Massimiliano Verga è − in un ordine di importanza da stabilire dopo aver letto questa intervista − interista, padre di Jacopo, Moreno e Cosimo, docente di Sociologia del diritto all’Università Bicocca di Milano, e autore di “Zigulì. La mia vita dolce amara con un figlio disabile” in cui narra la sua esperienza con toni sorprendenti e una visione spiazzante della disabilità.
In occasione dell’uscita del suo secondo libro Un gettone di libertà e nell’ambito del Salone off 365 gli studenti del liceo delle scienze umane Domenico Berti hanno raccolto un’intervista di cui proponiamo una sintesi.

 

Per consentire a chi ci legge di comprendere il senso delle domande successive, abbiamo pensato di chiederle prima di tutto di raccontarci chi è Moreno.

Moreno è il mio secondo figlio, ha ormai undici anni, non vede, non parla, soffre di epilessia e ha una lesione cerebrale che i manuali definiscono “severa”; dopo la sua nascita è successo qualcosa che gli ha portato via irreversibilmente una parte importante del cervello. È nato sano, Apgar 9/10, praticamente il punteggio massimo che si dà ai neonati quando stanno bene. Poi a tre settimane di vita è successo qualcosa che ha prodotto quella che potrei definire come una sua seconda nascita. Avevo appena cominciato a conoscere Moreno e ora sono dieci anni che cerco di conoscerlo una seconda volta.

 

Qual è stata la sua reazione iniziale alla disabilità di Moreno, e come è cambiata nel tempo?

La reazione è stata un miscuglio di emozioni, in cui dominavano la rabbia e la consapevolezza di una fragilità quasi assurda. Quando sei in attesa di un figlio, ti fai tanti film. Come già era accaduto per il primo figlio, anche Moreno me lo sono costruito, me lo sono immaginato, ma solo per tre settimane. Realizzi che sei del tutto inadatto, che sei un niente, con una montagna di responsabilità perché da quel momento in poi ti dovrai occupare per sempre di qualcuno.

La rabbia che ho provato e che provo non è legata soltanto al fatto che mi sia stato chiesto di occuparmi di Moreno per tutta la vita, ma al fatto che a mio figlio sia stato tolto così tanto.

Sono stato etichettato da alcuni come il padre che non ha accettato la disabilità di suo figlio e che di fatto lo ha rifiutato: a tal proposito vorrei precisare che invece sono profondamente innamorato di mio figlio, ma questo non toglie il fatto che sia altrettanto arrabbiato per quello che gli è capitato. Non vedo perché non si possano conciliare queste due affermazioni: io non accetto la disabilità, io sono arrabbiato con la disabilità, non con mio figlio.

 

Lei racconta con franchezza l’universo personale intimo dei suoi affetti. Quali sono le motivazioni che stanno alla base della sua scelta di parlare di questi argomenti in modo così aperto?

Credo molto nella forza del racconto, nella sua capacità di trasmettere quello che senti ad altre persone. Ho voluto raccontare qualcosa che per me è assolutamente importante: la mia esperienza, la mia relazione affettiva e intima con la disabilità. Ho scelto un linguaggio che fosse più sincero possibile per provare ad entrare nelle persone che ho di fronte e trovarle disposte all’ascolto. Ci vuole il coraggio di presentarsi per ciò che si è, con le proprie fragilità e debolezze, con tutti i difetti e i pregi. Non è un’operazione semplicissima, ma ho ritenuto di raccontare tutti gli aspetti dell’esperienza che sto vivendo, anche quelli meno piacevoli da ascoltare e affrontare.

Qualche anno fa ho cominciato a pensare di scrivere un libro accademico su soggetti disabili: credo di aver scritto dieci righe in sei mesi che neppure ricordo e poi l’ho abbandonato. Mi sono accorto di poter parlare di disabilità soltanto raccontando me stesso, la mia quotidianità. Non so ancora se sono riuscito a far passare qualcosa.

 

Come concilia la vita professionale con quella privata?

Sono una persona assolutamente privilegiata, la mia professione non è legata se non in minima parte a vincoli di orario, fatto salvo nelle giornate in cui ho lezioni, esami, lauree, ricevimento studenti; insomma vi sfido a trovare un altro mestiere che consenta di lavorare quando vuoi, di fare quello che vuoi quando vuoi ed essere pagato. Ho quindi la possibilità di gestire il mio tempo. Peraltro ho tre figli e, vale la pena di dirlo subito, da diversi anni non vivo più con la loro mamma, tecnicamente sono un papà separato con affidamento condiviso. I bambini stanno con me a settimane alterne dal lunedì al giovedì successivo. Nelle settimane in cui i figli sono con me, aldilà dell’orario di ricevimento che rispetto, vado poco in università e recupero tutto nella settimana in cui non ho i bambini. Poiché il mio lavoro consiste principalmente nello scrivere, lavorare su internet, leggere, posso farlo tranquillamente anche quando loro hanno spento la luce.

 

La società ha spesso un atteggiamento ambivalente nei confronti della disabilità: a questo proposito riesce ad astrarsi dal punto di vista del padre e ad assumere quello critico del sociologo? Secondo lei come guarda alla disabilità il mondo dei normali?

È molto difficile separare l’identità del papà da quella del sociologo. Faccio un esempio, le barriere architettoniche. Come papà quando ho affrontato le barriere architettoniche mi sono arrabbiato, come sociologo dico che il problema purtroppo non è soltanto la barriera architettonica – sarebbe facile abbatterla – ma la barriera culturale.

Il realtà credo che per certi versi sia comprensibile una sorta di separazione fra la disabilità e la non disabilità. Perché la disabilità ti costringe a confrontarti con ciò che sei realmente, ti mette a nudo. Quando incontri una persona con disabilità che usa, come nel caso di Moreno, un codice espressivo che non è verbale e non è nemmeno fatto di sguardi, ma è qualcosa di indefinibile che passa attraverso il corpo, l’energia, la sensibilità, devi necessariamente ripensare alla comunicazione in modo completamente diverso, chiamando in causa parti del tuo essere che non sempre vengono messe in gioco. La disabilità costringe i cosiddetti normodotati a confrontarsi con il limite, con l’idea di non essere infallibili, invincibili, forti, in grado di fare qualunque cosa.

Quando mi occupo di Sociologia del diritto ripeto sempre ai miei studenti che il diritto non è quello che viene scritto nei codici o nei manuali, ma quello che si sperimenta quando prendi un caffè al bar, quando cammini per strada, quando incontri le persone, quando ti rechi in ufficio.

Da sociologo posso dire in Italia abbiamo in tema di disabilità delle ottime leggi, che potremmo tranquillamente esportare all’estero: siamo considerati addirittura come dei modelli. Lo stesso vale, nonostante tutto, per la scuola italiana. La legge 104, ad esempio, è davvero all’avanguardia, ma poi per avere i permessi previsti da questa legge e per poter stare vicino alla persona con disabilità si deve lottare.

Giusto per dire, quando uno è disabile al 100% in modo permanente, deve comunque andare presso l’ufficio competente dell’ASL a confermare questo “100% permanente” ogni due, tre anni. Moreno è risultato 100% permanente già per tre volte, moltiplicato per due disabilità. Riguardo all’accessibilità di molti di questi uffici preposti, poi, non vorrei essere nei panni della persona in sedia a rotelle che magari vuole recarsi con dignità da sola alla visita di rivedibilità. In parecchi casi semplicemente non può entrare, ci sono gradini e porte di sicurezza con maniglione antipanico. Quindi, per farsi dire ancora una volta che è “100% permanente” deve farsi umiliare.

 

Nel capitolo “Siamo tutti diversamente bravi” lei scrive: “Se c’è una cosa che mi fa perdere le staffe più delle code in chissà quale sportello, è quando mio figlio Moreno viene chiamato diversamente abile; è una cosa che mi rende diversamente furioso”. A suo parere esistono formule più adeguate a definire la condizione delle persone con disabilità?

Credo che tutte queste persone abbiano un nome e un cognome, se cominciassimo a chiamarle coi loro nomi e cognomi sarebbe un passo avanti. Mio figlio si chiama Moreno, che poi sia disabile d’accordo, ma la questione finisce qui.

Nel libro mi sono definito diversamente furioso, ma la prima bozza diceva “diversamente incazzato”, poi dopo l’ho corretta…

Anche stavolta faccio finta di fare il sociologo: a me non sfugge il fatto che le parole abbiano un significato, che si possa fare cultura anche attraverso l’uso di un linguaggio piuttosto che di un altro. Ma dire diversamente abile è una moda, anzi un modo per darci una rinfrescata all’alito un po’ ipocrita, come se un linguaggio più ricamato potesse cambiare la questione.

Aggiungerei, sempre per rimanere in tema di barriere architettoniche: prima costruiamo dei tram accessibili a tutti e poi iniziamo a ragionare sull’uso di un linguaggio diverso.

Naturalmente, questo non vuol dire non riconoscere che tutte le persone indistintamente abbiano delle abilità. Mio figlio ha delle abilità, ma cosa se ne fa in un mondo che è stato costruito e pensato per altri? Mio figlio non può lavarsi da solo, non può mangiare da solo, non può vestirsi da solo, ha undici anni e non può andare al parco giochi; ha delle abilità, ma non è che se adesso cominciamo a chiamarlo diversamente abile il suo handicap scompare.

 

Com’è cambiato il suo pensiero nei confronti della disabilità dopo la nascita di Moreno?

È inevitabilmente cambiato, se non altro perché anche io prima appartenevo al mondo dei così detti normali, è inutile stare a fare gli ipocriti.

Da giovane avevo avuto delle esperienza anche molto vicine alla disabilità, a scuola e soprattutto come obiettore di coscienza. Ma a fine giornata chiudevo tutto, facevo un’altra vita.

Quando la disabilità diventa una disabilità familiare la tua prospettiva cambia completamente. Questo non significa conoscere la disabilità fino in fondo: dico sempre che in undici anni mio figlio non lo conosco e non so nemmeno se riuscirò mai a conoscerlo completamente. Credo di conoscerlo meglio di chiunque altro e tuttavia non lo conosco fino in fondo, non so chi sia davvero. Un’idea di quella che può essere una vita di disabilità però me la sono fatta, mentre prima non l’avevo.

Da quando sono diventato papà di un figlio con una disabilità grave su molte cose la mia prospettiva è cambiata, anche nel modo in cui applico la mia visione da sociologo. Prendiamo ad esempio la questione delle scuole speciali: prima della nascita di Moreno avrei affermato che erano da eliminare, oggi in primo luogo mi chiedo: di che cosa ha bisogno mio figlio a scuola? Di un tappeto per rotolarsi, di un insegnante che sappia intervenire se gli viene una crisi epilettica, di giochi morbidi in alcuni momenti e di giochi rigidi in altri, di lanciare la pappa, di essere imboccato, di essere cambiato più volte al giorno. Se tutto questo lo trovo in una scuola che si chiama “speciale”, non capisco perché debba rifiutare l’idea che esistano scuole che si definiscono così.

 

Nel libro parla del suo percorso di maturazione come padre e come figlio. Racconta di aver scoperto a un certo punto di essere stato riconosciuto da un uomo che però non era il suo padre biologico.

A 37 anni ho scoperto che la figura paterna che mi aveva cresciuto e con cui avevo un rapporto decisamente conflittuale, non era in realtà il mio padre biologico. Ho cominciato a cercare di capire se questo rapporto conflittuale potesse essere legato in qualche misura al mancato rapporto biologico, ma l’ho escluso. Non c’entra niente, i figli sono di chi li cresce. Questa frase (che ripeteva spesso l’uomo che credevo mio padre) va però riempita di significati, di relazioni di emozioni, di quotidianità vera: dirlo e basta non è sufficiente. Nel mio caso chi mi ha cresciuto è stata mia madre.

Ci sono bambini, ragazzi che sono stati adottati da genitori bravissimi e che sanno di avere dei buoni genitori. Lo stesso principio vale per i cattivi genitori: ci sono purtroppo bambini che non hanno genitori. E come raccontiamo loro che i figli sono di chi li cresce? È una frase importante, gravosa. È molto duro ciò che dico, ma non perché provi un particolare rancore: ho usato la mia esperienza personale, molto intima, perché desideravo qualcosa di forte per smentire il mito sessantottino che recitava: “mettiamoli al mondo, poi qualcuno se ne occuperà”.

Lei scrive “C’è una differenza fra l’essere il padre di un bambino disabile e l’essere suo fratello, perché diventare genitori è quasi sempre una scelta. Essere genitori di un disabile è sempre un esito che devi mettere in conto, invece diventare fratello o sorella di un disabile non è il frutto di una scelta tua ma dei genitori, perché i figli non chiedono di venire al mondo e tanto meno chiedono in nascere in quella famiglia lì, con quei genitori e quei fratelli.”

 

Quali sono i vissuti che Cosimo e Jacopo hanno sperimentato nei confronti di Moreno e secondo lei quali quelli che Moreno sperimenta nei confronti dei due fratelli? Come si dispiega la relazione fra i tre fratelli?

Dico sempre che noi siamo una famiglia disabile, la disabilità di Moreno è anche nostra, non possiamo non considerarla una parte della nostra esistenza e mi sento di dire che anche da parte dei fratelli di Moreno vi sia la consapevolezza di una quotidianità legata alla disabilità.

Moreno è il figlio di mezzo, i due fratelli hanno un modo di avvicinarsi e relazionarsi con lui molto diverso.

Jacopo, il primogenito, era molto piccolo quando Moreno è nato. È come se a un certo punto gli fosse entrato un alieno in casa e ha fatto lo stesso percorso di accettazione che hanno fatto i genitori. Anche per lui c’è stato un forte cambiamento: dall’attesa di un fratellino all’arrivo di un fratello che poi si è presentato in maniera diversa da quello che ci si aspettava. Cosimo (il terzogenito) quando è nato si è ritrovato invece due fratelli pirla, uno di cinque anni e uno di tre, e non si è posto la questione. Per lui avere un fratello disabile è come avere un fratello biondo invece che con i capelli neri. Lui ai suoi amici e ai suoi compagni dice: “Ma tu non ce l’hai un fratello handicappato in casa?”. Questo poi non significa che lui non sia stia ponendo delle domande. A volte mi sorprende perché riesce a cogliere degli aspetti di Moreno e della sua/nostra situazione che ad altri ancora sfuggono completamente, ed è molto interessante.

Il mio figlio più piccolo è certamente il più animale di tutti, è più corporeo, riesce a entrare meglio in relazione con un fratello che è tutto corpo, fisicità ed energia.

Non so come Moreno si relaziona con loro. Lui seleziona ciò che lo circonda in un modo tutto suo e i suoi fratelli non rientrano nella parte del mondo che lui rifiuta, quindi probabilmente ha colto in loro qualcosa di buono. Partecipa con i fratelli ai giochi in casa, si vede che sta partecipando in qualche modo anche se io faccio ancora fatica a decifrare qualcosa di più.

 

Prima ha fatto riferimento alla sua condizione di padre separato. La disabilità porta all’interno della relazione di coppia delle complicazioni?

Per quello che è capitato a me, direi che la nascita di Moreno non ha determinato particolari fratture, non credo sia stato quello il motivo della separazione. La presenza dei figli costituisce comunque molto spesso un elemento di frattura forte all’interno di una coppia: questo direbbe il sociologo. È anche vero che per moltissime famiglie la nascita di un bambino con disabilità è stato un elemento di frattura.

 

La passione per l’Inter ricorre spesso nei suoi scritti e mostra anche il suo lato ironico e di gioie della vita. Quale ruolo assume questa passione?

Non mi vergogno a dire che l’Inter è una parte importante della mia vita, lo è sempre stata e temo lo sarà ancora. Non sto parlando di calcio, a me non frega niente di vincere o perdere le partite, sto parlando di sogni. È un sogno che avevo ed è un qualcosa che ho condiviso con i miei figli. Diciamo anche che per parlare con un figlio di 13 anni si può soltanto usare il calcio, altrimenti non si riesce a comunicare. Io ad esempio sto usando l’Inter per provare a parlare con Jacopo perché è l’unico linguaggio che comprende!

La prima volta che Jacopo mi ha parlato di suo fratello Moreno è stato quando abbiamo attraversato insieme la città per andare allo stadio: “Ma Moreno in mezzo a tutto questo che cosa farebbe? Quando lo portiamo? Quando viene con noi?” E io mi commuovo ancora adesso quando ci penso.

Ho raccontato “Un gettone di libertà” mettendolo dentro a una partita, un po’ perché avevo bisogno di un espediente narrativo, un po’ perché dal punto di vista simbolico quell’Inter-Cesena 2 a 1 è stata la volta che sono riuscito ad andare con tutti i mie figli allo stadio.

 

Area Onlus ringrazia Massimiliano Verga e gli studenti che lo hanno intervistato

Immagine tratta da http://viaggi-in-carrozzina.blogautore.espresso.repubblica.it/2021/03/19/massimiliano-verga-le-norme-e-i-diritti-fondamentali-tra-paternita-e-universita/

I genitori di un figlio con handicap certificato in situazione di gravità, se hanno un contratto di lavoro come dipendenti, hanno diritto a due anni di congedo retribuito nell’arco della loro vita lavorativa.

Il congedo può essere richiesto sia da dipendenti pubblici e privati, part- time e full time, a tempo indeterminato e determinato.

La norma di riferimento è il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, in particolare l’articolo 42.

Il diritto a fare domanda di congedo straordinario parte da quando al bambino viene riconosciuta la situazione di handicap con gravità: su richiesta del genitore, la commissione medico-legale può rilasciare un certificato provvisorio seduta stante, al temine della visita di accertamento o di rivedibilità.
Vedi “Come richiedere i permessi e il congedo?

Chi ha diritto al congedo straordinario?

Possono fruire del congedo i parenti e gli affini fino al terzo grado, ma soltanto se gli altri parenti più prossimi (figli, genitori, fratelli) sono mancanti, deceduti o anch’essi invalidi.
Ovviamente nel caso dei minori si esclude l’eventualità che il congedo venga preso da figli o coniuge.

Il congedo può essere frazionato?

Il congedo può essere fruito in forma continuativa (cioè per due anni di seguito), oppure frazionata (in anni, mesi, settimane, fino alla singola giornata). Gli anni sono due in totale, da distribuirsi fra entrambi i genitori in base alle loro necessità.

NB: se fra una frazione di congedo e l’altra non vi è un effettivo rientro al lavoro (per es. una frazione termina il venerdì e quella successiva inizia il lunedì) i giorni compresi fra una frazione e l’altra (es. il sabato e la domenica) vengono computati nel congedo.

Se ho utilizzato il congedo per mio figlio potrò utilizzarlo anche per i miei genitori anziani?

Gli anni di congedo sono due in totale: se hai fruito di un anno per tuo figlio, rimarrà un anno per un altro familiare (coniuge, genitore, fratello o sorella). Se saranno in situazione di handicap grave esso sarà retribuito, altrimenti sarà non retribuito.

Come funzionano la retribuzione, le ferie e la tredicesima durante il congedo per handicap?

Durante il periodo di congedo, si percepisce un’indennità INPS, corrispondente all’ultima retribuzione, fino al limite complessivo massimo di 47.446,00 euro annui (rivalutati annualmente in base all’indice ISTAT).

Diversamente dal congedo parentale, durante i periodi di congedo straordinario non si maturano ferie, TFR e tredicesima. Si matura invece la pensione,  dunque il genitore che resta a casa non dovrà in alcun modo versare ulteriori contributi all’INPS.

Leggi anche: Si possono cumulare permessi retribuiti e congedo?

Congedo straordinario e ricovero

Il congedo spetta soltanto in assenza di ricovero, salvo i casi in cui i sanitari della struttura richiedono la presenza dei familiari.

Interruzione del congedo

Il congedo straordinario può essere interrotto soltanto in pochi casi:

L’INPS ha introdotto in settembre 2023 una nuova funzionalità, “Variazione dati domanda” (messaggio INPS 3139 del 7/9/2023) per consentire la variazione delle condizioni dichiarate in una domanda già presentata in modalità telematica.

Vai alla pagina del  servizio INPS – congedo straordinario

Ultimo aggiornamento: 09/10/2023

Fino a che età è possibile prendere il congedo parentale?

Per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per un periodo frazionato o continuativo di 6 mesi (il cosiddetto congedo parentale). Complessivamente, i due genitori non possono superare il massimo di 10 mesi.

Per incentivare il padre lavoratore ad occuparsi dei figli, ai papà è data la possibilità di fruire di un ulteriore mese di congedo (7 mesi in totale). Questa possibilità è data ai padri che abbiano preso almeno tre mesi di congedo parentale (non importa se in forma frazionata o continuativa). In questo caso, il periodo massimo complessivo di congedo parentale tra i due genitori diventa di undici mesi e non più di dieci. I due genitori possono fruire del congedo contemporaneamente.

Il genitore unico (o con affido esclusivo) può usufruire di un periodo di congedo di 10 mesi.

Alcuni contratti collettivi prevedono la possibilità di frazionare il congedo in ore.

D lgs 151/2001

Il congedo parentale è retribuito?

I periodi di congedo ulteriori rispetto ai nove mesi indennizzati, sono “retribuiti” un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera, soltanto se il reddito individuale del genitore richiedente è inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione (corrispondenti a 16756.35 euro per il 2022).

Congedo parentale e handicap grave

Se il bambino ha una certificazione di handicap con gravità, tale congedo può essere utilizzato, fino al compimento dei dodici anni di età, per un totale di tre anni, in forma continuativa.

Nei primi tre anni di vita del bambino, i genitori, possono fruire, in alternativa, di due ore di permesso al giorno (D Lgs 151/2001 art. 33- Legge 104/92 art. 33 comma 1) o di tre giorni di permesso retribuito al mese (detti permessi 104, dalla norma istitutiva), suddivisi fra entrambi o in capo a uno solo dei due.

Successivamente al dodicesimo compleanno, i genitori possono fruire dei tre giorni di permesso mensile retribuito.

Per tutta la vita, invece, essi possono fruire di due anni di congedo straordinario retribuito (D. Lgs 151/01 art. 42), in forma frazionata o continuativa e distribuito fra entrambi i genitori o in capo a uno solo dei due.

I congedi e i permessi spettano al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto (per es. perché disoccupato, pensionato, o lavoratore autonomo).

 

Cumulabilità dei congedi e dei permessi nello stesso mese

Il congedo parentale non è compatibile con il congedo straordinario retribuito, mentre è compatibile con i risposi orari e con i tre giorni al mese della Legge 104

Congedo parentale e ricovero

Per i primi tre anni del figlio, i genitori hanno diritto al prolungamento del congedo parentale facoltativo , in assenza di ricovero a tempo pieno presso istituti specializzati, mentre una volta compiuti i tre anni vige il requisito dell’assenza di ricovero (compresi gli ospedali), a meno che la presenza dei genitori venga richiesta dai sanitari. Per ricovero a tempo pieno si intende il ricovero per le intere 24 ore presso ospedali o in strutture pubbliche o private che assicurino assistenza sanitaria.

 

Ultimo aggiornamento: 19/9/2022

I cittadini stranieri, minori e adulti, ai quali sia stata riconosciuta un’invalidità civile hanno diritto allo stesso trattamento economico e dei cittadini italiani:

“L’indennità di accompagnamento, la pensione di inabilità, l’assegno mensile di invalidità e l’indennità mensile di frequenza […] spettano anche agli stranieri regolarmente soggiornanti, anche se privi di permesso di soggiorno CE di lungo periodo, alla sola condizione che siano titolari del requisito del permesso di soggiorno di almeno un anno (articolo 41 TU immigrazione).”

Leggi in Gazzetta ufficiale

Innanzitutto, ricordiamo che per aver diritto alle indennità e alle pensioni INPS per invalidità civile occorre essere in possesso di un verbale d’invalidità, che viene rilasciato da una commissione medico-legale ASL, integrata da un medico INPS, soltanto a residenti in Italia.

Per avere la residenza in Italia occorre fare l’iscrizione anagrafica.

Leggi sul sito del Ministero dell’Interno

leggiCome fare domanda d’invalidità

I minori invalidi e gli adulti hanno diritto a provvidenze economiche diverse:

Quali indennità e pensioni spettano ai minori invalidi?

Quali e indennità e pensioni spettano all’invalido maggiorenne?

Cosa fare se l’INPS rigetta la domanda di pensione o l’indennità per invalidità civile?

Di norma l’INPS è molto attenta ai requisiti per ottenere le pensioni e le indennità per invalidità. Nel caso l’INPS escluda vostro figlio/a per mancanza di requisiti amministrativi è sempre possibile fare ricorso direttamente all’INPS (leggi come in fondo al nostro articolo).

Come capire se ho diritto all’indennità di frequenza o di accompagnamento?

Il diritto alle provvidenze economiche è riportato sul verbale d’invalidità, a inizio della prima pagina: Come leggere il verbale d’invalidità civile

 

Ultimo aggiornamento: 3-2-2023

Le agevolazioni descritte in questo capitolo si aggiungono a quelle previste per tutti i genitori. Spettano anche ai genitori affidatari o adottivi e vengono concesse nel caso in cui al minore sia stato riconosciuto l’handicap in situazione di gravità e il genitore sia un lavoratore dipendente.

Le norme di riferimento sono la Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (L. 104/92 – artt. 33 e 35) e il Testo Unico in materia di tutela della maternità e della paternità (D. Lgs 151/2001 – artt. 33 e 42 – s.m.i.).

 

Prolungamento del congedo parentale

I genitori di figlio riconosciuto in situazione di handicap con gravità hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo totale non superiore a tre anni, comprensivo dei periodi di congedo parentale riconosciuti a tutti i genitori, (D.Lgs 151/01, art. 32).

Durante il periodo del prolungamento del congedo parentale il bambino non deve essere ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore.

Il congedo può essere fruito anche su base oraria, “in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadri-settimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale.”

Due ore di riposo giornaliero

In alternativa al prolungamento del congedo parentale, fino al compimento del terzo anno di vita del bambino i genitori hanno diritto a un riposo giornaliero retribuito di due ore (1 ora se la giornata lavorativa è inferiore alle 6 ore). In caso di parto gemellare, ai genitori di gemelli con handicap grave i riposi orari devono essere riconosciuti in misura doppia (4 ore al giorno)

Tre giorni al mese di permesso retribuito Legge 104/92

In alternativa alle misure precedenti, i genitori hanno diritto a tre giorni al mese, non cumulabili da un mese all’altro (ovvero il tetto massimo è di tre giorni per mese); i giorni possono essere distribuiti fra madre e padre (per es. 2 giorni la madre e un solo giorno il padre). Possono essere riconosciuti per più di un figlio con handicap grave, se è dimostrabile che non sono sufficienti a occuparsi adeguatamente di entrambi i figli.

I due genitori devono fruire dei “giorni di permesso 104” in giorni diversi.

Il genitore lavoratore dipendente ha diritto ai permessi 104 anche se l’altro genitore non lavora o non ne ha diritto  per (per es. è un libero professionista) Avete diritto a prendere i giorni 104 anche se l’altro genitore non ne ha diritto (perché non lavoratore o per es. perché esercita la la libera professione).

I libero professionisti e i lavoratori in proprio non hanno diritto ai permessi 104.

In caso di part time (verticale oppure orizzontale) i permessi risultano proporzionati alle ore effettivamente lavorate. Se il part time è orizzontale, o lavorate un certo numero di mesi all’anno, non cambia nulla nella fruizione dei tre giorni mensili: il calcolo infatti rispecchia quello per le ferie.

Turni di lavoro articolati a cavallo di due giorni solari e/o durante giornate festive (Messaggio INPS 3114/2018). Per “lavoro a turni” si intende ogni forma di organizzazione dell’orario di lavoro, diversa dal normale “lavoro giornaliero”, in cui l’orario operativo dell’azienda può andare a coprire l’intero arco delle 24 ore e la totalità dei giorni settimanali. Tale modalità organizzativa, pertanto, può comprendere anche il lavoro notturno e il lavoro prestato durante le giornate festive (compresa la domenica). Il permesso fruito in corrispondenza dell’intero turno di lavoro va considerato pari ad un solo giorno di permesso anche nel caso in cui si articoli a cavallo di due giorni solari. L’eventuale riproporzionamento orario dei giorni di permesso dovrà essere applicato solo in caso di richiesta di fruizione ad ore, in base all’algoritmo indicato nel Messaggio INPS 16866/2007

Frazionabilità dei tre giorni di permesso. Le possibilità di frazionare i tre giorni di permesso cambiano a seconda che il genitore interessato sia un dipendente privato o un dipendente pubblico.

Dipendenti privati: l’INPS ammette sia la frazionabilità in sei mezze giornate, sia la frazionabilità in ore (es. 18 ore nei casi in cui l’orario di lavoro sia di 36 ore suddiviso in sei giorni lavorativi; 21,6 ore su 36 ore di lavoro suddivise in 5 giorni lavorativi). Per effettuare i calcoli vi invitiamo a consultare il Messaggio INPS 16866/2007

Dipendenti pubblici: il frazionamento dei tre giorni nel settore pubblico è possibile soltanto in ore; in via generale, salvo diverse indicazioni all’interno del CCNL, il calcolo corrisponde al numero di ore previste alla settimana / numero dei giorni di servizio previsti x 3 (es. 36 ore settimanali / 5 giorni di lavoro x 3 = 21,6 ore di permesso retribuito)

Ricovero. In caso di ricovero la concessione dei permessi spetta soltanto nel caso in cui il bambino non sia ricoverato a tempo pieno (salvo che non abbia ancora compiuto tre anni). Per ricovero a tempo pieno si intende il ricovero per le intere 24 ore presso ospedali o in strutture pubbliche o private che assicurino assistenza sanitaria.

Fanno eccezione le seguenti circostanze:

•  i sanitari della struttura dichiarano il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare
•  dovete accompagnare vostro figlio al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie non effettuabili al suo interno
•  la situazione è di coma vigile e/o di paziente in fase terminale (questa eccezione vale soltanto per i lavoratori dipendenti privati che fruiscano dei permessi)

Retribuzione e contributi: I permessi sono retribuiti e coperti dai contributi figurativi.

Leggi: Come funzionano i riposi e i permessi retribuiti?

Due anni di congedo straordinario retribuito (D. LGS 151/2001 ART. 42)

Entrambi i genitori di una persona con handicap grave hanno diritto a due anni di congedo straordinario retribuito e coperto dai contributi figurativi.

I due anni possono essere fruiti da un solo genitore oppure distribuiti fra entrambi (per es, 1 anno per uno); possono essere fruiti in un’unica soluzione oppure frazionati in mesi, settimane o perfino singole giornate (per es. per avere un giorno a settimana è possibile utilizzare nello stesso mese dei tre giorni dei “permessi Legge 104” e di una giornata del congedo straordinario).

Il congedo deve essere fruito dai due genitori in momenti diversi. Se ne ha diritto anche se l’altro genitore non lavora.

Leggi: Come funziona il congedo straordinario?

 

Cumulabilità di permessi e congedi

Con il messaggio n. 4143 del 22-11-2023 l’INPS ha specificato che queste agevolazioni lavorative possono essere distribuite fra più familiari, purché non nelle stesse giornate:

“Per i mesi in cui risultino già autorizzati periodi di congedo straordinario, potranno essere autorizzate domande per fruire di tre giorni di permesso mensile/prolungamento del congedo parentale oppure di ore di permesso alternative al prolungamento del congedo parentale presentate da altri referenti, per assistere la stessa persona disabile in situazione di gravità.
Si ribadisce che i suddetti benefici non posso essere fruiti nelle medesime giornate, trattandosi di istituti rispondenti alle medesime finalità di assistenza al disabile in situazione di gravità, e devono, quindi, intendersi alternativi.”

Ultimo aggiornamento: 15/1/2024

 

Esistono patologie croniche i cui programmi terapeutici prevedono la somministrazione di farmaci e/o l’esecuzione di altri interventi specifici durante l’intero arco della giornata (es. diabete, allergie, patologie neurologiche,  ecc.).

Allo scopo di garantire la frequenza a questi studenti, è stato definito fra la Regione Piemonte e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, il protocollo d’intesa “Sinergie
istituzionali per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni affetti da patologie croniche che comportano bisogni speciali di salute in orario scolastico/formativo”.

Il farmaco può essere assunto  (l’intervento sanitario praticato) dall’alunno stesso (se minore, autorizzato dai genitori), oppure può essere somministrato da:
a) i genitori,
c) personale dei servizi sanitari,
d) persone che agiscono su delega formale dei genitori stessi,  che abbiano espresso per iscritto la propria disponibilità e siano stati informati/formati/addestrati sul singolo caso specifico.

Gli operatori scolastici possono essere individuati tra il personale docente ed ATA che abbia seguito i corsi di pronto soccorso.

Gli Uffici Scolastici Regionali (USR) possono promuovere specifici moduli formativi per il personale docente.

La somministrazione di farmaci e gli interventi sanitari in ambito scolastico può avvenire nei seguenti casi:

a) l’assoluta necessità dell’intervento durante l’orario scolastico;
b) che l’intervento non richieda una discrezionalità tecnica o, se richiesta, sia esercitata entro parametri pre-definiti.

Il Ministero dell’Istruzione ha ricordato le modalità per la somministrazione dei farmaci a scuola con Circolare Ministeriale n. 321 del 10.01.2017 . Le Raccomandazioni contengono le linee guida per la definizione degli interventi finalizzati all’assistenza di studenti che necessitano di somministrazione di farmaci in orario scolastico, al fine di tutelarne il diritto allo studio, la salute ed il benessere all’interno della struttura scolastica.

Linee guida del MIUR 25-11-2005

DGR 21-5-2014 n. 507641

Aggiornato al 26-2-2024

A Torino esiste un servizio di Consulenza Educativa Domiciliare (CED) rivolto alle famiglie in cui è presente un bimbo in fascia di età 0-5 anni a rischio evolutivo o con disabilità accertata che non frequenta il nido o la scuola materna.

Di solito si programmano con il servizio uno o al massimo due interventi settimanali di circa due ore ciascuno.
Il CED si occupa in particolare di:

Vai al sito del CED

Alla scuola materna, elementare e media è prevista la figura dell’insegnante di sostegno.
L’insegnante di sostegno è assegnato non al singolo bambino con disabilità, bensì è co-titolare della classe: questo è un punto fondamentale, per l’integrazione e l’inclusione dei bambini con disabilità, che già per molti altri motivi possono soffrire una diversità rispetto agli altri propri compagni.

Per richiedere l’insegnante di sostegno, la famiglia o chi ha la potestà del bambino deve rivolgersi alla Neuropsichiatria infantile ed avere una certificazione di handicap.

NB: l’insegnante di sostegno è una figura gratuita, attualmente prevista per la sola scuola pubblica. I genitori dei bambini che frequentano una scuola privata devono invece accordarsi con la direzione scolastica e spesso pagare di tasca propria le ore di sostegno.

La trasformazione in legge del Decreto semplificazione (L114/2014) ha introdotto importanti novità. Una di queste è che i minori che percepiscono indennità di accompagnamento per invalidità civile o per cecità civile, o indennità di comunicazione, non dovranno essere sottoposti a un nuovo accertamento una volta divenuti maggiorenni. Le provvidenze economiche (pensione di inabilità, pensione per ciechi, pensione per sordi) verranno riconosciute in automatico.

Leggi il messaggio INPS 1/10/2014 n. 7382

L’Apri, in collaborazione con “Idea solidale” ha presentato ieri la Guida ai musei di Torino. La guida contiene 26 schede relative ai musei torinesi che hanno realizzato percorsi tattili, audioguide o ipotesi di visite guidate specificamente rivolte ad un pubblico di persone disabili visive.
Info: apri@ipovedenti.it

Sono state pubblicate il 18/9 le “Indicazioni per la diagnosi e la certificazione diagnostica dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) nella Regione Piemonte”.

Leggi la determina e il Percorso di diagnosi e certificazione

L’INPS con un proprio Messaggio, definisce che in caso di autismo infantile non l’INPS non debba prevedere un nuovo accertamento prima del diciottesimo compleanno.

In realtà l’INPS ha precisato che fra le patologie esenti da revisione (DM 2/10/2007) è espressamente previsto l’autismo, ma lascia aperto un grado di discrezionalità, poiché esenta soltanto le situazioni non “lievi” o “borderline”.

Leggi anche: Cosa si intende per “rivedibilità”?

Régine Scelles è psicologa clinica, docente di psicopatologia all’Università di Rouen e direttrice associata della scuola di dottorato HRST Rouen-Caen. Dirige inoltre la rivista Dialogue. La sua ricerca concerne la fratria in rapporto al trauma, la famiglia, le disabilità gravi e il maltrattamento tra fratelli, i dispositivi di cura e di accompagnamento. Ha partecipato alla giornata seminariale sul tema dei “siblings”: “In forma di pensiero”, a cura di Area onlus e Consorzio R.I.S.O., che si è tenuta presso la sede di Area il 15 febbraio 2014.

 

Prof.ssa Scelles, a partire dalla sua esperienza clinica e di ricerca, quali suggerimenti darebbe ai professionisti che, nel relazionarsi a una famiglia, intendono prendere in considerazione le problematiche riguardanti i siblings? 

Il primo passo da fare per i professionisti che incontrano le famiglie è pensare il bambino disabile anche come un fratello o una sorella. Mi ha colpito l’uso della parola siblings, che nell’accezione inglese indica la fratria in generale, mentre in italiano è utilizzata solo in rapporto ai fratelli “sani” e non prende in considerazione i fratelli disabili, configurandosi come un prestito linguistico che presuppone un’esclusione. La cosa molto importante per i genitori è che loro abbiano la possibilità di “vedere” negli occhi del professionista che li sta seguendo la presenza di questo figlio disabile come fratello o come sorella; in caso contrario il rischio è che il bambino disabile rimanga sospeso tra le generazioni e non appartenga alla fratria come tutti gli altri, ma che sia qualcosa di fondamentalmente estraneo, senza una collocazione precisa. Tutto questo viene trasmesso sin dal primo colloquio, nella postura e nel modo in cui il professionista “nomina” la situazione, dando in un certo senso una definizione e un’etichetta di identità. Bisogna prestare particolare attenzione alle parole pronunciate davanti al bambino, che è capace di distinguere tra i discorsi a lui rivolti o proibiti: questi ultimi riguardano la colpa, la sessualità e la morte; Ie espressioni utilizzate per rivolgersi ai bambini trasformano l’handicap da tabù a esperienza di vita concreta. vale anche per i fratelli non disabili, i quali fanno fatica a posizionarsi nelle relazioni fraterne, tendendo a porsi maggiormente come genitori. È necessario quindi far loro presente che non appartengono al gruppo dei genitori, per accompagnarli in un percorso di consapevolezza, che li porti a pensarsi come “fratelli di”.

 

Quindi è importante considerare una fratria con un bambino disabile prima di tutto come una fratria, o una famiglia con un figlio disabile prima di tutto come una famiglia?

Esatto, è necessario partire da questo punto quando si incontrano le famiglie: quando i genitori mi dicono che hanno un problema con il figlio disabile, io gli rispondo: “Ok, lo vedremo. Prima di tutto parliamo della famiglia e di come vi relazionate tra di voi”. Inoltre, quando si incontra un bambino disabile, si incontra prima di tutto un bambino, in un secondo momento è possibile studiare e osservare ciò che la disabilità modifica e che tipo di influenza esercita sulle dinamiche famigliari. Lo sguardo iniziale sull’“ordinario” della fratria, della famiglia e del bambino li porta a percepirsi come tali e non come una fratria disabile, una famiglia disabile, un bambino disabile.

 

In alcuni suoi testi, si riferisce alla fratria definendola come un legame elettivo ed evolutivo, come si declinano queste due dimensioni in presenza di disabilità?

Tutte le fratrie presentano due parole chiave che le definiscono: elettivo ed evolutivo. Il primo termine si riferisce al fatto che i fratelli non si amano tutti allo stesso modo, alcuni si amano molto, altri per niente. Quando una famiglia mi dice: “I fratelli e le sorelle di mio figlio disabile lo adorano”, io penso che essere adorati da tutti nasconde il fatto di non essere amati da alcuno. Questo aspetto è molto significativo per tutte le fratrie, ma lo è ancora di più per il bambino disabile, perché quando andrà a scuola incontrerà dei compagni che non lo amano affatto e dovrà scegliere delle persone che lo proteggano, dovrà imparare a evitare i soprusi di chi non lo ama; pertanto la fratria è un legame elettivo ed è giusto che sia così. Tale elettività è importante per il bambino in quanto gli permette di sentirsi amato non per la sua disabilità, ma per ciò che è.Il termine evolutivo, invece, può essere spiegato tramite un esempio: tutti abbiamo dei fratelli o delle sorelle con i quali non siamo andati d’accordo quando eravamo piccoli, con i quali ci siamo scontrati in adolescenza, per poi trovare un equilibrio in età adulta. Questa possibilità evolutiva è molto importante a livello psicologico perché significa che le cose si possono trasformare, non sono incise nel marmo, e l’odio fraterno, che talvolta si riscontra inizialmente, si può trasformare in qualcos’altro. Le relazioni fraterne sono evolutive nella loro essenza, perché i bambini crescono, gli atteggiamenti genitoriali cambiano e nel frattempo accadono molte cose. E’ molto importante restituire questa dimensione evolutiva ai genitori.

 

Un altro aspetto importante sul piano psichico è la differenziazione tra amico e fratello.

Sì, perché il fratello non lo scelgo, sono i genitori che hanno la responsabilità unica e non condivisibile di generarlo. In caso di disabilità questo concetto è molto importante: “Non sono io che ho scelto di avere un fratello, sono i genitori che me l’hanno dato. In più, non ho il potere di fare in modo che non sia più mio fratello, non è possibile”, infatti è un legame che non si può interrompere. Il fratello è dunque “imposto” dai genitori, ma i bambini fanno ciò che vogliono di questo legame; si tratta del gioco generazionale: la fratria si inscrive nella generazione dei genitori, ma va a formare un’altra generazione, creata dai bambini, e questo è il primo passo verso il futuro. E’ necessario quindi che il bambino disabile possa partecipare alla creazione di questo legame fraterno, senza che la presenza dei genitori la inibisca. Infatti quando in famiglia è presente un bambino disabile, i genitori, più che nelle situazioni normali, tendono a decidere ciò che sarà delle relazioni tra i loro figli.

 

Nei suoi studi si è anche soffermata sulla differenza tra legami fraterni in presenza di un bambino nato disabile, o che lo è diventato nel corso del tempo. Perché è importante tenere in considerazione questa dimensione?

Considerare questa dimensione mi ha permesso di studiare le diverse sfaccettature del legame fraterno e di comprendere meglio quale funzione abbia il fratello nella costruzione psicologica dell’individuo. Tali studi mi hanno aiutata ad avanzare nella comprensione del ruolo del fratello disabile nella costruzione identitaria del bambino “sano” come suo fratello. Le riporto una frase molto significativa, emersa durante un’intervista ad un fratello “sano”: “Ho male a mio fratello”, che allude alla percezione del fratello disabile come una parte di sé, che mi costituisce. Quando non ci sono problemi, questa parte è invisibile, tuttavia emerge in situazioni drammatiche, come ad esempio la morte di un fratello: alcuni bambini mi hanno confidato che questo evento gli ha permesso di scoprire che il fratello, in qualche modo, faceva parte di loro. Ricollegandomi alla frase citata, si può dire che non è “un altro” che sta male, ma piuttosto mio fratello fa vivere in me qualcosa che mi fa soffrire: è una parte costitutiva del mio sé e non qualcosa di esterno, una parte del mio sé che è dolente.

 

Come avviene il processo di consapevolezza che porta a pensarsi come “fratello di”?

Il rapporto tra IO e TU in condizione di disabilità dev’essere elaborato a lungo, affinché non avvenga da un lato la fusione con l’altro, una sorta di confusione identitaria: “Io sono disabile come lui, non mi sposerò, non lavorerò”; e dall’altro la scissione, ovvero la negazione di tale fusione: “Non ho niente a che fare con lui, non è mio fratello!”. Quest’ultima presa di posizione è in realtà impraticabile e si mette in atto al prezzo di una sofferenza enorme. Dunque, nella creazione di questo legame tra ego ed alter, che oscilla tra i due estremi della con-fusione e della scissione, avvengono diversi processi psichici, uno dei quali può essere l’assorbimento dell’altro, ovvero il divenire disabile come lui. Si tratta di un processo di identificazione non trasformativo, attraverso il quale faccio vivere l’altro in me. Un altro processo psichico, che può anche presentarsi insieme al precedente, consiste nella proiezione sul famigliare disabile di tutto ciò che non accetto di me: l’odio, l’aggressività e la paura per la mia vulnerabilità. La disabilità è un oggetto di proiezione facile, che permette d’incarnare ciò che non funziona nella famiglia, ma anche nella comunità e nella società più in generale. Il terzo processo di cui vorrei parlarle è l’eliminazione dell’altro, che si concretizza nel pensare al posto di alter. Un esempio può essere dato da una mamma che dice: “Anche se lui non ha sete, io gli do da bere perché so che ne avrà”, ovvero il genitore conosce talmente bene suo figlio, che lo abita totalmente e non si rende conto che quest’ultimo potrebbe non essere ciò che pensa lui sia. Spesso quindi la persona disabile non ha possibilità di esprimersi perché in famiglia si è venuta a creare una relazione di controllo totale, che può apparire “buona”, ma in realtà nasconde uno svuotamento alienante. E’ un processo relativamente frequente nelle fratrie, perché svuotare l’altro della sua sostanza significa in qualche modo sostenerlo.

 

I bambini come riescono a gestire queste dinamiche?

Per gestire l’aggiustamento tra l’oggetto esterno, ovvero il fratello, e l’oggetto interno con il quale si identificano, ossia ciò che hanno interiorizzato dell’altro, i bambini utilizzano un processo di imitazione – differenziazione. Le faccio un esempio, tratto da uno dei miei libri: una famiglia composta da due genitori, e tre figli, il primogenito di sette anni con paralisi cerebrale, una bambina di cinque anni e una di due anni. La secondogenita è molto maldestra, cade spesso e sbatte dappertutto; viene visitata dalla psicomotricista, che però non riscontra problemi motori e consiglia di incontrare una psicologa. Durante la prima seduta, la bambina afferma: “Per la mia sorellina non ci sono problemi, perché sa che deve diventare come me, ma io invece come devo diventare?”. Mi racconta che quando i genitori non sono in casa, per non farli preoccupare, cerca di salire le scale come il fratello, attivando quindi un processo di imitazione; alla richiesta di spiegazioni di questo comportamento risponde: “Mio fratello, nonostante la disabilità, su tre volte che io cado, lui non cade mai!”. Poi continua chiedendosi perché lei possa comportarsi come lui e poi ritornare a essere se stessa, mentre il fratello non può fare altrettanto. Durante l’incontro successivo narra un sogno ad occhi aperti, nel quale i genitori riescono a trovare un chirurgo disposto ad aprire il ventre del fratello; per lei è importante capire se il problema del fratello si trovi dentro o fuori di lui. Tutto questo corrisponde ad una domanda che vive dentro di sé: la bambina deve sapere chi è il fratello, dove si trova il danno e chi può diventare per sapere chi è lei. I processi di identificazione e contro-identificazione sono importanti per la definizione della propria identità. Tutto il vissuto della bambina riguarda la filiazione: “Se io e lui siamo simili, ma il dentro e il fuori sono così diversi, allora come possiamo essere effettivamente fratelli?”, “E se il nostro interno è uguale, in quanto il chirurgo ha dimostrato che è così, allora forse un giorno anche il fuori sarà uguale. E se invece non lo sarà, perché?”. Per i bambini queste domande sono esistenziali, perché la risposta condizionerà la loro capacità di apprendimento e la formazione del senso d’identità. Da qui l’importanza del gruppo come luogo in cui possono confrontarsi, perché anche se non avranno mai una risposta alle loro domande, è fondamentale che sappiano di avere il diritto di porle e di essere ascoltati. Le domande sui fratelli disabili cambiano a seconda della fase del ciclo di vita in cui si trova il bambino: nella maggior parte dei casi i siblings non sanno esattamente cos’abbia il fratello, ma capiscono che qualcosa non va. Questo vissuto può essere traumatico, ma nella sua dimensione di enigma e sfida alla comprensione, può portare allo sviluppo di capacità di ricerca e indagine. Il problema resta sempre il potersi porre la domanda.

 

Che tipo di aiuto possono dare i professionisti alla famiglia?

In primo luogo è importante sostenere i genitori, lasciare loro del tempo, confortarli sul fatto che possono essere genitori di quella fratria “indipendentemente da”, spiegando come a priori i figli non abbiano bisogno dello psicologo. E’ possibile che ne avranno bisogno come tutti gli altri bambini, e non di più. Dire a priori che è necessario l’intervento di uno psicologo, significa metterli nella posizione di credere che non saranno in grado di svolgere la funzione genitoriale. I professionisti devono inoltre aiutare le famiglie a recuperare gli aspetti positivi e negativi dell’esperienza tra fratelli, perché i bambini formano prima di tutto una fratria, la disabilità non è che uno degli elementi esplicativi del loro legame. Anche il professionista deve cercare di non cadere nell’errore di interpretare il legame fraterno solo alla luce dell’handicap; è importante quindi che riceva una formazione specifica, affinché impari a parlare “a” ma anche “con” i bambini della patologia e delle sue conseguenze. Solitamente infatti si parla con i genitori davanti ai bambini, ma non si dialoga sufficientemente con questi ultimi. Devo aggiungere che non è cosa semplice, ma è allo stesso tempo molto gratificante, perché la disabilità vista dagli occhi di un bambino non corrisponde all’immagine della disabilità che hanno gli adulti: i bambini hanno capacità immaginative in grado di trasformare una situazione grave e triste in qualcosa di più “leggero” e familiare. Quindi, quando le famiglie riescono a sorridere alla disabilità e a parlare delle difficoltà in modo spiritoso, è avvenuto un cambiamento significativo non solo per l’operatore, ma anche per la famiglia stessa e per il figlio disabile.

 

Quali sono, secondo lei, le prospettive di intervento e di ricerca sulle quali ci si dovrebbe concentrare?

Prima di tutto, conosciamo le conseguenze dell’annuncio della disabilità sui genitori, ma sappiamo poco o nulla degli effetti di tale annuncio sui fratelli. E’ molto importante prendere in considerazione la posizione soggettiva dei siblings che vengono a trovarsi in questa situazione, soprattutto per capire in che modo mettano in atto il processo di costruzione psichica della realtà in riferimento al deficit e alle sue conseguenze. Sto lavorando in questa direzione, sia con gruppi di fratelli/sorelle, sia con la mediazione culturale del libro per bambini, grazie al quale è possibile esplorare le rappresentazioni che i bambini hanno della disabilità.

Area onlus Di.To a Regine Scélles

L’Agenzia delle Entrate ha abolito l’obbligo agli adattamenti per fruire delle agevolazioni fiscali sull’auto, se richieste per minori con disabilità. Leggi tutto

Il 27 Maggio alle ore 20.45 nella sede di Area Onlus si terrà un incontro/dialogo con il Dottor Ancona, psichiatra e psicoterapeuta e la Dottoressa Valetto, medico e giornalista, che insieme ripercorreranno le fasi della relazione genitore-figlio alla luce delle più recenti acquisizioni neurobiologiche.

Sul Portale Europeo degli ausili è possibile effettuare ricerche approfondite su tutto il mondo degli ausili nelle diverse lingue dell’Unione europea. Eastin integra attualmente otto portali nazionali sulle tecnologie assistive ed è stato creato dal CITT della Fondazione Don Gnocchi.

Leggi su www.eastin.eu

Maurizio Arduino è psicologo, psicoterapeuta, specialista in Psicologia Clinica. Dal 2006 è Responsabile del Coordinamento delle Attività sull’autismo delle ASL 15, 16 e 17 della Regione Piemonte, ha partecipato al Tavolo Nazionale sull’Autismo presso il Ministero della Salute e fa parte del gruppo di lavoro per l’autismo, istituito dalla regione Piemonte. È attualmente responsabile del Centro Autismo e Sindrome di Asperger, costituito presso la struttura di Neuropsichiatria Infantile del Presidio Ospedaliero di Mondovì.

 

Per iniziare, le chiedo di dirmi cosa s’intende per disturbi pervasivi dello sviluppo o dello spettro autistico.

Si tratta di disturbi che hanno un esordio precoce, per definizione devono iniziare prima dei tre anni, e hanno in comune tre tipi di compromissioni o caratteristiche anomale: la prima riguarda l’area dell’interazione sociale, cioè della relazione, si tratta quindi di bambini che socializzano poco o che sono interessati a farlo, ma sono sprovvisti degli strumenti adeguati; la seconda area è quella della comunicazione, sia per quanto concerne il linguaggio che la comunicazione non verbale; la terza caratteristica comune di questi disturbi riguarda il comportamento, che spesso è ripetitivo e stereotipato.
Di solito sono i genitori a riscontrare per primi queste difficoltà, nella maggior parte dei casi poi si rivolgono al pediatra, ed è quindi importantissimo il ruolo del pediatra nel riconoscere questi segnali e indirizzare la famiglia verso i servizi di Neuropschiatria Infantile.

 

Ora vorrei che mi raccontasse la storia del Centro CASA di Mondovì, com’è nato e con quali scopi? Che tipo di servizi offre alle famiglie e chi vi si rivolge? Perché è considerato un centro di eccellenza in Italia?

L’attuale sede del Centro Autismo, all’interno del nuovo ospedale di Mondovì, è stata inaugurata nel marzo del 2010; dal 1998 esiste però un gruppo di lavoro all’interno della struttura di Neuropsichiatria Infantile, formalizzato dalla Direzione Aziendale, che è nato per rispondere alle esigenze manifestate dalle famiglie con bambini autistici. Dal 2006 questa attività, inizialmente rivolta ai minori, riguarda anche gli adulti, sotto il mio coordinamento; inoltre, dal 2009 sono formalmente Responsabile del Centro Autismo.
Il centro ambulatoriale offre valutazioni e consulenze per minori con disturbi dello spettro autistico o con sospetto di autismo, e interventi abilitativi per i minori residenti nel territorio dell’ASL CN1. Per questi ultimi, vengono inoltre effettuate le attività certificative per il riconoscimento della Legge 104/92 e per la richiesta dell’insegnante di sostegno, la consulenza per i soggetti adulti con autismo e tutti i compiti istituzionali attribuiti all’ASL: rapporti con le scuole, partecipazione alle Unità Multidimensionali Valutazione Disabili minori e adulti. Il servizio prevede la presenza di un’équipe multidisciplinare, composta da un neuropsichiatra, psicologi, logopedisti, psicomotricisti ed educatori.
Il Centro di Mondovì è uno dei quattro Centri regionali di riferimento per l’autismo e partecipa a progetti nazionali con altri Enti clinici e di ricerca di altre regioni.

 

Quali altri centri in Piemonte possono essere considerati dei punti di riferimento per le famiglie?

Gli altri centri di riferimento sono quelli indicati nei documenti regionali (cfr. Determinazione dirigenziale n. 205 del 04.05.2009, con oggetto la nomina del Coordinamento regionale per l’autismo) e sono situati presso le ASO di Novara, Alessandria e Torino: Regina Margherita. Tra i servizi sanitari che hanno ambulatori dedicati all’autismo vanno inoltre citati la NPI dell’ASL TO1 , il DSM dell’ASL TO2 per gli adulti e il Presidio San Camillo di Torino.

 

In un intervento lei ha affermato che la causa dell’autismo è ancora sconosciuta, pertanto non esiste una cura specifica, tuttavia ci sono metodi di intervento che consentono miglioramenti sia nell’ambito dell’interazione che della comunicazione. Quindi vorrei sapere se la diffusione regionale di servizi dedicati può considerarsi eterogenea o omogenea e qual è stato il ruolo delle famiglie, in particolare delle associazioni, nella loro creazione.

Il ruolo delle Associazioni è stato fondamentale in molte realtà della regione, dove alcuni servizi sono nati proprio su stimolo delle famiglie; nella nostra realtà, l’Associazione locale Autismo Help Cuneo è nata sulla spinta di un gruppo di parent training attivato dal nostro servizio.
La diffusione dei servizi è capillare se pensiamo ai servizi di Neuropsichiatria Infantile; per quanto riguarda l’autismo, la situazione è a macchia di leopardo, con realtà che hanno sviluppato maggiori competenze e servizi e altre che si appoggiano soprattutto sul privato sociale o convenzionato. La recente DGR sull’autismo (DGR n.22-7178 della Giunta Regionale, con oggetto il recepimento dell’accordo Stato-Regioni del 22.11.2012: “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, con particolare riferimento ai Disturbi dello Spettro Autistico”) prevede l’attivazione in ogni ASL di almeno un Nucleo Disturbi Pervasivi dello Sviluppo formato da équipe multidisciplinare.

 

Qual è lo stato dell’arte sull’autismo nel nostro paese? I neuropsichiatri di base possiedono conoscenze e formazione specifica? Quanto sono ancora diffuse, secondo lei, le teorie psicogenetiche?

La situazione è molto migliorata negli ultimi 20 anni, con un aumento di esperienze su tutto il territorio nazionale, tuttavia bisogna ammettere che il punto di partenza era piuttosto “basso” e quindi c’è ancora molto da lavorare. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta si è diffuso, in particolare, un modello di intervento che faceva riferimento al Programma TEACCH e ha avuto come principali testimoni il gruppo di Enrico Micheli e quello belga di Theo Peeters e collaboratori. Parallelamente Zappella a Siena proponeva il superamento dei modelli psicodinamici e di terapia famigliare. La formazione degli operatori, quindi non solo dei neuropsichiatri infantili, è andata di pari passo e ha portato all’aumento di operatori sanitari formati soprattutto nel modello psicoeducativo, mutuato dal TEACCH e in seguito dalla CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa).
Ciononostante, le teorie psicogenetiche sono ancora presenti in alcuni servizi, che hanno una storia di trattamenti psicoanalitici e in alcuni ambiti accademici.

 

Nella DGR che citava precedentemente, così come nelle Linee Guida della SINPIA (Società scientifica della NPI) si evidenzia il ruolo fondamentale della scuola, sia come strumento di integrazione sociale, che come contesto per l’apprendimento della persona con autismo nella sua globabilità, all’interno dei progetti educativi individualizzati. Questi ultimi prevedono l’uso di strategie educative validate e la collaborazione con i servizi socio-sanitari e le famiglie. Nella sua esperienza ha riscontrato criticità nelle relazioni tra i servizi e la scuola? Se sì, di che tipo?

A mio avviso, le criticità che possono manifestarsi sono legate alla scarsa formazione degli insegnanti sull’autismo; questo rappresenta senza dubbio il problema principale, nell’ottica di un approccio integrato e di rete alla persona con autismo, che prevede la collaborazione dei servizi di NPI, di Psicologia e Riabilitazione Funzionale, degli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali, della scuola e infine, ma non ultima, della famiglia.
In secondo luogo l’elevato turnover delle figure, dovuto alla precarietà delle condizioni contrattuali degli insegnanti di sostegno, crea difficoltà per quanto riguarda sia la continuità degli interventi che lo scambio di informazioni con gli altri nodi che costituiscono la rete.

 

Parlava del ruolo fondamentale della famiglia. Secondo lei, il profilo dei genitori è cambiato nel tempo, si può dire che siano maggiormente informati sull’autismo? E come ciò ha inciso sul rapporto tra genitori e professionisti?

In primo luogo, i genitori sono considerati fonti non solo attendibili, ma anche irrinunciabili di informazioni, al fine della formulazione della diagnosi. Inoltre i professionisti concordano sulla necessità di informarli, formarli e coinvolgerli nel trattamento, ad esempio attraverso i corsi di parent training. Per quanto riguarda il profilo delle famiglie, sicuramente rispetto al passato, i genitori sono decisamente più “esperti”, si documentano leggendo pubblicazioni scientifiche e si pongono quindi in maniera più “paritaria” nei confronti degli operatori.

 

Dai documenti regionali risulta che l’obiettivo della diagnosi precoce è stato pressoché raggiunto, a cosa si deve questo traguardo e quali erano le principali difficoltà del passato?

Le difficoltà in passato erano legate soprattutto alla scarsa informazione dei pediatri, ai quali solitamente i genitori riferivano precocemente le loro preoccupazioni, senza ricevere un indirizzo preciso. Di conseguenza, si producevano ritardi diagnostici, che impedivano la presa in carico del bambino e l’attivazione di interventi specifici di carattere abilitativo e riabilitativo. Per ovviare a questo problema, negli anni scorsi la Regione ha avviato iniziative di sensibilizzazione e formazione dei pediatri, e attualmente sono disponibili on line sul sito dell’ASL CN1 le scale Chat e M-Chat (si tratta di scale che in pochi minuti consentono al medico di individuare il rischio di autismo già a 18 mesi, con la conseguente possibilità di inviare il bambino in un centro specializzato per la somministrazione di test diagnostici) in versione informatizzata. Inoltre, L’ARESS del Piemonte ha stampato in collaborazione con l’ASL CN1 una guida per i pediatri disponibile sul sito. Attualmente molti pediatri di base inviano bambini a rischio precocemente, spesso prima dei due anni.
Tuttavia, alla diagnosi precoce deve seguire un intervento altrettanto precoce, che sia intensivo e pervasivo in tutti i contesti di vita, profilato per l’età e il tipo di autismo presentato, che preveda metodiche di trattamento efficaci e prolungate fino all’età adulta.

 

Per concludere, vorrei parlare dell’importanza dell’uso di tecnologie ICT a supporto di soggetti con disturbi pervasivi dello sviluppo. A tal proposito, il Centro CASA ha avviato il progetto “Touch for autism”, in collaborazione con la Fondazione Asphi, il CSP, e il sostegno della Fondazione CRT, CRC e la Stampa. Le chiedo quindi di spiegarmi com’è nato il progetto e quali obiettivi ha raggiunto finora.

Il progetto “Touch for autism” nasce dalla collaborazione tra Cento Autismo ASL CN1 di Mondovì, Fondazione ASPHI e CSP Innovzione nelle ICT ed è stato finanziato dalle Fondazioni CRC, CRT e Specchio dei Tempi e si propone di attuare una presa in carico di persone autistiche attraverso tecnologie assistitive basate su strategie visive e teleriabilitazione; queste tecnologie sono utilizzate per la messa a punto e la condivisione dei progetti educativi e abilitativi dei pazienti e costituiscono un supporto per i genitori, indipendentemente dalla distanza della residenza dal centro di riferimento. Prevede la disposizione di tablet, contenenti diversi strumenti di supporto al trattamento, che devono essere utilizzati nei vari contesti di vita per garantire la pervasività dell’intervento. I tablet (ma anche i personal computer) si collegano a una piattaforma WEB per gestire il progetto individualizzato, che è condivisa tra operatori dei servizi, scuola e famiglia e consente di gestire le attività individualizzat e il loro monitoraggio e avere informazioni sulle tecniche di intervento.
Attualmente abbiamo predisposto un’applicazione per tablet Android, “Tools for autism”, che può essere scaricata gratuitamente da Google play e consente di costruire storie sociali, task analisys e tabelle comunicative.
“Touch for autism” è un progetto che mira a favorire il coordinamento delle attività dei diversi operatori, riducendo il rischio di frammentazione che spesso caratterizza la presa in carico del bambino con autismo.

 Area onlus ringrazia Maurizio Arduino

Immagine tratta da http://www.leggermente.com/maurizio-arduino.html

Un ambiente progettato “per tutti”, se da un lato non esclude chi ha particolari difficoltà motorie, sensoriali o relazionali, dall’altro trasmette  l’idea che la disabilità in molti casi sia legata alla presenza di barriere architettoniche o culturali.

Sono sempre più diffusi i musei e le sedi espositive progettati secondo l’approccio inclusivo della “progettazione per tutti” (design for all).

 

In questo articolo cercheremo di darvene una panoramica.

In Torino e cintura:
Le strutture della Fondazione torino Musei (Galleria d’Arte Moderna, Borgo Medioevale, Museo d’Arte Orientale, Palazzo Madama)

Xké? -Il laboratorio delle curiosità
GAM – attività per persone con disabilità
Il museo nazionale del cinema
Infini.To – Il planetario di Pino TorineseIl Parco Arte Vivente
Il museo dell’automobileLa pinacoteca Agnelli
Il museo egizio
Il museo del Risorgimento
La Reggia di Venaria Reale

Il castello di Rivoli

In Piemonte:
La fabbrica dei suoni

Genova segnaliamo la Città dei bambini e dei ragazzi e tutte le numerose attività connesse a Galata (Museo del mare)

A Milano: Il museo della scienza e della tecnologia

 

Il Libro Parlato è un servizio offerto dall’UICI di Torino che consente a migliaia di persone cieche e ipovedenti di accedere alla cultura, studiare in autonomia, ma anche concedersi il sano e insostituibile piacere della lettura. Dal 16 gennaio é possibile richiedere la registrazione di opere non presenti nel catalogo del Centro Nazionale del Libro Parlato.

Vai all’articolo

 

La procedura per la presentazione della richiesta di invalidità civile e/o di handicap (legge 104/92) è interamente telematica e consta in tre passaggi:

Il certificato medico introduttivo

Il medico che segue vostro/a figlio/a (di solito il/la neuropsichiatra infantile) compila il “certificato medico introduttivo” sul portale dell’INPS. La compilazione da parte del/la neuropsichiatra infantile dell’ASL o dell’ospedale è gratuita, mentre se viene eseguita dal pediatra o dal medico di famiglia è prevista a pagamento.

NB: Per chiedere il diritto all’indennità di accompagnamento, è importante che il medico spunti la casella relativa alla non autosufficienza; diversamente, la commissione medico-legale ASL-INPS potrebbe chiedere un’integrazione al medico che ha emesso il certificato telematico.

La validità del certificato medico telematico è di 90 giorni, trascorsi i quali non è più possibile presentare domanda d’invalidità o di handicap (e occorre chiedere un nuovo certificato medico introduttivo).

La prenotazione dell’accertamento d’invalidità, sordità, cecità, handicap

Tramite il portale dell’INPS o presso un CAF o Patronato, muniti del certificato medico introdutivo, prenoterete l’accertamento medico-legale.

La prenotazione e la visita sono entrambe gratuite.

Se intendete chiedere l’insegnante di sostegno è necessario chiedere il certificato di handicap (L. 104/92) e spuntare la relativa casella sul modulo di domanda.

Come chiedere l’insegnante di sostegno?

INPS – domanda di accertamento d’invalidità-handicap

Per prenotare tramite il portale dell’INPS occorre essere in possesso dello SPID per figlio minore

Nuovo servizio INPS per la documentazione sanitaria

La commissione medico-legale dal 2020 ha la possibilità di accertare l’invalidità civile e l’handicap in base alla sola documentazione sanitaria, senza convocare l’interessato/a a visita (L. 120 dell’11 settembre 2020, art. 29 ter):
“La valutazione sugli atti può essere richiesta dal diretto interessato o da chi lo rappresenta unitamente alla produzione di documentazione adeguata o in sede di redazione del certificato medico introduttivo. In tale secondo caso spetta al responsabile della commissione di accertamento indicare la documentazione sanitaria da produrre. Nelle ipotesi in cui la documentazione non sia sufficiente per una valutazione obiettiva, l’interessato è convocato a visita diretta.”

Vai al servizio

Compiuti i diciotto anni occorrerà un codice SPID personale del figlio/a, salvo:

 

L’accertamento medico-legale

Entro un mese dopo che avete presentato la richiesta di accertamento, riceverete l’appuntamento per la visita medico legale per il riconoscimento del grado di invalidità o di handicap.

Il Decreto semplificazioni 2020 prevede che il riconoscimento d’invalidità e handicap in base agli atti, senza obbligo di  presenza della persona interessata dalla valutazione, “in tutti i casi in cui sia presente una documentazione sanitaria che consenta una valutazione obiettiva”. La valutazione in base agli atti può esser proposta anche dal diretto interessato (o, supponiamo, per estensione, anche da chi esercita le responsabilità genitoriali).

 

Invalidità / Handicap

Verificate che il medico abbia spuntato le due caselle, “Invalidità” e “Handicap”.

 

Cecità, Sordità

In caso di richiesta di accertamento per cecità civile il certificato medico deve riportare in anamnesi quanto indicato dall’oculista nel proprio certificato. Il medico ha inoltre la possibilità di allegare una scansione del certificato oculistico. Il certificato oculistico può essere stato rilasciato anche da un oculista privato.

La casella “Sordità” deve essere spuntata soltanto quando il bambino ha una sordità profonda fin da età pre-verbale.

 

Il CAP e l’ASL

Nella procedura telematica ricoprono un’importanza fondamentale il CAP e l’ASL di riferimento, che vengono indicati nel modulo telematico dal patronato. Se il CAP non è corretto, non viene preso in considerazione dal sistema automatico, con la conseguenza che la domanda può rimanere indefinitamente in sospeso.

Visite per rivedibilità

Quando un certificato d’invalidità o di handicap prevede una rivedibilità (es. riporta “Rivedibile al 12/2027”) significa che sarà l’INPS stessa a convocare vostro figlio o figlia all’accertamento.

A diciotto anni si potrà richiedere un nuovo accertamento. Il certificato medico potrà essere datato anteriormente al diciottesimo compleanno, ma l’accertamento d’invalidità potrà essere prenotato soltanto a partire dal giorno del diciottesimo compleanno.

A diciotto anni occorre ripetere l’accertamento d’invalidità e di handicap?

Cosa succede dopo la visita medico legale d’invalidità o handicap?

Dopo a visita medico legale, il parere della commissione verrà valutato da una seconda commissione, detta “di seconda istanza” e di seguito verrà pubblicato sul fascicolo previdenziale individuale sul portale dell’INPS. Contestualmente verrà messo in spedizione all’indirizzo indicato sulla domanda di accertamento.

Per verificare l’esattezza dei dati comunicati all’INPS o per modificarli o integrarli (per es. potreste aver bisogno di aggiungere un numero di telefono o un indirizzo e-mail) andate su MY INPS – “Gestione consensi”.

Dopo quanto tempo arriverà il certificato a casa?

I tempi di ricevimento sono variabili e dipendono da diversi fattori, tuttavia solitamente il certificato arriva entro due mesi dalla visita medico-legale.

Successivamente alla visita di accertamento riceverete il verbale d’invalidità in formato elettronico e cartaceo tramite posta raccomandata.

Leggi: Come consultare il verbale d’invalidità o handicap sul dito dell’INPS

Contemporaneamente, in alcune regioni italiane l’INPS comunicherà tramite mail o SMS che il verbale è disponibile. Dalla pagina del verbale, tramite un link potrete accedere alla Video guida INPS relativa a come leggere il verbale d’invalidità civile, cecità o sordità. Potete gestire i vostri contatti mail e telefonici nella sezione “Gestione consensi” di MyINPS. Questo servizio è attualmente disponibile soltanto per i maggiorenni.

A diciotto anni occorre presentare domanda d’invalidità e di handicap?

 

Leggi: Come fare se si ha urgenza del certificato di handicap?

 

Ultimo aggiornamento: 6/5/2025

Pubblichiamo il video proiettato in occasione del recente convegno “Imparare? Un gioco da ragazzi” svoltosi nell’ambito del festival “I luoghi delle parole” di Chivasso.

Si tratta un montaggio di passi tratti sia dall’intervista resa da H. Winkler in esclusiva ad Area onlus, sia dalle riprese del suo intervento al Cecchi point, nell’ambito del Salone del libro 2013 – sezione off.

Vai al video

Giampiero Griffo, laureato in storia e filosofia, è attivo da oltre 40 anni nel campo della difesa e tutela dei diritti delle persone con disabilità. E’ responsabile della Sezione sulle diversità della Biblioteca nazionale di Napoli, membro dell’esecutivo di Disabled Peoples’ International (DPI) e rappresentante italiano nel board  dell’European Disability Forum. Ha curato ricerche e pubblicazioni legate al mondo delle persone con disabilità, collaborando a riviste e corsi universitari e svolgendo attività di consulenza e formazione a livello nazionale e internazionale. E’ stato membro della delegazione italiana all’Ad hoc Committee delle Nazioni Unite (ONU) sulla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, accompagnando il governo italiano alla firma a New York.

Ci aiuta a conoscere meglio la Convenzione?

Si tratta di un percorso lungo che ha visto protagoniste le associazioni. E’ iniziato, quanto alla stesura dei primi testi, agli inizi degli anni Novanta. Il primo testo significativo, le Regole standard delle Nazioni unite per la tutela delle persone con disabilità risale al 1993. Nel 2001, su proposta del Messico, è stata costituita una Comitato ad hoc e, dopo pochi anni di lavoro (tra i più brevi per questo tipo di documento), la  Convenzione della Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è stata approvata nel dicembre 2006 dall’Assemblea ONU. Attualmente la Convenzione è stata ratificata da 137 Paesi e dalla stessa Unione Europea, rappresentando uno standard internazionale per gli interventi indirizzati alle persone con disabilità.

I principi fondamentali?

Il Comitato ad hoc avrebbe potuto seguire due direttrici: quella basata sui diritti economici e sociali, risorse-dipendenti, e quella dei diritti umani. E’ stata scelta la seconda, il che rappresenta un cambiamento epocale, che ha consentito il superamento di modelli con vincoli e limiti intrinseci. E’ stata messa in campo l’idea della cittadinanza alla pari, il diritto al godimento della libertà di tutti i cittadini. Si tratta di un intervento importante per proibire qualsiasi forma di discriminazione affermando l’inclusione, la necessità di dare a tutti la possibilità di partecipare. Su queste basi, non ci sono più cittadini “di serie B”. A volte dico che le persone con disabilità sono un po’ come “gli ultimi che saranno i primi del Vangelo”, ma all’inverso: gli ultimi a ricevere sostegni e servizi, ma sempre i primi ad essere privati di qualcosa e tagliati fuori. I principi della Convenzione affermano invece per ogni persona una posizione paritetica nella società, qualsiasi caratteristica abbia, qualsiasi modalità di funzionamento abbia.  E cambia anche il modo di leggere la nostra condizione: il modello medico della disabilità viene superato da un modello bio-psico-sociale basato sui diritti umani: non sono io che mi muovo in sedia a rotelle che non posso salire su un autobus, ma è l’impresa di trasporti che deve mettere a disposizione autobus accessibili. La società deve garantire il godimento di tutti i diritti, indipendentemente dalle diversità funzionali di ognuno.

Che cosa cambia nei fatti?

Ci sono ricadute importanti, per esempio nel concetto di giustizia. Cosa è infatti la giustizia per le persone con disabilità? Finché ci si limita a rimanere nel modello medico, essa corrisponde alla garanzia di assistenza e di cure. Se il modello invece è quello della Convenzione, diventa molto di più, ovvero coincide con il pieno godimento dei diritti, e la società ha la responsabilità di rimuovere barriere e discriminazioni. Cambiano anche le forme d’intervento. Per esempio nell’articolo 26 della Convenzione è espressa chiaramente la distinzione tra riabilitazione (riduttivamente medica e assistenziale) e abilitazione (il tenere conto delle caratteristiche della persona e della sua modalità di funzionamento e offrire pari opportunità). Nel primo caso la persona è sbagliata e va riabilitata (anche quando la sua diversità funzionale diventa cronica e la riabilitazione diventa un obiettivo non conseguibile). Nel secondo caso la persona ha un suo modo di funzionamento e gli interventi devono sostenere il massimo livello di capacitazione (noi diciamo empowerment), partendo dalle sue caratteristiche. Anche perché in realtà pochi o nessuno ottengono la piena riabilitazione, recuperano del tutto. E succede che per molte persone con disabilità, il deficit specifico sia l’identificativo di quella persona e diventi uno stigma. Invece la Convenzione obbliga gli Stati a capire qual è il funzionamento della persona e quali sono le soluzioni per sostenerlo e migliorarlo. Ogni volta che si trascurano tali caratteristiche di funzionamento, la società crea una barriera e nega la partecipazione, in ultima analisi viola un diritto umano. Un altro esempio fondamentale e rivoluzionario si trova nell’articolo 12 della Convenzione, che riguarda la disabilità intellettiva. Il diritto al riconoscimento dell’uguaglianza di fronte alla legge di una persona con disabilità intellettiva o relazionale impone il superamento di forme di tutela e sostegno tradizionali (l’interdizione) e obbliga gli Stati a garantire l’accompagnamento nelle scelte che la persona può compiere da sola, e in ogni caso tutela i suoi diritti umani (l’amministratore di sostegno, però con modalità maggiori di tutela dei diritti).

E cosa cambia nel lavoro delle associazioni?

Il cambiamento culturale della Convenzione implica che le persone devono essere sostenute nei loro diritti e conseguire uguaglianza di opportunità, superando ogni discriminazione fondata sulla disabilità. Le associazioni, come tutta la società, devono promuovere i diritti umani, la dignità della persone, le pari opportunità perché tutti i cittadini, ciascuno con le sue caratteristiche, con le sue peculiari modalità di funzionamento, sono titolari di questi diritti. Lo Stato deve intervenire a garanzia. La persona con disabilità non è una persona incapace, malata, bensì è una persona discriminata a causa di ostacoli e barriere e trattamenti differenti senza giustificazione. Altrimenti i suoi diritti sono violati. Cambia anche l’intervento, il trattamento. Oggi lo scenario degli interventi è in genere limitato alla diagnosi medica (spesso inesatta), alla terapia (spesso solo farmacologica), all’assistenza. Invece non basta la diagnosi, non basta il trattamento tradizionale, soprattutto non bastano le “soluzioni di custodia e di parcheggio”.  Il ruolo delle associazioni è quello di rivendicare la pienezza dei diritti per tutti. Con una tutela della persona di natura giuridica, politica e culturale. Attraverso l’empowerment delle persone con disabilità. Uno strumento importante è la valorizzazione delle narrazioni delle famiglie e delle stesse persone con disabilità, delle loro storie di vita da cui partire per individuare quali comportamenti e quali sostegni possano aiutare le persone con disabilità intellettiva e relazionare a conseguire e tutelare i loro diritti, le loro aspirazioni.

Ci sono aspetti e temi particolari che riguardano l’infanzia e l’adolescenza?

Va detto che la scuola italiana è la scuola più inclusiva del mondo anche se recentemente è in affanno non per i problemi di risorse, ma soprattutto per un abbassamento della consapevolezza pubblica del significato dell’inclusione scolastica. Gli alunni con disabilità sono ancora ospiti. Per questo chiediamo che il ruolo dell’insegnante curriculare si potenzi, diventando competente anche degli allievi con disabilità, piuttosto che aumentare le ore degli insegnanti di sostegno. È centrale il ruolo delle famiglie, che devono aprirsi a raccontare la vita e la propria esperienza, costruire la loro percezione e trasferirla all’esterno, agli altri, alle istituzioni e alla società che deve mettere a disposizione sostegni appropriati per tutelare diritti. In questo modo emerge come funziona quella persona in una data situazione. Si tratta di quell’abilitazione che rafforza e offre opportunità e che Amartya Sen – premio Nobel per l’economia – rende con il termine di “fioritura” della persona. Pochi giorni fa si è tenuto a Torino il Convegno IoLavoro H: disabilità e lavoro si incontrano a Torino, sull’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. Sono state presentate le esperienze di una ragazza con disabilità intellettiva, in precedenza definita “incollocabile” e ora impiegata presso Eataly e di un giovane con autismo, attualmente dipendente di L’Orèal. Nell’ultimo caso, una volta compresa la modalità di funzionamento del ragazzo, si è ottenuto che le caratteristiche di rigidità della personalità siano diventate elementi qualificanti della sue mansioni, che svolge con precisione e rigore. Questo per dire che non ci deve fermare a una lettura statica delle condizioni patologiche, ma che le caratteristiche della persona si devono considerare “in situazione”. Certo che in questo modo la sfera medica e la gestione dello specialista non hanno più un ruolo centrale, direi di potere. É essenziale che un figlio non dipenda dalla condizione e dalle soluzioni (peraltro non sempre disponibili) mediche e che il genitore non si accanisca unicamente sul recupero della dimensione riabilitativa. Come abbiamo detto, è necessario che avvenga il passaggio dalla riabilitazione all’abilitazione: “Come funziona questo ragazzo?” “Cosa si può fare per posizionare al meglio questa persona e dare risposte ai suoi desideri? Ai suoi diritti?” La Convenzione infatti sottolinea che “tutte le persone con disabilità devono godere dei diritti umani e delle libertà fondamentali in condizioni di eguaglianza con gli altri cittadini”. Certo è necessario che la famiglia sia informata, formata, sostenuta. Questa è una responsabilità delle associazioni e degli operatori sul territorio. Del pediatra, per esempio, che oggi come oggi tende invece a trasferire allo specialista la sua responsabilità. E ci vuole anche una formazione del pediatra. Le persone con disabilità non sono speciali, è la società che ci pensa speciali.

Com’è stata recepita la Convezione in Italia?

Come sempre, in Italia ci sono ottime cornici culturali e legislative, ma  non si riesce a garantire i livelli minimi di qualità nell’applicazione pratica. La Convenzione è basata su una rivoluzione culturale che in Italia non è ancora avvenuta. Continua a prevalere il modello medico, con grande variabilità, a macchia di leopardo, della realtà locale. Senza parlare della persistenza ancora degli istituti: per gli anziani con disabilità, per le persone rifiutate dalla famiglia o senza famiglia, che l’articolo 19 della Convenzione ha superato. Ho partecipato alla stesura delle Nuove linee guida della riabilitazione su base comunitaria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che rappresenta un modello innovativo di inclusione, però poco applicato nei paesi industrializzati. Nella pratica italiana – ahimè – la riabilitazione non è legata all’abilitazione e resta in mano al medico, a partire dal fatto che è lui a stabilire se una persona debba godere di benefici e servizi attraverso l’accertamento delle percentuali di invalidità (metodo che equipara una persona che si muove in sedia a rotelle con una persona con disabilità intellettiva). Poche Regioni hanno servizi socio-sanitari integrati in grado di seguire le persone tenendo conto della loro modalità di funzionamento. La formazione degli operatori è cruciale, comprendendo in questo termine sia gli operatori sanitari e sociali, sia la famiglia, sia le figure non dedicate, ma che incontrano per ragioni diverse la persona con disabilità: un giudice, un architetto, e così via. Anche perché non dobbiamo pensare al miliardo di persone con disabilità che vivono oggi sulla terra, ma al fatto che nell’arco della loro vita hanno vissuto, vivono o vivranno condizioni di disabilità – tutti i 7 miliardi di abitanti del nostro pianeta – perché prima o poi avranno caratteristiche di funzionamento che, a causa di un ambiente sfavorevole e una società che se ne dimentica o le ignora, limiteranno i loro diritti. La disabilità è una relazione tra le caratteristiche della persona e il modo in cui la società ne tiene conto.

A che punto si è nella sua implementazione? 

La Convenzione è stata ratificata dall’Italia nel 2009 ed è stato costituito un osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità che ha elaborato un Programma d’azione sulla disabilità (luglio 2013). A Bologna nel luglio 2013. è stato discusso il Programma di azione che prevede 7 linee di intervento che favoriscono l’inclusione:

È importante sottolineare che il termine inclusione è quello usato a livello internazionale e contenuto nella Convenzione. Nel passato si usava il termine inserimento, in cui altri decidevano al posto delle persone con disabilità e delle loro famiglie dove collocare la persona (avviene ancora in molti paesi che prevedono classi speciali, istituti ecc.); poi si è usato il termine integrazione, in cui veniva riconosciuto alle persone con disabilità il diritto di vivere negli stessi luoghi in cui vivono tutti i cittadini, ma senza apportare nessun cambiamento nella società (sono i disabili a doversi adattare alla presenza di barriere architettoniche, forme di discriminazione ecc.). Invece il termine inclusione implica che le persone con disabilità hanno il diritto di decidere insieme agli altri cittadini come la società possa offrire un ambiente che garantisca i loro diritti umani: cioè è la società che deve adattarsi alle loro caratteristiche. È altrettanto importante avere dati sul livello d’inclusione, in particolare rispettando l’articolo 31 della Convenzione, che per la prima volta introduce l’idea di raccogliere dati e statistiche per valutare quali barriere incontrano le persone con disabilità nell’accesso e godimento dei diritti. Gli indicatori individuati dalla Commissione europea rispondono solo parzialmente a questo approccio, ma comunque – e finalmente – non sono più le statistiche sugli accessi all’assistenza e sui suoi costi. Nel nostro paese c’è ancora poca disponibilità di dati di questo tipo, per esempio, come e quanto siano accessibili i mezzi di trasporto. Un approccio che non ha precedenti e in questo senso è una sfida. Non sarà facile, ma per lo meno adesso abbiamo messo gli occhiali giusti per guardare ai diritti delle persone con disabilità.

Area onlus ringrazia Giampiero Griffo. 

Immagine tratta da https://www.abiliaproteggere.net/2019/03/07/intervista-giampiero-griffo/

Donato di Pierro, 35 anni, bolognese, ha scoperto molto giovane di avere la sindrome di Stargardt (degenerazione maculare giovanile), una malattia ereditaria che aggredisce la retina e compromette progressivamente la vista. Anche se la forma che l’ha colpito si evolve lentamente, la sua vita è già cambiata: usa occhiali speciali e strumenti di ingrandimento, soffre la luce, può ancora guidare (solo di giorno), ma ha rinunciato alla professione di ricercatore e si è reinventato quella di farmacista.

Donato si impegna personalmente per sensibilizzare le persone che non hanno esperienza della disabilità, per sostenere quelle che la vivono e per promuovere la ricerca scientifica. Gli strumenti che ha scelto sono il suo blog e, l’anno scorso, un’iniziativa personale “Scarpinare per la ricerca” che lo ha portato ad attraversare da solo l’Italia, da ovest a est, da Montalto di Castro a Rimini. Ha percorso a piedi (con un breve tratto in bicicletta) 300 chilometri attraverso itinerari naturalistici e storici di Lazio, Umbria, Toscana ed Emilia Romagna. “Scarpinare per la ricerca” ha avuto l’appoggio della Fondazione Telethon (Donato è stato ospite del programma televisivo “Cose dell’altro Geo”), il patrocinio dall’Atri onlus (Associazione toscana retinopatici ed ipovedenti) ed è stata condotta in collaborazione con Retina Italia onlus (Federazione italiana per la lotta alle distrofie retiniche).La redazione di Di.To ha chiesto a Donato un’intervista, lui ha generosamente inviato questa testimonianza, contagiosa per entusiasmo e speranza nella vita. 

Al termine del 2013 è uscito il libro-racconto del viaggio. Si tratta di un libro accessibile alle persone prive della vista e adatto ai principali sistemi operativi e supporti elettronici di lettura. I proventi della vendita andranno interamente all’ATRI  Vai al blog 

La disabilità… in un mondo che non si ferma alle etichette nei fatti non esisterebbe. Almeno non come termine. Lo dico da disabile, e anche in modo piuttosto convinto. Tutti, in differente misura e ambiti, abbiamo predisposizioni e difficoltà. Ma se uno è completamente negato per il disegno o la matematica, ad esempio, al più si sentirà dire “non ci sei portato” e verrà generalmente spronato a lavorare su se stesso, per trovare la strada più adatta alle sue attitudini. Questo invece non accade quando, per una ragione organica, sussistono limiti fisici e non attitudinali per applicarsi alla vita quotidiana. L’intorno in cui viviamo è così condizionante al punto da essere la principale causa delle sofferenze derivate dalla condizione di disabilità.Quando, appena ventenne, ho iniziato a capire che molto probabilmente per i miei occhi il futuro non sarebbe stato “normale”, i timori che per primi hanno bussato al mio petto sono stati proprio quelli che rispondono alla domanda “e adesso come faccio a fare le cose normali?” Mi saltava il cuore in gola al pensiero di non poter più essere indipendente per gli spostamenti, di non poter più andare in moto. L’idea di dover essere un giorno costretto a usare lenti ingrandenti per poter leggere un’etichetta al supermarket, mi generava tanta vergogna. Ancor prima del timore per il proprio futuro, lavorativo e personale, le paure riguardano il rapporto con la società e gli altri. Non sentirsi adeguati è il timore che, per primo, fa capolino. Nel mio caso, per indole personale, dopo l’iniziale abbattimento e scoraggiamento ho iniziato a ragionare sull’assunto che “cornuto va bene, ma pure mazziato no!” Ho preso a ragionare con più calma e pacatezza, affrontando le singole emozioni di volta in volta, cercando di non fare appunto l’errore di fasciami la testa prima ancora di aver sentito la botta. Bisogna aver ben presente che non ce la siamo cercata noi questa condizione, e che non c’è nulla di cui vergognarsi per quanto si sta vivendo ma, anzi, bisogna rendersi conto che ci si deve sentire fieri per ogni passo mosso e per ogni ostacolo superato nel quotidiano. Abbiamo ingaggiato una sfida molto più complessa di quanto le persone comuni possano capire. Ma, appunto nel mio personale caso, dal giorno della diagnosi il pensiero è stato sempre uno: che lavoro potrò fare? Mi ero da poco laureato quando ricevetti l’esito dell’esame genetico che annunciava la mia condizione di malato di Stargardt. Sentii il boato che anticipa il terremoto, ma lo scossone in realtà fu molto più lieve di quel che pensavo. Aver peregrinato anni in cerca di una diagnosi definitiva aveva fatto crescere in me la consapevolezza che il mio futuro, qualsiasi fosse stata la mia malattia, sarebbe dipeso solo da me stesso, dalle mie forze e dal mio ingegno. Abbiamo milioni di anni di selezione naturale alle spalle, e non saranno di certo un paio di retine difettose ad azzopparmi! Per cui, con il motto “di necessità virtù”, ho iniziato a riscrivere molti capitoli della mia vita. Uno fra tutti, ho colto l’occasione della necessità relativa al limite dovuto alla mia difficoltà negli spostamenti per cambiare lavoro, riducendo anche il numero di ore lavorative e, gioco forza, il mio stile di vita. Ho guadagnato tanto tempo riappropriandomi della serenità che mi serviva per razionalizzare la mia esistenza e quella di chi vive nella mia realtà. Ho recuperato tutte le passioni prima sacrificate per il lavoro (suonare, leggere, scrivere, fare trekking). E a queste se ne sono affiancate altre di nuove, alcune finalizzate anche a creare possibilità lavorative per me sostenibili. Il nuovo equilibrio cui ho iniziato a tendere mi ha anche permesso di rivedere una ferma posizione su cui avevo piantato profondissimi paletti. Alla notizia della natura genetica ed ereditaria della mia malattia avevo, infatti, deciso che non avrei avuto mai figli. “Che brutta persona sarei nel mettere al mondo un figlio col rischio di fargli passare tutto quello che sto vivendo io?”, ripetevo alla mia anima e alla mia compagna. Lei non era per nulla d’accordo con la mia posizione, ma un figlio si fa in due. Immaginandomi padre, pensavo subito al fatto che non sarei potuto andare a prendere mio figlio a scuola, che non lo avrei potuto portare in giro con l’auto a visitare posti e luoghi, che non sarei stato capace di aiutarlo a fare i compiti perché non leggo se non sto a dieci centimetri da un foglio scritto grande, che non avrei saputo raccontargli e leggergli le favole perché non potevo prendere un libro e mettermi a leggere, facilmente, la sua favola preferita vicino al suo letto prima che si addormentasse. Pensavo a quanto si sarebbe potuto vergognare di un padre che va a tre cilindri, incapace di fare tante delle cose che gli altri padri invece fanno con naturale disinvoltura, o di quanto mi avrebbe potuto maledire se, un giorno, avesse manifestato anche lui i segni della Stargardt. Quanta paura, quanti timori. E invece, quando ho capito che nei fatti la mia condizione rappresenta una concreta chance per costruire un’esistenza mirata all’essenza della bellezza della vita stessa, scaricando molta della zavorra che normalmente ci appesantisce inutilmente, allora ho scardinato quei pesanti paletti che avevo piantato. Ho deciso che la vita è una cosa troppo bella per farsi spaventare, anche da una malattia. È nato così il mio piccolo Massimo, uno splendido pupetto sveglio e curioso. Sono strane le vicende della vita. Non si può davvero mai sapere cosa ci attende domani. Era lì davanti a me, a poche ore dalla nascita, esausto e indifeso nella sua culla di ospedale, quando a un tratto la mia mente ha preso a elaborare possibili soluzioni ai problemi che, fino a nove mesi fa, mi stavano per far rinunciare a questa meraviglia della vita. “Non posso portarti in giro con l’auto?” pensavo, “beh allora mi prendo una bici pieghevole e con te sul carrello agganciato dietro ti  porto in giro per il mondo, ovunque potrà accompagnarmi un treno o un aereo. Con i soldi risparmiati, non avendo io bisogno dell’auto, sai quanti giretti ci faremo io te e la mamma? E, visto che non posso lavorare troppe ore per non affaticare la vista, avremo tanto tempo per stare insieme, per giocare e per scoprire le bellezze del mondo, semplicemente stando uno al fianco dell’altro. E se non riuscirò a vedere bene una marmotta che sta sfuggendo schiva, o un gatto selvatico che sta cacciando nel folto del bosco… piccolo mio, ci sarai tu ad indicarmi dove poter indirizzare il mio monocolo ingranditore per poter vedere anche io. E ti leggerò con gli e-reader tutti i libri e le favole che vorrai…anzi, te ne scriverò io di nuove, inventandole di volta in volta dopo ogni nostra nuova avventura!”

Area onlus ringrazia Donato Di Pierro

Immagine tratta da https://www.youtube.com/watch?v=EQnlbGJgqqc

Henry Winkler è nato a New York ed è famoso prima di tutto, e soprattutto in Italia, come Fonzie in Happy Days; ma il ritratto legato a quel ruolo è riduttivo, dal momento che Henry Winkler ha ricevuto molti premi e riconoscimenti come produttore, regista di programmi per famiglie e bambini ed è l’autore di una serie di romanzi per bambini che ha avuto un grande successo di critica e di pubblico. Inoltre, Henry Winkler si impegna da molto tempo per il benessere dei bambini e collabora con varie organizzazioni.

I libri per bambini, la serie oggi giunta al ventiquattresimo episodio prende il nome dal suo protagonista Hank Zipzer, sono una delle sue attività di cui va più fiero.
Hank è un bambino molto particolare immerso in una vita troppo normale: le sue difficoltà di apprendimento sono un enorme ostacolo per lui e per il momento non riesce a immaginare che proprio quelle gli riserveranno un brillante futuro.

 

La storia di Hank e la tua hanno parecchio in comune, con la differenza che tu hai scoperto tardi di essere dislessico. Come è successo e cosa hai provato?

Tra le due storie ci sono alcune analogie, ma non molte. Perché io avevo 31 anni quando mi è stata fatta la diagnosi. E’ successo quando hanno fatto i test a mio figlio più grande e in quell’occasione mi sono accorto che tutto quello che dicevano di lui valeva anche per me. Così solo a quell’età ho scoperto di non essere stupido o pigro, ma che c’era di mezzo un problema che si chiamava dislessia. E ho provato una grande rabbia, in un primo momento, perché c’era dietro una storia di litigi, derisione, castighi: non potevo uscire con gli amici e nel fine settimana dovevo stare a casa seduto alla mia scrivania. Ma tutto questo era inutile perché tanto non ce la facevo.

 

Nei libri tu descrivi le difficoltà associate alla dislessia che Hank deve affrontare con grande precisione: la “lotta quotidiana” contro l’ortografia (lo spelling), la tendenza a distrarti … con alcuni dettagli “Se scarabocchio mi concentro meglio” … e con una visione piuttosto umoristica della vita. Questo facilita l’identificazione dei giovani lettori con il protagonista ed è decisamente utile, non credi?

Questo è un grande complimento; è stata una grossa soddisfazione il fatto che i bambini mi scrivessero per dirmi: “Come fai a conoscermi così bene?” Non potevano credere che qualcun altro li capisse fino a quel punto. Poi aggiungevano: “Sei molto divertente”. Perché questi libri sono prima di tutto divertenti, non sono stati scritti per aiutare i bambini, ma per farli ridere. E anche la versione italiana seguirà questa linea: [N.d.T. il primo tradotto in italiano Hank Zipzer e le cascate del Niagara] il libro è in vendita solo da quattro giorni, ma già ieri un’insegnante ha ricevuto un sms da una mamma di un bambino con disturbi dell’apprendimento che diceva più o meno così: “Mio figlio ha finito il libro, prima non ne aveva mai letto uno fino in fondo e ora sta aspettando il secondo.” Quel ragazzino ha letto il libro in un giorno e mezzo circa. Questo è un ottimo risultato, con la traduzione non si è perso nulla.

 

A scuola eri un disastro, prendevi voti molto bassi, ma nella vita hai preso un bel “10”. Questo rovesciamento è scritto nel destino di tutti i bambini con disturbi dell’apprendimento. Ma nel frattempo devono affrontare un profondo senso di frustrazione e di fallimento. Cosa suggerisci per superare la derisione e la depressione che ne derivano?

A volte mi chiedo se sarei a un tavolo come questo se non avessi dovuto combattere con le mie difficoltà di apprendimento. Può darsi che il fatto di aver imparato a venirne fuori, mi abbia dato una grande forza. La vita è piena di frustrazioni, sia che tu riesca a imparare facilmente sia che non ci riesca. Ma il punto cruciale è che devi andare incontro al tuo destino, devi aver ben chiaro in mente cosa vuoi. Ogni bambino ha qualche grande dote. Quando la scopre, niente lo ferma più.

 

Questo passaggio inatteso è guidato dal talento. Tu hai imparato questa lezione dal tuo insegnante di musica, mister Rock, e la racconti in uno degli episodi di “A brand new me”  [N.d.T. un altro libro per ora non disponibile in italiano, il titolo si può tradurre “Io, nuovo di zecca”]. Quanto è importante per un ragazzo dislessico incontrare a scuola qualcuno disposto ad ascoltarlo, a considerarlo come una persona e non solo come uno studente?

Diventa la ragione della vita. Incontrare qualcuno che ti capisce come un individuo nel suo insieme è il più grande regalo che si possa ricevere nella vita. Ti trasforma, ti fa passare dal sentirti giù al provarci di nuovo. Il compito dei ragazzi con difficoltà di apprendimento è di fare in modo che la loro autostima sia sempre alta. Perché loro lo sanno benissimo quando non sono andati bene a scuola, e si abbattono. E quando un bambino si deprime, la mente si chiude, quando si sente forte rifiorisce.

 

Nella storia di Hank, quanto proviene dalla tua esperienza personale e quanto è frutto della tua immaginazione? Per intenderci, davvero è successo che la tua pagella sia finita in un tritacarne? O che invece di scrivere il tema sulle cascate del Niagara che l’insegnante ti aveva assegnato, tu abbia costruito un modellino? O ancora che tu abbia trovato scuse incredibili per evitare i compiti a casa, del tipo di quelle che leggerò perché sono troppo divertenti: “I miei pensieri sono dominati da alieni che mi costringono a scrivere in lingue strane, la tastiera del mio computer ha perso undici lettere e tutte le vocali, ho una grave forma di allergia per i fogli a righe?” E’ fantasia o realtà?

Il novanta per cento è il risultato di emozioni vissute. Ma non ho allagato la mia classe con il modellino delle cascate del Niagara, la mia aula non è mai diventata una specie di lago. La pagella non ha fatto quella brutta fine e mia madre era una pessima cuoca, diversamente dalla mamma di Hank. Mia madre faceva i tipici dolci tedeschi al cioccolato completamente piatti, invece che lievitati. Invece la professoressa Adolph del libro è tale quale la mia.
Comunque, quando lavoro con la mia coautrice Lin Oliver, se quello che scriviamo non ci fa ridere, lasciamo perdere lo spunto. Per noi è fantastico far ridere un bambino.

 

Gli insegnanti di Hank e il direttore della scuola sono gli stessi tuoi?

Gli insegnanti e il direttore erano gli stessi. In particolare mister Rock mi ha detto una frase che porterò sempre dentro di me: “Winkler, vedrai che ce la farai.”

 

Pensi che a scuola qualcosa stia cambiando? In questo caso quale ruolo hanno avuto o avranno iniziative e campagne, come quella in cui sei impegnato My way! Campaign?

Le cose a scuola non sono poi così tanto cambiate. Dovunque io vada – Italia, Inghilterra, Scozia, Irlanda, Stati Uniti – i bambini sono gli stessi dovunque. Vogliono andare bene a scuola, ma uno su cinque è dislessico. E’ così, ma loro devono sapere che ognuno di loro è fantastico, che la loro mente è fantastica. Ci sono degli insegnanti che dicono: “Hai letto malissimo.” Giusto per incoraggiare, magari di fronte a tutta la classe. Altri dicono: “Alla tua età, questo dovresti saperlo.” Io non sapevo la matematica allora, non la so oggi, non la saprò mai. Gli insegnanti devono rendersi conto che questi ragazzi non fingono, è la loro reale situazione, che è anche ereditaria. A volte i genitori sono imbarazzati: “Mio figlio non potrà mai frequentare le scuole migliori! Mia figlia fallirà!” invece che: “Li abbiamo avuti, sono il nostro dono!”

 

Abbandoniamo per un attimo il discorso sulla scuola – che resta comunque l’incubo di ogni ragazzo dislessico – per parlare di relazioni tra persone nel loro insieme. Hank ha degli amici fantastici e veri. Questo capita davvero a dei ragazzi dislessici o è quello che loro si augurerebbero per se stessi?

Gli amici di Hank non sono dislessici. Questi amici sono molto bravi a scuola, ma vogliono bene a Hank perché lui li fa ridere e quindi loro lo proteggono. I lettori ci scrivono dicendo: “Siamo contenti che Hank abbia degli amici che non lo giudicano.” Per cui ho detto ai bambini: “Guardate, è molto facile prendere in giro qualcuno, ma è altrettanto facile pensare che ci si può aiutare reciprocamente e stare bene insieme.”

 

Anche in Happy Days emerge l’importanza dell’amicizia. Tu proponi, sorridendo, una visione molto positiva dell’amicizia. Tra l’altro, questa è una delle chiavi del successo personale di Fonzie.

L’amicizia era molto importante per me in quanto attore e per me come persona. Ma anche per Hank e per Fonzie. Ho costruito Fonzie come un personaggio leale, che ci tiene ai suoi amici. Questo era un elemento fondamentale. Penso che gli amici sono una linfa vitale; rendono più piena la tua vita.

 

Per finire, parliamo di un altro elemento chiave del successo di Fonzie, i tuoi leggendari “Hey”. Si dice che erano un trucco per sopperire alla tua difficoltà di memorizzare il copione…

Non è così. Mi era difficile leggere, ma facile ricordare. Usavo “Hey” and “Wow” per ridurre il linguaggio parlato, perché il personaggio di Fonzie parlava troppo. Per renderlo figo ho eliminato delle parole e le ho sostituite con quelle esclamazioni. Secondo l’intonazione esprimevo interi paragrafi.

 

Che comunque si sono rivelate una formidabile strategia di successo personale. Incredibilmente, anche nell’approccio alle ragazze. Non erano versi di Shakespeare, ma funzionavano. Possiamo considerarle un bell’esempio di come i ragazzi in generale, ma soprattutto quelli che con la dislessia, abbiano una straordinaria abilità di escogitare soluzioni creative anche nelle situazioni più difficili?

Sì, assolutamente. Ciascun bambino ha qualcosa di grande dentro, ha uno straordinario talento. Comunque sia il suo futuro: coltivare banane, fare il meccanico o il dottore o il cantante. In ogni caso il mondo avrà bisogno del suo talento. Io racconto sempre la storia del mio nipotino che ha un anno e adora le banane. Noi la spezziamo e lui ne prende metà, poi se la spiaccica sulla faccia. E’ meraviglioso guardarlo, io ho bisogno di qualcuno che coltivi banane.

Quello che Henry Winkler ha detto in questa intervista in esclusiva è un motivo di grande speranza per le famiglie e i bambini che vivono dei problemi e per questo AREA gli è grata.

Il video: Harry Winkler dialoga con i bambini dislessici

Generazioni a confronto… da Henry Winkler ai piccoli lettori contemporanei from AREA Onlus on Vimeo.

Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato in gennaio 2013 la Direttiva del 27/12/2012 relativa ai Bisogni Educativi Speciali (BES). Con il termine BES si intendono:

  1. alluni con disabilità
  2. alunni con DSA
  3. alunni con svantaggio socio-economico, linguistico, culturale.

La Direttiva estende i benefici della L. n° 170/10, cioè le misure compensative e dispensative a tutte queste tipologie.
Anche in assenza di certificazioni di invalidità/handicap, quindi, le misure compensative o dispensative spetteranno ora agli alunni con deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività (ADHD) e agli alunni con funzionamento cognitivo limite (borderline), oltre agli alunni con svantaggio socio-economico, linguistico, culturale. Il Ministero non ha precisato però a chi sia a carico la certificazione di BES.

Leggi la scheda Normativa di Salvatore Nocera (scheda 419).

Eugenia Monzeglio, architetto, è stata docente della facoltà di Architettura e di Disegno Industriale nell’area della “Progettazione Architettonica e Urbana” nel Dipartimento Casa-città del Politecnico di Torino.

Si occupa di ricerca e formazione per la realizzazione di progetti accessibili nel settore della casa, dei servizi socio-sanitari, culturali, ricettivi, e degli spazi all’aperto. E’ autrice di numerosi contributi apparsi su saggi, monografie, riviste, cartacee e on line (circa 200) sui temi della progettazione universale e inclusiva, dell’ergonomia e della sicurezza nei luoghi di vita e lavoro.

È Presidente dell’Istituto Italiano per il Turismo per Tutti (IsITT) per conto del quale collabora con Turismo Torino e provincia. E’ consulente sui temi dell’accessibilità e dell’Universal Design per la CPD – Consulta per le Persone in Difficoltà onlus.

E’ coordinatrice del corso di perfezionamento “Universal Design. Progettazione inclusiva e multisensoriale” del Politecnico di Torino.

Che cos’è il turismo accessibile?

Inizio un po’ da lontano, dalla definizione ufficiale di “turismo” dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (World Tourism Organization, Agenzia specializzata delle Nazioni Unite), che lo identifica come un’attività svolta da persone che si spostano, viaggiano, soggiornano e visitano luoghi a scopo di svago, relax, conoscenza etc. Questa definizione si è molto arricchita, ha assunto sfumature diverse, ma rimane comunque la base di partenza anche per la definizione di turismo accessibile.

Se al termine turismo si aggiunge l’aggettivo accessibile, e lo si fa diventare turismo accessibile, ci si accorge che non c’è una definizione univoca e ufficiale e non c’è neppure un’unica terminologia: si parla infatti di turismo accessibile, di turismo per tutti, di turismo senza barriere, di open tourism, di easy tourism.

L’Istituto italiano per il Turismo per Tutti (IsITT) e la Consulta per le Persone in Difficoltà onlus (CPD) definiscono il turismo accessibile come quel turismo che consente a qualsiasi persona, indipendentemente dalle sue caratteristiche, dall’età, dal funzionamento del proprio corpo, dallo stato di salute etc. di effettuare tutte le attività relative all’esperienza turistica, senza ostacoli, senza difficoltà, senza esclusione, senza discriminazione.  L’aggettivo accessibile in campo turistico si riveste di un significato più ampio, che va dall’accessibilità classica (ovvero senza barriere e senza impedimenti), alla possibilità di avere effettivo accesso alle esperienze e alle attività della filiera turistica, alla disponibilità di informazioni adeguate, affidabili, precise, aggiornate che ricorrano a supporti tecnologici e cartacei: siti web intuitivi, navigabili anche da persone con disabilità sensoriale e cognitiva, oltre che fisico-motoria, ricorso a sistemi video per la comunicazione con persone con difficoltà uditive, materiali cartacei ad alta visibilità per ipovedenti, materiale audio per non vedenti.

Il turismo accessibile si basa sull’approccio del Design for All o Universal Design, indirizzato a ottenere ambienti, prodotti e servizi che assicurino la reale partecipazione di ogni persona su base equa a tutte le attività sociali.

Pertanto, affinché il turismo sia accessibile, occorre disporre di un insieme di servizi, strutture, accorgimenti (attrezzature, ausili, tecnologie etc.) e attenzioni (disponibilità e preparazione “umane”), che vada incontro, accolga e includa qualsiasi turista con disabilità e/o con esigenze specifiche.

Tale insieme, o meglio, tale “rete” deve saper rispondere ai bisogni e alle aspettative del turista con disabilità e/o con esigenze specifiche in modo accogliente, sicuro, agevole, confortevole e piacevole, rispettando al massimo la sua volontà di autonomia e di autodeterminazione.

Un bello sforzo di sintesi tra bisogni materiali e astratti, estetica compresa.

Se si volesse esprimere il turismo accessibile con un’operazione matematica, si potrebbe dire che è dato dalla somma o meglio dal prodotto di accessibilità, informazione, comunicatività, inclusività, piacevolezza, gradevolezza, estetica e molti altri aspetti, che lavorano insieme in uno sforzo di sintesi globale, equilibrata, olistica.

E’ molto importante sottolineare che la valenza estetica è uno degli aspetti materiali che concorrono a realizzare l’accessibilità. L’estetica deve contribuire a conseguire un’accessibilità a tutto campo, che sia effettivamente accogliente, per turisti e visitatori con disabilità o che manifestano esigenze specifiche, e “accettata” positivamente, e non solo tollerata, da parte di qualsiasi altra persona.

Non trascurare e non sottovalutare l’aspetto estetico, nel concept, nel design, nelle soluzioni progettuali, nelle tecnologie, negli accorgimenti orientati all’accessibilità e all’inclusività, è fondamentale in un Paese come il nostro, che gioca molto della sua appetibilità turistica sugli aspetti culturali e sulla “bellezza” dei cosiddetti beni architettonici, artistici, naturali, ambientali.

Godere delle bellezze architettoniche, artistiche, naturali, ambientali deve essere un’esperienza aperta a qualsiasi visitatore o turista, indipendentemente da disabilità o da esigenze specifiche: per questo è importante che anche luoghi e spazi connotati dalla valenza storica e ambientale siano dotati di accorgimenti per favorirne l’accessibilità. Analogamente è importante che altri luoghi, come ad esempio alberghi e edifici extra-alberghieri, siano concepiti in modo e accessibile, accogliente e piacevole per tutti. Al riguardo, molto spesso i titolari di strutture ricettive lamentano che non riescono a utilizzare le cosiddette camere per disabili, perché vengono rifiutate dalla clientela per il loro aspetto non gradevole e di tipo ospedaliero. Alla base di ciò c’è una colpevole mancanza di conoscenza: nessun disposto normativo richiede “camere per disabili” o “servizi igienici per disabili” e pertanto nessun ente di controllo deve pretendere particolari tipi di sanitari o particolari elementi di sostegno. Per il comparto ricettivo, la normativa parla di camere “accessibili”, di servizi igienici “accessibili”, parla di spazi adeguati per le manovre e per l’avvicinamento ad arredi e attrezzature, non indica nessun tipo particolare di sanitario o di sostegno, pertanto le modalità di conseguimento dell’accessibilità sono sforzo, impegno e responsabilità progettuale, nel rispetto di canoni di estetica e di funzionalità per tutti, rispettando quindi declinazioni e particolarità dei diversi fruitori.

La scelta di limitare l’accessibilità al minimo previsto dai disposti normativi (ad esempio numero minimo di camere d’albergo, di posti auto, di spazi sui mezzi pubblici di trasporto etc.) si scontra spesso con le esigenze e le aspettative del turismo familiare (quello, per intenderci, degli adulti con bambini piccoli, di persone molto anziane) e del turismo dei gruppi di persone con disabilità. In alcuni casi l’accessibilità totale può essere problematica e costosa, come, ad esempio, il conseguimento dell’accessibilità in ogni spazio di un mezzo di trasporto. In altri casi l’accessibilità totale, specie in nuovi interventi, non è difficile da conseguire: tutte le camere delle strutture ricettive possono essere accessibili (specie nei nuovi interventi) senza particolari oneri, occorre però sensibilità del proprietario o gestore e buona progettazione.

Il turismo per gruppi con bisogni specifici è uno dei più difficili da soddisfare.

E questo è solo uno dei tanti problemi.

Certamente. Ma il problema di fondo, e più impegnativo, resta quello culturale, di una cultura dell’accessibilità e dell’inclusione. L’accessibilità è questione culturale, prima che tecnica.

Nel clima generale di stagnazione e regressione della cultura dell’accessibilità, oltre che di imponente crisi economica, occorre far passare il concetto che il turismo per tutti e di tutti, il turismo accessibile, può essere anche risorsa economica, può costituire un’occasione per raggiungere una fetta di mercato turistico più numeroso di quanto si possa immaginare: basti pensare solo alle persone anziane e molto anziane.

Inoltre il turismo per tutti è un nuovo modello di turismo possibile, almeno per due motivi.

In primo luogo, contribuisce a migliorare per tutte le persone, non solo per i turisti e i visitatori, la pedonalità urbana e le caratteristiche di accessibilità e di buona fruibilità di edifici, di spazi all’aperto, di percorsi, di itinerari.

In secondo luogo, può agevolare l’unica forma di turismo possibile per molte famiglie, per genitori con bambini, per anziani, per persone che non possono permettersi il lusso della vacanza. Tale forma di turismo è il cosiddetto “turismo domestico”, il turismo giornaliero, lo Slow Tourism, ovvero il turismo di chi visita la propria città, il proprio paese e spesso ne scopre un volto nuovo, di chi va a piedi, in bicicletta, in carrozzina.

Un altro elemento fondamentale per il raggiungimento di un turismo per tutti è rappresentato dall’assoluta necessità di disporre di un sistema integrato, di una rete di prodotti e servizi, ciascuno accessibile, che formino tutti insieme la “catena dell’accessibilità turistica”. In un territorio non è sufficiente disporre di un singolo elemento accessibile (ad esempio di una buona accessibilità al sistema museale, che effettivamente in Piemonte è uno degli aspetti migliori della catena dell’accessibilità turistica), anche se dal singolo caso virtuoso può scaturire una scintilla che fa divampare il requisito dell’accessibilità. La catena dell’accessibilità è costituita da tutte le attività che interagendo concorrano a rendere accessibile un territorio e le sue attrattive turistiche: dalla reperibilità delle informazioni ai trasporti, alla possibilità di fare sport o shopping, alla ristorazione, alla ricettività, alle visite museali, agli itinerari turistici etc.

Ci ha detto che il turismo accessibile non è il singolo episodio. Spesso è utile per capire un fenomeno andare per esclusione. Allora, che cosa non è il turismo accessibile?

Il turismo accessibile non è un turismo superficiale: anzi è un turismo solidale (vuole permettere a tutti l’esperienza del viaggio, della vacanza, della scoperta), responsabile (rispetta le diversità delle persone, senza discriminazione ed esclusione), sostenibile (controlla lo spreco di risorse umane e materiali, cerca di ridurre o minimizzare affaticamento, disagio, difficoltà, stress, incomunicabilità). Il turismo accessibile “sente” la responsabilità di dare risposte adeguate al bisogno umano e civile del viaggio, della vacanza, della visita, dello svago, del riposo anche attraverso la sostenibilità economica, reperendo risorse turistiche accessibili (servizi, ricettività, trasporti, ausili, tecnologie etc.) anche ad un livello economico medio/basso, onde evitare che l’accessibilità turistica si debba pagare con una inaccessibilità economica.

A che cosa tende il turismo accessibile?

Si possono sottolineare quattro obiettivi: riconoscere un diritto, puntare all’inclusione sociale, diventare un “turismo normale”, rispondere anche a esigenze molto trascurate o del tutto ignorate.

Primo: il turismo accessibile tende a soddisfare e rendere esigibile ed effettivo un diritto della persona ovvero il diritto alla cultura, allo svago, al turismo, al tempo libero. L’accesso al tempo libero e al turismo, da una semplice nuova opportunità è divenuto un diritto, riconosciuto e tutelato da norme che ne agevolano la fruizione e lo sviluppo. Tale diritto è stato richiamato nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità nel 2006. Infatti l’articolo 30 Partecipazione alla vita culturale, alla ricreazione, al tempo libero e allo sport” della Convenzione richiede che gli Stati debbano assicurare che le persone con disabilità abbiano accesso a luoghi sportivi, ricreativi e turistici. La Convenzione è stata firmata e ratificata dall’Italia con legge del 3 marzo 2009, n. 18.

Secondo: il turismo accessibile va nella direzione dell’inclusione generalizzata: si può senz’altro affermare che il fenomeno del turismo delle persone con disabilità è l’aspetto più innovativo del processo di inclusione. Si può parlare di un vero e proprio cambiamento antropologico che la società ha compiuto. Un esempio: per decenni viaggi o gite, includenti persone con disabilità, erano perlopiù organizzate in ambito religioso, associazionistico o dagli istituti “speciali” e avevano spesso carattere di turismo religioso a santuari e luoghi di culto, (in cui la gita era finalizzato alla conoscenza di un luogo legato all’aspetto religioso o al viaggio per andare a “chiedere la grazia”) oppure erano viaggi o gite collettive per sole persone con disabilità, organizzate dagli istituti “speciali”, secondo la vecchia logica della concentrazione in gruppi isolati dal resto della comunità.

Il carattere dello svago e del diletto, dell’approfondimento culturale e della conoscenza, che oggi sono i moventi fondamentali del turismo di tutti, anche delle persone con disabilità, allora aveva uno scarsissimo valore.

Terzo: Il turismo accessibile tende a essere e a essere riconosciuto come un “turismo normale” senza restare confinato nello specialismo e nella settorialità. Le persone con difficoltà (disabilità, esigenze particolari e specifiche) che viaggiano e che fanno turismo non hanno esigenze diverse dagli altri turisti, manifestano invece il desiderio di normalità. Tale desiderio di normalità si esplica anche chiedendo che non ci siano “interventi speciali” dedicati a “turisti speciali”, bensì elevando il livello generale degli standard di qualità di ambiente e di accoglienza e superando il concetto di prodotto standard a favore della personalizzazione dell’offerta, con prodotti e servizi sempre più diversificati, modulabili e adattabili rispetto alle richieste dei diversi clienti.

Quarto obiettivo, l’ultimo ma non ultimo in termini di importanza, riguarda il fatto che il turismo accessibile vuole rispondere anche a bisogni e aspettative molto differenziate, ivi comprese quelle – quasi sempre ignorate – delle persone con pluridisabilità, delle famiglie o dei nuclei parentali con bambini con gravi disabilità o con pluridisabilità e, come già detto, dei gruppi di persone con disabilità, con difficoltà o con esigenze specifiche.

Quale bacino di utenza ha il turismo accessibile?

Sotto il profilo qualitativo, il turismo accessibile è attento a esigenze e aspettative delle persone con difficoltà fisiche e motorie, di coloro che usano carrozzine a ruote o altri ausili per il movimento, di coloro che hanno ridotta mobilità (arti superiori e inferiori, tronco etc.), di chi si affatica facilmente o non deve fare sforzi e fatica, di chi ha difficoltà o impossibilità legate all’aspetto sensoriale (non vedenti, ipovedenti, sordi, ipoudenti etc.), di chi ha difficoltà cognitive e difficoltà a capire e a farsi capire, di persone con disagio psichico, di coloro che hanno allergie e intolleranze alimentari e ambientali, di anziani e persone fragili, di adulti o famiglie con bambini piccoli, di persone con malattie croniche, di persone che hanno subito trapianti, di persone con animali da compagnia, di problemi di comprensione linguistica, di persone provenienti da ambiti culturali diversi e così via.

Sotto il profilo quantitativo occorre subito dire che la raccolta dei dati sui turisti con disabilità e con esigenze specifiche è affare complesso e delicato proprio per la sua ricaduta su iniziative e investimenti. C’è molta difficoltà ad avere stime precise a causa della varietà e della eterogeneità del mondo della disabilità e delle esigenze specifiche.

In Italia, alcuni primi dati importanti risalgono alla fine del secolo scorso: nel 1997 viene avviato il progetto Italia per tutti della Direzione Generale del Turismo del Ministero delle Attività Produttive, come strumento per la promozione delle vacanze per i turisti con esigenze specifiche. I dati che elencherò sono tratti dalla ricerca del 1999 realizzata dalla società ITER su commissione dell’ENEA nell’ambito del progetto STARe “Studio sulla domanda di turismo accessibile”: questa indagine è inserita nel progetto Italia per tutti.

Il 55% degli italiani fa almeno un viaggio all’anno e si tratta, rispetto al momento dell’indagine, di oltre trenta di milioni di persone. Di queste, il 3% (circa 900.000 persone) ha esigenze specifiche. Questa stima non include nelle esigenze specifiche le fasce estreme di età, le persone con intolleranze e le allergie, le persone con disagio psicologico e relazionale: è quindi un dato indubbiamente sottostimato.

Sempre dall’indagine emerge che i tipi di necessità dei turisti con esigenze specifiche riguardano soprattutto aspetti collegati all’alimentazione (diete), intolleranze o allergie di tipo ambientali, necessità motorie o connesse alla sfera sensoriale.

Nel complesso le difficoltà che emergono come le più rilevanti sono: la reperibilità di strutture e del personale sanitario, l’accessibilità ai mezzi di trasporto ed ai servizi.

Dati più recenti, esposti alla fiera vicentina del turismo accessibile Gitando.All del 2011 da Angelika Laburda esponente dell’ENAT (la Rete Europea per il Turismo accessibile, di cui sia la CPD sia IsITT fanno parte), dicono che in Europa il mercato potenziale del turismo accessibile interessa 89 milioni di persone con disabilità. Tale dato non contempla le persone in condizioni di disabilità temporanea o i genitori che viaggiano con le carrozzine dei bambini e che possono avere lo stesso bisogno di accessibilità. Bisogna considerare che per alcune disabilità gravi, nella stima va contato un accompagnatore. Si arriva a una cifra di circa 127,5 milioni di persone. Indubbiamente è, aldilà di tutte le altre considerazioni, un bel mercato.

Occorre però sottolineare che parte di queste persone restano turisti potenziali non tanto perché rinunciano al turismo, perché ostacolati dalle condizioni di funzionamento del proprio corpo o dall’inaccogliente configurazione di spazi e servizi, quanto piuttosto perché non sono raggiunti da informazioni adeguate. E’ quindi importante, prima ancora di costruire un turismo accessibile, rendere accessibile le informazioni sull’offerta. 

E quanto alle mete preferenziali?

Dai dati dei progetti CARE “Città Accessibili delle regioni Europee” degli anni 2004-2006 e STARe (“Studio sulla domanda di turismo accessibile”, Indagine ENEA-ITER del 1999), le preferenze si dividono in parti abbastanza equilibrate: indicativamente il 35% per montagne e colline, il 35% per il mare e il 30% per le città d’arte. Quest’ultimo settore è certamente il più articolato e probabilmente il più avanzato per quanto riguarda l’accessibilità, che è innalzata dall’offerta museale, che – specie nelle realizzazioni più grandi e nei centri urbani – raggiunge buoni livelli di accessibilità delle strutture e dei contenuti. Sempre dalle indagini sopra citate emerge che sono considerati particolarmente importanti, e quindi in grado di influenzare le scelte, i seguenti aspetti, indicati come essenziali: la cordialità e la disponibilità delle persone, l’assenza di barriere architettoniche, i trasporti pubblici efficienti e accessibili.

Non si deve dimenticare che solo il 17% dei potenziali turisti con disabilità viaggia davvero; il rimanente 83% rappresenta il complesso dei turisti potenziali, che in taluni casi rinunciano a viaggiare per mancanza di informazioni sufficienti o adeguate sulla filiera dell’accessibilità nei vari momenti del viaggio: dalla preparazione, ai trasporti, al soggiorno, al ritorno. Come già evidenziato, è molto importante comunicare correttamente l’accessibilità, evitare di formulare giudizi, aggiornare costantemente, ricorrere a modalità comunicative differenziate e inclusive. E l’Istituto Italiano per il Turismo per Tutti (IsITT) si sta molto impegnando in questo senso.

Che cos’è l’ISITT e quali sono i suoi obiettivi?

L’Istituto Italiano per il Turismo per Tutti (IsITT) nasce per iniziativa della Consulta per le Persone in Difficoltà onlus di Torino (CPD) nel 2009, in virtù dell’esperienza maturata dalla CPD nell’ambito del turismo accessibile, e raccoglie l’importante eredità del progetto Turismabile, voluto dalla Regione Piemonte e realizzato dalla CPD.

IsITT vuole ampliare e mettere a frutto l’esperienza e la professionalità maturata dal gruppo di lavoro Turismabile, valicando i confini regionali per trasferire, a livello nazionale, l’approccio e la filosofia che stanno alla base del turismo per tutti e per diventare un punto di riferimento privilegiato nel campo del turismo accessibile.

IsITT è un’associazione di professionisti dell’accessibilità, della cultura, del turismo impegnati nella promozione di una nuova cultura turistica, attenta alle esigenze di tutti i turisti, per poter consentire a tutti l’accesso all’esperienza turistica

La filosofia dell’associazione è quella di porre al centro del sistema turistico il visitatore nella sua molteplicità di accezioni (bambino, anziano, famiglia, persona con disabilità fisica, motoria, sensoriale, cognitiva, con disagio relazionale, con disturbo psichico, con pluridisabilità, con problemi alimentari, con allergie, con patologie croniche etc.) che, anche in presenza di esigenze specifiche, ha il diritto di sviluppare un’esperienza turistica appagante e soddisfacente in condizioni di comfort, sicurezza, autonomia.

In quest’ottica IsITT propone una lettura in chiave accessibile dell’intero sistema turistico locale, ragionando e operando in termini di “catena dell’accessibilità”, perché è convinto che solo pensando e agendo in termini di “sistema locale” è possibile creare un territorio e un’offerta turistica realmente fruibile da tutti.

IsITT opera su alcune prioritarie aree d’intervento prioritarie: promozione della cultura dell’accessibilità e formazione; studi e ricerche nell’ambito del turismo per tutti; consulenza nella progettazione e nell’adeguamento dell’esistente a requisiti di accessibilità, fruibilità, benessere, sicurezza; rilevamento, verifica e comunicazione dell’accessibilità delle strutture e dei servizi della filiera turistica.

L’attività di IsITT si colloca in un contesto più ampio di iniziative gestite dalle istituzioni locali?

Una collaborazione di IsITT è quella con le Agenzie di Accoglienza e Promozione Turistica Locale (ATL) del Piemonte.

In particolare le attività di IsITT per lAgenzia Turistica Locale Turismo Torino e Provincia (TTP) sono state:

–     organizzazione e realizzazione di momenti formativi per il personale degli uffici di Informazione e Accoglienza Turistica di Torino e Provincia con l’obiettivo di fornire gli elementi base per potersi relazionare in modo efficace e professionale con turisti con disabilità e con esigenze specifiche;

–       redazione del manuale “Accoglienza in tutto e per tutti” per fornire uno strumento di supporto agli operatori del comparto turistico con suggerimenti, riflessioni e consigli per migliorare l’ospitalità dei turisti con esigenze specifiche;

–       verifica dell’accessibilità di una serie di itinerari urbani (“La tua prima volta a Torino: il Giro città”, “1861 Torino capitale d’Italia”, “Torino a spasso per le botteghe d’autore”, “Torino golosa”, “Passeggiate sotto le luci”) ed extraurbani. Ogni itinerario parte da una check-list molto dettagliata, che considera esigenze differenziate (fisiche, motorie, visive, uditive, cognitive etc.), successivamente viene descritto in modo molto dettagliato, ricorrendo anche a immagini, per consentire a qualsiasi persona, a persone con disabilità, a persone con esigenze specifiche, di autodeterminarsi, facendo un’autovalutazione del livello di fruibilità del percorso,

Numerosi sono i servizi e i prodotti realizzati da TTP per rendere Torino e la sua provincia turisticamente fruibile da parte di persone con disabilità:

–       interventi sul portale www.turismotorino.org per migliorare l’accessibilità e renderlo più facilmente fruibile per tutti, comprese le persone non vedenti;

–       informazioni sul sito su attività, attrazioni, itinerari in città e in provincia verificati per l’accessibilità e sulle strutture ricettive aderenti al progetto “Turismabile” della Regione Piemonte;

–       possibilità di scaricare, sempre dal sito, mappe tattili di itinerari del centro storico, stampabili in tecnica stereocopy (nota come Minolta);

–       dotazione, negli uffici di Informazione e Accoglienza Turistica, di mappa visivo-tattile del centro città, consultabile sempre con stampa in rilievo utilizzando la tecnica ad adduzione: in quadricomia per i disegni e i testi visivi; in rilievo trasparente per i disegni in rilievo e per i testi in braille;

–       sono in progetto la realizzazione di video in Lingua dei Segni in italiano e in lingua dei segni internazionale e mp3 descrittivi dei principali punti della città scaricabili fotografando i Tag. La tecnologia di barcoding è stata introdotta a livello turistico con il concetto di Smart City nel marzo 2010 con il primo progetto internazionale di mobile tagging applicato ad una città: a Torino. Il progetto è stato premiato con il primo premio nella categoria Interactive ai Digital Experience Award 2012;

–       si sta sviluppando un progetto pilota sui due punti taggati di piazza Castello e Museo del Cinema di Torino, per consentire a, attraverso il semplice sfioramento del tag, di fruire dei contenuti audio in maniera semplificata, con device NFC (Near Field Communication).

TTP in collaborazione con IsITT e con altre tre realtà operanti nel campo del turismo accessibile, ha istituito un tavolo di lavoro denominato “Destinazioni turistiche accessibili” con l’obiettivo di realizzare uno strumento di valutazione dell’accessibilità di una destinazione, definendo parametri e criteri.

Quali criteri sono stati individuati per definire “accessibile” una destinazione turistica?

Innanzitutto l’obiettivo è quello di capire se una destinazione turistica dell’area torinese può essere definita accessibile, e con quale livello di accessibilità, in tutti gli elementi che costituiscono l’esperienza turistica, tenendo presente due elementi particolarmente problematici: che non esiste una univoca definizione delle necessità del turista con disabilità e che la definizione di territorio accessibile non è standardizzabile e quindi non è facilmente comunicabile in maniera trasparente e obiettiva.

Possibilità di accesso alla comunicazione, accesso ad ambienti, accesso all’esperienza e alle attività, accesso a mezzi trasporto, accesso a mobilità pedonale, accoglienza, completezza dell’offerta, inclusività, possibilità di scelta, sono i principali elementi ovvero i requisiti da analizzare per descrivere e valutare l’accessibilità di una destinazione turistica. Il numero di requisiti è variabile da attività ad attività costituente la filiera turistica.

Ma quali sono le “destinazioni turistiche” dell’area torinese? TTP ha individuato, per il territorio di Torino e provincia, otto destinazioni turistiche in base sia a caratteristiche di omogeneità geografica e morfologiche, sia alla presenza di significative attività o memorie caratterizzanti quel determinato territorio, ad esempio l’attività produttiva, lo sport invernale della montagna, le tracce e gli itinerari devozionali, l’architettura barocca:

Queste sono le “destinazioni turistiche”. L’obiettivo è quello di dare un’indicazione di base al turista circa il livello di accessibilità di una destinazione per permettere un’autovalutazione da parte di qualsiasi turista con disabilità o con esigenze specifiche. Infatti non basta solo disporre di una catena di risorse turistiche accoglienti e accessibili, occorre anche farle conoscere, mettendo a disposizione del pubblico gli strumenti per informarsi, per conoscere e quindi per poter utilizzare e fruire agevolmente quel territorio e le sue offerte.

Una classificazione molto interessante.

Non ci si è fermati solo a questo, ovvero alla definizione delle otto macro-aree urbane ed extraurbane e ai requisiti che concorrono all’accessibilità.

Sono state individuate e classificate, in base alla loro importanza per il turista, gli elementi, che caratterizzano l’esperienza turistica di un luogo, ovvero i diversi “anelli” che devono essere accessibili per poter formare la “catena dell’accessibilità turistica”.

Tali aspetti sono: informazioni, raggiungibilità della destinazione, mobilità durante il soggiorno, ricettività, ristorazione, attività significative per il turista (raggruppate in dieci macro-attività dai musei allo sport allo shopping, alle emergenze storico-architettoniche), attività caratterizzante la “specifica” destinazione turistica (tale attività va ricercata all’interno delle dieci macro-attività prima individuate), servizi turistici, servizi sanitari, servizi generali qualificanti.

A ogni elemento sono stati associati alcuni dei requisiti, prima citati, relativi all’accessibilità: per ogni requisito sono state individuate delle diverse soglie di soddisfacimento, che concorrano al livello finale di accessibilità.

Ad esempio: si prenda l’elemento che costituisce la fase iniziale dell’esperienza turistica ovvero la ricerca di “informazioni”, che è utile e indispensabile per la preparazione del soggiorno.

Per tale fase è richiesto il soddisfacimento di tre requisiti: accessibilità dell’informazione, efficacia dell’informazione, diffusione delle informazioni su accessibilità.

Il requisito “accessibilità dell’informazione” è stato suddiviso in quattro modalità di soddisfacimento, ciascuna con un diverso “valore”, ovvero livello di soddisfacimento, che va da una soglia bassa a una soglia alta: accessibile con proprio mediatore; accessibile con mediazione dell’operatore turistico; accessibile in autonomia ma solo parzialmente e/o per una sola disabilità; accessibile in autonomia per tutte le disabilità. Si sottolinea che la valutazione di accessibilità vuole essere di tipo sintetico cercando gli elementi di unione, di contatto, di conciliazione e di compatibilità tra diversi tipi di disabilità, partendo almeno da quella visiva, uditiva, fisico-motoria.

Quindi ogni soglia è progressiva, parte da un livello minimo di accessibilità e procede con maggiori innalzamenti di accessibilità: la soglia più alta contiene tutte le richieste presenti nei livelli inferiori.

Il passo successivo consisterà nella verifica della “griglia” individuata in uno specifico territorio, per capire le sue effettive possibilità di applicazione generalizzata, le difficoltà, i limiti, le carenze.

LAgenzia Turistica Locale Turismo Torino e Provincia (TTP) presenterà nel dettaglio questa iniziativa e pubblicherà il “Manuale di valutazione della destinazione accessibile”.

Di quali tipi di disabilità si è tenuto conto?

Si è cercato di tenere conto delle problematiche relative a varie forme di disabilità ed esigenze particolari e specifiche: ad esempio le esigenze di persone con problemi alimentari e ambientali, le persone che richiedono attenzioni e accorgimenti in relazione alla loro fase evolutiva (ad esempio i bambini), le persone con maggior fragilità fisica, sensoriale, psicologica (come le persone molto anziane), le persone con ridotta/impedita capacità fisica e motoria, le persone con ridotta/impedita capacità sensoriale (visiva, uditiva) e cognitiva.

Si è notato che molte esigenze non sono riconducibili unicamente a un tipo di disabilità, ad esempio aspetti connessi a orientamento, comprensione, ritenzione delle informazioni, riconoscimento spaziale, capacità di affrontare e risolvere problemi, riconoscimento del pericolo etc. possono riguardare sia esigenze percettive e cognitive connesse a disabilità fisiche e sensoriali, sia esigenze specifiche, come quelle di bambini (difficoltà a riconoscere e valutare pericoli) e di anziani (non valutazione corretta di situazioni di pericolo).

Dalla sua esperienza e grazie alla forza dell’entusiasmo che si percepisce immediatamente sentendola parlare di questa attività, che cosa si sente di consigliare a una famiglia con un ragazzino disabile che deve organizzare le sue vacanze?

Di scegliere in base al desiderio e al gradimento della famiglia e del bambino/a: scegliere una destinazione o parte di una destinazione (come un albergo) solo perché accessibile non è sufficiente, non funziona. Questa riflessione parte dalla semplice considerazione che le persone con disabilità si muovono esattamente come tutti i turisti, ossia seguendo le proprie aspirazioni, passioni, curiosità e interessi oltre che disponibilità economiche: l’esperienza turistica è infatti sempre la stessa, c’è una fase di preparazione e di visita.

In presenza di un bambino/a con disabilità la famiglia ne deve ascoltare i desideri per organizzare la vacanza e, nel momento della scelta, deve essere attenta anche alla presenza di attività effettivamente fruibili. Ad esempio: un parco gioco offre delle attrattive realmente utilizzabili in sicurezza da bambini con disabilità? Un museo dispone di attività educative e ricreative calibrate anche per bambini con disabilità, dà la possibilità di percorsi brevi e agevoli, si possono toccare alcune opere, la caffetteria è accessibile e così via?

E’ assolutamente indispensabile informarsi, informarsi e ancora informarsi.

Serve un’informazione corretta, affidabile, analitica e quindi l’utente non deve stancarsi di chiedere, chiedere e pretendere, ovviamente con garbo ed equilibrio, di avere descrizioni dettagliate e precise.

Purtroppo la tanto declamata accessibilità sovente è solo un’accessibilità da normativa e molte volte è realizzata con un’interpretazione riduttiva e al ribasso delle normative tecniche per l’accessibilità. Non vengono considerate, ad esempio, le lunghe distanze da percorrere a piedi, ci si può trovare in presenza di accessi secondari difficili da individuare, faticosi da raggiungere, non segnalati.

L’informazione può avvenire, in prima istanza, attraverso i numerosi canali: dai siti web delle associazioni che si occupano di turismo accessibile a quello delle associazioni a difesa e tutela delle persone con disabilità, a quelli degli enti preposti al turismo.

Non basta il “passa parola” relativo all’accessibilità, che spesso è utile, ma non è sufficiente, sia perché le situazioni cambiano rapidamente, sia perché qualsiasi valutazione è sempre calibrata sulle esigenze particolari, specifiche, individuali di quella persona che esprime il giudizio. Ci sono molte fonti, dai siti web degli enti che ho già citato a quelli di varie associazioni. Ma sono importanti, a volte indispensabili i contatti diretti per capire quanto le proprie specifiche esigenze individuali possono essere soddisfatte. A volte la mancata soddisfazione di bisogni, che possono sembrare banali, può “rovinare” una vacanza. Basti pensare a una porta troppa stretta, che non permette di far passare una carrozzina per usare uno spazio comune, alla inadeguata disposizione dei sanitari nei servizi igienici (è sufficiente poco, non servono quasi mai sanitari speciali!), fino alle caratteristiche di forma del letto per consentire di avvicinare un sollevatore e di poterlo usare.

Adesso che ci ha aiutato a capire finalmente l’accessibilità, una piccola confidenza. Qual è la sua immagine dell’accessibilità ideale?

Spesso uso una battuta: L’accessibilità perfetta non esiste; così come non esiste il compagno o il marito ideale! E per fortuna che non c’è la perfezione, perché così c’è sempre spazio per entrare in relazione al fine di migliorare, modificare, accomodare, mediare.

 

Area Onlus ringrazia Eugenia Monzeglio

Le agevolazioni fiscali per la persona con disabilità e chi la ha fiscalmente a carico sono numerose e articolate.

Precisiamo innanzitutto la terminologia fiscale.

Il concetto di “fiscalmente a carico”

Una persona si considera fiscalmente a carico di un proprio familiare quando il suo reddito personale complessivo è uguale o inferiore a 2.840,51 euro lorde.

Soltanto i figli di età non superiore a 24 anni, dal 1° gennaio 2019, sono considerati a carico se il loro reddito personale complessivo lordo non supera 4.000 euro.

Quali sono le differenze fra Deduzione e Detrazione?

La deduzione e la detrazione rappresentano due modalità diverse per riconoscere agevolazioni fiscali.

Con la deduzione si ottiene una base imponibile ridotta rispetto al reddito complessivo: ovvero, l’importo su cui pagare l’IRPEF è ridotto.

Per esempio, se il reddito lordo è di 20.000 euro, ma spetta una deduzione di 1.200, l’IRPEF si calcolerà su un reddito di 18.800 euro (20.000-1.200).

Con la detrazione si ottiene, invece, un abbattimento dell’Irpef lorda pari ad una determinata percentuale dell’onere detraibile.

Per esempio: dobbiamo al Fisco 1.000 euro di IRPEF; abbiamo speso però 1.000 per lavori di ristrutturazione, su cui ci spetta il 50% di detrazione: dovremo al Fisco non 1.000, ma 500 euro.

Sia per gli oneri deducibili che detraibili il Fisco generalmente pone delle soglie entro le quali riconoscere le agevolazioni fiscali, ovvero un massimo di spesa sulla quale può essere riconosciuta l’agevolazione fiscale.

In alcuni casi (come per le spese sanitarie) il Fisco fissa anche delle franchigie entro le quali non è riconosciuta l’agevolazione.

Per esempio, a fronte di una spesa sanitaria di 1.129,11 euro, la detrazione del 19% si applica su 1.000 euro, poiché l’agevolazione spetta sulla parte di spesa che supera 129,11 euro.

Alcune spese sanitarie godono della detrazione senza franchigia: leggi quali

Le agevolazioni fiscali per persone disabili

Quali sono le detrazioni per persone con disabilità?

Le agevolazioni fiscali previste per la persona con disabilità riguardano:

Veicoli:
-detrazione Irpef del 19% della spesa sostenuta per l’acquisto e/o l’adattamento
-Iva agevolata al 4% sull’acquisto
-esenzione dal bollo auto
-esenzione dall’imposta di trascrizione sui passaggi di proprietà
Ausili e sussidi tecnici e informatici
-detrazione Irpef del 19% della spesa sostenuta per i sussidi tecnici e informatici
-Iva agevolata al 4% per l’acquisto dei sussidi tecnici e informatici
-detrazioni delle spese di acquisto e di mantenimento del cane guida per i non vedenti
-detrazione Irpef del 19% delle spese sostenute per i servizi di interpretariato dei sordi
•  Barriere architettoniche (detrazione Irpef)*
•  Spese sanitarie e di assistenza personale (Deduzioni e detrazioni)

Agenzia delle entrate, “Guida alle agevolazioni fiscali per disabili

Aggiornato al: 24-1-2023

Alcuni recenti decreti prevedono la possibilità di “buoni viaggio”, in taxi o tramite servizi a noleggio con conducente, a tariffe ridotte del 50%. Sono i Comuni a definire quali soggetti rientrino nell’agevolazione, attraverso dei bandi specifici. L’importo del voucher, in ogni caso, non può superare le 20 euro per ogni corsa.

In quali città sono attivi i Buoni taxi per disabili?

Sul Comune di Torino il servizio “Buoni Taxi” esiste da molti anni; viene effettuato tramite taxi e minibus attrezzati. E’ rivolto ai Torinesi di età superiore ai 2 anni, con grave disabilità motoria o ciechi assoluti.

Per presentare richiesta occorre fare riferimento all’ufficio Buoni Taxi, entrando così in una lista di attesa.

Successivamente l’ufficio stesso invierà a casa vostra una lettera di convocazione alla visita da parte della Commissione Taxi, oppure la conferma del diritto ai Buoni, quando dalla documentazione medica allegata alla domanda (in particolare dal verbale di invalidità civile con diagnosi) risulti evidente il possesso dei requisiti.

Consulta la scheda dei Buoni taxi a Torino

 

Per verificare se il servizio Buoni taxi o Buoni viaggi sia attivo sul tuo Comune di residenza, cerca su Internet “Buoni viaggio” + il nome del Comune in cui risiedi, oppure informati presso l’Ufficio Relazioni con Pubblico del tuo Comune

A titolo esemplificativo riportiamo le schede relative ad alcune città italiane.

Cuneo prevede i buoni per residenti di età maggiore di 18 anni con i seguenti requisiti:

  1. avere un’invalidità civile pari al 100% e trovarsi in situazioni di difficoltà motoria certificata dall’ASL, oppure essere in possesso di attestato di cieco assoluto;
  2. essere in possesso di un reddito annuo complessivo del nucleo famigliare convivente inferiore a € 36.151,98 (con esclusione di pensione di invalidità ed assegno di accompagnamento).

Consulta la scheda dei Buoni taxi a Cuneo

A Piacenza i buoni taxi sono previsti per “invalidi totali oppure sottoposti a chemioterapia e in attesa della certificazione d’invalidità” con reddito lordo inferiore a 8.000 euro per i pensionati e a 10.000 euro per i lavoratori.

Consulta la scheda dei Buoni taxi a Piacenza

Trento prevede i buoni taxi per

Consulta la scheda dei Buoni taxi a Trento

Bolzano le persone con disabilità superiore al 67% residenti nel Comune di Bolzano e in possesso della tessera “Taxi Mobility” hanno diritto a un rimborso di 3 Euro sul prezzo di ogni corsa in TAXI effettuata da soli o accompagnati, in qualsiasi giorno della settimana (compresi domenica e festivi) dalle 00:00 alle 24:00, per un massimo di 60 buoni l’anno

Consulta la scheda dei Buoni taxi a Bolzano

 

Molti Comuni sono in attesa che il Parlamento approvi i fondi per il 2023

 

Aggiornato al 20-7-23

Marina Sutelli è autrice di libri per bambini. Con il marito Fabrizio Barbero, designer,  ha creato nel 2007 il marchio B edizioni design (http://www.bedizionidesign.it) per realizzare libri e applicazioni multimediali per bambini, ma anche laboratori e progetti di comunicazione rivolti alle aziende che realizzano prodotti e servizi per l’infanzia.

Come racconterebbe se stessa, Marina Sutelli?
Sono un operatore sociale e sento di appartenere profondamente a questo ambito. Mi occupo da molti anni di comunicazione sociale con qualche digressione nel campo della formazione. Credo sia stata la mia voglia di comunicare, condividere significati e cercare ciò che si cela dietro alle apparenze a guidarmi verso l’attività editoriale. Gli studi universitari (sono laureata in storia dell’arte) probabilmente spiegano l’interesse per il linguaggio figurativo.

E’ nata prima la Marina Sutelli autrice o editrice?
Prima l’autrice. E comunque non ci riteniamo editori: infatti siamo esclusivamente editori di noi stessi.Tutto è iniziato pensando di voler realizzare un libro, il nostro primo Un albero è e dopo avere cercato editori disponibili a scommettere sul nostro progetto abbiamo compreso che solo noi potevamo far nascere, vivere e far comprendere il senso delle nostre idee editoriali. Dalla progettazione alla produzione il passo è stato breve seppur complesso.

Ed è nato prima il testo e poi il disegno?
I nostri libri nascono da un’idea complessiva e organica. Non c’è un prima e un dopo, ma un “insieme”, un “durante”. In fondo cerchiamo di ricreare quello che nella realtà accade. Pensiamo, ad esempio, alle emozioni che ci suscita un albero a cui spuntano le prime foglie primaverili: osserviamo l’albero e le sue piccole foglie, i colori e la consistenza, ma nel nostro cervello contemporaneamente si struttura l’architettura testuale di questa esperienza. La semiologia lo ha teorizzato ma il design ha applicato tale visione al progetto, facendola divenire un vero e proprio metodo.

Voi citate spesso come maestro e fonte di ispirazione Bruno Munari
Bruno Munari sicuramente sì, ma soprattutto per il suo costante impegno divulgativo e pedagogico. Più che ai maestri pensiamo sia utile guardare alle esperienze e ai “prodotti” creativi. Ad esempio Piccolo blu e piccolo giallo è uno dei libri più straordinari per la sua poesia e per la sua forza narrativa. Sa mettere in forte relazione testo, immagine e contenuto. In questo senso il lavoro di Leo Lionni è un grande esempio. Così come Piccolo uno sa raccontare il legame tra gli esseri senza ricorrere necessariamente a un personaggio umano: Ann e Paul Rand hanno saputo mettere insieme più e diversi messaggi e finalità, utilizzando armoniosamente sia il linguaggio sia l’immagine. Le ispirazioni sono quindi innumerevoli e non necessariamente passate o colte.

Fate design per adulti e poi avete iniziato la serie per bambini (quella degli strumenti per misurare il mondo). Fate libri per bambini … a quando i libri per adulti? O per i libri non è il caso di fare una distinzione così netta, sempre pensando a Munari?
Infatti per noi non dovrebbe esserci alcuna distinzione. Ci pare più interessante proporre un percorso emotivo dove l’adulto accompagna il bambino ma, contemporaneamente, l’adulto è accompagnato dal bambino. Chi sta con i bambini e sa mettersi all’altezza dei loro occhi sa che il mondo assume colori, forme, odori e significati particolari: in alcuni casi sconosciuti, in altri dimenticati, talvolta ancora presenti. Leggere insieme quindi fa bene perché mescola le emozioni e i saperi. Ma anche il fare insieme fa bene per gli stessi motivi. È per questo che i nostri libri non raccontano storie ma cercano di offrire spunti per riflessioni, sperimentazioni e per condividere chiavi di lettura alternative. Facciamo un esempio: quanto vale un numero? Questa è una domanda che ci ha posto Francesco, nostro figlio, quando aveva 4 anni. In realtà ci chiese: “4 è tanto o poco?” Questa domanda semplice ci fece comprendere quanto si dia per scontato il valore dei numeri, soprattutto da parte delle persone adulte. Abbiamo cercato di trovare una chiave di lettura attraverso il nostro libro 3 è tanto o poco?, una lettura che può funzionare per tutti, e che in alcuni casi, può stupire o divertire o intenerire.

Area Onlus ha appena concluso Vietato Non Sfogliare. Nella vostra attività avrete senz’altro preso in considerazione la questione dell’accessibilità dei libri?
Certamente, anche se non realizziamo libri speciali. Sappiamo infatti quanto siano importanti ma siamo anche consapevoli della loro complessità. Cerchiamo però di porre attenzione e cura ai requisiti della fruibilità e accessibilità. Ci ha fatto pertanto un grande piacere essere stati segnalati in Illustrazioni accessibili – Segni e cuori vicini alla disabilità – Selezione di illustratori vicini al tema del “diversamente abile”, a cura di Gabriella Sperotto – Progetto EASYLI – marzo 2010. Il nostro impegno è quello di utilizzare immagini sintetiche, tratte dalla cultura grafica contemporanea, immagini elaborate con il computer, spesso contaminate con altri linguaggi come la fotografia. Queste scelte in alcuni casi hanno fatto storcere il naso a chi pensa che i libri per bambini debbano essere commentati da illustrazioni realizzate con strumenti tradizionali. Per qualcuno ci sono immagini di serie A e immagini di serie B: il pennello sta nella serie A e il computer nella serie B. Chissà dove si collocano le serie dei multipli fotocopiati da Munari…

Altre vostre particolarità e attenzioni: testi non solo narrativi, attenzione a ogni parola e a ogni segno della scrittura, costante blinguismo
Speciale è una parola interessante. Cosa c’è di speciale intorno a noi? Forse quello che passa inosservato, che vediamo tutti i giorni ma che tendiamo a non osservare con attenzione. Può diventare davvero speciale un bottone e la sua piccola storia e se apriamo una scatola di bottoni possiamo scoprire la storia di tutta una famiglia, cani compresi. Ma sono speciali anche le virgole, gli apostrofi e tutta la punteggiatura che nella loro apparente insignificanza e piccolezza danno senso e musicalità ai nostri discorsi. I due esempi sono riferiti ai nostri libri Attacchiamo bottone e Ma che fine hanno fatto. Vorrei infine ricordare che in molti dei nostri libri il testo è bilingue, italiano e inglese, anche in questo caso per offrire ai bambini percorsi di apprendimento multipli e complementari.

Quale testo vorreste dedicare ad AREA?
L’ultimo pubblicato, intitolato Con te/With you. Un libro nel quale abbiamo tentato di rappresentare i tanti e diversi modelli di famiglie a partire dal presupposto che “…possiamo fare tante cose ma quelle più belle e divertenti le facciamo con chi stiamo bene, con le persone a cui vogliamo bene e che ci vogliono bene.” Le famiglie sono quelle di tutti i giorni, ma nel nostro libro sono raccontate in un giorno di festa. “Ogni giorno è un giorno importante, ma quando è festa quel giorno diventa speciale. I bambini non vanno a scuola e tutti fanno qualcosa insieme: si gioca, si fanno gite, si legge, si riposa, si va al cinema, c’è tempo per perdere tempo”. Ognuna di queste famiglie, una per ogni ora della giornata, racconta il suo momento speciale e il suo stare insieme in modo speciale. Tante relazioni ma tutte basate sull’amore e sulla reciprocità, sullo stare “Con te”: la giornata inizia con una bambina e il suo papà ai quali manca il latte per la colazione e finisce con una mamma che augura la buona notte alla sua bambina disabile. È difficile raccontare la normalità con rispetto, semplicità e leggerezza.

Direi che questo libro è un ottimo esempio di modi di essere che spesso richiamate come “garbo” o “equilibrio”, parole preziose ma a volte un po’ dimenticate…
Il problema è che il garbo e l’equilibrio richiedono un continuo esercizio e quindi fatica. Non siamo noi a poter giudicare se riusciamo a mantenere fede a tali presupposti, certamente è d’aiuto evitare la sovrapproduzione. Tanti libri, tante parole, tante immagini portano a un troppo; lavorare più per sottrazione e complementarietà che per addizione e contrapposizione può aiutare “l’esercizio dell’equilibrio”.

Per concludere una vostra citazione che, credo vi descriva bene: “Ci piace pensare a un mondo fatto di e più che di o, a possibilità anche diverse che convivono: il serio e il ludico, l’adulto e il bambino, la persona e il gruppo, le parole e l’immagine, il computer e la matita, il file e la carta, e… e…”
I progetti più belli sono quelli che realizzano i bambini nelle attività di laboratorio. Vorrei ricordarne due.
Nel 2008 in occasione dell’iniziativa Torino capitale mondiale del design abbiamo realizzato in alcune scuole materne cittadine un laboratorio con relativa mostra finale intitolata “La tavola delle meraviglie”. In quell’occasione un bambino ha disegnato un cucchiaio bucato per mangiare la minestra.
Quest’anno con diverse classi seconde della scuola primaria di Torino e provincia abbiamo organizzato un laboratorio, in collaborazione con Flik Flak di Swatch Group, il cui tema è stato “Misurare il tempo – L’orologio della mia camera”. Un bambino ha costruito un aeroplano con le due eliche formanti i quadranti di un orologio (uno per le ore l’altro per i minuti), sulla carlinga ha scritto “Il tempo vola”. Credo che questi due esempi possano farci comprendere quali potenzialità creative riserva il mondo dell’infanzia. Grazie ad AREA per questa occasione di confronto.

Area Onlus ringrazia Marina Sutelli

Dal 15 giugno riapriranno i centri estivi in Piemonte.

La Città di Torino ha una lunga tradizione nel settore del tempo libero estivo. Il fulcro del progetto educativo “Estate ragazzi” sono le attività incentrate su un percorso in grado di stimolare la voglia di esplorare, di ricercare e provare.

Tutti i centri estivi sono aperti con orario continuativo fino alle 17,00 nel periodo giugno – luglio. “Estate Ragazzi” prevede anche un soggiorno marino a Loano, della durata di due settimane per ragazzi dai 6 agli 11 anni, frequentanti la scuola elementare e residenti in Torino (in caso di disponibilità, sono accettate anche richieste provenienti da non residenti).

Comune di Torino – Centri estivi

Pet therapy: Associazione Rubens – La relazione che cura
Opera nel campo degli Interventi Assistiti con gli Animali, in particolare attraverso la Riabilitazione Equestre

 

R-Estate con noi!
Associazione Disincanto. Presso le aree verdi in via San Marino 10 – All’interno della Ludoteca Neverland
Dall’11 al 29 Giugno (weekend esclusi) – Dalle 8.30 alle 16.30
Nell’arco della giornata verranno proposti laboratori organizzati e tenuti da volontari e specialisti

Dinamo camp, in Toscana ospita gratuitamente bambini e ragazzi dai 6 ai 17 anni con patologie gravi e croniche sia in terapia che in fase di post ospedalizzazione.

Insuperabili

Insuperabili promuove la crescita e l’inclusione delle persone con disabilità all’interno della società attraverso lo sport del calcio e organizza centri estivi altamente inclusivi

Non vedenti

La Fondazione Lucia Gauderzo promuove nel periodo estivo la Summer school per bambini e ragazzi non vedenti.

Leggi anche: “Funivie accessibili” (pp. 36 e 37  di Superabile magazine n. 36/2016)

 

Ultimo aggiornamento: 12/6/2020

Marie-Aude Murail è una scrittrice francese amatissima dal pubblico dei lettori più giovani. Nata a Le Havre nel 1954, è cresciuta in una famiglia di letterati (padre poeta, madre giornalista, fratello e sorella famosi scrittori). In Francia, in vent’anni, ha pubblicato più di settanta titoli tra racconti, novelle, opere teatrali, romanzi d’amore, d’avventura, fantastici e polizieschi, in buona parte tradotti in Italia. Tra questi spicca Mio fratello Simple, esilarante e commovente romanzo dedicato alle avventure di un ragazzo con ritardo mentale.

I suoi libri sono spesso caratterizzati da tematiche forti e talvolta coperte da tabù. Da cosa nasce questa scelta?
La scelta nasce da due ragioni La prima è che non mi piace parlare senza aver nulla da dire, cosa che mi rende una persona piuttosto silenziosa nella vita quotidiana. La seconda è che ho bisogno di una forte motivazione per scrivere. La grossa quantità di cose scritte e pubblicate mi deprime! Perché ingrossare questa marea che sommerge ogni anno le librerie? Per superare questa specie di scoraggiamento devo trovare un personaggio con il quale io abbia molta voglia di identificarmi (e in questo caso, sarà un personaggio marginale) o una tematica sulla quale mi paia importante, vitale,  urgente, dire qualcosa ai giovani (e in questo caso, sarà quasi sempre un tema scomodo o serio).

Quale percorso di avvicinamento, approfondimento e conoscenza deve compiere uno scrittore per arrivare a rendere in maniera così veritiera la realtà dell’handicap?
Qualunque sia il tema che affronto, mi domando in cosa mi riguardi e in quale maniera abbia a che fare con la mia vita. Se non mi tange in alcun modo, allora, con che diritto posso parlare di ritardo mentale, di omosessualità, di xenofobia, o di aborto? Certo, mi posso documentare e, d’altronde, è ciò che normalmente faccio. Ma è solo quando so in che maniera sono implicata che trovo le parole giuste e che posso incarnarle nei personaggi ai quali, in un modo o nell’altro, attribuirò una parte di me. Simple porta il mio cognome in disordine, essendo Maluri l’anagramma di Murail. Quando ho terminato la mia tesi alla Sorbona sull’adattamento dei romanzi classici per il pubblico infantile, ho detto: « Non vedo alcun inconveniente nel passare per una persona con ritardo. Ritardo nell’infanzia ». Simple è eternamente un bambino, in questo mi tocca. Identificarmi con lui mi è stato perciò molto… semplice.

Pensa che un libro come Simple  possa risultare utile per promuovere l’integrazione e l’attenzione all’handicap, sia in seguito a una lettura individuale sia in seguito a una lettura e un lavoro collettivi? Perché e in che maniera?
Ammetto di non aver scritto questo romanzo con un’intenzione sociale. Mi sono detta che mi sarei divertita con Simple, signor Migliotiglio e tutti i coinquilini del romanzo. Ero felice mentre scrivevo. E, in effetti, i lettori provano la stessa cosa, si divertono in compagnia del mio « idiota », diventerebbero volentieri suoi fratelli o suoi compagni. Mi dicono a volte che questo romanzo ha cambiato il loro sguardo sull’handicap e so che molti professori trattano il problema dell’integrazione sociale delle persone disabili appoggiandosi a questo libro o al telefilm che ne è stato tratto. Del resto, quando il telefilm è stato trasmesso in una fascia oraria dai grandi ascolti, è stato seguito da un programma molto bello nel quale disabili e genitori di disabili testimoniavano e raccontavano la loro vita.

In che modo il ricorso all’ humour può contribuire a trattare temi delicati come quello dell’handicap?
L’umorismo è un modo di guardare al mondo e un modo di vivere e, personalmente, mi è utile sia in quanto scrittrice sia in quanto madre. In Mio fratello Simple, l’umorismo permette di prendere in simpatia il protagonista mentre di solito qualsiasi voglia forma di differenza tende a fare a paura, tanto più ad un’età in cui si cerca fortemente di rientrare nella norma. Il film Quasi amici, che ha superato i tredici milioni di spettatori in Francia, mette in scena un uomo tetraplegico e il ragazzo che se ne occupa. Non c’è alcuna melensaggine in questo film, non c’è il minimo accenno alla pietà, il pubblico ride e esce di buon umore. Come dice  Romain Gary, che io cito nell’introduzione di Oh, boy!: « L’umorismo è una dichiarazione di dignità, un’affermazione della superiorità dell’uomo su ciò che gli accade».

Che tipo di reazioni ha suscitato Simple con la sua forza dissacrante e spesso al di sopra del politically correct? Ha avuto dei feedback da persone colpite da handicap o dai loro familiari?
Ho assistito alla prima del telefilm tratto dal mio romanzo in compagnia di giovani affetti da sindrome di Down e delle loro famiglie. Mi ricordo di una ragazza che durante la proiezione mi ha detto di essere contenta di questo sguardo positivo rivolto a Simple perché è qualcosa di formidabile e spesso molto divertente, il fatto di avere un fratello o una sorella Down… è proprio quello che ho voluto trasmettere con Mio Fratello Simple: il mio protagonista non è solo un fardello per coloro che lo circondano, ma può essere per loro anche un’occasione. Simple fa capire a Aria che ama Enzo, a suo fratello Kléber che è fatto per Zahra, rimette in riga la signora Sossio e le sue certezze, l’istituto e la sua disumanizzazione. La vita con Simple è complicata ma guadagna in verità. Nei miei romanzi, che sono classificati per ragazzi ma che sono di fatto letti e condivisi in famiglia, cerco di scardinare questa società che mette i bambini a scuola, gli anziani alla rottamazione, gli adulti a lavoro, i Simple negli istituti e, come nel bel titolo del romanzo di Anna Gavalda, cerco di farli vivere «Insieme, e basta »…

Area Onlus ringrazia Marie-Aude Murail

Immagine tratta da https://www.veleracconto.it/il-calendario/marie-aude-murail/

Andrea Gavosto direttore della Fondazione Giovanni Agnelli.

Andrea Gavosto commenta i risultati e le proposte del Rapporto “Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte”, elaborato in collaborazione con l’Associazione TreeLLLe e la Caritas Italiana e pubblicato nel giugno 2011 dalle Edizioni Erickson.

Dopo riforme, tagli e anche qualche normativa specifica, cosa offre oggi la scuola italiana a un ragazzo disabile?

L’offerta per lo studente con disabilità si gioca molto a livello locale. Dopo la pubblicazione del Rapporto ci hanno contattato la provincia autonoma di Trento, quelle di Bologna e Perugia e la Regione Calabria, dandosi disponibili a sperimentare in concreto alcune delle proposte contenute nel Rapporto. Penso in particolare all’attivazione dei Centri Risorse per l’Integrazione (CRI), strutture istituite a livello provinciale o sub provinciale che dovrebbero dialogare con la scuola al fine di dar vita a centri in cui sia presente un complesso integrato di servizi gestiti da professionisti e insegnanti ad alta specializzazione destinati a soddisfare le molteplici esigenze di famiglie e alunni con disabilita’ e bisogni educativi speciali. La Provincia di Trento è indubbiamente più avanti delle altre, avendo già un centro studi per i bisogni speciali. Oggi come oggi la lettura dei bisogni dei ragazzi avviene già all’interno del mondo della scuola, il problema è che sul territorio italiano non tutto funziona allo stesso modo. A nostro avviso a livello nazionale i tempi non sono maturi e l’esperienza locale non è quindi automaticamente estendibile: per questo è molto importante che la sperimentazione parta dal basso. La nostra idea è quella di provare a verificare il modello in in tre diverse realtà: Nord, Centro, Sud. Si partirebbe da Trento, dove già ci sono ottimi presupposti, per poi sperimentarlo in una realtà del centro Italia e infine al Sud, dove ha dimostrato un grande interesse la Regione Calabria. Il problema è che, data la complessità della situazione non solo scolastica, ma più in generale sociale, per un ricercatore diventa difficile semplificare a poche variabili questa complessità e ricavare un’informazione davvero affidabile sulla validità e riproducibilità del modello.

 

Una delle maggiori criticità che emerge dal Rapporto concerne la formazione degli insegnanti, con relative ricadute negative sulla loro professionalità. Ma questo “brutto voto” alla classe degli insegnanti non sembrerebbe tanto un atto di accusa alla categoria quanto un segnale di allarme sulla mancanza di investimenti ministeriali sulla formazione.

Il Ministero dell’Istruzione è l’unico datore di lavoro al mondo che non forma i propri dipendenti. Accetta che si formino per conto loro. In Italia si spende troppo poco da troppi anni per la formazione degli insegnanti. Dobbiamo però stare attenti a distinguere due tipi di formazione, quella iniziale e quella in itinere. Quanto alla formazione iniziale, la situazione non è drammatica. Per esempio per gli insegnanti delle primarie, il programma formativo prevede molti crediti sulla formazione dei ragazzi con bisogni educativi speciali. La sensazione è che si raggiunga un livello almeno sufficiente di formazione per garantire la professionalità dei futuri maestri o maestre. Meno soddisfacente risulta l’impostazione dei cicli superiori dove ha prevalso un’ottica direi disciplinaristica. Molto è’ frutto della Commissione Israel che inizialmente aveva dato pochissimo spazio ai crediti per la didattica; nella versione finale del progetto questa posizione è un po’ rientrata, anche se sopravvive ancora un approccio prevalentemente disciplinarista e una non sufficiente attenzione alla formazione delle competenze pedagogico-didattiche, necessarie per completare il profilo formativo di qualsiasi insegnante. La dimensione pedagico-didattica è’ stata a lungo troppo assente dai curricula formativi degli insegnanti delle secondarie, anche in ruolo: occorre riequilibrare le competenze degli insegnanti anche in tal senso. C’è una Commissione all’interno del Ministero che dovrebbe impostare il programma di studio. La nuova formazione iniziale sui bisogni educativi speciali è appena partita.

 

Si diceva della formazione in itinere…

Per quanto riguarda la formazione in servizio c’è un primo problema di carattere generale, dovuto al fatto che i risultati della formazione sono molto difficilmente misurabili. Sembra che gli insegnanti che ricevono una formazione non ne traggano un immediato beneficio. Ci sono mille spiegazioni, tra cui quella che la formazione è generica e non mirata. Si ha comunque la sensazione che tutto il problema andrebbe completamente reimpostato. Peraltro, l’esigenza di un aggiornamento è sentita a tutti i livelli. In ogni caso, è difficile attendersi da insegnanti con venti e più anni di anzianità un cambiamento drastico della metodologia didattica, peggio ancora pensare di imporre un passaggio dal metodo frontale tradizionale ad altri metodi alternativi. Questo vale anche e soprattutto per la didattica e la pedagogia speciale. Fino a qualche tempo fa il problema era circoscritto agli insegnanti di sostegno, ora coinvolge tutta la categoria, nel senso che ciascun docente deve potersi relazionare con allievi con bisogni educativi speciali. Senza contare che il concetto di bisogni speciali va inteso in senso molto ampio, estendendolo per esempio anche agli studenti stranieri. Si puo’ tranquillamente affermare che il concetto di normalita’ a scuola andrebbe superato. Ogni studente ha bisogni “speciali”, certo individualizzare l’insegnamento nel rispetto di un concetto di bisogno speciale individuale inteso in un’accezione così estesa è difficile e impegnativo. Ma o la scuola va in questa direzione rinunciando a riproporre esclusivamente l’insegnamento frontale, o ci perdiamo i ragazzi.

 

Che cosa in particolare potrebbe allontanarli dalla scuola? E se mai capitasse sarebbe un’occasione perduta per sempre?

Oggi i ragazzi fanno riferimento a modelli molto più vari, si formano su altro. Pensiamo per esempio agli strumenti della multimedialità, che fa sì che si sviluppino diverse forme di socializzazione. Lo iato tra la lezione frontale offerta a scuola e le opportunità nel mondo reale è enorme e in continua crescita. Con questo la scuola non deve adeguarsi ai social network in tutto e per tutto, non deve “diventare facebook”, ma qualche passo per rendersi interessante potrebbe farlo, ad esempio alternando strumenti diversi, dalla lezione frontale ai laboratori, dai computer  al cooperative learning. C’è un aspetto di frontiera del social learning per cui si impara facendo attivita’ sociale, secondo un modello molto affermato nel sistema anglosassone. Tra l’altro, questi strumenti potrebbe essere un’opportunità preziosa proprio per gli alunni con bisogni speciali.

 

Ma evidentemente questo non accade. Che cosa immobilizza gli insegnanti sulle loro posizioni?

Il corpo docente resiste per età, per formazione, ma soprattutto si ostina su una questione di principio: “la scuola è questa.” Di qui la resistenza ad adottare la gamma degli strumenti disponibili e la “difesa” del metodo tradizionale. Noi siamo ovviamente critici su questo atteggiamento; e per questo siamo stati recentemente attaccati da Giorgio Israel in un articolo de Il Giornale. Israel sostiene che le metodologie didattiche non tradizionali sono un disastro soprattutto nell’insegnamento matematico e scientifico. Noi abbiamo tenuto conto di questa osservazione e ci siamo posti e trattato il problema nel Rapporto sulla scuola 2011, focalizzato quest’ anno sulla scuola media.

 

Abbiamo parlato degli insegnanti e non dei ragazzi. Come sono gli adolescenti di oggi?  E a questo proposito una curiosità, anche se chiamarla curiosità è riduttivo: dal Rapporto emerge una netta differenza di genere nella prevalenza della disabilità delle difficoltà di apprendimento e comportamentali.  

Gli adolescenti vengono generalmente dipinti con toni molto più negativi di come sono nella realtà. Per quanto riguarda invece la diversità tra maschi e femmine cui accennava, effettivamente è consistente, ma non è stato possibile dare una spiegazione completamente soddisfacente. In molti casi, c’è il sospetto che le famiglie siano più restie a manifestare un problema nelle ragazze. Si tratterebbe più di una spiegazione culturale che biologica. Per esempio, un fenomeno per qualche verso avvicinabile nel mondo nella scuola, è il calo delle immatricolazioni universitarie delle ragazze negli ultimi anni, che non è coerente con il dato che il rendimento scolastico delle studentesse è notoriamente molto migliore di quello dei colleghi maschi. Abbiamo fatto un’altra ipotesi, ma se fosse vera sarebbe molto preoccupante: è quella che in un momento di crisi le famiglie siano orientate, dovendo scegliere, a investire meno per la spesa scolastica delle figlie.

 

Che accoglienza ha avuto il Rapporto? In Torino e in provincia o in ambito italiano?

A livello locale abbiamo raccolto relativamente pochi commenti. Ho partecipato a Rimini al convegno promossa dalla casa editrice Erickson. C’erano circa 3.000 insegnanti di sostegno. È comprensibile che possano non aver gradito alcune conclusioni del Rapporto, ma abbiamo chiarito le reciproche posizioni e alla fine su alcune cose ci siamo intesi. Abbiamo ricevuto sostanzialmente due tipi di critiche. I pedagogisti, anche quelli speciali, sono stati abbastanza critici sul Rapporto, ma direi in maniera un po’ accademica. Il messaggio era “Queste cose già le sappiamo.” Però secondo noi è importante che queste cose “risapute” vengano divulgate e discusse. Ed è il merito della nostra indagine. Gli insegnanti di sostegno hanno sollevato una difesa corporativa, ma in senso tutt’altro che deteriore. Il contenuto quasi costruttivo della critica era: “Mi preoccupo se a lungo a termine dovrà sparire la mia figura. Ma mi preoccupo, insieme a tutti gli insegnati e a tutto il mondo della scuola, utenza compresa, del fatto che un insegnante normale non ha la formazione per gestire una classe con alunni disabili o con bisogni educativi speciali. Spiegateci cosa fare.” L’altra grande preoccupazione della scuola è che la proposta dell’abolizione degli insegnanti di sostegno possa in questo momento essere strumentalizzata per ratificare dei tagli. Noi infatti scriviamo a caratteri cubitali che le risorse che sono quasi 4 miliardi non devono essere tagliati, anzi c’è un gran bisogno di spenderli bene. Ma ho l’impressione che il Ministero non sia indirizzato a tagliare su quel fronte. D’altra parte l’attuale sistema non è sostenibile. Già il 10% delle risorse è destinato al sostegno e con questa quota sono coperti i bisogni di circa 200.00 ragazzi, quelli certificati. Si tratta del cuore del problema, restano fuori i ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) che avrebbero bisogno di un aiuto altrettanto sostanzioso. E i giovani immigrati. Se seguissimo il criterio più ampio di cui abbiamo parlato prima, arriveremmo a un milione di ragazzi, il che rappresenta un costo insostenibile con l’attuale impostazione. Andare avanti così potrebbe davvero rappresentare la giustificazione per ritornare alle classi differenziali.

 

Qual è la sua impressione sull’impostazione che il nuovo governo darà al problema della scuola? Nel suo discorso programmatico Monti si e’ concentrato su due punti: la valutazione del sistema e il reclutamento e la carriera degli insegnanti. Sono punti importanti e l’impressione è che il nuovo governo non potrà fare molto di più in considerazione dei tagli alle risorse e alle altre priorità, finalizzati al risanamento dei conti economici. Il ministro Profumo ha già dichiarato che prevede un’attività di manutenzione intelligente. È ragionevole perché la scuola non può essere riformata ogni 6 mesi.

 

All’estero c’è un grande interesse per il modello italiano, molto avanzato da un punto di vista normativo (oltre 40 anni fa la legge 118 del 1971 ha sancito per gli alunni con disabilità il diritto alla frequenza delle classi comuni), la sensazione è che però la sua applicazione non produca gli effetti sperati.

La legge in effetti è molto civile. Ha collocato l’Italia tra i primi Paesi ad attuare l’integrazione degli alunni con disabilità in scuole e classi regolari e resta tra le migliori in Europa. Ma soffre sia del fatto che i principi una volta enunciati diventano intoccabili, sia del non aver trovato un’autentica applicazione nel mondo reale della scuola.La questione è tipicamente italiana: siamo grandi ideologi ma poco empirici, poco interessati a vedere se le cose spesso molto buone che costruiamo portano risultati.

 

Ci sarà un seguito al Rapporto 2011?

La realizzazione di questa indagine è andata di pari passo con quelle annuali sulla scuola che rappresentano ormai un appuntamento ricorrente per fotografare la situazione delle istituzioni scolastiche nel nostro Paese.  È stata un’attività molto intensa che difficilmente si può ripetere con cadenza ravvicinata, ma nello stesso tempo non si può ridurre a una singola occasione. La collaborazione con TreeLLLe e con la Caritas è stata molto stimolante e nello stesso tempo impegnativa. Il confronto fra punti di vista diversi è indubbiamente fruttuoso ma estremamente complesso. Progettiamo di realizzare in futuro documenti tematici e rapporti più snelli sulle sperimentazioni, ne stiamo appunto già parlando con la Provincia di Trento.

 

A proposito di punti di vista, che riflessioni ha suscitato in voi, attenti ed esperti osservatori della scuola, osservarla proprio dal punto di vista della disabilità?

È una particolarissima lente che aiuta a mettere a fuoco i limiti. Noi siamo ricercatori, guardiamo molto i numeri e gli aspetti di sintesi, ma dopo questa indagine abbiamo iniziato a capire che bisogna osservare da vicino il mondo della scuola, quasi entrare in classe e osservare il lavoro che si fa lì.Questo si ricollega al discorso già fatto sulla personalizzazione dei percorsi e sulla variabilità delle persone e dei bisogni educativi. Difficile, come abbiamo detto pensare a una scuola su misura per il singolo, ma avere in mente questo modello virtuoso male non fa.

 

Area onlus ringrazia Andrea Gavosto

Immagine tratta da https://2019.festivaltecnologia.it/ospiti/andrea-gavosto

Piergiorgio Maggiorotti ha per anni ricoperto incarichi di responsabilità nella ASL 1 in ambito di educazione sanitaria, servizi alle persone con disabilità, attività consultoriale e pediatrica. Attualmente è presidente pro tempore della FISH-Piemonte (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, www.fishonlus.it).

 

La carenza ormai strutturale di risorse economiche e le ulteriori strette degli ultimi provvedimenti allarmano anche per le conseguenze che potrebbero avere sulle disponibilità per l’assistenza e i servizi e ai disabili. Cosa c’è di vero o di sicuro ad oggi?
E’ presto per valutare con precisione e in dettaglio le ricadute che la manovra avrà sulle persone disabili e, specie se minori, sulle loro famiglie, ma c’è da aspettarsi una riduzione piuttosto drastica delle risorse con effetti sull’organizzazione dei servizi.
Per esempio, la manovra estiva diventata poi una prima volta legge, la n. 111 del 15 luglio e poi modificata con il decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011 prevede una serie di misure molto preoccupanti. Prevede tagli severi dei bilanci di Regioni, Province e Comuni nell’ottica del patto di stabilità tra stato ed enti locali, cioè nel rispetto di un insieme di regole che impedisce a questi ultimi di gestire i propri bilanci oltre certi limiti.
Tutto questo qualora entro il 30 settembre 2012 – recita la legge −  non siano adottati con la legge delega di riforma fiscale e assistenziale provvedimenti legislativi che riordinino la spesa in materia sociale tali da determinare effetti positivi non inferiori a 4.000 milioni di euro per l’anno 2012 e 20.000 per quelli successivi.

Ma pare di capire che il risultato finale, sarà sempre il risultato di una sottrazione.
Effettivamente, che siano tagli diretti, o che siano riduzioni sulle agevolazioni fiscali, agendo sulle detrazioni (cioè le agevolazioni fiscali che riducono l’imposta, per esempio la detrazione del 19% sulle spese mediche o sui trasporti con ambulanza) o sulle deduzioni (che agiscono invece sul reddito imponibile, come per es. quelle per i contributi previdenziali e assistenziali versati per colf o badanti), il risultato finale sarà comunque lo stesso: minore disponibilità.

Per l’esattezza la diminuzione sarà pari al 5% dal 2012 e al 20% dal  2013.

Se nel 2011 ho detratto 1000 euro per l’acquisto di un’auto, il prossimo anno potrò detrarre 950 euro, e 800 euro nel 2013. La differenza, su una pluralità di spese (eliminazione di barriere architettoniche in casa, adattamento di un’auto, spese mediche, figli a carico, mutuo, detrazione da lavoro dipendente…) può diventare un cifra  di importante, soprattutto per una famiglia.

La deduzione invece, agendo sull’imponibile, può far rientrare una famiglia che ha molte spese per l’assistenza (colf, badante) in uno scaglione IRPEF più basso. Se le deduzioni verranno abbassate del 20%, le famiglie che perderanno questo beneficio finiranno per pagare nel 2013 addirittura molte più tasse di quest’anno.
In un periodo di crisi ci si potevano aspettare misure meno penalizzanti per chi già ha maggiori spese a priori, come le famiglie con un componente disabile.
Le voci di spesa che più ne risentiranno saranno probabilmente i trasporti, l’assistenza sociale e sanitaria, oltre che la qualità complessiva dei servizi.

Questo per i criteri seguiti nell’operazione di sottrazione?
In buona parte sì. Per esempio, ritornando alle legge delega sulla quale si attende una decisione del governo, è prevedibile che sarà restrittiva e che uno dei suoi più grossi limiti sarà quello di non tenere conto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ma di agire sulla spesa tout court. Si intravede anche che alzerà i livelli degli indicatori di bisogno e modificherà il calcolo degli indicatori di situazione economica (ISEE).

Un quadro piuttosto cupo, di cui forse non c’è piena consapevolezza
Le famiglie non immaginano ancora cosa le aspetta, anche perché non sono sufficientemente informate. E questo è un grosso problema.
Le famiglie, e anche le associazioni di volontariato, devono conoscere un altro elemento nuovo e preoccupante della bozza di legge delega, che cita come suo obiettivo “la promozione dell’offerta sussidiaria di servizi da parte delle famiglie e delle organizzazioni con finalità sociali”. Si tratta di un clamoroso passo indietro dalla garanzia alla tutela delle situazioni di disabilità da parte delle istituzioni al ricorso alla beneficienza.

Ma informare e dare voce alle famiglie è un tipico compito delle associazioni?
Senz’altro, ma non è così facile diffondere le iniziative, il mondo del volontariato è molto frammentato. Questo nasce da un insieme di caratteristiche delle iniziative messe in atto nell’ambito della disabilità: una grande varietà di problemi e di bisogni, una relativa sfiducia nei confronti delle grandi e medie organizzazioni, una tendenza all’iniziativa individuale, spesso sulla spinta di un’esperienza personale con una forte componente emotiva.

Ma ci sono anche associazioni storiche e di riferimento?
A livello nazionale ci sono due associazioni storiche e di riferimento, quelle che poi di fatto vengono interpellate dalle istituzioni e che quindi hanno un certo peso. Sono, potremmo dire associazioni di associazioni, ciascuna con commissioni o uffici decentrati regionali o provinciali. Si tratta della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle persone con disabilità, www.anmic.it/Fand.aspx) e della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Entrambe si sono costituite nel 1994
In Piemonte ci sono poi il la Fondazione di promozione sociale (di cui è componente il Coordinamento Sanità e Assistenza) e la CPD (Consulta Persone in difficoltà). Un buon obiettivo sarebbe che almeno i coordinamenti di queste associazioni collaborassero tra di loro.

Qualche iniziativa recente o in atto che sarebbe utile diffondere anche attraverso il nostro sito?
Il CSA ha attivato una petizione che pur non avendo direttamente per oggetto le questioni di cui ho parlato prima, vi è strettamente legata. La petizione riguarda il fatto che attualmente non vengono garantiti alle persone non autosufficienti diritti già esigibili in virtù dei LEA, sanciti dal decreto del 29 novembre 2001. Secondo i LEA sono a carico delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) alcune prestazioni socio-sanitarie erogate ai disabili come quelle dei centri diurni (per il 70%), le attività di riabilitazione domiciliare (sempre per il 70%), il recupero semiresidenziale (per il 50%), ma tutto questo non è garantito. E’ immediato individuare nelle ASL la controparte omissiva, ma è una costante la loro risposta: i soldi non ci sono. Le responsabilità rimpallano praticamente all’infinito tra enti locali e governo centrale.
Comunque questa petizione è indirizzata ai parlamentari e tutti i cittadini possono sottoscriverla. C’è tempo fino al 31 dicembre 2013. Sarebbe un bel segnale un’adesione numerosa, espressione di quella capacità di azione congiunta tanto auspicata, ma difficile da realizzare (www.fondazionepromozionesociale.it/)

 

Area onlus ringrazia Piergiorgio Maggiorotti

Philippe Claudet è fondatore e direttore della casa editrice francese Les Doigts Qui Rêvent che realizza libri tattili illustrati accessibili a bambini ciechi e ipovedenti. È inoltre l’ideatore del premio Typhlo & Tactus, volto alla promozione e alla produzione sinergica dei migliori libri tattili illustrati a livello internazionale.

 

Monsieur Claudet, per iniziare può spiegarci che cos’è Les Doigts Qui Rêvent e com’è nato questo progetto?
Lavoravo come maestro elementare e, nel 1982, la direzione mi ha chiesto di occuparmi di una classe di bambini con deficit visivo perché non c’era più l’insegnante. Avevo due bambini ciechi – Amandine (5 anni e mezzo), Jérôme (11 anni) e tre allievi ipovedenti. È per Amandine che ho cominciato a fare dei libri tattili nella mia classe, in un solo esemplare, perché non vedevo come si potesse insegnare la lettura e il piacere di leggere… senza libri! Un giorno la scuola specializzata ha organizzato una conferenza pedagogica e i formatori di Parigi hanno chiesto al direttore di produrre diversi esemplari dei miei libri che trovavano buoni per i bambini ciechi. Abbiamo potuto produrre (non senza fatica!) 100 esemplari del mio album “Au pays d’Amandine dine dine” (Nel paese di Amandine din din), finanziati dal Lion’s Club di Dijon, e sono stati tutti venduti prima ancora di essere fabbricati! E l’associazione dei genitori dei bambini ciechi mi ha contattato per farne altri. Nel 1994 abbiamo quindi creato con quattro coppie di genitori l’associazione Les Doigts Qui Rêvent, poiché a quell’epoca nessun editore o associazione produceva questo tipo di libri.

 

Che cos’è un libro tattile e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?
Un libro tattile:
1 –  è un libro bimodale, ovvero si rivolge a tutti i bambini ma è accessibile ai bambini ciechi e ipovedenti;
2 – comprende due tipi di scrittura: stampata in grossi caratteri e braille;
3 – ha delle immagini tattili (in rilievo) che seguono diverse tecniche (collage, gaufrage[1], contorno in rilievo). Noi privilegiamo il collage di diversi materiali;
4 – prevede una rilegatura che permetta l’apertura orizzontale delle pagine;
5 – richiede colori e contrasti non solo perché sono belli ma anche perché stimolano i residui visivi.

 

Qual è l’utilità di questi libri e perché sono così importanti?
Il libro tattile illustrato è tanto importante per i bambini con deficit visivo quanto il libro ordinario lo è per i bambini vedenti. Ma esso ha un ruolo persino più fondamentale: la conoscenza del mondo attraverso il tatto è, infatti più lenta e più limitata e il libro tattile apporta al bambino cieco delle conoscenze a proposito delle cose di cui non può avere esperienza, in quanto troppo grandi (una casa, per esempio), inaccessibili (una nuvola), troppo piccole (un insetto), troppo pericolose (il fuoco)… Inoltre, il braille è troppo poco presente nel quotidiano di un bambino cieco e soltanto il libro tattile permette l’emergere della coscienza dello scritto.

 

I libri tattili illustrati possono contribuire a evitare che un deficit visivo assuma i contorni di un vero e proprio handicap? In quale maniera?
A partire da Comenius (XVII secolo), e soprattutto dall’inizio del XX secolo (con l’obbligo scolastico), il libro è diventato uno dei pilastri dell’educazione nei nostri paesi occidentali. I bambini ciechi, se non hanno dei libri adattati, sono esclusi dalla cultura dei loro paesi e dunque dalla cittadinanza. Nel corso dei secoli le persone cieche sono state condannate alla mandicanza, poi, con l’arrivo del Braille, un grande cambiamento è stato operato ma i libri adattati sono tuttora scarsi.
L’obbligo scolastico dei bambini in situazione di handicap in Francia non esiste che dal 2005. Ora, il diritto alla lettura è un diritto fondamentale della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e della Dichiarazione Universale dei Diritti del Bambino! Il libro tattile illustrato è un primo passo verso questa uguaglianza delle possibilità.

 

È possibile, quindi, una conciliazione tra funzionalità di lettura per i bambini ciechi e un’estetica visuale?
Questa è la scommessa che Les Doigts Qui Rêvent ha fatto nel 1994: realizzare dei libri tattili adattati tanto belli quanto quelli per i vedenti ma anche efficienti sul piano tattile. E certo, questo non è facile! Negli anni ’90 è cominciata, in Francia, l’integrazione nelle scuole ordinarie. I genitori dei bambini ciechi desideravano dei libri adattati accessibili per i loro figli ma che essi potessero condividere con i bambini e i familiari vedenti. E un libro tattile illustrato è un compromesso tra le due modalità.

 

Come procedete, nel corso della creazione pratica dei libri, per realizzare questa conciliazione? Utilizzate, in qualche maniera, questi feedback per progettare e realizzare i libri successivi?
I primi anni abbiamo fatto testare ripetutamente i nostri album a dei bambini ciechi ma i genitori e gli insegnanti ci rispondevano molto vagamente. Abbiamo allora deciso di fare degli album tattili molto diversi, di moltiplicare le esperienze e, nel corso degli anni, abbiamo acquisito una certa dimestichezza. Abbiamo inoltre letto le testimonianze di persone cieche e realizzato delle ricerche in collaborazione con alcune università. Il che non significa che abbiamo trovato LA soluzione, poiché la questione dell’immagine tattile è molto complessa.

 

Che differenza c’è tra immagine tattile e immagine aptica e perché questa differenza è così importante? Si tratta soltanto di una questione di funzionalità nel riconoscimento dell’immagine o c’è anche una questione più profonda legata all’accettazione di una modalità di confronto con la realtà che non coincide con un adattamento della modalità imposta dai vedenti?
Per noi l’immagine tattile è un’immagine visuale messa in rilievo mentre l’immagine aptica è un’immagine concepita nella modalità tattile da persone non vedenti. Credo che possiamo arrivare ad affermare che l’immagine aptica sia l’immagine della lingua materna tattile delle persone nate cieche. E mi sembra che questa immagine aptica sia il segno di un’altra cultura, quella – appunto – dei ciechi. Lo studio delle immagine aptiche non ha che qualche anno ma ciò che possiamo già affermare è che esse riflettono un approccio del mondo radicalmente diverso da quello dei vedenti. Ed è in questo che, per questi ultimi, esse costituiscono una ricchezza. È un altro tipo di immagine, un po’ come il cubismo era un’altra maniera di vedere il mondo rispetto al realismo. Non c’è qui sufficiente spazio per approfondire la questione ma, in breve: un’immagine è basata su una o più analogie tra il referente nella realtà e la rappresentazione di questo referente sull’immagine. Si tratta sempre dell’immagine di qualche cosa (negli album per i bambini): l’immagine rappresenta un referente ma sotto un’altra forma. L’immagine di una tartaruga non è una tartaruga ma una sua ri-presentazione[2], ed è soltanto per il fatto che so che si tratta di una tartaruga (giacché ho nella mia memoria di vedente numerose immagini di tartarughe viste, toccate, disegnate, reali, filmate) che posso ri-conoscere quella rappresentata sull’immagine. L’immagine aptica deve dunque, a sua volta, implicare delle analogie con il referente: non un referente visto ma un referente toccato, sentito, odorato. E necessariamente, l’immagine aptica sarà diversa poiché l’esperienza del mondo attraverso il tatto è radicalmente diversa rispetto all’esperienza del mondo visto.

 

A che punto sono le ricerche nel capo dell’immagine aptica e che tipo di collaborazione e supporto trovate, per svilupparle, a livello locale e a livello europeo?
Abbiamo la fortuna di lavorare da tre anni, per questa ricerca, insieme all’università Paris 1 – Sorbonne. Non siamo che all’inizio. Sfortunatamente, la maggior parte dei genitori e degli operatori che lavorano con delle persone cieche, cercano sempre di inculcare loro  delle immagini visuali. È un po’ come se la nostra ricerca portasse alla luce una “cultura della cecità” e la maggior parte delle persone cieche e degli operatori che vi lavorano insieme la rifiutassero. È la ragione per la quale abbiamo creato il progetto  Typhlo & Tactus, per lavorare in sinergia con numerosi altri paesi. D’altra parte collaboriamo con la Fondazione Hollman di Cannero e di Padova e con la Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi, grazie al nostro partner Pietro Vecchiarelli. È, inoltre, la ragione per cui lavoriamo con alcuni artisti: perché hanno una capacità creativa che ci è d’aiuto per trovare delle soluzioni plastiche, come nel caso di Mauro Evangelista di cui rimpiangiamo l’improvvisa scomparsa.
Organizzeremo un convegno a fine anno interamente dedicato all’immagine aptica ed è da tutti questi incontri, da tutti queste collaborazioni, che prenderà forma questo tipo di immagine.

Puoi leggere l’intervista originale a Philippe Claudet, in francese, cliccando qui.

Area ringrazia Philippe Claudet

Immagine tratta da https://www.mtm.se/en/tactilereading2017/speakers/all-speakers/philippe-claudet-teacher-founder-and-director-of-les-doigts-qui-revent-dreaming-fingers-and-founder-of-typhlo–tactus/

 

NOTE:

[1] Gaufrage = stampa a tre dimensioni di profondità, realizzata pressando la carta fra una matrice metallica e una contromatrice di fibra sintetica.

[2] In francese il significato di rappresentazione come ri-presentazione (seconda rappresentazione, cioè) è più evidente. La parola in question è infatti: représentation.

 

Nato a Torino nel 1958, Giuseppe Borgogno è Giornalista pubblicista e Funzionario della Regione Piemonte presso l’Ufficio Comunicazione Istituzionale del Consiglio Regionale.
Ha ricoperto la carica di Consigliere della Circoscrizione 5 dal 1985 al 1993, dove ha svolto il ruolo di Capogruppo P.C.I. e poi P.D.S.
È stato poi eletto Consigliere Comunale nel 1997 e nel 2001.
Nel giugno 2006 è stato nominato dal Sindaco Assessore al Personale, Organizzazione, Polizia Municipale, carica che ha ricoperto sino alla fine del giugno 2009, quando in seguito a rimpasto della giunta ha assunto la carica di Assessore alle Risorse Educative.
Nel mese di giugno 2010 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica il titolo di Cavaliere Ufficiale della Repubblica Italiana per i meriti conseguiti quale Assessore alla Polizia Municipale nell’occuparsi dei problemi del risanamento di Parco Stura, dei campi nomadi, del contrasto allo spaccio e per la proficua collaborazione con le autorità di Pubblica Sicurezza.

 

Dottor Borgogno, sappiamo che la scadenza della Giunta cittadina rappresenta per Lei un addio e non un arrivederci. A questo punto avrà già fatto il Suo bilancio, che Le chiederei di illustrare.

È un bilancio che mi lascia tranquillo, che considero positivo. Noi siamo riusciti proprio negli ultimi mesi, tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, a raggiungere obiettivi che erano previsti dal programma amministrativo, ma che visto come sono andate le cose in questi anni – da un lato le difficoltà sempre maggiori che i bilanci dei Comuni hanno, dall’altro le ricadute della riforma Gelmini – a un certo punto, non nascondo, sono sembrati irraggiungibili.

Questi obiettivi si possono sintetizzare in un dato: siamo riusciti a superare i parametri di Lisbona sia per la fascia di età 0-3 anni sia per quella 3-6 anni, quindi mi riferisco ai servizi gestiti direttamente dalla Città. Si tratta di una serie di indicatori condivisi a livello di Comunità europea per misurare la qualità, l’equità e la modernizzazione della scuola. E Torino è stata l’unica tra le grandi città italiane, insieme a Bologna, a raggiungere questo traguardo.

Un traguardo di tutto rilievo, indubbiamente. Quale valenza attribuisce a un risultato del genere e quale ritiene sia stata la chiave per ottenerlo?

Lo considero prima di tutto un obiettivo raggiunto per il bene della città e delle famiglie torinesi. I risultati premiano un lavoro complesso, che si è basato sostanzialmente su due elementi. Il primo concerne la scelta, soprattutto negli ultimi due anni, di continuare, anzi direi di insistere – nonostante le difficoltà di bilancio – a investire sull’educazione e sul welfare. Abbiamo scelto di proseguire una filosofia di intervento che è nella tradizione dei Comuni italiani, cioè quella di essere innanzitutto erogatori di servizi per cittadini. E nell’ambito della scuola abbiamo addirittura scelto di aumentare le risorse nel bilancio.

Una scelta in controtendenza che è stata premiata. Parlava di un secondo elemento chiave.

L’altra scelta strategica che abbiamo operato e che secondo me ha permesso un salto in avanti, nonostante le difficoltà, è stata l’introduzione di una logica di sistema nelle nostre politiche scolastiche. Detto così sembra facile, ma in realtà non lo è per nulla. Perché bisogna superare una serie di vissuti e di consuetudini e riuscire a immaginare un sistema in cui convivono pubblico e non pubblico, privato e paritario, comunale e statale. Tutti questi soggetti insieme provano a darsi chiavi di lettura comune, a mettere in rete le risorse e anche alcuni strumenti per una gestione complessa, come la programmazione e la formazione, mettendo a disposizione ciò che ciascuno ha di meglio e di più.

Tra i risultati, oltre ai parametri che ha già citato, c’è qualche altro aspetto che Le sembra rilevante e di particolare soddisfazione?

Oltre ai risultati quantitativi, ritengo che queste scelte abbiano avvantaggiato la qualità del sistema. Noi oggi chiudiamo questa esperienza amministrativa mettendo a disposizione di chi verrà e della città un sistema ampio e di grande qualità. Finalmente si è aperto un confronto vero, uno scambio autentico di risorse, proposte ed esperienze. Questo è un fatto molto positivo.

Lei ha citato in più occasioni parole e concetti cruciali per il problema dell’handicap: la complessità, la logica di sistema e l’ormai acquisita coscienza che non esiste una linea netta tra welfare ed educazione.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, le politiche di welfare oggi devono avere una visione un pochino meno rigida, con una dimensione a 360° tutta da ripensare. Soprattutto se si considera che le politiche di welfare devono puntare su tanti aspetti: oltre al contenimento e la gestione, l’accompagnamento, la prevenzione, la mediazione. Qui sta il rapporto tra ciò che è pubblico e ciò che non lo è. Il pubblico ha come missione l’intervento nella necessità conclamata, in genere con strumenti di tipo assistenziale e di contenimento. Non ha nel suo DNA e nella sua storia quell’altro aspetto, collegato alla prevenzione e all’accompagnamento, che invece esiste nel privato-sociale. E allora allargando la dimensione e l’approccio di ciò che si può definire welfare, si può davvero fare sistema.

Questo si applica anche nel sistema scolastico e in particolare nell’assistenza all’handicap a scuola?

Con estrema complessità, più che in passato, perché, a proposito di numeri, se nel sistema scolastico torinese c’è una sufficiente copertura per quanto riguarda il sostegno all’handicap, questo si deve anche al fatto che noi paghiamo 140 insegnanti di sostegno che lavorano nelle scuole dello Stato. Abbiamo mantenuto inalterata questa voce di spesa, come ho già detto, nel quadro di un maggiore investimento complessivo per la scuola.

Lei ha detto “lavorano nella scuola” intendendo che è stata applicata la logica di sistema?

Esatto, abbiamo operato questa scelta anche consapevoli del fatto che si può aprire una serie di altri problemi. Per esempio, si discute molto di federalismo e io credo che uno dei passaggi fondamentali per una visione del federalismo municipale sia anche quello di verificare quanto già oggi le Città fanno svolgendo una funzione di sussidiarietà, che però costa. Cominciando, quindi, col dire che tutte quelle attività e quelle spese che hanno funzione sussidiaria e che i Comuni sostengono “per conto dello Stato,” devono essere tolte dai conti del patto di stabilità. Dato che il federalismo deve basarsi su una filosofia di sussidiarietà, questa mi sembra un’ottima occasione per applicarla.

Se provassimo ad applicarlo alla nostra città?

Proviamo a fare il conto di tutto. Partiamo dalle scuole di infanzia che a Torino sono per metà gestite dal Comune, anche se è un servizio che dovrebbe essere reso dallo Stato. Poi ci sono le insegnanti di sostegno nelle scuole statali dell’obbligo, a cui si aggiunge una serie di attività sussidiarie più o meno onerose: abbiamo calcolato che siamo tra i 30 e i 40 milioni di Euro. Sono veramente tanti, per capirci un po’ più dell’equivalente del taglio Tremonti fatto nel 2010 a bilancio già approvato e praticamente speso.

Certo, è un modo di governare che ha bisogno di risorse, che a loro volta vanno conservate grazie a un notevole lavoro. Su questo sta l’incertezza, ma anche la speranza che si voglia continuare in quella stessa logica e che si lavori davvero per mantenere le risorse utili.

Il punto è che c’è una condizione di generale incertezza rispetto alla quale i Comuni italiani possono fare poco. Io credo molto in ciò che viene sperimentato, realizzato e difeso dalla autonomie locali, dai governi locali; tutto sommato, credo che queste esperienze possano supplire, almeno in parte alle difficoltà di visione generale che caratterizza la politica di oggi.

E quello che ha realizzato Torino si può proporre come modello. Lei ha citato i parametri di Lisbona che hanno dimostrato l’eccellenza della nostra città nel settore educativo, ma il ragionamento si può replicare in molte altre situazioni, a volte integrabili con l’educazione.

Quello che abbiamo fatto a Torino diventa importante per la costruzione di politiche generali. Anche in questo caso, la speranza è che altri continueranno a pensarla allo stesso modo. Io sono convinto che Torino sia un modello, anche se molti lo negano. Credo però che non debba accontentarsi, né coltivare il fatto di essere un modello. Questo patrimonio va speso, specchiarsi non va bene. Però certe dinamiche generali inducono un po’ tutti al riflesso condizionato di difendere il territorio.

Che cosa si sente di lasciare come compito o come indirizzo per la squadra che raccoglierà il suo testimone?

L’invito a continuare su una linea che richiede elasticità e uno spirito che cerca il confronto e lo sviluppo alla pari. In quest’ottica penso che nel campo di una diversa visione del welfare, di una diversa visione di alcune funzioni generali della città e di alcune politiche dell’infanzia ci siano due cose da fare. La prima ha anche un notevole significato simbolico: a sigillo di tutto quel che abbiamo detto, Torino deve dotarsi di un garante per i diritti dell’infanzia. Questo sarebbe contemporaneamente un punto di arrivo e di svolta. Secondo, credo che nella lettura generale della città, del suo sviluppo, delle politiche pubbliche, il tema dei diritti dell’infanzia e di una città a misura di bambino, possa essere uno degli elementi strutturali di un nuovo piano regolatore cittadino. Intendo dire che nelle scelte strategiche che compongono il piano regolatore generale della città che andrà presto rifatto, questa visione deve iniziare a esserci, al pari di quella della sicurezza urbana. Le dimensioni della vicinanza, della lotta alla solitudine e alle barriere, sono certamente aspetti immateriali, ma nella filosofia attraverso cui si pensano gli sviluppi della città hanno un valore. Rappresentano un modo di leggere la città e di proporla. Si tratta di uno sforzo per lo sviluppo delle relazioni che oltre al valore umano intrinseco ha anche un ritorno su molti piani, compreso quello economico.

E che cosa si sente di lasciare di prezioso e compiuto a chi prenderà il testimone sul tema della disabilità?

Francamente, viste le difficoltà contingenti, l’essere riusciti a mantenere un supporto così forte per la scuola pubblica è un risultato. Anche perché ho ben presenti i momenti in cui abbiamo considerato l’eventualità di rivedere i nostri piani; il fatto di averlo evitato è per noi motivo di grande soddisfazione.

È anche una scelta di civiltà, di cui tanto si sente il bisogno in questi tempi.

 

Area ringrazia l’Assessore Giuseppe Borgogno

Lodovico Benso, professore associato di pediatria dell’Università di Torino, è stato per molti anni direttore della Struttura Complessa di Auxologia dell’Ospedale Infantile Regina Margherita. E’ rappresentante italiano presso l’International Association for Human Auxology e associato all’International Society for the Study of Human Biology.

Area Onlus si occupa di ragazzini che “crescono con la disabilità” e di famiglie che osservano questa crescita quotidiana, tanto difficile per qualunque persona in evoluzione fisica e psichica, a volte insostenibile per chi si confronta con l’handicap. E’ particolarmente critico il percorso tra l’inizio della pubertà e quello dell’età adulta che viene identificata con il termine di transizione e rispetto alla quale c’è consenso su un approccio multidisciplinare, medico, psicologico, riabilitativo, motorio.

Crescere non significa soltanto aumentare di dimensioni, ma anche maturare e cioè acquisire nuove funzioni, come tipicamente quella riproduttiva. Queste due componenti si armonizzano in quello che il mio amico e maestro James Mourilyan Tanner, il fisiologo britannico fondatore della moderna Auxologia (la scienza della crescita) ha definito, in senso quasi musicale, il “tempo della crescita”: è acquisizione comune che ci sono persone più giovani ed altre più mature della loro età anagrafica.

Mi sembra che a questo punto sia necessario rendere giustizia alla disciplina medica dell’auxologia, che non si occupa o si preoccupa solo della statura di una persona.

Sarebbe una scienza iniqua ed elitaria, ma così non è. In realtà l’Auxologia si occupa e si preoccupa di un insieme di caratteristiche individuali molto più ampio della sola lunghezza in centimetri. Crescere in modo armonico e regolare è indice di buona salute, ma ciò non significa che essere più grossi sia meglio: «bigger not better» spiegava Tanner.

L’aspetto fisico è un elemento che stigmatizza la disabilità e tra l’altro probabilmente il primo percepito ancora in tenera età dalla persona con handicap che a scuola o nel gioco si osserva e si confronta con i pari, i quali a loro volta osservano e si confrontano. La statura è probabilmente uno degli aspetti più vistosi di questo confronto.

Il problema è che i giovani tendono a riferirsi e a confrontarsi con il mondo degli adulti formando, a modo loro, dei modelli adolescenziali. Una volta un ragazzo/a si confrontava con i genitori, i parenti, gli insegnanti. Oggi si confrontano con i modelli mostruosi, nel senso di da mostrare, ovvero strafighi dei media. Si sentono inadeguati, non si amano e cercano di imitarli. L’apparire fisico diventa sempre più un elemento di successo nel gruppo.

E qui si apre il confronto con una cultura che promuove canoni corporei senza i quali la persona non vale, purtroppo non nell’etimologia latina dello star bene.

Purtroppo la mentalità dell’apparire, tipica dei mass media, ha enfatizzato il concetto di dimensioni. I modelli di altismo vengono sempre più propagandati così come, a livelli più o meno mostrati, quelli delle dimensioni dei caratteri sessuali di ambedue i sessi. Censurato, invece, l’eccesso di adipe. Ha un preciso significato socioculturale il fatto che agli ambulatori di auxologia si rivolgano prevalentemente le femmine per timore di anticipo puberale (le famiglie temono un precoce interesse sessuale) ed i maschi per ritardo puberale («il ragazzo non è abbastanza macho»).
Questi riferimenti non possono che procurare sensi di inferiorità ed atteggiamenti reattivi di compenso nei giovani che, a ragione o a torto, non si sentono adeguati ai modelli del gruppo. Modelli che possono essere assolutamente stupidi, come nel caso di quelli che indossano bretelle e le esibiscono lungo le gambe invece che sulle spalle. E’ evidente che, se le bretelle non servono a sostenere i pantaloni è inutile spendere soldi a comperarle e che lasciarle basse, come atteggiamento rivoluzionario, è patetico. Ma per il gruppo ciò ha un significato, per quanto misero. Non necessariamente nel caso di una persona con disabilità, per la quale certi atteggiamenti, se non vengono manipolati in modo irrispettoso dai media, possono rappresentare una scelta degna del massimo rispetto, perché possono significare una comprensione avanzata di significati ignoti ai bamboccioni, o anche, semplicemente, una condivisibile scelta di adeguarsi ai modelli dei coetanei.

D’altra parte, bisogna tenere conto che alcune condizioni di bassa statura presenti in malattie disabilitanti sono curabili, ma questa non è la regola. In alcuni casi sarebbe addirittura rischioso utilizzare le terapie ormonali che si usano per i deficit di accrescimento. Su questo punto è bene essere chiari, senza alimentare inutili speranze.

E’ evidente che la maggior parte delle condizioni di disabilità possono comportare un  disturbo dell’armonia della crescita e dello sviluppo. E’ molto importante monitorare la crescita e lo sviluppo dei portatori di handicap e impiegare terapie appropriate solo nelle situazioni in cui ci siano chiare indicazioni al trattamento.  In tutte, le persone, candidate o meno alla terapia, va però gestito il problema psicoemozionale. Ci si può anche trovare davanti a persone sessualmente indifese ed esposte agli abusi. Non voglio pensare a quello che poteva accadere nell’ambito contadino dei secoli scorsi.

Ci sono altre opzioni per ottenere nella disabilità un livello adeguato di salute, opzioni che rientrano comunque nel campo dell’auxologia e di un’attenzione complessiva al benessere.

Anche l’alimentazione è importante. Certo si tratta di una componente gratificante che le famiglie sovente utilizzano come compenso affettivo al disagio dei loro cari. Così si vince la battaglia, ma si perde la guerra. E’ vero che, al di là dei modelli stereotipati dei media, un vero eccesso ponderale, in ultima analisi, peggiora la qualità della vita e per questo un’alimentazione povera di grassi di origine animale, di zuccheri a rapido assorbimento e di sale è favorevole. Ma occorre superare il concetto di dieta per privilegiare quello di modificazione del comportamento alimentare ed aggiungere al deterministico concetto di calorie quello di utilizzazione energetica degli alimenti, nel senso che, per esempio, gli zuccheri a rapido assorbimento aumentano la produzione di insulina che facilita l’accumulo ed ostacola il consumo dei substrati energetici. Più che inseguire inutilmente centimetri è bene investire su stili di vita che facilitino un’alimentazione corretta e adeguati livelli di attività fisica. Sovrappeso e sedentarietà accompagnano spesso bambini e ragazzi la cui vita è limitata dall’handicap.

Per parafrasare un libro sulla disabilità caro ad AREA “La differenza non è una sottrazione” , come possiamo davvero acquistare una consapevolezza sul fatto che la differenza, questa volta in centimetri,  non è una sottrazione?

Il concetto di percezione è molto importante e supera, senza opporvisi, quello di allenamento, poiché si riferisce alla consapevolezza del movimento del corpo e può facilitare e perfezionare l’acquisizione di abilità che, secondo la vecchia ottica meccanicistica, sarebbero impedite. Non dobbiamo dimenticare il fatto che le potenzialità dell’essere umano sono molto maggiori di quelle che la riduttiva cultura illuministica concede. In certi casi è  possibile compensare eventuali difetti ed in altri casi ottenere un miglioramento della percezione corporea attraverso adatte pratiche di educazione fisica, cito qui il Ki Aikido, nel cui ambito un giovane paraplegico ha conseguito la cintura nera.

Area Onlus ringrazia Lodovico Benso

Alberto Munari ha sviluppato uno straordinario percorso di psicologo ed epistemologo. Dal 1974 occupa la cattedra di Psicologia dell’Educazione presso la Facoltà di Psicologia e di Scienze dell’Educazione dell’Università di Ginevra e dirige il Dipartimento di Psicologia dell’Educazione, della Formazione e delle Risorse Umane. In Italia è Professore Ordinario di Psico-epistemologia dell’Apprendimento Adulto presso la Facoltà di Scienze della Formazione delll’Università di Padova.
E’ autore o co-autore di oltre 150 pubblicazioni, sia scientifiche sia divulgative sulle problematiche educative e della formazione, in francese, inglese e italiano.
Ha inoltre partecipato a importanti progetti educativi. Come esperto UNESCO hacontribuito alla riforma dell’insegnamento secondario in Costa d’Avorio (Africa).
Nel 1982 ha fondato a Ginevra, assieme a Donata Fabbri, il Centro Internazionale di Psicologia Culturale, che ha lo scopo di promuovere lo studio dei rapporti che gli individui sviluppano e intrattengono con il contesto culturale in cui vivono e lavorano. Alberto Munari è il Presidente dell’Associazione Bruno Munari.

 

 

Le parole dei protagonisti del Convegno: Elogio del Pensiero divergente, Chivasso 16 ottobre 2010. Fondazione 900 e Area Onlus presentano gli interventi di Alberto Munari, Rossella Bo e Alessia Tucci. Intervengono Diego Bionda e Giovanna Recchi.
Video a Cura di Area onlus. Parte I.

Professore, durante il convegno “Elogio del pensiero divergente” ci ha regalato tante buone notizie.
La prima che vorrei riconsiderare brevemente con Lei è il fatto che il pensiero creativo sia di tutti e per tutti.

Lo ribadisco, il pensiero creativo è di tutti e non è necessario distinguere la creatività come categoria a sé stante, basta far funzionare l’intelligenza. L’atto intelligente è di per sé creativo e ogni forma di apprendimento contiene una dimensione creativa.
E’ creativo quel processo di co-costruzione che, secondo quanto ci ha insegnato la psicoepistemologia genetica di Jean Piaget, costituisce la via di ogni apprendimento. Dall’interazione tra soggetto che apprende e oggetto dell’apprendere si elabora la triplice costruzione del soggetto conoscente, dell’oggetto conosciuto e degli strumenti stessi della conoscenza. Tramite questo processo di co-costruzione, costruisco me stesso mentre costruisco il mondo.
Ecco quindi che creatività e apprendimento non sono due concetti estranei, l’una all’altro, ma hanno invece parecchi punti di contatto. La creatività stessa, poi, non è un dono della natura, ma si può apprendere, così come apprendiamo gli strumenti cognitivi che ci servono per capire il mondo.

Invece si tende a parlare di creatività come di un’eccellenza riservata a pochi eletti, quelli che appunto rientrano nelle categorie degli artisti o dei creativi.

A questo proposito voglio citare le parole di mio padre, Bruno Munari, quando gli chiesi la definizione di opera d’arte: “L’opera d’arte è tale quando non lascia trasparire la fatica del gesto che l’ha fatta”.
Si tratta della leggerezza della maestria. Per meglio definirla e comprenderla vanno rimossi preconcetti pericolosi che ne riducono la portata e interferiscono con le riflessioni sulla creatività. Mi aiuterò con altre citazioni.
Si tratta di una leggerezza che contiene una grande energia, come afferma il romanziere inglese Gilbert Keith Chesterton: “Una forza mediocre si esprime con la violenza, la forza suprema si esprime con la leggerezza”.
Di una leggerezza che lascia poco all’indeterminatezza e alla genericità; anzi, per dirla con Italo Calvino: “La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso.” Non è dunque, come spesso si crede erroneamente, l’assenza di regole o di vincoli che favorisce la creatività. Anzi la creatività nasce proprio dalla ricerca di modalità originali per muoversi agevolmente all’interno di regole prestabilite.  E’ nel rispetto delle regole che appare la maestria dell’artigiano.
Si tratta dunque di una leggerezza strutturata e intenzionale, che sa in quale direzione andare seguendo un proprio percorso. E qui ruberei a Paul Valéry l’immagine che contrappone la leggerezza vaga della piuma a quella orientata dell’uccellino. Un uccellino che, un po’ come l’artista, si muove e sa muoversi entro vincoli e regole.

La leggerezza sembra una dimensione negata alle famiglie delle persona con handicap. Il peso a volte insostenibile della quotidianità, della cronicità e della irreversibilità allontanano dalla capacità di elaborare un pensiero creativo.

La soluzione sta nell’atteggiamento con cui affrontare le esperienze della vita. Possiamo scegliere un atteggiamento epico o un atteggiamento tragico. Con quello tragico gli eventi si subiscono, si vivono come provenienti dall’esterno e indipendenti dalla nostra responsabilità e dal nostro controllo, ineluttabili. L’eroe tragico, anche quando lotta è sempre minacciato dal fato che presto o tardi si abbatterà su di lui. Se adottiamo questo atteggiamento non ci resta che una resa rinunciataria e rassegnata, che conduce a lamentarsi e a ricercare i colpevoli.
L’alternativa è scegliersi il ruolo dell’eroe epico, coraggioso e avventuroso, in costante ricerca. L’atteggiamento epico ci porta ad assumere in prima persona le nostre responsabilità, a decidere con coraggio e ad affrontare le difficoltà senza cercare i colpevoli. In questo approccio ci si basa sull’incontro, il confronto, il dialogo e la conversazione.
L’atteggiamento epico ci obbliga a risolvere la domanda epica fondamentale: “Perché siamo quello che siamo allorché avremmo potuto essere differenti?”

Una domanda decisamente impegnativa.

Questo genere di domande è sempre scomodo, ma non vi si può rinunciare quando ci poniamo di fronte al sapere, alla conoscenza e agli eventi della vita. E la creatività rientra nel pensiero epico. Non dobbiamo dimenticare che la creatività si può imparare e il pensiero epico si può promuovere. Sempre nell’atteggiamento epico e proprio in nome della creatività ci si deve costantemente chiedere “Come si può fare questa cosa diversamente?”

E questo “diversamente” si applica anche al mondo della disabilità?

Un neonato quando nasce non sa che è con gli occhi che potrà vedere, che le sue orecchie sono destinate a sentire, che saranno le sue mani a toccare, ma lo impara piano piano, gradatamente. Allora se un bambino nasce cieco, ma non sa che è con gli occhi che avrebbe dovuto vedere, si potrà costruire, anzi co-costruire confrontandosi con i vincoli che il mondo gli presenterà, una sua percezione… “divergente”. E questa strutturazione può essere ulteriormente agevolata. Per esempio questo bambino nato cieco potrebbe essere aiutato ad imparare a  “vedere con l’udito” grazie a un caschetto sonar che gli permette di ricostruire il mondo circostante utilizzando le informazioni sonore, probabilmente meno “colorate” e ricche di dettagli di quelle visive, ma indubbiamente preziose per la sua creatività e il suo apprendimento. Esperimenti di questo genere sono stati tentati, con successo, dal mio collega André Bulliner dell’Università di Ginevra.

Un’altra buona notizia, che conferma ampi spazi per sviluppare una creatività per tutti.

Noi possiamo organizzare la realtà in tanti modi. Il bambino cieco con il caschetto a cui ho accennato prima in fondo non fa altro che organizzare la realtà come fanno i delfini, che hanno una vista molto povera, ma una sensibilità acustica molto sviluppata. Noi conosciamo e organizziamo la realtà tramite i sensi che ci troviamo ad avere, così come fanno tutti gli altri esseri viventi, dalle amebe ai bonobo.  Ma tra i molteplici sensi che possediamo, noi abbiamo deciso di privilegiarne solo alcuni: la vista, soprattutto, e poi un po’ l’udito. Così abbiamo perso – salvo rare eccezioni – la capacità di orientarci nello spazio con l’olfatto (come fanno i cani e molti altri mammiferi), o tramite la percezione dei gradienti termici (come fanno molti insetti), o della polarizzazione della luce (come fanno le api e gli uccelli), e così via. Tramite il nostro linguaggio evoluto, poi, continuiamo ad organizzare e strutturare la realtà secondo delle categorie che abbiamo deciso di privilegiare, a scapito di altre. Basti pensare al modo in cui si descrivono le persone affette da gravi patologie o disfunzioni: se li chiamiamo “handicappati” ci poniamo inevitabilmente nei loro confronti in un modo completamente diverso da quello che invece siamo portati ad adottare se li chiamiamo “diversamente abili”.  Ma potremmo anche non chiamarli in alcun modo, cioè senza un appellativo particolare, e forse allora capiremmo meglio quanto sono “normali”, e quanto anche per loro sono a disposizione le vie dell’apprendimento e della creatività.

Un approccio questo che sia Gianni Rodari, sia Bruno Munari conoscevano bene, entrambi leggeri nella loro maestria. Le chiediamo per gli amici di Di.To e di Area un ricordo speciale delle affinità tra questi due grandi creativi.

Certamente erano entrambi reciprocamente incuriositi, l’uno dell’altro.
Un loro comune denominatore era il dialogo creativo. Una straordinaria naturalezza alla conversazione, nel senso etimologico del termine: cum+versare: muoversi assieme intorno all’oggetto che si sta esplorando, non per convincere, non per spiegare, ma semplicemente per il piacere di condividere una curiosità. Ripenso alle conversazioni creative che mio padre, ma anche Rodari e Piaget, avevano con i bambini: nelle quali ciò che conta soprattutto è esplorare insieme tutto ciò che si può fare con delle matite, con delle carte colorate, con dei materiali diversi, e anche con le parole.  Poi, in seguito, ci si potrà preoccupare di che cosa risulterà alla fine. Mio padre non mi ha insegnato a disegnare: mi ha insegnato il piacere di tenere una matita in mano e di lasciare con questa una traccia su di una superficie, più o meno ruvida.
Anche mio padre ha scritto dei libri per bambini e illustrato fiabe dedicate a loro, comprese quelle di Rodari. Non è difficile immaginare la scimmietta Zizi o il gatto Meo, tra i primi giocattoli plasmabili di gomma piuma progettati da mio padre negli anni ’50, protagonisti di una filastrocca di Rodari.

Area onlus ringrazia il prof. Alberto Munari

Alessia Tucci si è laureata a Bologna e ha proseguito gli studi universitari post laurea in Psychological Coaching in Gran Bretagna, interessandosi al Narrative Coaching e alla Narrative Medicine. Studiosa dello psicoanalista e medico D.W. Winnicott usa nelle sue sessioni di coaching individuale e di gruppo tecniche creative quali expressive writing, gioco e role play. Coordina progetti di Narrative Medicine e di Umanizzazione delle cure per la sanità pubblica e percorsi creativi per la gestione del disagio psico-sociale ed emotivo nei bambini e nei ragazzi.

 

Ci può spiegare in che cosa consiste il suo lavoro e tracciare brevemente il suo percorso professionale?

Il mio lavoro è quello di Coach e Formatrice, il coaching è un percorso di supporto alla persona molto diffuso nei paesi anglosassoni e ancora all’inizio qui in Italia. Attraverso un processo stimolante e creativo aiuta a far emergere le potenzialità individuali e professionali o a far superare eventuali difficoltà, supportando la capacità di trovare in se stessi soluzioni adeguate.
Può essere fondamentale quando si attraversano momenti difficili come un divorzio, un cambiamento di lavoro particolarmente impegnativo, una malattia, un ruolo professionale coinvolgente che richiede nuove risorse, una fase complessa nella vita familiare o relazionale.
Lavoro per diverse organizzazioni, private e pubbliche e mi occupo di percorsi formativi e di coaching anche per la sanità, operando a stretto contatto con medici, infermieri e professionisti sanitari. Mentre la formazione coinvolge un gruppo, il coaching è un incontro a due fra il coach e il suo cliente, non va confuso con la psicoterapia, è un percorso breve, si attua con persone senza particolari problemi psicologici che però attraversano una fase in cui necessitano di sostegno, stimolo, appoggio. È inoltre indirizzato a obiettivi definiti e concreti.
L’approccio che adotto è quello del Narrative Coaching, un coaching che si focalizza sulla storia individuale dei clienti e dei pazienti, utilizzo spesso nelle mie sessioni tecniche di Scrittura Espressiva che aiutano a elaborare temi complessi e a comprendere le vicende che accadono da differenti punti di vista, trovando quindi soluzioni creative e inaspettate. Con i bambini e gli adolescenti applico anche altri strumenti come ad esempio il gioco, il disegno e il role play espressivo.

Ci aiuti innanzitutto a orientarci tra tanti termini oscuri ai profani e innanzitutto ci “racconti” cos’è la Narrative Medicine. L’unica cosa che balza agli occhi anche dal suo percorso professionale è che è molto utilizzata all’estero, mentre in Italia è un intervento di nicchia, probabilmente praticato in poche “isole felici”.

La Narrative Medicine è un approccio alla comunicazione e alla formazione sanitaria che valorizza l’apporto del sapere narrativo in medicina. All’estero ci sono dipartimenti di Università prestigiose che si occupano di Narrative Medicine, penso al Dipartimento di Narrative Medicine diretto da Rita Charon alla Columbia University di New York o a quello diretto da Brian Hurtwitz al King’s College di Londra. Sono recenti ma nascono da una tradizione antica: l’ascolto e la parola applicati alla medicina. Negli ultimi decenni la pratica medica occidentale si è focalizzata prevalentemente su dinamiche e obiettivi tecnico-scientifici, perdendo purtroppo la capacità di ascolto, di comprensione e aggiungo una parola fuori moda che io amo molto, perdendo la compassione. I pazienti si sentono a volte poco capiti, si sentono trattati come numeri, come anonimi casi clinici e chiedono giustamente il diritto alla propria identità, alla propria verità, alla propria storia.

I medici e i professionisti sanitari possono a volte non essere preparati per una buona comunicazione o un buon colloquio ma sono spesso persone splendide animate da grande passione per il proprio lavoro e da notevole competenza tecnica. Ciò che cerco di fare è di favorire una migliore comunicazione e un migliore approccio al paziente attraverso la Narrative Medicine.

In Italia sto coordinando un bel progetto sperimentale per la ASL 3 dell’Umbria all’interno del reparto di Neurologia e Riabilitazione e dell’Ospedale di Riabilitazione, insieme al primario, il dottor Mauro Zampolini e al responsabile del dipartimento di Formazione, il dottor Paolo Trenta. Cerchiamo di integrare la Narrative Medicine con la classificazione internazionale delle forme di disabilità la ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, di attuare quindi un’integrazione fra un modello biomedico e un approccio psicosociale, quello della Narrative Medicine appunto.

Come si svolge un incontro o una seduta di Narrative Medicine? Una seduta di Narrative Medicine può avvenire in ospedale, dallo specialista o dal medico di famiglia?

Il paziente racconta il suo problema, il sintomo e viene aiutato a ricostruire la storia di quell’evento, a inserirlo in un contesto familiare e conosciuto, a comprenderlo attraverso un linguaggio semplice e familiare, non il “medichese” a cui siamo abituati, linguaggio tecnico-scientifico impossibile da decifrare per chiunque non faccia lo stesso mestiere e che spesso spaventa e distanzia i pazienti e i loro familiari. Durante l’incontro vengono accolte anche le paure e le ansie emotive del paziente e dei suoi cari che si sentono così compresi e sostenuti. È una seduta in cui il sapere del paziente viene valorizzato e integrato al sapere biomedico del dottore e del professionista sanitario. Ciò facilita una migliore diagnosi, un migliore approccio al sintomo, al corpo che duole e una collaborazione più serena alla terapia.

Molto di più del semplice sfogo emotivo del paziente che soffre, dunque, ma un’attenta rielaborazione e ricostruzione/co-costruzione dell’esperienza. E già si sa che questo fa bene.

Esatto. Uno dei termini chiave della Narrative Medicine è proprio questo: co-costruzione. Sembra una parola difficile ma vuol dire semplicemente costruire insieme, creare insieme una storia e un progetto terapeutico che funzionino per entrambi, per il medico con il suo approccio teorico biomedico e per il paziente, di modo che quest’ultimo non si senta smarrito e che entrambi collaborino alla ricerca della migliore soluzione possibile. Ciò che per il professionista sanitario è infatti un caso fra tanti, cioè la malattia, per il paziente è spesso la crisi di una vita, una fase di totale smarrimento in cui le dimensioni conosciute abituali perdono all’improvviso senso e la strada consueta sembra irrimediabilmente persa. Può sembrare privo di  significato se si pensa a un raffreddore, a un mal di denti, a qualcosa da curare e guarire in modo veloce e definitivo. Nel caso di malattie croniche che richiedono un lungo tempo di cura, una forte collaborazione del paziente alla terapia, a volte l’apporto dei familiari che svolgono una funzione fondamentale sia in senso fisico che emotivo, oppure di patologie complesse in cui la guarigione non e’ a portata di mano, in cui viene richiesta l’accettazione di una realtà difficile, allora si capisce che la Narrative Medicine può svolgere un ruolo importantissimo.

Mi pare che un punto chiave della Narrative Medicine sia la capacità di ascolto di chi si avvicina al paziente, capacità che probabilmente è acquisita nella professionalità degli psicologi, ma tutt’altro che consueta per i medici. Colpisce il tempo medio inferiore ai 18 secondi che, secondo alcune statistiche, un sanitario “consente” al suo interlocutore prima di interromperlo per imporre il suo ritmo, la propria impostazione e la personale visione della situazione.

Ritengo che 18 secondi siano un tempo davvero insufficiente per un ascolto adeguato. Credo anche però che con il giusto allenamento, con la pazienza e ovviamente con la disponibilità si possa imparare e sia possibile acquisire una grande capacità di ascolto. La medicina deve solo attingere alla propria storia, alla propria sapienza e re-imparare ciò che è stato smarrito lungo la via. Faccio solo un nome, Balint, grandissimo il suo contributo alla medicina anche come, ovviamente non solo, parola e ascolto.

Verrebbe da pensare, ragionando con la mentalità medica che “non tutti siano in grado di partecipare” ma che il beneficio di una tecnica di questo tipo sia riservata a un paziente dotato di una particolare sensibilità, una certa preparazione o una specifica attitudine. Oppure che la Narrative Medicine sia applicabile solo a certe condizioni patologiche, più o meno gravi, più o meno acute o croniche. Probabilmente lei smentirà tutte queste ipotesi limitanti in modo assolutamente convincente.

La Narrative Medicine è per tutti e credo che trovi nelle strutture sanitarie pubbliche uno straordinario e fertile terreno. Ha costi contenuti, aiuta l’azienda pubblica a risparmiare nel lungo periodo e risponde alle istanze del servizio sanitario nazionale, accogliere tutti, curare tutti nel miglior modo possibile, offrendo il miglior servizio disponibile con rispetto, attenzione e cura. Ciò che la Narrative Medicine richiede è l’attitudine e la sensibilità non nel paziente, ma nel professionista sanitario che la usa, e che sa quindi come “adoperarla” a seconda dei momenti e dei pazienti, rispettandone le differenze culturali, di scolarizzazione, di genere, di censo, di competenza linguistica. Offrendo a tutti, indistintamente, la migliore cura possibile.

Ampio spazio e possibilità dunque a grandi e piccini?

Sì, certo, esattamente a grandi e piccini. Includo sempre, quando parlo di paziente, di pazienti, anche i familiari perché ritengo che non ci sia progetto terapeutico efficace che esclude o si dimentica di includere il sistema familiare e relazionale in cui il soggetto vive. La comunità di affetti, linguaggio, valori, emozioni che circondano il paziente, la paziente, la bimba, il bimbo.

E nell’ambito dell’handicap? Può coinvolgere la persona o l’intera famiglia?

Nell’ambito dell’handicap la Narrative Medicine coinvolge l’intera famiglia che è spinta a un percorso di profonda e creativa riflessione, alla ricostruzione di una nuova, ricca e tenera storia familiare.

Qualche commento un po’ più personale. Questa forma di intervento sembra particolarmente congeniale a una persona come lei, scrittrice e psychological coach. Qual è la sua più grande soddisfazione e quale l’aspetto più deludente, se c’è, nella pratica della Narrative Medicine?

Quando sentii parlare per la prima volta di Narrative Medicine, diversi anni fa, capii fin dal primo istante che si trattava di una strada innovativa e piena di possibilità. In più ero già una docente per la sanità pubblica e una scrittrice, coinvolgere entrambe le aree in un unico ambito mi apparve da subito come una scelta affascinante.
La più grande soddisfazione è pensare che dal mio lavoro possono nascere conseguenze concrete per la vita delle pazienti, dei pazienti e delle loro famiglie. Incontro molti medici e professionisti sanitari; loro, a loro volta, incontrano tantissimi pazienti, da un mio gesto, da una parola detta nel modo giusto, da un buon training, possono scaturire soluzioni concrete per persone che non vedrò mai, ma che mi sono in qualche modo vicine. È molto bello.

Le delusioni nella pratica della Narrative Medicine, capitano per lo più quando incontro persone che pensano ancora in modo “vecchio”, che ritengono che la voce del paziente non conti, che la Medicina sia solo dimensione tecnico-scientifica o meramente meccanica, che un bravo professionista sanitario possa permettersi di essere brusco, di parlare al cellulare mentre visita, di non considerare lo smarrimento dei familiari che lo cercano in attesa di una risposta o una speranza.

Ma al sanitario “medio”, abituato alla pratica della professione secondo schemi tradizionali, quale cambiamento è richiesto e quale specifica preparazione?

Fra i professionisti sanitari ci sono grandi competenze e sensibilità. Il mio lavoro consiste nell’allenarli attraverso la Narrative Medicine. Utilizziamo il linguaggio, la lettura, la scrittura, la riflessione, simuliamo colloqui clinici, li commentiamo insieme, raccontiamo emozioni, casi clinici difficili, sveliamo le nostre emozioni e quelle che trasmettono i pazienti. Entriamo nella Medicina attraverso la dimensione umanistica. O scopriamo nella Medicina quella componente umanistica rimasta nell’ombra per tanto, troppo tempo.  Sicuramente è richiesto un grande cambiamento in termini di ascolto, va valorizzato ciò che io chiamo un ascolto “curioso e attivo”, l’interesse per l’altro ovvero il paziente che siede di fronte, la sua vita, la sua persona. C’è bisogno di intelligenza, e di disponibilità del “cuore”, di voglia di cambiare.  Con questi fattori siamo già a metà strada e l’allenamento può cominciare.

È pesante condividere in modo pieno e coinvolgente tante esperienze? La compilazione di una cartella clinica con dati oggettivi o dati misurabili logora meno? Oppure è la Narrative Medicine che allena emotivamente il medico e di fatto alleggerisce il peso del suo operare?

L’approccio tecnico-scientifico sembra inizialmente all’operatore sanitario più facile, meno coinvolgente e più “pulito”. In verità sappiamo tutti che non è così. I medici e i fisioterapisti che incontro hanno grandi bagagli di emozioni e dolori che non riescono a elaborare e che spesso nascondono sotto il letto per poi scoprire che stanno per esserne travolti o che questi sono entrati nelle loro vite personali. La Narrative Medicine aiuta i professionisti sanitari a toccare le emozioni con cura e sensibilità senza rischiare di esserne sopraffatti ma rispettando la propria vita e quella degli altri.
Per quanto mi riguarda, certamente tante esperienze possono essere molto coinvolgenti e complesse. Entro in punta di piedi e rispettosamente nelle vite di tante persone, dei medici, degli infermieri, dei fisioterapisti, dei pazienti e dei loro familiari. Porto tante storie dentro di me, dolori, gioie, avventure, paure e tante persone: padri, madri, nonni, fratelli, sorelle. Cerco di dare alle emozioni un linguaggio e spero che dal mio lavoro possano nascere cambiamenti, che domani un medico, un’infermeria diranno le stesse cose in un modo diverso, che guarderanno un paziente con calma, che sapranno accoglierne le paure, le ansie, le tenerezze. E che questo aiuti la speranza, il miglioramento e la guarigione. Questi obiettivi mi aiutano sicuramente a alleggerire il peso del mio lavoro che talvolta può essere notevole.


Area onlus ringrazia Alessia Tucci

Chi voglia contattarla può utilizzare l’indirizzo mail: alessia.tucci@gmail.com

L’arrivo di un figlio rivoluziona sempre i tempi e l’organizzazione di una famiglia: l’arrivo di un figlio con disabilità può stravolgerli.

Nel caso in cui si abbia un figlio riconosciuto in situazione di handicap, sono previste alcune agevolazioni lavorative, purtroppo in gran parte riservate ai soli lavoratori dipendenti.

Innanzitutto, se non vi è chiara la differenza fra i termini “invalidità” e “handicap” e fra “handicap” e “handicap con connotazione di gravità” vi consigliamo di leggere il nostro post dedicato.

Le norme di riferimento sono la Legge 104/92 e il Testo Unico in materia di tutela della maternità e della paternità, D. Lgs 151/2001, il D.Lgs. 80/2015

Nota bene: le agevolazioni descritte in questo capitolo vengono concesse nel caso in cui al bambino sia stato riconosciuto l’handicap con connotazione di gravità (ovvero quando sul verbale di handicap è riportato “comma 3, art. 3, L. 104/92″), eccezion fatta per l’esenzione dal lavoro notturno, e alla priorità nella richiesta di part time, che vengono riconosciute anche in assenza di gravità (sul verbale sarà riportato “comma 1, art. 3, L. 104/92″).

I congedi, i riposi e i permessi che tratteremo in questa sezione si aggiungono a quelli previsti per i genitori di tutti i bambini.

Tutte le agevolazioni citate in questo articolo spettano anche ai genitori affidatari o adottivi.

1. Prolungamento a 36 mesi del congedo parentale facoltativo

Successivamente ai 5 mesi di astensione obbligatoria della madre dal lavoro, per i primi dodici anni di vita del figlio, i genitori lavoratori dipendenti possono astenersi dal lavoro complessivamente per un totale di dieci mesi (11 se il padre usufruisce di almeno tre mesi di congedo). Al padre lavoratore dipendente il congedo spetta anche durante il periodo di astensione obbligatoria della madre (a decorrere dal giorno successivo al parto), e anche se la stessa non lavora. Il congedo può essere fruito su base oraria (D.Lgs 151/01 art. 32).

In caso di figlio con handicap in situazione di gravità i mesi di astensione facoltativa totali sono 36 (tre anni), a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore. L’indennità è pari al 30% della retribuzione.

Il prolungamento del congedo parentale può essere utilizzato in maniera continuativa o frazionataa giorni, a settimane o a mesi.

In caso di adozione o affidamento, il congedo parentale può essere fruito dai genitori adottivi e affidatari, qualunque sia l’età del minore, entro dodici anni dall’ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il raggiungimento della maggiore età.

 

2. Permesso orario

Nei primi tre anni di vita del figlio in situazione di handicap grave, ai genitori lavoratori dipendenti vengono riconosciute due ore di permesso lavorativo al giorno, retribuite e coperte dai contributi figurativi.

 

3. Tre giorni di permesso al mese

Ai genitori di minore in situazione di handicap grave sono riconosciuti tre giorni di permesso mensile, retribuiti e coperti dai contributi figurativi. I giorni sono tre in totale fra entrambi i genitori (es. la madre può prenderne due e il padre uno, o viceversa, oppure lo stesso genitore può prenderne tre e l’altro nessuno). Non sono cumulativi: se in un mese i genitori fruiscono per esempio di due giorni, il mese successivo avranno comunque diritto a tre giorni. Questo beneficio spetta durante l’intera vita lavorativa del genitore.

Raggiunta la maggiore età del figlio devono sussistere la convivenza o, in assenza di convivenza, l’assistenza al figlio deve essere continuativa ed esclusiva.

 

4. Due anni di congedo straordinario

I lavoratori dipendenti con un figlio in situazione di handicap grave, hanno diritto a un periodo di due anni (frazionabili fino alla singola giornata), retribuito e coperto dai contributi figurativi[1]. Se il figlio è maggiorenne deve sussistere la condizione della convivenza.

Il congedo è accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza.

Il congedo straordinario è compatibile con la fruizione del congedo di maternità o parentale, ovvero mentre un genitore fruisce del congedo parentale, l’altro può, nei medesimi giorni, fruire del congedo straordinario

Le misure dei punti 1, 2, 3 sono alternative.

Per convivenza s’intende la residenza presso lo stesso Comune, Via, Numero civico. E’ contemplata la residenza presso una scala o interno diverso, ma non presso un numero civico diverso.

Circolare 1/2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica

Circolare INPS 32/2012

 

Esenzione dal lavoro notturno

Spetta:

•  alle madri di un figlio di età inferiore a tre anni o, alternativamente, ai padri conviventi con le stesse;
•  all’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni;
•  ai familiari che “abbiano a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della Legge 5 febbraio 1992, n. 104″ (ovvero con certificazione di handicap). Per questa agevolazione non occorre la connotazione di gravità.


Il concetto di “a carico” si riferisce al prendersi cura del bambino, non all’averlo a carico dal punto di vista fiscale. Quindi, se per esempio il padre lo ha a carico fiscalmente al 100, ma non ha turni notturni, mentre la madre non lo ha a carico fiscalmente, ma lavora di notte, questa può chiedere l’esenzione dal lavoro notturno.

 

Sede di lavoro e trasferimenti

Il genitore che assiste con continuità un bambino in situazione di handicap con connotazione di “gravità” ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.

Egli inoltre non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso (L. 104/92, art. 33).

Richiesta di part-time

“In caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore agli anni tredici o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è riconosciuta la priorità alla trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale»” (L. 247/07 art. 44 c. 3)


[1]L’indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di euro 43.579,06 annui per il congedo di durata annuale, importo rivalutato annualmente (dal 2011) sulla base della variazione dell’indice Istat.

Vai al sito dell’INPS

Come presentare la domanda di invalidità o di handicap

Come comportarsi se il certificato di handicap tarda ad arrivare?

Ultimo aggiornamento: 27/11/2020

La modalità con cui si richiedono i permessi e i congedi è differente a seconda che chi fruirà dei benefici sia un dipendente pubblico o privato.

Dipendenti pubblici

Il dipendente pubblico presenta la domanda per i tre giorni mensili o per  il congedo straordinario all’ufficio del personale del proprio Ente datore di lavoro.

La domanda deve essere corredata dal verbale di handicap. Il verbale provvisorio rilasciato dalla commissione di accertamento dell’handicap vale a tutti gli effetti per la richiesta dei permessi retribuiti e del congedo straordinario, fino al ricevimento del verbale definivo dell’INPS, che vi perverrà a casa tramite lettera raccomandata.

Non appena vi perverrà ne porterete una copia all’ufficio del personale.

Dipendenti di ditte private e operai agricoli

I dipendenti di ditte private o gli operai agricoli iscritti all’INPS possono presentare domanda di assistenza a un proprio familiare disabile in uno dei modi seguenti:

a) tramite un patronato;

b) per via telematica, dal sito dell’Istituto (occorre essere in possesso dello SPID – Sistema Pubblico Identità Digitale), seguendo questo percorso:

www.inps.it –>prestazioni e servizi –> tutti i servizi –> Filtrare la ricerca cliccando sulla lettera ‘D’ –>Domande per prestazioni a sostegno del reddito –> autenticazione tramite CF e PIN/CNS/SPID –> Disabilità –> Permessi Legge 104/1992 –> Acquisizione domanda per assistenza ai familiari disabili

La domanda deve essere corredata dal verbale di handicap. Il verbale provvisorio rilasciato dalla commissione di accertamento dell’handicap vale a tutti gli effetti per la richiesta dei permessi retribuiti e del congedo straordinario, fino al ricevimento del verbale definivo dell’INPS, che vi perverrà a casa tramite lettera raccomandata.

Richiesta di congedo parentale tra gli otto e i dodici anni di vita o di ingresso di minore adottivo in famiglia: tramite sito dell’INPS o patronato.

L’INPS chiarisce la domanda cartacea va utilizzata solo dai genitori lavoratori dipendenti che fruiscono di periodi di prolungamento di congedo parentale dal 25 giugno 2015 al 31 dicembre 2015, per figli in età compresa tra gli 8 ed i 12 anni, oppure per minori in adozione o affidamento che si trovano tra l’8° ed il 12° anno di ingresso in famiglia.

Per tutti gli altri genitori lavoratori dipendenti aventi diritto al prolungamento del congedo parentale per figli di età inferiore agli 8 anni, la domanda continua ad essere presentata in via telematica.

Domanda per assistere due familiari con handicap grave

Nel caso in cui uno stesso lavoratore debba assistere due persone con handicap grave, per es. il proprio figlio e un altro familiare, deve formulare due domande distinte, una per ciascun familiare da assistere.

NB: è possibile assistere due familiari quando:

•  si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il 1° grado (o entro il 2° grado qualora i genitori o il coniuge del disabile abbiano compiuto i 65 anni, oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti)
•  l’assistenza possa essere effettuata solo in forma disgiunta (cioè quando la prestazione nei confronti di due o più familiari disabili può essere assicurata solo con modalità ed in tempi diversi. In pratica l’assistenza deve essere contemporaneamente “esclusiva” e “continua” per ciascuno degli assistiti

In caso di rivedibilità del verbale, nel periodo che intercorre fra la scadenza del verbale e la visita di rivedibilità da parte dell’INPS, i genitori che desiderano fruire del prolungamento del congedo parentale (D.Lgs. 151/01 – art. 33, c. 2), riposi orari alternativi al prolungamento del congedo parentale (L.104/92 art. 33, c.2), congedo straordinario (D. Lgs.151/01 art. 42) devono ripresentare domanda di risposo o di congedo (i dipendenti privati all’INPS o patronato o tramite sito www.inps.it ; i dipendenti pubblici presso il proprio ufficio del personale)

Circolare INPS 127 8/7/2016

Messaggio INPS 4805 16/7/2015

Da quando decorre il diritto ai permessi 104?

La domanda ha validità a decorrere dalla sua presentazione, mentre l’INPS darà la risposta, stanti i requisiti, entro 30 giorni, salvo eccezioni (leggi sul sito dell’INPS). Attenzione: eventuali variazioni delle notizie o delle situazioni autocertificate nella domanda dovranno essere comunicate all’INPS (dipendenti privati) o all’ufficio del personale (dipendenti pubblici) entro 30 giorni.

In settembre 2023 l’INPS ha introdotto la possibilità di “Variazione dati domanda” (messaggio INPS 3141 del 7/9/23), per consentire la variazione delle condizioni dichiarate in una domanda già presentata in modalità telematica.

Leggi anche: Come funzionano i permessi e i congedi Legge 104?

Ultimo aggiornamento: 15/1/2024

Il riconoscimento dell’invalidità civile (o di sordità, o di cecità) e il riconoscimento dello stato di handicap non sono la stessa cosa.

Dopo l’accertamento d’invalidità civile e quello di handicap, infatti, riceverete due lettere raccomandate due certificati diversi, definiti “verbali”: il verbale d’invalidità civile (o sordità o cecità) e il verbale di handicap.

La visita di accertamento delle due condizioni, in realtà nella maggior parte dei casi coincidono, motivo per cui potreste non rendervi conto che in realtà l’accertamento è in realtà duplice.

Cos’è l’invalidità civile?

L’invalidità civile è un riconoscimento sanitario che indica quanto la “menomazione” incide sulla possibilità di svolgere le funzioni e le attività della vita quotidiana in rapporto all’età: sul verbale d’invalidità sarà infatti riportata la dicitura “Minore invalido, con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età o ipoacusico”.

Il certificato di invalidità civile è quello che consente a vostro figlio di ricevere gli ausili e le protesi nel caso di invalido maggiorenne, le provvidenze per invalidità civile, la tessera di trasporto pubblico gratuito, l’esenzione dal ticket.

La percentuale d’invalidità può essere richiesta fin dai 16 anni (che rappresentano l’ingresso nell’età lavorativa), se a vostro figlio interessa provare a entrare nel mondo del lavoro. Infatti, con una percentuale pari almeno al 46%, egli potrà iscriversi al Centro per l’Impiego e alla lista riservata alle categorie protette.

Leggi anche:

La situazione di handicap

La situazione di handicap è una valutazione che ha carattere sociale e sanitario, perché dice fino a che punto la patologia del bambino incide sulla sua vita di relazione e sulla sua possibilità di integrazione scolastica e sociale. Questo indice, nel certificato, viene espresso con le due formule seguenti: “handicap” (L. 104/92, art. 3, comma 1),  “handicap con connotazione di gravità” (L. 104/92, art. 3, comma 3).
Questa seconda formulazione è quella che consente di ottenere diverse agevolazioni in ambito lavorativo e fiscale.

Su entrambi i certificati sono riportati i diritti alle agevolazioni per il permesso di sosta e circolazione per disabili e per le agevolazioni fiscali sull’acquisto di un’automobile.

Titolare degli accertamenti di invalidità civile e di handicap è l’INPS

Aggiornato il: 25/2/2022

La maggior parte dei genitori di un bambino con disabilità chiede il certificato di handicap per poter fruire dei tre giorni al mese di permesso mensile retribuito o di un periodo fino a due anni di congedo straordinario retribuito. Spesso questa richiesta viene fatta nel momento del bisogno, ma tra il momento della domanda di accertamento e il ricevimento del verbale possono trascorrere anche tre – cinque mesi.

Come fare nel frattempo?

La Legge 423/93 (conversione in legge del D.L. 324/93) all’art. 2, comma 2 recita:  “Qualora la commissione medica di cui all’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 [commissione di accertamento dell’handicap n.d.r.], non si pronunci entro quarantacinque giorni dalla presentazione della domanda, gli accertamenti sono effettuati, in via provvisoria, ai soli fini previsti dagli articoli 21 e 33 [tre giorni di permesso al mese, diritto a non essere trasferiti ad altra sede lavorativa, diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e a non essere trasferito senza il proprio consenso ad altra sede n.d.r.] della legge 5 febbraio 1992, n. 104 e dall’articolo 42 [prolungamento del congedo parentale fino a un totale di tre anni; due anni di congedo straordinario retribuito n.d.r.] del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, da un medico specialista nella patologia denunciata, ovvero da medici specialisti nelle patologie denunciate, in servizio presso l’unità sanitaria locale da cui è assistito l’interessato” (per es. il medico neuropsichiatra infantile).

Il medico specialista “non può esimersi dall’attestare […] la situazione di handicap grave. Infatti non è tanto importante la patologia in sé, ma le difficoltà socio-lavorative, relazionali e situazionali che la stessa determina e che vanno esplicitate nel certificato.”

Validità temporale della certificazione

La certificazione rilasciata dal medico specialista è provvisoria e vale fino all’emissione dell’accertamento definitivo dal parte della Commissione medico-legale (circolare INPS 117/2016).

Alla richiesta di permessi o congedo il lavoratore dovrà presentare:

Certificazione provvisoria della commissione medico-legale

Oltre al certificato provvisorio rilasciato dal medico specialista, ricordiamo che la commissione di accertamento dell’handicap “previa richiesta motivata dell’interessato, è autorizzata a rilasciare un certificato provvisorio al termine della visita. Il certificato provvisorio produce effetto fino all’emissione dell’accertamento definitivo da parte della Commissione medica dell’INPS“. Il certificato provvisorio è finalizzato proprio all’ottenimento dei tre giorni al mese di permesso retribuito e ai due anni di congedo straordinario retribuito. Nei casi in cui la commissione non lo rilasciasse significa che nutre ancora dei dubbi rispetto alla condizione di gravità (“Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità” Legge 104/92 art. 3 comma 3).

Ultimo aggiornamento: 12/11/2019

 

In ambito d’invalidità civile sono possibili due tipo di ricorso: contro il giudizio espresso dalla commissione e contro il rigetto della richiesta di pensione o indennità.

Il ricorso contro l’esito della commissione invalidità civile handicap (Legge 104/92)

Quando si ritiene che il giudizio espresso nel verbale definitivo di invalidità / handicap (o sordità, o cecità) non sia congruo, si può presentare ricorso.

NB: si può ricorrere soltanto entro 180 giorni dal ritiro della lettera raccomandata contenente il verbale

La procedura per presentare ricorso è la seguente:

  1. il cittadino si rivolge a un avvocato, anche tramite un ente di patronato (per es. presso un CAF) o a una di queste associazioni di tutela: ANMIC, ENS, UIC, ANFFAS;
  2. l’avvocato presenta al Tribunale di residenza un’istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie (si tratta di una perizia per la quale anticiperete le spese voi (o eventualmente il patronato/associazione a cui aveve dato il mandato);
  3. Il Giudice incarica un “consulente tecnico” (un medico) della perizia, alla quale partecipa anche INPS;
  4. Il consulente tecnico invia la bozza della relazione di perizia al cittadino e all’INPS, che possono fare le proprie osservazioni.
  5. Il c.t. deposita la perizia definitiva presso il Giudice, che chiede quindi formalmente all’INPS e al cittadino se vi siano contestazioni. Se entro 30 giorni il giudice non ha ricevuto contestazioni, il giudice emette un decreto, che è  inappellabile.

Se il ricorrente ha ragione, lo Stato (mediante l”INPS) dovrà pagare le spese processuali e le prestazioni dovute (es. Indennità di frequenza, Indennità di accompagnamento, ecc.) entro 120 giorni.

COSTI: è bene informarsi preventivamente con l’organizzazione o con l’avvocato a cui avete affidato il ricorso, delle spese a vostro carico in caso di vittoria o invece in caso di sconfitta. Alcuni enti di patronato fanno sostenere al ricorrente costi diversi in base all’ISEE

Contestazione della perizia

Se una delle parti (INPS o cittadino) contesta la relazione del consulente tecnico, entro 30 giorni dalla dichiarazione di contestazione deve depositare presso il giudice il ricorso introduttivo del giudizio, specificando i motivi della contestazione. Si procede quindi nel processo vero e proprio fino all’emissione della sentenza definitiva, che è inappellabile.

Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.

Vai alla scheda INPS

Il ricorso amministrativo per invalidità civile

Esiste anche un altro tipo di ricorso, relativo unicamente al rigetto dei benefici economici. Si tratta di un ricorso amministrativo che può essere presentato direttamente all’INPS tramite SPID, CIE o CNS. Esso riguarda il possesso dei requisiti amministrativi per le pensioni d’invalidità (non di salute): come il reddito, la cittadinanza o la residenza.

I tempi di lavorazione previsti sono di 30 giorni.

Vai alla prestazione INPS

Ultimo aggiornamento: 9-1-2023

Alcuni verbali di invalidità presentano una data di rivedibilità, infatti quando la commissione medico legale di accertamento di invalidità / handicap considera che la disabilità possa evolvere nel tempo, in meglio o in peggio, inserisce nel verbale definitivo (quello che si riceverà a casa tramite posta raccomandata) una data di REVISIONE.

Se la dicitura è “REVISIONE: NO“, il verbale d’invalidità è definitivo e nel caso di minori sarà valido fino al giorno precedente il compimento del diciottesimo anno di età

Il verbale di handicap che NON riporta una data di rivedibilità resterà valido senza scadenza, ovvero anche dopo compimento dei diciotto anni.

Se la dicitura è “REVISIONE: mese/anno” il verbale e i relativi diritti avranno validità fino all’ultimo giorno del mese indicato (es. rivedibile al settembre/2027) significa che entro la fine del mese indicato l’INPS dovrà chiamare la persona a visita. In realtà il decreto semplificazioni del 2014 all’ART. 25 indica che tutti i diritti e le agevolazioni avranno validità fino “alla definizione del nuovo verbale”, ovvero fino alla visita di accertamento.

La visita di rivedibilità è all’ASL o all’INPS?

L’accertamento di rivedibilità si effettua all’INPS, presso il centro medico legale competente per la vostra zona di residenza.

Cosa deve fare chi ha un verbale di invalidità o di handicap “rivedibile”?

Chi ha un verbale con l’indicazione di una rivedibilità non deve fare nulla, poiché sarà l’INPS a convocare a visita.

Inoltre il messaggio INPS n. 335 del 2021 “Invalidità civile: nuovo servizio per la documentazione sanitaria” snellisce l’accertamento di revisione permettendo di inviare alla medicina legale INPS, tramite il portale internet, la documentazione aggiornata, in modo da valutare per quanto è possibile in base alla documentazione clinica, evitando così in molti casi la convocazione di persona.

Link per inviare la documentazione all’INPS

Nuova procedura INPS per la visita di revisione

Cosa fare se l’INPS non chiama alla visita di revisione?

Quando l’INPS non chiama alla visita di revisione possono essersi verificate due situazioni:

  1. l’INPS è in ritardo: in questo caso è possibile sollecitare un appuntamento, recandosi di persone presso la medicina legale dell’INPS (non dell’ASL, che non è coinvolta nelle visite di revisione!) o scrivendole una mail (per Torino utilizzare gli indirizzi medicolegale.torino@inps.it e medicolegale.collegno@inps.it – vai al sito)
  2. la convocazione per lettera raccomandata non è arrivata: in questo caso purtroppo il messaggio INPS 1835 6/5/21 chiarisce che “a prescindere dall’esito della comunicazione postale, l’assenza a visita di revisione determinerà in ogni caso la sospensione cautelativa della prestazione economica”

Cosa fare se non vi siete presentati alla visita di rivedibilità?

Il messaggio INPS 1835 6/5/21 affronta la questione: se non vi siate presentati alla visita di accertamento:

Il verbale d’invalidità o di handicap ha una scadenza?

Sostanzialmente chi ha un verbale che riporta una data di revisione non ha affatto un verbale in scadenza, in quanto per effetto del decreto semplificazione (L. 114/2014) si conservano tutti i diritti previsti, fino alla definizione del nuovo verbale (ovvero, fino al giorno della visita di rivedibilità).

Purtroppo l’ASL nel rilasciare l’esenzione ticket per invalidità (c04) deve riportare una data di scadenza legata al verbale, per cui l’unica cosa che occorre fare è recarsi all’ASL per chiedere la proroga dell’esenzione, in attesa della visita di rivedibilità.

Potrebbe verificarsi inoltre la situazione per cui la tessera GTT di trasporto gratuito risulti inattiva. In questo caso occorre rivolgersi agli Centri di Servizi al cliente GTT

Per quanto concerne la visita di rivedibilità, sarà l’INPS stessa a convocare vostro/a figlio/a e ad effettuare materialmente l’accertamento, che non avverrà più presso la vostra ASL di residenza, bensì presso la sede medico legale dell’INPS indicata nella lettera raccomandata di convocazione che riceverete a casa.

Dunque se dall’ultimo accertamento avete cambiato indirizzo, segnalatelo all’INPS

Per conoscere la propria sede INPS di appartenenza: http://www.inps.it —> “Le sedi INPS”

Per poter continuare a fruire dell’esenzione ticket però in alcune ASL bisogna presentare allo sportello amministrativo la ricevuta dell’INPS con la prenotazione della visita di accertamento di rivedibilità.

Vai alla circolare INPS 10/2015

NB: per la visita di rivedibilità non occorre un nuovo certificato medico online, mentre è fondamentale avere documentazione clinica aggiornata (referti di analisi o di visite specialistiche, programmi terapeutici, fogli di dimissione ospedaliera).

Cosa succede se si aggrava l’invalidità o l’handicap?

Se l’invalidità o l’handicap si aggravano nel periodo immediatamente precedente alla data di revisione, avete a disposizione tre soluzioni:

  1.  attendere la visita di revisione
  2. sollecitare la visita di revisione (recandovi di persona presso la sede della medicina legale dell’INPS, o scrivendo al relativo indirizzo mail -vedi sopra: “Cosa fare se l’INPS non chiama alla visita di revisione?”)
  3. fare una richiesta di aggravamento d’invalidità, o di handicap, o di entrambi. Questa è la soluzione meno consigliabile, poiché significa sostanzialmente presentare una nuova richiesta d’invalidità, con  tempi più lunghi ed eventuali costi per il certificato medico telematico.

Leggi anche il messaggio messaggio INPS n. 926 del 25/2/22 “Nuove modalità organizzative e procedurali per la gestione delle revisioni”

Se un verbale è definitivo sono possibili ulteriori controlli?

In base al DM 2007 “Individuazione delle patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante” lo stato d’invalidità è soggetto a controlli a campione, salvo nel caso di patologia/e riportate nell’allegato del DM stesso

Per questo motivo sul verbale è indicato “ESONERO DA FUTURE VISITE DM 2/6/2007”: SI / NO

NB: anche se la patologia rientra fra le patologie esenti da controllo, qualora l’INPS convochi a visita funziona esattamente come nel caso di rivedibilità, ovvero in caso di assenza per motivo ritenuto dall’INPS ingiustificato, il precedente verbale non sarà più considerato valido e perderete i benefici. Converrà recarsi all’accertamento e fare presente in quella sede che la patologia è esente da futuri controlli.

Come leggere il verbale d’invalidità o di handicap

Ultimo aggiornamento: 24-1-2023

Le ludoteche sono spazi di gioco dedicati ai bambini, in genere predisposti in ambienti accoglienti e stimolanti, in cui si trovano molti giochi che i  bimbi possono liberamente usare, allo stesso modo in cui si consultano i libri in una biblioteca.

Il bambino può essere accompagnato in ludoteca dal genitore o dalla baby-sitter, da un volontario, da un affidatario, anche per trovare insieme nuovi strumenti di gioco.

Nella sezione Link utili e nel Trova servizio sono segnalati siti e indirizzi di alcune ludoteche e spazi gioco cittadini.

Per orientarsi e scegliere tra le molteplici proposte che la città dedica a bambini e genitori ci si può rivolgere al “Progetto famiglia“.

Un utile strumento consultabile on line è la “Guida pratica per le famiglie” (con bambini da 0 a 6 anni), a cura della Divisione Servizi Educativi, la quale contiene anche un sezione dedicata al tempo libero.

Inoltre, segnaliamo che negli Ospedali Regina Margherita e Martini esistono degli appositi spazi di gioco per i bambini ricoverati: per informazioni sul Regina Margherita potete telefonare allo 011-3135403 e per il Martini allo 011-70952264.

L’attività motoria a cavallo è considerato da molti esperti e studiosi un buon modo per migliorare il rapporto dei bambini disabili con il proprio corpo e per rinforzare le loro capacità di relazione.
Il cavallo, nonostante la sua mole non indifferente, è un animale davvero sensibile e intelligente, capace di instaurare un rapporto positivo con i vostri figli  e di stimolare  positivamente le loro capacità comunicative, oltre che motorie.
Per avere maggiori informazioni sui centri di Torino e provincia specializzati in ippoterapia, consultate “Come scegliere lo sport giusto?”

 

Aggiornato al: 24/10/2019

Esistono molte attività sportive che i vostri figli possono svolgere.

Il sito del Comune di Torino ha una sezione dedicata e una pagina di ricerca

Segnaliamo inoltre:
CALCIO. Per chi sceglie il calcio e non ama restare in panchina:

ASD Totalsport for disabled – e -Insuperabili academy – Torino

ABILI PER IL CALCIO – Corso di avviamento al calcio per ragazzini con disabilità intellettive dell’associazione Pens@Te. L’équipe è formata da un allenatore e da uno psicologo dello sport.

RUGBY.
Chivasso Rugby Onlus, che con IMAS – International Mixed Ability Sports promuove la il rugby inclusivo in Italia. “Il modello mixed ability incoraggia l’inclusione sociale attraverso la creazione e la diffusione di squadre nelle quali sono coinvolti giocatori con ogni tipo di abilità insieme a compagni, volontari e allenatori che fungono da facilitatori. Il modello si differenzia da quello paralimpico partendo dall’assunto base per cui chiunque, in qualche fase della propria esistenza, può esperire una forma di disabilità.” (Tratto dall’invito alla prima “Coppa progetti”)

CANOTTAGGIO.
Il canottaggio specificamente rivolto a persone con disabilità si chiama “pararowing”. Torino, grazie al Po, ha una lunga tradizione in questo sport e alcune società hanno sviluppato una particolare attenzione e competenza nell’insegnamento e nell’allenamento rivolti a ragazzi con disabilità.
Società Esperia
Società Cerea
Società Caprera
DANZA: l’Associazione “Amici da sballo” si rivolge tanto a persone danza forme di disabilità, quanto a persone con disabilità fisica o mentale.
IPPICA e IPPOTERAPIA
Associazione Rubens, la relazione che cura (Opera in Torino e provincia)
Cooperativa Enzo B. (Torino SUD)
Mannus si trova in seconda cintura OVEST
SCI: vai al post dedicato

NUOTO e altri sport. 
il nuoto e altri sport è possibile consultare le schede del sito comunale “Motore di ricerca
Ultimo aggiornamento al: 26-10-2020

Il certificato d’invalidità civile (tecnicamente “verbale d’invalidità civile”) contiene un giudizio di carattere sanitario formulato dalla Commissione medico-legale. In base all’esito dell’accertamento e al tipo di disabilità, sul verbale sarà indicato il tipo di provvidenza economica riconosciuta (indennità o pensione).

Come chiedere l’invalidità civile?

NB: è il verbale d’invalidità civile, o cecità, o sordità a dare diritto alle provvidenze economiche. Il verbale di handicap invece non dà diritto a indennità o pensioni

Come leggere il verbale d’invalidità

Gli stranieri hanno diritto alle indennità e pensioni per invalidità?

I cittadini stranieri residenti in Italia, sia comunitari, sia extracomunitari, hanno diritto alle indennità e alle pensioni per invalidità civile: leggi come.

Le indennità e pensioni per invalidi minori o adulti possono coincidere o essere diverse

Alcune indennità spettano tanto ai minori, quanto agli adulti, altre invece sono specifiche in base all’età (0-18 anni e 18-67 anni). La pensione per ciechi totali spetta ai maggiorenni senza limiti di età:

In particolare, nel caso di minori invalidi le regole per le pensioni e indennità sono le seguenti:

Ai bambini sordi viene riconosciuta l’indennità di comunicazione se rientrano in queste due situazioni:

Viene riconosciuta per 12 mensilità (nella provincia autonoma di Bolzano per 13 mensilità)

Ai bambini ciechi viene riconosciuta:

Indennità di frequenza

Viene erogata l’indennità di frequenza  quando il bambino è riconosciuto, sul verbale di invalidità “Minore invalido, con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età o ipoacusico”

Spetta per i mesi di frequenza, anche saltuaria, di un asilo nido o di una scuola di ogni ordine e grado (anche privata), o di un centro riabilitativo pubblico o convenzionato (in questo caso la riabilitazione deve essere stata prescritta da un medico specialista del servizio pubblico. Dunque l’indennità di frequenza viene erogata anche se il bambino o lo studente frequenta la scuola senza continuità.

Incompatibilità: l’indennità di frequenza è incompatibile con i ricoveri a spese dello Stato o di Ente pubblico pari o superiore a 30 giorni, con l’indennità di accompagnamento e con l’indennità di comunicazione per sordi.

 

Indennità di accompagnamento

Viene erogata l’indennità di accompagnamento quando sul verbale d’invalidità è riportato:

• “Minore invalido con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età e con impossibilità a deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore”

oppure

• “Minore invalido con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età, con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”

oppure entrambe le diciture.

L’indennità viene erogata ogni mese.

Incompatibilità: l’indennità di frequenza è incompatibile con i ricoveri a spese dello Stato o di Ente pubblico pari o superiore a 30 giorni e con l’indennità di frequenza

Quali provvidenze spetteranno con la maggiore età?

 

Quali sono gli importi delle indennità e pensioni per invalidità civile?

All’inizio di ogni anno solare la Direzione generale dell’INPS pubblica gli importi, in base all’andamento del costo della vita calcolato dall’ISTAT.

Il sito HandyLex.org pubblica ogni anno una tabella molto dettagliata su importi e requisiti di legge

 

Da quando partono le indennità e pensioni d’invalidità?

Il diritto alle indennità parte dal primo giorno del mese successivo alla data in cui è stata presentata la domanda di accertamento di invalidità: per es. se avete fatto la richiesta di accertamento l’1 o il 30 settembre, l’indennità verrà comunque calcolata a partire dal 1 ottobre. La data di partenza dell’indennità o della pensione è riportata in cima alla prima pagina del verbale: Come leggere il verbale d’invalidità

Sugli arretrati sono calcolati gli interessi legali. Non è possibile richiedere l’erogazione di indennità e pensioni per periodi precedenti alla domanda di accertamento d’invalidità.

L’Ente incaricato del il pagamento è l’INPS.

 

Quali misure a contrasto della povertà?

 

Ultimo aggiornamento: 3-2-2023

L’indennità di frequenza è una somma che in presenza di un’invalidità certificata spetta mensilmente fino al 18° compleanno, relativamente ai mesi di frequenza di:

•  scuole, pubbliche o private legalmente riconosciute, di ogni ordine e grado, a partire dagli asili nido;
•  centri ambulatoriali, centri diurni, anche di tipo semi-residenziale, pubblici o privati, purché operanti in regime convenzionale, specializzati nel trattamento terapeutico e nella riabilitazione e nel recupero di persone portatrici di handicap;
•  centri di formazione o addestramento professionale pubblici o privati, purché convenzionati, finalizzati al reinserimento sociale.

L’indennità di frequenza è prevista, anche nei mesi estivi soltanto nel caso in cui vostro figlio frequenti una scuola o un centro riabilitativo in regime di convenzione con l’ASL seguendo un programma terapeutico redatto dall’ASL (neuropsichiatria infantile). Sono esclusi i soggiorni estivi all’estero ed i centri estivi (“Estate ragazzi”).

 

Ultimo aggiornamento: 18/02/2016

Fino a quando un bambino ha due anni è abbastanza frequente per un genitore percorrere lunghi tratti di strada tenendolo in braccio o in passeggino. Compiuto il terzo anno il bambino può essere troppo pesante e troppo grande per essere portato in braccio o in passeggino. A questo punto può essere opportuno richiedere il contrassegno di sosta e circolazione (il nome tecnico è “Contrassegno Unificato Disabili Europeo – CUDE”).

 

Chi ha diritto al rilascio del contrassegno?

Ha diritto al tagliando chi è in possesso di un verbale d’invalidità o di handicap che riporti “Invalido con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta (art. 381 del DPR 495/92).  Il DPR 495/92 è il Nuovo Codice della Strada, che ne prevede il diritto in caso di capacità di deambulazione sensibilmente ridotta o non vedenti.

In alcuni territori, a discrezione della medicina legale dell’ASL, il contrassegno può essere rilasciato in caso di di gravi patologie che richiedano terapie salvavita in ospedale.

Non c’è quindi un collegamento fra la percentuale d’invalidità e il diritto al contrassegno.

Come capire dal certificato di invalidità o handicap se si ha diritto al contrassegno di sosta, parcheggio e circolazione

Come richiedere il contrassegno?

Il permesso deve essere richiesto al proprio Comune di residenza. Nei piccoli Camuni normalmente si fa riferimento alla polizia municipale, mentre le grandi città possono disporre di uno specifico ufficio, reperibile facilmente cercando sul sito istituzionale “contrassegno di sosta e circolazione” oppure “contrassegno disabili”. A Torino il Comune ha dato la delega a GTT: informazioni e istruzioni

 

Validità:  Il contrassegno può avere durata quinquennale o durata inferiore a cinque anni.

Cosa consente il contrassegno di parcheggio?

Il contrassegno deve essere esposto sul cruscotto dell’auto che in quel momento ha a bordo la persona con disabilità: vi ricordiamo infatti che l’utilizzo del permesso è strettamente personale e pertanto può essere utilizzato solo quando sul veicolo è presente il titolare.

Per un uso corretto del contrassegno, segnaliamo l’utile vademecum dell’ACI

Consente:

– la sosta e il parcheggio negli stalli con il simbolo della carrozzina, purché non sia loro associata una palina riportante un numero di serie (in questo caso il parcheggio è riservato a una persona disabile in particolare: vai al post). In alcuni Comuni e a Torino esso permette la sosta anche nelle zone blu (verificare con in Comune in cui si ha necessità di sostare).

la circolazione:

E’ il documento necessario per:

Come si rinnova?

Per rinnovare il contrassegno quinquennale occorre presentare all’Ufficio incaricato del suo rilascio il contrassegno in originale e un certificato del medico curante che attesti “il perdurare delle condizioni sanitarie che avevano determinato il rilascio del contrassegno in scadenza”.

Il rinnovo di un contrassegno di durata inferiore ai cinque anni avviene invece con le stesse modalità di un primo rilascio: a Torino è bene presentarne richiesta con largo anticipo sulla scadenza (è possibile prenotarlo fino a tre mesi prima).

Le persone disabili possono parcheggiare in zona blu?

Come fare se sul certificato non è riportato “art. 381 del DPR 495/92”?

Possono verificarsi situazioni per cui potreste avere necessità del contrassegno in assenza della dicitura prevista per legge: per esempio per una disabilità motoria temporanea che renda molto difficile o impossibile camminare.

In questo caso è possibile fare riferimento alla medicina legale della propria ASL per chiedere una visita di idoneità al contrassegno di sosta e circolazione, allegando la documentazione medica che certifica la nuova disabilità.

Ultimo aggiornamento: 8/4/2022

I Servizi Sanitari vengono erogati dalle ASL (Azienda Sanitaria Locale) e dagli Ospedali.

In Piemonte ci sono 13 ASL, ciascuna delle quali è suddivisa in distretti sanitari, che coincidono con una determinata area geografica e che fanno capo a un Responsabile di Distretto.

Gli Ospedali si differenziano in Presìdi ospedalieri (che fanno parte di una ASL, come per es. a Torino l’ospedale Martini, che fa parte dell’ASL TO1, o l’ospedale Maria Vittoria, che fa parte dell’ASL TO2) e Aziende ospedaliere (CTO-Maria Adelaide, Molinette, ecc.), che non dipendono dalle ASL e hanno una Direzione generale propria.

Nota bene: i Servizi Sanitari cui ci riferiamo in questo percorso sono quelli erogati dalle ASL.

Torino è suddivisa in due ASL (TO1 e TO2) e in dieci distretti sanitari, ciascuno coincidente con una circoscrizione comunale. In questo modo la collaborazione fra servizi sanitari e sociali risulta facilitata.

Sono Servizi Sanitari dell’ASL: il pediatra, l’assistenza sanitaria a domicilio, l’assistenza specialistica territoriale, la neuropsichiatria infantile, l’assistenza sanitaria all’estero, la fornitura di ausili e protesi, la riabilitazione (fisioterapica o logopedica), ecc.

Il pediatra (tecnicamente: “pediatra di libera scelta”) è il medico di fiducia preposto alla tutela dell’infanzia, dell’età evolutiva e dell’adolescenza, cioè dei bambini e dei ragazzi tra 0 e 14 anni.

Ogni bambino, sin dalla nascita, deve avere il suo pediatra per poter accedere a tutti i servizi e prestazioni garantiti dal Servizio sanitario nazionale (Ssn).

Il pediatra è obbligatorio per i bambini fino ai 6 anni; tra i 6 e 14 anni la scelta può essere tra pediatra e medico di famiglia.

In caso di handicap o di patologie croniche si può richiedere un proroga dell’assistenza pediatrica fino a 16 anni di età. Questa possibilità è particolarmente importante quando il pediatra si è formato negli anni rispetto alla patologia del bambino.

Perché la collaborazione tra voi e il pediatra risulti efficace, è importante aggiornarlo costantemente sulle novità provenienti dai diversi specialisti che eventualmente consulterete e sulle vostre scelte in campo sanitario. Egli vi potrà aiutare a “mettere insieme i pezzi” e a capire alcuni termini molto complessi – in quanto molto specialistici – oltre a seguire lo sviluppo globale del vostro bambino.

Come si sceglie il pediatra?

Alla nascita del bambino, una volta ottenuto il suo codice fiscale, sceglierete un pediatra presso l’ufficio di “Scelta e revoca del Medico e del Pediatra” del distretto sanitario in cui risiedete. L’elenco dei pediatri spesso è disponibile sul sito dell’ASL. Alcune ASL prevedono la possibilità della scelta del pediatra online.

A Torino è possibile scegliere qualsiasi pediatra che operi presso una delle due ASL cittadine, l’unica condizione è che il medico prescelto non abbia già raggiunto il numero massimo di assistiti che può avere in carico (a meno che non segua già un fratellino o una sorellina) e sia disposto a visitare i pazienti anche al di fuori della propria ASL di appartenenza.

I bambini stranieri hanno diritto al pediatra?

I bambini figli di stranieri presenti regolarmente sul territorio italiano seguono le regole previste al livello europeo in base al caso specifico – vai al sito del Ministero della salute.

Anche i bambini figli di stranieri presenti non regolarmente sul territorio italiano, che si trovino in Piemonte, hanno diritto al pediatra – vai alla delibera regionale

Quali compiti ha il pediatra?

Tra i compiti del pediatra, oltre alle visite ambulatoriali e domiciliari e alla prevenzione, rientrano:

Il pediatra deve curare l’assistenza, anche domiciliare, del bambino con patologie croniche con progetti di “assistenza domiciliare programmata” o di “assistenza domiciliare integrata”.

Il pediatra deve inoltre scrivere e aggiornare una scheda sanitaria individuale di vostro figlio, che gli consenta di disporre in ogni momento delle notizie e degli avvenimenti che riguardano il suo stato di salute, in modo tale da procedere con una cura personalizzata, appropriata alla storia clinica del bambino.

Cura inoltre i periodici bilanci di salute.

Si può cambiare pediatra?

Nel caso in cui non siate soddisfatti del pediatra che avete scelto, potete revocarlo e sostituirlo: per fare ciò occorre recarsi allo sportello “Scelta e Revoca del medico” della vostra ASL di residenza, con la tessera sanitaria del bambino.
Nel caso in cui il pediatra che sceglierete e quello precedente siano associati, occorre l’accettazione del nuovo pediatra.

Il pediatra visita a domicilio?

Il pediatra non è obbligato a visitare a domicilio tranne in caso di intrasportabilità del bambino.

A chi ci rivolgiamo quando siamo in vacanza in Italia?

Quando il vostro bambino, per qualsiasi ragione, si trova a soggiornare temporaneamente presso un comune diverso da quello di residenza (ad esempio: si trova in una località di vacanze), potete chiedere l’assistenza a un pediatra convenzionato con il Servizio sanitario o alla Guardia Medica.

La visita sarà a pagamento, ma potrete ottenere un rimborso parziale, se vostro figlio:

Per chiedere il rimborso dovete recarvi agli sportelli della vostra ASL di residenza muniti della ricevuta del pagamento.

Ministero della salute

Ultimo aggiornamento: 20-3-2015

Dopo le dimissioni dal reparto di maternità dell’ospedale, il vostro bambino può aver bisogno di visite specialistiche (p. es. ortopediche, fisiatriche, neurologiche ecc.) o di specifici esami di laboratorio (p. es. sangue, urine, feci) o strumentali (p. es. radiografie, ecografie, TAC).

 

Come si prenota una visita specialistiche e gli esami?

Tutte le visite di medici specialisti che lavorano all’interno di strutture pubbliche e convenzionate con il Servizio Sanitario, devono essere richieste per vostro figlio dal pediatra di famiglia, che preparerà sull’apposito ricettario un’impegnativa (cioè una richiesta) in cui indicherà la motivazione per cui ritiene necessaria la visita.

Nota bene: le visite a domicilio sono possibili soltanto se il pediatra specifica sull’impegnativa che si tratta di una “Visita domiciliare”.

Ottenuta l’impegnativa, si prenoterà la visita con una delle seguenti modalità:

La visita “ORL, “Percorso fisiatrico” e “Stili di vita” sono prenotabili anche presso la Casa della salute dei bambini e dei ragazzi dell’ASL Cità di Torino.

Le visite domiciliari possono essere prenotate soltanto presso la propria ASL.

 

Come si prenota una visita specialistica a domicilio?

Per prenotare una visita specialistica a domicilio, invece, occorre che l’impegnativa riporti “visita domiciliare”. Per prenotare una visita specialistica a domicilio a Torino seguite le istruzioni sulla pagina dell’ASL Città di Torino.

Altro discorso vale per le visite a domicilio del medico di famiglia o del pediatra.

La visita a domicilio da parte del medico di famiglia o del pediatra è possibile quando la persona non è trasportabile presso l’ambulatorio del medico e quando il medico considera che la situazione clinica sia critica al punto da rendere necessaria una visita a domicilio.

Secondo quanto stabilito dalla Convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale il Pediatra è reperibile tutti i giorni feriali al mattino dalle 08 .00 alle 09 .00 per le richieste di visita a domicilio. Il medico di famiglia è reperibile fino alle 10:00.

Se la visita è stata richiesta entro questi orari, deve essere eseguita di norma nel corso della stessa giornata. Se la richiesta di visita domiciliare viene presentata dopo questi orari, il medico dovrà presentarsi al domicilio entro le 12:00 del giorno successivo.

 

Come si prenota una visita specialistica se sono straniero irregolare?

Le visite specialistiche nel caso di stranieri irregolari vengono prenotate mediante impegnativa rilasciata dello sportello ISI (Informazioni Sanitarie Immigrati) o dal Consultorio pediatrico o ginecologico.

Questi centri rilasciano una tessera “STP” (Straniero Irregolarmente Presente)”, che permette di accedere ai servizi sanitari.

 

Regione Piemonte – Assistenza sanitaria agli stranieri

Sportelli ISI dell’ASL città di Torino

Aggiornato al 31-1-2022

Se desiderate iscrivere vostro figlio al Nido o alla Scuola materna, dovrete presentare la domanda presso la segreteria della scuola prescelta, con l’indicazione anche di sedi alternative, allegando le documentazioni mediche (diagnosi funzionale, o certificazione dei Servizi di Neuropsichiatria Infantile, o certificazione di invalidità permanente, o certificato di handicap ai sensi della L. 104/1992).

Il sistema di attribuzione del punteggio attualmente utilizzato dal Comune di Torino rende di solito più facile l’accoglienza dei vostri bambini.

La documentazione prodotta per l’iscrizione al Nido d’Infanzia, verrà inviata alla Commissione H Centrale che provvederà all’eventuale richiesta di assegnazione di un educatore in appoggio alla sezione.

Ricordatevi che già al Nido è possibile richiedere l’indennità di frequenza, un aiuto economico di cui si parla nel percorso intitolato Benefici e permessi

Nota bene: il Consiglio Comunale di Torino sta esaminando una proposta relativa alla revisione del regolamento dei Nidi d’infanzia, che modificherà i criteri di accesso.

È importante ricordarsi di segnalare fin dal momento dell’iscrizione eventuali necessità particolari del vostro bambino, come per esempio una dieta precisa, oppure terapie specifiche, esigenze legate al trasporto, all’assistenza e così via.

Tra i servizi educativi per la prima infanzia (0-3 anni) esistono, oltre ai Nidi comunali, altre strutture che rispondono alle diverse esigenze delle famiglie e sono dislocati in ogni Circoscrizione cittadina: Nidi e Micronidi convenzionati e privati, Nidi in famiglia, Sezioni primavera e Baby Parking.

Vai alla pagina Asili Nido del Comune

Aggiornato al 19-5-2020

La Neuropsichiatria Infantile (NPI) svolge attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione per disturbi di natura neurologica, neuropsicologica, psicologica e psichiatrica del bambino e dell’adolescente.
Se vostro figlio viene preso in carico dalla NPI, verrà predisposto per lui un “Progetto riabilitativo individuale” relativo sia agli aspetti sanitari, sia agli aspetti sociali, con particolare cura per l’integrazione scolastica, i percorsi di apprendimento e la socializzazione.

Il servizio di NPI svolge interventi in collaborazione con: i Servizi Sociali, la scuola, il Tribunale dei Minori, il Tribunale Civile e Penale.

Come per ogni prestazione sanitaria rivolta a un minore, per poter prendere in carico vostro figlio la NPI avrà bisogno del consenso di entrambi i genitori, anche se legalmente separati. Se ravvisate un problema da questo punto di vista, parlatene in sede del primo colloquio di accoglienza.

Il servizio di NPI vi potrà accompagnare dai primi mesi dopo la nascita sino al diciottesimo anno di vita di vostro figlio, aiutandovi sia per le terapie riabilitative, sia per altre importanti necessità; in particolare, ci riferiamo alla relazione con il mondo della scuola per quel che riguarda l’ottenimento dell’insegnante di sostegno, la programmazione didattica e la valutazione del percorso scolastico con le insegnanti.

In età infantile è il neuropsichiatra infantile a predisporre gratuitamente il certificato per la richiesta di accertamento di invalidità e handicap e a compilare il Piano Educativo Individualizzato per l’inclusione scolastica e l’apprendimento.

Servizio di NPI Torino

Aggiornato il 12/10/2020

La riabilitazione riguarda una serie di interventi che possono essere effettuati al fine di ottenere un recupero e/o il mantenimento delle abilità del vostro bambino.
Ne fanno parte ad esempio le visite specialistiche (neuropsichiatriche, foniatriche, fisiatriche, ortopediche, oculistiche ecc.), le terapie fisioterapiche e psicomotorie, le terapie logopediche.
Teniamo conto che l’opportunità che vostro figlio faccia della riabilitazione deve essere comunque e sempre valutata dal medico specialista.
Per gli interventi riabilitativi ci rivolgeremo dunque ai Servizi di Rieducazione – Recupero Funzionale (RRF, o semplicemente “Fisiatria”) o di Neuropsichiatria infantile (NPI), tenendo conto che ogni ASL ha la propria procedura di accesso.
Quando e da chi viene prescritta la riabilitazione al bambino?

La riabilitazione può essere consigliata al vostro bambino dai medici dell’Ospedale Infantile (a Torino il Regina Margherita) o comunque da un neuropsichiatria infantile o ancora dal fisiatra.

Nota bene: è molto utile fare riferimento alla struttura pubblica, anche in vista delle certificazioni e degli interventi necessari all’integrazione scolastica.
Gli interventi riabilitativi si pagano?

Nelle strutture pubbliche e nei centri convenzionati l’intervento è prescritto dallo specialista pubblico ed è gratuito se il bambino ha un attestato di esenzione ticket.

Quali interventi riabilitativi offrono i servizi?
Fisioterapia
L’intervento fisioterapico può aiutare vostro figlio a migliorare e/o mantenere le capacità motorie il cui sviluppo è ostacolato dalla disabilità.
La fisioterapia può essere effettuata per permettergli di acquisire il controllo del capo, oppure per migliorare le sue competenze visive, oppure ancora per migliorare la sua capacità di mantenere la posizione seduta o di spostarsi nell’ambiente.

Il vostro bambino può fare della fisioterapia anche se:

Il fisioterapista formula un bilancio della situazione motoria e di sviluppo del vostro bambino, raccogliendo informazioni sia da voi, sia dai medici e dagli altri operatori sanitari, sia dall’osservazione diretta del bambino (mediante specifici strumenti).
Il fisioterapista, in base alla valutazione effettuata, propone un piano riabilitativo, che può prevedere un intervento diretto sul vostro bambino, articolato in cicli di sedute e proposte specifiche, che mirano all’acquisizione di abilità e al superamento delle difficoltà collegate al danno neurologico.
Anche i genitori partecipano alla riabilitazione del loro figlio, seguendo le informazioni, le indicazioni e i consigli del fisioterapista.

Psicomotricità (neuropsicomotricità)
Accanto al fisioterapista, troviamo spesso un’altra figura che si occupa di interventi che stimolano la relazione con il proprio corpo: il neuropsicomotricista. Qual è la differenza tra i due operatori?

In linea di massima, il fisioterapista si occupa di facilitare l’organizzazione di funzioni motorie (es. imparare a stare seduto), di mantenerle o recuperarle.
Il fisioterapista può aiutare vostro figlio a migliorare una funzione (es. il controllo del capo): per far questo egli dovrà servirsi della propria competenza tecnica, fra cui la capacità di entrare in contatto con vostro figlio e di stimolarne motivazioni e interessi.
Lo psicomotricista invece ha il compito di migliorare le capacità di relazione e di comunicazione del vostro bambino, facendo leva sempre su interventi di natura corporea: proporrà dunque situazioni terapeutiche che hanno l’obiettivo di aiutarlo a esprimersi maggiormente e ad apprendere a comunicare con gli altri.
Entrambe le figure professionali utilizzano un contesto ludico, in un ambiente appropriato (colorato e “morbido”) come momento di apprendimento, soprattutto quando il bambino è molto piccolo.
Attenzione a non confondere il fisiatra (che è il medico competente dei problemi motori e costituisce il riferimento per la diagnosi e la pianificazione dell’intervento terapeutico), con il fisioterapista, che è l’operatore sanitario che si occupa della gestione degli interventi riabilitativi.

Logopedia
Il logopedista formula un bilancio della situazione comunicativa-verbale del vostro bambino, raccogliendo informazioni sia da voi, sia dai medici e dagli operatori sanitari, sia dall’osservazione diretta del bambino (mediante strumenti specifici).
>Anch’egli propone, in base alla valutazione effettuata, un piano d’intervento a sostegno di vostro figlio e del vostro nucleo familiare, fornendovi informazioni, indicazioni e consigli.
L’intervento rivolto al vostro bambino sarà articolato in cicli di sedute e proposte specifiche, mirate al rinforzo delle sue abilità e al superamento delle sue difficoltà.

In particolare:

Attenzione a non confondere il foniatra (che è il medico competente dei disturbi della comunicazione, della deglutizione, della voce e del linguaggio, e costituisce il riferimento per la diagnosi e per la pianificazione dell’intervento terapeutico necessario al vostro bambino), con il logopedista, che è l’operatore sanitario che si occupa della gestione dei disturbi della comunicazione, della deglutizione, della voce e del linguaggio.

Ortottica
L’ortottica è un settore dell’oculistica che si occupa soprattutto della correzione dello strabismo.
L’ortottista esegue una visita che può essere utile nella diagnosi precoce dei disturbi visivi (età pre-scolare), proponendo ai vostri bimbi semplici test che forniscono un insieme di informazioni da inserire nella “pre-visita” oculistica. Inoltre l’ortottista affianca l’oculista nella correzione ottica dei bambini che presentano problemi di motilità oculare, ed effettua tutti gli esami tecnici di supporto all’esame oculistico.
Attenzione a non confondere l’oculista (che è il medico competente dei disturbi della vista), con l’ortottista, che è l’operatore sanitario che si occupa della gestione dei disturbi della vista.
Presso il servizio di Neuroftalmologia della Clinica Oculistica delll’Ospedale Oftalmico di Torino (via Juvarra 19), si è creata un’équipe multidisciplinare che segue gli esiti di danno neurologico in età evolutiva e adulta.

Così come per il Nido, anche per l’iscrizione alla scuola materna (tecnicamente “Scuola d’infanzia”) dovrete presentare domanda presso la scuola prescelta, con l’indicazione anche di sedi alternative, allegando le documentazioni mediche (vedi il paragrafo precedente “Iscrizione al nido”).
Anche in questo caso, il sistema di attribuzione del punteggio attualmente utilizzato dal Comune di Torino rende di solito più facile l’accoglienza de vostri bambini.

Ricordatevi di segnalare fin dal momento dell’iscrizione eventuali necessità particolari del vostro bambino (vedi il precedente paragrafo “Iscrizione al nido”).

I genitori possono scegliere la scuola elementare che ritengono più idonea al proprio figlio.

Se la scuola scelta non è quella di competenza territoriale, sarà il Dirigente Scolastico a valutare la possibilità dell’iscrizione.

Per iscrivere il vostro bimbo dovete portare alla segreteria della scuola prescelta i seguenti documenti:

Quando si effettua l’iscrizione alle elementari, occorre avere la diagnosi funzionale per poter godere di tutti gli aiuti necessari al vostro bambino: se non ne siete in possesso al momento dell’iscrizione avvisate la scuola di averne fatto richiesta, segnalando che la consegnerete in un secondo tempo, non appena verrà emessa dall’ASL.

Se vostro figlio è seguito da un Servizio Sanitario, verificate che il servizio (per es. la Neuropsichiatria Infantile), abbia attivato la segreteria della Unità Multidisciplinare.

Per verificarlo rivolgetevi:

Se vostro figlio invece non è seguito da alcun Servizio Sanitario, occorre che vi facciate indirizzare correttamente dal vostro pediatra.

L’Unità Multidisciplinare si riunirà e scriverà una diagnosi funzionale, che a sua volta costituirà la base per il Profilo Dinamico Funzionale e per il Piano Educativo Individualizzato (PEI).

Esiste anche un documento (da non confondere con il PEI) valido per tutti i bambini (quindi senza certificazione di handicap), particolarmente adatto e utile nei casi di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) e per le diagnosi di ADHD (Disturbo da deficit di Attenzione/Iperattività), entrambi non certificati come alunni in situazione di handicap. Questo documento si chiama PEP (Piano Educativo Personalizzato) o PDP (Piano Didattico Personalizzato) ed è una diversificazione di tempi, metodologie e strumenti del programma scolastico comune alla classe per prevenire l’insuccesso scolastico.

Le iscrizioni degli alunni disabili non possono essere rifiutate e hanno la precedenza su quelle degli altri alunni.

È importante segnalare fin dal momento dell’iscrizione particolari necessità del vostro bimbo, quali, ad esempio: trasporti casa-scuola, trasporti a terapie, assistenza per l’autonomia, esigenze alimentari, terapie specifiche o altro.

Trasporti per terapie
Per quanto riguarda il trasporto scuola – terapia e viceversa, a Torino è il centro di riabilitazione che provvede ad inviare l’apposito modulo predisposto dal GTT al gruppo trasporti.
La scuola si occupa del trasporto casa scuola.
Alla scuola si fa presente che il bambino si assenterà per trattamenti riabilitativi in orario scolastico (si può segnalare anche nella Diagnosi Funzionale che è in carico riabilitativo).
La famiglia può parlare con gli operatori sanitari che lo seguono per inoltrare la richiesta di trasporto per terapie.

In base al cosiddetto “Nomenclatore degli ausili, ortesi e protesi” (Decreto Ministeriale 332 del 27 agosto 1999), i cittadini con menomazioni e disabilità invalidanti hanno diritto alla fornitura di protesi, ortesi e ausili tecnici: carrozzine, letti ortopedici, deambulatori, arti artificiali, protesi oculari e acustiche, busti, collari ecc… e materiale per stomìe e incontinenza.

Cosa significano “protesi”, “ortesi”, “ausili”?

Le protesi sostituiscono parzialmente o completamente parti del corpo mancanti, come per esempio una protesi acustica.

Le ortesi sono apparecchi correttivi, come per esempio un tutore per ginocchio, i plantari ortopedici, ecc.

Gli ausili sono un qualsiasi prodotto, strumento, attrezzatura o sistema tecnologico che può prevenire, compensare, alleviare o eliminare una menomazione o una disabilità, come per esempio le stampelle, il deambulatore, il passeggino ortopedizzato).

Quali sono i passi per ottenere un ausilio, una protesi o un’ortesi?

Il primo passaggio consiste nella prescrizione: l’ASL può fornire gratuitamente ausili, protesi o ortesi soltanto se prescritti da un medico specialista di struttura pubblica.

Se il minore è seguito dalla neuropsichiatria infantile, il riferimento per la prescrizione è il Servizio NPI.

La fornitura degli ausili è gratuita soltanto in presenza di un’invalidità accertata dalle competenti commissioni mediche. Non hanno bisogno di fare domanda d’invalidità:

 

Il secondo passaggio consiste nel preventivo in base al tipo di ausili e al relativo “codice ISO” che il medico avrà indicato nella prescrizione: potrete richiederlo a un negozio ortopedico o una farmacia, o tramite Internet (se la vostra ASL lo accetta). In alcuni casi occorrono due preventivi.

Per i presìdi di serie, come letti ortopedici, materassi antidecubito, carrozzine standard, in molte Regioni non occorre il preventivo.

Il terzo passo è l’autorizzazione: la procedura per chiedere l’autorizzazione è diversa da ASL ad ASL, ma il Servizio di riferimento è lo stesso in tutta Italia, comunemente chiamato “Ufficio ausili e protesi”.

In Piemonte questo servizio si chiama “Assistenza protesica e integrativa”

Una volta autorizzato, l’ASL provvederà alla fornitura, ovvero l’ausilio vi verrà consegnato. La consegna può avvenire a domicilio, siete voi a decidere.

L’ultimo passo consiste nel collaudo da parte dello stesso medico che aveva redatto la prescrizione. Il collaudo accerta la congruenza clinica e la rispondenza del dispositivo ai termini dell’autorizzazione, ad opera del medico prescrittore e deve avvenire entro 20 giorni dalla consegna. Il collaudo non è necessario quando l’ausilio è prodotto in serie e viene fornito da una ditta vincitrice di gara d’appalto per la fornitura di ausili, protesi, materiale per incontinenza (è il caso, per esempio, di carrozzine standard o di pannolini).

Quando il collaudo è necessario, l’ASL deve contattarvi entro 15 giorni dalla fornitura per fissare l’appuntamento.  Trascorsi 20 giorni dalla consegna dell’ausilio senza che il fornitore abbia  ricevuto alcuna comunicazione da parte dell’ASL, il collaudo si intende effettuato, ai fini della fatturazione e del pagamento. Il cittadino che on si presenta al collaudo incorre nelle sanzioni previste dalle  singole regioni.

Quali ausili vengono erogati gratuitamente dall’ASL?

L’individuazione dell’ausilio corretto parte prima di tutto dal riconoscimento di un bisogno del vostro bambino (es. stare seduto) o di voi genitori (es. provvedere all’igiene in condizioni di sicurezza), bisogno inserito all’interno di un progetto riabilitativo/abilitativo, che ha come scopo il raggiungimento di una maggiore autonomia del vostro bambino e/o di favorirvi quando assistete il vostro bambino.

L’individuazione di un ausilio necessita dunque di una valutazione complessa, che richiede tempo, strumenti, competenza.

Si tratta di valutare:

 

L’ASL può fornire ausili, protesi, ortesi compresi nel Nomenclatore Tariffario delle Protesi e degli Ausili Tecnici – Decreto Ministeriale 332 del 27 agosto 1999.

Ausili riconducibili. Data la notevole evoluzione tecnologica in questo ambito, gli ausili previsti dal nomenclatore tariffario in certi casi risultano ormai superati a soluzioni tecnologicamente superiori e in certi casi perfino più economiche. In questo caso la prescrizione indicherà che la soluzione individuata è “riconducibile” a un ausilio compreso all’interno del nomenclatore.

Ausili extra tariffario. In casi specifici di ausili indispensabili, ma non riportati nel “Nomenclatore” e non riconducibili ad ausili elencati in esso, esiste la possibilità di ottenerli in modalità “extra-tariffario”; dunque dovranno essere acquistati ad hoc.

Aggiornato al: 18/7/2023

Il computer e il tablet sono strumenti ormai di utilizzo quotidiano, utili non solo per lavoro o tempo libero, ma anche per la comunicazione interpersonale, per l’accesso all’informazione (consultare un quotidiano), per seguire le lezioni,  per ordinare una spesa online o capire se il mezzo pubblico che ci interessa sia accessibile.

La legge li definisce “Sussidi tecnici e informatici” quando si riferiscono a persone con disabilità e sono “preposti ad assistere alla riabilitazione, o a facilitare la comunicazione interpersonale, l’elaborazione scritta o grafica, il controllo dell’ambiente e l’accesso alla informazione e alla cultura in quei soggetti per i quali tali funzioni sono impedite o limitate da menomazioni di natura motoria, visiva, uditiva o del linguaggio”

L’acquisto di tali strumenti prevede l’IVA al 4% e una detrazione IRPEF del 19% tramite dichiarazione dei redditi

Documenti necessari per le agevolazioni IVA e IRPEF

Per poter acquistare fruendo dell’IVA al 4% occorre presentare al negoziante:

Il Decreto del Ministero delle Finanze del 14 marzo 1998 (aggiornato da un Decreto attuativo MEF del 2021) indica che la prescrizione venga rilasciata dal “medico curante”, quindi, oltre al neuropsichiatra infantile o altro medico specialista nella patologia, anche il medico di famiglia e il pediatra possono prescrivere i sussidi tecnici e informatici

Per poter fruire dell’agevolazione IRPEF tramite dichiarazione dei redditi occorre essere in possesso degli stessi documenti.

Approfondisci su Handy.Lex

 

Sussidi tecnici e informatici e DSA

Anche gli studenti con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) hanno diritto alla detrazione IRPEF del 19% sulla spesa sostenuta per l’acquisto di alcuni strumenti tecnici e informatici . Il requisito è che frequentino la scuola primaria o secondaria di I o di II grado (ovvero dalla prima elementare fino all’ultimo anno della scuola superiore).

La detrazione riguarda gli strumenti compensativi, come per esempio:

•  la calcolatrice
•  la sintesi vocale
•  il registratore
•  i programmi di video scrittura con correttore ortografico

Leggi su Associazione Italiana Dislessia

 

Aggiornato al 26-5-2023

La continuità scolastica fa riferimento al passaggio da una scuola all’altra.

Per voi e per il vostro bambino è un momento delicato, che può essere vissuto con entusiasmo, ma che può anche causare molte ansie.

Per questo è molto importante avviare progetti in continuità tra ordini di scuola diversi, che tengano conto di tutte le informazioni fornite dalla famiglia, dagli insegnanti, dai medici e dagli operatori che conoscono l’allievo, che possono essere utili per costruire un percorso scolastico più sereno.
I progetti di continuità prevedono infatti incontri tra dirigenti scolastici, insegnanti, genitori, operatori ASL, che permettono loro di prendere in esame la situazione ambientale nella quale il bambino dovrà inserirsi, di fornire notizie sugli interventi realizzati sul piano dell’integrazione e delle attività didattiche e di valutare eventuali difficoltà.

 

Per alunni con bisogni educativi particolari ( p. es. utilizzo della comunicazione aumentativa) è possibile preparare progetti di continuità che possono consentire, nel primo periodo dell’anno scolastico un accompagnamento del bambino nella nuova scuola, a cura di una delle insegnanti che hanno lavorato con lui nell’anno precedente.
L’iniziativa deve essere programmata d’intesa tra i Collegi docenti delle scuole interessate e vede la collaborazione della varie risorse in campo, compresa la famiglia.

La continuità educativa non è prevista nel passaggio dalla scuola media agli istituti superiori

Dm 3/6/91

Legge 148/1990

Al nido l’assistenza ai bambini con disabilità avviene tramite l’assegnazione di un educatore in appoggio alla sezione, per raggiungere un adeguato rapporto educatore-bambini. Alla scuola materna, elementare e media invece sarà prevista la figura dell’insegnante di sostegno.

Gli educatori e gli insegnanti di sostegno non sono assegnati al singolo bambino, ma all’intera classe: questo è un punto fondamentale; essi sono infatti cotitolari della classe.

NB: l’insegnante di sostegno è una figura gratuita attualmente prevista per la sola scuola pubblica. I genitori dei bambini che frequentano una scuola privata devono invece accordarsi con la scuola e spesso pagare di tasca propria le ore di sostegno.

 

Assistenza di base

L’assistenza di base consiste nell’aiuto per l’igiene personale, per l’uso dei bagni, o per l’accesso a tutte le strutture scolastiche, comprese l’entrata e l’uscita da scuola.
Nelle scuole l’assistenza di base per i bambini spetta agli operatori della scuola; di solito viene svolta da un collaboratore scolastico (l’ex-bidello) appositamente formato; la scuola può affidarsi anche a personale esterno.

Assistenza per l’autonomia e la comunicazione
L’assistente per l’autonomia e la comunicazione è un educatore con il compito di collaborare e di interagire con l’attività dell’insegnante di sostegno per raggiungere gli obiettivi didattici; è di competenza degli Enti locali (L. 104/92, art. 13), a cui deve essere richiesto dal Dirigente scolastico. In particolare, viene fornito dal Comune fino alla scuola secondaria di primo grado (la scuola media) e dalla Provincia alle scuole superiori.

Alle necessità sanitarie del bambino (per esempio, cateterismo) risponde invece il personale paramedico dell’ASL.

Comitato per l’integrazione scolastica

Legge 104/92 artt. 12-14

Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità – MIUR – 4/8/09

Le FAQ del MIUR

Aggiornato il 25-05-2023

L’assistenza sanitaria agli stranieri è un argomento piuttosto complesso.

I cittadini di uno Stato dell’Unione Europea e dello Spazio Economico Europeo (Islanda, Liechtenstein, Norvegia) e dalla Svizzera, possono usufruire dell’assistenza sanitaria in Italia se sono in possesso di:

Leggi sul Ministero della Salute

 

I cittadini stranieri extracomunitari regolarmente presenti in Italia possono accedere alle strutture del servizio sanitario nazionale (SSN)  con modalità diverse a seconda del motivo del soggiorno (turismo, studio, lavoro).

Leggi sul Ministero della Salute

L’assistenza sanitaria ai minori stranieri privi di documenti di soggiorno, passava attraverso l’ISI (Informazioni Sanitarie Immigrati), un servizio dell’ASL che non prevedeva specificatamente la figura del pediatra. Dal 18/3 invece, in Piemonte, anche i minori stranieri senza residenza, né permesso di soggiorno, hanno diritto al pediatra.

Vai alla delibera regionale

i minori stranieri hanno diritto all’iscrizione al Servizio sanitario, e dunque ad avere il pediatra, anche quando i loro genitori non hanno il permesso di soggiorno.

Vai al comunicato della Regione

Aggiornato il 18/03/2015

Può capitare che un alunno non possa frequentare la scuola per gravi motivi di salute (per esempio deve subire un intervento chirurgico, oppure è in convalescenza dopo un intervento, o si trova in un periodo di grande difficoltà sul piano psicologico). Se il periodo di assenza è pari o superiore ai trenta giorni, anche non continuativi la scuola potrà attivare l’istruzione domiciliare (ID), che consiste nella scuola a casa o nella  “scuola in ospedale“.

E’ un servizio rivolto agli alunni che, a causa dello stato di malattia, non possono frequentare la scuola per più di 30 giorni.

Queste possibilità di continuare a fare lezione sono garantite ai sensi del D. Lgs. 66/2017 – Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità

Come attivare l’istruzione domiciliare

Per chiedere la  scuola a casa o in ospedale, i genitori dell’alunno/a si rivolgono alla scuola; dopodiché il consiglio di classe (i/le docenti della classe) prepareranno un progetto formativo, in cui indicheranno il numero dei docenti coinvolti, gli ambiti disciplinari cui dare la priorità, le ore di lezione previste.

I genitori devono fornire alla scuola anche i documenti clinici sullo stato di gravità della situazione di salute dell’alunno/a.

Con il progetto formativo scuola si rivolgerà all’Ufficio Scolastico Regionale per l’attivazione dell’insegnamento domiciliare.

Il monte ore di lezioni indicativamente è di 4/5 ore settimanali per la scuola primaria; 6/7 ore settimanali per la secondaria di primo e secondo grado. E’  contemplato l’utilizzo delle tecnologie e, quando possibile un’efficace didattica a distanza.

Chi ha diritto alla scuola a casa?

In base al decreto legislativo 66 del 2017, l’istruzione domiciliare si rivolge alle bambine e ai bambini della scuola dell’infanzia, alle alunne e agli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado (scuola elementare e media), alle studentesse e agli studenti della scuola secondaria di secondo grado (scuola superiore) con certificazione di handicap,  per le quali e per i quali sia accertata l’impossibilità della frequenza scolastica per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione, anche non continuativi, a causa di gravi patologie certificate.

Leggi: Come si presenta la domanda di handicap?

La famiglia, nel momento in cui viene a sapere della probabilità e del periodo indicativo dell’intervento, lo comunica alla scuola, che si coordinerà con l’Ufficio Scolastico Regionale e con il reparto ospedaliero per attivare il servizio a tempo debito.

A Torino: Scuola in ospedale presso l’Ospedale Infantile Regina Margherita OIRM – http://www.icpeyron.edu.it/scuola-ospedaliera/

 

Vedi anche:

Legge Regionale 28/2007 – Norme sull’istruzione, il diritto allo studio e la libera scelta educativa (art. 16)

 

Aggiornato il 15-6-2023

Cerchiamo qui di fare un po’ di chiarezza sui Servizi Sociali.

Si tratta di servizi che devono essere garantiti dai Comuni per rispondere ai bisogni sociali della popolazione più bisognosa.

In ambito di disabilità essi hanno il fine di ridurre “le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia” (Legge 328/2000).

 

 

Nei Comuni di grandi dimensioni tali servizi fanno capo al Comune stesso, mentre nelle realtà più piccole l’assistenza socio-assistenziale è spesso delegata a consorzi o convenzioni fra Comuni, a Comunità montane, ASL.

L’accesso a tali servizi è mediato dal Servizio Sociale di zona. Nel caso di minori con disabilità l’intervento parte di norma dalla Neuropsichiatria Infantile (N.P.I.) dell’ASL; i genitori o i tutori legali possono comunque rivolgersi al Servizio sociale indipendentemente dal fatto che il bambino sia in carico alla N.P.I..

A Torino i Servizi Sociali sono organizzati per “quadrante”: Vai agli indirizzi

Vai alla pagina dei Servizi Sociali di Torino

Nota bene: anche all’interno degli Ospedali è presente un Servizio Sociale, che può offrire un primo orientamento prezioso alle famiglie dei bambini ricoverati.

 

Aggiornato il: 18/2/2020

I Servizi Socio-assistenziali non sono identici in tutti Comuni, in quanto le norme (L. 328/00 e LR 1/2004) indicano i “livelli essenziali dell’assistenza” che devono comunque essere rispettati, ma non indicano come debbano essere soddisfatti.

Fra i bisogni ai quali per legge devono far fronte i Servizi socio-assistenziali ci sono quelli delle persone disabili, compresi i minori.
In questo capitolo ci riferiamo in particolar modo ai servizi offerti nell’ambito del Comune di Torino.

Potete rivolgervi al servizio sociale per richiedere:

Come richiedere questo tipo di aiuti?

Nell’ambito della disabilità al di sotto dei diciotto anni il riferimento fondamentale è la Neuropsichiatria Infantile (NPI).

È bene ricordarsi che l’aiuto può anche essere richiesto per un altro minore della famiglia: ad esempio potrebbe essere opportuno richiedere un appoggio educativo per il fratellino del bimbo disabile che sta attraversando un periodo difficile a scuola.

Nota bene: anche le famiglie straniere hanno diritto a recarsi alla neuropsichiatria infantile e ai Servizi Sociali per avere un supporto in situazioni difficili.

www.comune.torino.it/stranieri-nomadi/min_stran.htm

Vedi anche: Progetto prisma

 

Aggiornato il: 09-04-2014

 

I Servizi Sociali sono presenti in modo capillare sul territorio piemontese: ogni Comune ne ha una sede propria o al massimo in un Comune vicino; a Torino sono presenti in ogni circoscrizione.

Per contattarli:

Nota bene: prima di recarvi al primo colloquio al Servizio Sociale è opportuno che vi informiate sulle modalità di accesso; in alcune circoscrizioni infatti l’accesso avviene tramite bigliettini numerati, che si esauriscono piuttosto in fretta, anche prima dell’orario di apertura del Servizio.

Se la vostra richiesta può essere accolta dal Servizio Sociale, vi fisseranno un appuntamento con un operatore (assistente sociale o educatore professionale o un amministrativo) a cui dovrete, in seguito, fare riferimento.

ll Servizio Sociale offre diversi tipi di interventi: quelli domiciliari e residenziali sono legati a un Progetto Assistenziale Individualizzato (PAI), altri invece sono slegati dal PAI (per es. l’assistenza economica, inserimenti in strutture diurne o residenziali, l’educativa territoriale).

Per quanto concerne gli aiuti legati al PAI, dovete farne richiesta non al servizio sociale, ma alla Neuropsichiatria infantile.

Il PAI (acronimo di Progetto Individuale Assistenziale) è un progetto che cerca di individuare e soddisfare i bisogni del vostro bimbo; viene realizzato dal Servizio Sociale in collaborazione con la Neuropsichiatria Infantile (NPI) e chi si prende cura del bambino (di solito i genitori).

I servizi previsti dal PAI possono essere acquistati direttamente da voi tramite un buono servizio oppure attraverso un’erogazione economica.

Potrete scegliere come fornitore del servizio una Cooperativa fra quelle iscritte all’albo dei fornitori del Comune di Torino. L’iscrizione all’albo dei fornitori certifica che la cooperativa soddisfa determinati requisiti e rispetta gli standard imposti dal Comune e dalla Regione.

Buono servizio: vi viene concesso un “buono” con il quale potrete scegliere a chi rivolgervi per ottenere il servizio concordato con la NPI e il Servizio sociale.
Un esempio: vi è stata riconosciuta l’esigenza di un’assistenza domiciliare per 3 ore alla settimana: potrete allora scegliere all’interno di un elenco di “soggetti accreditati” (sono in genere cooperative) chi ve la fornirà.

Erogazione economica: in questo caso vi viene dato un contributo economico che servirà per retribuire per es. la baby-sitter assunta regolarmente da voi, diventando così voi stessi datori di lavoro.

Assistenza domiciliare

L’assistenza domiciliare prevede che un operatore socio-sanitario (OSS) vi aiuti in alcune pratiche quotidiane. Le prestazioni vanno dalla cura del bambino (igiene personale, aiuto nel momento dei pasti, ecc.), all’aiuto nel governo della casa (pulizie, preparazione dei pasti, lavaggio biancheria ecc.), al sostegno nel portare a termine le incombenze non domestiche (disbrigo pratiche, pagamento bollette, visite mediche, accompagnamento a scuola di bambini ecc.), fino a semplici interventi igienico-sanitari (assunzione corretta dei farmaci, prevenzione piaghe da decubito ecc.).

Affido diurno

Si tratta di un volontario –scelto da voi o dal Servizio Sociale– che riceverà dall’ASL e dal Comune n rimborso spese per trascorre un certo numero di ore alla settimana con vostro figlio, per es. per aiutarlo nei compiti.

L’affido diurno è utile quando avete necessità di una persona per poche ore alla settimana, per es. se avete necessità che vostro figlio venga accompagnato a svolgere attività (ricreative, terapeutiche, ecc.) in orario lavorativo.

L’affido diurno è regolamentato da un “contratto” fra Servizio sociale, famiglia e volontario.

Assegno di cura

E’ un’erogazione economica che l’ASL e il Servizio sociale vi possono corrispondere nel caso in cui assumiate una baby-sitter o un’assistente familiare (badante).

Cure familiari
Sono un contributo economico e simbolico di poche centinaia di euro al mese che viene riconosciuto se voi genitori (o un parente entro il quarto grado) vi occupate in maniera costante e continuativa di vostro figlio disabile dovendo rinunciare al vostro lavoro, o ridurne l’orario, per prestare assistenza a vostro figlio.

Educativa territoriale
Si tratta di un intervento educativo che cerca di favorire le condizioni per migliorare i rapporti tra il bimbo e l’ambiente (famiglia, scuola, tempo libero). Di solito consiste nel frequentare servizi che prevedono attività ricreative o anche sportive.
Leggi di più

 

NB: in Piemonte è previsto che le necessità assistenziali possano essere affrontate mediante un mix di prestazioni, ovvero non esiste l’alternativa rigida fra intervento domiciliare di un certo tipo e un altro di tipo diverso, così come gli interventi possono essere in parte semiresidenziali e in parte domiciliari (per es. un pomeriggio a settimana presso un centro diurno e uno con l’affidatario diurno)
Vedi DGR 56/2010 -in particolare l’Allegato 1

 

∞ ∞ ∞

Aggiornato il 16-1-2017

La Commissione di valutazione minori con handicap (Unità di Valutazione Minori) ha come finalità la valutazione integrata, sanitaria e assistenziale, dei progetti individuali relativi a persone disabili che prevedono l’attivazione di interventi sociosanitari.

Sono interventi sociosanitari quei servizi che non sono né esclusivamente socioassistenziali (ad esempio il contributo economico per il pagamento dell’affitto per le persone indigenti), né esclusivamente sanitari (ad esempio la visita di un medico), ma sono relativi a prestazioni a “valenza mista”, sanitaria e assistenziale, e che dipendono sia dal Comune, sia dall’ASL (ad esempio la retta di una struttura residenziale in cui lavorano operatori sanitari e socioassistenziali).

Secondo la normativa attuale, a livello nazionale e regionale, gli interventi sociosanitari devono essere regolamentati da apposite convenzioni tra l’ASL e l’ente che gestisce i servizi socioassistenziali, Consorzio o Comune (a Torino il Comune).

Diverse regioni italiane prevedono che le persone con disabilità abbiano diritto al trasporto pubblico gratuito (oppure ad altre agevolazioni economiche in materia).

Il Piemonte, per esempio, rilascia una tessera detta “di libera circolazione”, che consente di viaggiare gratuitamente su tutti i mezzi pubblici entro i confini piemontesi e sui treni regionali che circolano in Piemonte o che lo collegano a una delle tre regioni ad esso confinanti: Lombardia, Liguria, Valle d’Aosta, sia sul viaggio di andata, sia su quello di ritorno.

Questo significa che la tratta fra Torino a Ventimiglia e fra Ventimiglia e Torino è gratuita, mentre se si prende un treno che transita da Ventimiglia, per proseguire però per una destinazione esterna alla Liguria, il viaggio è interamente a pagamento.

Chi può viaggiare gratuitamente?

Fino al compimento del diciottesimo anno di età la tessera consente il viaggio gratuito al minore a cui è intestata e a un eventuale accompagnatoreNon viene richiesto di indicare il nome di un singolo accompagnatore: chiunque accompagni il minore (una sola persona alla volta) ha diritto al viaggio gratuito.

Al compimento del diciottesimo anno di età, la tessera consente la gratuità del viaggio soltanto alla persona disabile, tranne nel caso di percentuale d’invalidità civile del 100%.

Chi ha diritto alla tessera di libera circolazione?

Per ottenere una carta BIP di libera circolazione occorre essere residenti in Regione Piemonte e appartenere a una delle seguenti categorie:

Hanno diritto alla carta BIP di libera circolazione con estensione all’accompagnatore le seguenti categorie:

 

*La dicitura “minore invalido” è un’espressione tecnica e si riferisce al verbale d’invalidità civile: “Minore invalido, con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età o ipoacusico”)

Per viaggiare in treno con la tessera, occorre fare comunque un biglietto?

La tessera di libera circolazione vale al posto del biglietto, per cui è sufficiente salire sul treno ed esibirla al controllore su sua richiesta, senza fare il biglietto.

 

Perché la mia tessera non funziona?

Se la tessera non funziona, al di là di possibili motivi tecnici (per es. si è smagnetizzata), è possibile che la sua validità fosse legata a una data di rivedibilità riportata sul verbale d’invalidità. Niente paura… per effetto del decreto semplificazione (L. 114/2014) si conservano tutti i diritti previsti fino alla definizione del nuovo verbale.

Info:
800.333.444
bip.piemonte.it

 

Aggiornato il 25-05-2023

Quanto costa viaggiare in treno a un minore?

Tutti i bambini, fino a tutto il terzo anno di età, se non occupano un posto a sedere, o una cuccetta nei treni Notte, diversamente pagano la tariffa “Ragazzi”, valida dal quarto al quattordicesimo anno di età, che consiste nello sconto del 50% sul posto a sedere e del 30% per i servizi Cuccetta, Vagone Letto e Cabina Excelsior. Dai 15 anni il prezzo del biglietto è intero.

Trenitalia prevede anche una “Carta verde”, che ha un costo annuo di 40 euro e applica uno sconto sul biglietto del treno dai 12 ai 26 anni.

Quanto costa viaggiare in treno a un minore con disabilità?

Trenitalia prevede ulteriori agevolazioni economiche in caso di invalidità certificata: Carta blu, sconti per disabili della vista e per i titolari di Disability Card con lettera “A” (necessita di un accompagnatore o di maggiore intensità di sostegno). Lo sconto consiste nella gratuità del biglietto o un prezzo fortemente scontato per l’accompagnatore per l’accompagnatore.

Vai alla pagina dedicata agli sconti di Trenitalia.

Call center dedicati Trenitalia
Assistenza persone con mobilità ridotta: clicca qui

In diverse regioni esiste una tessera per la mobilità su treni e mezzi pubblici, detta “Tessera di libera circolazione” per persone disabili. Per esempio i minori invalidi residenti in Piemonte e un adulto che li accompagni possono viaggiare in Piemonte e verso le regioni confinanti gratuitamente, una volta in possesso della tessera BiP d trasporto gratuito.

Riportiamo un censimento regione per regione

Valle d’Aosta

Lombardia

Veneto

Trentino Alto Adige

Provincia autonoma di Trento

Provincia autonoma di Bolzano

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Toscana

Emilia Romagna

Umbria

Lazio

Marche

Molise

Abruzzo

Basilicata

Campagna

Puglia

Calabria

Sardegna

Sicilia

 

Ultimo aggiornamento: 06/11/2023

Quali sono i musei gratuiti per persone con disabilità?

L’ingresso nei musei, monumenti, gallerie ed aree archeologiche dello Stato è gratuito per i visitatori che non abbiano compiuto il diciottesimo anno di età. I visitatori che hanno meno di 12 anni debbono essere accompagnati.
Ai sensi del DM 11 dicembre 1997, n. 507 e s.m.i. l’ingresso è gratuito ai portatori di handicap e ad un loro familiare o ad altro accompagnatore che dimostri la propria appartenenza a servizi di assistenza socio-sanitaria.

Vai al sito del Ministero della Cultura

Consulta l’elenco di musei, monumenti, gallerie ed aree archeologiche dello Stato

In Torino

Per l’elenco dei musei e dei percorsi d’arte e cultura a Torino: clicca qui

Per il Piemonte: clicca qui

TurismoTorino è un sito contenente una curata sezione relativa al turismo accessibile.

Vai al sito

Torino Paratourè una raccolta di percorsi artistici e architettonici per persone con difficoltà motorie o visive: Grottesco, Liberty, Razionalismo e contemporaneo

Vai al sito

Cultura accessibile è un sito nato dal basso, ovvero da persone con disabilità che hanno deciso di condividere le proprie esperienze

Vai al sito

Aggiornato il: 27-7-2023

Chi va in vacanza insieme a bambini con disabilità sa quanto sia importante andare a colpo sicuro, in strutture raccomandate da famiglie alle prese con difficoltà simili alle proprie.

Cerchiamo di darvi alcuni riferimenti per vacanze “senza barriere”, senza la pretesa di essere esaustivi (ogni segnalazione sarà attentamente presa in considerazione).

Non potendo la nostra redazione verificare direttamente l’accessibilità di luoghi e strutture, riportiamo un elenco di siti che è possibile consultare per reperire idee, avere recensioni accurate di viaggi e vacanze, disporre di una persona di riferimento alla quale chiedere ulteriori dettagli.

 

Le spiagge accessibili e perfino stabilimenti balneari con spazi e personale idonei ad accogliere persone con autismo sono presenti in diverse regioni italiane.

In Liguria è molto attiva la coop Laltromare, con spiagge accessibili e bagnini preparati alla relazione, in varie località della Riviera

Parchi di divertimento: di recente GARDALAND ha siglato un protocollo per la fruizione del parco da parte di persone con disabilità

 

Luoghi ed edifici pubblici accessibili: www.bandieralilla.it

 

Inoltre:

www.isitt.it/it/

www.disabili.com/viaggi
www.superabile.it
www.diversamenteagibile.it

www.culturaaccessibile.altervista.org/turismo.html

http://www.comune.torino.it/pass/informadisabile/

Attenzione: spesso la dichiarazione di accessibilità  delle strutture turistiche e alberghiere è affidata a una loro autodichiarazione; conviene sempre verificare almeno facendo domande puntuali per telefono, meglio ancora tramite e-mail (es. “Ci sono gradini per accedere all’ascensore?”, “I percorsi di accesso alla struttura sono in terra battuta o ghiaia?”, “Fra la struttura turistica e la spiaggia l’intero percorso è accessibile?”, ecc.)

Aggiornato il 20-5-2020

Definiamo “barriere architettoniche” tutto ciò che ci impedisce di accedere a un ambiente, o di visitarlo liberamente, o di svolgerci le attività quotidiane, come lavarci, cucinare, andare in bagno.

L’eliminazione delle barriere architettoniche può beneficiare di agevolazioni fiscali  e di un contributo regionale (previsto dalla legge 13/89).

Quali sono le agevolazioni fiscali per l’eliminazione delle barriere architettoniche?

Le agevolazioni per eliminazione delle barriere architettoniche si suddividono in IVA agevolata e detrazioni.

Alle spese sostenute per la realizzazione di opere direttamente finalizzate al superamento o all’eliminazione delle barriere architettoniche si applica l’IVA al 4%, quando queste rispondano alle peculiarità tecniche indicate dalla Legge (in particolare dalla Legge 13/89 e Parere dell’Agenzia delle Entrate n. 3 del 13/1/2020)

Le detrazioni fiscali sono:

Questa detrazione è prevista per l’installazione di ascensori e montacarichi, e per realizzazione di ogni strumento che sia adatto a favorire la mobilità interna ed esterna all’abitazione, attraverso la comunicazione, la robotica e ogni altro mezzo di tecnologia più avanzata*.

*NB: nel secondo caso l‘agevolazione è destinata a persone riconosciute in situazione di handicap con gravità (Legge 104/92 art. 3, comma 3) o a chi le ha a fiscalmente carico.

La detrazione per ristrutturazione edilizia

Per gli interventi di ristrutturazione edilizia sugli immobili è possibile fruire di una detrazione Irpef pari al:

Rientrano nella categoria degli interventi agevolati:

Consiste in una detrazione d’imposta per le spese sostenute per eliminazione delle barriere architettoniche in edifici non di nuova costruzione. La spesa andrà ripartita tra gli aventi diritto in 5 quote annuali di pari importo. Nel caso di persone incapienti è prevista la cessione alla banca del credito d’imposta, ovvero uno sconto in fattura.

Il recente D.L. 29 dicembre 2023, n. 212 ha introdotto alcune novità:

Per tutti i dettagli vi invitiamo a consultare direttamente la guida online dell’Agenzia delle entrate.

Cosa sono i “contributi Legge 13” per l’eliminazione delle barriere architettoniche?

La legge 13/89 prevede uno specifico contributo in questo caso, che può essere richiesto direttamente dalla persona disabile o di chi la ha a carico, e può essere suddiviso quando la spesa viene sostenuta da più condomini o dall’intero condominio.

Si tratta di contributi regionali, che devono essere richiesti al proprio Comune di residenza o al Comune presso il quale si trova l’abitazione da ristrutturare (ma occorre impegnarsi prendervi residenza entro un tempo definito).

Val all’articolo

Agevolazioni fiscali per persone disabili 2022 – Agenzia delle entrate

Agevolazioni fiscali per eliminazione delle barriere architettoniche – Agenzie delle entrate

Come richiedere le agevolazioni fiscali per ristrutturazione edilizia ed eliminazione delle barriere architettoniche? Leggi su Agenzia informa

Ultimo aggiornamento: 15/1/2024

La Legge n. 104/92 – Legge quadro sull’handicap prevede all’art. 13 che le scuole siano dotate di attrezzature tecniche e di comunicatori atti a favorire l’integrazione scolastica e a garantire il diritto allo studio.

Un esempio di attrezzature tecniche per la scuola sono per esempio gli ausili per la mobilità o per la postura, mentre gli sussidi informatici-didattici sono per esempio tastiere o mouse specifici rivolti a determinate esigenze.

Per l’acquisto di piccoli sussidi didattici la scuola riceve dei fondi ad hoc; inoltre l’Ente locale (per esempio il Comune) può dare in prestito d’uso alla scuola gli ausili indicati dai sanitari del Servizio Sanitario pubblico come necessari (in questo caso devono essere indicati nel PEI (Progetto educativo individualizzato).

Il dirigente scolastico, in base al PEI, inoltrerà le richieste di ausili ai diversi enti

Ultimo aggiornamento: 24-10-2023

L’idea che itinerari naturalistici e paesaggi alpini possano essere fruiti anche da persone con disabilità si sta facendo sempre più strada.

Il CAI (Club Alpino Italiano) ha redatto una scala di difficoltà dei sentieri che parte, per la prima volta, proprio dai sentieri accessibili alla disabilità motoria “sentieri AT” (Accessibili a turisti),

in particolare fruibili da persone in sedia a rotelle.

In Piemonte segnaliamo:

Oltralpe, alle porte del Piemonte, i meravigliosi parchi naturali alpini francesi Ecrins e Mercantour offrono itinerari per persone con disabilità motoria:

Parc Mercantour

Parc Ecrins

La Valle d’Aosta non presenta un progetto di sentieri accessibili, ma è ricca di mete raggiungibili tramite impianti (cabinovie e funivie) in funzione tutto l’anno. Segnaliamo in ogni caso il sito Guide turistiche Valle d’Aosta, che riporta diversi itinerari tristici e culturali  accessibili

Sulle Dolomiti segnaliamo il portale Trentino per tutti e il Progetto Dolomiti accessibili. Per evidenziare i percorsi dolomitici accessibili occorre andare sul portale Visit dolomites e cliccare sull’icona “Dolomiti accessibili”.

In Val Camonica il sito di riferimento è Sentieri per tutti

 

Aggiornato il 12-8-2022

 

Quando una persona con invalidità civile o con handicap senza la connotazione di gravità si aggrava (anche nel caso in cui sia trascorso poco tempo da quando ha ricevuto il verbale d’invalidità di handicap) , è possibile presentare domanda di aggravamento. L’iter è lo stesso della presentazione della prima domanda di invalidità, ma occorrerà essere in possesso di documentazione clinica che certifichi che la situazione è peggiorata rispetto a quanto riportato sul precedente verbale di invalidità o di handicap. Questa documentazione comprende: la relazione di un medico specialista neuropsichiatra infantile di solito per i minori) e/o gli esami strumentali o di laboratorio.

Nota bene: se avete presentato ricorso non potete presentare la domanda di aggravamento fino a quando non verrà stata emessa la sentenza dal tribunale.

Ultimo aggiornamento: 15-11-2023

Il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media è, come tutti i cambiamenti, un momento critico e delicato e dovrebbe essere agevolato da un “progetto di continuità” (vedi articolo “che cos’è la continuità scolastica”), generalmente presente tra scuole limitrofe o che appartengono allo stesso Istituto Comprensivo (ovvero scuole di diverso ordine – materne, elementari e medie – riunite sotto un unico Dirigente scolastico e un’unica Segreteria amministrativa). Nel caso non esistesse questo tipo di raccordo tra la scuola elementare di uscita e la scuola media d’ingresso è bene contattare per tempo (durante la classe quinta) la scuola di destinazione per concordare un percorso di reciproca conoscenza.

I genitori possono scegliere la scuola media che ritengono più idonea al proprio figlio. Un buon punto di partenza può essere quello di visitare il sito della scuola (o dell’Istituto Comprensivo di cui la scuola fa parte), per prendere visione del progetto di accoglienza e integrazione rivolto ad alunni con disabilità, solitamente contenuto all’interno del POF (Piano dell’Offerta Formativa). Prima di effettuare l’iscrizione è utile prendere contatto con il Dirigente Scolastico (anche lui, o lei, ha una sigla: DS), quello che un tempo chiamavamo preside, per verificare che ci siano tutti i presupposti per un inserimento adeguato.

Per iscrivere vostro figlio dovete portare alla segreteria della scuola prescelta i seguenti documenti:

• la domanda d’iscrizione;

• l’attestazione di alunno in situazione di handicap prodotta da un medico specialista o dallo psicologo esperto dell’età evolutiva dell’ASL (art. 2 DPR 24/2/94) o anche da un medico privato convenzionato con l’ASL. Inizialmente, in attesa del documento, è sufficiente consegnare alla scuola la ricevuta di presentazione della domanda di handicap.

• la diagnosi funzionale rilasciata dall’Unità Multidisciplinare dell’ASL.

 

Nota: se vostro figlio ha una diagnosi di DSA (sigla che indica i Disturbi Specifici dell’Apprendimento come ad esempio la dislessia) non serve il certificato di handicap, ma unicamente la certificazione, prodotta dal servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’ASL di alunno con EES (Esigenze Educative Speciali), la quale consente di avere misure dispensative (come ad esempio non leggere a voce alta in classe) o compensative (uso della calcolatrice o del computer). In tal caso NON c’è necessità dell’insegnante di sostegno, ma soltanto di misure applicate dalle insegnanti di classe per facilitare l’apprendimento dei bambini che trovano difficoltà a seguire il normale piano di studi.

La diagnosi funzionale costituirà la base per il Profilo Dinamico Funzionale (PDF) e per il Piano Educativo Individualizzato (PEI)

Esiste anche un documento (da non confondere con il PEI) valido per tutti i bambini (quindi senza certificazione di handicap), particolarmente adatto e utile nei casi di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) e per le diagnosi di ADHD (Disturbo da deficit di Attenzione/Iperattività), entrambi non certificati come alunni in situazione di handicap. Questo documento si chiama PEP (Piano Educativo Personalizzato) o PDP (Piano Didattico Personalizzato) ed è una diversificazione di tempi, metodologie e strumenti del programma scolastico comune alla classe per prevenire l’insuccesso scolastico.

Le iscrizioni degli alunni disabili non possono essere rifiutate e hanno la precedenza su quelle degli altri alunni. Le scuole private che hanno ottenuto la parità, sono obbligate ad accettare le iscrizioni di alunni in situazione di handicap e a garantire l’integrazione scolastica (ai sensi della L. 62/2000).

Come per il precedente ordine di scuola, è importante segnalare fin dal momento dell’iscrizione particolari necessità del vostro bambino, quali, ad esempio: trasporti casa-scuola, trasporti a terapie, assistenza per l’autonomia, esigenze alimentari, terapie specifiche o altro.

Cosa succede dopo l’iscrizione? In sintesi accade che il Dirigente Scolastico invita il Collegio dei docenti ad individuare la classe più idonea cui destinare vostro figlio. Il Consiglio di Classe ha il compito di scrivere un progetto sull’assegnazione delle ore di sostegno necessarie (Vedi l’articolo “Chi garantisce l’assistenza del bambino”). Il Dirigente Scolastico, sulla base della diagnosi funzionale e del progetto formulato dal Consiglio di Classe, richiede al Direttore Scolastico Regionale le ore di sostegno necessarie.

Lo sport è senza dubbio un momento molto importante per la crescita di tutti i bambini: non solo in senso “fisico”, ma in senso psicologico, di capacità di relazione e di autostima.

Quando un bambino disabile fa qualcosa insieme ai propri coetanei si sviluppa infatti la sua capacità di relazione, mentre si abituano gli altri bambini a un mondo in cui ci saranno sempre più amici o colleghi con una disabilità.

Praticare uno sport significa imparare a fare qualcosa (sciare, nuotare): questa consapevolezza può essere utilizzata per aumentare l’autostima del bambino, ma anche per aiutarlo a comprendere che i limiti possono essere un confine da superare, non per forza il muro oltre il quale non ci è dato andare.

Infine, saper fare qualcosa insieme agli altri significa avere maggiori prospettive di avere un giro di amicizie, essere invitati alle feste, farsi conoscere per quello che si è, non per quello che si vede o l’etichetta che ci è stata affibiata con una diagnosi.

 

Con l’approssimarsi dell’inverno, la redazione di Di.To ha iniziato una ricerca sulle scuole sci per bambini con disabilità: quindi se siete interessati all’argomento vi raccomandiamo di tenere d’occhio questo capitolo.

L’ambito teritoriale in cui ci muoviamo è quello del Piemonte e della Val d’Aosta.

 

Associazione Freewhite – Lo sport per tutti

Si trova a Sestriere (TO) e a Pratonevoso (CN)
http://www.sestrieresportdisabili.com/
http://www.freewhite.it/
Freewhite ha a disposizione le attrezzature (uniski e dualski) per far sciare para e tetraplegici.

Sulla neve con Freewhite e Paideia
L’associazione Freewhite organizza insieme alla Fondazione Paideia un corso di sci alpino, consistente in 5 lezioni gratuite individuali o in micro-gruppi a Sestriere, comprensive di attrezzatura sportiva, rivolte a persone di età compresa fra i 3 e i 18 anni.

Vai al sito

 

 

Sciabile – Scuola Sci Sauze d’Oulx Project

Sauze d’Oulx (TO)

http://www.sciabileonlus.org/

http://www.sauzedoulxproject.it

 

Associazione Valdostana Maestri di Sci

L’associazione si è dotata di ausili per lo sci: quando ci sono richieste nelle scuole, questi vengono fatti ruotare. Occorre quindi prenotarli per tempo!
L’Associazione dispone di maestri di sci e di snowboard specializzati per l’insegnamento ai disabili mentali, fisici e sensoriali.

Nella stagione 2010-2011 si è tenuto un corso formativo per i maestri, relativamente all’insegnamento ai diversamente abili sulla tavola da snowboard. Il corso si è concluso con il conseguimento del diploma di insegnamento da parte di tutti i partecipanti.

Info:
info@maestridisci.com
http://www.maestridisci.com

Antenne Handicap Valle d’Aosta ONLUS
Associazione di secondo livello che riunisce realtà diverse come l’associazione di volontariato Aspert (Associazione Sport per tutti), la polisportiva Ecole du Sport e la Cooperativa Sociale mens@corpore – con l’obiettivo di facilitare l’accesso alle pratiche sportive per i disabili e favorire la promozione delle attività a loro rivolte, anche attraverso un’efficace integrazione dei servizi e delle risorse presenti sul territorio.

L’associazione propone, tra l’altro, lo sci e lo snowboard per le persone disabili ed ha una convenzione con la Società degli impianti di Courmayeur, che applica uno sconto del 50% per il disabile e un accompagnatore.

Dispone di uno snowboard appositamente progettato per la pratica da parte di persone (anche bambini da 5 anni in su) con disabilità motoria

Direttore tecnico: Andrea Borney – tel. 349.5620611
Segreteria: Loredana Savoye – tel. 340.7698509

info:
info@antennehandicap.it
http://www.antenne-handicap.com

 

SportAbili – Alba (CN)

L’attività di sci da discesa si svolge a Limone 1400 presso il comprensorio di Limone Piemonte in Provincia di Cuneo.
I corsi sono tenuti da maestri di sci e da istruttori che hanno frequentato il corso di formazione. SportABILI si avvale della collaborazione della Scuola Sci di Limone Piemonte, ed in particolare di maestri specializzati nell’insegnamento dello sci ai disabili. Dei volontari, anch’essi abilitati, affiancano gli istruttori e i maestri durante le attività.
L’associazione ha in dotazione tutti gli ausili per ogni tipo di disabilità: monosci , bisci, dualski, stabilizzatori per la discesa. L’associazione offre inoltre un servizio di accompagnamento per non vedenti.
info: info@sportabilialba.org
http://www.sportabilialba.org/

 

Leggi anche: “Funivie accessibili” (pp. 36 e 37  di Superabile magazine n. 36/2016)

— — — —

Inviateci le vostre segnalazioni:  redazionedito@areato.org

Ultimo aggiornamento: 4/2/2015

Quando vostro figlio frequenta la scuola elementare o le medie, un’opportunità importante di crescita e condivisione è rappresentata dai CESM (Centri Educativi Specializzati Municipali), quattro in tutto in Torino. I CESM sono laboratori educativi condotti da insegnanti specializzate in vari settori (area dell’autonomia, area motoria, area comunicativa e area manuale), che propongono agli alunni attività integrative a quelle scolastiche allo scopo di migliorare la loro autonomia e la capacità di comunicazione. Per fare soltanto alcuni esempi: psicomotricità, acquaticità in piscina, comunicazione aumentativa, laboratori teatrali, musicali e informatici, manipolazione di materiali diversi, laboratori di artigianato, di cucina e ippoterapia.  La cosa interessante è che le attività sono svolte sia a livello individuale, sia con un piccolo gruppo di compagni di classe.

 

Al momento dell’iscrizione a scuola, entro il mese di febbraio, bisogna fare richiesta di attivazione di un progetto integrato scuola – CESM. Le richieste vengono accolte in base alla disponibilità dei posti, dando precedenza ai residenti, ai bambini più seriamente compromessi ed agli alunni che si iscrivono in prima elementare o in prima media.

Durante i mesi di giugno e luglio i CESM si trasformano in centri estivi per i propri iscritti.

I CESM di Corso Bramante e di Via Cena hanno attivato anche servizi dedicati ai ragazzi con “Disturbo Pervasivo dello Sviluppo” (più comunemente si parla di autismo) frequentanti la scuola elementare e media.

Il Servizio è gratuito, si paga soltanto la mensa. E’ necessario presentare la domanda d’iscrizione entro fine febbraio.

Il Comune di Torino offre occasioni di gioco, incontro e apprendimento anche al di fuori della scuola, luoghi aperti a genitori e figli per stare e fare insieme, ma anche posti d’incontro e scambio con altre famiglie. Si tratta di laboratori dedicati all’arte e alla creatività, alla comunicazione, all’ambiente e all’agricoltura, al gioco e al cinema di animazione. Le attività proposte hanno luogo presso i Centri di Cultura per l’infanzia e l’adolescenza, ciascuno con una o più sedi sul territorio cittadino, presso le ludoteche e i punti Gioco. Il progetto che riunisce tutte queste iniziative si chiama ITER (Istruzione Torinese per una Educazione Responsabile).

Tutte le sedi dei laboratori sono accessibili alle persone disabili.

Le proposte di ITER per bambini e ragazzi, sono raccolte in un ampio catalogo online che si chiama “Crescere in città” e sono rivolte a quattro fasce di età che, per maggiore chiarezza, sono state differenziate in base alla scuola che vostro figlio frequenta, quindi:

– ai bambini del nido

– ai bambini della scuola materna

– a quelli della scuola elementare

– e a chi frequenta la scuola media e superiore

 

In più, sul territorio do Torino, potete trovare:

– i Centri per bambini e genitori: rivolti a bambine e bambini da 0 a 6 anni che non frequentano il Nido o la scuola materna, accompagnati da un genitore o da un adulto di riferimento (nonni, baby sitter…);

– il Servizio educativo per minori disabili sensoriali;

– il Centro Regionale di documentazione non vedenti dove ha anche sede la Biblioteca Braille e tiflologica;

– il Centro di documentazione sulla sordità;

– il Magazzino di ausili dati in prestito d’uso alle scuole che ne fanno richiesta, gestito dalla Divisione Servizi Educativi del Comune.

Comune di Torino – Servizi educativi

Aggiornato al 18-5-2020