Il teatro come mezzo di inclusione sociale – Intervista a Paola Cereda

Interviste

Paola Cereda è psicologa, scrittrice e regista teatrale. Dopo un lungo periodo come assistente alla regia di Moni Ovadia, è approdata in Argentina, dove si è avvicinata al teatro comunitario. Tornata in Italia, si occupa di progetti artistici e culturali nel sociale. Nello specifico, si occupa della regia e della supervisione alla drammaturgia per la compagnia teatrale integrata AssaiASAI, nata nel 2010 all’interno dell’associazione, con all’attivo già quattro produzioni teatrali, l’ultima delle quali è: “D(i)ritti in porta. Storie di sport e diritti umani”.

Come nasce l’idea di creare la compagnia teatrale AssaiASAI?

La compagnia teatrale nasce da un’attività laboratoriale che era già presente in associazione prima del mio arrivo. Io sono tornata in Italia nel 2010, dopo da tre anni di esperienza in Argentina dove ho approfondito la metodologia del teatro comunitario. In ASAI ho riproposto in parte degli stimoli ricevuti a Buenos Aires, nel campo dell’Arte e Cultura per la trasformazione sociale. Il lavoro in parallelo su processo relazionale e prodotto artistico di qualità si è rivelato utile e funzionale.

Nella vostra compagnia sono presenti ragazzi con diversità di abilità, provenienza ed età. Qual è il valore aggiunto della diversità all’interno del vostro gruppo?

La diversità non è un punto di arrivo, ma il punto di partenza. I ragazzi sono abituati ad accogliere la diversità, propria e degli altri, come una componente naturale dell’apporto che ciascuno può dare al gruppo. Gli attori sono molto numerosi: circa 40, 45. Proviamo a creare uno spazio dove ciascuno si senta soggetto competente, portatore di conoscenze e desideroso di imparare dagli altri e con gli altri. La diversità, per noi, è lo strumento quotidiano attraverso il quale creiamo un insieme a partire dall’individualità del singolo. La forza di AssaiASAI è quella di essere aperta anche ad appassionati di teatro, volontari, educatori in formazione, eccetera. Non è un ghetto bensì una compagnia integrata, dove si costruisce con la diversità di tutti.

Che tipo di disabilità hanno gli attori che fanno parte della compagnia? Come sono entrati a farne parte?

Le persone con disabilità sono circa il 20% del totale dei componenti. Ci sono persone con disabilità fisiche e ragazzi con problematiche psichiatriche importanti, dall’autismo alla psicosi. La mia doppia formazione, in psicologia e teatro, è utilissima in questo contesto così speciale. Mi relaziono direttamente con le persone disabili e, soprattutto, condivido alcuni strumenti relazionali e artistici con gli attori, affinché tutti possano lavorare in maniera trasversale sulle dinamiche di gruppo, sull’organizzazione del lavoro teatrale e anche del tempo libero. AssaiASAI è uno spazio che esce dai muri dell’associazione e crea legami umani fondamentali per l’autostima e la vita sociale dei ragazzi. Ultimamente gli arrivi in compagnia sono per passaparola. Iniziamo a introdurre qualche limite agli accessi, per l’elevato numero di presenze.

Le vostre produzioni teatrali affrontano diverse tematiche, dall’immigrazione e le relative difficoltà di convivenza allo sport e i diritti umani, passando per la categorizzazione della diversità. Come scegliete i temi degli spettacoli?

I ragazzi propongono un tema, raccolgono materiale e lo propongono durante gli incontri settimanali, sotto forma di notizia e/o di breve narrazione che offre spunti per le improvvisazioni di gruppo. Le improvvisazioni sono rielaborate e diventano drammaturgia. Scrivere testi teatrali con i ragazzi è molto stimolante perché gli attori si avvicinano alla storia, alla geografia, alla geopolitica in modo giocoso e allo stesso tempo profondo. Negli anni, abbiamo trattato argomenti impegnativi: l’integrazione, il disagio mentale, la crisi economica e la tutela e violazione dei diritti umani nello sport. Ora lavoriamo sui muri d’Europa e sulle barriere e i confini di ognuno di noi. Impariamo molte cose e le raccontiamo attraverso il filtro dell’umorismo. Freud definiva l’umorismo “il più alto tra i meccanismi di difesa”, uno strumento indispensabile per guardare la realtà con il distacco necessario a trasformare il dolore in riflessione e sorriso. Anche se i nostri spettacoli trattano temi sociali impegnativi, gli spettatori escono da teatro pieni di entusiasmo e gioia. Sono due emozioni contagiose che proviamo in prima persona e che, quindi, riusciamo a trasmettere.

Quali difficoltà avete incontrato nel portare avanti i vostri progetti? Come le avete superate?

Le difficoltà sono svariate. C’è la difficoltà di stimolare sempre la motivazione: i ragazzi tornano ogni settimana perché stanno bene e hanno voglia di fare, componenti fondamentali sulle quali occorre lavorare con attenzione. C’è la difficoltà di gestire tante persone, ognuna delle quali porta risorse e richieste specifiche, che necessitano di attenzione. Ci sono alcuni avvicendamenti, che obbligano a rivedere gli spettacoli. Infine, c’è la difficoltà economica di un progetto che è totalmente gratuito per i partecipanti. Anche i nostri spettacoli sono gratuiti, per dare a tutti la possibilità di andare a teatro, ma hanno costi fissi e docenti professionisti. Con me, collaborano una coreografa, alcuni musicisti e un tecnico. Ci sosteniamo attraverso piccoli progetti di finanziamento e con la vendita di gadget a fine spettacolo, a offerta libera. Infine, segnalo la difficoltà di passare il testimone ai giovani che crescono nel gruppo, affinché AssaiASAI abbia vita propria al di là del regista. Ci stiamo provando.

Secondo te, l’essere parte di una compagnia teatrale può agevolare l’inclusione sociale di persone con diversi tipi di difficoltà?

Assolutamente sì. I ragazzi sperimentano uno spazio di benessere dove si sentono capaci, utili, accettati, ascoltati. Il risultato è un’immagine di sé più complessa e arricchita, che è fondamentale soprattutto al di fuori dello spazio teatrale. Non parlo solo delle persone con difficoltà evidenti, ma di ciascun partecipante. In AssaiASAI ho visto nascere amicizie, sorrisi, possibilità. Ho visto e vedo ragazzi stare bene dentro la compagnia, e stare meglio al di fuori di essa.

Se dovessi fare un bilancio dell’esperienza vissuta finora, cosa ti ha dato a livello umano e personale?

Artisticamente, ho iniziato in ambito amatoriale per poi crescere in ambito professionistico. Con AssaiASAI, ho recuperato il piacere e l’allegria di far teatro con i non professionisti e ho aggiunto la componente del lavoro artistico di qualità. A livello umano, mi metto davanti agli attori con curiosità e scopro ogni volta qualche cosa che mi nutre. Io provo meraviglia, ecco la carta vincente del mio lavoro. Provo meraviglia davanti alla poesia dell’umano.

Immagine tratta da https://www.borgatedalvivo.it/incontro-con-paola-cereda-e-valentina-farinaccio

Area Onlus ringrazia Paola Cereda