Lo fa attraverso la storia e il punto di vista di Lea, dieci anni, una famiglia unita e ordinaria, una passione per il calcio, un carattere tosto, un’amica che è praticamente una sorella e una mamma malata di cancro. Lea sa della malattia della madre ma, anche in virtù di un’età in cui consapevolezza ed elaborazione fantastica tendono a mescolarsi, rifiuta in fondo l’idea che possa morire a breve. Così, quando la sua migliore amica Noa le dice di aver visto sua madre al Galà del Cancro e di essere dispiaciuta per la sua morte imminente, la fragile e tutto sommato rassicurante idea di realtà imbastita da Lea improvvisamente crolla. Noa diventa una traditrice per aver saputo prima di lei e per averle rivelato ciò che lei non vedeva o non voleva vedere. Lea fa di lei una sorta di capro espiatorio e al contempo di soggetto scaramantico: finché la odierà e rinuncerà alla sua amicizia, forse la mamma non morirà. Accade, allora, che mentre la malattia di Johanna peggiora, lasciandole sempre più di rado dei momenti buoni in cui fare scorta di piccole felicità, Lea sperimenta la paura del distacco in maniera ancora più dolorosa perché non può contare sulla sua amica più cara. Proprio quella che, nonostante, tutto, continua a cercarla e a tentare un riavvicinamento dopo il pasticciaccio del Galà. Arriva un momento, però, in cui gli allontanamenti forzati, i tentativi di distrazione e le nuove amicizie non bastano più a coprire il vuoto enorme che si fa spazio dentro Lea. Ed è proprio lì che le relazioni importanti, che si stringono in quella che è una famiglia allargata a tutti gli effetti, affiorano con forza e si fanno rete di sicurezza. Quella a cui affidarsi senza timore e di cui sentirsi indissolubilmente filo.

Asciutto, intenso e meravigliosamente scritto, Tanto amore non può morire prende di petto un tema delicatissimo scansando in uno slalom ardito le trappole del sentimentalismo e dello sbrodolamento. Qui, verosimilmente, il tempo e il ritmo cambiano in funzione della situazione che vive Lea e degli stati emotivi che essa reca con sé. Le relazioni – grandi protagoniste del romanzo – palpitano autentiche nelle parole e nei gesti dei personaggi, portando alla luce tutto ciò che di buono può esserci nel dolore più buio. È un romanzo forte, appassionante, incisivo, questo di Moni Nilsson, che merita di essere proposto e consigliato ai ragazzi e alle ragazze nonostante tema portante e copertina possano apparire respingenti. Ultimo ma non meno importante: Uovonero lo propone con caratteristiche di alta leggibilità evidenti e importanti che a loro volta sostengono una lettura già di per sé densa e magnetica.

La fantastica corsa volante

Il bosco è in fermento per l’evento dell’anno: sta per iniziare la Fantastica Corsa Volante. Dieci squadre di pennuti sono pronte a sfidarsi, ciascuna a bordo di un mezzo capace in vario modo di solcare i cieli. C’è chi punta sulla classica mongolfiera, come l’affiatata coppia Struzzo&Pinguino, e chi investe su jet aerodinamici come i Super Falchi; chi si lancia su ingegnosi trabiccoli a pedali come il Flamingo Team e chi sfodera mezzi spaziali come la Bat Squadra. La gara si prospetta avvincente ma, inspiegabilmente, una dopo l’altra, tutte le squadre sono costrette al ritiro. Possibile che in una sola corsa capitino avarie di ogni tipo, dai palloni sgonfi alle eliche fuori uso, dalle fusoliere bucate agli scontri in volo? La faccenda si fa sospetta e in effetti in un rush finale tutto trambusto e colpi di scena, salta fuori un’insospettabile verità (mai e poi mai fidarsi dei polli!) e la gara finisce per trovare degli imprevedibili vincitori.

Ciò che rende davvero speciale e ben congegnato questo albo illustrato di Tjibbe Veldkamp &Sebastian Van Doninck è, da un lato, l’inventiva con cui sono costruiti i diversi mezzi volanti e il modo con cui ciascuno di essi esce di gara, e dall’altro il dialogo che si instaura tra testo e figure, costruito in maniera tale per cui le seconde sanno e dicono sempre molto di più rispetto al primo. Una caratteristica, questa, che appare apprezzabile per più di una ragione. In primo luogo perché mette in valore un tipo di lettura – quella visiva – che non ha nulla da invidiare a quella alfabetica e che anzi qui risulta fondamentale per capire che cosa succede nella storia. Questo significa che anche i bambini che magari faticano di più di fronte al testo scritto – qui peraltro stampato ad alta leggibilità e in misura breve con non più di un paragrafo per pagina – ma la cui capacità di esplorazione e interpretazione delle figure è minuziosa, possono qui trovare grande soddisfazione. Il volume risulta in questo senso ideale anche per invogliare e appagare anche i lettori meno forti e/o dislessici.

Ma non è tutto. Il particolare equilibrio che lega testo e illustrazioni genera dinamiche di lettura votate alla sorpresa e per questo molto accattivanti. Accade infatti che, con buona probabilità, il lettore arrivi alla fine della corsa senza aver davvero colto che cosa sta accadendo ai partecipanti. La pagina è infatti così ricca di figure e di dettagli che i tentativi di sabotaggio che vi hanno luogo riescono a camuffarsi molto bene. Solo tornando indietro – operazione che viene immediatamente da compiere di fronte alla notizia della squalifica di una squadra – ci si rende conto di quante cose siano accadute senza che ce ne accorgesse. Ogni pagina diventa a quel punto un terreno di sfida da esplorare a tappeto per cogliere con gusto particolari sempre nuovi e inattesi, trovando di volta in volta un senso e una ricchezza nuovi nel libro appena letto. Viceversa, chi fosse così attento da scorgere subito le industriose scorrettezze del Team Pollo può egualmente godere di una lettura in cui lo scarto tra parole e figure diverte e appassiona, chiedendo al lettore di mettersi alla prova con un occhio davvero scaltro.

Crepe d’oro

Lavorare la mollica di pane con le dita per dar forma a minuziose statuette non è un hobby diffuso. Tantomeno è semplice. Bisogna lavorare con precisione e in fretta, altrimenti si formano delle crepe che rovinano il risultato. Nico odia le crepe, ma odia forse ancora di più il fatto che i suoi genitori non capiscano né condividano la sua passione. Statuine e sculture sono sciocchezze per loro, tempo prezioso sottratto allo studio. E così, ogni volta che una sua opera finisce nel cestino e che il suo impegno viene sminuito, anche in Nico si aprono delle crepe. Sul suo cammino, però, il ragazzo incontra qualcuno – un insegnante attenta, prima, e un maestro scultore poi – che le crepe sa non solo risanarle ma anche metterle in valore. Perché, come insegna l’antica arte giapponese del Kintsugi, proprio le crepe sono ciò che ci rende unici, forti e preziosi.

Scritto da Antonio Ferrara, Crepe d’oro condensa in meno di sessanta pagine un racconto spigoloso e motivante. E c’è più di una ragione per tenerlo d’occhio e consigliarlo ai ragazzi. Una è che l’autore conosce bene l’adolescenza e sa raccontarla con lucidità, senza tanti fronzoli o storture. Un’altra è che il suo racconto unisce brevità e intensità, offrendo una lettura ricca ma allo stesso tempo abbordabile: cosa per nulla trascurabile agli occhi di lettori meno forti, poco attratti dai libri o con difficoltà legate di lettura legate per esempio alla dislessia. In questo senso Biancoenero confeziona una proposta interessante e intelligente che non solo mette in campo tutti gli accorgimenti di alta leggibilità (font, spaziatura, sbandieratura, colore della carta…) ma li applica a un testo coinvolgente che non spaventa il lettore ma anzi lo abbraccia con una misura amichevole.

Facile! Leggere bene. Leggere tutti – Gribaudo (collana)

La collana Facile! leggere bene. Leggere tutti proposta da Gribaudo è stata una delle prime a mutuare la font leggimi di Sinnos e ad adottare accorgimenti grafici di alta leggibilità per proporre prime letture amichevoli nella forma anche agli occhi di lettori dislessici.

Attiva da quasi dieci anni (i primi titoli risalgono al 2015), la collana offre storie brevi, che si esauriscono in una cinquantina di pagine a colori, tutte provviste di illustrazioni. Il formato dei volumi è snello e maneggevole: cosa, questa, che può contribuire a rafforzare l’impressione di trovarsi davanti a una lettura abbordabile. In catalogo figurano storie delicate, come quelle scritte e illustrate da Petr Horácek e che vedono protagonista un delizioso topolino (Il topino che si mangiò la luna; Il topino che non aveva paura; Il topino che cercava casa); storie che hanno dato vita a serie di successo, come quelle create da Orianne Lallemand e dedicate a un famoso lupetto (Il lupo che voleva cambiare colore; Il lupo che voleva fare il giro del mondo; Il lupo che aveva la testa tra le nuvole, per esempio), o ancora storie buffe (come La bottega di dolci della signora Tortinsù), poetiche (come Il signor Paltò) o rocambolesche (come Il ladro di risate). Le pubblicazioni più recenti, in particolare, sono perlopiù affidate a penne italiane come Anna Sarfatti, Lodovia Cima e Simone Frasca.

Tra le caratteristiche che contraddistinguono i volumi di collana in termini di accessibilità può essere utile rimarcare, oltre all’uso della font specifica leggimi, anche:

che ne accentuano la fruibilità in caso in dislessia.

La banda dei vecchi bacucchi

Dalla penna di Florence Thinard escono romanzi ricchi di personaggi memorabili e avventure rocambolesche. Camelozampa, che ce l’ha fatta conoscere nel 2018 con Meno male che il tempo era bello. La stessa casa editrice pubblica ora, sempre con caratteristiche di alta leggibilità, un secondo volume dell’autrice francese: un romanzo il cui titolo buffo – La banda dei vecchi bacucchi – anticipa perfettamente il carattere irriverente della narrazione e la presenza di protagonisti fuori dal comune.

Al centro del racconto c’è, infatti, un gruppo di anziani che mal sopportano di essere considerati un inutile peso dalla società contemporanea. È un gruppo bizzarramente assortito, il loro. C’è Nonno Ferraglia, che sposa ideali anarchici e l’abitudine di raccogliere ferri vecchi per tirar su qualche soldino. C’è Giselle alias Miss Scarlett, pasionaria dai vestiti vistosi. C’è Victor alias Zorro, che nonostante gli acciacchi non rinuncia a fare murales in giro per la città. E c’è Rose, alias Polvere di riso, vecchietta gentile e inaspettatamente scaltra. È proprio lo scippo subito in strada da Rose a portare i quattro a incontrarsi e a formare un’autentica banda. Il gruppo si riunisce dapprima con il pretesto di catturare l’autore dell’aggressione ma si consolida, poi, con la chiara intenzione di combattere le ingiustizie più diverse, rivendicando il diritto degli anziani ad essere riconosciuti come risorse e non come zavorre.

È in questo modo che la Banda dei vecchi bacucchi – così si autonominano i quattro – mette in piedi piccole ma incisive missioni, che di volta in volta prendono di mira individui prepotenti e simboli di una società iniqua. Le missioni finiscono per coinvolgere, suo malgrado, anche il giovane Jules: ragazzino fragile e scapestrato catturato dopo lo scippo a Rose e messo in riga dalla banda. Quello di riportare Jules a scuola, di toglierlo da un brutto giro di ricettatori e, infine di farlo notare da Roxane, la giovane di cui si è innamorato, diventerà per i vecchietti una sorta di missione d’onore, quella forse a cui tengono di più oltre che quella davvero capace di far nascere, crescere e cementare relazioni inattese.

Deliziosamente ironico, La banda dei vecchi bacucchi è un romanzo corposo ma molto scorrevole, ricco di eventi e colpi di scena che danno una veste avvincente a una riflessione, tutt’altro che banale, su tematiche attualissime come il consumismo, la lotta di classe, il rapporto tra generazioni e il valore dell’istruzione. Camelozampa lo propone ai suoi lettori con un’impaginazione amichevole, forte soprattutto di un font ad alta leggibilità come l’EasyREading, di una spaziatura più ampia del consueto e della sbandieratura a destra. Pur essendo rivolto a un target dai 10 anni in su, inoltre, il libro ha il merito di non rinunciare a inserire di tanto in tanto delle illustrazioni che dinamizzano la pagina e sostengono la lettura.

Oscar Primi Junior – Mondadori (collana)

Nel 2021 Mondadori avvia la sua prima collana di narrativa ad alta leggibilità per bambini: Oscar Primi Junior. Si tratta, in realtà, di una collana preesistente che dal 2021 inizia ad assumere regolarmente caratteristiche di alta leggibilità. I volumi che la compongono si rivolgono a una fascia di età compresa tra i 6 e i 9 anni – quella, non a caso, in cui più frequentemente vengono diagnosticati i Disturbi Specifici dell’Apprendimento – e presentano storie variegate e generalmente accattivanti: da alcuni racconti di successo di grandi autori (come Incantesimi e starnuti e A cavallo della scopa di Bianca Pitzorno) alle storie di personaggi chiave della contemporaneità (per esempio La storia di Malala di Viviana Mazza o Il maestro che sfidò la guerra di Alberto Melis), passando per le storie di scuola (per esempio Non mi piace leggere di Miriam Dubini o Un segreto a scuola di Carola Susani) e le proposte che muovono da temi di attualità (come L’isola delle regole di Anna Sarfatti o Operazione Salvapianeta! di Isabella Paglia).

I volumi di Oscar Primi Junior vantano un formato maneggevole, carta opaca che evita fastidiosi riflessi e illustrazioni a ogni pagina che incentivano e alleggeriscono la lettura. Queste ultime, peraltro, sono talvolta affidate a illustratori di calibro come Giulia Orecchia o Paolo D’Altan.

Quanto alle caratteristiche grafiche e tipografiche – quelle che maggiormente incidono sulla leggibilità del testo-, i libri che rientrano nella collana presentano:

Ne risultano volumi piacevoli da leggere, tanto per le storie, divertenti o affascinanti, quanto per la forma ariosa e invitante.

Il leone e Ellen

Squadra che vince non ci cambia. Ecco, allora, che Ellen e il suo leone di pezza tornano alla carica! Scoppiettante, imprevedibile e perfettamente assortita, quella composta dalla bambina e del suo pupazzo è, in effetti, una squadra su cui si può scommettere. Il tempo in loro compagnia è un tempo ricco e solleticante, scandito da giochi fantasiosi in cui il confine tra realtà e immaginazione si fa labile e in cui avventure ardite possono nascondersi negli oggetti più ordinari e insospettabili.

Ciò che rende, poi, davvero irresistibili le vicende descritte da Crockett Johnson è la dinamica dialogica che si instaura tra i due protagonisti. Come quando Ellen invita il leone a raccontare le sue avventure prima del loro incontro e poi si complimenta con lui per una storia che lei stessa ha raccontato, quando gli intima di stare fermo e zitto (più di quanto un pupazzo già non faccia) per poter leggere in santa pace, quando lui dichiara di non saper ruggire ma lei ha già organizzato uno spettacolo circense da migliaia di spettatori o quando lui si lamenta di esser stato dimenticato nella neve e lei trasforma l’inconveniente in un’artistica impresa invernale. Allo stesso modo, lo scarto tra i voli fantastici compiuti ad alta voce dalla bambina e le considerazioni terra terra che aggiunge il leone generano un corto circuito ironico di fronte al quale trattenere il sorriso è impresa ardua.

In Il leone ed Ellen troviamo insomma otto avventure nuove di zecca e tutte le qualità già apprezzate all’interno di Ellen e il leone: dall’irresistibile umorismo all’adesione rispettose del mondo infantile, dai perfetti tempi comici al gioco equilibrato tra finzione ludica e consapevolezza del reale. Questo secondo volume, firmato nei testi e nelle figure da Crockett Johnson, si conferma così, anche grazie ai brevi capitoli autoconclusivi e alla stampa a grande carattere e ad alta leggibilità, una perfetta prima lettura per lettori della scuola primaria così come un delizioso volume da leggere in condivisione alla stessa età o anche un paio d’anni prima.

Prendimi per mano

Una notte in ospedale può cambiare la vita. Non solo o non sempre per l’esito di un intervento ma anche e più, talvolta, per via degli incontri che qui possono avere luogo. Incontri fortuiti tra sconosciuti, le cui storie apparentemente non si sfiorano nemmeno ma che in alcuni casi trovano punti di contatto magnetico. È quel che accade ad Antoine e Chloé, ricoverati nella stessa stanza per due motivi completamente diversi: una piccola operazione al dito lui, un intervento più complesso all’anca lei. Nelle poche chiacchiere che i due ragazzi scambiano in attesa che giunga il mattino, scatta un’intesa fuori dal comune in cui si intrecciano non solo attrazione fisica e sensibilità vicine ma anche paure e vissuti comuni, segnati da perdite precoci e lancinanti sensi di vuoto. Al di là dei vetri di quella camera silenziosa, la neve cade disegnando un paesaggio che chiama a stare nella bellezza del presente. E così, quasi senza pensarci, Antoine e Chloé si lanciano in una fuga notturna che fa crescere la complicità e il desiderio di restare attaccati alla vita, nonostante tutto. Alla fine di quella notte, narrata efficacemente a due voci, i due ragazzi si separano senza avere il tempo di salutarsi. Così l’attesa e la speranza di rincontrarsi, flebilmente attaccate a un biglietto con un numero di telefono lasciato da Antoine su un comodino, finiscono per apparire tanto intense e coinvolgenti quanto l’incontro fugace che le ha generate.

Prendimi per mano ha almeno tre assi che lo rendono molto appetibile per un lettore Young Adult, anche non particolarmente allenato o predisposto alla lettura: un racconto che incalza e fa leva su sentimenti forti e vibranti; una narrazione intensa che si consuma con soddisfazione in un numero circoscritto di pagine; e una stampa amichevole che sfrutta alcune caratteristiche di alta leggibilità. Il libro di Olivier Adam viene proposto, infatti, da Camelozampa all’interno della collana Le spore che raccoglie ottimi testi rivolti a lettori adolescenti e li pubblica adottando la font EasyReading, una spaziatura maggiore tra le lettere e tra i macro-paragrafi (poco accentuata, invece, quella tra le righe), la sbandieratura a destra del testo e la stampa su carta opaca e color crema. Il lettore si trova così tra le mani un romanzo denso ma non spaventoso né nella mole né nella forma, capace di dilatare e accorciare il tempo con il potere del racconto e di confezionare con i soli eventi di una notte una storia che insieme appaga e fa desiderare di poter seguire i protagonisti ancora per un poco…

Lilo

Emi ha 11 anni, vive con i nonni e ha un cane dall’aspetto buffo di nome Lilo. Quando era più piccola, Lilo era il suo insostituibile compagno di giochi, capace di strapparle un sorriso in ogni momento. Da qualche tempo, però, le cose sembrano andare diversamente: la ragazzina appare scontrosa, parla a malapena con i suoi nonni, non mostra più alcun interesse per Lilo e la sua attenzione è completamente rapita dal cellulare. Non solo, ogni volta che Emi guarda lo schermo del telefono, il suo volto si rabbuia e non di rado si riempie di lacrime. Qualcosa evidentemente non va e il primo a notarlo è proprio Lilo, che del racconto è non solo il protagonista ma anche la voce narrante. È attraverso il suo sguardo che scopriamo, infatti, la storia di Emi e della sua famiglia ed è sulle sue tracce che cerchiamo di cogliere il legame tra il mutato atteggiamento della padroncina e la presenza nei paraggi di una coetanea misteriosa. A supportare Lilo nella sua investigazione, peraltro non riva di pericoli, c’è un’assortita compagine di cani che movimentano, ampliano e svoltano la vicenda. Ne vien fuori un’indagine a quattro zampe, condotta con imbattibile fiuto e connotata da una prospettiva tanto insolita quanto illuminante sulle vicende umane.

Pubblicato da Uovonero nella collana I geodi con la traduzione di Francesco Ferrucci, il libro di Inés Garland offre una storia che parla di faccende ed emozioni molto riconoscibili e vicini al giovane lettore – amori, amicizie e rivalità, vergogna, lutto, paura e cyberbullismo, solo per citarne alcuni – ma che lo fa da un punto di vista inatteso come può essere quello di un cane: scelta, questa, che dona al racconto un distacco, un filtro e un’ironia davvero apprezzabili e gustosi. Due altri aspetti del libro, dal canto loro, meritano particolare attenzione: le fini illustrazioni di Maute Matuberria, che uniscono un tratto lieve e un uso mirato e incisivo del colore, e le caratteristiche grafiche di alta leggibilità, che restituiscono alla pagina un aspetto arioso e poco opprimente.

Il cappello

50 anni (e poco più) e non sentirli! Surreale, irriverente, scanzonato, Il cappello di Tomi Ungerer torna arzillo come un ragazzino a deliziare i lettori italiani, in una nuova edizione targata biancoenero. La casa editrice romana, da sempre attenta a proporre storie accattivanti stampate con caratteristiche di alta leggibilità, inaugura con questo irresistibile racconto la sua nuova collana doppiopasso. Lo fa scegliendo un ampio formato, capace di restituire il giusto valore a illustrazioni così ironiche, eloquenti e ricche di dettagli quali quelle dell’autore francese. Un’attenzione – questa rivolta al contenitore che delle parole e delle figure diventa casa – tutt’altro che trascurabile anche in un’ottica di accessibilità e trasversalità d’uso: un libro che dia ampio spazio a figure di qualità, infatti, non solo facilita il coinvolgimento di bambini nella lettura ad alta voce ma supporta anche i primi incontri autonomi con la parola scritta.

Il cappello si presenta, in questo senso, come una narrazione versatile, capace di solleticare orecchie più e meno piccole. Fruibile già a partire dalla fine della scuola dell’infanzia in lettura condivisa, si presta anche e soprattutto a offrire una ghiotta e amichevole lettura a quei bambini della scuola primaria che iniziano a confrontarsi con la decodifica alfabetica. Le grandi e dinamiche illustrazioni dallo stile inconfondibile aggiungono infatti ritmo e gusto alla lettura, oltre a rendere meno ostico e demotivante l’impatto con il testo, soprattutto per chi sperimenta maggiori difficoltà legate per esempio alla dislessia. Il giovane lettore si trova così davanti un racconto illustrato dai colori sgargianti, dalle figure buffe e dal dinamismo incontenibile che è come gridasse a gran voce: “Per di qua, provaci, il libro può essere un amico!”

A contribuire alla causa, poi, concorrono chiaramente le caratteristiche di alta leggibilità di cui biancoenero è fiera sostenitrice – dalla font specifica alla spaziatura maggiore, dalla sbandieratura a destra all’a capo dopo il punto fermo – così come la qualità del racconto. Le vicende del cappello magico che cambia le sorti di chi lo incontra e di chi lo indossa, salvando crani da vasi in caduta libera, acciuffando rari uccelli smarriti, facendo arrendere pericolosi briganti o fermando cavalli imbizzarriti, incuriosiscono, divertono e catturano con facilità. La maestria di Ungerer sta d’altronde anche in questo: nell’offrire storie dallo spirito indomito e colme di personaggi iconici, storie in cui succedono davvero delle cose (e molte) anche nel giro di poche pagine, in una brevità densa e appagante che lascia chi legge non solo soddisfatto ma anche desideroso di sperimentare ancora il medesimo piacere.

Aurora e la tigrona

Aurora è nata e cresciuta con molte aspettative da parte della sua famiglia: per questo ci tiene ad apparire in tutto e per tutto impeccabile e fatica ad accettare i propri difetti. Ecco allora che questi ultimi iniziano ad assumere un aspetto minaccioso. Sempre più frequentemente emergono infatti con le sembianze di una grossa tigre che pare non voler mai abbandonare la bambina e che via via tende ad allontanare i suoi compagni. A nulla varranno le visite dai dottori o le consulenze dei domatori più famosi: starà ad Aurora trovare il modo di venire a patti con il grosso felino che le abita dentro e con tutto ciò che esso rappresenta. Solo allora potrà guardare con lucidità a sé stessa e a chi le sta intorno, scoprendo che chiunque ha la sua fiera nascosta e che imparare a conoscerla e accettarla è il modo migliore per stare bene.

Sospeso tra dimensione fantastica e metaforica e costruito a partire da un messaggio netto, Aurora e la tigrona fa parte della collana ad alta leggibilità I bulbi dei piccoli, pubblicata dalle Edizioni Gruppo Abele. Come tale impiega il font EasyReading e distribuisce il testo in maniera ariosa sulla pagina. Questo, unito alla sbandieratura del testo e al ricorso a margini piuttosto ampi fa sì che il volume appaia particolarmente accogliente anche nei confronti dei lettori dislessici

Testone

Guai a dire che a Monte Quiete non succede mai niente! Qui hanno infatti luogo le avventure tutt’altro che barbose di Giustino e Mia. Se il primo si era ritrovato nel bel mezzo di una faccenda piratesca in compagnia del burbero Sgrunt!, la seconda mette ora in atto, insieme al suo amico Giorgio, il piano del secolo per far chiudere la scuola. Mica bruscolini!

Mia, che come vorrebbe indicare il nome, è un tipetto indipendente che odia essere reclamata e avvinghiata da familiari e compagni, è l’unica in classe a manifestare interesse nei confronti di Giorgio. In primo luogo Giorgio è l’unico che non pensa mai di abbracciarla senza il suo consenso e in secondo luogo è il socio perfetto per portare a termine un piano come quello che Mia ha in mente. Giorgio, infatti, è il palo ideale: non dà confidenza, è un fine osservatore e in caso di necessità dà l’allarme urlando a gran voce “Cetrioliniiiiiiii”. I cetriolini sono infatti la sua ossessione e per questo, così come per tante altre sue stranezze, i compagni lo evitano e le maestre lo trattano con pietistica accondiscendenza. Mia invece no, lei ne coglie le grandi potenzialità e non a caso lo chiama Testone, ossia persona dotata di un grande cervello. Insieme, i due ridono come matti, compiono marachelle e progettano di rubare tutti i gessetti della scuola. E anche quando qualcosa, in questo piano diabolico, sembra andare storto, il loro sodalizio ne esce più rafforzato che mai grazie a una complicità speciale e – ça va sans dire – a una bella dosa di Cetrioliniiiiiiiiii.

Pubblicato da Sinnos con l’efficace formula ibrida che mescola racconto illustrato e fumetto già collaudata anche in Sgrunt!, Testone vanta una storia coinvolgente, un testo ironico, illustrazioni spiritose e caratteristiche grafiche di alta leggibilità. Amichevole anche nei confronti di lettori dislessici, il libro di Daniele Movarelli e Alice Coppini presenta un’attenzione particolare nei confronti dell’inclusione anche da un punto di vista contenutistico. Attraverso il personaggio di Giorgio, così bizzarro e imperscrutabile, ma soprattutto attraverso il personaggio di Mia, così capace di guardare oltre le etichette e il buonismo dei grandi, Testone trasforma la diversità in uno spunto narrativo leggero ma che lascia il segno.

Mezzanotte e cinque

Atmosfere dickensiane, personaggi vividissimi e una trama avvincente: così Malika Ferdjoukh costruisce un racconto breve e incalzante che in una manciata di pagine ci catapulta nella Praga di tanti anni fa, quando le strade erano battute da carrozze e lo sfarzo di corte dominava la vita mondana.

Protagonisti sono tre orfani che vivono la strada con una dimestichezza e una furbizia sorprendenti: Mezzanottecinque, così chiamato per via di un misterioso tatuaggio che fin da piccolissimo sfoggia sul braccio, sua sorella Bretella, che quanto a sangue freddo non invidia nessuno, e il loro amico Emil, che condivide gioie e dolori della vita errabonda con tre topolini ammaestrati. Abituati a vivere alla giornata senza adulti che si occupino di loro, i tre sono costretti a smaliziarsi e a crescere più in fretta del dovuto ma custodiscono un lato bambino che li porta a sognare natali spensierati (la vicenda è ambientata proprio in una vigilia), a immaginare modi stravaganti con cui far parlare dei roditori o a compiere inaudite acrobazie per accaparrarsi dei bottoni. E forse proprio questo loro intonso lato infantile li porta a vivere con sprezzo del pericolo e totale coinvolgimento un’avventura piena zeppa di rischi come quella che tiene insieme una preziosissima collana rubata, assassini senza scrupoli, ladri insospettabili e una coppia di circensi.

Coinvolgente e non privo di humour, Mezzanotte e cinque allestisce agli occhi dei lettori una cornice fascinosa e una storia mozzafiato. Un poco di amaro in bocca lo lascia forse la risoluzione della vicenda, con tanto di agnizione e ricongiungimenti, che accade e scorre così veloce che quasi non si fa in tempo a godersela. D’altro canto il ritmo serrato del racconto e la sua rapidità di svolgimento garantiscono una lettura snella e fruibile che consente anche a chi mal affronta lunghe misure di godere di una storia appassionante. Questo aspetto, insieme alle illustrazioni frequenti e puntuali di Eleonora Antonioni, rafforza dal canto suo l’accessibilità del volume, garantita dall’impiego del font EasyReading, dalla spaziatura più ampia e dalla sbandieratura del testo. Pubblicato con grande successo in Francia, Mezzanotte e cinque arriva, infatti, in Italia con Camelozampa che lo propone ai lettori in una piacevole edizione con accorgimenti ispirati all’alta leggibilità.

Nonna gnocchi

Confiance ha nove anni, un nome impegnativo, la battuta sempre pronta e un rapporto a ostacoli con i propri familiari. Il papà se n’è andato quando era piccolo, la mamma si occupa di lui da sola e come può e la nonna materna sembrerebbe volersi tenere il più possibile a distanza (un sentimento peraltro ricambiato dal bambino). Peccato che proprio con la nonna e con il suo nuovo fidanzato italiano Eustachio, Confiance sia costretto a trascorrere le vacanze estive. Senza troppo entusiasmo, i due lo portano con sé in un paesino vecchio e sperduto dell’entroterra ligure, completando le premesse per un’estate disastrosa. Eppure, complice la maestria culinaria di Eustachio e l’amicizia con la sua nipotina venuta in visita, Confiance sarà costretto a ricredersi e la sua visione dei rapporti umani, dell’amore, della famiglia – e perché no, della cucina – prenderà alla vigilia del suo decimo compleanno una piega tutta nuova.

Vivace, acuto e senza peli sulla lingua Nonna gnocchi si presenta come un racconto godibilissimo interamente costruito sui dialoghi. Se è vero, infatti, che questa struttura lo rende meno immediato, soprattutto perché le singole battute non sono esplicitamente attribuite, lo è altrettanto il fatto che le caratteristiche di alta leggibilità con cui è stampato, la peculiarità attraente dei personaggi che lo animano e il ritmo mai piatto che lo contraddistingue concorrono a supportare e incentivare la lettura, anche laddove questa proceda meno spedita.

La casa di Pine Island

Fiona, Marlin, Natasha e Charlie sono da sempre abituate a viaggiare, ad adattarsi, a cambiare contesto e ad abbandonare il superfluo. La loro famiglia si è spesso spostata, rendendolo per loro ordinaria una vita itinerante e poco radicata. Così, quando a causa di uno tsunami i loro genitori vengono a mancare, le quattro sorelle non vivono con grosse difficoltà la prospettiva di un trasferimento in Canada, dove una zia sconosciuta – Martha – si è data disponibile ad adottarle. Quello che non sanno, però, è che le aspetta una sfida ben più dura: proprio poco prima del loro arrivo la zia Martha muore, lasciandole prive di un tutore ma in possesso di una grossa fattoria. Consapevoli che tutto ciò che resta loro per non abbandonarsi allo sconforto è il legame che le lega, le quattro sorelle decidono di fare l’impossibile per riuscire a restare insieme, scongiurando il pericolo che i servizi sociali le diano in affidamento a famiglie diverse. Ci sono però bollette da pagare, incombenze burocratiche da smaltire, scuole da frequentare e soprattutto adulti da ingannare, facendo loro credere che qualche fantomatico maggiorenne si stia occupando di loro. Mantenere un segreto così grande non è affare semplice, soprattutto se l’unico adulto disponibile a coprirti (per venti dollari la settimana e un pasto cucinato al giorno) è un tipo poco raccomandabile e scontroso, che vive in una roulotte accanto a casa tua e frequenta con una certa assiduità le lattine di birra. Eppure, grazie ad alcune persone un po’ folli e di buon cuore, una serie di fortunati eventi, una capacità di problem solving fuori dalla norma, e un mix di qualità che fa di loro una squadra fortissima, Fiona, Marlin, Natasha e Charlie riescono non solo a tenersi a galla e a rispettare il loro proposito ma anche a trovare a Pine Island un nuovo, inaspettato e bellissimo equilibrio.

Polly Horvath confeziona un romanzo di formazione che per oltre 300 pagine porta il lettore a sventolare striscioni e bandierine virtuali di incoraggiamento alle quattro ragazze. Impossibile non affezionarsi a Fiona, che con i suoi maturissimi 14 anni è l’incarnazione della cura a qualunque costo e senza posa, a Marlin, creativa e intraprendente che con i suoi manicaretti sa conquistare anche il burbero vicino, a Natasha, che vive l’amore per gli animali e la natura in maniera assorbente e alla piccola Charlie, che dal basso dei suoi 8 anni, elabora le difficoltà della vita con la forza e il candore dell’immaginazione. Tenaci e indissolubilmente solidali tra loro, le quattro ragazze sono una forza della natura: cadono, inciampano, sbagliano, temono, ma imperterrite si rialzano, risolvono, inventano, riescono. Nella loro avventura c’è spazio per le relazioni più diverse, oltre a quella della sorellanza: relazioni che includono l’amicizia, l’amore, l’affetto, la solidarietà e l’aiuto disinteressato secondo varie sfumature.

Arrivati alla fine del racconto, quando ormai ci si sente di casa tra i boschi di Pine Island e le strade di St. Mary’s By the Sea, quella famiglia così fuori dagli schemi la sentiamo un po’ nostra, felici che l’unione abbia davvero fatto la forza. Nel ritrarla, la penna dell’autrice canadese appare discreta ma anche precisa, ironica e profonda. Nell’edizione italiana, Camelozampa l’ha affiancata alle illustrazioni di Veronica Truttero che rendono bene animi e paesaggi, senza appesantire di un grammo il racconto. A completare il tutto,  gli accorgimenti di alta leggibilità che contribuiscono a facilitare la lettura – snellissima nei contenuti anche se massiccia all’apparenza – anche a lettori con difficoltà decifrative legate alla dislessia.

Matilde e le parole da ammaestrare

Ha uno stile fresco, figure spigliate e una grafica accattivante. Potrebbe dunque sembrare un bel racconto illustrato, Matilde e le parole da ammaestrare. Nella sostanza, però, si direbbe più un libro di divulgazione (al limite ben camuffato). Se siete dunque in cerca di un volume di fiction in cui la dislessia faccia capolino il libro di Vanna Vinci non fa probabilmente al caso vostro. Diverso, invece, è il caso in cui vi interessi un libro ben fatto che spieghi in maniera davvero comprensibile a un bambino che cos’è la dislessia, che tipo di difficoltà comporta e che tipo di accorgimenti possono aiutare a superarle.

La presenza di una giovane protagonista che litiga quotidianamente con le lettere perché spariscono e non stanno al loro posto appare di fatto come un pretesto per accompagnare il lettore lungo un percorso chiaro e dettagliato ma mai pesante e nozionistico in cui dare un significato concreto alla parola dislessia. Le spiegazioni fornite, le espressioni impiegate e le situazioni descritte consentono infatti una reale e positiva identificazione da parte del lettore che sperimenti un disturbo specifico dell’apprendimento sulla sua pelle ma anche un’efficace comprensione di che cosa questo comporti da parte di chi invece non ne è toccato. Questo, in effetti, era l’obiettivo che ha mosso Vanna Vinci alla scrittura, come l’autrice spiega chiaramente in questo video.

Snello, scorrevole, fruibile e piacevole alla vista, grazie allo stile caratteristico dell’autrice, Matilde e le parole da ammaestrare presenta inoltre caratteristiche di alta leggibilità che ne agevolano la lettura anche in caso di DSA.

Guarda il cane. Tre storie su un gatto

Chiunque abbia letto l’esilarante Guarda il gatto. Tre storie su un cane avrà probabilmente desiderato di poter rinnovare ancora e ancora il piacere di quelle storie così brevi e così spassose. In una manciata di pagine e con un gioco metanarrativo efficacissimo David Larochelle e Mike Wohnoutka sanno dar vita a racconti compiuti e ghiottissimi. Dei bon bon, praticamente, che uno tira l’altro e fermarsi vien difficile.

Felice è dunque la notizia della pubblicazione di una sorta di seguito del primo volume. Il recente Guarda il gatto. Tre storie su un cane ne rovescia in qualche modo le parti mettendo in scena un gatto a cui viene chiesto di sostituire il protagonista del libro: un cane, per l’appunto. Il gatto è un tipo spavaldo e si manifesta entusiasta della parte assegnatagli. La sua iniziale euforia verrà tuttavia messa a dura prova: scavare una buca, recuperare un bastone nel laghetto e difendere una pecora dai lupi sono, in effetti, compiti poco felini che richiederanno grande capacità di adattamento e fine ingegno.

Con immutata capacità di far dialogare tra loro parole (poche) e figure (nette), generando a ogni pagina straniamento, sorpresa e divertimento, il libro si presta a irresistibili letture ad alta voce. Ideale anche per le primissime letture autonome, Guarda il gatto. Tre storie su un cane vanta non solo un tipo di narrazione molto coinvolgente in cui di fatto il libro stesso si rivolge direttamente sia al lettore sia al protagonista, ma anche una costruzione grafica che mescola discorso diretto (quando a parlare è il libro) e fumetto (quando a parlare sono i personaggi), rendendo evidente e ben scandita l’attribuzione delle parti.

Questo, unito a un font ad alta leggibilità, a testi brevissimi e divertenti e a una predominanza visiva, fa del libro di David Larochelle e Mike Wohnoutka un volume perfetto per avvicinare alla lettura anche i lettori che faticano di più o manifestano minore interesse per i libri.

Un libro ti cambia

Ci sono libri che emozionano, libri che appassionano, libri che annoiano e libri che lasciano indifferenti. E poi ci sono loro: i libri che ti cambiano! In che senso? Basta chiederlo a Dario, il protagonista del libro di Antonio Ferrara. Il libro che sta leggendo ha dei poteri a dir poco stravaganti: le cose che vi vengono narrate accadono davvero poco dopo esser state lette! Nel libro cade un quadro? Ecco che si sente un gran fracasso di vetri rotti nella stanza di Dario. Nel libro si parla di una formica? Ecco che da lì a poco una formica si ferma proprio lì accanto. Ma non è tutto! Dario, che proprio non riesce a staccare gli occhi da quelle pagine, si accorge che il suo corpo sta inspiegabilmente cambiando: altezza, baffi, barba e muscoli crescono a vista d’occhio. Possibile che tutto questo centri con la lettura?

Originale e interrogativo come solo i libri di Antonia Ferrara sanno essere, Un libro ti cambia nasconde (ma non troppo) una riflessione metanarrativa all’interno di una storia surreale e incalzante. L’ironia che contraddistingue lo stile dell’autore aggiunge un tocco leggero al racconto che offre dal canto suo una lettura piacevole, abbordabile e intrigante. Le caratteristiche di alta leggibilità con cui il libro è stampato, infine, rendono il tutto particolarmente accessibile anche a bambini con difficoltà di decodifica legate alla dislessia.

La traversata dagli animali

Sembra una notte fredda e nevosa come tante, allo zoo di Mosca. Qualcosa di molto insolito, però, sta per accadere: un gruppo di animali bizzarramente assortito e alla bell’e meglio organizzato, è deciso ad evadere. È stato l’orso a convincere gli altri a prendere parte all’impresa ma a parte la forte convinzione di fuggire via, un vero piano manca. Si va? Non si va? Dove si va? Inizia con non pochi interrogativi questo viaggio coraggioso che vede muoversi all’unisono volatili e mammiferi, prede e predatori, creature selvatiche e bestie domestiche. Insieme a loro, a sorpresa e in assoluto silenzio, sceglie di partire anche il vecchio custode dello zoo, testimone di guerre e rivoluzioni, che forse conosce la sete di libertà al pari degli animali. Sarà una marcia lenta, la loro. Lenta e non priva di bivi, ostacoli e decisioni da prendere. C’è la natura selvaggia, là fuori, che chiama e che sfida, e il desiderio di scoprire cosa ci sia tra e oltre gli alberi della meravigliosa foresta è più forte di tutto. Così, ciascuno a suo modo, gli animali assaporano la nuova aria, chi cedendo al fascino della natura, chi lasciandosi attrarre da un nuovo rapporto con la civiltà. Non c’è una sola via per fuggire dalla prigionia. La libertà è più che mai sfuggente e multiforme.

Con parole misurate e mai scevre di ironia, Vincent Cuvellier ci guida lungo un viaggio metaforico intenso e avvolgente. Sulle tracce dell’orso e dei suoi compagni si strada, interrogativi e pensieri si accumulano nella testa del lettore come la neve silenziosa che circonda i protagonisti. A sostenerli, dando risonanza alla dimensione sospesa del racconto e richiamando al contempo l’immaginario russo cui attinge, intervengono le illustrazioni di matrice serigrafica firmate da Brice Postma Uzel. Puntualissima, in questo senso, la scelta dell’editore di regalare al libro un formato ampio, in cui parole e figure hanno fisicamente modo di echeggiare.

La traversata degli animali si presenta, infatti, come un grande racconto illustrato, che per dimensione, tipo di figure, colori, e dialogo tra parole e immagini ha un che di antico, favolosamente affascinante. Ed eppure la storia senza tempo che racconta è quanto mai moderna ed attuale. E benvenuti sono, al fine di renderla massimamente fruibile, gli accorgimenti di alta leggibilità adottati da Biancoenero. Font specifico, spazaitura ampia, grafica ariosa e carta color crema non sono, infatti, che valori aggiunti per un volume raffinato e ricco, nella narrazione come nell’aspetto.

Perché noi no?

Dura la vita da fratelli minori! Poche foto negli album di famiglia, esclusione sistematica dai giochi più belli, parti marginali negli spettacoli da giardino e nomignoli appioppati con irritante nonchalance… qualcosa bisognerà pur fare! Ecco allora che nasce l’Associazione “Perché noi no?”: un circolo segretissimo formato esclusivamente dai figli più piccoli anche detti ultimi geniti, al fine di organizzare azioni di disturbo a danno dei più grandi. E così la giovane protagonista e i suoi sodali si lanciano in spericolate missioni di bucaggio gomme, nascondimento thermos, dispersione palloni. Fino a quando qualcosa va storto, le informazioni trapelano e la banda dei piccoli vendicatori viene scoperta. Servirà un “grande” aiuto per cacciarsi fuori dai guai!

Smilzo, divertente e imperdibile per chiunque abbia sperimentato la sorte del bistrattato fratello minore, Perché noi no? si fa leggere con piacere. Lo stile pungente, l’avventura breve, la narrazione piana e le illustrazioni frequenti lo rendono appetibile anche per i lettori meno esperti o che più fanno a pugni con la parola scritta. A questo concorrono inoltre le caratteristiche di alta leggibilità puntualmente adottate dall’editore con attenzione non solo al font e alla sbandieratura ma anche alla spaziatura tra lettere, parole, righe e soprattutto paragrafi: aspetto questo che conferisce alla pagina una veste particolarmente ariosa e accessibile.

Uno e Camillo

Uno e Camillo fa parte della collana leggimi prima che Sinnos dedica alle prime letture autonome e che si caratterizza per illustrazioni frequenti, storie snelle, testi brevi in maiuscolo, grafica ariosa ad alta leggibilità.

Il libro di Giuditta Campello e Susanna Rumiz balza prima di tutto all’occhio per una copertina sgargiante e per i buffi disegni dal tratto spesso. Qui compaiono un cavallo occhialuto piuttosto arrabbiato che porta in spalla un unicorno dall’aria angelica. Il primo è Camillo, che ama dormire vicino alla sua mamma, mangiare le carote per merenda e giocare con i suoi amici. Il secondo è Uno, il suo fratellino da poco arrivato in famiglia. Così diverso da lui e da come lui se lo aspettava, Uno ha stravolto le giornate di Camillo, rubando molte attenzioni della mamma, accaparrandosi molte carote e condizionando molto i giochi con gli amici. Quasi quasi Camillo vorrebbe sbarazzarsene, ma proprio quando il suo desiderio più segreto sembra realizzarsi, il cavallo scopre quanto possa essere bello e utile avere un fratello. Anche se piccolo e con un corno dorato in testa!

Scorrevole e irresistibilmente vero nei delicati equilibri familiari che porta alla luce, Uno e Camillo racconta la fratellanza senza il peso dei libri a tema e con la leggerezza di uno stile divertito e divertente. Come se non bastasse, le autrici e l’editore fanno la scelta coraggiosa e apprezzabilissima di dedicare un libro in cui rosa, fuxia e unicorni la fanno da padroni, senza rivolgersi esclusivamente alle bambine, anzi!

Le porte di Sekoyana

Che bello l’esordio di Storie Cucite nell’alta leggibilità! Da sempre attenta alla fruibilità dei suoi volumi, con la proposta di diversi titoli anche in versione simbolizzata, la casa editrice milanese arricchisce ora la sua produzione accessibile con un primo bellissimo volume contraddistinto da font EasyReading e caratteristiche grafiche e tipografiche che ne agevolano la lettura anche in caso di dislessia. Il volume in questione è Le porte di Sekoyana, un romanzo che nasce in terra turca per mano di un’autrice – Şiirsel Taş – particolarmente interessata ai temi ambientali e di un illustratore – Oğuz Demir – dalla carriera poliedrica.

Protagonista del libro è una ragazzina che, senza troppe spiegazioni, viene affidata per qualche tempo a una donna di nome Sekoyana, dall’aspetto e dalle abitudini decisamente non ordinarie. Abitante, amante e studiosa della foresta, Sekoyana accoglie la ragazzina nel bel mezzo della natura, in una quotidianità sobria ma inaspettatamente calorosa, fatta di erbe colte ed essiccate, legno intagliato, animali curati e piante conosciute come fossero familiari. La foresta vive e palpita, respira e comunica, ama e pensa, nei racconti e negli insegnamenti della donna. Al suo fianco, la protagonista ( e con lei chi legge) impara moltissime cose e soprattutto sperimenta una straordinaria connessione con la natura che la circonda. Sarà dunque un’esperienza trasformativa più che formativa, la sua, capace di restituirle una visione nuova di sé e del mondo di cui fa parte.

Come un fiume pacato ma inarrestabile, Le porte di Sekoyana conduce il lettore in una dimensione sospesa, in cui fatti scientifici su funghi e piante si intrecciano indissolubilmente ad avvenimenti sorprendenti, quasi sovrannaturali. L’atmosfera silenziosa e avvolgente che permea il racconto immerge il lettore in un altrove da cui non si vorrebbe riemergere, decisi a esplorare, ancora e ancora, i misteri e le meraviglie straordinarie di piante e animali.

Una cosa è certa, anche una volta chiuso il libro non guarderete più la natura con gli stessi occhi!

Mostraci chi sei

Elle Mc Nicoll è una giovane autrice di grande talento. La sua penna ha, in particolare, due assi nella manica: uno stile affilato come un bisturi e una netta visione rispetto ai temi trattati. Entrambi i romanzi finora da lei scritti, pubblicati in Italia da Uovonero, scelgono come fulcro narrativo la neurodivergenza, argomento che non solo le sta molto a cuore ma che soprattutto conosce in prima persona, essendo lei stessa una persona autistica.

Se Una specie di scintilla mette in luce la difficoltà di convivere con i pregiudizi e le discriminazioni che una diversità tanto marcata è solita generare, Mostraci chi sei si spinge forse un po’ più in là, andando a indagare attraverso lo strumento narrativo il pericolo di considerare qualunque tipo di divergenza un qualcosa da aggiustare.

L’autismo è una forma di errore? Le persone autistiche sono in qualche modo rotte e vanno riparate per poter avere una vita realmente piena e degna? Per gridare con forza il suo NO a questi interrogativi tutt’altro che inauditi, l’autrice costruisce un personaggio dalla grandissima forza, Cora, e una cornice fantascientifica in cui una avanguardistica azienda mette a punto degli avatar che consentano alle persone di continuare a incontrare i loro cari defunti. Direttore di tale azienda, Il melograno, è il signor Magnus Hawkins. Cora, adolescente neurodivergente che ha da poco perso la mamma, vi entra in contatto perché qui lavora suo fratello. Il signor Hawkins e il suo braccio destro, l’affascinante ingegner Gold, mostrano un sospetto e insistente interesse nei confronti di Cora: la sua diversità sarebbe loro utile – dicono – per migliorare gli avatar di chi pensa e sente in modo differente come lei. Dapprima resistente, anche a causa del ferreo divieto da parte del padre di avere contatti con Il melograno, Cora finisce per lasciarsi convincere a collaborare, sottoponendosi a una serie di test e rispondendo a infinite sessioni di domande da parte dell’ingegner Gold. Questa le viene infatti prospettata come l’unica possibilità di continuare a tenere in vita il suo amico Adrien, il figlio del signor Hawkins, con cui Cora ha stretto un’intensa amicizia e rimasto malauguratamente vittima di un grave incidente stradale. Divertente, empatico e perseverante, anche Adrien, con una diagnosi di ADHD, ha un cervello che funziona diversamente e ha conosciuto sulla sua pelle la difficoltà di interagire con un mondo che non è fatto su misura per lui e forse anche per questo capisce davvero Cora e i suoi tormentati sentimenti. Sarà proprio il forte legame che la lega ad Adrien a portare Cora ad andare fino in fondo nel comprendere cosa si celi realmente dietro la facciata del Melograno, impedendo all’azienda di portare a compimento un piano tanto avveniristico quanto raccapricciante.

Avvincente e intenso, Mostraci chi sei non ha paura di mettere sul tavolo questioni scottanti e complesse che pertengono all’etica e diventano sempre più impellenti man mano che la tecnologia consente di fare cose prima inimmaginabili. Al pari del precedente, il romanzo di Elle Mc Nicoll dice a gran voce l’importanza di ascoltare il punto di vista di chi una forma di diversità la vive in prima persona e di considerare il fatto che le categorie del giusto e dello sbagliato poco hanno a che vedere con quelle della tipicità e della divergenza.

La più bella nuotata della mia vita

A tredici anni, dislessia, trasloco e impaccio non sono esattamente tre parole entusiasmanti. Tutte implicano la difficoltà di superare indugi, di sentirsi giudicati, di riuscire a farsi conoscere per come si è davvero. E tutte, purtroppo, affollano il presente di Jan, ragazzino timido e dislessico, da poco trasferitosi in una nuova cittadina. La sua testa è piena di preoccupazioni e interrogativi su come farsi benvolere dai nuovi compagni, su come tenere nascosta la sua difficoltà di apprendimento e su come trovare un posto nella nuova squadra di nuoto. Già, il nuoto. Per fortuna che c’è il nuoto.

Vero asso del dorso, in acqua Jan si trasforma e tira fuori una spavalderia che all’asciutto gli è pressoché sconosciuta e se questo, da un lato, gli crea un’immediata rivalità con l’arrogante Linus, dall’altro sarà per lui motivo di orgoglio e riscatto, anche nella goffa impresa di avvicinarsi all’affascinante Flo. Originale, schietta e appassionata di matematica, Flo è la nuova vicina di casa di Jan, conosciuta grazie a una galeotta gallina fuggitiva. Con lei il ragazzo instaura in maniera turbolenta un legame forte e intenso, in cui diventa via via più evidente come nella differenza più abissale possa nascondersi una possibilità felice e del tutto inaspettata di intesa e riconoscimento .

Costellato di tante questioni che stanno a cuore del potenziale lettore preadolescente – l’amicizia, i primi amori, le rivalità, le passioni, la scuola, le difficoltà, il rapporto con i genitori, solo per dirne alcune – il romanzo di Anne Becker fila piuttosto liscio e aiuta a mettere a fuoco alcuni aspetti importanti per chiunque, a vario titolo, si confronti con la dislessia. Oltre a Jan, che più e più volte mette in luce ostacoli e preoccupazioni legati alla sua difficoltà di apprendimento, ne La più bella nuotata della mia vita non mancano, infatti, genitori, insegnanti, terapeuti, oltre che pari, i cui diversi approcci al disturbo dell’apprendimento non sono privi di effetti sullo sviluppo della vicenda. Ne vien fuori un ritratto realistico e credibile della situazione vissuta da un ragazzino dislessico, il cui percorso diventa più luminoso e piano quando consapevolezza e ascolto si fanno parole chiave.

Beezus e Ramona. Ramona la peste

Come si fa a restare impassibili di fronte a un uragano come Ramona? Quattro anni e un caratterino niente male, la protagonista della serie creata da Beverly Cleary è un concentrato di vivacità e testardaggine che non teme rivali. Che sia a casa, a scuola o per strada, si può star certi che con Ramona nei dintorni, qualcosa di del tutto imprevisto, perlopiù disastroso ma indiscutibilmente divertente (quantomeno per chi legge, un po’ meno per chi a Ramona vive accanto) si prepara ad accadere. Può essere un libro della biblioteca completamente scarabocchiato, una cassa di mele mordicchiate a una a una, un’avventura fangosa con gli stivali nuovi di zecca o una festa casalinga organizzata senza avvisare nessuno in famiglia.

Ramona è così: spontanea, incontenibile e irresistibilmente schietta. I suoi pensieri, di cui l’autrice ci mette puntualmente a parte, seguono una logica originale ma ferrea e le sue iniziative tengono costantemente il lettore sospeso tra la risata e lo sconcerto. “Oh, no, Ramona!”, viene automatico esclamare una pagina sì e l’altra pure, e in fondo questo è più o meno ciò che pensa la sorella maggiore di Ramona – Beatrice detta Beezus – a ogni piè sospinto. E ciononostante la carica travolgente di Ramona vince su tutto, generando nel lettore non solo una forte curiosità nei confronti dei guai che di volta in volta la bambina potrà combinare ma anche un forte riconoscimento dei sentimenti strabordanti di cui si fa portatrice e che spesso, nel loro impeto, sono all’origine dei suoi comportamenti all’apparenza più esagerati o sconvenienti. “Chi la chiamava peste – si legge, per esempio, nel secondo volume delle serie – non capiva che una persona più piccola a volte deve fare un po’ di chiasso ed essere un po’ testarda per essere almeno notata”.

I libri di Beverly Cleary hanno dallo loro anche questo pregio: non solo sanno divertire profondamente il lettore di qualsiasi età ma sanno anche guardare alle azioni, ai pensieri e alle emozioni dei bambini con grande rispetto e lucidità, portando a galla e restituendo dignità anche a sentimenti dalle tinte chiaroscure, come l’insofferenza nei confronti della sorella che tormenta Beezus nel primo volume, e delineando un profilo d’infanzia che è certo fuori dalle righe ma anche molto ma molto vero.

La serie di cui Ramona e Beezus sono protagoniste si compone di diversi volumi, ciascuno dei quali comprende una manciata di avventure brevi, buffe e intensissime, della lunghezza di un capitolo.

Il secondo volume – Ramona la peste. A scuola arrivano i guai – ruota intorno all’inizio dell’avventura scolastica di Ramona presso il Kindergarten della città. Qui la bambina dovrà confrontarsi con la vita di comunità, con le regole del contesto scolastico, con adulti di riferimento diversi da quelli cui è abituata. La tradizionale parata di Halloween, la caduta del primo dentino, il desiderio di fare una presentazione in classe, l’acquisto di un paio di stivaletti nuovi e l’arrivo di una supplente sono solo alcuni dei fatti straordinari che scatenano, qui, la sua capacità unica di mettersi nei guai.

La deliziosa serie scritta da Beverly Cleary è portata in Italia da Il barbagianni, con la briosa traduzione di Susanna Mattiangeli, a oltre cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione in America. Vietato farsi ingannare dall’età del libro, però: la vitalità e l’autenticità di Ramona ne fanno un personaggio senza tempo che incarna perfettamente l’indomito e ostinato spirito dell’infanzia e le cui avventure hanno un ritmo irresistibile. Rimarcabile, poi, il fatto che l’editore abbia scelto di pubblicare i volumi della serie con caratteristiche di alta leggibilità, come la spaziatura maggiore, il testo non giustificato e la font EasyRedading, che ne facilitano la fruizione anche da parte di lettori dislessici.

Ramona-la-peste

Beezus e Ramona. Questa sorellina è impossibile

Come si fa a restare impassibili di fronte a un uragano come Ramona? Quattro anni e un caratterino niente male, la protagonista della serie creata da Beverly Cleary è un concentrato di vivacità e testardaggine che non teme rivali. Che sia a casa, a scuola o per strada, si può star certi che con Ramona nei dintorni, qualcosa di del tutto imprevisto, perlopiù disastroso ma indiscutibilmente divertente (quantomeno per chi legge, un po’ meno per chi a Ramona vive accanto) si prepara ad accadere. Può essere un libro della biblioteca completamente scarabocchiato, una cassa di mele mordicchiate a una a una, un’avventura fangosa con gli stivali nuovi di zecca o una festa casalinga organizzata senza avvisare nessuno in famiglia.

Ramona è così: spontanea, incontenibile e irresistibilmente schietta. I suoi pensieri, di cui l’autrice ci mette puntualmente a parte, seguono una logica originale ma ferrea e le sue iniziative tengono costantemente il lettore sospeso tra la risata e lo sconcerto. “Oh, no, Ramona!”, viene automatico esclamare una pagina sì e l’altra pure, e in fondo questo è più o meno ciò che pensa la sorella maggiore di Ramona – Beatrice detta Beezus – a ogni piè sospinto. E ciononostante la carica travolgente di Ramona vince su tutto, generando nel lettore non solo una forte curiosità nei confronti dei guai che di volta in volta la bambina potrà combinare ma anche un forte riconoscimento dei sentimenti strabordanti di cui si fa portatrice e che spesso, nel loro impeto, sono all’origine dei suoi comportamenti all’apparenza più esagerati o sconvenienti. “Chi la chiamava peste – si legge, per esempio, nel secondo volume delle serie – non capiva che una persona più piccola a volte deve fare un po’ di chiasso ed essere un po’ testarda per essere almeno notata”.

I libri di Beverly Cleary hanno dallo loro anche questo pregio: non solo sanno divertire profondamente il lettore di qualsiasi età ma sanno anche guardare alle azioni, ai pensieri e alle emozioni dei bambini con grande rispetto e lucidità, portando a galla e restituendo dignità anche a sentimenti dalle tinte chiaroscure, come l’insofferenza nei confronti della sorella che tormenta Beezus nel primo volume, e delineando un profilo d’infanzia che è certo fuori dalle righe ma anche molto ma molto vero.

La serie di cui Ramona e Beezus sono protagoniste si compone di diversi volumi, ciascuno dei quali comprende una manciata di avventure brevi, buffe e intensissime, della lunghezza di un capitolo.

Il primo volume – Beezus e Ramona. Questa sorellina è impossibile – mette in particolare in primo piano il complicato rapporto che lega le due sorelle, alla luce delle marachelle che la piccola inanella e del tormento che in casa è capace di generare. Ci sono di mezzo un ramarro immaginario, giri per il salotto a bordo di un triciclo a suon di armonica, cani sequestrati in bagno, parate musicali di ospiti inattesi, biscotti ripieni di vermi e torte di compleanno rovinate non una ma ben due volte: quanto basta per mettere alla prova anche la sorella maggiore più paziente e rendere evidente che la sopportazione può subire degli alti e bassi senza che l’affetto venga meno.

La deliziosa serie scritta da Beverly Cleary è portata in Italia da Il barbagianni, con la briosa traduzione di Susanna Mattiangeli, a oltre cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione in America. Vietato farsi ingannare dall’età del libro, però: la vitalità e l’autenticità di Ramona ne fanno un personaggio senza tempo che incarna perfettamente l’indomito e ostinato spirito dell’infanzia e le cui avventure hanno un ritmo irresistibile. Rimarcabile, poi, il fatto che l’editore abbia scelto di pubblicare i volumi della serie con caratteristiche di alta leggibilità, come la spaziatura maggiore, il testo non giustificato e la font EasyRedading, che ne facilitano la fruizione anche da parte di lettori dislessici.

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Piume in libertà

Ci sono due galline paciose e sempliciotte – Flossi e Bessi – che vivono da sempre in gabbia, all’interno di un allevamento intensivo. Stanno allo stretto, si nutrono di mangime insapore, non fanno che dormire, mangiare e guardare nel vuoto. Eppure la vita non pare loro così malaccio: non avendo mai conosciuto altro, è difficile se non impossibile aspirare a qualcosa di diverso. Per questo l’incontro fortuito con una taccola, entrata per caso nel capannone, si rivela per le due pennute un’inattesa fonte di scoperta. Insieme a lei, Flossi e Bessi faranno un viaggio di pochi metri ma dalle grandi rivelazioni. Pozzanghere, mezzi di trasporto, animali e cespugli, letti attraverso le lenti della loro limitatissima esperienza, assumono contorni buffi ai quali il lettore, così come la paziente taccola, guarda con benevola simpatia. Passo dopo passo, svolazzata dopo svolazzata, le due galline si formano un’idea del mondo nuova e bellissima: condizione essenziale per poter fare sogni che profumano di radure e boschi, ruscelletti e libertà.

Nato da un’accoppiata vincente e collaudata quale quella tra John Yeoman e Quentin Blake, Piume in libertà proclama la sua inglesitudine in ogni aspetto. L’ironia sottile e molto british che anima il testo, tradotto con accortezza da Luigi Berio (che è peraltro il curatore del corto animato dedicato al silent book di Quentin Blake Clown), trova infatti eco e riflesso nel tratto schizzato ed essenziale che caratterizza le figure. Con quel loro modo ingenuo e da comari di procedere e guardarsi intorno, inoltre, Flossi e Bessi ricordano un po’ l’Adelina e la Guendalina Bla Bla degli Aristogatti che galline, certo, non sono ma pennute inglesissime sì!

Scanzonato e lucido, Piume in libertà offre un racconto in cui la puntualità del pensiero su temi di spessore come la libertà e lo sfruttamento degli animali non rischia mai di appesantire il piacere della narrazione perché non è intorno al messaggio, che pur evidentemente appare chiaro, che la storia viene costruita e dipinta. Contraddistinto inoltre da un’interessante misura (non troppo lunga e non troppo corta) e da una felice integrazione tra testo (ampio) e illustrazioni (frequenti), il libro di Yeoman e Blake costituisce una proposta appetibile e abbordabile anche per chi affronta la lettura autonomamente ma continua a trovare nella presenza delle figure conforto, rassicurazione e diletto. La scelta editoriale, infine, di adottare caratteristiche di alta leggibilità come la font EasyReading, la spaziatura maggiore, il carattere ampio e l’allineamento a sinistra, rendono il volume particolarmente amichevole anche in caso di dislessia.

Il Grande Nate e la scatola che non c’è

Che tipetto, il Grande Nate! Astuto come pochi e dotato di un umorismo sottilissimo, si aggira tra le vie del suo quartiere in cerca di casi da risolvere. Amici, compagni e vicini di casa vengono puntualmente coinvolti nelle vicende in veste di vittime, testimoni o potenziali sospettati. Così il lettore, che nella serie che vede il piccolo investigatore protagonista (di cui avevamo già parlato qui) può trovare avventure sempre nuove e sfiziose, può contare d’altro canto sulla presenza di personaggi noti che rendono le dinamiche narrative familiari e amichevoli. A favorire un approccio alla lettura sereno e piacevole concorrono, inoltre, lo stile snello che contraddistingue la scrittura di Marjorie Weinman Sharmat, le illustrazioni frequenti che popolano le pagine e la scelta dell’editore di adottare caratteristiche di alta leggibilità per la stampa dei volumi.

Il lettore si trova così di fronte a storie compatte ma intriganti e ben concepite, pagine ariose dalle spaziature ampie e dal font EasyReading, testi il cui contenuto è fortemente orientato al dialogo e all’azione, a discapito di descrizioni e digressioni, e costruzioni sintattiche che privilegiano brevità e linearità: tutti aspetti, questi, che giocano un ruolo fondamentale nel rendere le micro-indagini del Grande Nate a misura anche di lettori meno forti o con maggiori difficoltà legate per esempio alla dislessia.

Ne Il Grande Nate e la scatola che non c’è, il piccolo investigatore si offre di aiutare la sua amica Rosamond a ritrovare una scatola scomparsa. Rosamond è certa di averla piazzata sul tavolino su cui si dedica a prevedere il futuro alla modica cifra di 2 cent a previsione ma, nel momento in cui si è assentata, la scatola sembra essere misteriosamente sparita nel nulla. Anche Claude, che è stato suo malgrado coinvolto da Rosamond nell’allestimento della postazione, non sa darsi una spiegazione. A Nate toccheranno allora lunghe ispezioni e molteplici ipotesi prima di riuscire a mettere insieme gli indizi e ricomporre il caso. Inutile dire che l’impresa terminerà con successo. Altrimenti il Grande Nate, che Grande Nate sarebbe?

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Mucca lupo porcello

Questo di Quenti Vijoux è un libro che fa ridere. Ma ridere, ridere, ridere, eh! Disseminato di richiami scherzosi alle favole tradizionali, Mucca, lupo, porcello mette in scena un lupo un po’ tonto, un porcello operoso e una mucca furbissima. Il lupo, come da copione, non vede l’ora di mangiarsi il porcello e, assumendo a questo scopo, le vesti più disparate – un casellante, un commesso, un postino – ci va più di una volta vicino. Questo non fa che ostacolare il progetto del porcello di costruire una solida casa in cui mettersi al riparo dagli attacchi del lupo. Per fortuna alla coppia consolidata preda-cacciatore si aggiunge la figura inattesa di mucca che interviene provvidenzialmente ad ogni tentato pranzo del lupo, accampando scuse fantasiose per nascondere la presenza dell’amico porcello. I due mettono in piedi un ingegnoso piano per tenere il lupo lontano per un po’ e ultimare così la casa del maialino: condizione fondamentale, questa, per un lieto fine festoso per tutti. O quasi…

A rendere davvero irresistibile questo libro smilzo pubblicato da Sinnos sono almeno tre cose. La prima è lo stile irriverente dell’autore che si riflette tanto nella storia quanto nei testi e nelle figure. La seconda è il tono surreale che permea l’intero racconto e che trova il suo apice nei diversi mestieri che il lupo interpreta e nelle assurde bugie che la mucca gli propina. La terza, infine, è la capacità di offrire una lettura appagante e al contempo abbordabile. Mucca, lupo, porcello condensa infatti in meno di 50 pagine una storia che viene proprio voglia di leggere, grazie alle caratteristiche sopra descritte ma anche alla cura compositiva delle pagine e ad accorgimenti tipografici che dicono al lettore “Veniamo in pace!”. Una grafica ariosa e colorata, testi brevi ma non sciatti, in maiuscolo e ad alta leggibilità e illustrazioni frequentissime e predominanti fanno del libro un delizioso volume da proporre in lettura condivisa fin dai cinque anni e in lettura autonoma, anche da parte di bambini con maggiori difficoltà legate per esempio alla dislessia, dall’inizio della primaria.

Una torta per Findus

Il talento di Sven Nordqvist è direttamente proporzionale all’impronunciabilità del suo cognome. Camelozampa ce lo ha fatto conoscere portando in Italia quell’incredibile libro senza parole che è Passeggiata col cane e ci consente ora di apprezzare la sua versatile vena artistica pubblicando la deliziosa serie di Pettson e Findus che dall’autore svedese è scritta e illustrata.

Pettson e Findus sono, nello specifico, un uomo e un gatto. Inseparabili, i due sono protagonisti di diverse avventure dal sapore surreale e rocambolesco che si svolgono perlopiù nella loro disordinatissima fattoria. Ciò che rende queste ultime particolarmente gustose è il fatto che prendono le mosse da un problema iniziale, perlopiù ordinario e circoscritto, a partire dal quale si innesca una serie di eventi sempre più assurdi, inarrestabili e caotici.

Così, per esempio, in Una torta per Findus – il primo volume della serie – Pettson è determinato a confezionare per il suo amico a quattro zampe una deliziosa torta di compleanno. Findus ama, infatti, in particolar modo questa ricorrenza: al punto che non la festeggia una ma più volte all’anno! Come fare, però, se manca la farina? Tocca andare in bici al negozio! E se la ruota della bici è rotta? Tocca cercare gli attrezzi nella falegnameria! E se la falegnameria è chiusa? Tocca cercare la chiave…

Con un meccanismo spassosamente ripetitivo, tanto nella concatenazione degli eventi narrati quanto nelle formule impiegate, sul quale si innestano situazioni sempre più mirabolanti (cosa non si farebbe per preparare una bella torta di compleanno!), Una torta per Findus dà forma a un racconto che coccola il lettore facendolo dondolare tra rassicurazione e sorpresa.

Tale dinamica narrativa gioca dal canto suo un ruolo significativo nel sostenere la lettura anche da parte di lettori meno forti: scopo al quale concorrono, inoltre, alcune caratteristiche del volume che spaziano dall’aspetto tipografico alla qualità delle illustrazioni. Una torta per Findus è stampato, infatti, con font EasyReading e presenta alcune altre caratteristiche di alta leggibilità, come l’allineamento a sinistra. Il testo, non brevissimo, è poi accompagnato a ogni pagina (o doppia pagina) da illustrazioni estremamente ricche cui è riservato ampio spazio. Preminenti a colpo d’occhio, rispetto al testo, queste contribuiscono a rendere la lettura decisamente meno ostica e spaventosa, dando forma a un tipo di racconto illustrato che negli equilibri narrativi, nella lunghezza e nei contenuti costituisce un ponte ideale tra l’albo illustrato dai testi più asciutti e il racconto in cui il testo assume un ruolo più importante. Non solo: lo stile irresistibile e minuzioso di Sven Nordqvist fa sì che la lettura visiva assuma qui un ruolo non trascurabile e, anzi, solletichi il lettore con trovate buffe e sfiziose che vanno assaporate con lentezza. La capacità straordinaria dell’autore di costruire scene affollate, riempire la pagina di dettagli e sparpagliare qua e là particolari surreali (oggetti animati, cose fuori posto, proporzioni fantastiche,  personaggi secondari che animano micro-storie parallele…) trasforma la pagina in un luogo in cui sostare, riprendere fiato e mettere alla prova la propria capacità di osservazione.

Alla luce di tutto questo, il libro si presta perfettamente a ghiotte letture condivise con bambini a partire dai 5 anni e altrettanto appaganti letture autonome, anche da parte di lettori dislessici, per bambini di uno o due anni più grandi.

Tutta colpa del barattolo

Prendete la fiera dell’Est e moltiplicatela per dieci: ecco a voi, in tutta la sua mirabolante prorompenza, il divertente albo illustrato di Luca Tortolini e Maria Gabriella Gasparri Tutta colpa del barattolo. Anche qui un topo, un gatto e un cane si inseguono l’un l’altro in un inarrestabile effetto a catena, ma in un crescendo stupefacente entrano poi in gioco bufali imbizzarriti, dighe crollate, cioccolato sciolto in quantità industriali e involontari spettacoli pirotecnici. Il tutto, manco a dirlo, per colpa di un barattolo calciato per noia!

Iperbolico e folle, Tutta colpa del barattolo travolge il lettore con una storia incredibile da cui è un piacere lasciarsi sorprendere. Stampato con caratteristiche di alta leggibilità come la font Leggimi, la spaziatura maggiore, la sbandieratura a destra e la presenza di un solo paragrafo (talvolta una sola frase per pagina), l’albo edito da Sinnos offre una lettura appagante e ricca, nonostante la sua brevità, grazie a una intensa ed efficace sinergia tra testo e illustrazioni.

Queste ultime, caratterizzate da grande dinamismo e da un numero limitato di colori accesi e fluo, la fanno infatti da padrone nell’aggiungere dettagli sfiziosi al racconto, dicendo molto di più di quel che esplicitano le parole. Ne vien fuori una narrazione dal forte impatto visivo, che ben asseconda la propensione di tanti lettori, riluttanti o dislessici per esempio, ad apprezzare storie che sanno essere ricchissime anche con testi piccini picciò.

Un viaggio gattesco

Con le avventure di Merlo (che comprendono, Merlo e la merenda, Merlo e i colori, Merlo e le emozioni, Merlo e gli opposti), messe a punto da Gloria Francella e Giulio Fabroni, Sinnos ha inaugurato una proposta editoriale intrigante, innovativa e dalle interessanti possibilità inclusive. Si tratta di cofanetti composti da 12 carte ciascuno, che raccontano storie minime ed essenziali da ricomporre come un puzzle. Ogni carta presenta, infatti, un brevissimo pezzo di testo (font maiuscolo e ad alta leggibilità) sul fronte e un pezzo di illustrazione sul retro. Messe l’una accanto all’altra dal lato delle figure, le carte compongono in alcuni casi una sorta di quadro complessivo della storia e in altri un riepilogo illustrato dei diversi passaggi narrativi.

La formula delle carte è semplice ma ingegnosa perché attiva il lettore in un gioco che rende la lettura dinamica e insolita, adatta a svolgersi anche in luoghi e posizioni inconsueti. Su un tavolo, sul pavimento, su un tappeto, in cortile: i cofanetti Sinnos amano gli spazi in cui ci si può sdraiare, muovere, allargare. La lettura qui può prendere strade diverse: può procedere, per esempio, di pari passo con la ricomposizione del quadro così come può scorrere liscia fino alla fine e poi lasciare spazio al gioco. Sta al lettore decidere, e questo non solo lo rende particolarmente partecipe ma gli consente anche di godere della storia in più modalità, reiterando ogni volta il piacere della scoperta.

Alla luce di questi felici aspetti, accogliamo con gioia la pubblicazione di due nuovi confanetti. Si tratta di Un viaggio gattesco e Chi abita qui?, scritti e illustrati questa volta da Angela Cascio e Sergio Olivotti.

In Un viaggio gattesco i protagonisti sono due gatti – Lola e Gordo – che fantasticano sui mirabolanti viaggi che vorrebbero fare. Le idee non gli mancano ma per ogni proposta che gli balza in testa, vien fuori un intoppo. I due non hanno, infatti, la patente, non arrivano i pedali della bici, patiscono il caldo della savana, non sanno come trasportare gli sci… difficile muoversi in queste condizioni. Non resta che trasformare in un luogo festoso la casa: per quello bastano gli amici e gli amici, grazie al cielo, non mancano! Contraddistinto da una struttura iterata che porta sorrisi, Un viaggio gattesco invita a immaginare nuove mete e nuovi intoppi, in un viaggio fantastico potenzialmente senza fine e sempre diverso.

Chi abita qui?

Con le avventure di Merlo (che comprendono, Merlo e la merenda, Merlo e i colori, Merlo e le emozioni, Merlo e gli opposti), messe a punto da Gloria Francella e Giulio Fabroni, Sinnos ha inaugurato una proposta editoriale intrigante, innovativa e dalle interessanti possibilità inclusive. Si tratta di cofanetti composti da 12 carte ciascuno, che raccontano storie minime ed essenziali da ricomporre come un puzzle. Ogni carta presenta, infatti, un brevissimo pezzo di testo (font maiuscolo e ad alta leggibilità) sul fronte e un pezzo di illustrazione sul retro. Messe l’una accanto all’altra dal lato delle figure, le carte compongono in alcuni casi una sorta di quadro complessivo della storia e in altri un riepilogo illustrato dei diversi passaggi narrativi.

La formula delle carte è semplice ma ingegnosa perché attiva il lettore in un gioco che rende la lettura dinamica e insolita, adatta a svolgersi anche in luoghi e posizioni inconsueti. Su un tavolo, sul pavimento, su un tappeto, in cortile: i cofanetti Sinnos amano gli spazi in cui ci si può sdraiare, muovere, allargare. La lettura qui può prendere strade diverse: può procedere, per esempio, di pari passo con la ricomposizione del quadro così come può scorrere liscia fino alla fine e poi lasciare spazio al gioco. Sta al lettore decidere, e questo non solo lo rende particolarmente partecipe ma gli consente anche di godere della storia in più modalità, reiterando ogni volta il piacere della scoperta.

Alla luce di questi felici aspetti, accogliamo con gioia la pubblicazione di due nuovi confanetti. Si tratta di Un viaggio gattesco e Chi abita qui?, scritti e illustrati questa volta da Angela Cascio e Sergio Olivotti.

Chi abita qui? fotografa i peculiari inquilini di un delizioso condominio, a ciascuno dei quali è dedicata una carta. Ci sono la dottoressa, il pescatore, l’imbianchina, il violinista e tanti altri, secondo una distribuzione delle professioni tra i generi attenta a non alimentare pregiudizi e cliché. La cosa interessante di questo cofanetto è la possibilità di costruire combinazioni narrative sempre diverse che delineano inattesi rapporti sentimentali, di amicizia, professionali o di semplice buon vicinato. Ogni carta presenta infatti un personaggio, indicandone la professione e un’azione ad essa legata, sempre rivolta a qualcun altro. Questo qualcun altro è lasciato in sospeso, consentendo al lettore di sceglierlo a piacere. Così, per esempio, Pino il postino può consegnare lettere d’amore a Marta la sarta, a Carlotta la poliziotta ma anche a Martino il Ciabattino o a Mario il bibliotecario e via dicendo. E questi a loro volta potranno cucire camicie, indicare la strada, fare calde pantofole e prestare libri ad altrettanti fortunati destinatari, in un intreccio di legami che è un inno leggero all’invenzione fantastica e alla coltivazione delle relazioni.

C’è qualcosa in casa

Passi trascinati nel corridoio, porte che si aprono misteriosamente, oggetti che si spostano: Andrea ne è certo, Qualcosa si intrufola regolarmente in casa sua per terrorizzarlo. Il problema è: cosa? Ma soprattutto: come fare per non farsi sopraffare dalla paura? Andrea le prova tutte: ignora quel Qualcosa, prova a pedinarlo, si dà delle regole come non guardare mai indietro e chiudere a chiave l’armadio, ma nulla. Qualcosa torna sempre.

Ad Andrea serve una soluzione più radicale e così, forte della sua passione per i fumetti, inizia a creare delle maschere che lo proteggano di notte e a dar forma a una sorte di supereroe personale – il temibile Maizena, ispirato dalla forza dei fluidi non newtoniani – che gli dia coraggio. In un percorso in cui vecchi amici riservano delusioni ma nuove amiche si mostrano preziose alleate, Andrea affronta un passo alla volta la sua paura. Sarà davvero una volta per tutte?

C’è qualcosa in casa fa parte dell’interessante collana Piccole piume di Pelledoca, giovane case editrice specializzata nella pubblicazione di titoli da brivido per bambini e ragazzi. La collana Piccole piume, in particolare, si rivolge a un pubblico di giovanissimi dai sei anni in su che non si facciano spaventare dalle storie misteriose.

Contraddistinti da trame avvincenti e non prive di una certa suspance, come nel caso di C’è qualcosa in casa, i libri che compongono la collana sono altresì accomunati da caratteristiche di alta leggibilità come la font leggimi, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe (purtroppo non tra paragrafi, però), sbandieratura a destra e l’uso del grassetto per evidenziare passaggi particolarmente salienti, che concorrono a rendere più amichevole la lettura anche in caso di dislessia.

Susan Duckling e il caso del raffreddore scomparso

La maestra di Susan è un tipo così gentile e premuroso che quando, di punto in bianco, inizia a mostrarsi scontrosa e arcigna, Susan si insospettisce immediatamente. Forte del successo della sua prima indagine (Susan Duckling e il caso del regalo di compleanno), la bambina ottiene di poter affiancare il padre nelle ricerche volte a svelare il perché di un cambio così inspiegabile e repentino. Grazie a pedinamenti, supposizioni e raccolta di indizi come orecchini spaiati e reazioni cagnesche, Susan riesce a ricomporre l’intricato puzzle investigativo con una logica da 10 e lode!

Ambientato in una Londra del secolo scorso, tra pipe, bombette e vetture scoppiettanti, Susan Duckling e il caso del raffreddore scomparso fa seguito al primo volume  della serie che vede protagonista la figlia del commissario Duckling. Fresca e accattivante, la serie è intrisa di un certo humour inglese ed è animata da alcuni personaggi ricorrenti – come l’immodesto papà di Susan o il paziente agente Puddle – che ruotano attorno alla bambina e aggiungono tocchi british e qualche sorriso alle sue indagini. Queste ultime, dal canto loro, sono tutte molto lineari e minimali, capaci di risolversi in un tempo misurato, senza correre il rischio che i lettori meno forti si annoino.

Questo aspetto, unito alla frequenza delle illustrazioni e al ruolo importante che viene loro riservato, così come alla scelta di stampare il testo con alcune caratteristiche di alta leggibilità (font leggimi, spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe, sbandieratura a destra, come tipico di tutti i titoli della collana Piccole piume di Pelledoca), fanno dei libri di Susan Duckle una proposta frizzante e abbordabile anche per lettori dislessici.

Susan Duckling e il caso del regalo di compleanno

Che i bambini siano acuti osservatori è risaputo. Che abbiano una logica pungente, pure. Difficile pensare, quindi, a soggetti migliori per risolvere casi misteriosi. E infatti, quando il noto commissario Duckling cede alle richieste della figlia Susan e le affida una dei suoi casi, la bambina si dimostra perfettamente all’altezza di risolverlo. Le basterà seguire con attenzione le tracce, drizzare le orecchie anche di fronte alle notizie più frivole e fidarsi del suo istinto anche a notte fonda, per riportare a casa il rinoceronte sparito dallo zoo della città e guadagnarsi addirittura la prima pagine del London Time.

Ambientato in una Londra del secolo scorso, tra pipe, bombette e vetture scoppiettanti, la serie di Susan Duckling è fresca e accattivante. Intrisa di un certo humour inglese, è animata da alcuni personaggi ricorrenti – come l’immodesto papà o il paziente agente Puddle – che ruotano attorno alla giovane protagonista e aggiungono tocchi british e qualche sorriso alle sue indagini. Queste ultime sono tutte molto lineari e minimali, capaci di risolversi in un tempo misurato, senza correre il rischio che i lettori meno forti si annoino.

Questo aspetto, unito alla frequenza delle illustrazioni e al ruolo importante che viene loro riservato, così come alla scelta di stampare il testo con alcune caratteristiche di alta leggibilità (font leggimi, spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe, sbandieratura a destra, come tipico di tutti i titoli della collana Piccole piume di Pelledoca), fanno dei libri di Susan Duckle una proposta frizzante e abbordabile anche per lettori dislessici.

10 cani in città

Che spasso, 10 cani in città! Nato dalla matita folleggiante di Charles Dutertre, l’albo edito da Sinnos è  un concentrato di invenzioni bizzarre, piccole narrazioni urbane dai tratti surreali e figure particolareggiate tra le quali sostare, zigzagare e sfidarsi a lungo.

Qui si seguono in particolare le avventure di Camillo, un bambino che decide di inoltrarsi in città dove pare si aggirino in totale libertà dieci cani. A ogni doppia pagina, che ritrae Camillo in una cornice diversa, i cani aumentano (uno nella prima, due nella seconda e via dicendo…) e il lettore è invitato a scovarli insieme ad altri oggetti (tre per doppia pagina) più o meno evidenti, più o meno bislacchi.

E così, sull’autobus come al museo, in biblioteca come al mercato, chi legge si può scatenare nella ricerca delle cose più disparate, dai granchi che leggono i libri ai gatti coi bigodini. Già, perché la città immaginata e dipinta dall’autore è tutto fuorché ordinaria, al punto che, tra le sue pagine ci abituiamo presto a veder passare pinguini imparruccati, palombari, lupi di mare e cowboy. Meno abituati a tanta stranezza sono invece i genitori di Camillo che, tornati a casa proprio all’ultima pagina, scoprono loro malgrado che cani e cittadini possono continuare le loro folli avventure anche in un comune appartamento. Il loro!

Dal punto di vista dell’accessibilità, 10 cani in città adotta una formula davvero vincente. Non solo infatti il libro presenta alcune caratteristiche di alta leggibilità che lo rendono amichevole anche in caso di dislessia, ma inserisce il meccanismo del cerca-trova all’interno di una micro-narrazione, così da incentivare senza sforzo l’avanzare della lettura.

Forte di pagine fittissime e ricche di dettagli tutti da scoprire, l’albo di Charles Dutertre invita inoltre a un’esplorazione della pagina del tutto personale, in cui le cose da guardare, da vedere e da gustare sono decisamente più numerose di quelle indicate dal testo. Ecco allora che la lettura visiva, così congeniale a tanti lettori riluttanti o fragili, viene incessantemente solleticata. Il tratto dell’autore, ricco di inventiva, humour e colore dà vita, infatti, a pagine brulicanti di fronte alle quali c’è sempre qualcosa di nuovo e di insolito da rilevare. Questo, unito alla capacità di creare continuità narrativa tra le pagine, attraverso personaggi che tornano con costanza, cambiando magari solo d’abito, rende la narrazione per immagini prima e più che per parole un’avventura irresistibile.

Stella procione

Scoprire una nuova specie animale è un’autentica avventura per uno scienziato. Ma anche scegliere il nome per la nuova specie scoperta può non essere da meno, parola di dottor Storr.

Quando quest’ultimo – tipo eccentrico e curioso – si trova faccia a faccia con un animale che assomiglia moltissimo a un cane ma che a tutti gli effetti è una creatura a sé, inizia infatti un appassionante lavoro di osservazione e nominazione, non del tutto privo di imprevisti. Le bestiole con cui si trova ad avere a che fare sono di fatto procioni intraprendenti e vivaci. Mica facile starci dietro! Un aiuto imprevisto al dottor Storr arriverà però dal cielo che con le sue costellazioni e le storie che queste custodiscono si rivelerà fonte di ispirazione inesauribile e preziosa.

La storia che lega la specie dei procioni all’astronomia è ispirata a una storia vera ed è proposta da Sinnos in un volume smilzo e piacevole della collana Leggimi, curato da Letizia Iannaccone e Alessandro Parodi. Oltre a raccontare una storia curiosa, Stella procione vanta caratteristiche di alta leggibilità che concernono font, spaziatura e allineamento e che rendono la lettura particolarmente agevole anche in caso di dislessia.

L’aquilone di Noah

Imperturbabile, chiuso nel suo silenzio e all’apparenza interessato, visceralmente interessato, solo a far volare il suo aquilone, Noah non ha vita facile. Non ce l’ha perché il periodo storico in cui vive – siamo a Cracovia nel bel mezzo della seconda guerra mondiale – non ammette tenerezza nei confronti di chi come lui è ebreo e ignora le tante norme via via più restrittive imposte dal nazismo. Ma non ce l’ha anche perché la famiglia che gli capita in sorte è tutto fuorché accogliente e capace di far spazio a un bambino atipico come lui.

Con una madre e una sorella del tutto anaffettive e preoccupate solo di sé stesse, un padre pavido e frustrato che dedica ogni sua attenzione agli orologi della sua bottega, Noah può fare affidamento solo su Joel, suo fratello maggiore, che da sempre di lui si prende cura. Per Joel, fare in modo che al piccolo Noah non accada nulla di male e che il suo aquilone possa continuare a volare è una sorta di missione, di compito autoassunto che intende portare a compimento costi quel che costi. Anche quando la vita nel ghetto si fa durissima, quando la famiglia Baumann è costretta a cambiare dimora e a dividere uno striminzito appartamento con degli sconosciuti, quando iniziano i rastrellamenti e quando anche una cosa banale come il volo di un aquilone può diventare motivo per trovare una morte violenta. E così, al fianco di questo scricciolo silenzioso e del gigante buono che lo accompagna, il lettore si inoltra tra le pieghe della storia, attraverso le diverse tappe che hanno dato forma all’orrore dell’Olocausto e da cui gli stessi protagonisti non sono lasciati indenni.

Intorno a loro, lungo un racconto in cui trovano spazi amori e sodalizi fraterni, tradimenti e imprevista compassione, crudeltà e generosità, si muove un’umanità palpabile e variegata che rende le categorie dei buoni e dei cattivi piuttosto labili e sfumate, un catalogo vivo di figure e caratteri animati dai sentimenti più diversi, dai più infimi ai più elevati. Tra queste pagine in cui la storia entra con prepotenza e senza remore, anche nei suoi episodi più duri, il lettore vede sfiorarsi o incrociarsi i percorsi di persone che paiono agli antipodi le une dalle altre, che mettono fortemente in discussione l’idea classica di famiglia, che in un nonnulla arrivano vicinissime alla redenzione come alla disperazione. I loro destini fragili fanno i conti con una pagina di storia vergognosa e immonda che la penna di Salmerón ha il merito di tradurre nella quotidianità di individui veri – adulti, anziani e bambini – rendendola così meno distante e impenetrabile.

Violetta e i topi del Titanic

Come ogni nave che compia lunghe tratte, anche il Titanic trasportava una serie di passeggeri senza biglietto e con una lunga coda: topi e topini viaggiatori. E proprio topi e topini sono i protagonisti della storia ad altra leggibilità scritta e illustrata da Cecco Mariniello per Sinnos, Violetta e i topi del Titanic.

Di due tipi diversi e rivali, i topi rossicci e quelli azzurrognoli non si possono nemmeno incrociare senza lasciarsi andare a risse e scontri verbali. In virtù di una lunga storia di lotte, guerre e soprusi, i due gruppi di roditori non fanno che insultarsi a vicenda e battersi gli uni contro gli altri. Due di loro, però, l’azzurrognola Eloisa e il rossiccio Abelardo, se ne infischiano altamente delle storiche beghe tra le rispettive fazioni di appartenenza e amano giocare insieme. E sarà proprio questa loro capacità di non lasciarsi condizionare dalla provenienza e di guardare al futuro più che al passato, a garantire loro una fuga riuscita al momento dell’impatto con l’iceberg e una prospettiva di nuova vita una volta giunti in America.

Costruito come una chiara metafora delle insensate lotte, soprattutto di classe, che nel tempo hanno animato la vita degli uomini e che nella clientela del Titanic trovavano una eloquente rappresentazione, Violetta e i topi del Titanic presenta un racconto fruibile per brevità, composizione sintattica e caratteristiche (tipo)grafiche.

Zoe Salvamondo (collana)

Zoe Salvamondo è una bambina curiosa, intraprendente e piuttosto incline a partecipare in maniera attiva alle faccende della comunità, piccola e grande, di cui fa parte. Il personaggio creato da Ruggero Poi e Alice Rossi incarna di fatto l’idea che non si è mai troppo piccoli per fare la propria parte e così, attraverso storie create ad hoc, la bambina conosce, sperimenta soluzioni e fa propri gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU: traguardi per lo sviluppo sostenibile che spaziano dalla tutela dell’ambiente all’educazione, dalla riduzione delle disuguaglianze alla cultura della pace.

In Zoe Salvamondo e la melenzana melanzanissima, per esempio, la protagonista esplora il tema della costruzione di città e comunità sostenibili (obiettivo 11). Lo fa spinta dal desiderio di preparare una deliziosa parmigiana di melanzane: occasione che la porta a conquistare una piccola isola verde in mezzo al traffico cittadino, a scontrarsi con la grande quantità di rifiuti, in parte superflui, che ogni giorno tutti noi produciamo, a fare la conoscenza di alberi che hanno un nome e a sperimentare quanto possano essere proibitive per il movimento e lo svago dei bambini le vie di una città.  Sul terrazzo del nonnino, infine, la bambina scopre che piccoli gesti di cura possono aiutarci a dare spazio a quelle creature come le api che altrimenti rischiano di scomparire dai nostri spazi a tutto cemento e come proprio quella cura costituisca il segreto di verdure buonissime, che più buone non si può!

In Zoe e il vestito di arancia, invece, a far da motore per il racconto è l’obiettivo dedicato al consumo e alla produzione sostenibili (obiettivo 12). Qui Zoe è intenta a cercare il regalo di compleanno perfetto per la sua amica Tilde. Difficile trovare qualcosa di meglio di un vestito originalissimo fatto di arance. Ma l’entusiasmo di Zoe in favore del pianeta non si ferma qui: insieme a lei a ai suoi amici, carte e pacchi dei regali diventano il materiale perfetto per costruire cartelli colorati e dar vita a un corteo di bambini. Un modo, questo, per dire a gran voce che il gioco dell’Usariusa è bellissimo e che anche gli adulti dovrebbero proprio provarlo!

Le storie di Zoe Salvamondo sono confezionate in collaborazione con la Fondazione Pistoletto e pubblicate da Beisler in forma di albo con caratteristiche di alta leggibilità. Font Testme, spaziatura maggiore e sbandieratura a destra caratterizzano da un punto di vista visivo, testi abbastanza semplici, dalla struttura lineare e perlopiù paratattica, ideali per prime esperienze di decodifica autonoma. Il racconto è piuttosto piano, privo di veri e propri guizzi inventivi, e accompagnato da illustrazioni vivaci che hanno un ruolo preminente e supportano in modo efficace la lettura.

Nelle vicende cittadine di Zoe, in cui trovano spazio personaggi ricorrenti come gli amici Tito e Tilde o il gatto Smangiucchio, questioni importanti e di spessore come quelle al centro dell’Agenda 2030 assumono una forma concreta e apprezzabile anche da bambini della scuola primaria. In questo senso i libri di Zoe offrono uno strumento interessante anche e soprattutto per un eventuale sviluppo del tema a livello scolastico.

Sono Vincent e non ho paura

Quell’età di mezzo in cui non si è né carne né pesce, in cui ci si sente troppo grandi per essere bambini e troppo piccoli per affrontare davvero il mondo da soli, è un affare proprio gramo. Scostarsi di una virgola dalla massa può voler dire subire prepotenze e prese in giro che sono talvolta tutt’altro che bravate, e Vincent lo sa bene. Così solitario e così fuori dagli schemi, lui che sa tutto dell’arte della sopravvivenza, è il bersaglio ideale per Dilan e la sua banda, che non perde occasione di deriderlo e prenderlo a botte appena fuori dalla scuola.

Denunciare i soprusi vorrebbe dire allarmare i suoi genitori – cosa peraltro già accaduta in passato – e ritrovarsi a tu per tu con la psicologa, e Vincent non ne ha nessuna voglia. Le giornate di lezione e l’attesa del famigerato campo scuola a cui Vincent è costretto a partecipare diventano così un vero tormento, un susseguirsi di ore lentissime in cui il ragazzino fa di tutto per non farsi notare e sfuggire alle vessazioni, rifugiandosi in una dimensione in cui dialoga con una cricca di animali immaginari dallo spiccato senso dell’umorismo.

Fino a quando in classe arriva una ragazzina che non potrebbe essere più diversa dal protagonista: sicura di sé, popolare e alla moda, Jasmijn – detta La Jas – si interessa in maniera autentica a Vincent e al suo mondo fatto di kit di sopravvivenza e conoscenze bizzarre. Anche La Jas, checché se ne possa pensare, sa cosa vuol dire essere vittima di discriminazioni e prepotenze (ché il bullismo prende tante strade e assume tante forme, scegliendo bersagli talvolta non scontati) e questo la aiuta e entrare in sintonia con Vincent. Tra i due nasce inaspettatamente un legame solido, un’amicizia che per il protagonista sarà preziosa per trovare il coraggio di affrontare ciò che lo spaventa senza rassegnarsi a subire e avere paura.

Con una grafica curata e accattivante, in cui lo sfondo scuro sottolinea la sensazione di buio che avvolge il protagonista all’inizio della storia e in cui gli elementi naturali a lui tanto familiari punteggiano le pagine con fare raffinato, il romanzo presenta una costruzione narrativa che tira pian piano il lettore per la manica fino a farlo ritrovare al fianco di Vincent mentre scappa dal campo scuola. A una prima parte in cui si alternano in maniera efficace il racconto delle giornate prima del campo scuola e alcune pillole da manuale di sopravvivenza, ne segue una seconda in cui la cronaca del campo scuola dal punto di vista di Vincent si fa serrata e travolgente. Di fronte all’ennesima concretissima minaccia di Dilan, il ragazzino scappa infatti nel boschi, mettendo finalmente a frutto tutto ciò che negli anni ha imparato sulla sopravvivenza e scoprendo che gli strumenti più utili in caso di pericolo  non sono in realtà fiammiferi e pietre focaie ma il poter contare sull’appoggio e il confronto con un amico vero come La Jas. Ché questo i manuali di sopravvivenza mica lo dicono!

Oltre a raccontare dall’interno e con toccante franchezza quanto possano essere complicate, delicate e multisfaccettate le dinamiche del bullismo, Sono Vincent e non ho paura si fa così apprezzare per una storia che viaggia veloce come una corsa a perdifiato nel bosco, per personaggi non scontati a cui ci si affeziona presto (non ultimi il verme e la sua combriccola di animali immaginari) e per una scrittura secca fatta perlopiù di frasi brevi che ben si sposano, dal punto di vista dell’accessibilità della lettura, con la stampa ad alta leggibilità proposta dall’editore Camelozampa. Avvincente e coinvolgente. In una parola: vincente. Consigliatissimo!

147 mostro che parla! (collana)

147 mostro che parla! è una collana di libri ad alta leggibilità corredati da audiolibro messa a punto dell’editore Telos. La collana si compone di 21 volumi (in via di pubblicazione), ciascuno dedicato a una diversa regione italiana e all’immaginario popolare che la caratterizza. Al centro di ogni volume ci sono infatti le creature fantastiche che animano i racconti folkloristici – 7 per ogni regione – rivisitati in una chiava nuova. Calati in contesti attuali e cornici narrative costruite ad hoc, sirene, folletti e mostri di ogni sorta rivivono tra queste pagine con un duplice effetto: recuperare e rendere palpitante un patrimonio culturale ricchissimo che altrimenti tenderebbe a svanire e restituire valore alla sua straordinaria forza immaginifica attraverso storie che parlano una lingua moderna.

Questo raffinato lavoro di recupero e riscoperta, supervisionato da Teresa Porcella che della collana è curatrice, è affidato di volta in volta a una coppia di autori e illustratori diversi, penne e matite autoctone della regione trattata. In questo modo la specificità culturale di ogni singolo territorio affiora in maniera palpabile anche nelle scelte lessicali e nelle espressioni idiomatiche così come in alcuni dettagli e atmosfere che prendono forma con le figure. Inoltre – cosa non da poco – questa scelta contribuisce a rendere particolarmente vivaci e multiformi i contenuti della collana che pur mantiene una sua forte identità e coerenza.

Ogni volume presenta sette racconti, ciascuno dedicato a una deversa creatura fantastica che, come tornata dal passato, si intrufola con naturalezza in scenari e situazioni d’oggi . I racconti sono brevi, snelli e accattivanti. Alla fine di ognuno, il libro propone una sorta di carta di identità del mostro protagonista che ne riassume le caratteristiche e che fornisce tutte le informazioni necessarie per evitarlo, difendersi o guarire dai suoi poteri. Le illustrazioni che accompagnano i racconti sono frequentissime (praticamente a ogni pagina) e in generale contraddistinte da uno spiccato ed espressivo uso del colore.

A questo aspetto, che senz’altro supporta e incentiva la lettura anche da parte di quei lettori che mal digeriscono pagine fitte fitte e dall’aspetto ostico, si somma una serie di altre caratteristiche che agevolano la lettura anche in caso di difficoltà legate per esempio (ma non solo) alla dislessia. In primo luogo il testo, come da consueta cura della casa editrice Telos, presenta caratteristiche di alta leggibilità. L’impiego del font EasyReading, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe e la sbandieratura a destra rendono infatti la pagina più ariosa e il riconoscimento delle lettere meno faticoso. In secondo luogo le parole meno comuni vengono evidenziate cromaticamente secondo una legenda che distingue nomi, verbi e aggettivi. E infine l’intero testo è reso disponibile per l’ascolto grazie a un semplice qrcode che, inquadrato, rimanda all’audiolibro letto direttamente dell’autore di ogni volume.

Accessibilità, originalità e cura compositiva sono dunque tre caratteristiche chiave della collana 147 mostro che parla! E che ne fanno un prodotto estremamente versatile e spendibile, dentro e fuori la scuola.

Insalata mista

Essere adolescenti è difficile per chiunque, esserlo in un contesto che di punto in bianco cambia, senza conoscere nessuno e dovendo ricostruirsi una vita da zero lo è ancora di più. Per questo, di fronte all’idea di trasferirsi con la famiglia da Parigi al villaggio di Morjac in Ardèche, la giovane Margotte non fa esattamente i salti di gioia. Anzi, lei che tende per indole a parlare poco e pensare molto, è a dir poco travolta dagli interrogativi, dalle rimostranze e dalle preoccupazioni.

Queste ultime si rivelano, d’altronde, tutt’altro che infondate: una volta arrivata nella sua nuova sperduta casa, Margotte si trova circondata da strade poco piacevoli per chi come lei soffra il mal d’auto, chili di mele cotogne da pelare, poche persone con cui legare, un dialetto strano con cui fare i conti e una coetanea tutt’altro che amichevole con cui incrociarsi ogni santo giorno. Come si sopravvive in queste condizioni? Con tanta forza di volontà e qualche incontro folgorante, come quello con il giovane Théo che abita lì accanto e incanta alla vista con i suoi rasta biondi e il suo sorriso smagliante. Anche – o forse proprio – grazie a lui, Margotte trova il coraggio di provare ad affrontare la nuova vita rurale con un’intraprendenza diversa: un inizio mica male per scoprirsi meno allergica del previsto alle persone e per scoprire sulla propria pelle quanto il senso di comunità possa fare la differenza nella situazioni di difficoltà.

Con una voce adorabilmente cinica, Margotte ci accompagna all’interno di una storia che non manca di emozioni, suspense e un piccolo mistero. Qui si alterna e combina una sfilza di personaggi gustosamente caratterizzati – dalla mamma in preda a una conversione al bio alla sorellina a cui nessuno resiste, dalla giovane Justine tutta piercing e sfide al mondo all’enigmatico abitante numero 17 del  piccolo villaggio – che rendono la narrazione vivacissima e mai piatta.

Insalata mista è un libro dallo stile ricco, in cui le parole ricercate e le espressioni insolite non mancano soprattutto per bocca della protagonista Margotte, i cui pensieri sono acuti anche nella forma, e degli abitanti di Morjac, il cui dialetto trapassa sulla pagina per un maggiore realismo. A questo aspetto, che potrebbe scoraggiare i lettori meno forti, fa da contraltare una costruzione narrativa avvincente e un racconto che aderisce come una ventosa al mondo degli adolescenti. Il libro tira dunque il lettore dentro una storia capace di appagare e offrire interessanti possibilità di rispecchiamento. A rendere il tutto più amichevole anche nei confronti di chi sperimenta maggiori difficoltà di lettura concorre poi la scelta di Camelozampa di stampare il volume con alcune caratteristiche di alta leggibilità come il font EasyReading e una spaziatura più ampia: le stesse già adottate per un altro gustoso romanzo di Gaia Guasti uscito qualche anno fa e intitolato Maionese, ketchup e latte di soia.

Ellen e il leone

La penna di Crockett Johnson ha una specie di marchio: i personaggi che ne escono hanno, infatti, una carica ironica, rocambolesca e immaginifica inconfondibile. L’esempio più celebre è probabilmente quello di Harold, bambino intraprendente che con la sua matita viola sa dare forma a ciò che non c’è e spalancare la porta a inaspettate avventure. Ma c’è un altro personaggio creato dall’autore americano, che seppure meno noto non ha nulla da invidiare ad Harold quanto a inventiva e fare tosto.

Si tratta di Ellen, una bambina dall’immaginazione indomita che nel perimetro rassicurante della sua cameretta dà vita a viaggi in treno fino in Arabia e ritorno, ardite scalate in montagna, battaglie contro streghe malvagie e corse contro il tempo con tanto di valigetta e stetoscopio. A rendere queste peripezie davvero deliziose è in particolare la presenza fissa, insieme ad Ellen, del suo leone di pezza. Quest’ultimo è, infatti, coinvolto suo malgrado nelle diverse imprese e il contrasto tra il suo aplomb disincantato e l’energia incontenibile della bambina dà forma a dialoghi davvero divertenti.

Non solo, con lui Ellen condivide riflessioni mica da poco e una dimensione del gioco che, come è tipico dell’infanzia, si fa serissima e capace di un andirivieni fluido tra mondo reale e mondo fantastico. È proprio il leone di pezza, con un’imperturbabilità che fa sorridere, a tentare di riportare Ellen coi piedi per terra. Ma la bambina fa orecchie da mercante e ultimata un’avventura è già pronta a fantasticarne un’altra, con buona pace del felino e gran diletto del lettore. Ironico, vivo e capace di mantenere un equilibrio funambolico tra invenzione e pragmatismo, Ellen e il leone parla perfettamente la lingua dei bambini di quell’età magica in cui realtà e fantasia dialogano in maniera serrata e feconda.

Dal punto di vista dell’accessibilità, il libro di Crockett Johnson nell’edizione Camelozampa presenta una combinazione di caratteristiche interessanti. Stampato ad alta leggibilità, il volume vanta in primo luogo un carattere più grande del consueto, un’impaginazione ariosa, una spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe e una sbandieratura a destra, oltre a un font più amichevole come L’EasyReading. La frequente presenza di illustrazioni, peraltro contraddistinte dal tratto divertente e leggero dell’autore americano, dinamizza dal canto suo le pagine e restituisce loro un aspetto più rassicurante. 78 in tutto, queste ultime offrono a chi si cimenti con le prime letture autonome una sfida appagante e corposa. La divisione in 12 racconti, tuttavia, predispone traguardi intermedi meno ostici che incoraggiano e sostengono il lettore, soprattutto laddove ci siano maggiori difficoltà legate per esempio alla dislessia.

Fuga in punta di piedi

Il cambiamento può iniziare in molti modi. Con una scarpa che si dà alla fuga, per esempio! E in effetti quando la scarpa preferita di Adele decide di scomparire proprio alla vigilia della partenza per le vacanze, l’abitudinaria pennuta è costretta suo malgrado a rimettere in discussione le sue amate routine. Impossibile per lei partire con il solito treno, il solito giorno di luglio per andare nella solita località di montagna con il marito Alfio: tocca rimettere in discussione i piani. E così, in quello che si rivelerà essere l’agosto più movimentato della vita dei due protagonisti, la caccia alla scarpa li porterà a frequentare i luoghi più disparati, dalle chiese alle discoteche, e a far la conoscenza dei personaggi più inattesi, dall’inquilino abusivo Aristide ai due poliziotti vicini di casa Assenzio a Anastasio. Alla fine la famigerata scarpa farà ritorno a casa. Niente però sarà più come prima per Adele e Alfio, ché per una scarpa smarrita c’è un mondo di cose da fare, scoprire e non lasciare (forse) mai più.

Fuga in punta di piedi, che fa parte della collana Prima graphic di Sinnos, attira prima di tutto per le sue illustrazioni dinamiche e particolareggiate, in cui il contrasto tra il bianco e nero di fondo e i dettagli in giallo vivace attirano l’occhio e accendono la curiosità. Su questa scia, ci si fa strada in una trama che impasta un sottile umorismo e uno spiccato gusto per l’assurdo, mettendo insieme personaggi buffi e ben assortiti. Il risultato è una storia coinvolgente che, imprevedibile com’è, ci si chiede di continuo dove possa portare. Costruito mescolando racconto tradizionale e narrazione a fumetto, il libro di Daniela Palumbo e Francesca Carabelli vanta inoltre un ritmo insolito e meno affaticante che, spostato ad altre caratteristiche di alta leggibilità come la font leggimi, la spaziatura maggiore e la grafica pulita, incentiva e supporta la letture anche da parte di lettori meno forti o con maggiori difficoltà legate alla dislessia.

Il mostro di neve

Difficile immaginare qualcosa di più tenere e pacioso di un pupazzo di neve. Certo, a meno che il pupazzo di neve non si animi di notte, non mandi messaggi inquietanti e non si scagli con pericolosa forza contro coloro che gli hanno dato forma. E questo, in effetti, è esattamente ciò che accade a Sam, Jack e Ryan. Durante una nevicata particolarmente copiosa, i tre amici si ritrovano infatti vicino al loro rifugio segreto e costruiscono un grande pupazzo di neve, decorandolo con rami, rifiuti e un vecchio cellulare di proprietà di uno di loro. La sera, però, accade qualcosa di inspiegabile: i tre ragazzi ricevono un sms che li sfida a tornare dal pupazzo. Chi l’avrà spedito? La spiegazione più plausibile è anche la più assurda, ma Sam, Jack e Ryan hanno ben poco tempo per stare ad arrovellarvisi su. Arrivati al rifugio inizia, infatti, la loro folle notte, animata da una creatura di neve che prende misteriosamente e mostruosamente vita. Sangue freddo, spirito di squadra e fish&chips saranno le armi decisive che aiuteranno i tre a salvare la pelle e trovare, forse, un insolito amico.

Per ragazzi che temono più gli ostacoli di lettura che le avventure da brivido, Il mostro di neve è una proposta ideale. Avvincente e tenebroso ma anche scorrevole, ritmato e snello, il libro di Gillian Cross offre una lettura che appaga senza risultate troppo impegnativa e che incentiva il lettore ad avanzare tra le pagine non solo grazie a una giusta dose di mistero ma anche e soprattutto grazie a una scrittura pulita e puntuale. A tutto questo si aggiungono poi le caratteristiche tipografiche di alta leggibilità messe in campo dall’editore Biancoenero che danno forma a una pagina ariosa e amichevole a cui è più agevole approcciarsi. Il risultato è un libro che convince e che accoglie i giovani lettori dagli 8 anni in su, con o senza difficoltà legate alla dislessia, e di certo dotati di un po’ di coraggio.

La compagnia degli animali estinti

In un periodo storico in cui il tema dei cambiamenti climatici e della tutela dell’ambiente si fa sempre più urgente, un libro come La compagnia degli animali estinti lancia un monito importante e al tempo stesso omaggia il coraggio delle nuove generazioni, senz’altro più attente al rispetto del pianeta di quanto non lo siano quelle precedenti. Lo fa attraverso una storia avvincente in cui si mescolano realtà e sogno, enigmi e crucci familiari, vicende individuali e questioni di interesse collettivo.

Protagonista è Lucia, che alla soglia del suo nono compleanno riceve dal padre, lontano per lavoro, una misteriosa collana con dei pendenti a forma di animali. Apparentemente casuali, questi ultimi si rivelano in realtà scelti in base al comune e triste destino legato all’estinzione e i pendenti che li raffigurano mostrano presto dei poteri insoliti. Guidata da loro, in compagnia del fratello Tommaso e dell’amica Alessia, Lucia si lancia in una frenetica indagine che la porterà a cercare indizi, risolvere rompicapo e sfuggire a creature minacciose, nel tentativo di venire a capo della misteriosa e improvvisa scomparsa dalla terra di ogni creatura animale. La sua tenacia e il gioco di squadra con i suoi compagni di avventura saranno premiati con un’inattesa sorpresa ma anche con la solida consapevolezza che la salvaguardia dell’ambiente dipende delle nostre azioni più di quanto possiamo aspettarci.

Scorrevole e avventuroso, La compagnia degli animali estinti offre una lettura da cui farsi catturare. Forte di questa piacevolezza, oltre che delle apprezzabili caratteristiche di alta leggibilità e della presenza di fumetti che con regolarità si alternano al testo, riassumendone gli eventi salienti, il libro di Chiara Valentina Segré può rappresentare una proposta interessante e stimolante anche per giovani lettori che trovano difficoltà nei testi tradizionalmente stampati.

Un passero per capello

Non è mica facile concentrarsi, suonare il piano o persino ricordarsi di essere felici quando una moltitudine di uccellini decide di appostarsi sulla tua tesa e bisticciare notte e dì facendo un gran baccano: proprio ciò che accade a Sofia, che da un giorno all’altro si ritrova assediata da uno stormo cinguettante tutt’altro che piacevole. Per la bambina non sembra esserci via d’uscita – quegli uccellini sono proprio tosti e impertinenti – senonché a un certo punto incontra qualcuno che condivide la sua stessa assurda situazione. Quel che accade dopo ha un che di magico: ché l’amicizia, si sa, può fare veri prodigi!

Semplice e lineare nel contenuto e nella forma, Un passero per capello si fa apprezzare per la delicatezza del racconto e per l’efficacia della metafora che vede la solitudine come un tormento che affolla i pensieri e di cui non è semplice liberarsi. L’albo di Monika Filipina, in catalogo per Camelozampa dal 2015, viene ora riproposto dall’editore con una nuova veste che privilegia caratteristiche di alta leggibilità come il font EasyReading e una spaziatura maggiore: un’iniziativa, questa, che non può che rallegrare, nell’ottica di offrire, fin dalle prime letture autonome, libri il più possibile accoglienti e amichevoli anche per chi sperimenta difficoltà legate alla dislessia.

Una piccola cosa senza importanza

La vita in una missione umanitaria, nel bel mezzo dell’Africa Centrale e ben lontano da molte comodità, non è senza dubbio facile. Non lo è per nessuno, men che meno per un tredicenne come Sacha per cui lo spirito di adattamento non è esattamente un punto di forza. Autistico, e più nello specifico con la sindrome di Asperger, Sacha trova tuttavia meno faticoso costruirsi una routine rassicurante tra tende da campo e cibi liofilizzati di quanto non riuscisse a fare nel civilissimo occidente, dove a causa di un atto di bullismo scolastico era persino finito in ospedale in critiche gravi. Proprio quell’episodio convince la madre, medico di una ONG, a ritirarlo da scuola e a portarlo con sé in missione nella Repubblica Democratica del Congo, dove Sacha si dedica con grande dedizione a scrivere le sue Cronache lunari di un ragazzo bizzarro (che non a caso è proprio il sottotitolo di questo libro) e progetta di comporre un racconto in cui ogni parola abbia un numero di lettere corrispondenti ai successivi decimali del Pi greco.

Delle sue Storie del Pi greco, però, Sacha non parla con nessuno: né con la madre, né con Sunder, il soldato Onu con cui stringe amicizia e cerca di imparare il nepalese, né con Sophie, che gli fa lezione ogni mattina. L’unica con cui Sacha si sente di condividere questo suo progetto segreto è Destinée, una ragazza soldato che un giorno arriva presso la missione Monusco e che senza troppi pregiudizi attiva con Sacha un dialogo interessante. In lei Sacha trova un interlocutore rispettoso e attento, che si stupisce certo per le sue numerose stramberie, ma che non per questo lo tratta in maniera superficiale o accondiscendente. Destinée ha un passato molto tormentato, fatto di atrocità compiute e subite in guerra, di cose viste impossibili da dimenticare e di un figlio frutto di uno stupro che desidera con tutte le sue forze andare a salvare. Le loro fragilità esistenziali in qualche modo si interfacciano ed è così che tra i due nasce un’amicizia solida. Addirittura, contro ogni abitudine e predisposizione, Sacha arriva a dire alcune bugie per coprire Destinée nel suo piano volto a ritrovare e recuperare il figlio Espoir: un piano in cui il ragazzo dovrebbe avere un ruolo del tutto marginale e che invece finisce per travolgerlo senza scampo.

Senza avere il tempo di rendersene conto, Sacha si ritrova a bordo di una motocicletta, fugge sgommando nella giungla, incontra soldati senza scrupoli armati di kalashnikov, assiste a un crollo in una miniera, partecipa a un assalto in piena regola, fino ad assumersi il compito e la responsabilità di portare in salvo il piccolo Espoir. La sua è un’avventura al cardiopalma, totalmente agli antipodi rispetto al suo modo di vivere e alla dimensione che lo fa sentire al sicuro. Ed eppure Sacha arriva fino in fondo, prima trascinato e poi persino un poco intraprendente, in un percorso di crescita e confronto con i propri limiti portato all’estremo e con un finale tutt’altro che zuccheroso ma davvero molto forte.

Il romanzo di Catherine Fradier punta fari piuttosto intensi su tematiche delicate e complesse, come la neurodiversità, la guerra e il reclutamento dei bambini soldato, portando il lettore a saperne qualcosa (o qualcosa in più) e a desiderare, forse, di approfondirle un poco una volta chiuso il libro. Lo fa attraverso una trama serratissima e movimentata, sempre calata nel mondo reale anche se spinta al limite dell’incredibilità: una trama in cui la disabilità del protagonista si fa motore e lente narrativa (la voce è infatti quella dello stesso Sacha), senza gravare come un fardello ma anzi arricchendo non poco una vicenda dalla forte connotazione umana ed emotiva.

Attento dunque a offrire un ritratto multisfaccettato dell’autismo, Una piccola cosa senza importanza presta attenzionale alla questione dell’inclusione e della diversità anche da un punto di vista formale: il libro è infatti stampato con caratteristiche di alta leggibilità che ne agevolano la fruizione anche in caso di dislessia.

30 giorni per capire i disturbi visivi

L’attenzione rivolta al tema della disabilità da parte dell’editoria per ragazzi è andata crescendo negli ultimi anni . Storie potenti e meravigliose hanno squarciato tabù, offerto rappresentazioni e allargato sguardi, andando di pari passo a libri di qualità decisamente più discutibile, in cui chiari intenti prescrittivi risultano camuffati da racconti deboli e posticci. Sono volumi in qualche modo sleali, questi ultimi, che pur assumendo una forma squisitamente narrativa, si prefiggono in realtà di spiegare la disabilità e di offrire, per quanto in buona fede, istruzioni e ammonimenti in merito. Ecco allora che anche e soprattutto rispetto a queste proposte, la serie 30 giorni per capire… di Uovonero porta una significativa ventata di novità. Perché qui non ci sono travestimenti o inganni, i libri intendono aiutare i ragazzi a conoscere l’autismo, i disturbi visivi o i disturbi dell’apprendimento e per farlo scelgono la forma che più è congeniale a uno scopo divulgativo: il manuale.

I libri di 30 giorni per capire… sono, infatti, tre manuali costruiti con grandissima intelligenza sulle esigenze dei ragazzi: chiarezza, ironia e praticità sono le loro parole chiave. Ogni volume sfida infatti i lettori a cimentarsi con una serie di challenge – dinamica, questa, molto presente nei contenuti video di cui i ragazzi sono avidi fruitori – con cui sperimentare alcuni aspetti peculiari del modo di stare al mondo di chi vive una certa condizione. Tutt’altro che tediose, le challenge sono molto creative e si rivelano particolarmente divertenti se condivise in un clima sereno con i pari. La serie in questione si presta, così, a dare i suoi migliori frutti se impiegata come strumento di azione e riflessione di gruppo: uno strumento decisamente accattivante e fuori dagli schemi consigliatissimo per le classi, per esempio. Target ideale: scuola media (ma i libri sono fruibili già dalla fine della scuola primaria), un ordine di scuola che tra l’altro è spesso bistrattato e all’interno del quale è talvolta difficile trovare delle proposte di attività davvero stimolanti.

Le challenge sono corredate da un breve approfondimento che collega l’esperienza fatta a una specifica caratteristica del disturbo trattato. In questo modo esse diventano un’occasione concreta per mettersi nei panni di qualcun altro e per capire il perché di alcuni comportamenti altrui che potrebbero altrimenti apparire strambi e indecifrabili. A chiudere ogni capitolo, l’invito a condividere sui social foto e video che attestino gli esiti delle singole challenge, con specifici hashtag: aspetto, questo, forse più critico, se si considera lo scarto tra l’età di riferimento dei volumi e l’età minima teoricamente richiesta per iscriversi ai social network più diffusi.

A rendere questo progetto davvero innovativo e meritevole ci sono tanti aspetti, di cui tre particolarmente significativi: la scelta di interloquire in maniera efficace con i reali destinatari dei volumi; la capacità di sposare un tono umoristico (mai forzato!) a un atteggiamento sempre rispettoso nei confronti di coloro che i diversi disturbi li vivono in prima persona; e l’attenzione a restituire la complessità di questi ultimi con una chiarezza estrema che non compromette, tuttavia, il rigore scientifico delle informazioni fornite. E qui viene davvero fuori tutta la solidità e la serietà di una realtà editoriale come quella di Uovonero, in cui competenze specifiche molto trasversali si integrano in maniera efficace e vincente.

 

30 giorni per capire i disturbi visivi, in particolare, guida il lettore tra i diversi tipi di difficoltà visive in cui è possibile incappare – dal daltonismo all’ipovisione fino ad arrivare alla cecità – mettendo in luce il fatto che le persone che ne sono colpite possono essere autonome ma che spesso debbano adattarsi, non senza fatica, a un mondo che non è progettato per agevolarle in questo percorso.

Rispetto agli altri volumi della serie, questo dedica maggiore spazio a una parte scientifica introduttiva che illustra i fenomeni ottici alla base del funzionamento della vista, prima di addentrarsi nello specifico tra le implicazioni quotidiane di una vita in cui questo senso sia più o meno compromesso. Buona parte delle prime challenge proposte sono funzionali, infatti, a capire cos’è la luce e come opera l’occhio e si basano, per esempio, sulla proiezione, sulle illusioni ottiche o sul riconoscimento di immagini. Le sfide che seguono, invece, invitano il lettore a sperimentare attività comuni – dalla preparazione di cibi all’orientamento nello spazio, dal riconoscimento dei compagni all’identificazione di fonti sonore – senza fare affidamento sul senso della vista. Fil rouge è sempre la proposta di attività che siano calate nell’universo di riferimento dei ragazzi, che sappiano spiazzarli, appassionarli, divertirli o incuriosirli: perché è proprio vero che se ascolto dimentico, se guardo capisco e se faccio imparo.

Tariq

Che brava, Alice Keller, con quella sua scrittura che ti prende allo stomaco e te lo stropiccia come fosse di tessuto. Quando accosta la penna agli adolescenti, sembra sappia captare i loro pensieri, anche quelli sommersi o che sbucano appena, e restituirli con una lingua che è loro fedelissima. Così, in una manciata di pagine, il lettore si trova catapultato in una dimensione che sembra proprio dargli del tu.

In Tariq, quella dimensione si fa largo tra i palazzoni di periferia, dove drammi e fragilità sono tanto comuni che quasi non ci si fa caso e dove la prospettiva del futuro tende a sagomarsi su necessità troppo impellenti e su orizzonti troppo chiusi. In questa cornice, quando il giovane Tariq decide di iscriversi al liceo linguistico – scelta quantomai rara tra coloro che gli vivono accanto – sono ben pochi a dargli credito. Ma come si fa a trovare la propria strada fuori dal sentiero battuto, se nessuno intorno sembra credere che quella strada esista?

E così, strattonato da una famiglia faticosa e affaticata, da un contesto che trova ordinari una pistola nello zaino, una gravidanza su un pianerottolo o uno skate park di lamiere, Tariq quella strada rischia di perderla di vista. Diventa Tariq il pazzo, quello che disturba le lezioni, che incute timore agli insegnanti, che “ne hai combinata un’altra delle tue?”. È un attimo che dalla scuola arriva una lettera di sospensione che per Tariq pesa davvero come un macigno. Di fronte allo sbriciolarsi delle sue deboli speranze, ci sono per il ragazzo lo spaesamento, la paura, la fuga. Ma poi ci sono anche sguardi e (poche ma significative) parole di cura, soprattutto da parte della sorella e della coetanea Jasmine che con lui condivide inciampi e desiderio di riscatto. Ed così che Tariq può forse pensare di riprender fiato e far ripartire quella sua vita rimasta in standby…

Coinvolgente da trattenere il fiato e travolgente da scorrer via in un lampo, Tariq è una lettura davvero interessante per ragazzi di scuola secondaria. La brevità e le caratteristiche di alta leggibilità con cui è proposto da Camelozampa lo rendono, inoltre, particolarmente intrigante anche per lettori un po’ refrattari o ostacolati dalla dislessia nell’approccio al testo.

 

L’albero, la nuvola, la bambina

Chiara Valentina Segré e Paolo Domeniconi – la cui sintonia felice avevamo già apprezzato in Lola e io – torna a toccare il lettore nel profondo con un nuovo albo che è una specie di sussurro, un invito quieto a confrontarsi con timori complessi, come quello della fine e della vita esposta al cambiamento.

Nel dialogo tra una bambina preoccupata per la sorte del fratello malato e un pruno ormai prossimo all’abbattimento, i due autori indagano il legame che ci avvicina alla natura, lo scarto tra ciò che scompare e ciò che resta con la morte, il valore della trasformazione e la varietà di forme che possono assumere la cura e il ricorso. Con uno stampo squisitamente metaforico, che vede i pensieri cupi farsi nuvola tempestosa o una prugna succosa rappresentare la memoria che dà frutto – l’albo edito da Camelozampa esplora temi tutt’altro che banali e offre al lettore una forma di poesia che prescinde da versi e rime.

L’autrice sceglie e inanella, infatti, con grande misura le parole che dicono preoccupazione e speranza mentre l’illustratore dà vita a tavole magnetiche in cui tutto – dalle inquadrature alle palette, dalle ombre ai riflessi – concorre a dare spessore e intensità al dialogo tra la bambina e l’albero.

L’albero, la nuvola e la bambina chiede silenzio e tempo per sedimentare e rimestare dentro, offrendo una lettura di una certa complessità, nonostante il numero ristretto di pagine che lo compongono. Il libro costituisce dunque un esempio perfetto di come l’albo illustrato possa prestarsi a raccontare storie tutt’altro che banali che chiamano a sé un pubblico non proprio inesperto, capace di leggere non solo le parole, ma anche le figure e l’intreccio tra i due linguaggi. Questo, unito alla scelta di caratteristiche di alta leggibilità, ne fanno un volume particolarmente appagante e fruibile anche per bambini e ragazzi con dislessia.

Il principe Budino

Cosa capita se un re e una regina, tanto desiderosi di avere un figlio, non danno alla luce un bambino ma un budino? Capita che questi dovrà mettersi sulle tracce del terribile Vincislappo, sfidare mostri stravaganti e superare indenne un incantesimo originale: unica via per ritrovare sembianze umane e poter finalmente sposare la principessa Sofficina.

Insolita fiaba dal sapore gastronomico, Il principe budino ha una trama lineare e scorrevole che predispone una lettura abbordabile e leggera. Buffe illustrazioni accompagnano un testo in rima non sempre in discesa ma perlopiù piacevole.

Nato esclusivamente come audiolibro, Il principe Budino è ora disponibile anche in formato ebook e in formato cartaceo. Proposto con accorgimenti di alta leggibilità – come il font EasyReading, la spaziatura maggiore e lo sbandieramento a destra – quest’ultimo include anche la versione audio originale, tramite QRcode scansionabile dalla quarta di copertina: un’opportunità interessante, questa, per mettere i lettori – soprattutto ma non solo con difficoltà di lettura legate alla dislessia – nella condizione di disporre a piacimento di quanti più supporti e formati possibili e affrontare, così, la lettura con maggiore agio.

Dante Pappamolla

Occhialetti da quattrocchi, nome-fardello in memoria dell’Alighieri, tendenza ad assumere il color peperone in viso, genitori fissati con l’alimentazione ultra-vega-vegetariana. A Dante Tertuliani – noto a tutti, non a caso, come Dante Pappamolla – non potevano capitare più sfortune. Tranne una, forse: la morte dell’adorata e scapestrata nonna Leopoldina, quella che sognava di comprare una moto col nipote o che lo rimpinzava di nascosto di ragù.

Alla sua scomparsa, però, Dante riceve un’eredità impareggiabile: una pietra magica che trasporta in luoghi lontani dove scoprire popoli e persone. Gli Inuit, per esempio, nel freddissimo e incontaminato Polo Nord. Qui Dante entra in contatto con una cultura, dei paesaggi, delle abitudini e soprattutto un sé del tutto nuovi. Quasi inavvertitamente si scopre eroe e capace di fare scelte coraggiose e rispettose che non tarderà a riportare anche nel suo vecchio mondo con risultati straordinari.

Malgrado gli insegnamenti risultino un po’ marcati, la sua è una storia di crescita gustosa, in cui non mancano episodi buffi e avventure impreviste e che beneficia per di più di un carattere tipografico più leggibile e meno stancante. Camelozampa propone infatti il libro di Isabella Paglia e di Adriano Gon all’interno della bella collana Peli di gatto che si avvale di caratteristiche di alta leggibilità, tra cui l’uso del font EsayReading, la sbandieratura e destra, la spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe e la stampa su carta opaca. Questi aspetti, uniti a una storia leggera, a illustrazioni frequenti e a capitoli brevi fanno di Dante Pappamolla  un libro assolutamente abbordabile e consigliabile anche in caso di difficoltà o di resistenza alla lettura.

La famiglia sgraffignoni. Il furto di compleanno

Se tuo papà si chiama Mariolo, tua mamma Fia e tua sorella Ale (diminutivo, ça va sans dire, di Criminale), è facile immaginare che la tua vita di onesto e probo figliolo possa essere un tantino in salita. Lo sa bene Fausto, che un giorno sì e l’altro pure si trova coinvolto suo malgrado in furti domestici di calzini, visite non autorizzate ai negozi di giocattoli e occultamento di piedi di porco: lui, che è buono fino al midollo e che di dire bugie proprio non è capace. Così, all’approssimarsi del suo compleanno, Fausto inizia a desiderare due cose soltanto: dei calzini tutti suoi e un lecca legga gigante regolarmente acquistato nel negozio di dolciumi. Inutile dire che la famiglia ha tutt’altri piani per procurarsi gli oggetti in questione, piani che causeranno un bel po’ di trambusto, qualche effrazione e un lieto fine rocambolesco in cui le forze dell’ordine, nella persona del vicino di casa Paul Iziotto, sono per una volta benvenute in casa Sgraffignoni!

Leggereo e spiritoso, La famiglia Sgraffignoni. Il furto di compleanno è il primo volume di una serie firmata da Anders Sparring e Per Gustavsson e portata in Italia da Sinnos. Di formato smilzo e dal ritmo svelto, il libro offre un’occasione di lettura poco gravosa e piuttosto divertente, capace di solleticare anche lettori meno spediti. Il formato maneggevole, le illustrazioni frequenti, il font leggimi e le caratteristiche di impaginazione ad alta leggibilità concorrono infatti in maniera sinergica a fare della pagina un luogo piacevole in cui sostare.

La giostra degli scontenti

Con La giostra degli scontenti, Roberto piumini dà vita a una storia in rima semplice semplice, perfetta da leggere ad alta voce. Protagonisti sono i pezzi di una giostra di paese che, ispirati dal desiderio di fuga di uno di loro, provano e riprovano finché riescono a staccarsi dalla piattaforma che li fa girare in tondo. Da lì inizia il loro viaggio in libertà e, approdati nel giardino di Mago Merlino, coronano finalmente il loro desiderio di far divertire i bambini portandoli lontano, verso orizzonti sconosciuti.

Schietto e con un tono d’altri tempi, La giostra degli scontenti presenta alcune peculiarità interessanti dal punto di vista dell’accessibilità. Non solo, infatti, il libro risulta stampato con caratteristiche di alta leggibilità, che concernono il font (EasyReading), la spaziatura e il tipo di carta e che ne agevolano la fruizione in caso di dislessia, ma presenta anche una struttura compositiva che affianca al testo in rima e in stampatello minuscolo una sintesi a grandi caratteri e in stampatello maiuscolo che consente anche a bambini piccoli o con difficoltà cognitive di godere della storia e delle immagini.

Io e Leo

Vi ricordate Max Halters? Bè, la sua carriera da stuntman è ormai al tramonto ma il personaggio creato da Boonen e Melvin ha ancora molto da fare e da dire. Così, a sorpresa, lo ritroviamo coprotagonista di Io e Leo, il nuovo racconto illustrato targato Sinnos. Il giovane Leo del titolo è un ragazzino con un grosso, grossissimo problema: da un giorno all’altro, infatti, dopo l’incidente in bicicletta che ha causato la morte del padre, si ritrova ad essere inspiegabilmente invisibile. La mamma, la maestra, i compagni e persino il cane del vicino sembrano all’improvviso non accorgersi o non ricordarsi di lui. E Leo, per questo, non si dà pace.  Per fortuna, nel suo vagare per la città, il ragazzino incontra proprio Max Halters. In veste di saggio clochard, questi lo accompagna in un viaggio sul filo della realtà, in cui incontri sorprendenti e conversazioni bizzarre lo aiuteranno a ritrovare un pochino sé stesso e farsi a sua volta ritrovare anche da chi gli sta intorno.

Intenso e forte, ma non per questo disposto a rinunciare a quel tocco di folle leggerezza che contraddistingue i lavori dei due autori, Io e Leo racconta di un’amicizia profonda, di un vuoto che pare impossibile colmare e di sentimenti forti che possono trasformarci. La storia di Leo e del lutto che deve affrontare arriva così al lettore, forte come un carrello della spesa giù per una collina ripida, coinvolgendolo in modo travolgente. Il testo non è banale ma le illustrazioni a ogni pagina e le caratteristiche tipografiche di alta leggibilità ne agevolano la lettura, consentendo anche a lettori più riluttanti di confrontarsi con un racconto corposo. Forte di illustrazioni dal sapore fumettistico e dal tratto inconfondibile, di atmosfere surreali (rese ben evidenti da diffusi toni aranciati) e di personaggi che lasciano il segno, Leo e io porta sulla pagina una piccola sfida che riserva grandi soddisfazioni e forti emozioni al lettore che deciderà di affrontarla.

Un piano quasi perfetto

I bambini non leggono più e hanno occhi solo per gli schermi? No problem, da oggi c’è una soluzione! Con una grafica originalissima che trasforma ogni doppia pagina in un computer aperto, Un piano (quasi) perfetto fa della lettura un’esperienza sorprendente e diversamente tecnologica. Coloratissimo e dal tratto divertente, il libro scritto e illustrato da Silvia Baroncelli racconta di un coniglio di nome Cosimo che, vivendo lontano dai nonni, prova spesso una grande nostalgia per loro. Abituato a vederli e sentirli tramite computer (esperienza quanto mai comune di questi tempi!), Cosimo decide che per il suo compleanno vuole ricevere da loro un abbraccio vero e così organizza in gran segreto una spedizione per raggiungerli.

Per organizzare il viaggio servono intraprendenza e abilità con il computer che, non a caso, a Cosimo non mancano! E così, pagina dopo pagina, il coniglio mette a punto il suo piano sfruttando il computer di casa per cercare treni e strade: il tutto – data la segretezza dell’operazione – destreggiandosi e cercando di non farsi distrarre dalla ricerca di ricette e video rock per i famigliari. La missione si rivela così più complessa del previsto. Per fortuna ogni compleanno che si rispetti non manca di sorprese e – computer o meno – anche questo finirà per onorare la tradizione!

Molto accattivante grazie alle figure amichevoli e vivaci, alla struttura a pc che richiede una lettura in verticale e alla rivisitazione in chiave conigliesca di alcuni aspetti e dettagli del mondo umano, Un piano (quasi) perfetto si presenta come una lettura particolarmente originale per lettori alle prime armi, forte anche di un font e di caratteristiche tipografiche ad alta leggibilità, di testi minimi in maiuscolo (dialoghi) e in minuscolo, perfettamente inglobati nelle illustrazioni e di un apparato visuale che la fa nettamente da padrone. Difficile non provare curiosità di fronte a un libro così particolare e una volta aperto… bè, lì inizia davvero il viaggio!

Le felicità

Che delizia, la parola di Piumini quando scava nelle gioie a misura di bambino! Nel bel volume pubblicato dalle Edizioni Gruppo Abele, il giovane lettore può trovare una sfilza di piccoli grandi piaceri, cantati con la raffinatezza amichevole di cui il poeta bresciano è maestro. A ogni pagina, una poesia. A ogni poesia, una felicità. Non sempre l’oggetto della contentezza è esplicitato ma anche qui sta il bello: complici le illustrazioni inconfondibili e irresistibili di Sergio Olivotti, con le quali i testi di Piumini vanno a braccetto, sta al lettore intuire di cosa si parli, come in una sorridente caccia al tesoro linguistico. Da un regalo atteso alle feste di un cane, dalle figurine alle vacanze, da una nevicata notturna al ricordo di una nonna amata, i brevi componimenti che danno vita a Le felicità sono una coccola da gustarsi con parsimonia o da scartare una via l’altra come fossero cioccolatini.

Inserita all’interno della collana I bulbi dei piccoli, di cui presenta le consueta caratteristiche di alta leggibilità, questa raccolta stuzzicante di poesie suggerisce silenziosamente che anche i giovani lettori con maggiori difficoltà di lettura abbiano diritto a fare il pieno di parole ricercate e musicali, supportati da una grafica e da una stampa il più facilitante possibile ma al contempo stimolati da contenuti inattesi e generi che sono una vera appagantissima conquista.

30 giorni per capire l’autismo

L’attenzione rivolta al tema della disabilità da parte dell’editoria per ragazzi è andata crescendo negli ultimi anni . Storie potenti e meravigliose hanno squarciato tabù, offerto rappresentazioni e allargato sguardi, andando di pari passo a libri di qualità decisamente più discutibile, in cui chiari intenti prescrittivi risultano camuffati da racconti deboli e posticci. Sono volumi in qualche modo sleali, questi ultimi, che pur assumendo una forma squisitamente narrativa, si prefiggono in realtà di spiegare la disabilità e di offrire, per quanto in buona fede, istruzioni e ammonimenti in merito. Ecco allora che anche e soprattutto rispetto a queste proposte, la serie 30 giorni per capire… di Uovonero porta una significativa ventata di novità. Perché qui non ci sono travestimenti o inganni, i libri intendono aiutare i ragazzi a conoscere l’autismo, i disturbi visivi o i disturbi dell’apprendimento e per farlo scelgono la forma che più è congeniale a uno scopo divulgativo: il manuale.

I libri di 30 giorni per capire… sono, infatti, tre manuali costruiti con grandissima intelligenza sulle esigenze dei ragazzi: chiarezza, ironia e praticità sono le loro parole chiave. Ogni volume sfida infatti i lettori a cimentarsi con una serie di challenge – dinamica, questa, molto presente nei contenuti video di cui i ragazzi sono avidi fruitori – con cui sperimentare alcuni aspetti peculiari del modo di stare al mondo di chi vive una certa condizione. Tutt’altro che tediose, le challenge sono molto creative e si rivelano particolarmente divertenti se condivise in un clima sereno con i pari. La serie in questione si presta, così, a dare i suoi migliori frutti se impiegata come strumento di azione e riflessione di gruppo: uno strumento decisamente accattivante e fuori dagli schemi consigliatissimo per le classi, per esempio. Target ideale: scuola media (ma i libri sono fruibili già dalla fine della scuola primaria), un ordine di scuola che tra l’altro è spesso bistrattato e all’interno del quale è talvolta difficile trovare delle proposte di attività davvero stimolanti.

Le challenge sono corredate da un breve approfondimento che collega l’esperienza fatta a una specifica caratteristica del disturbo trattato. In questo modo esse diventano un’occasione concreta per mettersi nei panni di qualcun altro e per capire il perché di alcuni comportamenti altrui che potrebbero altrimenti apparire strambi e indecifrabili. A chiudere ogni capitolo, l’invito a condividere sui social foto e video che attestino gli esiti delle singole challenge, con specifici hashtag: aspetto, questo, forse più critico, se si considera lo scarto tra l’età di riferimento dei volumi e l’età minima teoricamente richiesta per iscriversi ai social network più diffusi.

A rendere questo progetto davvero innovativo e meritevole ci sono tanti aspetti, di cui tre particolarmente significativi: la scelta di interloquire in maniera efficace con i reali destinatari dei volumi; la capacità di sposare un tono umoristico (mai forzato!) a un atteggiamento sempre rispettoso nei confronti di coloro che i diversi disturbi li vivono in prima persona; e l’attenzione a restituire la complessità di questi ultimi con una chiarezza estrema che non compromette, tuttavia, il rigore scientifico delle informazioni fornite. E qui viene davvero fuori tutta la solidità e la serietà di una realtà editoriale come quella di Uovonero, in cui competenze specifiche molto trasversali si integrano in maniera efficace e vincente.

 

Nel volume 30 giorni per capire l’autismo, in particolare, le challenge proposte mirano a focalizzare l’attenzione sulla peculiarità delle percezioni sensoriali, dell’uso della memoria, delle abilità motorie e sociali e del rapporto con le parole e con la comunicazione non verbale da parte delle persone autistiche. Grazie ad attività curiose ma facilmente realizzabili nella pratica, come l’adozione di una routine giornaliera casuale, il trasporto di una lattina con uno spaghetto o una caccia al tesoro misteriosa, il lettore viene messo nella condizione di capire che l’autismo comporta un diverso modo del cervello di funzionare e di conseguenza un diverso modo di stare al mondo. Mettendo inoltre in evidenza le sensazioni, in particolare di disagio, che il lettore presumibilmente sperimenta nel corso di alcune challenge, il volume ha la capacità per nulla scontata di dare un senso a taluni comportamenti tipici e spiazzanti delle persone autistiche e di sottolineare il ruolo che ciascuno di noi può giocare nella costruzione di contesti di vita più a misura di neurodivergenti. Zero moralismi e tanta pratica, insomma: chapeau!

Guarda il gatto. Tre storie su un cane

David Larochelle è un autore poliedrico e versatile: se il suo romanzo young adult Io no… o forse sì colpiva per il vivo e autentico approccio a temi spinosi, Guarda il gatto sa conquistare bambini di età prescolare con tre storie brevi e spassosissime. Target e tipo di racconto sono dunque totalmente diversi, ma identica è la capacità di fare centro!

Protagonista in Guarda il gatto, è un buffo cane di nome Max che interagisce in maniera piuttosto accesa con l’autore del libro, fino a costringerlo a modificarne il contenuto. Inscritto all’interno di un gioco metanarrativo efficacissimo, il loro è un botta e risposta incalzante e divertente che si presta alla perfezione a una lettura ad alta voce e che non lesina su colpi di scena, sorprese e trovate spiazzanti.

In ogni doppia pagina, la parte a sinistra contiene una breve e incisiva frase che fa avanzare il racconto, mentre la parte a destra vede la reazione di Max a quanto appena scritto, in un dialogo che ogni volta fa prendere alla storia una piega inaspettata. Tra gatti, unicorni, serpenti e ippopotami la vita narrativa di Max non può certo dirsi tranquilla e, parimenti, il lettore non ha modo di annoiarsi.

Storie minime, testo essenziale, (meta)narrazione sorprendente (e, grazie a Biancoenero, anche font ad alta leggibilità): non è difficile capire come mai Guarda il gatto. Tre storie su un cane abbia vinto uno sfilza di premi e immaginare come possa dare vita a letture, condivise o autonome, di grande appagamento.

B.B. il clownboy

Pistole cariche, cavalli al galoppo, fratelli banditi e atmosfere polverose: gli ingredienti per un western coi fiocchi ci sono tutti. Ma poi arriva lui – B.B – e ogni previsione viene salta diritta all’aria. Armato di naso rosso, pistole ad acqua e polvere ridarella, B.B. non si accontenta, infatti, di essere un cowboy: B.B. è piuttosto un clown-boy!

Sotto il sole del west, il personaggio creato da Stefania Luisi e illustrato da Umberto Mischi si muove in sella al suo cavallo a dondolo e in compagnia del suo fido cane Banana. Quando si ferma in un villaggio, il suo spettacolo è sempre un successo, con grande soddisfazione di tutti gli spettatori. Tutti tranne tre, a dire il vero. I terribili fratelli G. – Gionni il furbo, Gimmi lo svelto e Gessi il grosso – detestano l’ottimismo gioioso con cui B.B. affronta ala vita e non perdono occasione per opporgli tutta la loro prepotente arroganza. E così, quando B.B. non si presenta per l’atteso spettacolo, i bambini del villaggio sospettano subito che possa essere stato rapito e che i colpevoli possano essere proprio i tre gradassi. Liberare il clown-boy non sarà facile, ma grazie al suo esempio sulla contagiosità del sorriso, nasi rossi e fuochi d’artificio possono tornare a illuminare le calde serate del west.

B.B. il clownboy propone una storia sorridente e semplice: qualità, queste, che ben si attagliano anche al testo e alla stampa. Il racconto procede infatti in maniera piana e lineare, sfruttando frasi perlopiù brevi o paratattiche e un lessico di facile accesso. Pubblicato ad alta leggibilità, come tutti i titoli della collana Minizoom di cui fa parte, il libro vanta una veste amichevole, grazie alle illustrazioni a ogni pagina, al font biancoenero, alla spaziatura maggiore, alla sbandieratura a destra e alla distinzione netta tra paragrafi.  Il volume si presta in questo modo a supportare e invogliare i giovanissimi lettori alle prese con le prime letture autonome, anche laddove siano presenti difficoltà legate alla dislessia.

Il nostro cane Max

Gli animali domestici sono, per tanti padroni e padroncini, autentici membri della famiglia. Con loro si condividono rituali, viaggi, esperienze, emozioni e così, quando muoiono, lasciano un vuoto grande e un segno indelebile. Proprio questa parabola esistenziale, tanto familiare a chiunque abbia posseduto e amato un cane o un gatto, trova posto tra le pagine de Il nostro cane Max.

Il libro scritto da Alessandra Bocchetti omaggia e ripercorre la vita del cane Max all’interno della famiglia che lo ha accolto quando era ancora piccolissimo e brutto. L’autrice racconta in particolar modo il rapporto speciale e unico che il cane instaura con i diversi membri della famiglia, dando un assaggio delle piccole gioie che, dal primo all’ultimo giorno, la sua presenza ha regalato. Fino a che la vecchiaia lo porta via, senza che tuttavia il suo ricordo svanisca. Tutt’altro: nel cielo, nelle rocce e persino nella forma di un’isola Max torna a far visita ai suoi padroncini, nel nome di un legame intenso e sempre vivo.

Lineare e senza particolari capriole narrative, Il nostro cane Max si presenta come un omaggio personalissimo a un cagnolino realmente esistito che suscita simpatia e affetto. Piacevole da leggere e commuovente nel finale, il libro fa parte della collana Minizoom di cui condivide tutte le apprezzabili caratteristiche di alta leggibilità.

Olle

Olle non è un cane come tutti gli altri: non solo perché agli occhi del suo padrone ha un nonsoché di speciale (cosa, in effetti, piuttosto frequente), ma anche e soprattutto perché pensa e parla proprio come un umano. Le sue riflessioni sono spiazzanti e ironiche. Il suo è un modo di guardare al mondo che invita ad assumere prospettive nuove, mettendo in conto per esempio che le paperelle di gomma possano avere sentimenti, che il vento si possa leggere al pari di un libro stampato e che per farsi obbedire sia meglio spiegare le richieste più che dare ordini. Ecco allora che ogni giorno accanto a Olle diventa un’occasione per lasciarsi stupire e interrogare, godendo di una quotidianità condivisa da assaporare in leggerezza.

Breve ma appassionante, Olle si compone di aneddoti gustosi e mai debordanti, nei quali la penna leggera e pensosa di Guus Juijer trova uno spazio ideale. Con gli occhi ora di Olle, ora del suo padrone, il libro racconta di un’amicizia che dura una vita intera e in cui il punto di vista a quattro zampe offre uno sguardo insolito sui piaceri e sui dolori della vita, umana o canina che sia. Lo fa con una prosa asciutta e scorrevole, in cui si mescolano riflessioni e minuscole avventure quotidiane: dall’assalto cortese al panettiere al tentativo di accoppiarsi con l’amata Dien, dalle giornate pigre in giardino al rifiuto di occuparsi di cose ridicole come il riporto di una ciabatta.

Misurato e piacevole da seguire, il racconto è inoltre reso particolarmente amichevole nell’aspetto tipografico, grazie ad alcuni accorgimenti ispirati all’alta leggibilità adottati da Camelozampa. Il libro non solo si compone infatti di capitoli brevi e abbordabili che non scoraggiano il lettore, ma non giustifica il testo e fa uso del font EasyReading.

Tra le sorprese che ci riserva infine Olle c’è anche l’incontro con un Thé Tjong-Khing decisamente insolito e piuttosto distante, nel tratto e nella composizione, dall’illustratore che abbiamo conosciuto per esempio negli albi brulicanti editi da Beisler come Tortintavola, Tortinfuga o Tortarté. Qui, in pieno accordo con lo stile di Guus Kuijer, il suo segno è più placido, quasi schizzato: un segno sorridente e un po’ malinconico che omaggia con garbo il legame intensissimo che può legare un umano e il suo animale domestico.

Barban, fate, tritoni e altri esseri fantastici della Liguria

Dell’editore Telos abbiamo già avuto modo di apprezzare la scelta di proporre al lettore testi ricercati ma di grande accessibilità e strumenti di lettura estremamente ben studiati, come nel caso dei libri cartacei e digitali Il mago Tre-Pi e L’archeologo delle parole. Con la nuova collana 147 Mostro che parla!, curata da Teresa Porcella e affidata nei testi e nelle illustrazioni ad autori sempre diversi, l’editore molisano conferma questa sua predisposizione alla cura per la qualità e la fruibilità dei suoi volumi.

I libri che compongono la collana si caratterizzano per una grafica accattivante, per l’unione di componenti narrative e divulgative, per la combinazione di testo cartaceo e audiolibro e per scelte tipografiche ad alta leggibilità concernenti non solo il font (EasyReading) e l’impaginazione ma anche l’adozione di colori diversi per identificare ed evidenziare i diversi tipi di parole chiave (nomi, verbi, aggettivi).

Dedicato ad una diversa regione, ogni volume rimpasta materiale folkloristico legato alla presenza di creature fantastiche come mostri, folletti e fate, inserendolo all’interno di cornici narrative moderne e attuali. Nascono così racconti brevi e godibili con personaggi e ambientazioni ben calati nel presente che interagiscono con creature e racconti senza tempo.

Così accade, per esempio, che due bambine perdano il sentiero proprio a causa del folletto Sciverto, che Mirta dissemini gusci di noce qua e là nella speranza che una fata ne scelga uno per dondolarsi in aria o che un Barban si decida a scrivere una lettera ai bambini che lo temono per metterli a parte delle vere e false voci che circolano sul suo conto. Protagoniste del volume dedicato alla Liguria, scritto da Anselmo Roveda e illustrato da Giulia Pastorino, queste creature ritrovano così nuova vitalità e invitano il lettore a riscoprire tradizioni e radici.

Una bottiglia nell’oceano

Sulle montagne venete di inizio ‘900 la vita dell’undicenne Emilio è dura, a tratti durissima. Nelle sue giornate, che pur non mancano di svaghi tra coetanei e giochi da scavezzacollo tra boschi e contrade, si avverte forte il peso della miseria, di un padre partito per l’America in cerca di fortuna, di un inverno che sembra non finire mai e di una scuola che riserva trattamenti diversi in base alla classe sociale di appartenenza. Emilio è un tipo tosto, però. Presi molto seriamente gli insegnamenti del padre e il ruolo di “uomo di casa” che questi gli affida alla partenza, l’undicenne non china il capo di fronte alle ingiustizie e si danna per trovare un modo di aiutare sua mamma e i suoi tre fratelli a sopravvivere. La sua è una ricerca costante di equilibrio tra lo spirito indomito del ragazzo e la responsabilità dell’uomo in formazione: una ricerca che lo porta a farsi molte domande, a cercare scampoli di speranza nelle sparute lettere che arrivano dal padre e a battersi senza risparmiarsi per un sacco di patate o un po’ di dignità. Fino a che dall’America arriva una lettera che preannuncia per lui e per il resto della famiglia la possibilità di raggiungere il padre. Il tempo dei saluti agli amici di sempre e a chi oltre alle montagne non vedrà probabilmente mai nulla, ed Emilio si imbarca su piroscafo diretto a New York: una nuova tappa, anch’essa non priva di incontri e imprevisti emozionanti, nel suo cammino per costruirsi un futuro senza subirlo soltanto.

Fresco vincitore del Premio Bancarellino, il libro di Cinzia Capitanio ha tutto ciò che serve per catturare il lettore: personaggi ben marcati, emozioni in cui specchiarsi, una storia di formazione incisiva. A tutto questo si aggiunge il merito di raccontare in maniera molto scorrevole e accattivante una parte di storia del nostro paese, cruciale ed eppure spesso trascurata a scuola, come quella dell’emigrazione di inizio secolo. Ultimo, ma non per importanza: Una bottiglia nell’oceano, così come tutti i titoli della bella collana Il parco delle storie, vanta caratteristiche tipografiche di alta leggibilità – dall’uso del font EasyReading su carta color crema alla spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe, dalla sbandieratura a destra all’assenza di sillabazione – che ne favoriscono l’accesso anche a ragazzi con difficoltà di lettura legate alla dislessia.

Persi di vista

Se da adolescente ti aspetta una desolante estate in città, senza alcuna possibilità di svago e per di più con la fidanzata lontano, ecco che la prospettiva di tre pomeriggi a settimana, oltretutto pagati, a fare compagnia a una vecchia signora possono diventare allettanti. Cos’ha in fondo da perdere il giovane Sofiane, che si ritroverebbe altrimenti a ciondolare sotto casa, in attesa di veder tornare stanca e triste sua madre o, peggio, di prendersele da suo fratello? E così il giovane, che si presenta a casa dell’anziana Régine giusto per sostituire la sua fidanzata volata in Spagna, finisce per restarci più a lungo del previsto, trovando in quell’anziana sconosciuta un’amica inaspettata e un’occasione per dare una piega nuova alla sua vita. Da che doveva limitarsi a leggere ad alta voce per lei, resa ipovedente da un grosso trauma del passato, Sofiane si ritrova a condividere con lei esperienze nuove e a metterla a parte di racconti molto confidenziali. Dalla contaminazione tra i loro due mondi, fatti di rap e di arte, di lettura e di internet, di conversazioni erudite e linguaggio da strada, nasce un cocktail sorprendente che dona a entrambi una serenità perduta da tempo.

Anziana, ricca e colta lei, tutto il contrario lui, Régine e Sofiane si scoprono più simili di quel che si aspettano. A unirli, in una vicenda che ricorda la bella storia di Philippe e Driss del film francese Quasi amici, c’è soprattutto una comunione di sentimenti legati ai rapporti con le rispettive famiglie. Se Régine, nel tentativo di conquistare l’affetto del padre, ha perso da anni i contatti con i figli, Sofiane ha sempre erroneamente pensato di essere stato abbandonato dal padre. In un intreccio di relazioni familiari complicate e ambivalenti, i due protagonisti si sostengono a vicenda nel tentativo di ristabilire un minimo di ordine nei propri sentimenti. Rispecchiando l’una nell’altro il proprio rapporto tormentato con il passato, Régine e Sofiane imparano a guardarsi con occhi nuovi. Come il titolo anticipa bene, con il suo calzante gioco di parole, la loro è una storia che mostra bene come la capacità di vedere, fisicamente e metaforicamente, sia qualcosa che si può perdere, allenare e finalmente riconquistare.

Scritto in maniera molto scorrevole, forte di un gustoso contrasto tra il modo di parlare di Sofiane e quello di Régine, il romanzo di Yael Hassan offre una lettura sorridente e abbordabile anche da parte di giovani lettori con Disturbi Specifici dell’Apprendimento. La storia curiosa e i frequenti dialoghi si sposano felicemente, infatti, con le caratteristiche di alta leggibilità – dal font leggimi alla spaziatura maggiore, dall’impaginazione ariosa alla sbandieratura a destra – che rendono la pagina visivamente meno ostica.

Un giorno perfetto

Ci sono tanti modi per vivere e nutrire l’amicizia. Condividere, per esempio, il gioco, gli scherzi, la buona cucina o le letture. Ma a volte nessuna di queste cose sembra cascare a fagiolo e far sì che la scintilla dell’amicizia possa davvero scoccare. È quello che succede al volpacchiotto protagonista dell’albo Un giorno perfetto: nonostante la placida atmosfera autunnale sembri propizia a trovare un amico, tutti i suoi sforzi per conquistare l’attenzione e il favore di un giovane coniglio sembrano vani. Saranno infine la sua tenacia e la sua capacità di stare semplicemente accanto all’altro, rispettandone nel profondo i bisogni, a permettergli di cogliere la differenza tra trovare un amico ed esserlo. Perché l’amicizia, in fondo, non è condividere solo cose ed esperienze ma anche e soprattutto emozioni.

Tenero e profondo, l’albo scritto e illustrato da Maria Gianola racconta una cosa semplice semplice ma spesso trascurata come l’importanza di riconoscere e accogliere i sentimenti di chi ci sta accanto per coltivare delle relazioni autentiche. Lo fa con uno stile tenue che delinea personaggi che ispirano immediata simpatia. Nella vitalissima volpe e nel coniglio corrucciato, ogni lettore può facilmente riconoscere sé stesso in momenti diversi della sua vita o più semplicemente della sua giornata, ritrovando nei due animali protagonisti stati d’animo e atteggiamenti umanissimi. Un giorno perfetto si contraddistingue poi per un testo diretto ed essenziale che si presta bene a sostenere anche primi tentativi di lettura autonoma grazie alle poche parole scelte per ogni pagina, alla puntuale corrispondenza tra figure e testo quasi in forma di didascalia, e all’impiego dello stampatello maiuscolo, peraltro proposto in font ad alta leggibilità EasyReading.

Dulcinea nel bosco stregato

C’è un pizzico di magia nell’ultimo libro di Ole Könnecke. C’è non solo perché una strega e i suoi incantesimi si trovano al centro della storia, ma anche perché nel volume si mescolano diversi aspetti che lo rendono estremamente appetibile anche per chi di lettura non vuol proprio sentir parlare. Di più agevole fruizione anche in caso di dislessia, grazie all’impiego del font testme, e in caso di prime letture, grazie alla scelta dello stampatello maiuscolo, Dulcinea nel bosco stregato ha l’aspetto di un volume corposo, proprio come un racconto da grandi, ma allo stesso tempo amichevole, con illustrazioni ampie e frequenti che ricordano l’albo illustrato e con testi immediati e lineari che non mettono in difficoltà. E se la forma del libro riesce bene nel compito di solleticare il lettore, più o meno riluttante che sia, il suo contenuto completa per bene l’opera. Ole Könnecke confeziona, infatti, una fiaba in cui tradizione e modernità si mescolano a puntino e in cui non mancano pericoli, astuzie e finali lieti.

Protagonista è la piccola Dulcinea che abita con il papà fattore in prossimità del bosco e che proprio all’inizio della storia festeggia il suo compleanno. Per l’occasione, come da tradizione famigliare, il papà si appresta a preparale una montagna di frittelle ai mirtilli con panna. Peccato che si sia scordato dei mirtilli! Rinunciare alle frittelle è fuori discussione e così l’uomo si decide ad andare a raccogliere i frutti nel bosco: proprio quel bosco da cui per anni ha messo in guardia la figlia, per via del pericolo di incontrare la strega che vi abita. Detto, fatto: pochi passi nella selva e il papà incontra la megera, ritrovandosi presto trasformato in un albero. Per fortuna Dulcinea è coraggiosa e furba e, messasi sulle tracce del padre, scova finalmente il castello della strega. Il pericolo di trovarsi a sua volta trasformata in un flauto è molto alto ma la bambina escogita un ingegnoso modo per salvare la pelle – sua e del papà – ma anche le frittelle!

Con il suo racconto limpido e diretto e le sue illustrazioni pulite e sorridenti, Dulcinea nel bosco stregato può vantare quella semplicità deliziosa che incanta il lettore. Misteriosa quanto basta per un poco di pelle d’oca, la storia di Ole Könnecke bilancia il brivido tipicamente fiabesco con figure dotate di spiccata e sottilissima ironia, ben rintracciabile, per esempio, negli strambi animali che popolano il bosco o nel fatto che con l’avanzare tra i rovi, i palloncini di compleanno di Dulcinea pian piano scompaiono.

Perfetto da condividere ad alta voce già in età prescolare, il libro offre una lettura gustosa e appagante anche per prime letture autonome: proprio quelle che lasciano un buon sapore e il desiderio di assaggiarne ancora!

Emme come. Il meraviglioso mondo di MAssimo

È dura esser bambini, quando gli adulti non sembrano voler fare la loro parte! Almeno, questa è l’esperienza dell’undicenne Massimo, le cui giornate sono un continuo confrontarsi con due genitori che litigano e lo mettono in mezzo senza troppe remore, con una scuola che non sempre valorizza i talenti degli alunni e con un carattere che non facilita la nascita di nuove amicizie. Timido, sensibile e curioso, Massimo cresce nel pieno degli anni ’80, chiedendosi senza posa come fare a essere felice. Presto fatto: non trovando supporto nei grandi, Massimo elabora una sua personalissima strategia di sopravvivenza e riscatto. Autoproclamandosi Illustre Imperatore dell’Universo, una carica che gli consente di scrivere una costituzione tutta sua, Massimo può infatti costruirsi una realtà in cui i desideri si avverano per decreto, le nonne non scordano di preparare torte, le emozioni possono manifestarsi senza timore e la fantasia è riconosciuta come valore. In questo modo, le relazioni che Massimo coltiva – con i familiari, con gli amici vecchi e nuovi, con i professori o con gli adulti del catechismo – prendono pian piano una piega nuova, più autentica e vitale.

Emme come. Il meraviglioso mondo di Massimo è uno dei primi titoli proposti a catalogo da Read Red Road, libreria romana che dal 2018 è diventata anche casa editrice. In virtù di una particolare attenzione alla questione dell’accessibilità, il volume è pubblicato con alcune caratteristiche di alta leggibilità, come il font EasyReading e una spaziatura maggiore tra lettere, parole e righe. Ulteriori vantaggi in termini di agio nella lettura potrebbero venire, sempre a livello tipografico, dal ricorso a un testo non giustificato e da una più marcata separazione tra paragrafi. D’altra parte, da un punto di vista sintattico, il testo si compone di frasi perlopiù brevi, paratattiche o con una sola subordinata, risultando così di più semplice lettura anche da parte di bambini con dislessia.

Ho catturato uno gnomo

Mai fidarsi di uno gnomo! Furbo e dispettoso, questo è capace di tendervi tranelli e farvi dispetti a raffica senza quasi farsi notare. E questo è proprio quel che accade al narratore di Ho catturato uno gnomo che, dopo aver trovato vasi rotti, palloni bucati e bucce di banana sotto i piedi, è praticamente certo che il responsabile sia Anselmo, il malvagio gatto dei vicini. Quasi per caso, però, lo gnomo viene colto sul fatto – chiodi e martelletto in mano in cima al copertone della bicicletta – e finalmente intrappolato. Da lì in avanti i tentativi di approccio e contrattazione si rivelano tanto ardui quanto spassosi, fino a un ultimo tiro mancino che lascia inaspettatamente spazio a una dolce possibilità di tregua…

Molto divertente, per come è costruito e per come ribalta il comune immaginario che vuole gli gnomi creature di straordinaria gentilezza, Ho catturato uno gnomo è un libro dalle figure buffe e dai testi incisivi. Brevi, in stampatello maiuscolo e in numero limitatissimo per pagina, questi accompagnano con ironia le illustrazioni a mezza o a tutta pagine, cui è affidato il ruolo trainante nella narrazione. Anche per questo aspetto, oltre che per le caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono il volume, il libro di Alberto Lot si candida a offrire una lettura accessibilissima e accattivante a lettori alle prime armi, anche poco propensi a tuffarsi tra le pagine.

Il bambino che faceva le fusa

Gatta curiosa e intraprendente, Pepe vive in una palazzina di città con i suoi due padroni (Mamma e Papi) e il loro bambino (Tato). Sui tetti, in cortile e dalla sua finestra al secondo piano, interagisce con diversi vicini a due e quattro zampe – l’odioso cane Crostino e il furbo piccione Nerone,  per esempio – e osserva molte cose con occhio attento. È lei, non a caso, la prima ad accorgersi che da pochi mesi al quarto piano abitano una donna e un bambino. Nessuno a parte lei, sembra averlo notato: la donna si vede poco e il bambino è sempre chiuso in casa. La faccenda ha un che di misterioso e il bambino un che di affascinante, così Pepe si convince ad andare in esplorazione per saperne di più. Le sue spedizioni al quarto piano gli rendono chiaro che il bambino ha un modo tutto suo di comunicare: un modo che gli altri umani spesso travisano o non colgono per nulla, costringendolo di fatto a una vita solitaria e reclusa. Pepe, che invece sembra riconoscerne facilmente intenzioni e sentimenti, mette  in atto un ingegnoso piano per consentire al bambino, da lei soprannominato No, a uscire e socializzare. Saranno necessari molti alleati, molta pazienza e molta inventiva ma alla fine il piano di Pepe si rivela efficace e l’intero condominio si ritrova coinvolto in una missione ad alto contenuto di fusa!

Gabriele Clima, che già con Roby che sa volare e con Il sole fra le dita  aveva felicemente e coraggiosamente portato la disabilità tra le pagine destinate ai bambini e ai ragazzi, trova anche qui un espediente interessante per raccontare l’autismo ai più piccoli senza trasformare la storia in un piccolo trattato didascalico. Facendo leva sull’idea che trovare la giusta chiave di comunicazione possa fare la differenza nel costruire relazioni autentiche e possibilità di incontro tra persone neurotipiche e persone neurodivergenti, l’autore racconta una storia ispirate a persone realissime (la sua famiglia e i suoi vicini di casa!) a cui il gatto Pepe aggiunge un tocco fantastico e un punto di vista originale.

Il bambino che faceva le fusa si distingue per un’attenzione particolare all’inclusione non solo da punto di vista contenutistico ma anche da quello formale: il libro è infatti stampato con caratteristiche di alta leggibilità quali il font leggimi, la spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi,  la sbandieratura a destra e l’assenza di sillabazioni, ed è fruibile con le medesime caratteristiche anche in formato ebook (costo: 2,99 euro). Come il libro in questione, diversi altri titoli della collana Il battello a vapore di Piemme, in tutte le sue serie – bianco, azzurro, arancio e rosso – presentano gli stessi accorgimenti tipografici, resi riconoscibili fin dalla copertina grazie al bollino “alta leggibilità”.

Il sapore dei desideri. Betsy, Mr. Tigre e le bacche della felicità

Fate i bagagli, si parte per un luogo straordinario: “un’isola dimentica dalle mappe del mondo”. Poche parole e già si sente un profumo squisitamente fiabesco. È la bravissima Sally Gardner a confezionare per noi una storia magica, dando vita a un luogo sorprendente in cui incontrare creature minuscole e giganti timidi, principesse invidiose e sorelle rospe, sirene affabili e tigri eleganti. Ma andiamo con ordine.

Protagonista del racconto dell’autrice inglese è la piccola Betsy, figlia di un gelataio dalla sorprendente inventiva e di una sirena che conosce storie senza tempo. Betsy desidera sopra ogni cosa poter incontrare il famoso Mr. Tigre, felino dalla mise raffinata, con tanto di cappello a cilindro, che si dice viaggi per mare e diriga un circo delle meraviglie. Ogni giorno Betsy scruta l’orizzonte, speranzosa di avvistare tra le acque la cima del suo tendone da circo. Una mattina il tendone compare per davvero e lo fa, in effetti, proprio al momento giusto. Betsy e il suo papà, che di Mr. Tigre è amico di lunga data, hanno appena conosciuto la storia di una rospa che prima rospa non era e vorrebbero aiutarla a ritrovare le sue sembianze originali.  Per farlo, però, serve una vera e propria magia che si realizza solo quando la luna è blu, ossia una volta ogni mille mai. Ecco perché l’aiuto di Mr Tigre, che di autentici prodigi è capace, arriva provvidenziale. Insieme a lui, Betsy e i suoi genitori mettono in atto un delicatissimo piano che coinvolge i piccoli Gongalunghi, costretti alla macchia dalla perfida principessa Olaf, e il gigante Ivan, che da timido si trasforma in temerario. Grazie a loro e a un ingegnoso stratagemma, la luna si tinge per una notte di blu, consentendo al papà di Betsy di realizzare il prodigioso gelato alle bacche Gongalunghe e di regalare a molte creature dell’isola un prezioso desiderio ciascuna.

Primo episodio di una fortunata serie britannica che vede protagonisti Betsy e Mr. Tigre, Il sapore dei desideri scorre liscio liscio accarezzando l’immaginazione del lettore. Complici impagabili della penna di Sally Gardner, sono le fini illustrazioni di Nick Maland che, talvolta ampie, talvolta piccine, accompagnano, arricchiscono e dinamizzano ogni pagina. Anche grazie a loro il libro appare ricco di fascino e piacevolmente abbordabile, nonostante le 180 pagine abbondanti. L’impegno a far sì che la lettura assuma esattamente queste sfumature anche agli occhi di chi vede le parole scritte perlopiù come un nemico (impegno da sempre assunto anche dalla stessa Sally Gardner, che della dislessia parla e scrive spesso) si completa grazie alla scelta di Terre di Mezzo di ricorrere al font ad alta leggibilità Dyslexia, ad una spaziatura maggiore e a un inchiostro blu meno affaticante.  Il risultato di questa cura narrativa, grafica e iconografica è una lettura deliziosa che finisce più in fretta di quel che si vorrebbe, proprio come una pallina di gelato di bacche Gongalunghe

Leggere o non leggere

Di libri e lettura (così come della loro crisi) si scrive tanto, forse troppo. Nessuno dei numerosi volumi che affrontano l’argomento però può vantare un taglio originale e una struttura metariflessiva come Leggere o non leggere questo è il problema che, non a caso, porta la firma di quel genio di Jimmy Liao.

Il libro mescola infatti la forma del saggio, della raccolta di riflessioni e dell’albo per dare spazio a una sorta di dibattito illustrato che solletica il lettore (o il non lettore), invitandolo a porsi e a condividere una serie di domande cruciali. Come nascono i libri? Come mai se ne acquistano e leggono sempre meno? A cosa serve comprare libri se poi abbiamo sempre meno tempo per leggerli? Leggere fa diventare persone migliori? Di fatto l’autore mette sul tavolo questi e molti altri interrogativi, senza limitarsi, però, ad esporli sulla pagina. Quel che si inventa è infatti molto più sottile e articolato, comme d’habitude! Il libro è costruito come una sorta di matrioska: la cornice più esterna vede il figlio di un libraio, prossimo a chiudere la sua libreria, chiamare a raccolta i suoi amici per indire un dibattito sul libro e sul suo stato di salute.  Riuniti intorno a un tavolo, accomodati su sedie a forma di volumi, i bambini si scambiano opinioni, dando voce a posizioni anche molto diverse tra di loro. C’è chi legge, chi vorrebbe farlo ma non ha tempo, chi preferisce di gran lunga i video di Youtube e via dicendo… tra un argomento di discussione e il seguente, i bambini assistono alla proiezione di una serie di slide, e qui la matrioska si fa più piccina. Ogni slide contiene una citazione sul tema (con tanto di mini-biografia di chi l’ha partorita, da Bertrand Russel a Stephen King, da Bill Gates a Marylin Monroe ), di fronte alla quale i bambini si scambiano commenti e considerazioni lapidari in forma di fumetto, che racchiudono una grande ironia, molti riferimenti letterari e un certo cinismo nei confronti degli adulti. Da ultimo, e qui la matrioska si fa davvero piccina picciò, nella pagina a fianco ad ogni citazione, Jimmy Liao colloca un’illustrazione realizzata ad hoc – talvolta muta, talvolta accompagnata da un breve testo – che ne rielabora e rilancia l’argomento. Poetiche e ricchissime di rimandi, queste condensano uno sguardo nuovo sul libro e sulla lettura, contribuendo ad aprire domande piuttosto che a confezionare risposte.

Il risultato è un libro multiforme, impossibile da incasellare, che getta semi di riflessione e li innaffia di spunti interessanti. Imperdibile per chi di lettura si occupa o è appassionato, Leggere o non leggere si presta anche perfettamente a stimolare un dibattito e un lavoro insolito di condivisione tra ragazzi dalle medie in su. Molto apprezzabile, in questo senso, la scelta dell’editore Gruppo Abele di stampare il testo con caratteristiche di alta leggibilità come il font EasyReading, la spaziatura maggiore e la sbandieratura a destra, che ne spalancano la fruizione anche a chi sperimenta maggiori di decodifica legate alla dislessia.

Max Halters

Un tipo come Max Halters, scommettiamo, non l’avete mai incontrato! Audace, spericolato e ingegnoso, Max Halters è il re degli stuntman e sa tirarsi fuori dai guai con piani a dir poco sorprendenti. Come quella volta in cui doveva andare il bagno ma questo era pieno zeppo di ragni o quella volta in cui la sua dottoressa ha rivelato le sue doti da lanciatrice di coltelli.  Ogni capitolo presenta un’improbabile quanto spassosa circostanza di pericolo in cui il lettore potrebbe trovarsi e, al motto di “Fai come Max Halters”, la più strampalata ed efficace delle soluzioni.

Max Halters è, insomma, un piccolo manuale di temeraria genialità, un concentrato di surreali situazioni che cattura il lettore con l’esca più succulenta: il divertimento. A completare l’opera intervengono le illustrazioni spassose di Melvin, il cui sodalizio con Stefan Boonen è sempre frizzante, e una struttura compositiva dinamica che difficilmente viene a noia. A brevi paragrafi di testo ad alta leggibilità si alternano infatti figure di varia dimensione, fumetti, infografiche e istruzioni per compiere specifiche imprese: il tutto mantenendo una pulizia grafica apprezzabile, senza che i diversi elementi si sovrappongano, mescolino o intralcino a vicenda. In questo Sinnos si dimostra sempre attentissima a rispettare le esigenze dei giovani lettori, soprattutto con difficoltà legate alla dislessia, per i quali possono fare la differenza non solo le caratteristiche tipografiche come il tipo di font e la spaziatura ma anche il tipo di contenuto e la forma con cui questo viene presentato sulla pagina.

Il grande caos dei telefonini

Cosa succede se un guasto alla rete viene riparato malamente e tutte le linee telefoniche di un villaggio finiscono per mescolarsi? Un grande caos – questo è certo – ma forse anche una grande opportunità! Se ne rendono presto conto Margareth, Will e tutti i loro concittadini, quando i rispettivi telefoni iniziano a squillare molto più o molto meno del solito, portando alla cornetta voci e richieste del tutto inattese. E se in principio sono lo sconcerto e il fastidio ad avere la meglio di fronte a situazioni surreali che scatenano il divertimento del lettore, pian pianino l’intraprendenza e l’ottimismo prendono il sopravvento. Accade infatti che, iniziando a recapitare i messaggi ricevuti per errore ai reali destinatari, chi è appena arrivato in città trovi nuovi amici e nuove occupazioni, chi è era sopraffatto dalle cose da fare possa contare su validi aiuti, chi cercava le parole per dichiarare il proprio amore incappi in un modo insospettabile per farlo e chi vive in solitudine incontri una sorta di famiglia adottiva per sé e per il proprio gatto. Possibilità di incontro e conoscenza nuove cominciano così a correre sui fili del telefono e il tasso di felicità del villaggio squilla più forte di quanto non abbia mai fatto prima.

Con uno stile fresco e una trama essenziale e ben costruita, Sally Nicholls confeziona un racconto davvero brillante che si legge in un soffio e fa sorridere il lettore. I personaggi de Il grande caos dei telefonini (peraltro accuratamente descritti in apertura, a tutto vantaggio anche di chi necessita di punti fermi per inoltrarsi nella narrazione) sono assortiti e accattivanti. Al loro fianco si seguono con piacere i molti equivoci che si vengono a creare e gli intrecci che da questi ultimi prendono forma.

Attento a valorizzare l’unicità dei diversi protagonisti, tra cui anche la giovane Aditi che nonostante un incidente alle gambe continua a praticare l’arrampicata, il libro si mostra inclusivo anche dal punto di vista formale. Contraddistinto da un testo scorrevole e dalla struttura sintattica perlopiù semplice e lineare, Il grande caos dei telefonini rientra infatti nella bella collana Zoom di Bianconero di cui presenta tutte le caratteristiche tipografiche di alta leggibilità che vanno dal font più leggibile alla spaziatura maggiore, dallo sbandieramento a destra alla carta color crema. A rendere infine particolarmente godibile e fruibile la lettura, concorrono le illustrazioni di Naida Mazzenga. Tutte giocate sul rosso, sul blu e sul bianco, queste sono infatti molto frequenti e restituiscono con tratto ironico tutta la simpatia dei personaggi di Sally Nicholls.

Achille cane quadrato

Giulio Fabroni e Gloria Francella sono due autori che frequentano casa Sinnos da qualche tempo e che hanno un’interessante capacità di dialogare con i piccolissimi. I loro cofanetti dedicati al personaggio di Merlo – Merlo e la merenda, Merlo e i colori, Merlo e le emozioni, Merlo e gli opposti – sono per esempio prodotti semplici ma curati in cui gioco e lettura si contaminano felicemente. La stessa vincente abilità di parlare in piccolo e di costruire belle storie a partire da concetti maneggiabili da lettori molto in erba, la si ritrova anche in un titolo più recente – Achille cane quadrato – anch’esso pensato per soddisfare bambini taglia XXS.

Protagonista, qui, è un cagnolino a macchie bianche e nere e dal contorno vagamente tondeggiante. Decisamente più definito nella forma è suo zio Achille che, interrogato su come abbia fatto a diventare perfettamente quadrato, condivide con il nipote la sua storia: una storia fatta di iniziali prese in giro e di un lungo percorso alla ricerca della propria identità. L’incontro con un bruco, una gallina e una stella marina lo porta a sperimentare forme diverse, ma è solo quando incappa in una lumaca dalla forma bislacca che Achille trova finalmente la forma che gli calza a pennello e conosce il segreto di una piccola felicità.

Perfetto da leggere ad alta voce (ma ideale anche come prima lettura, dato il testo semplice e le caratteristiche di alta leggibilità), Achille cane quadrato vanta una storia piacevolmente iterata, un gustoso uso di onomatopee e un implicito invito a fare della lettura un’esperienza movimentata. Ogni volta che Achille cambia forma compie infatti gesti buffi che difficilmente lettori piccoli e grandi resistono dal replicare. Tutto questo, unito a illustrazioni dal tratto sorridente e amichevole, fa del libro – che è peraltro perfettamente quadrato, proprio come Achille – un ghiotto assaggio di lettura da proporre ai più piccini.

Le mani ballano la bocca canta

Non è mai troppo presto per rendere un libro più amichevole e leggibile. Ecco allora che Sinnos ci propone un volumetto piccino picciò adatto a giovanissimissimissimi – dall’anno e mezzo in su – che sfrutta a pieno il font leggimiprima, la spaziatura ampia e il testo non giustificato (oltre che a grande carattere). Perché è vero che il pubblico di riferimento non lo leggerà in autonomia ma magari lo farà un fratellino di poco più grande per il quale gli accorgimenti di alta leggibilità possono essere un validissimo aiuto per fare della lettura condivisa un momento piacevole che fila liscio.

Protagonista del libro è una bambina dall’aria vispa che invita il lettore a sperimentare le molte possibilità espressive offerte dalle mani e dalla bocca. Con le prime si può infatti, salutare, fare musica ed esplorare il proprio corpo. Con la seconda si può dare i baci, sorridere, fare gli indiani e mangiare i gelati. Ad ogni azione è dedicata una doppia pagina centrata sulla bambina e sul suo coniglietto di pezza, immancabile compagno di giochi. I testi brevi e diretti descrivono i movimenti che la bambina fa. Resi particolarmente coinvolgenti dalla frequente presenza di onomatopee, questi possono essere facilmente imitati dal lettore e divenire il fulcro di una sorta di danza o canto mimato da condividere con gioia nell’intimità familiare.

Granpà

Christoph Léon è un narratore di razza: sa come tirare il lettore al cuore delle storie e come dipanare temi potenti senza che questi gravino sulla pagina come una zavorra. Accade sulla lunga come sulla corta misura, come ben dimostra Granpà, racconto breve recentemente uscito per Camelozampa.

In una manciata di pagine (poco più di settanta), Léon mette in piedi un appassionante racconto di vita, che attraversa tre generazioni e in cui echeggiano questioni importanti come il rapporto tra uomo e natura e lo scarto spesso esistente tra legge e giustizia. Protagonisti, che ci pare dopo poche pagine di conoscere a fondo, sono il giovane John e suo nonno Granpà. I due si aggirano furtivi per l’America dell’Ovest, intenti a sabotare gli impianti dell’Arizona Oil Company che con i suoi pozzi per l’estrazione del petrolio sta distruggendo opere millenarie della natura ed espropriando per pochi spicci i possedimenti di intere famiglie. Granpà ha già subito questo destino una volta ed è disposto a tutto, ora, pur di difendere la sua terra e i suoi ideali di tutela dell’ambiente. A un certo punto, però, la spedizione si mette male e John è costretto a separarsi dall’amato nonno  in un epilogo intensissimo, che è insieme straziante e pieno di speranza.

Ricercato ma molto fruibile, anche grazie alle scelte orientate all’alta leggibilità compiute dall’editore Camelozampa, Granpà offre ai ragazzi dalle medie in su una lettura densa e appassionante, che rifugge la banalità delle forma e della sostanza, senza per questo risultare ostica. Il racconto si legge infatti con piacere e con deciso coinvolgimento, come immersi nelle calde e polverose notti del Colorado.

Hank Zipzer. Su il sipario, giù i calzoni

Hank Zipzer torna sulla scena. Letteralmente! Nell’undicesima avventura che lo vede protagonista, il giovane personaggio creato da Lin Oliver ed Henry Winkler si trova infatti alle prese con lo spettacolo teatrale della scuola: esperienza tanto emozionante quanto impegnativa per chi, come lui, non va proprio a nozze con copioni da leggere e battute da imparare a memoria. Non solo: a complicare la faccenda sopraggiunge anche un certo patto che Hank stringe con il papà. Se non riuscirà a prendere almeno nove nel compito di matematica sulle divisioni lunghe, può dire addio al palcoscenico, alla recitazione e alla parte di re del Siam che si è talentuosamente conquistato.  E così non gli resta che accettare il tutoraggio alla pari offerto da miss perfettina Heather Payne. Contro ogni aspettativa, la motivazione di Heather ad avere successo con il suo allievo la spinge a trovare metodi di insegnamento alternativi che valorizzano l’intelligenza visiva di Hank. Quella che si apre di fronte al ragazzo è così una possibilità del tutto nuova di fare un pochino amicizia non solo con i numeri ma anche con qualcuno che credeva diversissimo e incompatibile con lui.

Spassoso e godibile come i dieci titoli precedenti, Hank Zipzer. Su il sipario, giù i calzoni mette in azione la consolidata schiera di personaggi che animano la scuola SP 87 – dall’inflessibile signorina Adolf ai fidatissimi Ashley e Frankie, dall’arrogante McKelty all’originale famiglia Zipzer – a cui il lettore è probabilmente già affezionato e da cui dipendono meccanismi narrativi ben rodati. Davvero apprezzabile il fatto che nonostante la collana dedicata ad Hank abbia ormai raggiunto il titolo numero 11, l’ironia che la contraddistingue non sia venuta meno così come la capacità di rendere i Disturbi Specifici dell’Apprendimento del protagonista parte integrante dell’avventura e non mero tema didascalico. L’attenzione alla dislessia viene inoltre confermata a livello grafico e tipografico, dal momento che il volume presenta le consuete e funzionali caratteristiche di alta leggibilità quali un font privo di grazie, una spaziatura maggiore, una sbandieratura a destra e l’uso di una carta color crema.

 

Rossi contro blu

La rivalità tra Rossi e Blu è affare di lunga data: i due schieramenti, guidati rispettivamente da Rossofuoco e Barbablù, si sfidano, fronteggiano e tendono agguati fin da quando i componenti non erano che ragazzini. Un giorno, da entrambe le parti, i guerrieri si preparano a sferrare un attacco micidiale agli avversari: si prospettano ossa rotte e nemici al ragù. Ma nessuno dei due valorosi capifazione ha previsto l’incontro nel bosco con due marmocchi, uno verde e uno nero, intenti a sfidarsi al gioco delle code. Come resistere? Di fronte alla ludica prospettiva, i cavalieri bardati di tutto punto cambiano senza esitazione vesti e obiettivi, preparandosi a rubare quante più code possibile agli avversari. Nessuno di loro si aspetta, però, che anche i nemici siano stai coinvolti nella sfida e questo fa di loro degli inattesi compagni di gioco. Certo, la sera la partita finisce e l’antica rivalità può tornare a galla. Se non fosse che giusto per il giorno seguente è in programma un torneo ai ciottoli. La battaglia, forse, può ancora aspettare…

Benjamin Leroy, già in catalogo per Sinnos con una fitta serie di titoli spassosissimi – da Super P a Caccia alla tigre dai denti a sciabola, da Appuntamento nel bosco a Susi in piscina e taglia tutto – è autore e illustratore di quest’albo che guarda con benevola ironia al mondo degli adulti e fa del gioco una chiave di risoluzione di conflitti da non sottovalutare. Con un testo divertente (e perfetto anche da leggere ad alta voce) e illustrazioni dal tratto buffo, Rossi contro blu mescola con diletto elementi medievali e moderni, mette in scena personaggi dai nomi e dai caratteri spiritosi e dissemina le tavole di particolari gustosi. Contraddistinto inoltre da caratteristiche di alta leggibilità che riguardano sia l’aspetto tipografico, con font leggimi, spaziatura ampia tra lettere, parole, righe e paragrafi, e sbandieratura a destra, sia l’aspetto compositivo, con frasi perlopiù brevi, lineari e poco numerose su ogni pagina, il libro di Benjamin Leroy si presta a offrire una piacevole e lettura autonoma dai sei anni (o condivisa anche un po’ prima).

 

Scuola di mostri

Alzi la mano chi non ha avuto un po’ di tremarella il primo giorno di scuola! Giò non fa eccezione e quando varca la soglia della sua classe è letteralmente terrorizzato: l’operatore scolastico è un orco, i compagni sono mostri e la maestra una matrigna maligna. Sarà dura per lui districarsi tra attacchi ululanti, pozioni puzzolenti e piatti di riso e bruchi, fino a quando un inatteso incidente in giardino non sembra rimettere le cose a posto, trasformando l’esperienza scolastica come per magia.

Scorrevole e leggero, Scuola di mostri è un racconto perfetto per lettori alle prime armi, non solo perché racconta una storia di piccole paure vicinissima al loro vissuto ma anche perché è costruito e stampato secondo criteri di alta leggibilità. Il testo di Sabrina Guidoreni previlegia infatti un lessico piano e strutture sintattiche lineari e risulta stampato in font leggimi mutuato da Sinnos, con spaziatura maggiore tra lettere, parole, righe e paragrafi, sbandieratura a destra e frequente associazione alle illustrazioni. Firmate da Giulia Bracesco, queste ultime sono presenti pressoché a ogni pagina, con tono scanzonato e divertito, contribuendo fattivamente a rendere la lettura più abbordabile e amichevole.

Le caratteristiche di alta leggibilità che rendono Scuola di mostri particolarmente adatto anche a lettori dislessici contraddistinguono anche altri titoli della collana Oscar primi junior dalle firme note come quella di Miriam Dubini o Anna Sarfatti. Riconoscibili grazie al bollino “alta leggibilità”, questi titoli condividono l’intento di rendere storie semplici, divertenti e avventurose fruibili anche a un pubblico di lettori con Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

L’archeologo delle parole

L’archeologo delle parole è il secondo volume della felice collana Sottovento delle edizioni Telos e come il precedente – Il mago Tre-Pi–  si caratterizza per un’attenzione rara a fare della lettura un’esperienza pienamente fruibile e appagante anche per chi presenta difficoltà a decodificare e comprendere il testo scritto.

Punto di forza del libro, e più in generale dell’intera collana, è la libertà che viene offerta al lettore di muoversi tra diversi formati – cartaceo, digitale, audio o, perché no?, una combinazione dei tre – e tra diversi strumenti di sostegno alla lettura. Se, di per sé, la versione cartacea, presenta interessanti caratteristiche di alta leggibilità, legate alla scelta del font, della spaziatura, dell’allineamento del testo e della frequenza delle illustrazioni, la versione digitale amplia e valorizza queste caratteristiche grazie a un ricchissimo set di opzioni attivabili o disattivabili a piacimento dal lettore.

Tra queste spicca in particolare la possibilità di evidenziare unità minime di senso all’interno di frasi più complesse, di sfruttare le icone dei personaggi per mettere in evidenza chi di volta in volta parla o è al centro della scena, di attivare la registrazione audio su pezzi selezionati di testo o di rendere le parole meglio identificabili grazie alla sillabazione. Il lettore viene così accompagnato tra le pieghe di significato e significante e supportato sia a livello percettivo sia a livello cognitivo per godere a pieno del rapporto col testo.

Quest’ultimo, originale e raffinato, racconta di un oggetto magico e misterioso: un album di fotografie che si anima permettendo a chi lo sfoglia di entrare in contatto con personaggi del passato. Così Eki, intraprendente docente di musica, parte per un’avventura fuori dal tempo. Con animali e personaggi insoliti come uno zampognaro e un asino quali compagni di viaggio, Eki ripercorre il cammino compiuto tra la Calabria e la Germania da suo padre, meglio noto come il professor G. Come ne Il mago Tre-Pi, l’autrice Lilith Moscon si ispira a figure realmente esistite – in questo caso il linguista Gerhard Rohlfs – per confezionare un racconto in cui la storia, il folklore, la lingua e la tradizione aggiungono alla lettura sostanza e sapore. A questa si aggiungono le illustrazioni essenziali e suggestive di Francesco Chiacchio, contraddistinte da una forte carica espressiva.

Il mago Tre-Pi

Ci sono progetti editoriali apparentemente piccini ma così ricchi e curati che a volerli raccontare si fa difficoltà a decidere da dove iniziare. Ecco, il progetto editoriale di Telos, recentemente messo in piedi e diretto da Luana Astore, è esattamente uno di quelli.

La neonata casa editrice di Campobasso è infatti specializzata in libri che fanno dell’accessibilità una priorità e che per garantire quest’ultima nella maniera più proficua possibile valorizzano in modo innovativo l’interazione e l’integrazione tra cartaceo e digitale. I titoli finora proposti – due per la precisione – sono dunque frutto di un lavoro di ricerca e sperimentazione estremamente interessante rispetto agli strumenti che possono agevolare la lettura in caso di bisogni educativi speciali. Lavoro che, dal canto suo, si coniuga a un’attenta cura grafica, testuale e iconografia.

Il primo titolo messo in commercio, che inaugura la collana Sottovento, è Il mago Tre-pi scritto da Lilith Moscon. Il racconto è ispirato all’affascinante figura di Giuseppe Pitrè che qui compare in una veste intrigante, a ‘mo di fantasma o spirito guida, che a bordo di una originale carrozza-studio dialoga con il giovane e curioso protagonista di nome Nicola. Il loro è uno scambio in bilico tra sogno e realtà in cui viaggi,  aneddoti, tradizioni e quesiti filosofici sui sogni e sui pensieri si intrecciano e scorrono veloci, supportati dalle illustrazioni dal fascino antico di Marta Pantaleo. Il testo è originale e ricercato, le illustrazioni capaci di sottolineare il tono sospeso del racconto, impastato di storia e invenzione.

Ci troviamo dunque di fronte a un volume che non cede al luogo comune che vuole i libri accessibili – e i libri ad alta leggibilità soprattutto – come libri più semplici nella forma e nel contenuto. Tutt’altro! Qui il testo è orgogliosamente ricco, frutto della consapevolezza che la complessità è di fatto un diritto del lettore che non va sacrificato. Ciò che deve essere facilitato è piuttosto l’accesso al testo che, non a caso, è proprio il punto di forza della proposta di Telos.

Ciò che più di tutto colpisce in questo libro è infatti la ricchezza di possibilità offerte a sostegno di chi sperimenta maggiori difficoltà di lettura legate per esempio alla dislessia. Non solo il libro è stampato con font EasyReading e con caratteristiche tipografiche più amichevoli, come la spaziatura maggiore e lo sbandieramento a destra, ma la versione digitale di cui è corredato, accessibile tramite QR code e disponibile in quattro lingue, presenta una vera miniera di strumenti utili.

Oltre a disporre della registrazione audio del libro, il lettore può infatti modificare a piacere la dimensione del font e la spaziatura del testo, ma anche differenziare lo sfondo delle righe, dividere le parole in sillabe o evidenziare la riga che sta scorrendo. Originali ed estremamente utili sono poi gli strumenti a sostegno della comprensione del testo, come la possibilità di dividere le frasi più complesse in unità minime di senso, di visualizzare le icone che fanno riferimento ai personaggi quando questi compaiono o parlano, o ancora di scoprire il significato delle parole più inusuali grazie alla funzione dizionario.

Questa mole straordinaria di strumenti è messa disposizione del lettore in maniera molto agevole e intuitiva così da risultare effettivamente di supporto e non di intralcio. Il risultato è quello di mettere davvero chi si trova di fronte al libro nella conduzione migliore per affrontare con piacere la lettura, trovando e scegliendo gli strumenti che più gli si addicono. Perché l’accessibilità in fondo è esattamente questo: far sentire il singolo lettore sostenuto e accolto ma anche libero di trovare il percorso che gli è più congeniale.

 

I supereroi e lo sciopero della minestrina

Chi l’avrebbe detto che anche la vita da supereroe può rivelarsi noiosissima? Oltrepassata una certa età, quando gli acciacchi superano di gran lunga i poteri, anche le giornate dei supereroi cominciano a farsi monotone, soprattutto se neppure a tavola è concesso qualche sgarro. La dieta che il dottore infligge al povero Fulmine e alla sua combriccola nella casa di riposo Viale del Tramonto è a dir poco rigida: tutta pollo lesso, finocchi bolliti e riso in bianco. Nemmeno un po’ di formaggio nel brodo. È così che i supereroi, stufi del trattamento, improvvisano un improbabile sciopero della minestrina per rivendicare il loro sacrosanto diritto al trigliceride. Per qualche giorno si dilettano nella preparazione di manicaretti golosissimi ma gli esami del sangue sono dietro l’angolo rendendo la sommossa traballante come una gelatina!

Con il consueto humour, Davide Calì ci consegna una nuova avventura della spassosa serie dedicata agli anziani supereroi, inaugurata nel 2016 con La casa di riposo dei supereroi e arricchita in seguito da La supergita dei supereroi. Corredata dalle illustrazioni di Alice Piaggio, perfettamente intonate con il tono leggero del racconto, I supereroi e lo sciopero della minestrina offrono una lettura piacevole e abbordabile anche grazie alle caratteristiche di alta leggibilità che contraddistinguono la collana Minizoom. Le frasi brevi e della struttura semplice, i frequenti elenchi, la grafica dinamica, la spaziatura maggior e il font specifico biancoenero concorrono infatti a rendere le pagine amichevoli anche agli occhi di giovanissimi lettori con difficoltà legate alla dislessia. Ciliegina sulla torta: la speciale Canzone del brodino, scritta dallo stesso Davide Calì e interpretata da Marianna Balducci, che il lettore può ascoltare tramite qr code apposto sul libro o collegandosi al sito della casa editrice.

Una specie di scintilla

Che tosta, Addie! 11 anni, autistica, appassionata lettrice, amante degli squali e testarda battagliera per le cause in cui crede, la protagonista di Una specie di scintilla è un personaggio a cui ci si affeziona subito e che si dimentica con difficoltà. La sua vita si svolge nella placida cittadina scozzese di Jupiter, dove nulla di eclatante pare mai accadere, dove la comunità si riunisce ancora periodicamente per prendere decisioni collettive e dove tutti sembrerebbero più interessati a difendere il buon nome del villaggio che a permettergli di essere ricordato per qualcosa di davvero buono.

E così, quando durante una lezione di Miss Murphy, Addie scopre che in passato, proprio a Jupiter, diverse donne sono state pretestuosamente condannate a morte perché ritenute streghe, inizia una determinata battaglia affinché un memoriale cittadino renda loro omaggio e ricordi a tutti gli effetti nefasti e senza tempo a cui possono condurre l’ignoranza e la paura della diversità. Addie si deve però scontrare non solo con il bigottismo che impera in paese ma anche con una insopportabile forma di bullismo e discriminazione in ambito scolastico, perpetrata da una compagna particolarmente ostile, da una classe odiosamente indifferente e da una professoressa abiettamente incapace di fare il suo mestiere.

Umiliata e trattata da inetta da chi dovrebbe saperne piuttosto cogliere bisogni e talenti, Addie trova conforto e supporto in una nuova compagna sensibile e leale e in una famiglia presente e attenta. Il rapporto con sua sorella maggiore Keedie, anche lei autistica e apparentemente più capace e avvezza a dissimulare la sua neurodiversità, costituisce in particolare per Addie un aiuto prezioso per capire che cosa accade dentro e fuori di lei, per conoscere il prezzo di un mascheramento forzato e per trovare il coraggio di portare fino in fondo la sua importante e simbolica battaglia.

Incredibilmente incisivo, Una specie di scintilla è il pluripremiato romanzo d’esordio della giovane scrittrice scozzese Elle McNicoll. La sua forza sta senz’altro in una serie di personaggi indelebili, di fronte ai quali è impossibile mantenere una posizione neutra, e nella capacità di raccontare ciò che la protagonista prova e pensa con chirurgica efficacia e assenza di retorica. L’autrice, che è a sua volta autistica, non ha infatti remore o difficoltà a spazzare via tanti luoghi comuni sulla sindrome che la contraddistingue – luoghi comuni legati, per esempio, all’intelligenza, all’autonomia, all’empatia o alla capacità di costruire legami – mettendo bene in chiaro che ci sono tanti modi di essere neurodivergenti e che tentare di inquadrare in maniera unica e stereotipata tutti coloro che rientrano nello spettro non ha dunque alcun senso. Nel solco di Temple Grandin, che echeggia chiaramente in quel “L’oceano ha bisogno di tutti i tipi di pesci, proprio come il mondo ha bisogno di tutti i tipi di mente” pronunciato da Keedie, Elle McNicoll fa del suo punto di vista interno una chiave efficacissima per offrire una lettura nuova e meno rigida dell’autismo, in cui multisfaccettatura e complessità trovino finalmente il loro posto.

Oltre a raccontare con grande chiarezza e semplicità cosa provano Addie o Keedie in determinate situazioni (per esempio di eccessivo affollamento, rumore o luminosità) e quanto per loro possa essere faticoso mascherare il proprio disagio per rispondere il più possibile alle aspettative dei neurotipici, la sua scrittura schietta ci mette costantemente nella condizione di chiederci come noi stessi ci poniamo di fronte a chi percepisce, registra e affronta la realtà in modo diverso da noi.

In questo modo, a dispetto di tanta comunicazione e letteratura che tende a dipingerla in bianco e nero come una tragedia assoluta o come una superdote tout court, la neurodiversità viene piuttosto dipinta, con una fitta serie di sfumature, come una specie di scintilla.  “Il mio autismo – dice Addie durante un toccante discorso all’assemblea cittadina – non è sempre un superpotere. A volte è problematico. Ma nei giorni in cui sento l’elettricità nelle cose, quando vedo dettagli che altri potrebbero non vedere, mi piace molto.

L’assiduo impegno della casa editrice Uovonero nel promuovere la conoscenza e il rispetto della diversità e nel facilitare processi di inclusione e partecipazione attraverso il potente strumento del libro trova in questa pubblicazione una delle sue manifestazioni più riuscite. Perché non solo Una specie di scintilla è un romanzo bellissimo e forte, ma anche perché prova a raggiungere quanti più lettori possibili grazie a caratteristiche tipografiche di alta leggibilità – con font testme, sbandieratura a destra, spaziatura maggiore – e alla possibilità di godere della storia anche in formato audio. In contemporanea all’uscita del romanzo in formato cartaceo è infatti previsto il rilascio della versione audiolibro, pubblicata dalla casa editrice indipendente Fabler Audio (scaricabile al costo di 13,99 € dal sito della casa editrice): una scelta, questa, che presenta almeno altre due implicazioni interessanti. Da un lato essa riflette anche nella forma l’attenzione di Uovonero alle diverse caratteristiche di bambini e ragazzi e dall’altro essa mette in pratica quello che è già un principio chiave del progetto I libri di Camilla, ossia che l’accessibilità più ampia non deve in alcun modo compromettere la qualità del prodotto e che, per garantire entrambe, spesso può essere necessario e utile mettere insieme le forze e collaborare con altre realtà. Anche questo, in fondo (ma non troppo), significa valorizzare la diversità.

La musica di Ettore

Mica facile fare musica con quattro zampone da elefante: parola di Ettore! Trombe, fisarmoniche, arpe e xilofoni mal si accordano, infatti, con le movenze maldestre tipiche di un pachiderma e così, malgrado il suo amore spassionato per le melodie, l’elefantino Ettore si trova costretto ad assistere ai concerti della giungla invece che prendervi attivamente parte. Sarà una giornata iniziata col piede sbagliato a tirar fuori un suo inaspettato talento, che con lo strumento giusto diventa musica per le orecchie di tutti!

Semplice nella trama così come nel messaggio, La musica di Ettore è un albo scritto e illustrato dall’autrice polacca Monika Filipina. Si caratterizza per un testo minimo e lineare che lascia ampissimo spazio narrativo alle immagini. Sgargianti, movimentate, ricche di dettagli e dal tratto ironico, queste sono le vere protagoniste del libro e conducono il lettore per mano alla scoperta della storia: un aspetto, questo, che ben si sposa con gli accorgimenti di alta leggibilità – font EasyReading, spaziatura maggiore, testo non giustificato – messi in campo da Camelozampa per la stampa del volume. La sinergia tra leggibilità del segno grafico e facilità di accesso al testo è infatti determinante nello stimolare un approccio alla lettura il più possibile amichevole, accogliente e stimolante anche nei confronti di bambini con dislessia.

Caro signor F.

Elvira e Concetta sono due amiche che vivono insieme sul cucuzzolo di una montagna. Molto diverse tra loro – sedentaria, golosa e amante della scrittura la prima; avventurosa, smilza e appassionata di navi la seconda – le due trascorrono le giornate con una certa placida ritualità. Su quel cucuzzolo, in effetti, non succede mai nulla. Un giorno però dei rumori sospetti le mettono in allarme, costringendole a fantomatiche ipotesi su cosa possa averli generati, a qualche accusa reciproca e infine a rocambolesche indagini. Verrà fuori che il responsabile è un misterioso signor F., che frattanto manda lettere ad amici, parenti e ditte di trasloco, per informarli del suo felice trasferimento in montagna.

A suon di equivoci e soluzioni di emergenza per liberarsi dell’inquilino abusivo, Elvira e Concetta finiscono per scoprire che un intruso a quattro zampe può essere estremamente amichevole e che, grazie al trambusto generato dalla sua presenza, si può persino pensare a una ristrutturazione, non tanto della casa quanto piuttosto della propria vita!

Scritto e illustrato dal collaudato duo Alice Keller e Veronica Truttero, Caro signor F. è un racconto delizioso che scorre piacevole, fa sorridere e che mette in scena un piccolo protagonista a cui è difficile non affezionarsi. Stampato con alcune caratteristiche di alta leggibilità, come il font EasyReading, la sbandieratura a destra e la spaziatura maggiore tra le lettere, le righe e le parole, il libro presenta frequenti illustrazioni a matita che consolidano il tono tenero e buffo del racconto.